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I generi letterari (asnāf-i sukhan): la poesia (naẓm)
I generi letterari della letteratura urdū si possono distinguere in:
! - componimenti in prosa (ﻧﺜﺮ, nathr, lett.: ciò che è sparso, privo di elemento ordinatore); ! - componimenti poetici (ﻧﻈﻢ, naẓm, lett.: ciò che è ordinato, ovvero da elementi di prosodia, rima e metro) ! Nella prima categoria, ovvero quella dei componimenti in prosa, sono inclusi, in epoca pre-moderna, i generi letterari coltivati in ambienti sufi: le registrazioni degli insegnamenti orali (ﻣﻠﻔﻮظﺎت, malfūẓāt), le epistole didattiche (ﻣﮑﺘﻮﺑﺎت, maktūbāt), i trattati dottrinali (رﺳﺎﻟﺖ, risalāt), le biografie-agiografie (ﺗﺬﮐﺮة, tadhkirāt). vedi schede precedenti ! In campo della letteratura non-sufi, si aggiungono le tradizioni narrative romantiche trasmesse oralmente sia a livello popolare sia a livello di letteratura di corte (ﻗﺼہ, qiṣṣa, oppure داﺳﺘﺎن, dāstān). ! In epoca moderna, i generi letterari in prosa delle letterature hindī e urdū, saranno quelli importati dalle letterature europee, ovvero il romanzo in chiave moderna (urdū: ﻧﺎول, nāval, hindī: उप#यास, upanyās), il racconto (urdū: اﻓﺴﺎﻧہ afsāna, hindī: लघ) कथा, laghu-kathā), nell’ambito dei quali si sono poi distinti numerosi sottogeneri. La poesia lirica e la ghazal La ghazal ( )ﻏﺰلrappresenta il genere poetico più comune e più diffuso nella letteratura urdū ed è forse da considerare il genere più congeniale alla natura intrinseca di questa tradizione letteraria nonostante le numerose critiche di cui esso è stato vittima sin dai primordi della sua esistenza in Sudasia. Il termine ghazal deriva da una radice verbale araba gha-za-la che significa canto o elegia d’amore; in origine, nel mondo arabo con questo termine ci si riferiva genericamente alla ‘conversazione fra donne’ oppure alle ‘conversazioni sulle donne’, al parlare di donne. Da tempi molto antichi, gli arabi designarono con questo termine una forma di poesia lirica riservata dapprima esclusivamente a temi di sfondo erotico, anche se raramente un maniera sessualmente esplicita, ma da interpretare piuttosto in chiave allegorica, simile a quella usata dai trovatori (troubadour) e dei fedeli d’amore del medioevo europeo. ! I poeti autori di ghazal si dilettano a descrivere con molteplici sfumature della crudeltà da parte dell’amato (ma‘shūq oppure maḥbūb, entrambi i termini sono participi passivi rispettivamente derivati dalla radice -‘a-sha-qa, amare appassionatamente, e ḥa-ba, essere amato) nei confronti dell’amante (‘āshiq oppure ḥabīb, entrambi termini che indicano i rispettivi participi attivi, derivati dalla stessa radice) il quale invano consuma la propria anima nel desiderio appassionato (ﻋﺸﻖ,’ishq, per l’appunto) di giungere al cospetto dell’unico obbiettivo degno della loro attenzione. Infine, impazzito dal dolore della separazione e consumato dall’attesa strenuante, l’amante spira, ma anche dopo la sua morte la stessa polvere del suo sepolcro si solleva per attaccarsi al lembo del vestito dell’amata mentre passa casualmente di per lì. ! In verità, il tema fondamentale dell’amore in chiave umana (‘ishq-i majāzī) è stato usato da innumerevoli poeti per esprimere in maniera tangibile le verità sublimi della conoscenza esoterica perpetuata dalle autorità del taṣawwuf. Secondo tale visione, l’unico vero amato non può che essere Allāh stesso al Quale l’individuo devoto, consapevole dei limiti della propria esistenza contingente all’interno di un mondo effimero e fuggente manifesta una profonda afflizione causata dal senso di separazione e di lontananza che esso prova, e al Quale desidera riunirsi estinguendo il proprio ‘io’ (khudī oppure nafs) nella realtà trascendente e permanente della divinità suprema (fanā fī Allāh). Ogni singolo verso di una ghazal descrive, secondo le norme e convenzioni stabilite dalla tradizione letteraria tramandata, in maniera succinta e con l’aiuto di una serie di figure retoriche (ﺻﻨﻌﺖ ﺑﺪﯾﻌﯽ, ṣan‘at badī‘ī) lo stato d’animo dell’amante in pena. Ne risultano le immagini spesso stereotipate dell’usignolo (bulbul) che, imprigionato nella gabbia (qafs) dal cacciatore impietoso (ṣaiyād), canta il suo lamento (nāla) al mondo circostante immaginato come un giardino fiorito e profumato (gulistān oppure būstān). Altre volte, questo mondo è descritto come una taverna (mai-khāna) nella quale l’oste (mezbān) e il cameriere portatore di coppe-calici (sāqī) offrono all’ospite vagante il vino profumato dell’amore il quale stimola l’ebbrezza (mast