Patristica
Con dottrina patristica (dal latino pater, patris, "padre") si intende la filosofia cristiana dei primi secoli, elaborata dai Padri della Chiesa e dagli scrittori ecclesiastici. Dopo il periodo dell'apologetica, che aveva visto gli scrittori cristiani impegnati nella difesa della loro religione dalle tesi morali e filosofiche ad essa contrarie, si giunge alla concessione ai cristiani della libertà di culto con l'editto di Milano (313): non è più necessario difendere la dottrina cristiana. Gli scrittori cristiani hanno così la possibilità di impegnarsi nell'evangelizzazione della religione e nell'indagine dei testi sacri (esegesi).
Costoro si rendono tuttavia consapevoli della sopravvivenza dei modelli ereditati dalla cultura pagana: si sentono perciò in dovere di fare i conti con il fascino che la filosofia, la retorica e la letteratura antiche continuano ad esercitare. Da qui la ricerca di un possibile dialogo (spesso sull'esempio di Origene): da un lato si cerca di interpretare il cristianesimo mediante concetti ripresi dalla filosofia greca, dall'altro si riconduce il significato di questa alla nuova religione.
Caratteri generali
Definizione
La Patristica, cioè il pensiero degli antichi padri della Chiesa, rappresentò il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui costoro cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca, in particolare di quella stoica e neoplatonica: logos significava la ragione e il fondamento universale del mondo,[N 1] in virtù del quale la realtà terrena veniva ricondotta ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere. Soprattutto in Plotino, l'ultimo dei grandi filosofi greci, si avvertiva il tema della trascendenza dell'Idea platonica, da lui concepita come la forza spirituale che plasma gli organismi viventi secondo un progetto prestabilito.
Periodizzazione
La patristica si divide generalmente in tre periodi:
- fino al 200 è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari (padri Apologisti, il più noto è Giustino Martire);
- fino al 450 è il periodo in cui sorgono invece i primi grandi sistemi di filosofia cristiana (Clemente Alessandrino, Origene, Eusebio di Cesarea, sant'Agostino);
- fino all'VIII secolo è rielaborazione delle dottrine già formulate e di formulazioni originali (Boezio).
La patristica maggiore orientale svolse un lavoro di esegesi scritturale secondo due direttive:[1]
- la scuola di Antiochia, fondata da Luciano di Antiochia, che ricerca prevalentemente il senso letterale e storico dei Testi sacri;
- la scuola di Alessandria (diretta da Panteno, Clemente Alessandrino, Origene), che predilige il metodo allegorico e tende a costruire una visione sistematica del cristianesimo per mezzo di dottrine filosofiche greche, specialmente platoniche e neoplatoniche. Il Didaskaleion (Scuola catechetica di Alessandria) fu una vera università cristiana.
La patristica maggiore occidentale è rappresentata da quattro Padri: sant'Ambrogio, san Girolamo e sant'Agostino, vissuti fra IV e V secolo, e san Gregorio Magno, vissuto fra VI e VII secolo.
patristica greca e patristica latina
La patristica minore è costituita dagli apologisti, difensori della fede cristiana contro ebrei, pagani ed eretici. Si può dividere in due gruppi:
- gli apologisti greci (Aristide, Taziano il Siro, Atenagora di Atene, Giustino), che considerano la filosofia greca come una preparazione della Rivelazione cristiana;
- gli apologisti latini (Minucio Felice, Arnobio, Lattanzio, Tertulliano), che non ammettono continuità e conciliabilità fra speculazione greca e cristianesimo.
La prima patristica dei Padri apologisti (fino alla fine del III secolo circa)
Gli scritti dei primi autori cristiani, detti padri apostolici, si concentrarono soprattutto su temi pastorali e pratici, come indicazioni liturgiche e comportamentali indirizzate verso le prime comunità. Con la diffusione del cristianesimo la nuova fede si trovò a dover far fronte soprattutto a due grandi ostacoli. Il primo riguardava persecuzioni di cui erano vittime: per i romani le vicissitudini dello Stato e la volontà degli dei erano inseparabili e da essi dipendeva la sorte dell'impero.[2] Appare chiaro che la presenza delle comunità cristiane che si sottraevano ai tradizionali e obbligatori rituali era per molti vista come una minaccia alla Pax deorum, la situazione di concordia tra divinità e cittadini su cui si basavano le fortune della loro civiltà.[3] I cristiani erano accusati di attentare al mos maiorum e, spesso calunniati (misantropia, incesto, antropofagia erano alcune delle accuse più frequenti), venivano utilizzati come capro espiatorio per gli eventi nefasti.[4]
Il secondo ostacolo fu dovuto dalla proliferazione di deviazioni dottrinali, che arrivarono all'eresia, conseguenti sia al fatto che non vi fosse ancora una ortodossia ancora chiaramente definita e sia all'esistenza di una moltitudine di comunità sparse su un vasto territorio, ognuna delle quali sostanzialmente autonoma dalle altre, con scarsi contatti tra di esse.
In questo contesto, intorno agli inizi del II secolo, iniziò l'attività dei cosiddetti padri apologeti[N 2] cristiani. Grazie alla loro intensa produzione letteraria, essi svolsero un ruolo fondamentale nel difendere la propria fede dalle accuse, sia interne che esterne alle comunità, e per consolidare la dottrina cristiana dai fraintendimenti e dalla deviazioni. Grazie ad argomentazioni filosofiche, le cui basi spesso poggiavano sulla filosofia greca, essi riuscirono a formare una base intellettuale che poi si rivelò fondamentale per lo sviluppo di una teologia cristiana necessaria affinché la nuova fede potesse sopravvivere e prosperare in un ambiente certamente ostile. Con i loro scritti, non solo cercarono di dare risposta a tutte le incriminazioni, ma tentarono di «accreditare il cristianesimo come vero garante religioso dell'impero» al posto delle antiche tradizioni pagane.[5][6][7]
L'apologetica cristiana ebbe inizio nel mondo greco romano e ellenistico dove la lingua greca e la filosofia greca erano dominanti. Questo sia perché il cristianesimo dei primi decenni si era diffuso principalmente in queste aree sia perché queste vantavano già una lunga tradizione di pensiero filosofico che servì da solido substrato per lo sviluppo del primo pensiero cristiano.
