Tesi Judo PDF
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Judo e formazione.
La valenza educativa del metodo proposto dal prof. Jigoro Kano.
Relatore Prof.ssa
Maria Rita Mancaniello
_____________________
Premessa . . . . . . . . p. 4
II. Struttura del judo. Proposta del judo come metodo educativo 31
II.1. L’educazione secondo la ‘via’ (do) . . . 31
II.2. I fondamenti del judo: “il miglior impiego dell’energia”
e “tutti insieme per crescere e progredire” . . 36
II.3. Le tre culture del judo: Disciplina di attacco
e difesa, educazione fisica e mentale,
applicazione alla vita sociale . . . . 43
2
IV. Studio di personalità su soggetti praticanti judo . . 65
IV.1. Presentazione e obiettivi . . . . . 65
IV.2. Materiali e metodi . . . . . . 66
IV.3. Risultati . . . . . . . 72
IV.4. Discussione . . . . . . . 84
Riflessioni conclusive. . . . . . . . 87
Bibliografia . . . . . . . . . 91
3
Premessa
4
Introduzione. La distanza tra oriente ed occidente
Nei secoli fra oriente e occidente ci furono molti contatti costituiti per lo
più da precarie relazioni commerciali o da relazioni diplomatiche o, in
alcuni casi, da viaggiatori avventurosi come Marco Polo, che lasciarono
racconti sorprendenti in cui però è difficile distinguere il reale dal
fantastico. Questi incontri hanno costituito le relazioni fra le due estremità
dell’Eurasia che, benché sapessero della reciproca esistenza, hanno
continuato a vivere ignorandosi quasi completamente. Nemmeno le guerre
e le invasioni degli orientali nell’Europa dell’est colmarono questa
distanza. Come conseguenza, le relazioni culturali fra oriente ed occidente
furono scarsissime.
5
al combattimento, come base per essere in grado di sopraffare le
popolazioni circostanti. In particolare, fu il Medio Oriente ad avere per
primo il passaggio all’agricoltura e all’allevamento, dando un forte
vantaggio anche alle regioni circostanti, come l’Europa centrale e
occidentale, l’Etiopia, l’Egitto e, passando attraverso la Persia, la valle
dell’Indo. Questa è stata la terra d’origine della stragrande maggioranza di
piante coltivabili e degli animali che si prestano ad essere allevati1.
Questa regione, che si estende su una fascia di simile latitudine, a causa
della possibilità di coltivare le stesse piante in ambienti dal clima simile,
ha avuto un’intensa proliferazione di agricoltori che hanno potuto portare
con sé piante e animali già adattati a quel clima e insieme ad essi ogni loro
invenzione. Questo ha consentito uno straordinario aumento di
popolazione ed uno sviluppo tecnologico senza eguali nel resto del
mondo. Le prove più antiche della domesticazione in Medio Oriente
risalgono all’8500 a.C. per le piante, e all’8000 a.C. per gli animali. Ci
sono stati altri siti in cui agricoltura e allevamento sono nati in modo
autonomo anche in altre regioni, ma in tutte ciò è avvenuto in epoche
successive2.
A causa dell’isolamento dato dai deserti dell’Asia centrale, dall’Himalaia
e dall’altopiano del Tibet, la parte orientale dell’Asia rimase esclusa dalle
innovazioni partite dal Medio Oriente3.
Jared Diamond ci suggerisce inoltre che l’agricoltura cinese nacque in
modo indipendente poco dopo quella della mezzaluna fertile, prima del
7500 a.C.. Altre fonti parlano addirittura di una civiltà che nel 18.000 a.C.,
sul fiume Amur faceva già ceramica e tesseva, con cani e cavalli
1
Diamond J., Guns, Germs, and Steel. The fates of Human Societies, New York and
London, W.W.Norton & Company, 1997, tr.it. Armi, acciaio e malattie, Torino, Giulio
Einaudi, 1998
2
Ibidem
3
Ibidem
6
addomesticati e agricoltura. Comunque Diamond afferma che nel resto del
mondo non ci furono altri siti di nascita autonoma dell’agricoltura, oltre a
quello mediorientale e quello asiatico, se non dopo il 5500 a.C.4.
Nelle grandi regioni del continente asiatico, in cui le comunicazioni non
erano ostacolate da alcunché, l’agricoltura permise l’inizio di una civiltà
prolifera, con il graduale arrivo dei segni della civiltà, tra cui la
lavorazione del bronzo, nel III° millennio a.C. e la produzione della ghisa
nel 500 a.C., in anticipo sul resto del mondo. Nei successivi 1500 anni
furono molte le invenzioni cinesi, tra cui la carta, la bussola, la carriola e
la polvere da sparo. La stratificazione in classi sociali, caratteristica delle
società di agricoltori-allevatori più organizzate, è testimoniata dalla grande
varietà di tombe presenti nei cimiteri cinesi, dalle più elaborate alle più
semplici. Sono del III millennio a.C. anche i primi resti di città fortificate.
Le grandi opere pubbliche testimoniano la complessità della società
cinese, i cui governanti erano in grado di mobilitare un’enorme forza
lavoro. La scrittura sembra risalire al II millennio a.C., ma probabilmente
è più antica. Essendo più avanti riguardo all’agricoltura, alla tecnologia,
alla scrittura e alla formazione dello stato, la Cina ebbe una profonda
influenza sulle nazioni confinanti, in particolare su Corea e Giappone.
Entrambi, nonostante l’isolamento geografico, adottarono il riso nel II
millennio a.C.5.
4
Diamond J., Guns, Germs, and Steel. The fates of Human Societies, op.cit. p.6
5
Ibidem
7
I. Origini del judo
La particolare cultura da cui nasce il judo
6
Storico del Giappone e del judo, maestro di judo e presidente in carica
dell’A.I.S.E.(Associazione Italiana Sport Educazione).
7
Comunicazione personale.
8
Un elemento determinante nella civiltà giapponese è l’intensiva coltura del
riso di cui è stata capace, che gli ha permesso di avere una altissima
densità di abitanti. A questa sovrappopolazione vengono attribuite
caratteristiche come la semplicità dei costumi, l’estrema cortesia nel
comportamento formale e la ferocia delle guerre8.
La popolazione indigena, insediatasi probabilmente quando le isole
8
Reischauer, E. O., Storia del Giappone, dalle Origini ai Nostri Giorni, Bompiani, 1961
9
nipponiche erano un tutt’uno con il continente, è quella degli Ainu. Di
razza proto-caucasica9, vivevano di pesca (molto favorita dalla grande
presenza di pesci e molluschi nel Mar del Giappone), caccia e raccolta.
Come nelle popolazioni che si sostenevano senza le tecnologie
dell’agricoltura e dell’allevamento, vivevano in uno status paritario,
confermato dalle sepolture in comune. Costruivano delle terrecotte fatte a
mano, dette jo-mon, o “ceramiche cordate”10. Il modo di pescare, l’uso di
ami in osso, le abitazioni semi infossate ed i loro riti sciamanici ricordano
gli usi delle antiche popolazioni siberiane e comunque asiatiche.
Qualcuno definisce lo Shinto la religione autoctona del Giappone. In realtà
era, ed è, un insieme di pratiche sciamaniche ed animistiche che trova la
sua origine probabilmente dagli abitanti del Nord Est asiatico, in
particolare dell’attuale Corea. Queste pratiche avevano al loro centro il
culto dei kami11 e si differenziavano nelle varie località delle isole
giapponesi.
La popolazione che oggi abita le isole nipponiche non è però quella degli
Ainu. In epoche remote ci furono diverse immigrazioni, alcune sporadiche,
altre di imponente entità, da parte di popolazioni di ceppo mongolo-
tunguso e solo più tardi di popolazioni di tipo malese e polinesiano.
Queste nuove popolazioni portarono con loro l’uso del metallo e
l’agricoltura. In particolare la tribù degli Yamato sottomise le altre.
9
Popolazioni staccatesi dalla razza bianca prima che questa avesse assunto tutte le sue
caratteristiche.
10
A causa del loro motivo decorativo di corde di paglia che, nei primi esemplari,
rafforzavano il vaso.
11
I kami sono le divinità, gli spiriti dei templi, ma anche qualsiasi altra cosa, uomo, animale
o pianta con caratteristiche fuori dall’ordinario. Possono essere kami alberi, mari,
montagne, uccelli etc., se possiedono un qualche potere o caratteristica superiore, al di là
del bene e del male.
10
Due immagini del tempio shinto di Nikko, nella prefettura di Tochigi, in cui Tokugawa
Iemitsu (1604-1651) ha sepolto il nonno Ieyasu, primo shogun della famiglia.
11
Il primo eroe Yamato è Jimmu Tenno, capostipite della casa regnante dei
Tenno, rimasta a capo del Giappone fino ad oggi. Non è possibile sapere
con sicurezza quando visse. Alcuni storiografi lo pongono durante l’epoca
di Cristo, altri addirittura nel III sec. d.C.. É comunque certo che i
documenti leggendari del Nihon-shoki e del Kojiki probabilmente
esagerano nel porre la data di fondazione dell’impero Tenno nel 660
a.C.12. I primi secoli dell’impero Yamato furono caratterizzati da continue
contese per il potere, con un costante allargamento dell'influenza dei
Tenno che si susseguivano nella carica di imperatore. Nel 552 d.C. fu
introdotto in Giappone il buddhismo. All’inizio fu utilizzato come un
mezzo per acquistare potere da parte di uno dei clan vicini all’imperatore,
i Soga. Questi videro nella nuova religione un mezzo per togliere potere ai
clan rivali, legati alla tradizione e allo Shinto. Dopo il suo ingresso il
buddhismo coabitò con lo shintoismo, con cui ci furono anche dei tentativi
di sincretismo. Al momento del suo arrivo in Giappone, aveva già un
migliaio di anni, si era diffuso in molti paesi del mondo, organizzandosi
molto bene, con una grande quantità di testi scritti e tradizioni e con i suoi
tre tesori: Il Buddha, la Legge (Dharma), e l’Ordine Monastico (Sangha).
