Zygmunt Bauman - La Solitudine Del Cittadino Globale 3

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Multiculturalismo o polivalenza culturale?

Alain Touraine ha proposto recentemente di considerare separatamente i due modelli


o programmi (generalmente confusi) della societ multiculturale e della societ
multicomunitaria.
Il primo modello quello di una societ tollerante verso la differenza culturale, verso il
libero flusso di proposte culturali e verso la libert delle scelte culturali: una societ
disposta a negoziare continuamente la mutevole linea di confine che separa le
differenze di stile di vita accettabili dai crimini punibili. Questo tipo di societ
appartiene alla tradizione repubblicana, bench sia divenuta possibile soltanto dopo
che l'idea della missione omogeneizzante, modernizzante, un tempo strettamente
correlata all'idea repubblicana, stata abbandonata. Multiculturalismo, in breve,
significa separare la cittadinanza dall'appartenenza culturale dei cittadini, sia che
questa consista in un'attribuzione o in un'autoattribuzione; significa trasformare tale
appartenenza in una questione essenzialmente privata, che non influisce in alcun
modo sui diritti pubblici. Inoltre, 'multiculturalismo' significa presupporre che la
diversit culturale non ostacoli, e tanto meno impedisca, la partecipazione alla vita
pubblica comune dei cittadini. Quello che il multiculturalismo non presuppone (come
fa e deve fare il multicomunitarismo) che mantenere intatte le differenze culturali
e impedire il libero scambio culturale tra comunit sia un valore da rispettare e da
difendere politicamente; e nemmeno presuppone che un sano dibattito tra culture
sulla validit delle soluzioni culturali proposte e sui loro pregi o difetti relativi sia
dannoso o pericoloso, per cui dovrebbe essere evitato o addirittura proibito. In altre
parole, il multiculturalismo coerente nel restare fedele alla libert come valore
principale: per essere vera libert, la libert della scelta culturale deve comprendere il
diritto di dissociarsi da 'una cultura', nonch il diritto di abbracciarla (nel caso del
multicomunitarismo ci deve essere combattuto).
Il secondo modello o programma assegna al mantenimento delle differenze culturali
tra membri di gruppi diversi lo status di valore in s. Non solo nega l'esistenza di un
fondamento oggettivo sul quale possa poggiare una critica della scelta culturale (un
punto su cui potrebbe cedere senza rischiare un conflitto con il valore della libert
individuale), ma in pi sostiene che ogni critica svolta dall'esterno, e quindi ogni
dibattito tra culture sui valori culturali, al tempo stesso una farsa e un abominio e
che se un dibattito simile ha luogo, le sue conclusioni, qualunque sia il loro contenuto,
non sono valide (per ragioni tecniche, si potrebbe dire). Il multicomunitarismo, in
altre parole, cancella a priori la possibilit di una comunicazione e di uno scambio
significativi e reciprocamente vantaggiosi tra culture. Eleva la 'purezza culturale' del
gruppo al rango di valore supremo e considera una contaminazione ogni
manifestazione della capacit di assimilare propria della cultura. Vuole che le culture si
rinchiudano da s nelle loro rispettive fortezze comunitarie (concretamente
rappresentate dal ghetto).
In ultima analisi, il multicomunitarismo non pu, senza cadere in contraddizione,
riconoscere al cittadino il ruolo di principale agente pubblico (e forse nemmeno quello
di semplice agente pubblico). L'unico agente pubblico legittimo la comunit. Il corpo
di leggi destinato a regolamentare la convivenza delle comunit visto come
aggregato di privilegi orientati alla comunit. (Will Kymlicka, per esempio, sostiene di
fatto la disuguaglianza dei diritti pubblici quando dichiara che le comunit pi piccole e
pi deboli dovrebbero essere compensate per la loro posizione svantaggiata nella
competizione. Con questa proposta, Kymlicka d per scontato esattamente quello
che ancora deve venire provato, essendo per ora soltanto un postulato ideologico dei
leader e degli anziani delle minoranze etniche o religiose: il fatto che la 'comunit
culturale' sia la cornice naturale in cui calcolare le relative deprivazioni in funzione
della loro riparazione collettiva.)
Per ragioni che lo stesso Touraine ha spiegato perfettamente, senza per trame la

necessaria conclusione, multiculturalismo non sembra il pi appropriato dei termini;