Apologeti greci
Della vita e delle opere dei primissimi padri apologeti greci conosciamo solo poche notizie tramandateci principalmente da Eusebio di Cesarea attraverso la sua Storia Ecclesiastica. Tradizionalmente il primo autore cristiano ad affrontare anche temi filosofici è identificato nel vescovo greco antico Quadrato di Atene, attivo agli inizi del II secolo, che scrisse un'apologia indirizzata all'imperatore Adriano per difendere la propria fede dagli attacchi e dalle persecuzioni di cui era oggetto in quel tempo. In quest'opera, scritta intorno all'anno 124-125 e di cui conosciamo solo qualche frammento, Quadrato affermò che i miracoli di Gesù fossero veri e che i loro effetti durassero anche dopo il suo abbandono della Terra.[8][9][10] Aristone di Pella fu l'autore del Dialogo di Giasone e Papisco, il primo libro cristiano scritto in forma di dialogo il cui testo è oggi andato perduto ma che al tempo era molto diffuso tra le comunità cristiane sue contemporanee.[11] Sempre Eusebio di Cesarea racconta di Apollinare di Ierapoli, autore di molte opere, tutte andate perdute, tra cui un'apologia per Marco Aurelio e alcune critiche verso pagani, ebrei e Greci.[12] Melitone di Sardi scrisse una difesa del cristianesimo per Marco Aurelio esortandolo a metter fine alle persecuzioni. In altre opere trattò diversi temi che possiamo desumere dai titoli riportato da Eusebio, come la collocazione nel calendario della Pasqua, il battesimo e l'incarnazione di Cristo.[13]
Il più antico testo apologeta che possediamo per interno, ritrovato nel 1878, è invece quello di Aristide Marciano, un filosofo cristiano vissuto ad Atene attorno al 140, indirizzato all'imperatore Antonino Pio. Nella sua Apologia, Aristide ricorre spesso ad argomentazioni filosofiche per delineare e sostenere una visione cristiana dell'universo concentrata sull'idea di un unico Dio creatore e regolatore del tutto. Utilizzando concetti platonici, inoltre, attribuisce a Dio le caratteristiche di immobilità, incomprensibilità e innominabilità. Per Aristide, solo questa visione è compatibile con la natura e quindi conclude che soltanto il cristianesimo sia la vera religione e filosofia.[9][10]
Giustino (100-163/167) è considerato il primo grande esponente della patristica; nato a Nablus in una famiglia paganesimo, studiò filosofia per poi convertirsi al cristianesimo, religione che difenderà e insegnerà per il resto della vita fino a subire il martirio a Roma durante la persecuzione sotto Marzo Aurelio. Tra il 150 e il 155 scrisse un'apologia della religione cristiana indirizzata ad Antonino Pio a cui seguì una seconda, pensata come un'appendice alla prima, in occasione della condanna di tre fedeli. Nel suo Dialogo con Trifone, opera dedicata a un certo Marco Pompeo, raccontò la sua evoluzione religiosa evidenziando i motivi per cui un pagano potesse convertirsi al cristianesimo che lui considerava «la sola filosofia sicura e utile».[10][14] Per Giustino già i più grandi filosofi greci, come Eraclito, Socrate e Platone, potevano essere considerati autori pre-crisitani ispirati da Cristo e precursori del cristianesimo benché non avessero potuto conoscere il ministero di Gesù in quanto la rivelazione di Cristo si a «il punto culminante di una rivelazione antica come il genere umano».[15] A suo avviso, la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo.[16] Giustino, inoltre, pone una grande importanza nel concetto di libero arbitrio ma parlò anche, sebbene non poco e vagamente, anche del peccato originale.[17]
Allievo di Giustino, Taziano il Siro, fu fortemente influenzato dal maestro ma giunse poi anche a conclusioni originali e perfino opposte. Come Giustino, inizialmente studiò la filosofia greca ma, una volta convertitosi al cristianesimo, arrivò a rinnegarla fino a disprezzarla diversamente dal maestro che continuò a sostenerla; dal 172 circa passò alla gnosi di Valentino per poi aderire alla estrema setta degli Encratiti.[18] Due sole delle sue molte opere sono giunte fino a noi, la più importante è quella conosciuta come Oratio adversus Graecos. Nella prima parte di questa, Taziano dimostra la superiorità della fede cristiana sulla filosofia greca che critica fortemente accusandola contraddittorietà e di non essersi sufficientemente contrapposta all'immoralità e all'assurdità della mitologia greca. Nella seconda parte, invece, argomenta l'antichità della religione cristiana che considera più antica della civiltà greca.[19] Nell'altra sua opera sopravvissuta, Diatessaron, Taziano cercò di combinare insieme i quattro Vangeli canonici in un'unica narrazione. Dai suoi scritti emerge un Dio di puro spirito, unico, invisibile e fautore di tutto, la cui conoscenza per gli uomini è data solamente attraverso le sue opere e il creato; un Dio che non ha causa ma che è causa di tutto.[20] Riguardo alla creazione, Dio avrebbe proferito il Verbo, senza separasi da Lui, e a sua volta il Verbo avrebbe prodotto la materia. Taziano affermava, inoltre, che le prime proiezioni del Verbo furono gli angeli che, essendo essi "proiezioni", non sono perfetti, ma lo realizzano per volontà. Con la ribellione del primo degli angeli alla volontà di Dio, ne conseguì necessariamente che una parte del creato venisse esclusa dal rapporto col Verbo, e anche gli uomini, che seguirono questi angeli ribelli diventarono mortali.
Atenagora di Atene fu l'autore di un Supplica in favore dei Cristiani, un testo apologetico in cui l'autore ribatte puntualmente alle tre accuse mosse ai correligionari, ovvero: ateismo (la mancanza di fede nelle divinità pagane), incesto (per il fatto che predicassero l'amore fraterno) e cannibalismo per via del rito eucaristico. Inoltre argomentò che i cristiani non fossero cittadini di un impero di questo mondo ma bensì fossero soggetti a un Dio che non era l'imperatore.[21] Inoltre, affermò che i filosofi greci, come Aristotele e gli stoici, fossero in realtà monoteisti e che quindi la fede in un unico Dio professata dai cristiani non fosse da considerare come un'innovazione criminale.[22] Nell'opera Sulla resurrezione dei morti, a lui attribuita ma con molti dubbi, tentò di dimostrare la possibilità della risurrezione dei corpi: per Antenagora «l'uomo è stato creato per contemplare l'opera di Dio e quindi la risurrezione garantisce la sua perpetuà». Inoltre, se Dio ha creato l'uomo come anima e corpo vorrà dire che entrambi seguiranno lo stesso destino e se con il giudizio universale ad ogni uomo riceverà un premio o un castigo, questo non potrà essere attribuito all'anima e quindi è necessario che anche il corpo resusciti.[23]
Diversamente dai suoi predecessori, il lavoro dell'apologeta greco Ireneo di Lione non fu incentrato sulla difesa del cristianesimo dalle accuse bensì dalle numerose eresie e deviazioni che proliferavano a quel tempo intaccando l'unità della dottrina. Nella sua celebre Adversus Haereses, Ireneo condannò in particolare lo gnosticismo e contribuì all'emergere dell'idea di un'unica Chiesa, definita successivamente «grandissima e antichissima e a tutti nota, fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo»,[24][25] per distinguerla dai gruppi marginali d'ispirazione cristiana che avevano elaborato dottrine proprie e non accettate dalla maggioranza.[26] Ireneo è pertanto considerato come colui che ha definito i punti fondamentali della dottrina cristiana a elaborandone una sintesi globlae.[27] Da lui «nacque una serie di scrittori che cercarono di restituire purezza primitiva a certi concetti di importanza fondamentale".[28] In campo escatologico, descrisse nei particolari la fine del mondo battezzando il numero 666 come il "numero della bestia" e cioè quello dell'"anticristo", simbolo del male e del disordine.[29]
Apologeti latini
Tra il II e il III secolo il cristianesimo si diffuse con maggior intensità nell'Occidente latino e da questo momento iniziarono a comparire sulla scena apologeti cristiani che scrivevano in lingua latina.
