Dispensa Di Istituzioni Di Diritto Privato Bocchini Quadri
Dispensa Di Istituzioni Di Diritto Privato Bocchini Quadri
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PARTE II
CATEGORIE GENERALI
Cap.1
Soggetto e persona.
Il codice civile non offre la nozione di soggetto giuridico dandola evidentemente per scontata. Più
che altro i destinatari delle regole su cui si fonda l'ordinamento sono le persone giuridiche (titolo I) e
le persone fisiche(titolo II). Il nostro ordinamento giuridico, come poi ogni altro, individua i soggetti
come titolari degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le regole finalizzate alla
risoluzione dei relativi conflitti. Con la formula di soggetto giuridico si allude ad un possibile punto di
riferimento di rapporti giuridici, e quindi tale soggetto risulta titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La nozione di soggetto giuridico è una nozione di carattere puramente formale in quanto
esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni giuridiche soggettive, con il
riconoscimento da parte dell'ordinamento di quella attitudine ad essere titolare di situazioni
giuridiche soggettive che viene definita come capacità giuridica. Tuttavia non sempre a tutti gli
uomini viene riconosciuta la capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, relegando
taluni addirittura al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui. Il riconoscimento
dell'autonomia delle valutazioni dell'ordinamento in materia è risultato funzionale all'estensione
della capacità giuridica anche ad entità diverse dall'uomo. Ed è proprio in questo senso che la
dottrina si è preoccupata di elaborare la nozione di soggetto giuridico quale categoria unitaria che
comprende sia persone giuridiche sia persone fisiche. Persone fisiche considerate senz'altro soggetti
in quanto uomini, persone giuridiche considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali
attraverso meccanismi specificamente predisposti dall'ordinamento.
Tipologie
Sono considerati soggetti giuridici innanzitutto le persone fisiche. Il codice civile non ha potuto fare
altro che riconoscere ad ogni uomo la qualità di soggetto giuridico e lo si è fatto ricollegando al
momento della nascita l'acquisto della capacità giuridica. Il riconoscimento dell'uguale qualitá di
soggetto giuridico ad ogni uomo, in quanto considerato come persona, centro di imputazione di
situazioni giuridiche attive e passive, nell'impianto originario del codice civile non evitava
discriminazioni sul piano della capacità giuridica. In particolare oltre alle discriminazioni rivolte
contro la donna, l'ordinamento proponeva una discriminazione anche riguardo la razza. L'art. 1 del
codice civile del 1938 prevedeva che “limitazioni della capacità giuridica derivanti dall'appartenenza
a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. A prescindere dall'abrogazione di tale
previsione avvenuta nel 1944, qualsiasi discriminazione in tema di capacità sarebbe destinata a
trovare un insormontabile ostacolo nell'articolo. 3 della costituzione che sancisce il principio di pari
dignità sociale e della eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinione politica ecc.,
Una persona giuridica, in diritto, indica un ente (associazioni, fondazioni ecc) al quale l'ordinamento
giuridico attribuisce la capacità giuridica facendone così un soggetto di diritto. In generale la
capacità giuridica riconosciuta alla persona giuridica (personalità giuridica) è meno estesa di quella
riconosciuta all'essere umano in quanto soggetto di diritto, ossia alla persona fisica, poiché la
persona giuridica non può essere parte di quei rapporti giuridici che, per loro natura, possono
intercorrere solo tra persone fisiche (l'esempio tipico è rappresentato dai rapporti familiari).
Soggetto e status
Gli ordinamenti essendo fondati sul principio di uguaglianza consentono di guardare l'uomo nella
veste di soggetto giuridico in una prospettiva unitaria, cioè che prescinde da ogni considerazione
relativa al suo stato o condizione sociale inteso nel senso di appartenenza a classi, ceti o caste. Il
superamento del senso di appartenenza a ceti, classi o caste è rappresentato dal passaggio dalla
vecchia alla nuova concezione di organizzazione della società. In tale passaggio risulta fondamentale
l'applicazione delle medesime regole a tutti i consociati, riconosciuti come portatori di una identica
capacità giuridica con uguali potenzialità quanto a titolarità di diritti ed obblighi. Con il concetto di
status non ci si riferisce più ad una qualità del soggetto ricollegato ad un ceto o ad una casta di
appartenenza, ma piuttosto ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione di un
soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati.
Particolare importanza assumono, anche sotto un profilo storico, lo stato di cittadino (status
civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo fa riferimento al diritto pubblico
mentre il secondo al diritto privato per l'importanza sociale che l'ordinamento conferisce all'organo
famiglia. Bisogna comunque affermare che è lo stato a fissare rigidamente le condizioni e gli effetti
in ordine allo status del soggetto: di qui il principio della INDISPONIBILITÀ DEGLI STATUS FAMILIARI E
DELLE AZIONI. Al di là degli status familiari, è possibile utilizzare il medesimo concetto con riguardo
alla posizione del soggetto quale membri di gruppi organizzati come, associazioni o società
(associato o socio).
Dove manchi un gruppo organizzato piuttosto che status si può parlare principalmente delle qualità
del soggetto. Si pensi a qualitá collegate ad attività svolte abitualmente dal soggetto come ad
esempio l'imprenditore, lavoratore subordinato, consumatore, cliente o utente.
CAPITOLO 2
Beni giuridici
Secondo l'art. 810 sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Con il termine bene
indichiamo una entità in grado di provocare utilità al soggetto. Il bene in ragione dell'utilitas può
provocare attitudine a soddisfare interessi considerati rilevanti così da farne possibile oggetto di
diritti. Una cosa per essere considerata bene deve essere suscettibile di appropriazione e di utilizzo,
deve possedere cioè un valore. Una cosa ha valore quando esiste in qualità limitata ed è suscettibile
di appropriazione. I beni sono formati oltre che da cose materiali anche da res incorporales (beni di
naturala patrimoniale o secondo l'art 814 le energie naturali). Non sono definite beni le cose
incommerciabili. Un discorso particolare va fatto per le parti separate del corpo umano. Solo per
alcune di esse vige una condizione di libera disponibilità e di circolazione come ad esempio i capelli.
Per altre parti si ha una situazione di massima incommerciabilità e di una limitata disponibilità senza
mai la possibilità di trarne lucro. Non si considerano beni poi le cose comuni a tutti in quanto
essendo liberamente disponibili a tutti in natura e essendo illimitate il loro godimento non può
essere fonte di conflitti e di interessi. Esempi sono l'aria o l'acqua del mare. Tuttavia l'intervento
dell'uomo può determinare un valore economico dando così luogo all'esistenza di un bene anche
per il diritto. Si pensi allo sfruttamento dell'atmosfera come luogo di propagazione delle onde
radioelettriche da reputare beni mobili ai sensi dell'articolo 814. Sono da considerare beni le cose
che al momento non costituiscono oggetto di diritti ma sono suscettibili di diventarlo attraverso la
relativa appropriazione, si tratta delle cose di nessuno come i pesci e le case abbandonate
intenzionalmente dal proprietario a differenza di quelle smarrite trattate diversamente dal
legislatore.
Distinzione tra cose generiche e cose specifiche, cose fungibili e cose infungibili, cose consumabili
e cose inconsumabili, cose divisibili e cose indivisibili, cose produttive e cose improduttive.
Relativa alle cose si propongono altre distinzioni. La prima è relativa a quella tra cose generiche e
cose specifiche.
a. Si definiscono cose generiche le cose che vengono prese in considerazione per la loro
appartenenza ad un genere (copia di un libro).Cose specifiche sono invece le cose considerate per la
loro individualità (copia di un libro firmato dall'autore).
b. Cose fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (esempio e il prodotto
industriale interscambiabile). Significativo è il prestito che a seconda della fungibilità è mutuo o
comodato. Cose infungibili, quando non possono essere sostituite con cose appartenenti allo stesso
genere. Ad esempio, un libro appena edito è certamente fungibile, ma se è una rara copia di un libro
non più stampato, o se è, ad esempio, una copia con dedica dell’autore, non è più sostituibile,
quindi diventa un bene infungibile.
Cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili le cose cui la loro utilizzazione normale ne
comporta la distruzione quale entità (alimenti). Inconsumabili quelle che si presentano a una
utilizzazione normale ripetuta nel tempo.
Cose divisibili e indivisibili. La divisibilità sussiste quando la cosa può essere divisa in parti
omogenee. Cose indivisibili, cioè cose che non possono essere divise senza che perdano la loro
utilità (es.: un cavallo da corsa), o per volontà delle parti o per legge.
La distinzione tra cose produttive e non produttive dipende dall'attitudine della cosa alla produzione
di frutti.
Il danaro.
Il danaro è inquadrato nella categoria dei beni. Viene qualificato come cosa mobile, generica,
fungibile, consumabile e divisibile.
Le pertinenze.
Le cose, oltre che nella loro individualità, possono presentarsi unite o in rapporto tra loro.
Quindi le cose possono ulteriormente dividersi in:
a) cose semplici: cioè le cose dotate di una propria autonoma utilità (un tavolo, un animale);
b) cose composte: formate da più cose semplici, che perdono nella composizione la loro autonomia.
Le cose che compongono la cosa composta, pur essendo separabili, sono tra di loro in un rapporto
di complementarità economica (un paio di occhiali è formato da più cose semplici e separabili, lenti,
montatura, viti, ma la separazione delle cose fa venir meno la funzione cui gli occhiali sono
destinati).
c) cose connesse: cioè quando più cose, mantenendo una loro individualità materiale, sono poste
però in relazione tra loro, in modo tale che è distinguibile una cosa principale ed una accessoria,
legata alla cosa principale da un vincolo di dipendenza. Sono ipotesi di connessione di cose
l’incorporazione, cioè la compenetrazione materiale o artificiale di una cosa all’altra, e la pertinenza.
Per l'art. 817 pertinenza è la cosa mobile o immobile destinata in modo durevole a servizio o
ornamento di un’altra cosa, che normalmente è immobile. Il rapporto di pertinenza può intercorrere
tra cose mobili (cornice e quadro), tra cose mobili e cose immobili (antenna televisiva ed edificio)
tra cose immobili (la cantina rispetto all'appartamento). Essenziale perché sorga il rapporto di
pertinenza è la destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal proprietario della
cosa principale. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il proprietario della cosa
principale sia tale anche della cosa accessoria.
Affinché sussista un rapporto di pertinenza tra due beni sono necessari due presupposti
Oggettivo: che consiste nel rapporto di servizio ad ornamento rispetto la cosa principale
Soggettivo: la volontà da parte del proprietario o titolare di destinare la cosa al servizio od
ornamento della cosa principale.
Un volta costituito il rapporto, la pertinenza segue la sorte della cosa principale. Se ad esempio si
vende la cosa principale si intende venduta la pertinenza a meno che le parti non abbiano
convenuto diversamente art 818.
È possibile costituire rapporti diversi per pertinenza. Posso dunque concedere l'uso del garage
annesso alla mia casa o venderlo.
Il vincolo di pertinenza cessa quando viene meno l'elemento oggettivo e soggettivo, ad esempio
quando la cosa è stata venduta o è perita.
Le universalità.
Per universalità di beni mobili si intende, secondo l'articolo 816 del Codice civile italiano, la pluralità
di cose che appartengono alla stessa persona e che hanno una destinazione unitaria (es. un gregge,
una pinacoteca, una biblioteca). Tre sono gli elementi necessari perché si possa parlare di
universalità: una pluralità di cose mobili, una destinazione unitaria intesa come funzione comune e
l'appartenenza delle cose al medesimo soggetto. La destinazione unitaria non fa comunque perdere
l'autonomia alle cose che formano la universalità le quali potranno quindi essere oggetto,
separatamente l'una dall'altra, di singoli atti. Quando l'universalità nasce per volere del proprietario
(ad es. di chi ha raccolto i libri), si parla di universalità di fatto. Invece quando l'universalità è
stabilita dal legislatore si parla di universalità di diritto, ad es. l'azienda è definita come universalità
di beni dalla legge, in quanto una pluralità di beni è destinata al medesimo scopo (catene di
montaggio).
