Le giravolte
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Anteprima del libro
Le giravolte - Lorenzo Antonazzo
Lorenzo Antonazzo - Le giravolte
Musicaos Editore
Lorenzo Antonazzo, Le giravolte
Musicaos Editore, 2022
Agosto 2022, Narrativa, 35
Via Arc. Roberto Napoli, 82 | 73040 Neviano (Le)
Tel. 0836618232 | info@musicaos.it | www.musicaos.org
I personaggi e i fatti descritti nel romanzo sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi riferimento ad avvenimenti e a persone reali è puramente casuale.
Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta su alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’editore.
Progetto grafico Bookground
Fotografia Tara Winstead
Isbn 979-12-80202-475
Lorenzo Antonazzo - Le giravolte
Musicaos Editore
Le giravolte
A te, papà
Sullo schermo compare l’immagine un po’ mossa di un anziano alla guida. «Gira e bota, così è la vita» dice ridendo. «Osce nci sinti e crai nu ci sinti cchiui.» Dal sedile del passeggero, Angela riprende il nonno mentre il paesaggio scorre veloce fuori dal finestrino. Gli alberi sfrecciano ai lati dell’autostrada, per un istante l’obiettivo cattura una donna in bikini su una sedia di plastica. Il luccichio del mare tra gli scogli invade l’inquadratura. Il rumore della risacca è presto coperto da quello della scopa di saggina impugnata dal nonno, che spazza le foglie dal cortile di una villetta. I passi di Angela scricchiolano su un manto di aghi di pino in un frastuono di cicale. L’occhio della videocamera si solleva a cercare l’azzurro tra i rami, che vanno fuori fuoco. Stacco. Campo lungo sugli ulivi intorno alla villa. Zoom insistito sul verde e l’argento delle foglie finché l’immagine non si sgrana. Il movimento inverso mostra il moncone dei tronchi, sullo sfondo una sdraio ora esposta a una luce feroce. Silenzio. Tutto ciò che si sente è il motore sommesso dell’auto, che Angela guida in solitudine verso la città.
Schioccano fra gli alberi
le pigne e le cicale,
da un altro mare
il sole giunge
a soddisfare
la sua sete di sale.
E quando lento
si inabissa
tanto da fartelo sembrare
un pesce o una creatura
che il cielo solcando
altre acque
intendesse navigare,
ti accorgi come invece
pian piano pare che si disfi,
come guscio che si schiuda
e del suo umore
(di squame brillanti, di perle, di raso)
tinga le onde e l’occaso.
Così un ideale infranto
i cocci soltanto
alla risacca
può abbandonare:
così sprigionato
il suo liquido cuore intanto
nuovi orizzonti
riesce ad abbracciare.
Non è una novità per lui risvegliarsi sul divano a notte fonda con indosso soltanto l’alone dello schermo e un paio di pantaloncini. Stavolta, però, a proiettare su Benny la propria luce azzurrina non sono i titoli di coda dell’ennesimo film in seconda serata di cui ha perso il finale, bensì un altro oracolo rettangolare, nella cui stretta fessura, per ottenere un responso, occorre inserire una parte di sé. Basta un semplice input, un dato con cui nutrire l’invisibile mostro onnipresente, e persino questo vecchio portatile scassato, la cui batteria dura ormai un battito di ciglia, può fungere da novella bocca della verità, qualunque sia la verità che stiamo cercando.
È un nome quello che Benny ha affidato alle vestali di Google non molto prima di assopirsi in vicoli di indecisione e rimpianti. E il nome è tornato indietro subito, in meno di un secondo, rifratto in tanti volti diversi, ciascuno associato a un grappolo di informazioni.