Il buddhismo fu un tramite importante per l’importazione della cultura
Cinese.13 Nel 710 d.C. l’imperatrice del momento fece trasferire la
capitale imperiale a Nara che, per la prima volta, divenne capitale
permanente. Fino ad allora veniva incendiata e ricostruita ogni volta che
moriva un imperatore, ma questa pratica rendeva inattuabile il nuovo
modello di governo centralizzato, importato dalla Cina.
12
I ricordi più antichi del Giappone sono riportati in due opere, il Kojiki (Memorie degli
antichi avvenimenti, tre libri, scritti in giapponese nel 712) e il Nihonshoki, o Nihongi
(Annali del Giappone Scritto in cinese nel 720).
13
Bersihand R., Histoire du Japon, Parigi, Payot, tr.it. Storia del Giappone, dalle origini ai
nostri giorni, Cappelli, 1961
12
Statua del Buddha nel tempio Todai, nella città di Nara
14
Le cariche politico-amministrative rimasero di nomina imperiale, mentre in Cina le
cariche venivano assegnate per motivi di merito, grazie ad un meccanismo desunto dalla
dottrina confuciana.
13
caratterizzato da difficoltà di comunicazione, quindi da maggior
indipendenza dei feudi, da cui diventava difficile riscuotere le imposte, a
differenza della Cina in cui le facili comunicazioni rendevano tale modello
efficiente. Dopo poco più di ottanta anni, Nara, costruita con estrema cura,
dovette essere abbandonata a causa dell’eccessiva influenza delle sette
buddhiste. Dopo non poche difficoltà, dovute all’abbandono di un’altra
città oramai in gran parte già costruita, la capitale fu trasferita nella nuova
Heian-kio15. L’imperatore del momento, tramite questa iniziativa, cercava
il consolidamento del suo regno e dato che le necessità economiche
aumentavano, si occupò anche di migliorare i sistemi di riscossione delle
tasse. Per questo fece costruire nuove vie di comunicazione.
La lotta contro gli Ainu, chiamati anche Ebisu (barbari), continuava nel
nord, ed intanto diventava necessaria la protezione dei magazzini e dei
depositi, che sempre più frequentemente erano soggetti a furti e incendi.
Furono costituite nuove truppe con lo scopo di combattere gli Ainu e
nuove guardie che avevano il compito ricontrollare i depositi. Questo, in
Giappone, fu il seme che determinò la nascita della classe dei guerrieri
professionisti16.
Nell’812 d.C. gli Yamato sottomisero definitivamente gli Ainu che oggi
sopravvivono nell’estremità settentrionale dell’Hokkaido e nell’isola di
Shakalin. Il periodo successivo fu caratterizzato dalle lotte, gli intrighi e le
rivolte che coinvolgevano imperatori, reggenti e dittatori. In particolare,
furono tre le grandi famiglie coinvolte in questi giochi di potere: i
Fujiwara, i Taira e i Minamoto.
Fino al 1160 d.C. furono i Fujiwara a rimanere accanto all’imperatore e a
tessere le fila del potere, ma dal 1156 d.C. i Taira iniziarono la loro ascesa
al potere assumendo il controllo del governo civile della Capitale. In
15
Capitale della pace e della tranquillità, successivamente denominata Kyoto.
16
Bersihand R., Histoire du Japon, op.cit., p.12
14
questo periodo i daymio (signori feudali), con i loro eserciti, si
raggrupparono sotto le due famiglie dei Taira e dei Minamoto. In breve
tempo, grazie anche alle guerre di Hogen e di Heiji, i Taira espansero il
loro potere. Successivamente però, con il contributo del mitico condottiero
Minamoto Yoshitsune17, la guerra Gempei portò al potere Minamoto
Yoritomo, fratello del primo. Yoritomo sarà ricordato come uno fra i
maggiori uomini di stato della storia giapponese.
17
Minamoto Yoshitsune è una figura leggendaria in Giappone, cui vengono attribuiti molti
episodi epici, ma la persona che portò veramente la famiglia Minamoto al potere fu il
fratello Yoritomo.
15
I.2. I sette secoli di governo militare
18
Draeger D. F. ("The Martial Arts and Ways of Japan "), Classical Bujutsu, New York
and Tokio, Watherhill, 1973, tr.it. Bujutsu Classico, Roma, Mediterranee, 1998
19
Questo bushido è diverso da quello che venne elaborato nel periodo Tokugawa (1600-
1868). In questo periodo si parla del bushido come Via del guerriero, proveniente dal
kyuba-no-michi, la ‘via’ dell’arco e del cavallo, dove virtù che si manifestavano in
combattimento, come lealtà e coraggio, venivano idealizzate, dove l’obiettivo primario era
quello di trascendere la vita e la morte. Nel periodo Tokugawa invece, il guerriero non
doveva più combattere continuamente come accadeva precedentemente. Il bushido di
questo periodo diventava un codice di comportamento, per tutto il popolo. Le basi di questo
secondo bushido vennero poste nel XVII secolo. Fu Yamaga Sok che scrisse “il credo
guerriero” (buky ) e “la via del samurai” (shid ), un’esposizione sistematica delle norme
che doveva seguire il guerriero, che, seguendo le idee del bakufu, oltre alle regole morali ed
alla disciplina marziale, doveva applicarsi nelle discipline intellettuali.
20
Bersihand R., Histoire du Japon, op.cit. p.12
21
Il titolo di shogun era già stato conferito ad altri generali, ma prima di allora era servito
solo per delle date missioni, in particolare contro gli Ainu, ed il titolo scadeva con il
termine delle missioni.
22
In ricordo delle condizioni nelle quali i Minamoto sbrigavano le loro funzioni
amministrative nei 5 anni di campagna contro i Taira.
16
potere solo nominale. La politica di Yoritomo diede al Giappone un breve
periodo di pace che il Paese non aveva ancora conosciuto.
17
Yoritomo era a conoscenza della differenza fra il soldato di leva ed il
guerriero professionista e, di proposito, per il suo esercito scelse il
secondo. Lo storico Donn F. Draeger afferma che il guerriero
professionista nutriva una devozione costante per la propria professione, e
si assoggettava spontaneamente agli obblighi che questa comportava tanto
che “I guerrieri di professione combattevano in quanto avvezzi alla
disciplina, erano strumenti obbedienti e, di conseguenza, fidati in
circostanze avverse. Questi, d’altra parte, attratti dalla semplicità del suo
governo, accorrevano numerosi sotto la bandiera di Yoritomo.”23
Dopo la morte di Yoritomo avvenuta nel 1199 d.C., nel giro di due
decenni tutti i suoi successori alla carica di shogun morirono. Fu quindi la
famiglia Hojo discendente da quella dei Fujiwara a prendere il potere ed a
nominare gli shogun successivi. Questi ultimi pur essendo di sangue
nobile, non provenivano dalla stirpe guerriera, e si rivelarono, spesso,
deboli mentalmente e fisicamente.
Alcuni amministratori Hojo furono capaci di dare al Giappone un governo
piuttosto solido che fruttò ai giapponesi quasi un secolo di legalità e di
ordine. Nessuno però fu abile nel governare quanto il primo shogun
Minamoto. L’equilibrio politico del Paese rimaneva ancora instabile.
Queste debolezze giocarono a favore del sorgere di una classe
indipendente di governatori militari, ciascuno dei quali possedeva il
proprio territorio. Il crescente antagonismo dei guerrieri nei confronti del
bakufu venne però acquietato temporaneamente da degli avvenimenti del
tutto nuovi al popolo giapponese.
Kubilai Khan con le sue orde di mongoli rafforzate dai soldati reclutati in
Corea, stava progettando la conquista del Giappone. Sia nel primo
tentativo di invasione che nel secondo fu probabilmente grazie alla fortuna
23
Draeger D. F., Classical Bujutsu, op.cit. p.16
18
di due tifoni (kami kaze: vento divino) che gli attacchi furono respinti.
Molto probabilmente i guerrieri giapponesi avrebbero ceduto davanti alle
forze mongole che, però, non riuscirono ad ammassarsi sulla terra ferma.
Mentre il condottiero mongolo stava progettando un terzo attacco, la sua
improvvisa morte e il disinteresse del suo successore salvarono il
Giappone da altri tentativi. Le spese necessarie ai conflitti ed al
mantenimento dello stato di tensione, anche dopo il secondo attacco
mongolo, prosciugarono le casse del bakufu e della corte. In questo
periodo erano ormai decaduti i valori etici che avevano rappresentato il
bushi (guerriero) del periodo di Yoritomo. Mentre prima, fra le virtù del
guerriero rientrava quella di una totale dedizione al signore, anche a costo
della vita, adesso l’interesse a rimanere vivi nel corso della battaglia
divenne primario. Erano pochi i bushi che continuavano ad attenersi
fermamente ai valori tradizionali del bushido.
Nel 1336 d.C. fu Ashikaga Takauji ad ottenere dall’imperatore
l’autorizzazione a diventare shogun, ed installò il suo bakufu a Kyoto.