Frutti.
Tra i beni il codice civile disciplina i frutti distinguendoli in frutti naturali e frutti civili. Sono
considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente con o senza l'intervento
dell'uomo. I frutti naturali seguono la stessa sorte della cosa fruttifera fino alla separazione, ne
fanno parte fino a tal momento che segna il momento dell'acquisto da parte dell'avente diritto. È
possibile disporre di essi prima della separazione come cose mobili future, con applicazione per la
relativa vendita, dell'art 1472 relativo alla vendita di cose future. La separazione, ossia il distacco
dalla cosa madre, determina una autonoma identità giuridica dei frutti facendo sorgere su di essi un
diritto di proprietà. Tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri
soggetti quale effetto di un diritto di godimento vantato relativamente alla cosa madre. Vale il
principio per cui chi fa proprio i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che ha
fatto spese per la produzione e il raccolto. Per i frutti civili si intendono quelli che si ritraggono dalla
cosa come corrispettivo di godimento che ne sia attribuito ad altri (interessi capitali, rendite
vitalizie, corrispettivo delle locazioni). Anche i frutti civili come i frutti naturali spettano al
proprietario della cosa fruttifera ovvero a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima.
Patrimonio.
Il patrimonio viene inteso come l'insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza economica di cui il
soggetto è titolare. Ne restano esclusi i diritti di natura non patrimoniale. Esso finché la persona è
vivente non viene considerato dell'ordinamento come possibile oggetto di situazioni giuridiche.
L'art. 2740 intitolato alla responsabilità patrimoniale indica che ciascuno risponde
dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio ma esistono dei patrimoni di destinazione che danno vita a
patrimoni separati attenuando la responsabilità patrimoniale. Esempi significativi di tale fenomeno
sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con la costituzione del fondo patrimoniale, con
conseguente trattamento differenziato dei creditori, dai fondi speciali per la previdenza e
l'assistenza e dalla possibile costituzione, da parte di una società per azioni, di patrimoni destinati
ad uno specifico affare.
Beni pubblici.
Il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione giuridica dei beni
appartenenti allo stato ed agli enti pubblici. Taluni beni fanno parte del demanio pubblico in quanto
non è ammessa l'appartenenza ai privati. I beni pubblici demaniali naturali sono: spiagge, porti,
laghi, fiumi, torrenti, opere di difesa nazionale. I beni pubblici demaniali artificiali sono: strade,
aerodromi, immobili di interesse storico, archeologico e artistico ecc.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetti di diritti di terzi solo nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente demaniali è ammessa la
cosiddetta sdemanializzazione. Tale procedimento avviene attraverso procedure particolari. I beni
appartenenti allo stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali
fanno parte del relativo patrimonio. Bisogna fare una distinzione per quanto riguarda i beni
patrimoniali indisponibili. Di quello dello stato fanno parte i beni indicati dal l'articolo 826 (miniere,
cave, torbiere, case di interesse storico, archeologico, artistico, caserme, aereo mobili militari,
armamenti ecc). Di quello dello stato o dell'ente pubblico territoriale fanno parte gli edifici pubblici
con tutti i relativi arredi. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile sono comunque
vincolati alla loro destinazione e non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalla
legge. Per i beni dello stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio
indisponibile opera invece la disciplina dettata in generale dal codice civile per i diversi tipi di beni.
CAPITOLO 3
Rapporto giuridico e situazioni soggettive.
La funzione della norma giuridica va ricercata nell'esigenza di ordinare le relazioni umane. Se
l'interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e bene, ne consegue la possibile
insorgenza di conflitti ove una pluralità di soggetti si presentino interessati allo stesso bene.
L'ordinamento giuridico allora interviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco.
L'ordinamento riconosce ai soggetti portatori di interessi una situazione giuridica soggettiva la quale
costituisce sul piano soggettivo la regola giuridica.
La situazione giuridica soggettiva di chi risulta essere investito il soggetto a seguito dell'intervento
regolatore dell'ordinamento, risulta favorevole ove sia il suo interesse ad essere considerato
meritevole di tutela e realizzazione, o sfavorevole ove sia il suo interesse subordinato a quello altrui.
Si definisce attiva la situazione giuridica di vantaggio attribuita al soggetto del rapporto per
assicurargli la realizzazione di uno interesse, passiva la situazione giuridica di svantaggio tenuto a
rendere possibile con il suo comportamento la realizzazione dell'interesse altrui.
Diritto soggettivo
Nel codice civile la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad un soggetto in
relazione ad un bene è identificata con il termine di diritto. Si parla di diritto, inteso in senso
soggettivo, ogni volta che viene garantito al soggetto, da parte dell'ordinamento la realizzazione del
suo interesse.
Alla conformazione del contenuto del diritto concorrono facoltá, poteri, limiti ed obblighi.
Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel caso di uso
anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera
del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il
diritto stesso viene riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Un siffatto
comportamento abusivo costituisce, quindi, un illecito (a seconda dei casi aquiliano o contrattuale,
se trattasi, rispettivamente, di diritto reale o di credito), sanzionato secondo le norme generali di
diritto in materia.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l'abuso del diritto. La cultura
giuridica degli anni 30 riteneva che l'abuso del diritto, più che essere una nozione giuridica, fosse un
concetto di natura etico-morale, con la conseguenza che colui che ne abusava veniva considerato
meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica.
I diritti soggettivi possono essere di natura molto diversa tra loro. Distinguiamo così tre categorie
fondamentali di diritti soggettivi.
Diritto potestativo.
L'essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di incidere su
situazioni giuridiche, costituendole, modificandole o estinguendole, con una propria manifestazione
unilaterale di volontà. Abbiamo quindi da una parte una situazione di potere, mentre dall'altra (lato
passivo del rapporto) una posizione di soggezione del soggetto passivo, che si trova nella condizione
di essere costretto a subire gli effetti giuridici derivanti dall'esercizio del diritto potestativo. Un
esempio del diritto potestativo possiamo trovarlo nell'ipotesi di diritto di prelazione conferito dalla
legge, diritto di riscatto del venditore in caso di vendita con patto di riscatto, diritto di recesso
unilaterale attribuito ad una delle due parti, ecc. In tutti questi casi l'effetto è la manifestazione
unilaterale di volontà restando la controparte semplicemente assoggettata. Altra ipotesi di diritto
potestativo viene individuata nel potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo
scioglimento della comunione di un bene. Se un bene è di proprietà di più soggetti, cioè in
comunione, ognuno di loro potrà chiedere la divisione del suddetto bene senza che gli altri possano
fare nulla per impedirlo.
Potestá
Il potere conferito nel diritto potestativo può essere usato per realizzare interessi altrui, in tal caso la
situazione giuridica prende il nome di potestá. Un potere del genere può essere conferito dallo
stesso titolare degli interessi in gioco al rappresentante incaricato di concludere un contratto
destinato a produrre effetti direttamente nel patrimonio del titolare. I casi di maggiore interesse
sono però quelli in cui è la legge conferire un tale potere. Esempi significativi di una simile
situazione dell'utilizzo della potestá sono quelli che fanno riferimento alla tutela e alla
responsabilità genitoriale. L'attribuzione del potere nell'interesse altrui non si presenta libero, ma
vincolato alla realizzazione dell'interesse in vista della cui realizzazione è attribuito. Ciò comporta
l'evidente esigenza di provvedere a forme di controllo dell'esercizio del potere. Nell'ipotesi di
rappresentanza diretta il rappresentato può chiedere l'annullamento contro tutti gli atti abusivi del
l'esercizio di rappresentanza come il caso di contratto concluso dal rappresentante in conflitto di
interessi con il rappresentato e in caso di contratto concluso dal rappresentate con se stesso.
L'esercizio dei poteri connessi alla potestá viene ad assumere, di conseguenza, per il soggetto cui
essa è attribuita, un carattere di vera e propria doverosità. Del tutto coerente allora si presta la
previsione della possibile rimozione del soggetto dalla titolarità della potestá, nel caso in cui venga
esercitata in maniera tale da recare pregiudizio nei confronti di altri soggetto. Esemplare si presenta
in tale prospettiva l'articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla possibile pronuncia
della decadenza di essa.
Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa, quando i
requisiti che l'ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso non siano ancora
completamente realizzati. Si parla in questo caso di una situazione giuridica di natura provvisoria
destinata a cadere con l'acquisizione del diritto. Affinché si parli di aspettativa nel senso accennato,
occorre che l'ordinamento consideri, già attualmente meritevole di tutela, un interesse del soggetto.
Un esempio che si può fare riguardo l'aspettativa di fatto, viene visto nella situazione in cui si trova il
soggetto in ordine all'eredità di chi si ancora vivente, che hanno diritto a una quota della relativa
eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si conta di ereditare, che comincia a
realizzarsi la fattispecie successoria.
Ipotesi riguardante l'aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un diritto sotto
condizione sospensiva o l'alieni sotto condizione risolutiva. Nella fase in cui è incerta l'avverarsi o
meno della condizione (fase di pendenza) non solo il soggetto può disporre della propria situazione,
appunto di aspettativa, rispetto al diritto, ma vede tutelato in maniera incisiva l'interesse al rispetto
della sua aspettativa da parte del controinteressato. Così egli può compiere gli opportuni atti
conservativi, la controparte deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni
dell'altra parte”.
Interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto italiano. Si
tratta della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare un soggetto nei confronti della
pubblica amministrazione che esercita un potere autoritativo attribuitole dalla legge e consiste nella
pretesa che tale potere sia esercitato in conformità alla legge. Nell'ordinamento italiano non
esistono norme definitorie: l'espressione "interessi legittimi" è comunque presente in tre articoli
della Costituzione: all'art. 24 dove è stabilito il diritto di agire in giudizio per la difesa dei diritti
(intesi come diritti soggettivi) e degli interessi legittimi, all'art. 103, in cui si stabilisce la giurisdizione
del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amministrativa per la tutela degli interessi
legittimi, e all'art. 113, dove si prevede che avverso gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la possibilità di tutelare questa posizione soggettiva in sede giurisdizionale. L'interesse
legittimo ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira,
rispettivamente, a conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere amministrativo.
Nel primo caso si parla di interesse legittimo oppositivo, che sorge, per esempio, nei casi di
espropriazione o di imposizione di un vincolo alla proprietà; nel secondo caso di interesse legittimo
Scaricato da Vittoria Renzulli (mariavittoria35@gmail.com)
lOMoARcPSD|2718199
pretensivo, che sorge per esempio in relazione a un'autorizzazione o a una concessione necessaria
per intraprendere un'attività. Viene contrapposto al diritto soggettivo inteso, in questo contesto,
come situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta automaticamente come degna di tutela nei
riguardi sia dei privati sia della pubblica amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto particolare rilevanza nel nostro
ordinamento sotto diversi profili, innanzitutto per quanto concerne le competenze relative alla
tutela giurisdizionale. In tal modo per la tutela dei diritti soggettivi opera il giudice ordinario, per la
tutela degli interessi legittimi il giudice amministrativo. Con importanti interventi del legislatore
sono state estese le materie di competenza del giudice amministrativo. In tal modo tale giudice è
stato ritenuto competente a giudicare anche le controversie aventi oggetto diritti soggettivi, inoltre
è stato consentito al giudice amministrativo il potere di condannare la pubblica amministrazione al
risarcimento del danno conseguente ad un provvedimento legittimo. La giurisprudenza con un
fondamentale intervento della corte di cassazione ha sancito la risarcibilità del danno conseguente
la lesione di un interesse legittimo ai sensi dell'articolo. 2043. Inoltre ha riconosciuto al giudice
ordinario la possibilità di giudicare la controversie relativi agli interessi legittimi eventualmente
condannando la pubblica amministrazione al risarcimento del danno.
A differenza dall'interesse collettivo, gli interessi diffusi sono comuni a individui di una formazione
sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Esempi di interesse diffuso possono
essere la tutela dell'ambiente e la tutela del consumatore.