o sukr-i ‘ishq) e dal quale scaturisce un senso di vicinanza all’Oggetto dei propri desideri, al di là dei valori effimeri del mondo transitorio (‘ālam-i fānī). ! Per secoli, l’uso di questo linguaggio tradizionale, basato su una serie di immagini complesse e di concetti prestabiliti costituì la cornice formale obbligatoria per ogni poeta autore di ghazal (mutaghazzal oppure ghazalgū dal verbo persiano guftan, dire, parlare), il quale dovette dimostrare la propria abilità soprattutto nel saper creare e immaginare intorno a esse sempre nuovi e più sottili giochi di parole che riproponessero con qualche nuova sfumatura inventiva un’immagine (khayāl) viva per colpire e commuovere i cuori degli ascoltatori nel pubblico. Tuttavia, con il passare del tempo, la ghazal si rivelò un genere letterario assai flessibile pronto ad accogliere e accomodare una varietà di temi, dalmatica alla metafisica e alla satira politica; essa continua così ad essere il veicolo prediletto dei poeti romantici che prediligono l’argomento dell’amore nelle sue infinite interpretazioni e applicazioni. ! Senz’altro, una delle caratteristiche più specifiche della ghazal, che dal punto di vista formale la contraddistingue da tutti gli altri generi poetici delle letteratura non soltanto medio-orientale e indiana, ma forse addirittura mondiale, è la sua frammentarietà, ovvero l’assenza di un pensiero o di una trama narrativa unitaria che funga da filo conduttore a un componimento. Ogni singolo emistichio rappresenta un’unità succinta e completa, indipendente in se stessa, creando così una catena di singole immagini apparentemente sconnesse fra di loro e tenuta insieme soltanto da un tema sottostante (maẓmūn), sviluppato in ogni singola linea come un’onda che emerge dall’acqua dell’oceano, in un susseguirsi di immagini istantanee, ma fuggenti. Vi si riscontrano, tuttavia, alcune istanze eccezionali in cui il poeta creatore di immagini (mutakhayyāl) estende la descrizione delle sue creazioni a due o più versi connessi fra di loro: nella terminologia della poesia lirica in chiave ghazal a questi versi ci si riferisce con il termine ghazal-i musalsal (versi lirici concatenati). ! Altra particolarità della ghazal, anch’essa di natura formale, consiste nel suo caratteristico schema di rima interna (qāfiya) ed esterna (radīf) che conferisce una struttura omogenea e unitaria al poema. Il numero minimo di versi (bait o shi’r) prescritti dalla convenzione letteraria per una ghazal è cinque, ma in alcuni casi può arrivare fino ad un massimo di diciassette o venticinque doppi versi. Il verso d’apertura di ciascuna ghazal, che introduce e determina il metro particolare che dev’essere rispettato in tutti i versi a seguire, è chiamato maṭla’ (lett.: ciò che sorge) e consiste in due emistichi (miṣra’), entrambi contenenti lo stesso schema di rima interna ed esterna, mentre i rimanenti versi ripropongono questa rima caratteristica soltanto alla fine del secondo emistichio di ciascun verso.: ne consegue uno schema di rima di tipo: aa ba ca da ecc. Secondo la norma, l’ultimo verso di ciascun componimento deve contenere lo pseudonimo artistico (takhalluṣ) del poeta che funge da firma e lascia impronta individualizzante al poema; questo verso è conosciuto con il termine tecnico maqta‘ (lett.: ciò che taglia, tagliente). Nel suo significato più generale e originale, il termine ghazal indica semplicemente una ‘conversazione fra donne’; come il genere letterario che indica, esso ebbe origine nella poesia dell’Arabia nei secoli dell’epoca pre-islamica. Le prime ghazal erano dedicate a due temi principali: la descrizione dissoluta dei piaceri vissuti dalle o in compagnia delle donne, del consumo di vino e altre bevande o sostanze inebrianti, del canto e della musica, tutti finalizzati ad alimentare e descrivere il lamento elegiaco di un amore perduto o comunque irrealizzabile. Quando la ghazal entrò a far parte del repertorio letterario persiano a partire dall’undicesimo secolo circa, questo secondo tema fu interpretato con una connotazione spirituale per descrivere la sofferenza degli amanti distanti dai loro amati e costretti a una condizione di separazione (firāq), in cui l’amante fedele e totalmente dedito in preda alla passione era immaginato come una specie di martire (shahīd) disposto a (letteralmente) sacrificare la propria esistenza per un ideale e/o un fine di ordine superiore. La tradizione secolare della ghazal costituisce la base anche per lo sviluppo di questo genere letterario nel Subcontinente