Benché Takauji fosse un generale stimato, questo fu l’inizio di un periodo
di sfarzo e di generale declino morale, definito “età del paese in guerra”. Il
potere politico passò nelle mani di guerrieri di basso rango e di civili. La
violenza divenne all’ordine del giorno. Le scuole di bujutsu (arte militare)
trovarono beneficio in questo periodo, mentre la cultura marziale
giapponese si andava trasformando in modo radicale.
I successori di Takauji furono anche meno capaci di lui. Fu un’epoca in
cui ognuno agiva per i propri interessi. Il potere, da centralizzato, divenne
di tipo feudale, spostandosi nelle mani dei grandi proprietari terrieri o
daimyo (grandi nomi). Costoro influirono su molti aspetti della cultura
giapponese del periodo, fra i quali le scuole (ryu) marziali: Poichè i
signori non potevano permettersi eserciti composti esclusivamente dai
19
bushi classici, attinsero i loro soldati dalle classi inferiori. Le fila del corpo
armato dei daimyo si nutrirono di nuovi combattenti, i nobushi (“guerrieri
da campo di battaglia”) o ashigaru (“soldati dal piè veloce”), provenienti
dalle classi di contadini. Come distinzione dai soldati borghesi o proletari,
i bushi classici mantennero il diritto di portare due spade, mentre gli altri
potevano indossarne una sola.
L’affermazione del ji-samurai, il samurai contadino, fu aiutata dalla
diffusione delle armi da fuoco che, rispetto alle discipline classiche,
richiedevano meno tempo per essere padroneggiate. L’utilizzo delle armi
da fuoco fu decisivo anche per l’ascesa al potere di Oda Nobunaga, il
quale, pur non avendo mai studiato formalmente le discipline marziali, si
dimostrò decisamente capace nell’elaborare metodi di combattimento che
utilizzassero i nuovi elementi in gioco. Nobunaga depose lo shogun che
aveva ordito un complotto ai suoi danni, mettendo fine al regime
Ashikaga. Visse però, in un momento in cui gli intensi conflitti in atto
avevano reso lealtà ed onore ancora meno importanti di prima, tanto che
fu assassinato da uno dei suoi generali.
Fu allora Toyotomi Hideyoshi a muoversi alla conquista dell’iniziativa
politica. Alla fine del XVI secolo era ormai riuscito ad unificare il Paese.
Al contrario del suo predecessore, era contrario alla mobilità sociale che
proibì con i suoi editti. Vietò ai sudditi di possedere armi di qualunque
tipo, e fece considerare i nobushi al pari degli altri bushi. Hideyoshi colpì
così i Daimyo alla fonte della loro forza militare. Alla sua morte
Hideyoshi affidò a degli stretti collaboratori le cure del suo giovanissimo
successore, nonché le redini del governo, fino alla maggiore età
dell’ultimo. Il più potente di questi era Ieyasu Tokugawa, che prontamente
tradì il mandato di Hideyoshi, prendendo in mano tutto il potere.
Nel 1600 d.C. nella battaglia di Sekigahara affrontò i suoi oppositori,
20
sconfiggendoli, ed acquistando il potere del Giappone unificato. Stabilì il
bakufu Tokugawa a Edo24, divenendo il primo shogun della sua famiglia.
Grazie alle sue complesse macchinazioni, l’amministrazione dello
shogunato diede al Paese un periodo di pace che durò per 265 anni.
Considerato un altro dei grandi statisti giapponesi, Ieyasu stabilizzò il
Giappone adottando una serie di accorgimenti: Tra questi ci fu
l’introduzione del neoconfucianesimo, adattato alle esigenze
amministrative, allo scopo di paralizzare le classi sociali.
Nel 1640 d.C. lo shogun Yeyasu Tokugawa, per bloccare l’invasione del
cristianesimo, isolò il Giappone dal resto del mondo, con cui manteneva
dei labili rapporti solo attraverso l’isolotto di Deshima, nell’insenatura
della città di Nagasaki.
Per smorzare la pericolosità dei daimyo, l’amministrazione Tokugawa li
obbligava allo sfarzo ed alle cerimonie, tenendoli eccessivamente occupati
e gravati, anche dal punto di vista economico.
Erano i bushi di provincia quelli che più facilmente riuscivano a
mantenere lo spirito marziale di un tempo, essendo più lontani
dall’influenza dello shogunato. In questo periodo l’armatura cadde in
disuso, e cominciarono a nascere sistemi di combattimento in cui le armi
non erano presenti o lo erano molto poco. Dreager afferma che fu in
questo periodo che venne coniato il termine budo ad indicare dei sistemi di
combattimento in cui l’efficacia perdeva interesse a beneficio di altri
aspetti. Alcune scuole presero come obiettivo il piacere estetico della
pratica, altre si affidarono totalmente a principi di flessibilità e duttilità.
Secondo Draeger il tema centrale di queste scuole divenne il principio ju
yoku go o sei suru (la flessibilità domina la rigidità).
24
Dal novembre 1968 diventerà Tokyo (Capitale dell’est)
21
I.3. Nascita del Judo e personalità del suo fondatore
Il bakumatsu (fine del bakufu) è il periodo della decadenza e del crollo del
bakufu Tokugawa che portò alla cosiddetta Restaurazione Meiji (1868),
quando l’imperatore, dopo più di sette secoli, tornò ad assumere l’effettivo
potere sul Paese. Fu la forza bellica delle navi occidentali, prime fra tutte
quelle americane, le “black ships” del Commodoro Perry, ad imporre una
nuova era al Giappone. Interessati ad avere basi navali che li accogliessero
dopo la traversata oceanica, e ad instaurare rapporti commerciali, gli
americani imposero l’apertura dei loro porti. Rendendosi conto della
potenza militare degli occidentali, il Giappone iniziò un veloce
procedimento di rivoluzione statale, sociale e militare: Questi
cambiamenti erano tesi ad acquisire quegli elementi che l’avrebbero
portato ad essere in grado di trattare con le nazioni industrializzate, da pari
a pari.
Durante lo shogunato Tokugawa o periodo Edo, i sistemi di lotta corpo a
corpo che nelle scuole di bujutsu delle epoche precedenti erano
raggruppati sotto il termine generico kumi-uchi25, vennero modificati, ed il
loro adattamento alle esigenze degli uomini che vivevano in un periodo di
pace diede luogo ai sistemi di combattimento denominati jujitsu. Adesso,
oltre ai guerrieri, vi si dedicavano anche sudditi comuni. Altri termini
utilizzati nella denominazione di queste scuole di combattimento erano
yawara sinonimo dell’ideogramma ju di jujitsu o taijutsu, letteralmente
“arte del corpo”.
22
prodigio per i continui successi a scuola, pur essendo di corporatura molto
piccola e non eccellendo negli esercizi fisici. All’età di tredici anni lasciò
Mikage per andare a studiare alla Scuola di Studi Britannici a Tokyo. Fu
in quel periodo che pensò di dedicarsi al jujitsu. La disciplina però era
considerata obsoleta e volgare e la famiglia ostacolò Jigoro nella ricerca di
un insegnante.
Fu nel 1877 che Jigoro Kano, superata l’opposizione dei genitori, si
iscrisse ad una di queste scuole di jujitsu. Era la scuola Tenshin-shin’yo,
guidata da Hachinosuke Fukuda che era stato allievo del fondatore Iso
Mataemon.
23
Tenshin-shin’yo faceva parte delle scuole civili, il fondatore, comunque,
un samurai26, non perse di vista il realismo del combattimento nei suoi
insegnamenti27.
Alla morte di Fukuda, nel 1879, per la passione e la preparazione
dimostrati nella disciplina Kano ricevette i densho dalla famiglia.
Nella tradizione delle scuole di bujutsu, i densho erano i libri dei principi
della scuola, che autorizzavano chi li riceveva all’insegnamento.
24
nasceva in questa data (febbraio 1882), il Judo-Kodokan iniziò più tardi,
attorno al 1883, quando Iikubo consegnò al suo allievo il diploma di
insegnamento (Menkyo-kaiden) e le reliquie della scuola così che Kano ne
divenne il responsabile, procedendo ad insegnare secondo i principi che
aveva maturato.
Diploma Menkyo-kaiden
rilasciato a Kano da Ikubo
Tsunetoshi nel 16° anno
dell’epoca Meiji (1883).
30
Barioli C., L’avventura del Judo, Milano, Vallardi, 2004
25
per confrontare idee, arrivando a scambiarci qualche volta gli scritti esoterici
con cui nel passato si tramandavano le esperienze profonde; personalmente
mi procuravo materiale di ogni tipo: dai densho ai diplomi di trasmissione
che gli uomini d’armi di un tempo custodivano gelosamente nel tesoro di
famiglia, ma che ormai potevo trovare dai rigattieri.31
Riunione dei maestri per la definizione dei kata (le forme contenenti i principi
della scuola) del Kodokan Judo svolta al Budo-semmon-gakko nel 39° anno
dell’epoca Meiji (1906).
Al centro della fila a sedere Jigoro Kano.