Fra tutte le Valentina De Luca
evocate, ben poche sono di Lecce e fra queste una è un’attempata sindacalista. Quanto alle altre, ci sono delle foto che potrebbero dirimere la questione, ma nessuna la ritrae. Non scherziamo, Benny sente il bisogno di riconoscere lei, non certo la sua faccia. È per questo che si blocca quando fra i risultati della ricerca scova un profilo con l’immagine di un cagnolino nero che gongola sul bagnasciuga. Ravviva allora il mozzicone di sigaro e fissa lo schermo, tornando con i pensieri a stagioni ingenue e a corse sotto la pioggia…
Si sveglia con la gola riarsa e butta giù lunghe sorsate dalla bottiglia d’acqua fresca che scrocchia accanto al divano. È ancora sulla soglia di quel luogo terribile sul cui ingresso campeggia la scritta Facebook è gratis e lo sarà sempre
. L’oracolo dà, l’oracolo toglie. Il mostro è sempre affamato.
Fanculo.
Non ti muovi - non mi muovo
che a esser nati senza spina
basta una bava di ragno
a tenerti ritto,
sospeso.
Non ci tengo a disfare la tela,
per me scelgo
l’immobilità.
Il mio affanno è un lieve sospiro
di sera.
C’è un momento imprecisato, verso la fine dell’adolescenza di Gianluca, in cui lui è disteso sul divano a guardare la tv mentre il padre è seduto al tavolo accanto, a sfogliare un giornale o a riempire un cruciverba. Tacciono entrambi. Ma poi il padre solleva lo sguardo, prende fiato come per dire qualcosa e all’istante Gianluca si allerta, la testa già piena di un sibilare di scimitarre. Il padre desiste, Gianluca tira un sospiro di sollievo.
Non sa dire da quando il dialogo fra loro sia diventato spinoso, di sicuro entrambi lo rifuggono. L’uno taglia corto e annuisce in fretta ogni volta che il figlio si arma di pazienza per provare a spiegare, pur con mille rigidità, qualcosa di sé; nelle occasioni in cui è invece il padre a prendere l’iniziativa, l’altro se ne tira fuori con estrema solerzia, salvo pentirsene fuori tempo massimo, e allunga le distanze.
Questa volta, spera che un migliaio di chilometri possa bastare.
Piomba in mezzo allo scirocco con maggio agli sgoccioli. Un’afa estiva gli incolla addosso la polo mentre si accoda al gruppo di turisti che la guida sta conducendo per il centro storico di Lecce. Segue la storia dell’anfiteatro romano, ma la sua visione periferica non può fare a meno di indugiare sui passanti incuranti della luce sfolgorante che invade la piazza. Anche così lontano da casa, ogni volto gliene ricorda uno familiare, che si tratti delle ragazze sedute a fumare ai tavolini di un bar o dell’uomo in giacca e cravatta che cammina sul basolato come un’apparizione ultramondana, senza versare neanche una goccia di sudore.
Non si è ancora abituato all’assenza delle montagne, ora che si è sottratto all’incombenza del loro abbraccio percepisce tutto il peso di un cielo sconfinato, come il mare per chi non sa nuotare. L’orizzonte è così vasto da farlo sentire libero e sperduto insieme. Vaga con lo sguardo alla ricerca di un’oasi su cui posare gli occhi, cerca le altezze, il campanile, e si ritrova infine a fissare la cima della colonna su cui poggia la statua del santo patrono. I suoi occhi sfidano il bagliore finché possono, però ben presto lacrimano con quel nome che rimbomba nella sua memoria.
Affretta il passo per riunirsi al gruppetto, bloccato poco più avanti su indicazione della guida. Si preparino a posare gli occhi sull’incredibile, sta dicendo, dietro l’angolo li attende la meraviglia della basilica scolpita nella pietra e nel sole. L’apice del barocco leccese, continua, la celebrazione di una storia e di una fede. Solo quando la facciata di Santa Croce si spalanca alla vista in tutta la sua magnificenza, Gianluca comprende l’entusiasmo della guida e si sofferma a lungo sui ricami nella roccia, su quello splendido accanirsi di forme che gli pare una rivolta contro il cielo.
Intento a sfuggire l’ansia
di una parete troppo buia e vuota
scovò il bagliore
del sud il primo uomo
e gli insegnò a danzare le mani
come i piedi sulla sabbia che scotta.
E trasse per lui dalla grotta
un cuore di pietra,
superficie calda vibrante porosa
che il vento