Tertulliano è considerato il maggiore esponente dell'apologetica latina del suo tempo e il primo tra i grandi filosofi del nord Africa. Nato a Cartagine, probabilmente fu avvocato a Roma; convertitosi al cristianesimo dedicò alla nuova fede una vasta produzione letteraria polemica. In età adulta aderì alla setta dei montanisti volgendo le proprie critiche al cristianesimo.[30] Utilizzò la sua formazione da giurista per argomentare la tesi secondo la quale il cristianesimo avesse il diritto esclusivo nell'interpretazione delle sacre scritture: per la legge romana chiunque avesse utilizzato un bene per un dato tempo sufficiente poteva considerarsi il proprietario legale e quindi, applicando tale disposto alle scritture, si doveva concludere che queste appartenessero ai cristiani che le avevano commentate e seguite fin dall'inizio e non alle altre dottrine, come la gnosi, che le avevano adottate più tardi. Agli gnostici muove numerose altre critiche, scagliandosi soprattutto sulle loro interpretazioni metafisiche giudicate da lui inaccettabili in quanto ogni cristiano doveva «accettare questa fede come tale, senza pretendere di farne una scelta, e ancor meno di giudicarla» ma solo credendo nella parola di Cristo.[31] Tertulliano condanna tenacemente anche la filosofia responsabile, per lui, di molte dottrine eretiche arrivando a definire i filosofi come «i patriarchi degli eretici». La ricerca filosofica, continua Tertulliano nella sua polemica, porta a cadere nell'eresia mentre per l'uomo dovrebbe essere sufficiente solamente possedere la fede in Dio.[N 3][32][33] Tertulliano è celebre anche perché considerato tra i primi a esprimere il concetto trinitario attraverso una terminologia latina rigorosa e a conferirgli un carattere di una molteplicità di ipostasi.[34] Questa sua dottrina anticipò di circa un secolo il concilio di Nicea tanto il teologo moderno Roger Olson lo definì come "il padre della dottrina trinitaria»,[35] mentre il gesuita francese Joseph Moingt[36], affermò che la sua opera Adversus Praxean fosse il primo trattato trinitario nella storia della Chiesa.[37] Tuttavia alcuni Padri della Chiesa considerarono la sua dottrina non perfettamente conforme alla formula nicena accusandolo di aver coltivato una forma di subordinazionismo affine all'arianesimo.[37]
Circa contemporaneo di Tertulliano, Marco Minucio Felice, scrisse anch'egli un dialogo di natura apologetica, l'Octavius. In quest'opera il personaggio principale, il cristiano Ottavio, discute con il pagano Cecilio riguardo alle proprie fedi, nominando lo stesso Minucio come arbitro della disputa. L'opera si conclude con l’ammissione da parte de Cecilo della falsità del proprio culto e del riconoscimento delle tesi di Ottavio a difesa ed esaltazione del cristianesimo.[38] Ippolito di Roma, teologo e primo antipapa della storia, fu un prolifico scrittore. Si dedicò principalmente a opere di dogmatica, apologetica, commento alle Sacre Scritture e critica delle eresie. La sua opera più importante è Confutazione di tutte le eresie (nota anche come Philosophumena).[39] Il teologo e presbitero Novaziano dedicò gran parte della sua vasta produzione letteraria a temi riguardanti il coretto comportamento di un cristiano in periodo della storia del cristianesimo afflitto da persecuzioni e potenziali scismi.[40]
La scuola di Alessandria
Nel 180 Panteno, filosofo pagano convertitosi al cristianesimo, fondò a Alessandria d'Egitto (all'epoca una città culturalmente molto attiva) una scuola catechetica con l'intento di utilizzare la sapienza greca applicata alle Sacre Scritture per formare catechisti e insegnanti cristiani, nonché di difendere la fede in Cristo contro le eresie e le filosofie pagane. La scuola rivestì un ruolo da protagonista nello sviluppo della teologia cristiana primitiva giungendo al suo apice con i due successori di Panteno: Clemente Alessandrino e Origene.[32][41][42]
Il pensiero di Clemente Alessandrino, prima allievo di Panteno e alla sua morte rettore della scuola dal 190 circa al 202 circa, è profondamente ispirato da quello di Giustino e come lui considerò la filosofia pagana come uno strumento utile per spiegare e difendere la fede cristiana,> benché i filosofi antichi avessero potuto solo sfiorare la verità che è, invece presente solo nella Rivelazione e nei Profeti.[N 4][43][44][45] La legge ebraica e la filosofia greca sono, secondo Clemente, come due fiumi che confluiscono nel fiume del cristianesimo, questo proveniente da una fonte nuova, arricchendolo; «la filosofia è», dunque, «servita per i greci per preparasi alla venuta di Cristo e quando Egli è arrivato questa serve per approfondirla». Di per sé la fede in Gesù sarebbe già sufficiente per la salvezza ma la filosofia permette di giungere ad una maggior consapevolezza.[42][46] La stessa filosofia, infine, essendo stata voluta da Dio non può quindi essere considerata negativamente.[47]
Della filosofia fece proprio in particolare il concetto di Logos, visto come «la ragione eterna e creatrice identica con Dio e che si è incarnata in Cristo».[43] Recependo la dottrina di Filone di Alessandria, Clemente parlò di «scintilla del Logos divino» inteso come riflesso divino che permette all'uomo di avvicinarsi alla conoscenza di Dio.[42][44] Tra le sue opere, pedagogus, è pensata come testo di morale pratica per i pagani convertitisi al cristianesimo dove illustra con meticolosità il corretto stile di vita di un fedele cristiano.[48] A Clemente è dovuta anche la prima affermazione cristiana dell'infinità di Dio: considerato «l'Uno e indivisibile, e perciò, infinito, in quanto è senza dimensioni e senza limiti».[42][44]
Successore di Clemente, Origine guidò la scuola di Alessandria fino al 231, quando dovette fuggire a causa delle persecuzioni sotto Caracalla, ed è considerato uno dei massimi teologi cristiani del suo tempo. La sua ardita speculazione e l'interpretazione allegorica della Bibbia dettero vita ad una vera e propria dottrina cristiana, nota come Origenismo, definita nel VI secolo come eretica al Concilio di Costantinopoli II e questo comportò la perdita di gran parte delle sue opere.[49][50] Rispetto a Clemente, Origine mostra un atteggiamento più freddo verso la filosofia, probabilmente perché era cresciuto in una famiglia già convertitasi e quindi non fu il mezzo, al contrario del maestro, per avvicinarsi al cristianesimo. Tuttavia, insegnava che fosse comunque utile attingere dalla filosofia ciò che vi era di buono in essa sebbene non fosse necessaria per arrivare a Cristo e che per questo fossero sufficienti le Sacre Scritture su cui concentrò i suoi studi.[51]