26
dei guerrieri, furono letteralmente eliminate. I contemporanei di Jigoro
Kano che custodivano i segreti del jujitsu furono, in molti casi, costretti a
vivere con altri mezzi. A volte erano portati a svendere le loro arti con
esibizioni che avevano il solo intento di stupire il pubblico. C’erano
persino delle scuole che tenevano condotte indisciplinate, cercando risse
ed aggredendo i passanti. Il prof. Kano voleva rendere evidente la
differenza fra queste pratiche ed il metodo da lui proposto. Vista
dall’esterno la pratica del jujitsu era un qualcosa di violento, cui si
associavano ferite di ogni genere, ma come affermò lo stesso Kano:
”Quando si parlava di arte della spada o di jujitsu, nessuno immaginava
che si trattasse della preziosissima disciplina che tramandava la
quintessenza della cavalleria samurai.”32 Egli riteneva però necessario
mantenere un rapporto con il passato, verso cui si reputava riconoscente.
Questo è uno dei motivi per cui il nome della sua disciplina fu cambiato
solo in parte rispetto al nome jujitsu da cui proveniva, mantenendone il
primo dei due ideogrammi (ju). L’elaborazione del metodo judo che ci è
stata presentata da Jigoro Kano ha richiesto intensi studi, con il
coinvolgimento di numerosi maestri delle discipline classiche.
Draeger ci riporta che, per quanto riguarda l’aspetto tecnico, gli anni di
maggiore cambiamento, rispetto all’iniziale sintesi delle scuole Tenshin-
shin’yo e Kito, furono i primi cinque dalla fondazione del Kodokan.
Cunningham33 parla dei numerosi maestri di scuole di jujitsu coinvolti
nell’elaborazione del Kodokan Judo. In alcuni casi fu Kano che, in qualità
di allievo praticante, si fece insegnare direttamente le tecniche e i principi
delle specifiche scuole. Per altre scuole coinvolse i rispettivi maestri,
alcuni dei quali divennero a loro volta suoi allievi. Infine altri insegnanti
32
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
33
Storico ed esperto di judo
27
dettero il loro contributo rimanendo all’esterno del Kodokan.34
La personalità di Jigoro Kano fu fondamentale perchè il Kodokan Judo
riscuotesse il successo di cui fu capace. Mentre trasformava il jujitsu, che
come abbiamo osservato era una disciplina malfamata, in judo, con il suo
enorme successo nazionale e poi mondiale, fu capace di influire su altri
aspetti del Giappone.
Trascorse una vita molto intensa. Ebbe notevole successo nelle sue attività
e questo è probabilmente dovuto al particolare momento storico in cui
visse, oltre che alla sua non comune personalità. Il Giappone viveva in
questo periodo delle profondissime trasformazioni, passando dal regime
feudale in cui era rimasto per diversi secoli, chiuso all’esterno e alla
modernità, ad un nuovissimo assetto governativo e sociale. C’era bisogno
di volenterosi che si dessero da fare nell’organizzare il nuovo sistema
sociale. La carriera universitaria di Kano iniziò nel 1877 quando si iscrisse
al corso di lettere della nascente Università di Tokyo, in cui erano previsti
studi in politica, economia, filosofia, letteratura giapponese e cinese. Dopo
la laurea conseguita nel 1881, rimase nell’Università come studente
specializzando. L’anno successivo iniziò l’insegnamento in materie quali
politica ed economia. Gli vennero poi affidati nuovi incarichi di docenza,
e nel 1889 partì per il suo primo viaggio in Europa.
Il Giappone cercava di capire come gli stati occidentali organizzavano e
gestivano i loro apparati militari, sociali e governativi. Kano si era
occupato da vicino del problema dell’educazione e conosceva a fondo i
classici cinesi e giapponesi. Al suo ritorno dall’Europa gli venne affidato
l'incarico di consigliere nel Ministero dell'Educazione.
Contemporaneamente a questo incarico gli venne affidata la presidenza di
34
“Le Arti all’Origine del Judo”, Kyu-shin Do, n° 39, Agosto 1996
28
una scuola media superiore, poi quella della Scuola Superiore Magistrale.
Nel 1896 venne incaricato di provvedere all’istruzione degli studenti
cinesi in Giappone. Nel 1902 venne incaricato di un progetto di
alfabetizzazione per la Cina. Per 26 anni fu Direttore della Scuola
Normale Superiore. Nel febbraio del 1922 venne a far parte della Camera
Alta giapponese (Senato). Viaggiò moltissimo, soprattutto in
considerazione del periodo e della lontananza del Giappone dall’Europa.
Per ben nove volte si imbarcò alla volta dell’occidente, ed anche se non
era ufficialmente Ministro degli Esteri, ne svolse le funzioni. Fu il primo
Presidente del Comitato Olimpico giapponese. Era un internazionalista ed
un pacifista e vedeva nel judo un mezzo per ottenere una miglior
collaborazione fra i popoli. Morì il 5 maggio 1938, sulla Hikawa-maru, la
nave che lo stava riportando in Giappone. Secondo fonti non certe, in un
Giappone che si preparava alla guerra Jigoro Kano fu ucciso a causa delle
sue posizioni internazionaliste e pacifiste.
29
Prof. Jigoro Kano
30
II. Struttura del judo. Proposta del judo come metodo educativo
31
Wang Yang-Ming dal momento che ognuno possiede un senso morale
innato, ciò che conta di più è il dimostrare questa morale con i fatti, più
che con le parole. Alla base di questo orientamento vi è il controllo della
propria mente, ottenuto tramite lo sforzo fisico35. Benché non accettata
dallo shogunato, questa seconda scuola ebbe una certa diffusione fra i
pensatori liberi del Paese, ed è probabilmente da questa che si evolve
l’interpretazione nipponica del tao.
35
AAVV, Sources of Japanese Tradition, (“Introduction to Oriental Civilizations”), New
York, Columbia University Press, 1958
36
Tao Te Ching: Libro Della Via Virtuosa. Quest’opera è il libro tradotto più volte al
mondo dopo la bibbia e contiene, si dice, i precetti dell’antico filosofo cinese Lao Tzu.
37
Draeger D. F., Classical Budo, op.cit. p. 24
38
Versetto 48 del Tao Te Ching
32
concreta tramite la ragione, nel tao si ricerca invece l’elevazione della
coscienza al di là del se, ottenibile tramite lo sforzo fisico. In Cina ci sono
state molte speculazioni sul tao, ma, secondo quanto affermato da Draeger
“i giapponesi, meno inclini alle speculazioni astratte in merito ad una vita
ultraterrena e più vicini a una concezione pragmatica, consideravano il tao
- do in giapponese - quale concetto più realistico, applicabile all’uomo
nelle sue relazioni sociali. ”39 La base della concezione del do giapponese
risiede quindi in Cina. Ma come per altri aspetti della loro cultura, i
giapponesi gli hanno dato un carattere peculiare. Il do o la ‘via’ venne
recepita dai giapponesi come percorso da seguire nella vita. Un percorso
con delle caratteristiche ben precise che, con poche eccezioni, non sono
improvvisabili da chi non ha vissuto questo percorso in prima persona. La
‘via’ conduce, attraverso la pratica prescritta, al perfezionamento dell’io,
eliminando l’illusione dalla percezione del mondo, grazie al distacco della
propria coscienza dall’influenza esercitata dalle passioni e dalla mente
incontrollate. In questo senso al conseguimento, o forse è meglio dire
all’avvicinamento, a questo stato di perfezione del sé, si parla di
illuminazione (satori). L’illuminazione porterebbe ad uno spostamento
dell’attenzione dal particolare all’universale40.
Naturalmente la saggezza che nasce dalla ‘via’ in un individuo, secondo
queste correnti di pensiero, è considerata più importante dell’erudizione o
delle capacità motorie.
Secondo la Nippon Bunka Renmei “La cultura giapponese è rappresentata
al meglio nei paradigmi della ‘via’. ”41 che per altro i giapponesi hanno
realizzato attraverso molti mezzi. Le ‘vie’ che hanno realizzato sono
molte, tra cui kado (sistemazione dei fiori), shodo (calligrafia), chado
39
Draeger D. F., Classical Budo, op.cit. p.24
40
Ibidem
41
“Do: la Via”, Kyu-shin Do, n° 36, Febbraio 1996
33
(cerimonia del tè) etc. In ognuna il fine è un avvicinamento alla natura e
l’acquisizione di un alto senso di umanità. Caratteristica comune a tutte
queste ‘vie’ e che possiamo considerare centrale nella loro metodologia è
quella di utilizzare, per il perseguimento dei propri fini, l’azione.
34
combattimento.
Fu nell’era Meiji che, il prof. Jigoro Kano, eseguì questo passaggio in
maniera decisa, da un genere di discipline che avevano come finalità
l’efficacia in combattimento, le scuole di jujitsu, ad una disciplina che si
poneva come fine inequivocabile il valore formativo del do.
