Il Mistero della Cassa Mongola
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Storia appartenente al genere di giallo deduttivo. Il giallo deduttivo, definito anche giallo classico, giallo ad enigma o più raramente whodunit, contrazione dell'inglese Who has done it? (Chi l'ha fatto?), rappresenta il tipo più tradizionale del giallo: un investigatore scopre l'autore di un delitto in base a indizi più o meno nascosti e fuorvianti, generalmente all'interno di una ristretta cerchia di personaggi.
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Il Mistero della Cassa Mongola - Tommaso Appletoni
Il Mistero della Cassa Mongola
Tommaso Appletoni
I Capolavori dei Romanzi Polizieschi
img1.pngEdizione 2024
Indice
Indice
Introduzione
Protagonisti della Storia
Il Mistero della Cassa Mongola
1 – Inizio
2 – Alla dogana
3 – Interrogativi
4 – Il signor Vidocq
5 – All’obitorio
6 – Iniziali
7 – Madame Raquin
8 – Riflessioni
9 – La dottoressa Pitagora
10 – La lettera
11 – In Sardegna
12 – Porto Torres
13 – La Signora Goldoni
14 – Santa Teresa di Gallura
15 – La Testa del Saraceno
16 – Il ponce alla livornese
17 – L’ etichetta
18 – Il racconto di Paola Pitagora
19 – Mancina?
20 – Ancora iniziali
21 – I libri
22 – Il signor Monaldi
23 – Valeria
24 – La signora Orsomando
25 – Innocente?
26 – Dubbi
27 – La vecchia bicicletta
28 – Ricostruzione del delitto
29 – La confessione
30 – Conclusione
Catalogo Apple Books
Collana Le Nuove Avventure del Commissario Carlo De Vincenzi
I Capolavori dei Romanzi Polizieschi
Cinema
Collana Film Gotico Italiano
Collana Donne Fatali
Collana Romanzi e Racconti Sentimentali
Collana Romanzi e Racconti Erotici
Collana Universi Inesplorati: Fantascienza e Fantasy
Collana Sherlock Holmes e i suoi epigoni
Le Avventure di John Sherlock Holmes, il Figlio di Sherlock Holmes
Mycroft Holmes, il Fratello di Sherlock Holmes
Il Diario di Yana Nikolaevna Figner - La Compagna di Sherlock Holmes
Il giovane Sherlock Holmes
Sheila Holmes, pronipote di Sherlock Holmes
Le Indagini Segrete di Gabriele D'Annunzio
Introduzione
img2.pngAlla Salle des Douanes di Ajaccio, durante un controllo dei bagagli, in una cassa mongola viene ritrovato il corpo di una vecchia signora vestita di nero. Per Sproni, agente dell’Ufficio di Polizia Privata Scerbanenco, inizia una indagine serrata e affascinante che si svolgerà tra la Corsica e la Sardegna e che, con l’aiuto della Polizia Francese, sarà portata a termine brillantemente.
Storia appartenente al genere di giallo deduttivo. Il giallo deduttivo, definito anche giallo classico, giallo ad enigma o più raramente whodunit, contrazione dell'inglese Who has done it? (Chi l'ha fatto?), rappresenta il tipo più tradizionale del giallo: un investigatore scopre l'autore di un delitto in base a indizi più o meno nascosti e fuorvianti, generalmente all'interno di una ristretta cerchia di personaggi.
Protagonisti della Storia
La signora Monaldi
Osvaldo Monaldi
suo figlio
Valeria Pitagora
fidanzata di Osvaldo
Paola Pitagora
sorella di Valeria
Caterina Roani
zia delle sorelle Pitagora
Jean-David Vidocq
poliziotto francese
Pierre Vidocq
fratello di Jean-David Vidocq
Signor Sproni
agente dell’Ufficio di Polizia Privata Scerbanenco
Il Mistero della Cassa Mongola
img3.png1 – Inizio
Se prendo la penna oggi per scrivere un resoconto di quello che è noto alla Polizia Italiana, e nel mondo giornalistico, come l’Enigma della Cassa Mongola è perché, dopo matura riflessione, mi sembra che nessuno abbia, più di me, gli elementi per narrare questa vicenda bizzarra.
Non alludo assolutamente al punto di vista letterario. Non ho mai posseduto capacità letterarie e non aspiro di divenire uno scrittore. La letteratura non ha nulla di comune con la vita che ho condotta in questi ultimi trent’anni, cosicché è giusto avverta il lettore, sin dalla prima pagina, che sarebbe vano cercare finezze stilistiche in questo mio crudo resoconto.
Il mio libro non avrà valore artistico. È soltanto la storia di un misfatto abilmente perpetrato e, a detta di qualche esperto, abilmente svelato.