La sua opera più importate, "De Principiis" (Sui Princìpi), è considerata una delle prime sistematiche presentazioni della teologia cristiana. In essa è contenuta la sua celebre concettualizzazione dell'apocatastasi secondo la quale alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura: «Riteniamo comunque che la bontà di Dio per opera di Cristo richiamerà tutte le creature ad unica fine, dopo aver vinto e sottomesso anche gli avversari». La fine di tutto sarà quindi uguale al principio e cioè «tutto dovrà tornare come Dio l'ha creato».[52][53][54][55] Nella stessa opera, Origine, trattò anche il tema della Trinità diventando uno dei primi a tentare di spiegare le relazioni intra-trinitarie, descrivendo il Figlio come "generato" dal Padre e non creato ammettendo, tuttavia, una subordinazione del primo rispetto al secondo, una tesi probabilmente influenzata dal medioplatonismo e successivamente giudicata eretica. Origine fu anche uno dei primi a proporre un accurato studio riguardo allo Spirito Santo di cui illustra la sua funzione santificante.[56][57] Riguardo alla comprensione di Dio, secondo Origine Egli non può essere conosciuto nella sua natura «nella sua realtà Dio è incomprensibile e imperscrutabile. Qualunque cosa, infatti, potremo pensare e comprendere di Dio, dobbiamo credere che egli sia di gran lunga superiore a ciò che di lui pensiamo... Però la sua natura non può essere compresa dalla capacità della ente umana, anche se è la più pura e la più limpida».[58]
Il periodo aureo della patristica (dal 300 circa al 431)
La legittimizzazione del cristianesimo
il 30 aprile 311 l'imperatore Galerio concesse un editto generale di tolleranza che segnò la fine delle persecuzioni contro i cristiani. Due anni più tardi Costantino I promulgò l'Editto di Milano, più probabilmente un accordo con Licinio che un vero editto, con cui veniva consentito a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di venerare le proprie divinità segnando la cosiddetta "svolta costantiniana".[59][60][61] Con la piena legittimazione della propria fede, i teologi cristiani non dovvettero più occuparsi di difenderla dalle accuse potendo, così, impegnarsi maggiormente nell'evangelizzazione della religione, nell'indagine dei testi sacri (esegesi) e nel rinforzare la dottrina per preservarla dalle numerose devianze e eresie che continuavano a proliferare lacerando le comunità cristiane.
Una delle controversie più gravi ebbe origine intorno agli inizi del IV secolo, a seguito della predicazione da parte del presbitero Ario che il Figlio di Dio, in quanto "generato", non potesse essere considerato Dio allo stesso modo del Padre, proprio perché la natura divina è unica; una posizione teologica in netto contrasto con l'ortodossia cristiana. A causa di tali insegnamenti, Ario era già stato scomunicato dal patriarca di Alessandria Pietro I ed era fuggito in Siria e Palestina dove le sue predicazioni trovarono terreno fertile, diffondendosi velocemente per tutto l'impero. Illustri filosofi cristiani si schierarono a favore delle tesi ariane.[62][63]
La teoria proposta da Ario presentava delle enormi conseguenze teologiche, minando l'ortodossia del cristianesimo e lo stesso progetto di Costantino di unità del suo impero.[63] Così Costantino convocò nel 325 un concilio a Nicea, il primo concilio ecumenico generale della Chiesa, con lo scopo di stabilire definitivamente il dogma della Trinità.[64] Il concilio si concluse con la condanna delle dottrine ariane e l'elaborazione della prima organica stesura del credo cristiano con cui si affermava che Cristo fosse della stessa sostanza del Padre (Homoousion). Nonostante tale risultato, l'arianesimo non scomparve e, anzi, si diffuse velocemente in tutto l'Oriente.[65][66]
La questione ariana si ripresentò gravemente poco più di un decennio dopo la chiusura del concilio di Nicea. In quel momento la cristianità si dibatteva per trovare una posizione univoca: da una parte la Chiesa di Roma, sede patriarcale d'Occidente, ferma difenditrice dei principi del concilio di Nicea; dall'altra la Chiesa d'Oriente, più speculativa e culturalmente vivace, presentava molte facce che andavano dall'arianesimo puro a infinite sfumature del semi-arianesimo. Teatro principale dello scontro che si stava consumando fu, in particolare, la diocesi di Alessandria dove il vescovo e teologo Atanasio, energico sostenitore del sinodo niceno, era stato deposto, dopo che il primo concilio di Tiro, tenutosi nel 335, aveva dato seguito alle accuse mossegli dai nemici ariani.[67][68]
I padri della Cappadocia
I tre padri cappadoci furono certamente tra le figure di maggior spicco della filosofia cristiana greco posteriore al concilio di Nicea. Ispirati dal pensiero di Origine, i cappadoci dettero vita ad una nuova cultura ellenistica cristiana senza però rinnegare quella precedente che anzi dimostrarono di apprezzare enormemente ricorrendo più di una volta al pensiero di Platone nelle loro speculazioni teologiche. Per loro il cristianesimo era erede legittimo della tradizione greca, in cui sembrava sopravvivere, che tuttavia ben tenevano distinta dalla religione pagana che invece rifiutavano.[57][69]
San Basilio (329-379), considerato il primo dei tre, fu un uomo di grande cultura greca.[70] Allievo di Imerio di Prusa, dopo un breve periodo passato a insegnare retorica, si recò in visita a molti anacoreti dell'Egitto, della Siria, della Palestina e della Mesopotamia per comprendere meglio il loro stile di vita. Fondò egli stesso un centro monastico che dotò di una propria regola. Scrisse molte opere di carattere dogmatico, ascetico, discorsi ed omelie, oltre a un importante trattato per i giovani sull'uso e il comportamento da tenersi nello studio dei classici pagani. San Basilio riteneva che l'utilizzo della cultura antica, in particolare quella platonica ma anche stoica, fosse molto utile per la formazione dei giovani cristiani, sebbene mettesse in guardia dall'immoralità e dall'empietà di alcuni contenuti ricordando che gli scritti dei filosofi pagani dovevano essere interpretati secondo la fede cristiana e sempre finalizzati all'elevazione della propria anima.[71][72][73] La sua descrizione dell'universo, basata sull'antica teoria dei quattro elementi, seppur riletti in chiave cristiana, sarà poi ampiamente ripresa in età medievale. Per san Basilio gli elementi sono interconnessi tra di loro e in grado di trasformarsi l'uno nell'altro secondo un ordine che riflette la saggezza e la bontà di Dio.[74]