Nell’esperienza che il giovane Kano andava maturando nella pratica del
jujitsu, si rendevano chiari i cambiamenti ottenuti tramite questa pratica
fisica, perché, come egli dice:
44
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
45
Kano J., “Shin Nihon-shi”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
35
II.2. I fondamenti del judo: “il miglior impiego dell’energia” e “tutti
insieme per crescere e progredire”
36
solo una minoranza non lo approvasse apertamente.”46 Comunque le
interpretazioni apparivano in genere come poco razionali. Ad esempio nel
caso del principio “go-go ju, ni-hachi ju” (cinque-cinque dieci, due-otto
dieci), secondo cui ”se il nemico spinge con cinque unità di forza, tu tira
con cinque unità; il risultato è di dieci unità. Se quello tira con otto unità,
tu spingi con due; la somma è sempre di dieci unità”47 rimaneva
abbastanza criptico. Kano sentì il bisogno di approfondire il problema,
arrivando a suggerire questa esemplificazione del principio ju:
Supponiamo che un uomo (A) di forza 10 si scagli con tutta la sua potenza
contro un altro (B) di forza 7; è chiaro che B risulterà perdente, se anche
vuole opporsi impiegando tutta la forza che possiede. Ma se invece questi,
mantenendo una posizione equilibrata, arretra senza opporsi, ossia si adegua
alla forza nemica, la logica vuole che mentre B mantiene intatta la sua forza
di sette unità, A perda i tre quarti di quella che possiede, dato che il suo
attacco, incontrando il vuoto, agisce contro se stesso, facendolo vacillare in
avanti; l’evento si trasforma allora in uno scontro fra la forza 7 di B e la
forza 2 o 3 restante a A, con una grande possibilità di vittoria per l’uomo di
forza inferiore.48
…se vengo assalito da un avversario che mi spinge con una certa forza, non
devo contrastarlo, ma in un primo momento debbo adeguarmi alla sua
azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli
piegare il corpo in avanti in modo che perda l’equilibrio; a questo punto la
capacità aggressiva del mio rivale è nulla e basta che io impieghi una tecnica
46
Draeger D. F., ("The Martial Arts and Ways of Japan "), Modern Bujutsu and Budo, New
York and Tokio, Watherhill, 1974, tr.it. Bujutsu e Budo Moderno, Roma, Mediterranee,
1998
47
Ibidem
48
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
37
adeguata per rovesciarlo con facilità. Nel caso opposto, se l’avversario mi
tira con tutto il suo corpo, io non solo devo adeguarmi alla sua forza, ma
spingerlo ancora più energicamente della potenza con cui vengo tirato,
cosicché egli, come nel primo esempio ma nel senso inverso, perde
l’equilibrio e risulta vulnerabile a essere proiettato a terra con il minimo
sforzo. Ho qui descritto i casi n cui si viene spinti o tirati, ma la teoria vale
per ogni direzione in cui l’avversario eserciti forza.49
Uno dei pregi dello studio di Kano era la costante ricerca di un riscontro
pratico per le sue teorie. Ad esempio risultando inattuabile l’applicazione
del principio ju per la presa alla schiena, diventava necessario contrapporsi
alla forza dell’avversario:
49
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
50
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
38
uno scatto, buttiamo il corpo in dietro, provocando la caduta di entrambi
supini, ma noi essendo sopra e il rivale sotto. Così il nemico, oltre a subire
una botta sulla schiena, deve sobbarcarsi il nostro peso accresciuto dalle
leggi dinamiche. A meno che non si tratti di un soggetto dal fisico
eccezionale, caccerà un gemito di dolore, allentando la presa. Senza perdere
tempo allora, ruotiamo il corpo per sfuggire alle sue braccia.51
39
ispiratore della teoria del judo? Oltre a dei motivi di riconoscenza verso il
passato, ci sono altre cause che giustificano il mantenimento
dell’ideogramma. Il principio dell’adattabilità, se considerato sotto un
altro punto di vista, non è slegato dal principio del miglior impiego
dell’energia. La massima “ju yoku go o sei suru”, l’adattabilità vince sulla
forza, deriva dal Tao Te Ching. Quest’ultimo afferma che il movimento
del tao è reversibile. Essendo il tao una rappresentazione dell’universo, si
intende quindi che l’universo stesso è reversibile, ovvero sempre in
mutamento. Sempre il Tao Te Ching afferma che le cose che mutano, che
sono quindi flessibili, adattabili, sopravvivono più facilmente rispetto a ciò
che è rigido e non adattabile, destinato invece a morire. Interpretando
questo principio come principio di adattabilità alle situazioni riscontrabili
nell’attacco e difesa, quindi non più come semplice principio di
adattabilità alla forza dell’avversario, il ju diventa un fondamento del
miglior impiego dell’energia. È solo tramite l’adattamento (ju) alla
situazione contingente che diventa possibile l’applicazione del miglior
impiego dell’energia. Quest’ultimo prevede, infatti, di interpretare
continuamente le nuove situazioni, con le loro particolarità, per potervicisi
adattare, e quindi agire nel modo migliore. Un’idea fissa, non adattabile,
ad esempio, potrebbe far male interpretare una situazione, portando
all’impossibilità di applicare il miglior impiego dell’energia.
Il jujitsu era visto come una delle branche del bujitsu, in particolare quella
del combattimento a mani nude che ambiva ad essere considerata alla
stessa stregua delle varie arti di maneggio della spada, tiro con l’arco, uso
della lancia etc.. Allargandone il significato oltre le discipline di
combattimento, il prof. Kano proponeva di intendere il jujitsu come l’arte
nell’uso del miglior impiego dell’energia in qualunque campo della vita. Il
40
bujitsu sarebbe quindi diventato una delle branche del jujitsu. Ed il judo
sarebbe la ‘via’ che porta all’utilizzo del miglior impiego dell’energia.
Jigoro Kano giustifica inoltre il fatto che jujitsu e judo abbiano dei nomi
che non ne dimostrano in modo preciso le caratteristiche, facendo notare
come sia uso abbastanza comune quello di chiamare le cose in modo da
richiamare solo aspetti particolari, o parziali di ciò che individuano.
Questo non deve però far confondere su quale sia la natura di judo e
jujitsu, definite da Kano come: “l’arte (jujitsu) o la via (judo) della
massima efficacia nell’uso dell’energia.”53
Il postulato ideale del miglior impiego dell’energia viene meglio definito
da Jigoro Kano da un altro principio: ji-ta kyoei, o “tutti insieme per
crescere e progredire”, con cui si negano le interpretazioni del miglior
impiego dell’energia a fini egoistici o di parte. Il miglior impiego
dell’energia utilizzato per dei fini egoistici è in contrasto con l’idea del
judo proposta dal prof. Kano, che riprende il concetto di ‘via’ della natura
umana ed afferma che un uomo vale nella misura in cui è utile agli altri.
Caratteristica centrale del metodo proposto da Kano è quella di mirare alla
formazione di individui che si rendano conto di essere parte di un tessuto
sociale più ampio di loro e che si impegnino per il miglioramento di sé
stessi e di coloro che gli sono, più o meno, vicini.
53
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
41
Calligrafie del prof. Kano sulle massime del judo: Sei ryoku-zen'yo (il miglior
impiego dell’energia) e ji-ta kyoei (tutti insieme per crescere e progredire).
42
II.3. Le tre culture del Judo: Disciplina di attacco e difesa, educazione
fisica e mentale, applicazione alla vita sociale
Constatato ciò in prima persona decise quindi che andava posta una
particolare attenzione a questi aspetti correlati, tanto da fargli affermare,
ad un certo punto:
Così approdai alla convinzione che la tecnica di attacco e difesa non era
l’unico aspetto utile alla formazione dell’essere umano. Altrettanto
importante era il frutto che scaturiva da tale addestramento psicofisico, che
poteva essere applicato con facilità anche in occasioni della vita che
esulavano dal combattimento.55
54
Barioli C., L’avventura del Judo, op.cit. p. 25
55
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
43
combattimento e, per ampliare l’obiettivo finale, mi sono basato su tre
argomenti fondamentali: 1° la ricerca della verità ultima della vita, 2° il
progresso fisico-spirituale ottenuto attraverso un rigoroso addestramento, 3°
il perfetto apprendimento della tecnica di attacco e difesa.56
Il punto di partenza dal quale il prof. Kano costruì il suo metodo, è l’arte
di attacco e difesa. Nell’elaborare il Kodokan Judo, per il quale come
abbiamo detto impiegò quaranta anni dalla data di fondazione ufficiale del
Kodokan, studiò un grande numero di scuole di jujitsu, fra cui le più
importanti tra quelle presenti alla fine del periodo Tokugawa. Era un
momento di degrado del jujitsu, e riconoscendo la genialità di Kano nel
comprendere i principi che stavano alla base delle varie scuole, i maestri
gli si avvicinavano, gli confidavano i segreti delle loro scuole, riponendo
in lui la fiducia per l’avvenire delle loro arti. Kano elaborò la didattica del
judo in modo che potesse essere appreso minimizzando il pericolo di
incidenti, i quali rimanevano una caratteristica di molte scuole di jujitsu.
Nonostante ciò, nelle occasioni che si presentarono al judo per
confrontarsi con le scuole di jujitsu, si dimostrò decisamente efficace
come disciplina di combattimento. In particolare è ricordato lo scontro
avvenuto in occasione della ‘Grande Dimostrazione delle Arti Marziali’
organizzata dalla prefettura di polizia di Tokyo. La fama del judo rese
inevitabile lo scontro con la scuola Totsuka, considerata, fino ad allora la
più forte di tutto il Giappone. Il judo, in quell’occasione, ottenne una
56
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
44
vittoria schiacciante57. Fu anche grazie a questi successi che si affermò in
modo così determinante in Giappone. Le ricerche tese al perfezionamento
della disciplina di attacco e difesa, continuarono anche dopo questi
incontri, arrivando alla creazione di un istituto di ricerca di bujitsu (arte
militare), che ponesse attenzione anche ai metodi di altri paesi.