Onere.
Tale termine viene impiegato per indicare sia la posizione del soggetto passivo del rapporto ed
anche per alludere ad una diversa situazione ossia quella in cui il soggetto sia tenuto ad un certo
comportamento, non al fine di realizzare un interesse altrui ma con il fine di realizzare un interesse
proprio. Il sacrificio di un proprio interesse è imposto per soddisfarne un altro sempre proprio. Tale
figura viene qualificata con il termine di onere. Esempio in proposito è l'onere della prova. Ai sensi
dell'articolo. 2697 “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”. L'attività probatoria, anche se la legge utilizza il termine “deve” non è oggetto di
obbligo, ma per il soggetto in questione è una necessità in quanto in mancanza di essa non riuscirà a
far valere il proprio diritto in giudizio.
CAPITOLO 4
Fatti giuridici.
Scaricato da Vittoria Renzulli (mariavittoria35@gmail.com)
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Ogni fatto materiale è preso in considerazione dall'ordinamento per verificare quanto esso sia
giuridicamente rilevante. Più specificamente il singolo comportamento o accadimento è valutato
dall'ordinamento con il fine di verificare se la situazione coinvolga interessi futili e quindi irrilevanti
o interessi rilevanti. Ogni struttura sociale produce il suo diritto, cosicché con il mutare della realtà
sociale ed economica e con il connesso evolvere dell'ordinamento, alcuni interessi possono subire
una modificazione di giudizio e quindi di rilevanza giuridica. Così appunto interessi che i passato
venivano considerati irrilevanti magari nel presente possono essere considerati come rilevanti. Un
esempio può essere lo sfruttamento dell'atmosfera con la propagazione di onde radioelettriche ecc.
• I fatti giuridici sono accadimenti della realtà materiale rilevanti per l'ordinamento giuridico
che producono effetti nel mondo naturale e nel mondo giuridico. Affinché un fatto venga
considerato rilevante è necessario che venga preso in considerazione dall'ordinamento e sia
connesso a tale fatto la produzione di un effetto giuridico. Quando ciò avviene il fatto riveste la
qualifica di fattispecie. I fatti giuridici sono positivi quando rileva giuridicamente il comportamento
attivo del soggetto che compie l'azione. Sono considerati negativi quando rileva giuridicamente il
comportamento passivo del soggetto.
• L'effetto giuridico è la nascita, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico in
conseguenza dell'accadimento di un fatto giuridico. Distinguiamo due categorie di effetti giuridici.
EFFETTI NECESSARI: provengono dall'ordinamento e non è consentito ai privati di derogarvi. EFFETTI
NATURALI: pur provenendo dall'ordinamento è consentito derogarvi.
Atti giuridici:
Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da una persona capace cui l'ordinamento
ricollega ad effetti giuridici. È possibile distinguere gli atti giuridici in base al compimento, contenuto
e valutazione.
senza colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Sono atti non recettizi quelli che non sono
destinati a terzi e pertanto producono effetto in virtù della mera redazione. 2) Il secondo
modello è caratterizzato dal contegno nel senso che l'atto pur non contenendo una
compiuta determinazione volitiva presenta indici della stessa dai quali è possibile
ricostruirla.
• In relazione ai contenuti gli atti giuridici si distinguono in due fondamentali categorie,
gli atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. 1) Gli atti giuridici in senso stretto sono fatti
dell'uomo per i quali assume rilevanza la mera volontarietà della materia dell'atto. La
volontarietà è connessa alla struttura e non alla funzione dell'atto e cioè al risultato
perseguito. 2) I negozi giuridici sono mezzi di esplicazione dell'autonomia privata.
Strutturalmente sono manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato
dall'ordinamento. Rilevano giuridicamente non solo la volontà e la consapevolezza del
comportamento ma anche l'intento perseguito e cioè il risultato voluto dal soggetto. C'è
volontà e consapevolezza degli effetti. Tipico esempio è il contratto art. 1321.
• In relazione alla valutazione distinguiamo poi atti leciti e atti illeciti a seconda della
conformità o meno all'ordinamento giuridico. 1) Gli atti leciti sono voluti dal l'agente e
conformi all'ordinamento giuridico. 2) Gli atti illeciti sono atti che sono in contrasto con
l'ordinamento giuridico.
Attivitá.
L'attività esprime la coordinazione di più fatti e atti preordinati svolti verso il conseguimento di uno
scopo unitario.
Vicende giuridiche.
Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche soggettive dalla
nascita fino all'estinzione determinando la sorte dei corrispondenti poteri o obblighi in capo ai
singoli titolari. Distinguiamo vicende costitutive, modificative e estintive.
1) Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e dunque l'acquisto in
capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui quindi non poteva essere titolare.
2)Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive nel senso che il
diritto prima esistente viene meno. Es. con il pagamento del debito si realizza l'estinzione del diritto
di credito art. 1176.
3)Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più spesso rispetto
al soggetto, eccezionalmente con riguardo all'oggetto. In particolare la modificazione soggettiva
realizza il trasferimento del diritto da un soggetto ad un diverso soggetto. Ad esempio con la vendita
si ha il trasferimento di proprietà o di altri diritti dal venditore al compratore.
Titoli di acquisito.
La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del titolo di acquisto.
Distinguiamo i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo derivato e a titolo originario.
1)Gli acquisti a titolo derivato stabiliscono che un soggetto avente causa acquista il diritto del
precedente titolare dante causa. Gli acquisiti possono intervenire per atto tra vivi o a causa di
morte. L'acquisto a titolo derivativo si distingue in: acquisto derivativo traslativo e acquisto
derivativo costitutivo.
Si ha l'acquisto derivativo traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo al dante
causa che quindi lo perde. Si ha acquisto derivativo costitutivo quando il diritto acquistato non
esisteva nella realtà giuridica ma promana dal diritto dell'alienante comportandone una restrizione.
2) Gli acquisti a titolo originario: realizzano l'acquisto di un diritto nuovo indipendentemente dal
rapporto con l'originario titolare. L'usucapione costituisce il modo più diffuso di acquisto a titolo
originario
La prescrizione.
L'art. 2105 del cod. civ. abrogato, considerava la prescrizione come un mezzo con cui, col decorso
del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto o è liberato da una
obbligazione. Era un sistema orientato all'osservazione della titolarità del diritto, per cui la
prescrizione, rivolta ad assicurare la stabilità dei rapporti, si fondava sulla presunzione che il
proprietario e il creditore che per lungo tempo non avevano esercitato i propri diritti avessero inteso
di abbandonarli.
Per l'art. 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge. La prescrizione quindi si atteggia come generale modo di estinzione dei
diritti. Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. Tra i diritti
indisponibili ricordiamo i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestá familiari. La
disciplina della prescrizione è di ordine pubblico nel senso che non è derogabile da privati. È nullo
ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione art. 2936. La prescrizione non è
rilevabile d'ufficio dal giudice ma deve essere opposta e cioè rimessa alla valutazione del soggetto
interessato se avvalersi o meno della prescrizione. Si può rinunziare alla prescrizione solo quando
essa è compiuta. La rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile
con la volontà di valersi della prescrizione. È invece vietata la rinunzia preventiva alla prescrizione o
intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione con il fine di evitare abusi di una parte a
danno dell'altra. Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, principio fondamentale è che la
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere art. 2935, non
opera quando il mancato esercizio è giustificato. Molto spesso è la legge stessa a specificare il
giorno dal quale decorre il termine della prescrizione. Quanto alla durata la regola generale è che i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni salvi nei casi in cui la legge dispone
diversamente. Sono molte le ipotesi per le quali è previsto un termine diverso di prescrizione:
talvolta più lungo ad esempio i diritti reali di godimento su cosa altrui si prescrivono in venti anni o
più breve dando luogo a prescrizioni brevi come il risarcimento del danno che si prescrive in cinque
anni.
Sospensione.
Durante il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono sulla operatività
della prescrizione ossia la sospensione e la interruzione.
• Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è dalla legge
giustificato in considerazione di specifiche circostanze che impediscono o anche solo ostacolano
l'esercizio del diritto. All'occorrenza la legge prevede due categorie di fattispecie. La prima categoria
di ragioni giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del diritto con il soggetto
passivo art. 2941. Ad esempio la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente
occultato l'esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto. La seconda
categoria di fattispecie giustificativa riguarda la condizione del titolare del diritto art. 2942. Ad
esempio la prescrizione rimane sospesa contro minori ed interdetti per il tempo in cui non hanno
rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione
dell'incapacità.
• Si ha interruzione della prescrizione quando il diritto è esercitato. In tale ipotesi vi è
cessazione dell'inerzia. L'eccezione è rilevabile d'ufficio dal giudice. Regola generale è che la
prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio o dell'atto di
accesso arbitrale. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Le prescrizioni presuntive.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un breve lasso di tempo
e senza formalità (rilascio di ricevute) perciò le prescrizioni presuntive sono tutte brevi. Per regola
generale il creditore che chiede l'adempimento dell'obbligazione è tenuto alla sola allegazione del
credito, è onere del debitore provare l'adempimento o altra causa di estinzione del debito. La
prescrizione presuntiva solleva il debitore dall'onere di tale prova. Non è tenuto cioè a provare
l'adempimento essendo lo stesso presunto dalla legge dopo il decorso di un determinato periodo di
tempo. In ogni caso si tratta di una presunzione semplice di estinzione che ammette la prova
contraria. La prova è però circoscritta al solo giuramento. Se il debitore giurando il falso, dichiara
che l'obbligazione è stata adempiuta o in altro modo estinta, il diritto si considera estinto, ma se non
c'è stata estinzione incorre nel reato di falso giuramento, per avere come parte in giudizio civile
giurato il falso. Art 371 c.p
La decadenza.
La legge mira a garantire che un diritto sia oggettivamente esercitato entro un dato termine. Il
decorso del tempo pertanto a differenza della prescrizione rileva non come durata del
comportamento di inerzia nell'esercizio del diritto ma nella sola prospettiva della scadenza del
termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe dovuto esercitarlo, scaduto il termine il diritto si
perde. La decadenza non può essere rilevata di ufficio dal giudice con la conseguenza che per la sua
operatività deve essere eccepita dalla parte. Può essere rilevata d'ufficio dal giudice, quando trattasi
di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d'improponibilità
dell'azione. C'è nella legge una disciplina differenziata a seconda che la decadenza inserisca a diritto
disponibili o indisponibili dai privati. Se la decadenza inerisce ai diritti disponibili l'operativitá della
decadenza è rimessa alla iniziativa del soggetto interessato che ha l'onore di eccepirla. Se la
decadenza inerisce a diritti indisponibili le parti non possono modificare la disciplina legale della
decadenza, ne possono rinunziare alla decadenza medesima. Il giudice può rilevare la decadenza
come causa di improponibilità dell'azione.
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Autonomia negoziale.
L'espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente regole.
L'esercizio dell'autonomia deve risultare compatibile con i doveri di solidarietà sociale. L'autonomia
privata è espressione delle libertà fondamentali ed è in grado di procurare il massimo benessere
economico collettivo. Sia nella costituzione sia nell'ordinamento comunitario non c'è un espresso e
formale riconoscimento dell'autonomia negoziale, ma la sua rilevanza giuridica deriva da dati
testuali che necessariamente la implicano. Nella carta costituzionale fondamentali risultano gli art.
2,41,42,47 che sottendono al riconoscimento dell'autonomia privata. In particolare l'art.2 riconosce
e garantisce l'autonomia privata, collettiva e individuale come espressione della libertà
fondamentale limitandone l'esercizio con il rispetto dei doveri di solidarietà. Anche il diritto
comunitario prevedendo un mercato caratterizzato dall'eliminazione degli ostacoli alla libera
circolazione di merci, persone, capitali e servizi, implica il necessario riconoscimento dell'autonomia
privata quale strumento di realizzazione di tali obbiettivi. Neppure il codice civile contiene una
espressa formalizzazione dell'autonomia privata ma la previsione dell'autonomia contrattuale con il
testamento e altri negozi unilaterali ne implicano il riconoscimento.
I negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto assumono
rilevanza non solo la volontarietà e la consapevolezza dell'atto ma anche la volontarietà dello scopo
perseguito nel senso che gli effetti giuridici determinati dall'ordinamento si conformano allo scopo
pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste dunque in una manifestazione di volontà rivolta al perseguimento di
uno scopo concreto giuridicamente rilevante. Sono dunque elementi essenziali di ogni negozio
giuridico:
• La manifestazione di volontà
• Lo scopo perseguito
• La forma vincolata
• La manifestazione di volontà rappresenta l'espressione volitiva degli autori
dell'atto. È necessario che la volontà negoziale sia manifestata e cioè esteriorizzata
con il fine di rilevare l'interesse che si intende realizzare. Talvolta la volontà è
manifestata attraverso dichiarazione, espressa o tacita, o tramite l'attuazione dello
• Parti: si vuole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali, negozi plurilaterali a
seconda del numero delle parti che concorrono alla determinazione dell'intento negoziale. Il
negozio è unilaterale quando proviene da una sola parte, esprime la manifestazione di un intento
negoziale di un solo centro di interessi. Sono di regola negozi recettizi ma ne esistono anche non
recettizi. Il negozio è bilaterale quando proviene da due parti, esprime un regolamento di interessi
in grado di apprestare soluzione alla tensione di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un
contenuto patrimoniale, in quanto verte su un oggetto di suscettibile di valutazione economica,
integra un contratto (vendita, appalto, trasloco). Un esempio emblematico di negozio bilaterale si ha
in materia di famiglia con riguardo al matrimonio. Il negozio è plurilaterale quando è finalizzato al
soddisfacimento di interessi di più parti spesso con uno scopo comune.
• Contenuto: negozi a contenuto patrimoniale sono quelli che incidono sul patrimonio dei
soggetti o con attribuzioni patrimoniali o con la costituzione di vincoli di destinazione. Distinguiamo
inoltre due categorie, i negozi a titolo oneroso dai negozi a titolo gratuito. Tra i negozi a titolo
oneroso si pensi ai contratti di vendita, appalto, trasporto ecc. Tra i negozi a titolo gratuito si pensi
alla donazione. Sono negozi con titolo non patrimoniale quello che incidono sulla sfera esistenziale
dei soggetti, nella dimensione personale del soggetto o nella dimensione collettiva delle formazioni
sociali, senza che una previsione di carattere economico possa assumere la funzione di corrispettivo.
• Forma: sono negozi solenni per i quali è prescritta una determinata forma per la validità
dell'atto. Sono negozi non solenni, in via residuale, tutti gli altri.
• Efficacia: a riguardo si opera la distinzione tra negozi con effetti reali e negozi con effetti
obbligatori. I negozi con effetti reali, detti anche negozi di alienazione, realizzano lo scopo pratico
perseguito dai privati come suo risultato immediato ricollegandosi direttamente al negozio l'effetto
finale avuto di mira. I negozi con effetti obbligatori, detti anche negozi obbligatori, producono la
costituzione di obbligazioni a carico delle parti, sicchè la realizzazione dello scopo pratico perseguito
attraverso il negozio avviene solo successivamente in dipendenza dell'adempimento
dell'obbligazione stessa. Una categoria autonoma è rappresentata poi dai negozi di accertamento.
Tali negozi hanno la funzione di eliminare immediatamente e con efficacia retroattiva la incertezza
circa un determinato rapporto.
• Vita/morte. Distinguiamo tra negozi inter vivos e negozi mortis causa. Alla prima categoria
appartiene la più diffusa esplicazione dell'autonomia negoziale (es. vendita, appalto, ecc.). Negozio
tipico mortis causa è il testamento quale atto di disposizione per il tempo in cui il testatore avrà
cessato di vivere.
6 Iniziativa economica.
• Non c'è nella legge una esplicita nozione di iniziativa economica. Il concetto di
iniziativa economica è sinergico con quello di impresa. Il codice civile contiene la definizione
di imprenditore e non di impresa per essere l'imprenditore il soggetto che svolge l'attività
economica. Per l'art. 2082 è imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività
economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni e servizi. Non è
necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che se ne assicuri
la disponibilità e la loro utilizzazione. Mediante i contratti l'imprenditore si procura i mezzi di
produzione, attinge a finanziamenti, si approvvigiona delle risorse necessarie, stringe
rapporti di lavoro con la mano d'opera e piazza i prodotti sul mercato. L'imprenditore dirige il
processo produttivo, è capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi
collaboratori. Gli ulteriori caratteri dell'art. 2082 stabiliscono che un attività economica si
definisce imprenditoriale solamente se colui che la esercita si prefigga di ricavare dalla
stessa, sia che produca sia che scambi beni e servizi, un profitto personale. Inoltre deve
essere un'attività esercitata professionalmente e cioè con abitualità, seppure non
continuativamente. Infine l'attività dell'impresa può essere rivolta alla produzione di nuovi
prodotti o allo scambio degli stessi. Uno specifico statuto è riservato alle imprese di maggiori
dimensioni e cioè le imprese commerciali. Per tali imprese si prevede l'iscrizione
dell'imprenditore nel registro per le imprese la tenuta dei registri contabili e la soggezione a
fallimento. Non sono soggetti a tale statuto i piccoli imprenditori e gli imprenditori agricoli.
L'azienda.
L'azienda è il complesso di beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Non è
necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che esso ne abbia
disponibilità. L'imprenditore organizza l'attività economica con la destinazione dei beni alla
produzione e allo scambio. Il complesso di beni organizzato rappresenta l'azienda. Segni distintivi
dell'azienda sono la ditta, l'insegna ed il marchio. La ditta identifica la titolarità e deve contenere
almeno il nome o la sigla dell'imprenditore salvo ipotesi di trasferimento dell'azienda. L'insegna
connota il luogo ove è esercitata l'attività, il marchio contraddistingue il prodotto.
Concorrenza e mercato.
Il naturale approdo dei risultati dell'attività imprenditoriale è il mercato dove i prodotti sono
collocati e scambiati. Il mercato è il luogo di incontro tra domanda e offerta e poiché sono vari i
soggetti del sistema economico per ognuna di tale componente si svolge un relativo mercato. Un
tempo il mercato era circostritto ad un unità fisica dove materialmente si incontravano e
dialogavano i soggetti del percorso produttivo, da tempo il mercato esprime uno spazio ideale
sempre più virtuale e organizzato dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni dei
singoli operatori. Più i confini si dilatano maggiormente è avvertita l'esigenza di garantire
informazione e trasparenza.
Il mercato, quale punto di riferimento per lo sviluppo economico, non può essere lasciato ad uno
spontaneismo senza regole con l'inevitabile vittoria del più forte. Un mercato senza regole non
garantirebbe un libero accesso a tutti e dunque una corretta gara. La libertà di iniziativa economica
privata segna anche la libertà di accesso al mercato. Tradizionalmente la concorrenza è stata
configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica. La libertà di iniziativa tra i singoli
operatori si traduce nella concorrenza degli stessi quando in un determinato tempo o area
geografica, più operatori offrono o domandano i medesimi prodotti.
Il codice civile prevede varie restrizioni alla concorrenza, ma le limitazioni legali della concorrenza
operano nella prospettiva di tutela dei soli imprenditori al fine di evitare che vincoli troppo incisivi o
molto prolungati possano svuotare la libertà di iniziativa economica. Analogamente è rimesso agli
imprenditori disporre della libertà di concorrenza attraverso la stipula di divieti convenzionali di
concorrenza, altre volte attraverso cartello impositivi di determinati comportamenti. Anche la
disciplina sulla concorrenza sleale è rivolta a disciplinare esclusivamente la concorrenza tra
imprenditori. Per l'art.2598 compie atti di concorrenza sleale chiunque compie atti idonei a creare
confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente, oppure determina il discredito altrui o si
appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente e in generale si vale direttamente o
indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l'altro azienda.
Vediamo che i protagonisti del mercato non sono più i soli imprenditori, a fianco ad essi rilevano i
fruitori dei prodotti ossia i consumatori. Il contesto dunque muta ed è capovolto viene in rilievo i
questo caso il cosiddetto mercato concorrenziale. La struttura concorrenziale del mercato diventa il
presupposto e non più la conseguenza della libertà di iniziativa economica privata. È il bene
oggettivo rispetto al quale l'iniziativa economica privata deve confrontarsi e i consumatori traggono
alimento per la scelta dei prodotti. È i particolare con la legge 287/1990, cosiddetta legge antitrust,
su modello degli art. 85 e 86 del trattato CE, che muta la configurazione della concorrenza. L'art. 1 di
tale legge annette la struttura concorrenziale del mercato rilevanza costituzionale quale esplicazione
del principio della libertà economica. È opinione diffusa che la disciplina antitrust tutela la
concorrenza e non i concorrenti. Il bene giuridico tutelato non è più soli la libertà di iniziativa
economica delle imprese, ma la struttura concorrenziale del mercato presidiato da doveri di lealtà e
trasparenza. A garanzia della concorrenza è stata istituita l'autorità garante della concorrenza e del
mercato con poteri di regolazione e con poteri di emettere diffide e sanzioni. L'autorità valutati gli
elementi in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da
chiunque ne abbia interesse, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di infrazioni e divieti.
Stato e concorrenza.
Lo stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza unilateralmente alle materie riguardanti
la moneta, la tutela del risparmio, mercati finanziari, il sistema valutario, sistema tributario e
contabile, la perequazione delle risorse finanziarie. A seguito degli art. 85 e 86 del trattato del CE
della legge 287/1990 anche le pubbliche amministrazioni quando operano sul mercato sono
soggette alle regole di concorrenza.
7 CLAUSOLE GENERALI.
L'evoluzione dell'ordinamento derivante dalla conseguente evoluzione della realtà sociale viene
assicurata in gran parte dalle cosidette clausole generali. La natura delle clausole generali è molto
controversa e molte sono le definizioni date di clausole generali anche per distinguerle da figure
contigue. In effetti il ricorso a clausole generali esprime l'esigenza degli ordinamenti di far fronte a
due importanti esigenze: da un lato l'impossibilità di disciplinare tutti i casi della realtà materiale,
dall'altro la risposta al continuo cambiamento dell'ordinamento in base alla evoluzione della realtà
sociale. Le clausole generali indicano una tecnica di normazione, mirano alla determinazione del
contenuto precettivo delle singole regole mediante strumenti dotati di elasticitá e adattabilità. Si
pensi ad esempio alle previsioni di buona fede, correttezza, diligenza, buon costume ecc, norme
necessariamente elastiche a dal contenuto necessariamente vago.
Come appunto si è detto tra le clausole generali una posizione di rilievo è assunta dalla buona fede
che può considerarsi come clausola assorbente di ogni altra clausola. La buona fede esprime una
categoria generale che attraverso l'intero ordinamento giuridico e connota in modo sempre più
incisivo la recente disciplina dei rapporti sociali. Manca però nella legge una nozione o definizione
precisa di buona fede, nozione che necessariamente bisogna trarre dall'ordinamento.
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Informazione e trasparenza.
La buona fede nella dimensione del mercato si caratterizza sempre di più come dovere di
informazione e regola di trasparenza. Sono criteri che presidiano l'azione di tutti gli operatori del
mercato (imprenditori e consumatori). L'agire leale e corretto è un comportamento che tutela non
solo i soggetti del rapporto ma si risolve a vantaggio del generale sviluppo economico-sociale in
quanto consente di selezionare le imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.
Persona e solidarietà.
Nella prospettiva di tutela della persona umana la buona fede è di recente evoluta nel principio di
solidarietà, quale generale valore di rilevanza costituzionale che attraversa ormai l'intero diritto
privato, inteso come disciplina delle relazioni tra soggetti. Negli articoli 2 e 3 cost. è raffigurata una
solidarietà sociale che non è solo politica o economica ma aperta allo sviluppo della persona umana.