Gregorio di Nazianzo fu amico e compagno di studi di Basilio. Ebbe modo di studiare alla scuola di Alessandria, è noto soprattutto per la strenua difesa della dottrina nicena contro gli ariani. Per sostenere le proprie convinzioni non si privò di ricorrere alle categorie platoniche ma sempre riconducendole all'interno della dottrina cristiana. Nelle sue tesi osservò di come i nostri concetti fossero inadeguati nel descrivere Dio e che, quindi, un buon cristiano dovesse difendere la fede dagli attacchi e dalle eresie piuttosto che dedicarsi a discutere questioni teologiche. Dio, per Gregorio, è incorporeo, infinito, non soggetto a movimento e la sua trascendenza non è conoscibile all'uomo fermo nella sua immanenza. Scrisse anche un discorso contro l'imperatore Giuliano l'Apostata accusato per la sua volontà di ripristinare il paganesimo nell'impero.[75][76]
Fratello minore di Basilio, Gregorio di Nissa (335-395 circa), considerò anche lui «la filosofia greca utile ma solo se opportunamente purificata. La filosofia morale e la filosofia fisica potrebbero realmente favorire un'autentica vita spirituale, qualora riuscissimo a purificare i loro dati dottrinali dalle depurazioni di errori profani».[77] Nel suo Grande discorso catechetico il Nisseo, ispirandosi ad Origene, presenta i principali dogmi cristiani e li difende contro i pagani, i giudei e gli eretici, dandone una coerente sistemazione dottrinaria che per lungo tempo servirà da modello e punto di riferimento. Chiaramente influenzato da Platone, egli distinse la realtà intellegibile da quella sensibile e corporea.[77][78] Da Origine, Gregorio, riprende anche la teoria dell'apocastasi secondo la quale con la resurrezione l'anima (immortale) e il corpo dell'uomo (mortale) si ricongiungeranno in una unione come lo erano al principio prima della caduta dovuta al peccato, cosa che varrò anche per i malvagi dopo che avranno espiato le proprie colpe attraverso pene purificatrici.[79] Inoltre, dimostra di sostenere la teoria secondo la quale anima e corpo vennero creati da Dio simultaneamente.[80] L'uomo è fatto a immagine di Dio e questo può essere vero soltanto ritenendo l'uomo prima della sua corruzione dovuta al peccato come una ipostasi.[81] La storica della filosofia Sofia Vanni Rovighi ritiene che Gregorio di Nissa «abbia saputo esprimere cristianamente meglio di chiunque altro l'eredità spirituale dell'antica Grecia».[76]
I Padri latini del IV secolo
Come i greci, anche i Padri latini del IV secolo vissero in un periodo di grandi cambiamenti che portarono il cristianesimo da essere una religione illecita e diventare la religione ufficiale dello stato. Questo processo rese necessario rafforza la struttura dogmatica, morale, teologica e pastorale della fede. San Girolamo (347-420) tradusse la Bibbia in latino (Vulgata), rendendo le Scritture accessibili a un pubblico più ampio e stabilendo un testo di riferimento per secoli mentre Tirannio Rufino (345 circa-411) tradusse i padri greci e in particolare Origine.[82] Questi filosofi cristiani di lingua latina furono a tutti gli effetti costruttori di un nuovo ordine culturale e religioso, la cui influenza perdura nella chiesa cattolica occidentale fino ai giorni nostri.
Il retore e apologista Arnobio (255-327) ancora prima di convertirsi al cristianesimo scrisse un'apologia, generalmente conosciuta come Adversus nationes, dedicata proprio a coloro che intendevano avvicinarsi alla nuova fede. La sua visione era quella di colui che oramai disgustato dall'assurdità della teologia pagana interpreta la figura di Cristo come un maestro venuto sulla terra a rivelare all’umanità la vera natura di Dio e il corretto culto da attribuirgli.[83] Tuttavia nella sua opera, impregnato da un «forte senso di pessimismo circa la condizione dell'uomo che lo spinge a trovare in Cristo l'unica salvezza possibile», Arnobio dimostra una conoscenza ancora superficiale del cristianesimo e della Bibbia risultando ancora legato a concetti della filosofia pagana o eretici.[84][85] In ogni caso, la sua apologia riveste un particolare interesse in quanto dimostra l'attrattiva che il cristianesimo vantava sulle persone colte di quel tempo.[86]
Lattanzio (250 circa - 325 circa) fu uno dei discepoli a Arnobio e poi, a sua volta, insegnante di retorica a Cartagine e Nicomedia. Visse sulla sua stessa pelle le ultime persecuzioni contro i cristiani e il passaggio alla legittimazione del cristianesimo per volere dell'imperatore Costantino I che lo chiamò anche come precettore del suo primogenito, Crispo. E a proprio all'imperatore indirizzò la sua opera principale, Divinae Institutiones, uno scritto polemico contro i pagani in cui vengono confutati i fondamenti e il culto della loro religione, per poi esporre in maniera sistematica la dottrina cristiana. Per Lattanzio, i Pagani, portando anche l'esempio di Cicerone e Seneca, non hanno mai raggiunto alcun risultato nelle loro ricerche a causa dell'assurdità delle loro dottrine. Il cristianesimo invece era la strada giusta che permette il collegamento tra religione e verità.[85][87]
Sebbene povero di considerazioni filosofiche, Ilario di Poitiers (310 circa-367), nella sua opera De Trinitate, ritenuta il più profondo trattato teologico latino del IV secolo, propone la prima sintesi occidentale della dottrina trinitaria.[88] Ilario dimostra che il vero Dio dovesse essere «unico, eterno, onnipotente e immutabile» rifiutando pienamente le tesi pagane.[82][89]
Sant'Ambrogio (339 circa-397), vescovo di Milano, fu più un pastore che un filosofo originale, tuttavia i suoi numerosi scritti (inni, sermoni, trattati teologici), contribuirono alla formazione della dottrina cristiana più matura. Il suo trattato etico e morale De officiis ministrorum fu intenzionalmente ispirato al De officiis di Cicerone in quanto Ambrogio vuole riprendere la sua concezione riguardo al miglior modo di vivere rileggendola in chiave cristiana, una sorta di «metaformosi cristiana della morale antica».[82][90] L'opera era indirizzata principalmente ai chierici ma anche ai semplici cristiani che volessero trovare un codice morale dei doveri dell'uomo verso Dio.[91]
Il platonismo latino del IV-V secolo
In ritardo rispetto ai filosofi cristiani greci, nel IV secolo anche quelli latini iniziarono a ricorrere al platonismo, benché sempre letto secondo la fede cristiana, come una delle basi per il proprio pensiero. E proprio le loro traduzioni e commenti alle opere di Platone e dei platonici furono fondamentali perché queste potessero giungere nel medioevo e contribuire al continuo sviluppo della teologia cristiana e del pensiero in generale.