57
Barioli C., L’avventura del Judo, op.cit. p. 25
45
essere fine a sé stessa, ma deve essere coltivata perché utile alla vita. Egli
affermava che “lo scopo dell’educazione fisica sta nel rendere forte il
corpo in modo che, addestrandolo, esso acquisti l’adattabilità richiesta
dalla vita che ognuno conduce.”58 In questo modo perdeva di senso
l’educazione fisica mirante ad un potenziamento oltre le necessità della
vita, come invece accade in molti sport moderni. Kano sosteneva la
negatività dell’abuso e dell’eccesso nelle attività sportive, affermando che
le esagerazioni in tali attività portano a rischio di compromissione nello
sviluppo fisico. Secondo Kano “il fisico ideale è quello che si presenta
normale e non presenta caratteristiche di sorta, ma non appena passa
all’azione, rivela la sua funzionalità muscolare, le cui energie sono tanto
duttili da essere impiegate in qualsiasi direzione e nella misura
necessaria.”59
La proposta di educazione fisica del judo deve però essere
contestualizzata. Nel pensiero orientale ed in particolare in quello
giapponese non vi è la separazione fra mente e corpo che, invece, ha
caratterizzato il risultato della discussione filosofica occidentale, e che
tutt’oggi determina il nostro modo di fare educazione. Nella cultura rentai
Kano include l’educazione mentale. Benché vi sia stata discussione
filosofica riguardo al tema della differenziazione e divisione tra mente e
corpo, questa nei paesi orientali non ha portato ad una concezione
dell’essere umano in cui mente e corpo sono indipendenti l’uno dall’altra.
Il concetto di educazione fisica è quindi legato all’educazione mentale.
Quest’ultima non viene intesa tanto come crescita nozionistica, piuttosto
come crescita di capacità e abilità, quali l’attenzione, la concentrazione ed
altre ancora. Secondo Kano infatti “…la palestra offre numerose occasioni
per addestrare la mente; ad esempio nell’esercitazione del kata e del
58
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
59
Kano J., “Judo”, 1936, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
46
randori60 si può perfezionare la capacità di osservazione, immaginazione,
discernimento, ecc.”61
Sulla base della concezione di educazione fisica del judo, Kano critica
perciò quella di altri metodi, da lui conosciuti nei suoi viaggi all’estero:
Inoltre secondo Kano la comprensione del “segreto intimo” del judo sta
60
Kata e randori sono forma e non forma, i due estremi didattici utilizzati nel judo, a
rappresentazione della sua pratica.
61
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
62
Kano J., “Sakko”, 1927, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
63
Ibidem
64
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
47
nella capacità di controllare i propri sentimenti. In questo modo diviene
più facile l’applicazione del miglior impiego dell’energia nel proprio
agire, mancando l’influenza negativa di certi eccessi nei sentimenti. Ed
infatti ad opinione di Kano:
La pratica del judo che, quindi, dovrebbe coinvolgere l’individuo nella sua
totalità, porterebbe al controllo di sé stessi: “un animo ben allenato
nell’esercitazione mentale del judo non conosce tormento, né viene
travagliato dall’ansia o dalla preoccupazione66”
Quanto detto fino ad ora riguarda quello che Kano considerava kogi judo,
ovvero judo inferiore. Esso costituisce la base per attuare il kyogi judo, o
judo superiore; perchè
65
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
66
Ibidem
67
Ibidem
48
Ed è proprio attraverso il controllo dei propri sentimenti, ottenuto tramite
la pratica del judo come via, che il judoista può applicare il miglior
impiego dell’energia nel kyogi judo; dal momento che
Kano afferma poi che l’applicazione del judo alla vita sociale significa
agire seguendo il miglior impiego dell’energia. Egli individua i campi su
cui il judoista deve impegnarsi all’inizio del suo lavoro nel kyogi judo.
Kano sostiene che “[p]rima di tutto vanno affrontate le questioni di
abitazione, alimentazione e vestiario, che sono di primaria importanza e in
cui oggi abbonda lo spreco.”69 La pratica del judo deve quindi portare ad
un rinnovamento nei vari campi della vita personale, grazie
all’applicazione del miglior impiego dell’energia. Ma l’applicazione alla
vita sociale, se vista come coltivazione della propria virtù, quando
consideriamo il miglior impiego dell’energia un principio morale o etico,
non è automatica. Benché la pratica del kogi judo, aumenti le potenzialità
dell’individuo, grazie all’esercitazione fisica e mentale, il kyogi judo non
ne è un risultato scontato. Richiede invece un impegno ulteriore del
praticante poiché non è una ragione sufficiente
[i]l fatto che ogni occasione sia utile anche per l’addestamento morale e per
coltivare la virtù, ma perché questo diventi una seconda natura ci vuole uno
68
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
69
Ibidem
49
sforzo di volontà70
70
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
71
Kano J., “Sakko”, 1926, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
72
Kano J., “Judo”, 1915 e 1916, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
50
III. Judo nel XX secolo. Diffusione del metodo dopo la morte del
fondatore
73
Barioli C., Marcello Bernardi e il judo, il giorno dell’utopia, Milano, Vallardi, 2003
74
(1922-2001) Specialista in Clinica Pediatrica, docente di Puericoltura e di Auxologia,
con un centinaio di pubblicazioni scientifiche e numerosi testi divulgativi tra i più noti nella
puericultura. All’insaputa di molti Bernardi era anche un esperto sostenitore del judo.
75
Yudansha: Portatori di grado, ovvero esperti, coloro che nella pratica indossano la cintura
nera.
51
promozione del judo, tanto che oggi lo esercitano milioni di persone.76
76
Kano J., “Sakko”, 1930, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
52
territorio nazionale, seppure con il compito ristretto alla presentazione dei
candidati, senza potere decisionale. Intanto il numero dei discepoli
aumentava ancora comportando l’impossibilità di esaminare con attenzione
ogni singolo caso…77
Il controllo della diffusione del judo, in tutti i suoi aspetti, doveva essere
sempre più demandato dal controllo diretto del prof. Kano. Gli aspetti di
più difficile interpretazione e comprensione della disciplina del miglior
impiego dell’energia duravano quindi fatica ad essere recepiti dalla
crescente popolazione judoistica. Nel 1922 Kano scriveva di quanto
avesse constatato, affermando che
77
Kano J., “Sakko”, 1930, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
78
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
53
Sin dai primi anni del Kodokan, la grande affermazione del judo rese
difficile dare una risposta sufficiente alla crescente domanda di insegnanti.
La formazione di questi ultimi era un processo che richiedeva molti anni
di lavoro. Nell’introduzione del testo 'Judo Kyohan', Sakujiro Yokoyama,
uno dei membri del Kodokan più vicini al prof. Kano, evidenzia questo
problema laddove
79
Yokoyama S. e Oshima E., Judo, Tokyo, Nishodo, 1915
54
come arte marziale80.
Fino a quel momento, con poche eccezioni, il judo era stato praticato per
lo più in Giappone. Solo Kano e qualche suo allievo lo avevano introdotto
in Europa ed in America, senza però suscitare troppo scalpore. Dopo la
guerra la diffusione riprese a pieno ritmo. Nel 1952 erano presenti in
Giappone circa 200.000 cinture nere81. Nel 1961 il periodico “Budo-
Presse” riporta una serie di articoli in cui viene analizzata la situazione del
judo in molti paesi del mondo: Tra Germania dell’Est e dell’Ovest ci sono,
in quell’anno, circa 62.000 praticanti; in Belgio il numero di praticanti non
è preciso, ma si parla di decine di migliaia di praticanti; in Spagna sono
circa 6000; in Asia, la Cina conta 100.000 praticanti, e le Filippine
20.00082.
80
Robert L., Du Judo, Verviers, Les Nouvelles Editions, 1977, tr.it. Judo, Milano, Pan
Libri, 1991
81
Ibidem
82
“Judo Kodokan Review”, vol. XI, n°3, maggio 1961 e vol. XI, n°4, settembre 1961
55
III.2. La chiave interpretativa dell’occidente
56
come sede della debolezza umana, luogo più lontano da Dio. In quanto
luogo distante da Dio ed in contrapposizione allo spirito, che invece è sede
del rapporto con la divinità, il corpo è origine del peccato e del male. La
carne senza lo spirito, ovvero senza Dio, non ha vita in quanto la vita
origina da Dio85.
Nonostante questa separazione sia stata ormai superata nella discussione
filosofica e pedagogica degli ultimi decenni, le sue conseguenze sono
ancora radicate nelle istituzioni educative. Nella scuola rimane il primato
della mente e dell’educazione intellettuale.
Il judo nasce da una cultura in cui questa separazione, benché riconosciuta
ed empiricamente utilizzata, non ha scalfito la visione unitaria dell’essere
umano e la coscienza del profondo legame tra mente e corpo. La cultura
orientale, a partire da quella indiana e poi cinese, ha lungamente riflettuto
su questi argomenti e la speculazione filosofica ha distinto chiaramente
non solo la differenza tra corpo e mente, ma anche quella del cosiddetto
spirito, o anima. Certo un approfondimento di questi temi non è oggetto di
questa tesi, ma possiamo supporre che abbiano influenzato la lettura del
judo. Essendo quest’ultimo una disciplina che include una intensa pratica
fisica, possiamo dire che sia stato accolto come semplice disciplina
sportiva.
85
Galimberti U., Il corpo, op.cit. p.56
57
III.3. Il judo oggi: sport o ‘via’?
In un articolo del numero di marzo del 1961 della rivista “Judo Kodokan
Review”, Il Segretario della Federazione Giapponese di Judo, Tatsuo
Hisatomi, in una discussione riguardante l’introduzione della disciplina
nelle Olimpiadi, afferma che “… il judo sport è l’evoluzione dei cosiddetti
‘randori’ competizione.86”
Il randori è l’esercizio libero del judo, in cui l’allievo ha la possibilità di
applicare le tecniche studiate negli esercizi formali (kata). Il randori
competizione è una versione particolare di questo esercizio in cui le
azioni effettuate da due praticanti vengono valutate da un terzo.