Affiora una costituzionalizzazione del principio di buona fede, e dunque dei doveri di lealtà e
correttezza in cui si articola, derivando dalla norma costituzionale forza normativa e ampiezza di
contenuto che si specificano di volta in volta in ragione della peculiarità del rapporto. L'obbligo di
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solidarietà così si appunta in capo ad ogni situazione giuridica soggettiva. Così in materia
contrattuale il principio di buona fede si colloca come dovere in capo a ciascun contraente di non
essere menzognero e reticente ma di compiere quanto è necessario alla salvaguardia dell'interesse
della controparte nei limiti di un sacrificio sostenibile. Più in generale la solidarietà si atteggia come
criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana è linfa essenziale di coesione sociale.
PARTE IV
ISTITUTI
Soggetti
• Rilevante viene considerata la semplice scomparsa della persona. Una persona si reputa
scomparsa quando essa non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell'ultima sua
residenza e non si hanno più notizie. Il tribunale su istanza degli interessati può nominare un
curatore che lo rappresenti. I provvedimenti legati alla scomparsa della persona sembrano
giustificarsi in base ad una sorta di presunzione, da parte del legislatore, di temporaneità della
situazione di incertezza circa l'esistenza della persona.
• Diversa e ben più grave ipotesi viene considerata l'ipotesi dell'assenza. Trascorsi due anni dal
giorno a cui risale l'ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda
di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte possono domandare al tribunale che
ne sua dichiarata l'assenza. La dichiarazione di assenza si fonda sulla considerazione della
persistenza nel tempo dell'incertezza circa l'esistenza della persona: stato di incertezza che si
protrae per almeno 2 anni. Sotto il profilo dei rapporti personali, l'assenza non è configurata quale
causa di scoglimento del matrimonio. Sotto il profilo dei rapporti patrimoniali, una volta dichiarata
l'assenza del soggetto coloro che sarebbero gli eredi testamentari o legittimi possono domandare
l'immissione nel possesso temporaneo dei beni. Per effetto dell'immissione nel possesso
temporaneo dei beni, che deve essere necessariamente preceduto dalla formazione di un
inventario, coloro che l'abbiano ottenuta assumono l'amministrazione dei beni dell'assente, la
rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni. I beni permangono nel
patrimonio dell'assente per tutta la sua assenza e non si ha un fenomeno successorio. Quanto ai
rapporti obbligatori dell'assente, coloro che per effetto della sua morte sarebbero liberati da
obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dall'adempimento (art.50 comma 4). La
situazione di assenza termina o con la prova della morte dell'assente o con la dichiarazione di morte
presunta dell'assente, o con il suo ritorno. Per effetto del ritorno dell'assente i possessori
temporanei devono restituire tutti i beni restando peraltro irrevocabili gli atti compiuti prima della
costituzione in mora art. 56.
• Anche se non vi sia stata una preventiva dichiarazione di assenza (art.58), quando siano
trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia, il tribunale su istanza del PM o di qualsiasi
interessato, può dichiarare la morte presunta dello scomparso nel giorno a cui risale l'ultima notizia.
Per effetto della sentenza che dichiara la morte presunta si apre la successione ereditaria del
soggetto analogamente a ciò che si verifica nell'ipotesi di morte naturale del medesimo. A differenza
dell'ipotesi ordinaria di successione c'è la possibilità che il morto presunto faccia ritorno o che dello
stesso sia provata l'esistenza. Dal punto di vista patrimoniale, se la dichiarazione di morte presunta
risulta preceduta dalla preventiva immissione nel possesso dei beni dell'assente, gli immessi nel
possesso acquistano la disponibilità definitiva dei beni e coloro ai quali fu concesso l'esercizio
temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea delle obbligazioni conseguono l'esercizio
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definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni. Qualora non vi sia stata già
immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto o i loro successori conseguono il
pieno esercizio dei diritti loro spettanti una volta che la dichiarazione di morte sia divenuta
eseguibile. In tale ultimo caso l'immissione del possesso deve essere preceduto dalla redazione di
un inventario dei beni. Ove la persona dichiarata morta presunta ritorni, la stessa recupera i beni
nello stato in cui si trovano e ha diritto a conseguire il prezzo di quelli alienati, ha il diritto a
pretendere l'adempimento delle obbligazioni in precedenza reputate estinte. Dal punto di vista
personale, a seguito della sentenza che dichiara che il soggetto sia morto presunto, il coniuge di tale
soggetto può contrarre nuovo matrimonio. Tuttavia tale matrimonio è considerato nullo nell'ipotesi
di ritorno del morto presunto o di accertamento della sua esistenza in vita.
La differenza con la capacità giuridica è evidente. Mentre chi è dotato di capacità giuridica può
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di agire può altresì validamente
compiere atti giuridici idonei a produrre modificazioni nella sfera delle proprie situazioni soggettive.
Così mentre con la nascita il soggetto ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il
conseguimento della capacità di agire lo stesso soggetto può con propri atti acquistare, vendere,
dare in garanzia, ecc., i beni di cui risulta proprietario.
Minore.
Fissando alla maggiore età l'acquisto della capacità di agire, il minore si trova in una situazione in
incapacità di agire generale. Numerose sono le disposizioni che riconoscono al minore la capacità di
compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera giuridica, sia pure al di fuori dell'area dei rapporti di
natura più strettamente patrimoniale. Il tutto è legato alla sua maturazione, è più precisamente alla
sua capacità di discernimento. L'autonomia del minore circa le scelte di carattere personale e
l'esercizio dei diritti fondamentali, che non si ritiene possa essere esclusa in presenza di una
maturità adeguata, trova ormai ampio riconoscimento anche a livello internazionale. Può essere
ascoltata l'opinione del minore capace di discernimento, può prestare attività lavorativa dai 15 anni,
può compiere tutti gli atti ove è richiesta solo la capacità di intendere e di volere. Il minore deve
essere tutelato e assistito fino al raggiungimento della maggiore età art.30 cost.
Responsabilitá genitoriale.
Alla luce di una simile esigenza di protezione dell'interesse del minore il legislatore ha dettato un
articolata disciplina della responsabilità genitoriale. La responsabilità genitoriale, il cui esercizio è
disciplinato dagli articoli 316 ss., si ricollega alla nozione di potestá, intesa quale situazione giuridica
soggettiva complessa attribuita dall'ordinamento in vista della tutela degli interessi altrui reputati
meritevoli di tutela. In considerazione della rilevanza dell'interesse protetto la responsabilità
genitoriale viene definita come un potere-dovere. Essa è esercitata in comune accordo da entrambi
i genitori.
Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della responsabilità genitoriale art.320.
Questa si stanzia nella rappresentanza del minore e nell'amministrazione dei beni del medesimo. I
genitori che esercitano la responsabilità genitoriale hanno la rappresentanza legale del minore
(permettono al soggetto incapace di operare nel mondo dei traffici giuridici). I genitori compiono in
nome e per conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sfera giuridica patrimoniale, così
permettendo di attuare la modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive. I genitori in modo
congiunto rappresentano i figli in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. L'attività di
amministrazione dei beni comprende non solo tutti gli atti necessari alla conservazione del
patrimonio, ma anche quelli tesi alla sua valorizzazione. In base alla rilevanza dell'atto distinguiamo
gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Un atto si reputa
eccedente l'ordinaria amministrazione allorché comporti una modifica nella struttura del
patrimonio. L'atto di ordinaria amministrazione non incide sulla sostanza del patrimonio non
comportando nessuna modificazione nella sua composizione. Gli atti di ordinaria amministrazione
possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, mentre per i secondi la valutazione
non viene rimessa solo ai genitori ma anche al giudice tutelare che valuterà la necessità o utilità
dell'atto. I genitori non possono compiere atti personalissimi come donazione e testamento per
conto del minore. Nel caso di conflitto di interessi tra figli soggetti alla stessa responsabilità
genitoriale, o tra essi e i genitori interviene l'ultimo comma dell'art.320 che prevede la nomina di un
curatore speciale, che rappresenterà il minore nel compimento dell'atto.
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Un curatore speciale può essere nominato anche quando i genitori non possono o non vogliono
compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Art.(321.). Gli atti compiuti senza osservare le
regole previste dal legislatore sono annullabili come ad esempio l'atto con cui i genitori abbiano
venduto un bene del figlio senza la necessaria autorizzazione del giudice tutelare. L'azione di
annullamento dell'atto può essere esercitata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dal
figlio, nonché dai suoi eredi o aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno
in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. Nel caso di decesso del minore in data anteriore al
raggiungimento della maggiore età il termine di prescrizione decorre dal giorno della morte del
minore stesso. I genitori che esercitano la responsabilità genitoriale sul minore hanno in comune
l'usufrutto legale sui beni del minore. I frutti percepiti dai beni del minore devono essere destinati al
mantenimento della famiglia ed all'istruzione ed educazione dei figli. La responsabilità genitoriale
cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore o con la sua emancipazione. A seguito un
controllo dell'autorità giudiziaria può essere pronunciata la decadenza della responsabilità
genitoriale prevedendo poi l'allontanamento del figlio o del coniuge. I provvedimenti adottati sono
sempre revocabili art. 333. Se i genitori conducono una cattiva amministrazione dei beni del figlio, il
tribunale può stabilire condizioni o addirittura può rimuovere da essa uno o entrambi i genitori,
nominando un curatore, privandoli in tutto o in parte dell'usufrutto legale. Art. 334. Il processo di
controllo dell'attività del genitore può essere attivato dall'altro genitore, dai parenti, o dal P.M. La
vigilanza dell'osservanza delle regole è affidata al giudice tutelare.
Tutela.
Se entrambi genitori sono morti, o per qualunque altra causa non possono esercitare la
responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale circondario dove è la sede principale
degli affari e interessi del minore, cioè il suo domicilio art. 343. L'istituto della tutela è da ritenersi
espressione del precetto costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge
provvede che siano assolti i loro compiti art. 30 comma 2. La tutela ha dunque la funzione di
garantire, attraverso l'intervento di un altro soggetto ed il controllo da parte di organi giudiziali sulla
relativa attività del genitore, al minore la cura dei propri interessi personali e patrimoniali. I poteri
riconosciuti a chi è investito di una simile potestá devono essere esercitati nell'interesse del minore
che l'ordinamento intende proteggere. L'ufficio tutelare è gratuito. Rispetto alla responsabilità
genitoriale che trova un suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al figlio, la tutela
deriva da una pronuncia dell'autorità giudiziaria. È per questo che nella tutela, in particolare in
ordine all'attività di amministrazione del patrimonio del minore, sono previsti vincoli e controlli di
maggiore intensità rispetto a quelli caratterizzanti l'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel
quadro dell'esercizio della tutela un ruolo fondamentale assume la figura del giudice tutelare, il
quale soprintende l'esercizio della tutela e può chiedere assistenza agli organi della pubblica
amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue funzioni. L'attività del giudice si
atteggia come controllo e coordinamento, egli decide su tutte le questioni maggiormente rilevanti al
minore e al suo patrimonio. Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele (tutti gli atti
e i provvedimenti). Il giudice tutelare appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura della
tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore art.346. Prima della nomina del tutore deve
essere sentito anche il minore che abbia raggiunto l'età di dodici anni. Il giudice nomina tutore la
persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale. La
designazione può essere fatta per testamento, atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Qualora manchi la designazione la scelta del tutore viene effettuata preferibilmente tra gli
ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore(tutela legittima). In mancanza il tutore
viene scelto tra altre persone (tutela dativa), o deferita a un ente o assistenza (tutela assistenziale).