Dieci anni fa fui, per diciotto mesi circa, alle dipendenze di un ufficio di polizia privata. Lasciamo perdere le circostanze che mi condussero ad assumere quella occupazione. Avevo fatto parecchie cose prima di allora e ne ho fatte molte altre dopo di allora. Comunque a quel tempo ero un investigatore privato. Avevo circa quarant’anni... poco di più. Mi ero dedicato a quella attività spinto da circostanze avverse, poiché essa mi offriva la possibilità di guadagnare onestamente qualche soldo in un momento in cui ne avevo urgente bisogno. Sono lieto di poter dire che i miei soldi sono sempre stati guadagnati onestamente, per quanto io li abbia attinti dalle più svariate casse.
«Qualche soldo»!
Sa il cielo che non lo dico in senso figurato. In tutte le mie peregrinazioni mi è capitato ben di rado l’occasione di guadagnare invece qualche lira.
Dicevo dunque che dieci anni fa lavoravo come investigatore privato. Era un lavoro che mi piaceva e credo che mi si adattasse. Peccato che abbia dovuto abbandonarlo prima ancora di conoscerlo a fondo.
Tuttavia anche durante quel breve periodo il caso volle che io mi trovassi fra le mani una faccenda di notevole importanza che mi fu dato di seguire sino alla conclusione.
Appunto di quella faccenda desidero scrivere un resoconto. Nessuno all’infuori di me è a conoscenza di tutti i particolari. Il caso non arrivò mai in tribunale e i giornali non furono mai in grado di dare completi resoconti. I fatti non furono comunicati a uno a uno agli avidi cronisti, come sarebbe avvenuto se le indagini fossero state nelle mani della Polizia Italiana fino in fondo.
Racconterò dunque ciò che so dell’enigma della Cassa Mongola. Sono passati parecchi anni dacché il delitto è stato commesso e le persone coinvolte nella tragedia, per amor delle quali ho mantenuto il silenzio sin qui, sono morte o scomparse.
Io stesso sono un uomo finito innanzi tempo, finito dalle delusioni... un uomo che il mondo ha trattato male e la cui vita è stata un insuccesso. Mi piace rievocare quell’episodio della mia vita e mi piace parlare dei tempi andati, perciò ho deciso di raccontare al mondo la mia storia.
Una cosa ancora. Non ha nulla a che fare con la storia, ma può avere attinenza con il mio modo di raccontarla. Sono sempre stato una persona onesta e credo che tale qualità mi sia rimasta anche se oggi ho qualche toppa nei pantaloni.
2 – Alla dogana
Il treno che portava i passeggeri provenienti da Cagliari, via Bonifacio, ad Ajaccio, era appena arrivato. Credo che fossero le sei e mezzo dì sera pressappoco e i viaggiatori si aggiravano alla ricerca dei loro bagagli nella grande sala dal banco a ferro di cavallo, dove la consueta verifica ha luogo. Dovrei forse dire aveva luogo ma immagino che questa formalità sia rimasta inalterata.
Ero arrivato anch’io con quel treno e siccome non avevo spedito alcun bagaglio e la mia valigetta era stata aperta a Bonifacio, allo sbarco del battello ero libero d’andarmene in pace per i fatti miei. Ciò nonostante andai a gironzare nella tetra e movimentata Salle des Douanes poiché dovevo tenere d’occhio certe persone che pedinavo per conto dell’ufficio.
Ero di scorta a una sbarazzina coppia d’innamorati i quali innocentemente credevano di essersela svignata facendola in barba ai rispettivi genitori. Il giovane era un bel ragazzo, con un simpatico sorriso e lucidi denti bianchi. Aveva anche spalle da far invidia a un atleta e una innata cordialità. La ragazza aveva il fascino dell’innocenza. Il suo volto liscio, senza il minimo trucco, aveva spesso un accenno di rossore. In quel momento i suoi occhi di giada si socchiudevano appena e un’ombra di sorriso le scendeva sugli angoli della bocca infantile, poi, come a volersi scuotere di dosso la sua timidezza, dava una piccola scrollata ai suoi capelli raccolti sulla nuca in grosso fiocco riccioluto. Era alta quasi quanto il suo innamorato, le spalle aperte, la vita sottile, le gambe lunghe. Una donna in fiore.
Erano innocui e si volevano un bene dell’anima, quei due giovani, e non sospettavano affatto di essere vigilati. Non c’era pericolo che mi dessero del filo da torcere e potevo permettermi il lusso di guardarmi attorno quanto mi pareva.
Vidi il giovanotto che s’affaccendava ad aprire la valigia della ragazza, perché i doganieri la potessero esaminare, e mi allontanai passando dall’uno all’altro dei gruppetti di persone impazienti e irritate, in cerca di qualcosa che potesse interessarmi.
Di lì a poco la mia attenzione fu attratta da una vecchia signora e da suo figlio che stavano davanti a una montagna di bagagli non ancora aperti. Come ricordo quella prima volta che li vidi là! In quel momento non immaginavo certo... ma questa è un’espressione che sto prendendo a prestito da qualche romanzo che ho letto, e io mi sono giurato di evitare ogni pretesa stilistica. Infatti a che serve mettersi al volante di una macchina ben sapendo che non la si sa guidare?
In ogni modo è vero che quelle due persone dovevano recitare una parte importante, se non la principale, nella tragedia di cui quello era, almeno per me, il primo quadro.