indiano. Attraverso il persiano, in epoca medioevale la ghazal entrò a far parte anche dei mondi culturali turco e indiano. L’urdū antico, ovvero la tradizione del dakhinī che si sviluppò in epoca Mughal, vide un’ampia tradizione di poesia ghazal perpetuata anche dopo la ‘migrazione’ di questa lingua come veicolo letterario dal sud verso il nord agli inizi del ‘700. Sarà in questo conteso che la ghazal vede il suo periodo di massimo sviluppo dando alla luce due fra i più celebri poeti di questa tradizione, ovvero Mīr Muḥammad Taqī ‘Mīr' (1722-1810) e Mirzā Asad Allāh Khān ‘Ghālib’ (1797-1869). Dal punto di vista formale, la ghazal consiste in una serie di due versi (non è possibile parlare di distici veri e propri perché vi manca l’elemento di rima a unire i due emistichi) di numero dispari che può variare da un minimo di cinque a un massimo di 21, ma che nella maggior parte dei casi comprende 7 o nove doppi versi. Tutti i versi di una ghazal devono rigorosamente aderire a un metro quantitativo derivato dalla tradizione prosodica araba. La parte finale di ciascun doppio verso (ovvero il secondo emistichio di ciascun verso) contiene una sillaba di rima, chiamata qāfiya (rima interna, concerne la penultima e/o terzultima sillaba dell’emistichio), seguita a sua volta da una sillaba che giunge da ritornello all’intero componimento; quest’ultima è conosciuta con il termine di radīf. All’interno delle tradizionali raccolte di componimenti poetici (dīvān), le ghazal sono arrangiate ed elencate in ordine alfabetico dell’ultima lettera della sillaba del ritornello. Al di là degli elementi formali che concernono la rima interna, il ritornello e il complesso sistema di metro (baḥr), i versi di una ghazal di ciascun poeto condividono (devono condividere) il vasto universo di caratteri, scene, azioni e immagini stereotipate prescritte dalla convenzione letteraria Una ghazal di Shams al-Dīn ‘Walī’ Awrangābādī (1668-1707) ! ! شغل بہتر ہے عشق بازی Shaghul behtar hai ‘ishq bāzi kā, کیا حقیقی و کیا مجازی کا kyā ḥaqīqī wa kyā majāzi kā. ! Di tutti i passatempo il gioco d’amore è senz’altro il migliore, sia quello divino sia quello umano. ! ہر زباں پر ہے مثل شانہ مدامHar zabān par hai mithl-i shāna mudām, ذکر تجھ زلف کی درازی کا dhikr tujh zulf kī darāzī kā. ! Su ogni lingua, sempre, è come una spalla, il ricordo della lunghezza della tua treccia. ! آج تیری بھواں نے مسجد میں Āj terī bhavān ne masjid men, ہوش کھویا ہے ہر نمازی کا hosh khoyā hai har namāzī kā. ! Oggi, nella moschea, le tue sopracciglia hanno fatto perdere i sensi ad ogni pio pregante. ! گر نئیں راز عشق سوں آگاہ Gar na’īn rāz-i ‘ishq sūn āgāh, فخر بے جا ہے فخر رازی کا faḳhr be-jā hai faḳhr-i rāzī kā. ! Se dal mistero dell’amore non nasce consapevolezza, l’orgoglio del mistero genera orgoglio senza limite. ! اے ولیؔ سرو قد کو دیکھوں گاAi 'Walī' sarw qad ko dekhūngā, وقت آیا ہے سرفرازی کا waqt āyā hai sar-farāzī kā. ! Oh Walī, alta e graziosa ti vedrò, il tempo è giunto dell’esaltazione. Una ghazal di Sayyid Sirāj al-Dīn ‘Sirāj’ Awrangābādī (1715-1763) ! Khabar-i taḥayyur-i ‘ishq sun, na junūn rahā na parī rahī, na tau tū rahā na tau main rahā, jo rahī so be-khabarī rahī. ! Ascolta la novella che narra le meraviglie dell’amore, in cui follia e bellezza non trovan luogo, né di me né di te vi permane traccia, permane soltanto uno stato di suprema non-consapevolezza. ! Shah-i be-ḳhudī ne aṭā kiyā mujhe ab libās-i barahnagī na ḳhirad kī baḳhiya-garī rahī na junūn kī parda-darī rahī. ! Il sovrano dell’incoscienza suprema mi ha concesso, ora, la veste della nudità, su cui traccia non vi è di cucitura d’intelletto, né di follia alcun velo sottile. ! Chalī samt-i ghaib se ik hawā ke chaman ẓahūr kā jal gayā, magar ek shākh-i nihā-i gham jise dil kahe so harī rahī. ! Una brezza soffia dal mondo invisibile, a cenere riduce il giardino delle apparenze, sul ramo dell’albero dell’afflizione rimane, tuttavia, verde una gemma chiamata cuore. ! Nazar-e-taġhāful-e-yār kā gila kis zabāñ siiñ bayāñ karūñ ki sharāb-e-sad-qadah aarzū ḳhum-e-dil meñ thī so bharī rahī ! Voh ‘ajab gharī thī jis gharī liyā dars nuskh-i ‘ishq ko, ke kitāb ‘aql kī tāk men jūn dharī thī tyonhī dharī rahī. ! Qual’istante meraviglioso in cui studiai il manoscritto dell’amore, rimase lì sullo scafale, intaccato, il libro della ragione. ! Tire josh-i hairat-i ḥusn kā asar is qadar sīñ yahān huā, ki na ā’īne men rahī jilā na parī kūñ jalwagarī rahī. ! Forte è l’eccitazione per la meraviglia della tua bellezza, nessun riflesso nello specchio, nessuna traccia di bellezza.