Macrobio (385 circa-430 circa) scrisse un commentario al Somnium Scipionis di Cicerone in cui è ben radicato il pensiero filosofico neoplatonico di Dio e dell'anima, e che si rivelerà fondamentale far giungere questi temi nel medioevo.[85][92] Attingendo direttamente dalle lezioni di Platone (in particolare al "mito della caverna") e Plotino, Macrobio reinterpreta Cicerone presenta una riflessione sulla mortalità del corpo e sull'immortalità dell'anima che non cesserà mai di esistere. Secondo Macrobio, l'anima compie un viaggio ciclico tra il cielo e la terra: dal cielo le anime cadono per incarnarsi in corpi terreni dimenticando, a seguito di una «specie di brezza», il luogo originario; successivamente, grazie all'illuminazione e a un processo di purificazione, possono abbandonare il corpo e raggiungere nuovamente il luogo originario divino. Da non confondersi con l'anima, l'intelligenza è invece creata e donata da Dio e contiene tutte le cose e le idee. Sopra di tutto vi è il Bene, causa prima di tutto.[93]
Ma ancora più di Macrobio, fu Calcidio fl. IV secolo) a trasmettere al medioevo il neoplatonismo grazie ad una traduzione del Timeo di Platone corredato da un commento che offre una interpretazione medio-platonica.[85][92] Anch'egli propone un dottrina dell'anima, vista come una sostanza spirituale dotata di ragione ma priva di una forma corporale rigettando l'opposta tesi aristotelica.[94]
Gaio Mario Vittorino (290-364) fu l'autore di diverse traduzioni di Plotino e Porfirio. Inizialmente non fu solo pagano, ma anche profondamente polemico contro i cristiani; tuttavia, le continue letture delle Sacre Scritture che fece per confutarle lo portarono invece a convertirsi. Dalla sua coversione diverrà un prolifico autore di trattati teologici che, però, solo in parte sono giunti fino a noi.[82][95] Impegnato in dispute contro gli ariani argomentò le tesi nicene affermando che «il Verbo è Dio, è proprio perché il Verbo Gesù non è generato da un non-essere, in qualsiasi senso s'intenda questo termine, ma, al contrario, egli è, a titolo di Logos, la manifestazione dell'essere che, nascosta in Dio Padre, si rivela in Dio Figlio».[96]
Sant'Agostino
L'ultima patristica (dal 431 ai secoli VII/VIII)
Con la morte di Agostino si chiude anche il periodo d'oro della patristica antica. L'impero romano si trovava in quel momento una fase di grave crisi: se a occidente già da tempo era in atto il lungo processo che lo porterà alla caduta e alla sostituzione con i cosiddetti regni romano-barbarici, a oriente le istituzioni romane sopravviveranno ancora, come "impero bizantino", per quasi un millennio contrassegnato da un lento declino con poche occasioni di ripresa. Da sant'Agostino in poi, le grandi opere letterarie che avevano contraddistinto il lavoro dei filosofi cristiani dei due secoli precedenti furono quasi del tutto assenti e quelle poche che venero scritte erano afflitte da un senso di stanchezza a da mancanza di originalità. I Padri dei secoli che vanno dal V al VIII si occuparono soprattutto di tradurre e commentare i testi dell'antico sapere teologico che, sebbene non permise di giungere a sviluppi originali nel pensiero, furono essenziali perché le opere degli antichi potesse giungere salvarsi e giungere fino al medioevo. Tuttavia, anche in un panorama così arido di speculazioni teologiche rispetto a come fu quello degli anni precedenti, ancora possono essere identificate figure di spicco che, qua e là, riuscirono a emergere e forgiare il pensiero cristiano.[97]
I latini
Severino Boezio (475/477– 524/526), magister officiorum del re ostrogoto Teodorico, seppur non potendo vantare contributi originali o particolare vitalità speculativa, sfruttando un periodo di relativa pace e di rilancio della cultura, concepì l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele, di cui tentò di conciliarne le posizioni, diventando per i secoli successivi l'unica o quasi fonte da cui attingere la conoscenza del pensiero antico. Fu quindi un fondamentale "intermediario" tra la filosofia greca e il mondo latino.[98][99] Commentò Introduzione alle categorie di Aristotele e fu molto influenzato dalla logica aristotelica ma essenzialmente aderì al neoplatonismo.[100] Partendo dal pensiero platonico, Boezio concepì una propria teodicea, seppur dai tratti non ben delineati, per tentare di rispondere al problema dell'esistenza del male in un universo retto da Dio che è sommo Bene.[101] Egli è ritenuto uno dei precursori della filosofia scolastica e della disputa sugli universali, riguardante la definizione delle essenze attribuibili a generi e specie universali.[N 5]</ref>[102]
La sua opera più importate fu il De consolatione philosophiae che scrisse, in prosa e versi, intorno al 524 mentre si trovava in carcere e che influenzò profondamente il pensiero medievale trasmettendogli un'immagine allegorica della filosofia. Ad esempio, è Boezio che rese celebre l'immagine della "ruota della fortuna" che diverrà in seguito un motivo iconografico frequente dell'arte medievale e un simbolo della imprevedibilità delle vicende umane. Anche la definizione della filosofia come «amore per la sapienza ma di conseguenza anche la ricerca di Dio o dell'amore di Dio», sarà poi accolta nei secoli successivi.[103][104]
Contemporaneo di Boezio, Benedetto da Norcia già adolescente intraprese una vita eremita. Con la sua celebre regola basata sull'«Ora et labora» (prega e lavora), il lavoro manuale divenne un elemento importante nel percorso di salvezza del cristiano; si affaccia così per la prima volta l'idea del progresso, di un'evoluzione universale a cui ognuno è chiamato a contribuire, e che sarà un elemento centrale di tutta la filosofia medievale. L'opera dei benedettini risultò importante anche per il loro lavoro di copiatura di testi antichi, non solo religiosi, ma anche scientifici e letterari, che salvò numerose opere dell'età greca e romana che poterono così attraversare i secoli e giungere all'età moderna. Il sapere allora diffuso dai monasteri e dalle abbazie poté inoltre facilmente ottenere il monopolio sull'insegnamento anche a seguito della definitiva chiusura dell'Accademia di Atene nel 529 ad opera di Giustiniano dopo vari periodi di alterne interruzioni della sua attività.