Jigoro Kano aveva già sottolineato il valore di queste esercitazioni nel
judo, che non erano presenti nei primi tempi della scuola. Secondo il
fondatore, questi tornei, potevano essere integrati nel percorso formativo
del judoista a determinate condizioni:
Anzitutto i tornei scolastici sono solo un’espressione del judo, una variante
di esercizio che abbiamo scoperto per caso lungo il nostro cammino. E da
qui deriva la priorità assoluta della loro motivazione, cioè che questi tornei
sono un momento di preparazione a avvenimenti futuri della vita, di cui
ignoriamo il tempo e il luogo, ...87
86
Judo at the olimpic games, “Judo Kodokan Review”, vol. XI, n°2, Marzo 1961
87
Kano, Jigoro, “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
58
costituita dai desideri e dalle paure.
Cosciente del fatto che le competizioni sono solo un aspetto del judo
inteso come metodo educativo, Hisatomi afferma che “il judo come sport è
solo un aspetto del judo nel suo complesso.” E proprio per questo motivo,
per il judo sportivo venne proposto un altro sistema di graduazione,
diverso da quello utilizzato per il judo nel suo complesso. Era evidente che
un campione, anche di alto livello agonistico, non avesse bisogno di
conoscere tutto il judo, tecnicamente e moralmente, come invece era
richiesto ai gradi alti del metodo judo, pur essendoci la possibilità per
questi ultimi di essere meno forti in gara. Questo diverso sistema di
graduazione non è però mai stato realizzato e per quanto ne sappiamo,
neanche ridiscusso.
I randori arbitrati, cui Kano propose una regolamentazione nel 191588,
motivata dalla grande diffusione del judo e dalla conseguente necessità di
trovare delle regole comuni, entravano quindi a far parte del kogi judo
(judo inferiore) che, come abbiamo visto, ha senso come base per
l’applicazione del kyogi judo (judo superiore). Il prof. Kano sottolineava
inoltre gli aspetti sociali ed aggregativi di questa pratica, come momento
di incontro dell’altro:
88
Kano J., “Judo”, 1915, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
59
domani saremo insieme a lavorare per la causa del Paese e della società.89
Ma Kano si accorse molto presto del fatto che determinati elementi del
randori venivano facilmente male interpretati, divenendo un fattore che
andava in contrapposizione alla crescita personale a cui mirava invece il
metodo nel suo complesso. Argomenta infatti Kano che “…nell’esercizio
di palestra esiste l’ostacolo imperioso del desiderio di vincere. Distratti da
questo obiettivo impellente molti tralasciano di riflettere sia sulla teoria
che ispira la pratica del combattimento, che sulla necessità di
miglioramento morale.”90 Questa riflessione si sposta anche su quegli
aspetti che, se esercitati in modo non corretto, hanno degli effetti negativi
sulla cultura rentai, riguardante l’educazione fisica e mentale: “Ho sempre
detto che, se viene esercitato correttamente, il judo è il mezzo più efficace
e valido per addestrare la mente e il corpo, mentre diventa nocivo,
mentalmente e fisicamente, se viene praticato in modo sbagliato ed
erroneo.”91 Ad esempio il professore si sofferma su una posizione che i
judoisti, se non guidati correttamente nell’esercizio, tendono facilmente ad
acquisire:
Una parola sulla posizione col bacino all’indietro. Come ho ripetuto più
volte, fissarsi sul pensiero che non si debba perdere nel modo più assoluto
produce nel contendente un atteggiamento di difesa, il cercar di fuggire
all’attacco nemico per timore di perdere l’equilibrio o di subire una
proiezione, senza rendersi conto degli inconvenienti di questo
comportamento, che impediscono non solo il corretto apprendimento e
sviluppo del waza92, non avendo appunto le occasioni di prendere
89
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
90
Ibidem
91
Kano J., “Judo”, 1918, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
92
Tecnica
60
l’iniziativa, ma altrettanto la formazione fisica con danno anche sul piano
fisico.93
93
Kano J., “Judo”, 1918, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
94
Kano J., “Yuko-no-katsudo”, 1922, in Quaderni del Busen n°3, Milano, 1995
61
Se la gara non è affrontata nel modo giusto, secondo Kano, perde di valore
come educazione fisica, toglie interesse nell’assistervi, può provocare
sentimenti di disprezzo e ostilità, arrivando al contrario del sentimento di
armonia che invece è uno degli scopi di questi incontri. Il judo, in questo
modo, invece di insegnare la virtù infierisce sulla medesima.
62
capostipiti del judo tradizionale95.
Kawaishi introdusse il judo in Francia, con delle modifiche nel sistema di
gradazione, tutt’oggi molto utilizzate, e nella nomenclatura delle tecniche,
al fine di avvicinarsi alla mentalità occidentale. Oltre al judo francese
contribuì notevolmente alla sua diffusione anche nel resto d’Europa.
Koizumi aprì una scuola di bujitsu a Londra, e solo dopo averla avviata fu
introdotto al judo da Jigoro Kano, cui si dedicò intensamente e che diffuse
con molto successo.
Nel periodo in cui operarono questi maestri il judo ancora non esisteva in
Europa, o comunque esisteva solo in modo larvale.
Con il suo diffondersi cominciò, per alcuni, a rendersi evidente il
problema della sua incomprensione e male-interpretazione. Fu in questo
periodo che Jazaren, Legget e Shutte, comprendendo la particolarità del
judo, si sforzarono nel promuovere lo spirito del messaggio originale
proposto da questa disciplina.
Questi maestri si sono quindi contrapposti alla diffusione del judo come
semplice disciplina sportiva.
Shutte, soprannominato ‘nonno’ Shutte (iniziò a praticare judo a 46 anni)
criticava duramente il judo agonistico, vedeva il combattimento come solo
uno spicchio dell’arancia che era il judo96. Fu Presidente della nascente
Federazione Olandese e fondatore dell’Unione Europea Judo.
Jean Luis Jazaren fu uno dei fondatori del Collegio delle Cinture Nere di
Francia (organizzazione inizialmente contrapposta alla federazione
sportiva, ma poi lentamente assorbita, con la complicità del Ministero
dello Sport). E’ noto per i suoi scritti e i suoi studi.
Trevor Legget visse a lungo in Giappone, divenendo interprete e
conoscendo anche Kano. Tornato in Inghilterra appartenne alla
95
Cecchini E., “Nonno” Shutte, “Kyu-shin Do”, n°3, agosto 1990
96
Ibidem
63
federazione sportiva, ma divenne noto per alcuni libri di natura mistica sul
judo e sullo zen.
Il judo è noto come disciplina sportiva, ma il movimento del judo
tradizionale, inizialmente rappresentato da questi esperti, promuove
l’interpretazione della disciplina secondo la proposta del suo fondatore, il
prof. Jigoro Kano.
64
IV. Studio di personalità su soggetti praticanti judo
97
L’attività di questi centri è documentata all’interno dei seguenti siti internet:
http://www.judo-educazione.it e http://www.aise.it
65
Deleted: ¶
IV.2 Materiali e metodi
Nel nuovo MMPI-2 si trovano 567 items (rispetto ai 357 della versione
ridotta e 506 della versione completa del MMPI-1) in cui l'intervistato
risponde in forma binaria: Vero o Falso.
66
predominio rispetto agli altri reattivi mentali. Tra le cause della sua
validità vi è l’esteso processo di standardizzazione cui è stato sottoposto.
Inoltre la procedura di validazione del questionario è stata una delle più
rigorose nella storia della psicometria per un reattivo mentale, diffuso e
validato in moltissimi paesi, con traduzioni in oltre 35 lingue.
Scale di validità:
67
Le 3 scale di validità (o controllo), sono composte da affermazioni che
forniscono indicazioni riguardo la validità del test. Quindi per avere
certezza della validità interpretativa delle scale cliniche bisogna prima
tenere conto della conformazione delle scale di controllo.
68
evidenziano la non presenza di patologia (le scale del MMPI sono infatti
considerate unipolari, fatta però eccezione delle scale Mf e Si).
69
Questionario cui
sono stati sottoposti i
judoisti insieme
all’MMPI-2.
70
media 33 anni (DS = 9), scolarità media pari a 14 anni (DS = 3,4), 49 % le
coniugate, 46% le nubili, 5% le separate o divorziate. Attività lavorativa
distribuita tra casalinghe, impiegate, insegnanti, infermiere, medici,
studentesse, libere professioniste ed altre.
71
IV.3 Risultati
72
L’elaborazione dei MMPI-2 ha dato come risultato due psicogrammi
composti, il primo da 3 indicatori di validità e 10 scale cliniche, il secondo
da 15 scale di contenuto, oltre alle sottoscale, le scale addizionali e quelle
supplementari.
73
Di seguito un esempio delle tabelle ottenute, per ogni soggetto, tramite
l’elaborazione dei dati dell’MMPI-2. In questa pagina le scale di base. Al soggetto
è stato attribuito un nome di fantasia per salvaguardarne la praivacy.
74
75
76
Di seguito un esempio dei grafici ottenuti tramite l’elaborazione delle tabelle
sopra riportate
77
78
Modulo interpretativo del parametro Pd (deviazione psicopatica).