Una delle due era anziana, come ho detto. Dimostrava almeno cinquant’anni, era grassa, bionda, aveva il volto un po’ congestionato, i modi impazienti e la voce sonora.
Evidentemente le formalità doganali la infastidivano, come del resto infastidiscono molte persone. Si lamentava con il figlio, brontolava con la cameriera e apostrofava con una cert’aria comica i funzionari dalla giacca verdognola. Il figlio, un ragazzo alto, slanciato che colpiva per la maschera interessante e per l’ardore degli occhi neri, sembrava disapprovare molto il contegno movimentato e rumoroso della madre.
— Calmati, mamma! — lo udii sussurrare varie volte. — Verrà anche il nostro turno. Non ci saranno complicazioni, sta tranquilla.
— Oh, Osvaldo, spero proprio che non si mettano in mente di aprire quella tua cassa mongola! — ribattè la signora sempre sovreccitata.
— Se m’interrogheranno, dirò che contiene del materiale fotografico, ecco tutto — soggiunse il figlio con indifferenza.
Mentre parlava, un funzionario che da qualche minuto stava là impalato, vicino al banco, mostrando una superba indifferenza per le suppliche rivoltegli da ogni parte, si degnò rivolgersi pigramente ai due e fu subito accaparrato dai facchini in casacca blu che avevano trasportato sin là il copioso bagaglio dei viaggiatori italiani.
— Avete nulla da dichiarare? — domandò il funzionario in francese.
La vecchia signora aveva spalancata la valigetta e si affrettò a rispondere in italiano.
— Oh, no, cioè ben poca roba. C’è questa acqua di colonia... è stata solo stappata... e qui c’è una bottiglietta di cognac italiano. Non c’è altro.
Il funzionario... ricordo che era un francese dalla faccia giallastra e burbera e dai baffetti ispidi... ascoltò attentamente. Con aria sprezzante girò lo sguardo sulla massa di valige di varie dimensioni, poi additò un grosso baule con le finiture in ottone.
— Apritemi questo, — disse.
Guardò un po’ più oltre poi soggiunse:
— E questa!
Così dicendo aveva posato la mano su una stupenda cassa mongola.
— Oh, quella no, monsieur — esclamò la vecchia signora tutta agitata. — È troppo difficile sciogliere le legature. Abbiamo dovuto chiuderla con le corde in quel modo perché la serratura non tiene abbastanza.
Il funzionario della dogana non rispose. Uno dei facchini diede l’assalto al nodo della fune in cima alla cassa mongola. C’era una legatura in croce. Mi accadde di notare il nodo mentre il facchino tentava di scioglierlo. Me ne intendo di nodi, poiché fra le tante altre cose ho navigato.
Il giovane si protese in avanti al disopra del banco. Con voce calma, in un francese abbastanza corretto disse:
— Vi saremmo molto grati se piuttosto ci faceste aprire qualche altro collo. Questo è complicato da aprire.
Il funzionario fece un inchino.
— Sono desolato, monsieur — disse — ma ormai ho deciso di esaminare questa cassa mongola. Niente da fare.
In attesa che il collo venisse aperto si spostò verso un altro gruppo di viaggiatori.
Il giovane si raddrizzò con aria seccata e offesa. Si volse verso sua madre e con un’asprezza che mi parve eccessiva scattò:
— Te l’avevo detto io! Ma tu hai voluto a tutti i costi far mettere quella corda. Non c’è di peggio per destare dei sospetti.
— Ma non è colpa mia! — protestò la madre. — Sai benissimo chi ci ha consigliato di legare la cassa!
Ormai la vecchia signora pareva rassegnata. Si dava dattorno per evitare nel limite del possibile che il facchino cacciasse le dita sporche tra la biancheria candida di cui era pieno il primo baule e si affaccendava a ordinare che richiamassero immediatamente quel signore della dogana.
La scenetta mi divertiva. I miei colombi erano ancora occupatissimi col loro bagaglio nuovo di trinca e in ogni modo avrebbero dovuto passarmi accanto per uscire.
Tornai ad osservare la madre e il figlio, accanto ai quali mi ero piazzato. Il funzionario dalla faccia gialla era ritornato. Aveva messo un po’ a soqquadro gli indumenti del primo baule e aveva ordinato che lo richiudessero, con uno splendido gesto di clemenza. Si era poi avvicinato alla cassa mongola. La corda era stata sciolta.
— Le chiavi, — disse il facchino. — Datemi le chiavi.
Il giovane ne tolse una da un anello. Era una comune chiave d’ottone.
— Eccola, — disse.
Il facchino l’introdusse nella serratura e tentò di girarla. Non funzionava.
— Non è questa, — disse.
Il funzionario intervenne e tentò a sua volta di girare la chiave nella serratura, ma invano. La tirò fuori tutta contorta e si dispose a provare un’altra chiave del mazzo. Ma il giovane lo fermò con un moto d’impazienza.
— La chiave è quella! — dichiarò. — È inutile che tentiate con le altre. Finirete per rompere la serratura.
Provarono ancora, invano.
— Dovete aver sbagliato chiave,