Io resto
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Info su questo ebook
Francesca Maria Marrone vive da sempre nel rione Trastevere a Roma, dove è nata nel 1973. È sposata, ha tre figli e una cagnetta. Professoressa di Lettere nella scuola Media, insegna dal 1999. Tiene un laboratorio di teatro rivolto ai ragazzi, e per loro scrive dei copioni e ne cura la rappresentazione.
Io resto è il primo romanzo che ha portato a compimento. Ne ha in cantiere degli altri.
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Anteprima del libro
Io resto - Francesca Maria Marrone
Francesca Maria Marrone
Io resto
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-8144-6
I edizione luglio 2023
Finito di stampare nel mese di luglio 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Io resto
Nota dell’autore
Qualcuno potrebbe riconoscere i luoghi citati o addirittura rivedersi nei personaggi. Io resto è frutto della mia fantasia, ma complici sono state le mie assidue frequentazioni del Salento, la sua gente e le sue storie. Credetemi, non l’ho fatto apposta!
Alla mia famiglia
… perché è pieno di vita.
Jovanotti
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani)
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
1
Il richiamo delle cicale torna in sottofondo. All’orizzonte, macchie di ulivi oltre le terrazze circostanti, tra improbabili oggetti accumulati nelle case estive e gatti dal pelo consumato. Il sole potente, quasi a ricordare una dipendenza, e il vento. Tramontana forte, che gonfia il mare e gli dona sfumature d’oltreoceano, ventila le case, sbatte le porte, agita tende e vestiti, stesi ad asciugare.
Miriam se ne sta accoccolata sulla scala che collega il ballatoio, con doccia esterna e lavabo, all’enorme terrazza. Che posto bello dove trascorrere le sere d’estate, aveva pensato la prima volta in cui, nella sua memoria, si erano aperte le porte di quella casa. Senza dubbio la terrazza è il suo posto preferito, con quella vista a 360 gradi, alle spalle la campagna del brindisino, di fronte tetti e poggioli e oltre una sottile striscia di blu. Da lì le sembra che nulla di brutto possa mai accadere, si sente al sicuro, come sospesa sul mondo, più alta di tutto. La notte, in particolare, quando il buio inghiotte la casa e le stelle bucano il cielo e sembrano finirti sopra.
Piaceva tanto anche a lei, quella terrazza, alla nonna Antonia, la nonna materna. Era stata lei che da lì le aveva insegnato ad ascoltare il vento, perché lui, il vento, ci dice sempre qualcosa.
Antonia era stata una donna semplice, una lavoratrice che non aveva mai mollato la faticosa vita dei campi anche quando, rimasta vedova troppo presto, avrebbe potuto accettare un posto fisso allo stabilimento vinicolo Bertolli, dove aveva lavorato per anni il giovane marito. La signora Bertolli, la titolare, commossa dalla situazione di Antonia, con quattro ragazze da crescere, le aveva proposto quella sistemazione. Ma la nonna no. Non aveva accettato. Troppo orgogliosa per quell’invito, troppo ruvida per abbandonare la terra, la sua terra. Dove aveva provato la fatica, aveva capito il coraggio, aveva ascoltato la voce del vento e i respiri della natura. Lì era cresciuta e non avrebbe potuto mollare all’improvviso tutto per chiudersi in un’attività che non sentiva sua, sebbene sulle orme del suo sposo che era stato un caporale¹.
La casa al mare era un sogno che i nonni avevano coltivato da sempre e l’avevano realizzata insieme. Poi, con la morte improvvisa del nonno, l’interesse per quel posto, tra i campi e l’Adriatico, era venuto meno. Per tanti, troppi anni. Fino a quando Teresa aveva scelto di tornare definitivamente a casa. E lo aveva fatto proprio lì.
Teresa è la figlia più piccola di Antonia, la più selvaggia, la più indomita. Quella che porta le tracce del Sud scolpite sul viso e sul fisico, prorompente e mediterraneo. Capelli ricci e scuri, come le notti misteriose, occhi verde oliva come il frutto della terra salentina, gambe tornite e sode come tronchi di alberi secolari e il sorriso, aperto e fresco come una passata di tramontana che solleva tutto. Teresa è la sola figlia che non ha trovato la strada, che non ha capito l’amore, che ha fatto fatica ad entrare nelle linee del definito. Lei non si è accasata, a differenza delle sorelle. Non ha trovato qualcuno con cui edificare il domani. Non è riuscita a contenere il vento che aveva dentro e quel vento l’ha sempre fatta ballare. La sola creatura che l’ha messa sui binari è stata Miriam. Sua figlia.
Quando, ventitré anni prima, era rimasta incinta e il compagno non aveva voluto saperne di un bambino, troppo preso dai suoi viaggi per il mondo e dalle sue foto artistiche, Teresa aveva capito che doveva tornare. E il solo posto dove avrebbe voluto davvero fare ritorno era la casa al mare dei genitori. Lì da bambina era stata felice, perché aveva annusato il sapore della spensieratezza, prima della scomparsa del papà.
Aveva mollato l’appartamento di Testaccio, dove aveva una camera in affitto da quando si era spostata a Roma. Aveva mollato le serate con le amiche, sempre pronte e solidali, l’allegria di aperitivi nei locali trasteverini o le camminate al tramonto lungo il fiume. Aveva mollato soprattutto lui, Pierre, e il suo fascino che l’aveva fatta impazzire. Eppure, non è cosa per te
, le suggeriva complice Gloria, l’amica di Salerno con cui aveva diviso la casa. Una ragazza ben piazzata, dal cuore morbido come le sue forme, che da subito aveva fatto breccia in Teresa e le due donne, smarrite nel caos romano, si erano fatte forza a vicenda. Era nata una bella amicizia, sincera, cresciuta forse sulla paura della solitudine. Gloria era stata il distacco più doloroso per Teresa, insieme ai commoventi toni aranciati del crepuscolo romano.
E così, era tornata.
Si era presentata alla porta della sorella maggiore Rosanna, la sola con cui avesse mantenuto contatti costanti, quella che in fondo era la più libera e non l’aveva mai giudicata per le sue scelte non allineate. E Rosanna l’aveva accolta con un caldo abbraccio dei suoi e il solito profumo di cucina che la seguiva come un’ombra. Erano rimaste a chiacchierare nel piccolo orto della sorella. Era la primavera del ’96. Rosanna non aveva avuto figli dal suo matrimonio, ma lo stesso sapeva ascoltare, come una mamma. Il marito, un uomo buono e taciturno, si era rintanato in casa a seguire una delle sue soap preferite. E le sorelle avevano potuto riallacciare i fili, mai spezzati, di un legame viscerale. Si erano raccontate, come non accadeva da anni. Intorno