79
Pd2 Problemi con l’autorità
80
Pd5 Auto-Alienazione
Soggetto Sesso Età Grado Anni Intensità Pd Pd Pd1 Pd2 Pd3 Pd4 Pd5
in judo di judo di pratica punti T punti gr.
a 39 II Dan 26 Media 43 13 38 55 46 46 48
b 27 II Dan 15 Alta 55 19 51 55 64 46 43
c 36 II Dan 15 Alta 49 16 45 48 64 46 39
d 39 I Dan 10 Media 53 18 65 55 52 46 48
e 30 I Dan 8 Alta 41 12 51 48 52 41 39
f 29 I Dan 7 Bassa 59 21 65 61 58 57 43
g 28 I Dan 6 Alta 53 18 51 61 54 41 39
h 34 I Kyu 15 Media 68 25 78 61 58 57 53
i 34 I Kyu 10 Media 49 16 51 42 46 57 63
j 16 I Kyu 6 Alta 57 20 58 48 58 46 53
k 16 II Kyu 9 Alta 51 17 51 48 52 57 48
l 23 II Kyu 3 Alta 68 25 71 68 52 51 48
m 31 II Kyu 2 Media 62 22 58 48 58 57 53
n 18 III Kyu 2 Alta 53 18 51 48 64 51 43
o 24 III Kyu 2 Alta 62 22 38 55 64 62 58
81
soggetti con scarsa tolleranza alla noia o alla monotonia, con possibili
problemi con l’autorità, possibili problemi ricorrenti con il coniuge e sul
lavoro, ribelli e ostili, con reazioni emotive superficiali (vergogna, colpa),
viene data la possibilità di un abuso di sostanze, di fallimenti personali
nella loro storia e la tendenza a vivere relazioni superficiali.
82
Le femmine hanno, come media della popolazione di riferimento (µ0) 23 e
deviazione standard (s) 4,6. Il nostro campione è costituito da 5 soggetti
con una media (µ) di 17 ed una deviazione standard ( ) di 4.
Anche qui ipotizziamo che la media del valore Pd del campione sia
inferiore alla media del valore della popolazione italiana.
Anche qui scegliamo il livello di significatività ( ) 0,05 per effettuare un
test di ipotesi unilaterale.
Dati i valori iniziali il valore p risulta 0,004, quindi inferiore al livello di
significatività =0,05, che ci consente di considerare la nostra ipotesi
come vera con una probabilità molto superiore al 95% delle possibilità.
Il risultato dello studio pilota indica una propensione alla diminuzione del
rumore statistico una volta che la significatività numerica della
popolazione testata venga livellata alla significatività numerica della
popolazione del campione.
Un eventuale arricchimento del campione, per omotetia all’analisi
statistica e al contenuto della tesi finora sviluppato dovrebbe provenire da
individui appartenenti allo stesso ceppo culturale judoistico.
83
IV.4 Discussione
Soggetto Sesso Età Grado Anni Intensità Pd Pd Pd1 Pd2 Pd3 Pd4 Pd5
in judo di judo di pratica punti T punti gr.
a 39 II Dan 26 Media 43 13 38 55 46 46 48
b 27 II Dan 15 Alta 55 19 51 55 64 46 43
c 36 II Dan 15 Alta 49 16 45 48 64 46 39
d 39 I Dan 10 Media 53 18 65 55 52 46 48
e 30 I Dan 8 Alta 41 12 51 48 52 41 39
f 29 I Dan 7 Bassa 59 21 65 61 58 57 43
g 28 I Dan 6 Alta 53 18 51 61 54 41 39
h 34 I Kyu 15 Media 68 25 78 61 58 57 53
i 34 I Kyu 10 Media 49 16 51 42 46 57 63
j 16 I Kyu 6 Alta 57 20 58 48 58 46 53
k 16 II Kyu 9 Alta 51 17 51 48 52 57 48
l 23 II Kyu 3 Alta 68 25 71 68 52 51 48
m 31 II Kyu 2 Media 62 22 58 48 58 57 53
n 18 III Kyu 2 Alta 53 18 51 48 64 51 43
o 24 III Kyu 2 Alta 62 22 38 55 64 62 58
In judo i non esperti sono classificati in kyu, con andamento che decresce
in proporzione all’esperienza. Oltre il I° kyu sono definiti esperti ed il
sistema di graduazione è suddiviso in dan, che invece hanno un
andamento che cresce in proporzione alla maturità judoistica. Se i soggetti
vengono ordinati in base al grado riconosciutogli nella disciplina ed agli
84
anni di pratica, come nella tabella qui sopra, notiamo che i punteggi più
bassi sono concentrati nella zona alta della griglia. Qui infatti, se ci
limitiamo ad osservare solo gli esperti (I dan e II dan) abbiamo un media
dei punti grezzi del parametro Pd uguale a 16, rilevantemente inferiore alla
media di tutto il gruppo (18) ed alla media della popolazione di
riferimento (22 per gli uomini e 23 per le donne)
Tra i 7 soggetti portatori dei gradi di esperto, concentrati nella zona
superiore solo uno rientra nel livello moderato del parametro Pd, il
soggetto f, mentre gli altri rientrano nel livello modale (definiti dalla
tabella di interpretazione come soggetti sinceri, affidabili, tenaci e
responsabili).
Dobbiamo sottolineare che il soggetto è l’unico, tra quelli presi in
considerazione in questo studio a praticare con una intensità bassa, ovvero
2 volte a settimana. Gli altri praticano con intensità media (3 volte a
settimana) o alta (4 o più volte a settimana). Attraverso l’analisi delle
sottoscale di contenuto di Harries e Lingoes notiamo che il livello
moderato di Pd del soggetto f è correlato al livello dell’indice Pd1.
Come già suggerito il MMPI-2 non è sufficiente, da solo, a rilevare
l’effettiva situazione psicologica del soggetto, per la quale sarebbero
necessari altri reattivi e colloqui psicologici. Ciò non di meno il risultato
numerico suggerisce la possibilità che esistano contrasti in ambito
familiare, in cui il soggetto percepisce la propria famiglia di origine come
critica e controllante, con un rapporto mancante di amore, supporto e
comprensione. In questo parametro il soggetto si pone al limite del livello
considerato clinicamente rilevante.
Nel sottogruppo dei non esperti (I, II e III kyu) la media è più elevata (20)
avvicinandosi considerevolmente alle medie delle popolazioni di
riferimento. Tra questi soggetti ce ne sono 3 (i, k e n) con il livello Pd
85
considerato modale, 3 (j, m e o) con il livello Pd moderato e 2 (h e l) con
il livello Pd alto. Tra questi due il soggetto h sembra un caso particolare
perché praticante di judo da 15 anni con il grado di I kyu, quando gli altri 2
soggetti con gli stessi anni di pratica sono al livello di II dan.
Probabilmente ci sono variabili a noi sconosciute che determinano il
mancato raggiungimento di un grado più elevato ed un punteggio Pd
inferiore.
86
Riflessioni conclusive
87
nervoso ben strutturato, ad esempio nella sua dominanza cerebrale, che
abbia dispositivi sensoriali, come il vestibolo, ben funzionanti. In molti
casi di “bambini difficili”, sarebbe sufficiente una stimolazione motoria
adeguata, che spesso però, in particolar modo nei centri densamente
abitati, non viene svolta in nessun luogo.
88
mantenimento e rinforzo di articolazioni, tendini e legamenti, essendo
questi elementi che, più facilmente, con l’avanzare dell’età, si degradano.
Inoltre mira all’efficacia nella capacità di gestire e di utilizzare il corpo,
quindi alla formazione di un sistema nervoso ben strutturato e funzionale.
Insieme all’educazione fisica, il metodo mira al potenziamento delle
qualità mentali dell’individuo. Proprio perché prende spunto
dall’esperienza del combattimento, diventa intrinseco un lavoro sulle
capacità di attenzione e di concentrazione profonda tipiche del
combattimento, riprodotto eliminando gli elementi di pericolo del duello
vero e proprio, ma ricercandone la stessa intensità. Tramite la sua
didattica, il judo lavora inoltre su capacità quali l’osservazione,
l’immaginazione, il discernimento.
Il principio che regola il judo, in tutti i suoi aspetti, è ‘il miglior impiego
dell’energia’, legato a ‘tutti insieme per crescere e progredire’.
Quando l’allievo studia l’aspetto del combattimento, sta studiando ‘il
miglior impiego dell’energia’ con il fine di battere l’avversario/compagno
di pratica.
Impegnandosi al meglio delle sue capacità, l’allievo pone le condizioni
perché anche il proprio compagno ottenga i maggiori benefici dalla
pratica, perché anche quest’ultimo sarà spinto a dare il meglio di sé
nell’affrontare la situazione. Nella pratica l’allievo è sollecitato a
ricercare, oltre al proprio miglioramento, anche quello di coloro che
praticano insieme a lui. Con questa collaborazione l’allenamento diventa
più efficace e sulla base di questa esperienza il judoista è portato a
comprendere che lavorando insieme, diventa possibile il raggiungimento
di risultati più elevati, in qualsiasi campo d’azione.
89
Abbiamo condotto uno studio pilota su 15 soggetti praticanti di ‘judo
educazione’ con lo scopo di verificare l’influenza del judo su un aspetto
psicologico dell’individuo legato alla morale, ipotizzandone una influenza
positiva. Il parametro psicologico preso in considerazione è la ‘devianza
psicotica’ che, in condizioni non patologiche riguarda la capacità di
seguire delle regole, che siano dettate dall’esterno o dall’interno della
persona.
90
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Questo testo è sato tradotto dalla collezione ‘Gli scritti di Jigoro Kano’ (10 vol.), vol. II,
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efficacia, Migliore impiego dell’energia per progredire insieme, Insegnamento etico ai
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