In quest'ultimo caso l'amministrazione dell'ente delega uno dei propri membri a esercitare le
funzioni di tutela. Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e
ne amministra i beni. Il tutore assume sia una funzione di carattere personale, che una funzione di
carattere patrimoniale. Sotto il profilo personale ha gli stessi doveri che competono ai genitori
(istruzione, educazione e assistenza morale del minore). Deve però attenersi alle direttive del
giudice tutelare. Sotto il profilo patrimoniale lo stesso giudice indica la spesa annua occorrente per
l'amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi di impiego dei redditi eccedente se
autorizza ad investire i capitali secondo specifici criteri. Il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti
civili e amministra il patrimonio del medesimo. Vediamo inoltre come al tutore è impedito
l'usufrutto legale sui beni del minore, proprio in assenza del carattere familiare del rapporto che
rappresenta attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Il tutore compie da solo gli atti di
ordinaria amministrazione, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sono compiuti dal tutore su
autorizzazione del giudice tutelare. Tuttavia per gli atti che debbono reputarsi di maggiore
importanza e che comunque comportano una rilevante modificazione della composizione del
patrimonio del minore, l'atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale e
il parere del giudice tutelare. L'atto compiuto senza osservare le regole accennate è da considerare
annullabile su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi aventi causa. L'azione di annullamento
si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha compiuto la maggiore età oppure dal giorno della
sua morte. Si è visto come il giudice tutelare accanto alla nomina del tutore provveda
contemporaneamente anche alla nomina di un protutore. Il protutore rappresenta il minore quando
l'interesse del tutore è in contrasto con quello del minore. Il protutore è poi tenuto alla nomina del
nuovo tutore nel caso l'originario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l'ufficio, in
questo tempo il protutore stesso assume la cura della persona del minore, lo rappresenta e può
compiere gli atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione. In ordine alla responsabilità il
tutore deve amministrare il patrimonio con diligenza del buon padre di famiglia. Il tutore risponde
verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri. Nella stessa responsabilità
incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio. La tutela termina quando il
minore raggiunge la maggiore età o eventualmente consegua l'emancipazione per effetto del
matrimonio. Il giudice tutelare tuttavia può sempre esonerare il tutore dall'ufficio qualora l'esercizio
di esso sia per il tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona a sostituirlo, può inoltre
rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri
o si sia dimostrato inetto all'adempimento di essi oppure quando il tutore sia diventato insolvente.
Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto 16 anni, qualora sussistano gravi motivi, può esser ammesso con
decreto del tribunale per i minorenni al matrimonio, previo accertamento della sua maturità psico-
fisica e della fondatezza delle ragioni addotte, sentito il p.m. i genitori o il tutore (art. 84). Il minore
acquista, così, lo stato di emancipato: la emancipazione avviene di diritto in conseguenza del
matrimonio (art. 390). Il minore acquista così una capacità di agire limitata. Il minore viene reputato
idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento interviene esclusivamente
nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione di provvedere alla cura degli interessi
patrimoniali del minore emancipato viene assolta dal curatore (coniuge se di maggiore età). Se
entrambi i coniugi sono di minore età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto
preferibilmente tra i genitori. Il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale: la sua attività è
limitata all’amministrazione del patrimonio dell’emancipato. Il tutore rappresenta il minore, il
curatore si limita ad assistere l’emancipato, senza rappresentarlo. L'atto viene compiuto in prima
persona dal minore emancipato la cui volontà risulta essenziale, tuttavia il suo consenso non risulta
sufficiente in quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del curatore. L’atto
compiuto dal minore emancipato, con il consenso del curatore, è un atto soggettivamente
complesso (atto complesso ineguale). In considerazione della sua limitata capacità di agire il minore
emancipato compie da solo solo atti di ordinaria amministrazione. Il minore può, con l’assistenza del
curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di idoneo reimpiego. Gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono compiuti dal minore col consenso del curatore, previa autorizzazione del
giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di disposizione) indicati dall'art.375,
l'autorizzazione, se curatore non è il genitore deve essere data dal tribunale previo parere del
giudice tutelare. Nell’ipotesi di conflitto tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina un
curatore speciale. Anche la violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei beni
dell’emancipato comporta l’annullabilità del medesimo. (azione di annullamento cade in
prescrizione in 5 anni dal compimento della maggiore età o dal giorno della morte dell'emancipato).
Una capacità di agire quasi piena ha il minore emancipato autorizzato dal tribunale all’esercizio di
impresa commerciale. Resta comunque preclusa la possibilità di fare testamento e donazioni. La
situazione dell'emancipato termina con il raggiungimento della maggiore età.
Interdizione giudiziale.
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di
mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti, quando ciò sia
“necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. L’art 414 conferma, quali presupposti di
interdizione, lo stato di abituale infermità di mente e l’incapacità di provvedere ai propri interessi.
Diversamente che in precedenza viene resa esplicita la ratio del provvedimento in esame, che risulta
ora esclusivamente quella di garantire un’adeguata protezione all’incapace: proprio il carattere di
reale necessarietà del provvedimento per la protezione dell’incapace costituirà oggetto della
valutazione che compete all’autorità giudiziale.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione (art. 417) viene espressamente indicato lo stesso
incapace (istituto di protezione). Per la pronunzia di interdizione, risulta sempre necessario l'esame
del soggetto interdicendo da parte di un consulente tecnico e può anche d'ufficio interrogare i
parenti prossimi dell'interdicendo e assumere le necessarie informazioni. L'ampiezza dei poteri del
giudice in materia denota la presenza di un interesse generale ad assicurare la protezione del
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soggetto che si presenta essere incapace, ma solo a seguito di un rigoroso accertamento delle
condizioni che impongono l'adozione delle misure necessarie. In tale prospettiva è da evidenziare
come anche se venga chiesta la interdizione del soggetto, il giudice possa disporre, pure d'ufficio, la
inabilitazione per infermità mentale. Vale anche la situazione inversa. Quanto agli effetti
dell’interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza: ai sensi dell’art. 421, la
interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza. Una prospettiva
analoga vale per la cessazione degli effetti dell’interdizione. La revoca dallo stato di interdizione si
produce non quando viene meno la causa dell'interdizione, ma solo a far data dal passaggio in
giudicato della sentenza che revoca l'interdizione medesima. Per evidenti ragioni di pubblicità, la
sentenza deve essere annotata immediatamente, a cura del cancelliere del tribunale, nel registro
delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in margine
all’atto di nascita (art. 423). Alle stesse forme di pubblicità è soggetta anche la sentenza che
pronuncia la revoca dello stato di interdizione. Con la sentenza di interdizione si da luogo alla tutela:
all’interdetto vengono assegnati un tutore e un protutore, si applicheranno le stesse norme che
regolano la tutela del minore. Per la scelta del tutore dell'interdetto il giudice tutelare deve
individuare di preferenza la persona più idonea all’incarico. Circa la durata della tutela nessuno è
tenuto a continuare l'incarico oltre dieci anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente
convivente, degli ascendenti o dei discendenti. Le conseguenze di maggiore rilevanza riguardano la
drastica limitazione della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che sotto quello
patrimoniale. L’interdizione giudiziale consegue ad una valutazione di globale inettitudine del
soggetto a provvedere ai propri interessi sia quelli di natura personale che quelli di natura
patrimoniale. Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della persona dell’interdetto
(educazione, istruzione, assistenza morale). L’interdetto non può contrarre matrimonio né
procedere al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio. È sotto il profilo patrimoniale e
precisamente riguardo l'amministrazione del patrimonio dell'incapace che si registra una
importante modificazione rispetto alla disciplina anteriore. In precedenza l'interdetto veniva del
tutto privato della capacità di agire, pertanto gli atti di ordinaria amministrazione venivano compiuti
dal tutore quale rappresentate legale dell'interdetto. Quanto agli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione dovevano essere compiuti dal tutore previa autorizzazione del giudice tutelare ad
eccezione degli atti più importanti ossia i cosiddetti atti di disposizione compiuti dal tutore previa
autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Oggi, in base l’art 427, si dispone che
taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento
del tutore. Deve però essere integrato dal consenso del tutore. All’interdetto è preclusa la possibilità
di effettuare donazioni e di fare testamento. Viene riconosciuta quindi una limitata capacità di agire.
Circa la sorte degli atti compiuti in violazione delle norme che regolano l'amministrazione dei beni
dell'interdetto, basta fare rinvio a quanto osservato in relazione alla tutela del minore con la
differenza che il termine quinquennale di prescrizione del l'annullamento dell'atto decorrerà dalla
cessazione dello stato di interdizione e quindi con il passaggio in giudicato della sentenza che revoca
la interdizione oltre che eventuale dal giorno della morte dell'interdetto.
Inabilitazione.
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo
all’interdizione, può essere inabilitato. Possono essere inabilitati coloro che per prodigalità o per
abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espongano sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi
economici. Infine, possono essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se
non hanno ricevuto una educazione sufficiente. L’inabilitazione è una forma di limitazione della
capacità di agire, meno grave dell’interdizione giudiziale. Le conseguenze rilevano esclusivamente
sotto il profilo patrimoniale, così in particolare l'inabilitato può contrarre matrimonio, e può
riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio. L'inabilitazione può essere promossa anche su istanza
dal soggetto interessato o dalla persona che convive con lui stabilmente. L'inabilitando deve essere
esaminato dal giudice, gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della relativa
sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di
revoca. La sentenza di inabilitazione come la sentenza di revoca sono annotate nel registro delle
curatele ed annotate in margine all'atto di nascita. Con la sentenza di inabilitazione si da luogo alla
curatela. Viene nominato un curatore, e non un tutore, con gli stessi poteri del curatore del minore
emancipato. L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione, può, con assistenza
del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego; gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare; gli atti di disposizione sono compiuti dall’inabilitato, col
consenso del curatore e previa autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare. L’art. 427
prevede che alcuni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti
dall’inabilitato senza la presenza del curatore. Quanto alla sorte degli atti compiuti in violazione
della norma che regola l'amministrazione dei beni dell'inabilitato si fa rinvio a quanto osservato in
relazione alla curatela del minore emancipato con l'unica differenza che il termine quinquennale di
prescrizione dell'azione di annullamento dell'atto decorrerà dalla cessazione dello stato di
inabilitazione e quindi dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che revoca
l'inabilitazione oltre che dal giorno della morte dell'inabilitato. Mentre l'interdetto non può fare
testamento, l’inabilitato può fare testamento ed effettuare donazioni.
Amministrazione di sostegno.
L'amministrazione di sostegno è un nuovo strumento giuridico di protezione finalizzato a tutelare,
con la minore limitazione possibile della capacità di agire, chiunque si trovi in condizioni di
particolare difficoltà e ridotta capacità di autonomia. Si pensi all'anziano che, pur mantenendo
buone capacità di relazione e di comprensione della sua situazione, non è del tutto autosufficiente,
all'invalido che non sia in grado di compiere alcuni atti, al malato psichiatrico che a seguito di
adeguata terapia manifesti un buon grado di autonomia. Queste persone, pur conservando la
capacità di agire e di compiere gli atti diretti a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana,
necessitano di una persona, l'amministratore di sostegno, che abbia cura di loro e provveda a
compiere le azioni necessarie per la gestione dei loro beni.
nomina da parte dello stesso beneficiario, il giudice tutelare sceglierà l'amministratore di sostegno
tra i soggetti più vicini al destinatario del provvedimento come per esempio coniuge, persona
stabilmente convivente, genitore, figlio, parenti entro il quarto grado. L’amministratore di sostegno
deve svolgere i sui compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e deve
tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in
caso di dissenso col beneficiario stesso (art. 410). Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad
amministrazione di sostegno può agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza
esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno. Mentre l’amministrazione di
sostegno comporta una limitazione relativa solo a singoli atti o categorie di atti, specificamente
individuati dal giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore, l’interdizione e la
inabilitazione determinano una compressione più o meno ampia della capacità di agire in via
generale. Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall'amministratore di sostegno in
violazione di norme di legge o di disposizioni del giudice, essi sono o annullabili su istanza
dell'amministratore di sostegno, dal P.M, dal beneficiario o dai suoi eredi e aventi causa. L'azione di
annullamento si prescrive in cinque anni a far data dal giorno in cui sia cessata lo stato di
sottoposizione ad amministrazione di sostengo. La cessazione dell'amministrazione di sostegno può
derivare, oltre dalla morte del beneficiario, esclusivamente con il provvedimento di revoca o da un
provvedimento con cui sia disposta l'interdizione giudiziale o l'inabilitazione del soggetto.
