La Battaglia di Itri
Di Paolo Manzi
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La Battaglia di Itri - Paolo Manzi
La battaglia di Itri
di Paolo Manzi
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
Le fig. 3, 7, 12, 13 sono disegni del pittore di Itri, Bruno Soscia.
ISBN 978-88-3346-081-9
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2021©
Saggistica – Storia e cultura
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Paolo Manzi
La battaglia di Itri
AliRibelli
A peste, fame et bello,
libera nos, Domine…
Da peste, fame e guerra,
liberaci, o Signore…
Sommario
Prologo
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
Memorie
Legenda
Bibliografia
CUSTODES SUMUS YTRI
NATI SEVISSIMI YDRI
Custodi siamo di Itri
nati ferocissimi idri (serpenti)*
NUI SEMO LI TERRIBILI SERPENTI
KI I(N)CAPPA I(N)TENDI
Noi siamo i terribili serpenti
chi (ci) incontra intende**
* Iscrizione latina scolpita sulla pietra al lato sinistro di Porta Mamurra.
** Iscrizione tardogotica, italiano-volgare scolpita sulla pietra al lato destro di Porta Mamurra, a traduzione della scritta latina sul lato sinistro. (Sara Grimaldi, The gothic inscription of the so called Porta Mamurra
in Itri, Academia.edu).
Prologo
In nome di nostro Signore Gesù Cristo, anno 1357° della sua nascita, sotto il regno della nostra Signora Giovanna, serenissima, per grazia di Dio, Regina di Gerusalemme e di Sicilia, del ducato di Puglia, del principato di Capua, contessa di Provenza, Forcalquier e Piedimonte, anno quattordicesimo del suo regno, giorno primo del mese di gennaio, presso il palazzo della città di Fondi, Io Jacobo figlio di Anatolio di Ytri…
I fogli pieni di polvere e di tarli a stento lasciano decifrare quello che sembra essere l’inizio di un racconto. Inizia così il libretto (o meglio i singoli fogli sparpagliati) trovato in un buio sotterraneo della chiesa di S. Michele Arcangelo di Itri.
Alcuni operai ammucchiano calcinacci, pezzi di legno e altre cianfrusaglie per la discarica. Un armadietto sgangherato, da cui i tarli salutano la luce del sole, giace sul pavimento pronto per essere scaricato. Appena un operaio lo sposta, l’armadietto si sfascia, le pareti crollano, diversi pezzi, stoffa e tanti fogli di carta finiscono svolazzanti nel sotterraneo semibuio. Un operaio imprecando cerca, con la pala, di raccogliere e sistemare tutto sulla carriola per trasportarlo alla discarica. L’altro, invece, recupera i fogli di carta e ne fa una pila.
Continuano i lavori di sbancamento del sotterraneo. Qualche giorno passa. La ditta finisce i lavori, l’operaio si ricorda dei fogli messi in un angolo e avvisa la signora Maria, custode delle chiavi della chiesa.
Un signore, un turista, con una macchina fotografica, parlando con la custode delle chiavi, chiede se può entrare per fare delle foto. La signora risponde che la chiesa è aperta a tutti. Il turista entra, fa tante foto, perde anche del tempo per cambi di obiettivo, la signora fa un tintinnio con le chiavi. Quello con l’aria da turista comprende che si è fatto tardi; si accinge a prendere il cavalletto e lentamente esce. Nel frattempo la signora, che con l’altra mano regge i fogli di carta, cercando di chiudere la pesante porta della chiesa, si rivolge al turista: «Se nel frattempo potesse prendere i fogli per avere la mano libera di inserire la chiave nella serratura». Operazione eseguita, tutto andato bene. Il turista con il cavalletto e con i fogli resta lì in attesa. La signora, sembra abbia fretta, dice al turista delle carte: «Visto che le ha già in mano, se le può pure tenere». E va frettolosamente via.
Il turista resta fermo, un po’ frastornato. Dopo qualche minuto va a deporre l’apparecchiatura e i fogli nell’auto parcheggiata dietro la chiesa. Con calma si siede su una panchina vicina, si asciuga il sudore, beve un po’ d’acqua da una bottiglia, contempla il panorama e l’ambiente intorno, osserva i pochi passanti.
L’uomo con la macchina fotografica non è un turista; ne ha solo l’aria straniera. È un cittadino di Itri, tornato in paese dopo quarantacinque anni di vita all’estero, in Francia. Era andato via prima di fare il militare ed è tornato dopo una vita di lavoro, quando ha ricevuto le prime rate della pensione. Alloggia nella vecchia casa che i genitori gli hanno lasciato alla loro morte, nel centro storico, nei dintorni del castello.