nei fatti crea confusione, in quanto si presta a essere impiegato con significati
contraddittori, in realt incompatibili. La sua separazione da multicomunitarismo,
che Touraine giustamente auspica, non sarebbe mai totale o netta, e tutti i tentativi di
realizzarla finirebbero soltanto per alimentare l'interminabile, e nell'insieme sterile,
querelle tra liberalismo e comunitarismo. Pertanto, meglio sbarazzarsi del termine
multiculturalismo e parlare invece di societ policulturale.
Multiculturalismo un termine fuorviante perch non suggerisce semplicemente una
variet culturale, bens una variet di culture. Pi esattamente, suggerisce la
presenza simultanea di sistemi o totalit culturali - ciascuno pi o meno completo e
autonomo, ciascuno in qualche misura chiuso in se stesso e 'integrato' - e dunque
l'interdipendenza di tutte le sue componenti (quali norme, valori e precetti culturali). Il
termine evoca l'immagine di mondi culturali contigui, relativamente chiusi: qualcosa di
simile ai territori politicamente e amministrativamente separati. Si pu abbandonare
una cultura per abbracciarne un'altra; ci si pu spostare da una cultura all'altra; si pu
anche parlare e ascoltare da una parte all'altra del confine; ma si pu stabilire con una
certa precisione dove ci si trova in un dato momento e in quale direzione ci si sta
muovendo. Il termine suggerisce anche - bench indirettamente, a meno che la cosa
non sia messa in evidenza - che le culture sono totalit naturali, che essere in e di
una certa cultura qualcosa che dipende dal fato, e non il risultato di una scelta; che
l'appartenenza a questa o quella cultura un dato di fatto, determinato dall'esserci
nati. Infine, multiculturalismo implica tacitamente che essere inseriti in una totalit
culturale il modo naturale, e dunque presumibilmente sano, di essere-nel-mondo,
mentre tutte le altre condizioni - lo stare all'incrocio delle culture, l'attingere
contemporaneamente a differenti culture o anche soltanto l'ignorare l'ambivalenza
culturale della propria posizione - sono condizioni anomale, ibride e potenzialmente
orrende, insane e squallide. Tutte queste entit, nonch quello che evocano e
implicano, sono prodotti di una struttura cognitiva, ed questa struttura, l'eredit del
pensiero sistemico un tempo dominante nella teoria sociologica, a essere
singolarmente incapace di cogliere l'esperienza specificamente postmoderna,
indipendentemente dai meriti che pu aver avuto in passato.
La ragione di tale inadeguatezza non , come talvolta stato suggerito, l'accresciuta
eterogeneit o impurit delle culture contemporanee. Lo stesso termine
eterogeneit ha senso solo in quanto designa una condizione del tutto opposta a
quella pi comune della cultura omogenea, la quale presuppone che certe norme,
certi valori e certi simboli vadano insieme in modo pi naturale di altri, che la
purezza dei composti sia la caratteristica degli ingredienti, e non il modo in cui sono
stati classificati.
C' un intento ideologico dietro ogni visione di cultura omogenea, e l'idea di
eterogeneit culturale paga un tributo enorme a quell'ideologia. Quell'ideologia non
mai stata messa in evidenza (e tanto meno in discussione) in condizioni decisamente
diverse dalle nostre, quando rifletteva la pratica moderna dell'omogeneizzazione
sostenuta dal potere. Quell'ideologia era di casa nel mondo delle nazioni nascenti,
delle crociate culturali, degli stili di vita improntati a criteri uniformi, dell'assimilazione
forzata e della ricerca dell'armonia culturale. Da allora, tuttavia, il mondo cambiato
abbastanza da privare quell'ideologia della sua presa nella pratica politica, e quindi da
indebolire la sua pretesa di vantare diritti sulla realt. Ormai straordinariamente
difficile rappresentare una societ come insieme di culture integrate, coese e coerenti,
per non dire pure. Allo scopo di affrontare il problema della realt delle culture
contemporanee, dunque arrivato il momento di astenersi dall'uso (una volta
pragmaticamente vantaggioso, ora cognitivamente fuorviante) di concetti quali
omogeneit ed eterogeneit culturale, multiculturalismo o comunicazione e traduzione
interculturali.

Vivere insieme nel mondo delle differenze.