Interdizione legale.
Sono sottoposti ad interdizione legale, ai sensi dell’art. 32 c.p., i soggetti condannati all’ergastolo o
alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni. L’interdizione viene definita
legale in quanto costituisce un effetto che discende automaticamente dalla sentenza di condanna,
senza risultare dalla sentenza. L'interdizione legale differisce da quella giudiziale in quanto si tratta
non della protezione di un soggetto incapace di provvedere ai propri interessi, ma una pena
accessoria rispetto alla condanna principale. L’interdetto legale subisce limitazioni analoghe a quelle
dell’interdetto giudiziale, con l’unica differenza che le limitazioni attengono solo alla sfera
patrimoniale e non a quella personale (matrimonio- donazioni-testamento). Gli atti compiuti da
esso al di fuori delle forme abilitative prescritte sono annullabili su richiesta di chiunque vi abbia
interesse . Si parla quindi di annullabilità assoluta, come ipotesi che si contrappone appunto a
quella relativa la quale può essere solo fatta valere dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla
legge. La ragione di una simile deviazione dal principio generale in materia è da cogliere proprio nel
carattere sanzionatorio e non protettivo dell'interdizione legale. Il carattere assoluto
dell'annullabilità costituisce un connotato che rende del tutto precario per l'incapace lo stato in cui
versano gli atti da lui conclusi senza l'osservanza delle prescrizioni circa la sua rappresentanza.
L'incapace in sostanza è inibito operare nella sfera degli affari di persona, si parla dell'antica morte
civile.
Incapacità naturale.
Mentre l’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l'inabilitazione conferiscono al
soggetto, una condizione legale, dalla quale derivano limitazioni alla capacità di agire, l’incapacità
naturale (o non dichiarata) consiste nella incapacità di fatto del soggetto di intendere o di volere. È
incapace naturale colui che pur legalmente capace, nel momento del compimento di una attività
giuridicamente rilevante non è in grado di valutare la portata del suo contegno. L’incapacità di
intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto. Ai sensi dell’art. 428, gli
atti compiuti da persona che, seppur non interdetta, si provi essere stata incapace di intendere o di
volere al momento del compimento dell’atto medesimo, possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore.
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Riguardo al grave pregiudizio la cassazione ha sottolineato che non deve trattarsi necessariamente
di un pregiudizio di natura economica o patrimoniale ben potendo consistere esso anche nella
lesione di altri interessi del soggetto in particolare personali. Quanto ai contratti conclusi dal
soggetto non capace di intendere e di volere, possono essere annullati quando risulti la malafede
dell’altro contraente, senza dimostrazione del pregiudizio per l’incapace. Un esempio potrà chiarire
meglio la differenza tra incapacità naturale ed interdizione. Se l'interdetto compie personalmente
un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l'atto è sempre annullabile, qualora lo stesso
atto sia compiuto da una persona legalmente capace di agire ma incapace di intendere e di volere al
momento del compimento dell'atto, esso sarà annullabile solo a condizione che sia provato.
L'azione di annullamento dell'incapacità di intendere e di volere si prescrive nel termine di cinque
anni dal giorno del compimento dell'atto e non dal giorno in cui sia cessata l'incapacità naturale. Il
matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità di intendere o di volere
sono di per sé annullabili. Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la
capacità di intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato
d’incapacità non derivi da sua colpa (art. 2046).
2
Diritti della personalità
La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona rappresenta il reale tessuto
connettivo della tutela della persona umana nella globalità delle sue manifestazioni (art. 2 Cost.) La
tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione penale, dalla quale si evince la sua
indisponibilità.
Il diritto all’integrità fisica, oltre a trova tutela nella legislazione penale, la trova anche in quella
civile con il risarcimento del danno (art. 2043). L’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo (tranne per donazioni, solo a titolo gratuito). Divieto di fecondazione eterologa.
Il diritto alla salute trova tutela nei confronti dello stato (salvaguardia ambientale) e nei rapporti
intersoggettivi (risarcimento del danno). Testamento biologico (ricercare la volontà). Rispetto del
cadavere (sentimento collettivo di pietà). In ambito di donazione degli organi post mortem è
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intervenuta la l. 91/99 affermano che deve sussistere una volontarietà del soggetto deceduto a non
protendere per una donazione degli organi post mortem. In caso di mancanza, vale il principio del
silenzio assenso.
Integrità morale crea profili da tutelare: onore e reputazione hanno sul piano penale la tutela
attraverso la repressile dei reati di ingiuria e diffamazione, mentre la tutela civile è affidata al
risarcimento del danno. Il diritto alla riservatezza ha una maggiore estensione rispetto a quello della
eruttazione per assicurare la protezione della vita personale.
Il rispetto della sfera morale della persona trova il suo bilanciamento nella libertà di manifestazione
del pensiero a cui si riconnettono il diritto di cronaca (limite tutela onore e reputazione) e il diritto di
critica (finalizzato alla valutazione di fatti e opinioni altrui). Tollerano è il diritto alla satira.
L’immagine costituisce, col nome, un aspetto della personalità espressamente preso in
considerazione già dal codice civile vigente (art. 10): col diritto all’immagine viene vietato l’interesse
del soggetto ad esimere il consenso per la diffusione del ritratto. L’art. 10 vieta l’abuso
dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di chiederne l cessazione, salvo il
risarcimento del danno. Il principio generale è quella secondo cui il ritratto della persona non può
essere divulgato senza il suo consenso, a meno che sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio
pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali. La
riproduzione può avvenire liberalmente, ove collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse
pubblico o svoltisi in pubblico. E’ assolutamente pacifico che vi debba sempre essere un
collegamento funzionale tra la divulgazione dell’immagine e l’evento.
Il diritto alla protezione dei dati personali riguarda i dati personali che sono una qualsiasi
informazione riguardo una persona fisica; il principio generale è il consenso dell’interessato.
Disciplina particolare è per i dati sensibili (razza, religione, politica). Sotto il profilo sanzionatorio
sono previste sanzioni amministrative di tipo pecuniario e sanzioni penali.
Il nome è un segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato riguardo l’interesse
della persona alla propria identificazione sociale. Per nome si intende il prenome e il cognome. Art.
22, Cost. “nessuno, per motivi politici, può essere privato del nome”. In caso di filiazione fuori dal
matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo abbia riconosciuto con
prevalenza di quello paterno. Le modificazioni del nome e del cognome sono previsti solo nei casi
indicati dalla legge.
Col diritto alla identità personal si vuole assicurare la tutela della proiezione sociale della personalità
dell’individuo: del suo interesse ad essere rappresentato con la sua vera identità, senza che ne
risulti modificato, offuscato, o alterato il patrimonio intellettuale, ideologico, etico, professionale.
3
Enti
individui avvertono la necessità di ricorrere alla forma dell'ente quando i propri interessi perseguiti
non possano trovare adeguato soddisfacimento mediante l'esplicazione di una mera attività
individuale.
Elementi costitutivi.
Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente materiale (persone,
patrimonio, scopo) e una componente formale (riconoscimento). La persona giuridica deve esser
dotata di un’adeguata massa di beni che le permetta di sostenere il peso dell’attività istituzionale
dell’ente: questo è il patrimonio. L’aggregazione di persone e beni avviene in vista della realizzazione
di determinate finalità: questo è lo scopo. A tutti questi elementi viene dato rilevo mediante il
riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Il riconoscimento, negli ultimi tempi, ha subito
una progressiva svalutazione da parte dell’ordinamento. La formale attribuzione della personalità
giuridica non risulta più momento essenziale ai fini della considerazione dell’ente quale soggetto di
diritto. Al concetto di personalità giuridica va sostituendosi quello di soggettività giuridica. L’ente
non riconosciuto, al pari di quello riconosciuto, è un autonomo soggetto di diritto.
Tipologia di enti.
• Oggi continuano a proporsi alcune classificazioni degli enti in considerazione dello scopo
dell'ente e della sussistenza o meno del riconoscimento. Una prima distinzione di fondo che si
riscontra nel codice risulta quella tra enti pubblici (persone giuridiche pubbliche), ed enti privati
(persone giuridiche private). Persone giuridiche pubbliche dovrebbero reputarsi quelle che
perseguono istituzionalmente fini di rilevanza generale di carattere pubblico, diverse sono le
persone giuridiche private che per loro natura perseguono scopi di carattere appunto privato e non
di rilevanza generale. Tuttavia tale distinzione così formulata risulta essere insoddisfacente in
quanto non aderente alla realtà che vede in misura sempre maggiore perseguire interessi di
indubbio rilievo generale anche da parte di enti dal carattere privato. Il carattere generale e
pubblico non può considerarsi come indice sicuro per distinguere persona giuridica pubblica dalla
persona giuridica privata. Gli enti pubblici a loro volta si distinguono in enti pubblici territoriali
(stato, regioni, città metropolitane, province e comuni, art. 114 cost.) ed enti pubblici non
territoriali. È da sottolineare come in relazione alla seconda categoria di enti pubblici sia in atto un
processo di soppressione o trasformazione in enti privati.
• Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi. Enti non lucrativi sono le
associazioni, le fondazioni, e i comitati. Enti lucrativi sono le società il cui scopo è quello di dividere
gli utili prodotti dall'esercizio in comune di un attività economica.
• La distinzione tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona giuridica ha oggi
perso importanza. L'unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti rispetto quelli
non riconosciuti, come si vedrà, attiene al diverso regime di responsabilità per le obbligazioni
assunte in nome e per conto dell'ente stesso. Gli enti riconosciuti come persone giuridiche sono le
associazioni riconosciute, le fondazioni, i comitati riconosciuti, società di capitali e società
cooperative. Enti privi di riconoscimento sono le società di persone.
Riconoscimento.
In passato la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi era indice di un sistema di attribuzione
di personalità giuridica. Al sistema di riconoscimento cosiddetto normativo in base al quale queste
ultime acquistano la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese, si
contrapponeva il sistema di riconoscimento cosiddetto concessorio per cui associazioni, fondazioni
e comitati acquistavano la personalità giuridica mediante riconoscimento concesso con decreto del
Presidente della Repubblica. L'attribuzione della personalità giuridica secondo sistema concessorio
era rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale da parte della pubblica amministrazione. Al
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Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale, l'ente ha una capacità giudica del tutto analoga a quella delle
persone fisiche. Nella sua sfera di titolarità possono rientrare tutte le situazioni giuridiche soggettive
attive e passive che potrebbero far capo ad un soggetto persona fisica. Alla persona giuridica risulta
riferibile pure la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto non patrimoniale. L'ente a
differenza della persona fisica non ha l'idoneitá ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. In campo patrimoniale sono scomparsi gli
ostacoli che i passato limitavano fortemente la capacità dell'ente. In particolare, l'art.17 oggi
abrogato, subordinava l'acquisto dei beni mobili, l'accettazione di donazioni o eredità da parte di
associazioni riconosciute e fondazioni, alla preventiva autorizzazione governativa. Venuta meno
questa rilevante restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi piena capacità di compiere
acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito senza che la consistenza
patrimoniale debba di volta in volta essere sottoposta ad un controllo di carattere pubblicistico. In
conclusione gli enti del I libro, riconosciuti o meno possono liberamente acquistare beni immobili e
di eseguire attribuzioni a titolo gratuito senza la necessità dell'autorizzazione governativa.
Attivitá.