Papa Gregorio Magno (circa 540-604) fu autore di numerosi scritti soprattutto a carattere pastorale e liturgico. Vissuta durante l’invasione longobarda dell’Italia, fu provvidenziale perché vi fosse qualcuno in grado di riordinare la struttura ecclesiastica e, nel contempo, mediare tra i nuovi regnanti e l'Impero.[105] Celebre il suo trattato Cura Pastoralis indirizzato a tutti coloro, chierici e laici, a cui era affidato il compito di governare cristianamente il mondo e in particolare ai vescovi. Criticò le arti profane quando studiate fini a sé stesse e non come mezzo indispensabile per comprendere le Sacre Scritture.[106]
Anche il lavoro di Isidoro di Siviglia (560 circa-636) fu fondamentale per la trasmissione del sapere antico al medioevo. Per Isidoro «la natura primitiva e l'essenza stessa delle cose si possono riconoscere dall'etimologia dei nomi» e per questo scrisse l'Etymologiae sive Origines, un'opera contente un immenso elenco di termini che condensano lo scibile umano del tempo e può considerarsi una delle prime enciclopedie della cultura occidentale. Sarà per gli studiosi dei secoli successivi un testo indispensabile a cui attingeranno ad ampie mani ogni qualvolta necessitavano di una definizione.[107]
I greci
Nemesio di Emesa è noto principalmente per la sua opera "Sulla natura dell'uomo", considerata una delle prime trattazioni sistematiche di antropologia cristiana; scritta in greco, tradotto in latino intorno al 1070 (De natura hominis) da Alfano vescovo di Salerno, ebbe un grande successo nel Medioevo. Nemesio si basò essenzialmente su Galeno, ma respingendo l'idea galenica secondo la quale l'anima segue il temperamento del corpo, e quella ippocratica dell'anima come funzione del cervello.[108] L'essenza dell'opera sta però nel trovare un punto di convergenza tra la conoscenza medica pagana dell'antichità e la dottrina cristiana. Nemesio, come Gregorio di Missa, riteneva che la scienza della natura umana rivestisse un ruolo fondamentale nel sapere e che il suo studio fosse, non solo compatibile con la fede, ma anzi un dovere. Riprendendo le idee platoniche, per Nemesio l'uomo è egli stesso un universo ridotto (microcosmo), composto da corpo e anima, e quindi lo studio della sua natura è anche lo studio dell'universo come opera di Dio.[109] L'anima, in particolare, è da lui definita come "substantia incorproea suimet expletiva", ovvero una sostanza incorporea e completa in sé stessa, una descrizione che verrà ampiamente ripresa nel medioevo.[110]
Teodoreto di Ciro (393 circa – 458 circa) scrisse un'apologia del cristianesimo mirata a convincere della bontà della fede in Gesù quei pochi seguaci del pagnaesimo che stava lentamente scomparendo. Egli argomentò che molti filosofi dell'antichità avessero già anticipato molte delle verità della fede cristiana prima della Rivelazione. Tra questi, il principale fu Platone che, in controtendenza con il mondo politeista del suo tempo, descrisse il "Demiurgo" come unico autore di tutto ciò che esiste e provvidenza del mondo, con delle chiare analogie con il concetto cristiano di unicità di Dio. Quindi, Teodoreto concluse che c'era una certa armonia tra "l'antica teologia e la nuova".[111]
Intorno al V o al VI secolo), un teologo e filosofo siriano, firmò i propri testi Dionysios, facendo per ungo tempo pensare che si trattasse del più antico Dionigi Areopagita (giudice ateniese del I secolo convertito da Paolo di Tarso, secondo quanto riportato in Atti degli apostoli 17). Rimasto anonimo, è oggi indicato con lo pseudonimo di Pseudo-Dionigi Areopagita mentre l'insieme dei suoi testi è conosciuto come Corpus dionysianum in cui esplicitamente intende confutare le idee pagane a favore della fede cristiana.[112] Di formazione neoplatonica, e influenzato in particolare da Proclo tanto da far supporre che si fosse trattato di un suo allievo, considerò la realtà e la conoscenza come una derivazione del principio supremo della creazione, Dio, attraverso una gerarchia di intelligenze angeliche che si estende fino alla materia più bassa. Questa gerarchia si riflette nell'organizzazione piramidale della Chiesa e nella sua liturgia. Secondo il suo trattato De mystica theologia, l'uomo può conoscere e ascendere al principio divino tramite due vie. La prima è la teologia affermativa (o catafatica), che attribuisce a Dio ogni qualità di tutte le cose, considerandolo causa di tutto e a lui si arriva tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite di ogni singolo oggetto. La seconda, più elevata, è la teologia negativa] (o apofatica), che comprende Dio attraverso la negazione di tutti gli attributi, poiché Dio trascende ogni realtà del mondo.[113] Questa teologia mistica dello Pseudo-Dionigi avrà molto successo nel medioevo influenzando enormemente il pensiero dei più grandi filosofici scolastici come Giovanni Scoto Eriugena, Ugo di San Vittore, Alberto Magno, Bonaventura da Bagnoregio e Tommaso d'Aquino.[114]
Nello Pseudo-Dionigi l'Areopagita si trova invece la prima esplicita distinzione tra teologia negativa e teologia affermativa: mentre quest'ultima arriva a Dio tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite di ogni singolo oggetto, la prima al contrario procede per decrescita e diminuzione fino ad eliminare ogni contenuto dalla mente, poiché Dio, essendo superiore a tutte le realtà possibili e immaginabili, non è identificabile con nessuna di esse. Si notano in lui gli influssi del neoplatonismo agostiniano.