La traduzione non un passatempo riservato a una cerchia ristretta di specialisti,
ma il filo di trama inserito nell'ordito della vita quotidiana, l'opera che tutti noi
svolgiamo ogni giorno e in ogni istante del giorno. Siamo tutti traduttori: la
traduzione la caratteristica comune a tutte le forme di vita, perch parte
integrante del modo di essere-nel-mondo della societ dell'informatica. La
traduzione presente in ogni forma di comunicazione, in ogni dialogo. Deve essere
cos, poich la pluralit di voci non pu essere eliminata dal nostro modo di esistere, il
che equivale a dire che le linee di confine che stabiliscono i significati continuano a
essere tracciate in maniera frammentaria e scoordinata, in assenza di un ufficio
cartografico superiore e di una versione ufficiale delle mappe dell'Istituto cartografico.
Nella matrice dei significati possibili, chiamata da Bachtin logosfera, il numero delle
potenziali modificazioni, associazioni e scomposizioni praticamente infinito, e non si
vede perch tali combinazioni dovrebbero coincidere anche solo in parte, date le
differenze tra coloro che le usano; al contrario, la probabilit che non coincidano mai
molto alta.
Le discrepanze tra le combinazioni presenti nell'atto del dialogo vengono
tendenzialmente situate a livelli differenti di generalit, definiti dalla peculiarit della
biografia individuale, dai tratti distintivi verosimilmente condivisi dalle persone
assegnate alla stessa classe, allo stesso genere, alla stessa localit eccetera, e dalle
differenze che si presume siano correlate alla limitata comunicazione tra comunit di
significato (quelle che normalmente chiamiamo culture differenti). Ne consegue che
tali discrepanze pongono problemi di traduzione differenti quanto al grado di
generalit, bench il singolo lettore possa essere scusato se, davanti a un testo dal
significato strano e impenetrabile trascura di valutare quale parte della propria
incomprensione dipenda dal percorso di vita personale, quale dalle differenze nelle
pratiche legate alla classe o al genere e quale sia invece dovuta a quella che i teorici
della traduzione chiamerebbero 'distanza culturale' tra realt etniche, religiose o
linguistiche.
Il concetto stesso di carattere stratificato dei problemi di traduzione un concetto
analitico derivativo, nel senso che gi un prodotto del lavoro di traduzione: esso
deriva dallo sforzo di assimilare sul piano intellettuale l'esperienza
dell'incomprensione, uno sforzo a sua volta implicito nelle pratiche specifiche dei
professionisti, cio degli specialisti in traduzione. Non solo: quello che gli specialisti
descriverebbero come esempio di comunicazione difettosa, come cattivo lavoro di
traduzione, come traduzione errata o come prova di una totale incapacit di
comprendere, non viene necessariamente avvertito come tale dal profano.
Generalmente, nella maggior parte degli incontri quotidiani, nella maggior parte dei
modi in cui stiamo insieme agli altri, riusciamo a comprenderci l'un l'altro nel senso
wittgensteiniano che sappiamo come procedere, che sappiamo affrontare il compito
di scegliere le reazioni giuste, appropriate o accettabili alle mosse dell'altro, anche se
un analista troverebbe la nostra comprensione insufficiente, incompleta o illusoria:
illusoria perch determinata dalla tendenza consolidata e reciprocamente tollerata a
ignorare i significati piuttosto che a condividerli.
La possibilit dell'universalismo risiede in questa capacit comune di raggiungere una
comunicazione efficace senza ricorrere a significati e interpretazioni gi condivisi.
L'universalit non nemica della differenza; non esige omogeneit culturale, n ha
bisogno di purezza culturale, e in particolare del genere di pratiche cui si riferisce
quel termine ideologico. La ricerca dell'universalit non comporta il soffocamento della
polivalenza culturale o l'uso di strumenti di pressione per arrivare al consenso
culturale. L'universalit non che la capacit, comune a tutte le specie, di comunicare
e comprendersi reciprocamente, nel senso, ripeto, del sapere come procedere, ma
anche del sapere come procedere in presenza di altri che possono procedere - che

hanno il diritto di procedere - in modo diverso.


L'universalit, in quanto supera i confini delle comunit sovrane o apparentemente
sovrane, la conditio sine qua non di una repubblica che supera i confini degli stati
sovrani o apparentemente sovrani; e la repubblica che fa questo l'unica alternativa
alle forze cieche, primitive, erratiche, incontrollate, divisive e polarizzanti della
globalizzazione. Per parafrasare lo studente pieno di giovanili speranze che sarebbe
diventato Karl Marx, soltanto le falene considerano la lampadina di casa un sostituto
soddisfacente del sole universale. Pi le serrande sono abbassate, meno si vede il
levare del sole. Inoltre, il sole non potrebbe non tramontare mai nemmeno sul pi
potente degli imperi, ma certamente non tramonta mai sul pianeta degli uomini.
Zygmunt Bauman.
LA SOLITUDINE DEL CITTADINO GLOBALE.
Copyright 2000 Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano.
Titolo dell'opera originale "IN SEARCH OF POLITICS".
Traduzione dall'inglese di GIOVANNA BETTINI.

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