Torna a casa con la macchina fotografica, il cavalletto e quei fogli polverosi. Non vuole buttarli al primo cassonetto, è curioso. Nel pomeriggio impiega molto tempo a metterli in fila. Alcuni fogli hanno una numerazione, altri no. Ci vuole tanto, ma la curiosità è come un tarlo nel cervello. Quando ha la sensazione di essere riuscito a metterli in ordine, smette e inizia a leggere.
Dopo le prime pagine si rende conto di essere di fronte al racconto di una persona contemporanea ad alcuni avvenimenti. Anzi, leggendo con calma, comprende che il racconto è di qualcuno che ha partecipato a tanti degli avvenimenti narrati.
Dopo qualche giorno di dubbi, si convince che sarebbe opportuno trascrivere alcune pagine per renderle comprensibili. Da giovane il nostro apprendista turista aveva studiato latino e greco ed era appassionato di storia medioevale. Tornano in mente tutte le antiche letture.
I fogli sono parte di un piccolo volume stampato probabilmente alla fine del 1600. Il nostro apprendista turista trascrive, dalla seconda pagina:
In nome di nostro Signore Gesù, nel pieno delle facoltà mentali e corporali, Io (Jacobo) Giacomo…, racconto quanto di vero ho vissuto servendo il mio padrone Nicolò e suo figlio Onorato, signori Caetani, conti di Fondi…
Il nostro turista, ex emigrante, mette in ordine diverse pagine. Tante sono mancanti, il racconto è lacunoso. Non si perde d’animo e decide di integrare lui, di sua iniziativa, con nuove ricerche inerenti all’argomento storico. Il racconto, le vicende narrate da (Jacobo) Giacomo diventano parte integrante di uno spaccato di vita di un’epoca che ha avuto molta influenza sulla popolazione del territorio per tante generazioni.
I
De mense Octobri sorta fuit discordia inter Cayetanos et Itrenses…
Anno Domini 1338. In illo tempore…
Aria calda, portata dal libeccio, poggiava sulle colline. Gli alberi di ulivo promettevano di nuovo un buon raccolto. Le vigne avevano dato abbondante uva come le stagioni passate. I campi secchi, spogliati del grano, aspettavano la nuova semina. Le capre si muovevano all’abbaiare dei cani e ai fischi dei pastori. Era ottobre. La stagione calda aveva lasciato asciutti i solchi sulla terra screpolata. L’aria salmastra lasciava percepire la presenza del mare nelle vicinanze.
Passi pesanti e ritmati, voci concitate, nitriti di cavalli ruppero la quiete del mattino. Uomini ordinati in fila con armature lucide al sole, cavalieri con lunghe lance, muli carichi di attrezzature, carri pieni di balestre e corde, persone a piedi, coperte di stoffa dello stesso colore, con scudi e con elmi; altre persone in fila disordinata, sulle spalle archi e frecce, bastoni, travi, camminavano con passi veloci e ritmati in una lunga fila rumorosa e minacciosa. Da dove venivano? L’antica via selciata indicava la provenienza: Cayeta.
Gaeta
La città nacque con l’afflusso delle popolazioni che fuggivano dalle invasioni e dalle devastazioni barbariche. I bizantini ne fecero una base navale per il controllo della costa del mar Tirreno. Per un paio di secoli fu governata dai comandanti inviati da Costantinopoli, poi con la crescente debolezza dell’impero bizantino si rese autonoma, come le altre città della costa: Napoli, Amalfi, Salerno.
La città acquistò la sua completa indipendenza dopo l’anno 916, quando una grande coalizione di eserciti, voluta dal papa Giovanni X, sconfisse i Saraceni che si erano stanziati alla foce del fiume Garigliano. Il papa in ricompensa concesse i territori da Fondi al Garigliano a Giovanni I, figlio di Docibile, il quale prese il titolo di Duca di Gaeta.
Il ducato restò in vita per circa due secoli, nel corso dei quali la città ebbe un considerevole sviluppo economico attraverso i ricchi traffici marittimi. Venne coniata una propria moneta, il follaro. Le sue navi veleggiavano per tutto il Mediterraneo, la città intratteneva rapporti economici e politici con tutti i popoli che vivevano lungo le sponde del Mare Nostrum.
Essa difese la sua libertà durante tanti assedi. Politicamente gli amministratori furono abili nell’intrattenere rapporti in modo lodevole e a vantaggio della repubblica nelle controversie tra papato e i ducati longobardi. L’autonomia politica si tradusse in leggi e propri istituti giuridici e civici.
Fig. 1. Rappresentazione di Gaeta da una stampa del sec. XIV
Con la conquista normanna della città, avvenuta nell’anno 1140 a opera del re Ruggero II della dinastia degli Altavilla, Gaeta perse la sua autonomia. Tutto il territorio del suo ducato fu diviso in due: da una parte la città di Gaeta con il suo circondario e dall’altra il territorio da Fondi al Garigliano, che, amministrato da una famiglia normanna, divenne contea di Fondi. Il re fu benevolo nei confronti della cittadinanza di Gaeta e