Kiyā ḳhāk ātish-i ishq ne dil-i be-navā-i 'Sirāj' kūn
na ḳhaṭar rahā na ḥadhar rahā magar ek be-ḳhatarī rahī. ! Il fuoco dell’amore a cenere ha ridotto il cuore ammutolito di Sirāj, non permane né senso di pericolo né quello di prudenza, soltanto totale assenza di timore. ! ! Ed ecco per concludere un verso singolo (fard), molto suggestivo, dello stesso poeta: ! Āb-i rawān hai ḥāṣil-i ‘umr-i thatāb rū, L’acqua che scorre, come un’immagine del volto della vita, lawḥ-i fanā men naqsh nahīn hai thabāt kā. nessun segno apparente sulla tavola ben custodita dell’estinzione. Una ghazal di Mīr Taqī ‘Mīr’ (1722-1810), il sovrano dell’eloquenza (khudā-i sukhan) ! Ulṭī ho ga’īn sab tadbīren kuch na dawā ne kām kiyā, dekhā is bimārī-i dil ne ākhir kām tamām kiyā. ! Tutti i miei piani sono sconvolti, nessun rimedio ha fatto effetto, ho constatato come questa malattia del cuore ha completato la sua opera. ! Ahd-i jawānī ro ro kāṭā, pīrī men līn ānkhen mūnd, ya‘nī rāt bahut the jāge, ṣubḥ hu’ī ārām kiyā. ! La giovinezza ho trascorso piangendo, la vecchiaia con gli occhi chiusi, molte notti ho trascorso vegliando, trovando la mattina soltanto l’agognato riposo. ! Ḥarf nahīn jān bakhshī men us kī khūbī apnī qismat kī, ham se jo pahle kah bhejā so marne kā paighām kiyā. ! Parole non ho per il potere vivificante che lei ha sul mio destino, il primo messaggio che mi mandò a dire annuncio diede della mia morte. ! Nā-ḥaqq ham majbūron par yah tuhmat hai mukhtārī kī, cāhte hain so āp karen hain, ham ko ‘abath badnām kiyā. ! Ingiusta è quella falsa accusa che a noi che siam costretti rivolgesti, fa’ pure quel che vuoi, la mia reputazione ormai è rovinata. ! Sare rind obash jahān ke tujh se sujūd men rahte hain, bānke, ṭeṛhe, tirche, tīkhe sab kā tujh ko imām kiyā. ! I libertini del mondo, i debosciati, tutti, dinnanzi a te rimangon prosternati, imbroglioni, fraudolenti, perversi e vanitosi han posto tutti fede in te. ! Sarzad ham se be-adabī to waḥshat men bhī kām hī hu’ī, koson us kī or ga’e par sajda har har gām kiyā. ! Se anche qualche volta, distratto, di rispetto ti abbiam mancato, miglia e miglia ho percorso per giungere a te, ad ogni passo prosternandomi. ! Kis kā Ka‘ba kaisā qibla kaun ḥaram hai kyā iḥrām, kuche ke us ke bashindon ne sab ko yahin se salām kiyā. ! A chi appartiene la Ka’ba, dove rivolgerai il volto pregando, qual luogo sacro, qual veste pura, gli abitanti del vicolo tutto per te han abbandonato. ! Shaikh jo hai masjid men nangā rāt ko thā mai-khāne men, jubba khirqa kurtā ṭopī mastī men in‘ām kiyā. ! Lo shaikh che ora nudo in moschea, la notte ha in taverna trascorso, dono ha fatto nell’ebbrezza della veste, camicia e capello suo.