Massimo il Confessore (580-662) è considerato l'ultimo filosofo originale della patristica greca. Nelle sue opere offrì riflessioni sui più grandi pensatori cristiani dell'antichità come Origine e Gregorio Nisseno. Si richiamò a temi del neoplatonismo letti tuttavia secondo la dottrina cristiana, attingendo da loro come base per la propria cristologia.[115] Importante fu il suo contributo nel confutare efficacemente le dottrine eretiche del monoenergismo e del monoteletismo che si erano diffuse in quegli anni e che erano state condannate al Concilio di Calcedonia- Massimo dimostrò che "in Cristo vi fossero due attività e due volontà, quella divina e quella umana".[116]
Solitamente si può considerare la fine della patristica con l'opera di Giovanni Damasceno. Egli non fu certo un autore particolarmente originale ma piuttosto un "gran sistematore" il cui obiettivo è mettere insieme una raccolta dei testi dei suoi predecessori al fine di costruire una utile raccolta di nozioni filosofiche.[117][118] La sua opera più celebre, De Fide Orthodoxa ("Sulla fede ortodossa"), è considerata una delle più importanti sintesi della dottrina cristiana in grado di influenzare la successiva teologia bizantina e medievale. In essa, Giovanni, affrontò temi fondamentali come la Trinità, la creazione, l'incarnazione di Cristo, i sacramenti, la mariologia, e molto altro. Il trattato è parte di un'opera più ampia, conosciuta come Fons cognitionis ("Fonte della conoscenza") di cui fanno parte anche Dialectica e De haeresibus dove l'autore offre una descrizione delle eresie che erano emerse nella storia del cristianesimo fino al suo tempo. Allo scopo di aiutare i fedeli a riconoscere e respingere le dottrine errate, Giovanni elenca e discute un centinaio di eresie, inclusa l'iconoclastia, che stava diventando una questione critica nel suo periodo, prendendo una forte posizione contro questa.[119] Affrontò il tema delle immagini sacre anche nella sua apologia Discorsi in difesa delle immagini sacre; che lo fa ritenere il più importante difensore della figurazione cristiana, il primo "teologo dell'immagine".[120] Diversamente da molti altri padri greci a lui antecedenti, Giovanni Damasceno dimostrò di seguire il pensiero di Aristotele piuttosto che quello neoplatonico.[121] Seguendo queste linee di indagine, tentò di stabilire l'esistenza di Dio "dimostrando che tutto ciò che ci è dato nell’esperienza sensibile è mutevole e che lo sono anche le anime e gli angeli che tutto ciò che giunge all’essere attraverso un cambiamento è increato: che tutto ciò che ci è dato in questo mondo è creato che di conseguenza esiste un suo creatore increato".[122] Inoltre, partendo dalle conclusioni di Epicuro, rifiutò la possibilità che l’ordine e la distinzione della cose possano risultare dal caos ma che all'origine ci dovesse essere la volontà di Dio.[122]
Eredità
Con la sistemazione composta dal Damasceno si può considerare chiusa l'età della patristica e, seppur il suo lavoro non abbia aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo alla speculazione filosofica, si può considerare "uno dei più importati intermediari tra la cultura dei padri greci e la cultura latina dei teologici occidentali del medioevo".[123]
L'eredità della patristica fu raccolta dalla scolastica. La Catena aurea di san Tommaso d'Aquino arrivò a citare 22 autori latini e 57 autori greci, molti dei quali all'epoca ancora sconosciuti in Occidente, raccogliendo una qualità e quantità di testi non latini senza precedenti nell'Alto Medioevo.[124]
Nel XIX secolo, Jacques Paul Migne raccolse nella Patrologia Latina e nella Patrologia Graeca tutti i testi cristiani pubblicati fino al XII secolo incluso. Il relativo contenuto è stato trasferito nel sito web documentacatholicaomnia.eu, liberamente consultabile.
Note
- Esplicative
- ^ Così l'allora cardinale Joseph Ratzinger, avendo più volte ribadito che «il patrimonio greco è una parte integrante della fede cristiana», ha spiegato i motivi per cui, a suo vedere, la religione cristiana poté conciliarsi con la filosofia greca:
«La razionalità poteva diventare religione perché il Dio della razionalità era entrato egli stesso nella religione. In fin dei conti, l'elemento che rivendicava la fede, la Parola storica di Dio, non costituiva forse il presupposto perché la religione potesse volgersi oramai verso il Dio filosofico, che non era un Dio puramente filosofico e che nondimeno non respingeva la filosofia, ma anzi la assumeva? Qui si manifestava una cosa stupefacente: i due principi fondamentali apparentemente contrari del cristianesimo – legame con la metafisica e il legame con la storia – si condizionavano e si rapportavano reciprocamente; insieme formavano l'apologia del cristianesimo come religio vera. Si può dunque dire che la vittoria del cristianesimo sulle religioni pagane fu resa possibile fondamentalmente dalla sua pretesa di intelligibilità.»
- ^ termine "apologeta" deriva dal greco "apologia," che significa "difesa" o "discorso in difesa.".
- ^ La diffidenza di Tertulliano verso la filosofia è ben esplicata nel suo De praescriptione haereticorum dove si domanda: «Che cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa l'Accademia e la Chiesa?». In De praescriptione haereticorum, VII, 9.
- ^ Clemente Alessandrino arrivò a sostenere che Dio aveva dato la filosofia ai Greci «come un Testamento loro proprio». In Clemente Alessandrino, Stromata 6, 8, 67, 1.
- ^ La "disputa sugli universali" fu una questione a cui Boezio diede un importante contributo con la sua opera di traduzione e commento dell'Isagoge di Porfirio dove l'autore per la prima volta si pone la questione sebbene non proponga alcuna soluzione. In Abbagnano e Fornero, 1996, p. 583.
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Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- patristica, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Alberto Pincherle, PATRISTICA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.
- patristica, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- patristica, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
- (EN) Patristica, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
- Raccolta esaustiva di tutti i testi a cura di Jacques Paul Migne Patrologia Latina e Patrologia Greca corredati di indici analitici.
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