L'ente in quanto per sua natura non dotato dell'attributo della fisicità ha la necessità di servirsi di
altri soggetti (persone fisiche) non solo per organizzare la propria vita interna ma sopratutto anche
per determinare la propria volontà e manifestarla all'esterno. L'esercizio della capacità di agire di cui
l'ente risulta fornito è reso possibile dai suoi organi. Sono gli organi a permettere all'ente di formare
la propria volontà e di proiettarla all'esterno. La volontà dell'ente, derivante dalla confluenza delle
volontà dei singoli, viene riferita immediatamente all'ente medesimo. Allo stesso modo tutti i
comportamenti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli organi dell'ente sono allo stesso
direttamente imputati. Con riguardo all'attività negoziale dell'ente, il compito di proiettare
all'esterno la sua volontà, perché si incontri con quella di altri soggetti nella conclusione di negozi
giuridici è demandato all'organo amministrativo. Sono amministratori gli organi dell'ente che
consentono all'ente medesimo di intrattenere rapporti negoziali. La determinazione della volontà
dell'ente può invece spettare all'assemblea organo peculiare degli enti di tipo associativo o agli
stessi amministratori. Il fenomeno in base al quale l'attività negoziale posta in essere da un organo
dell'ente viene imputata all'ente stesso prende il nome di rappresentanza organica.
Figure
Associazione riconosciuta.
Si tratta di un organizzazione collettiva per perseguire scopi duraturi di carattere non economico.
Gruppo stabilmente organizzato. Vi è un interesse del gruppo all’apertura all’adesione di altri
soggetti, l’adesione sarà valutata dall’organizzazione dell’ente per verificare se sussistono i requisiti
richiesti dall’ente. Si differenzia dall'associazione non riconosciuta nella disciplina della
responsabilità per le obbligazioni che fanno capo all'ente. A rispondere delle medesime obbligazioni
soltanto con il proprio patrimonio è esclusivamente l'associazione riconosciuta. Di conseguenza, con
riguardo all'associazione riconosciuta, i creditori dell'associazione stessa non possono vantare
alcuna pretesa nei confronti degli associati ma neppure verso coloro che hanno agito per conto o in
nome dell'associazione.
L'associazione riconosciuta nasce mediante un contratto, il contratto associativo, che ai sensi
dell’art. 14 deve rivestire la forma dell’atto pubblico (in vista di un suo riconoscimento). E’ un
contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura aperta nel senso che ad esso possono prestare
adesione, in un momento successivo, altri contraenti.
Si distingue l’atto costitutivo, che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita all’ente ed
individua gli elementi principali e caratterizzanti dell’ente medesimo (denominazione, scopo,
patrimonio, sede) e lo statuto che contiene le norme destinate a regolare la vita e il funzionamento
dell’ente.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone che danno vita
all’ente, assicurandone la necessaria coesione. Lo scopo deve essere non lucrativo caratteristica
questa che distingue l'associazione con le società. L’associazione può comunque svolgere un’attività
economica, in vista del perseguimento dello scopo ideale che la caratterizza. Gli utili e i proventi
percepiti da tale attività devono essere destinati agli scopi dell’ente e non distribuiti tra gli associati.
In caso contrario, l'associazione assumendo carattere imprenditoriale sarà assoggettata a tutte le
norme che disciplinano l'impresa commerciale e in particolare anche l'esposizione al fallimento. Ai
fini del riconoscimento, lo scopo, ai sensi dell’art. 1 D.P.R. 361/200 deve essere possibile e lecito.
L’altro organo dell’associazione è quello amministrativo che può essere monocratico o collegiale. Ha
il compito di gestire le risorse dell’associazione, di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi, e di
porre in essere tutti gli atti necessari allo svolgimento dello vita dell’ente e alla realizzazione del suo
scopo. Quanto all’attività rappresentativa si è già avuto modo di esaminare il carattere peculiare
della cd. rappresentanza organica. Gli associati i quali abbiano esercitato il diritto di recesso o siano
stati esclusi, non possono ripetere i contributi versati, né vantare diritti sul patrimonio
dell’associazione. La qualità di associato è intrasmissibile (art. 24). L’associato può sempre recedere
dall’associazione. L’esclusione dell’associato può essere deliberata dall’assemblea solo per gravi
motivi. Il fondo dell’associazione non è aggregabile dai creditori dei personali associati. Il creditore
dell’associato non può rivalersi sul patrimonio dell’ente e il creditore dell’ente non può rivalersi sul
patrimonio dell’associato.
Fondazione.
La fondazione si caratterizza per essere un complesso di beni destinato a un determinato scopo,
prefissato dal fondatore. L’attenzione è rivolta ai beni, caratterizzati da un vincolo di destinazione.
Quello tenuto presente dal nostro legislatore è il modello della cosiddetta fondazione erogatrice
appunto con il fine di erogare le rendite secondo le direttive del fondatore. La fondazione può
sussistere solo se riconosciuta secondo le modalità contemplate nel D.P.R 361/2000. In quanto
necessariamente riconosciuta essa risulterà sempre caratterizzata dall'autonomia patrimoniale
perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell’ente risponde soltanto
questo col suo patrimonio. La fondazione è costituita con un negozio unilaterale (negozio
unilaterale) posto in essere da un soggetto (fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione
di uno scopo, all’uopo destinando una quantità di beni che andranno a costituire il patrimonio della
fondazione medesima. Pare opportuno evidenziare come la fondazione a differenza
dell'associazione venga ad esistere solo per effetto del riconoscimento. Il negozio di fondazione,
quale atto costitutivo dell'ente, se compiuto in vita dal fondatore, deve rivestire la forma di atto
pubblico tuttavia la fondazione può essere disposta anche con testamento. Le regole disciplinanti la
futura attività della fondazione sono contenute nello statuto, in cui devono essere indicate i criteri e
le modalità di erogazione delle rendite. L'art.15 poi disciplina l'ipotesi di revoca dell'atto costitutivo
della fondazione. Il negozio di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia
intervenuto il riconoscimento ovvero quando il fondatore non abbia fatto ancora iniziare l'attività da
lui disposta. (art. 15). La facoltà di revoca non si trasmette agli eredi (15, c.2). Lo scopo deve essere
possibile e lecito, il patrimonio deve essere adeguato allo scopo perseguito. Non può intraprendere
nessuna attività di tipo economico. Nella fondazione non è presente l'assemblea, manca cioè
l'organo nel cui ambito, nell'associazione si forma la volontà dell'ente. Tale rilevante differenza si
giustifica in considerazione del carattere peculiare del negozio di fondazione mediante il quale il è il
fondatore a determinare i caratteri dell'attività che sarà svolta dall'ente. Nella fondazione anche
l'organo amministrativo appare diverso da quello dell'associazione. In primo luogo gli
amministratori della fondazione sono meri organi serventi. L'art. 25 attribuisce all'autorità
amministrativa il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni. Compito che
ricomprende la nomina e la sostituzione degli amministratori, l'annullamento delle deliberazioni
adottare dall'organo amministrativo, lo scioglimento dell'amministrazione e la nomina di un
commissario straordinario qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto e
dello scopo della fondazione o della legge.
della estinzione dell'ente viene meno il potere degli amministratori di compire nuove operazioni.
Chiusa la procedura di liquidazione il presidente del tribunale dispone che ne sia data
comunicazione ai competenti uffici per la cancellazione dell'ente dal registro delle persone
giuridiche. L'art.31 indica che i beni della persona giuridica che residuano dopo la liquidazione sono
devoluti in conformità all'atto costitutivo o dello statuto. Parimenti si esclude che lo statuto
dell'associazione o l'eventuale deliberazione di scioglimento anticipato possano prevedere la
distribuzione di beni residui ai singoli associati.
Diversa risulta l'ipotesi di trasformazione della fondazione disciplinata dall'art.28. Quando lo scopo è
esaurito o è divenuto impossibile o di scarsa utilità o il patrimonio è divenuto insufficiente, l'autorità
anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere appunto alla sua trasformazione. È
evidente che si dovrà tenere conto dello scopo originario dell'ente, l'autorità così non potrà dar vita,
in particolare, ad un ente che persegue uno scopo nettamente distante rispetto ad esso. La nuova
disciplina del diritto societario ha reso possibile la trasformazione di associazioni riconosciute e
fondazioni in società di capitali. L'associazione delibera la trasformazione in società di capitali con la
stessa maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. La
trasformazione di fondazione in società di capitali è disposta da autorità amministrativa su proposta
dell'organo competente. Non risulta espressamente prevista una ipotesi di trasformazione di
associazione in fondazione. L'art. 32 infine prevede che nel caso di trasformazione o di scioglimento
di un ente al quale siano stati donati o lasciati beni con destinazione particolare, l'autorità
amministrativa devolva tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche aventi fini
analoghi.
Comitato.
L'ultimo tipo di ente è il comitato su cui la dottrina non ha mai manifestato concordia di opinioni.
Talvolta accostato all'associazione, altre volte alla fondazione ancora altre volte ad entrambe.
Sembra che il comitato ricomprenda un ente sui generis che presenta affinità con le differenti
tipologie di enti non lucrativi ma che in sostanza appare dotato di propria specificità. Esso consiste
in un organizzione di persone (promotori) che perseguono un determinato fine altruistico
raccogliendo fondi, per il raggiungimento di uno scopo comune, presso il pubblico. Tra gli scopi
possibili (art. 39) vi sono il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere pubbliche, monumenti,
esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili. Vi è una differenza tra comitato riconosciuto come
persona giudica e comitato non riconosciuto come persona giudica. L'attribuzione della personalità
giuridica al comitato incide sulla responsabilità. Così se il comitato è riconosciuto, delle obbligazioni
assunte in nome e per conto dell'ente, risponderà solo quest'ultimo col suo patrimonio. Con
esclusione quindi della responsabilità personale dei componenti. Qualora al comitato non siano
riconosciuti tutti i suoi componenti risponderanno personalmente e solidalmente delle obbligazioni.
I sottoscrittori (oblatori) vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a favore del comitato,
sono obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promesse con esclusione di forme di
responsabilità per le obbligazioni verso il comitato. L’art. 42 prevede, quali ipotesi di estinzione del
comitato, l’insufficienza di fondi rispetto lo scopo dell'ente. In tal l'autorità amministrativa stabilisce
la devoluzione dei beni.
promuove lo sviluppo del volontariato in vista del conseguimento di finalità di carattere sociale,
civile e culturale. Per organizzazione di volontariato si intende ogni organismo liberamente
costitutivo con il fine di svolgere l'attività di volontariato, che si avvalga in modo determinante delle
prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. Il decreto legge 469/1997 contiene
poi la disciplina della onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale). Sono considerate onlus le
associazioni, le fondazioni, i comitati, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato con o
senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti sotto la fora di atto pubblico o
scrittura privata autenticata, contengano una serie di previsioni relative in particolare all'attività
istituzionale dell'ente ed alla destinazione degli utili. Non si tratta di un nuovo tipo di ente bensì una
qualifica volta ad individuare quegli enti che possono aspirare ad usufruire di particolari benefici
sociali. La legge 460/1997 vieta a soggetti diversi dalle onlus l'uso di tale denominazione e in
qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico. In tale panoramica sul settore non
profit è necessario ricordare l'associazione di promozione sociale. La legge 380/2000 introduce un
regime speciale per tutte le organizzazioni che rientrano nella definizione di associazione di
promozione sociale, ovvero tutte le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti e i
gruppi, costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi senza finalità
di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. Infine abbiamo l'impresa sociale
che indica organizzazioni private che esercitano un’attività economica organizzata al dine della
produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse
generale.
PARTE V
FAMIGLIA
Famiglia e ordinamento giuridico
Il diritto di famiglia vigente trova sua fonte principale nel codice civile, sopratutto in materia di
filiazione. In primo luogo è da ricordare la legislazione in tema di affidamento e di adozione dei
minori 149/200. Importanza fondamentale assume poi la legislazione sul divorzio.
La famiglia di fatto.
La coppia di fatto o meglio la convivenza more uxorio non è espressamente disciplinata dalla legge;
nonostante tale lacuna normativa, non si pone in contrasto con norme imperative, né con l’ordine
pubblico, né con il buon costume.
Con l’espressione “convivenza more uxorio” si indica l’unione stabile e la comunione di vita
spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio (c.d. famiglia di fatto).
Scaricato da Vittoria Renzulli (mariavittoria35@gmail.com)
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Nonostante, nell’attuale realtà sociale, il fenomeno stia avendo sempre maggiore diffusione, il
nostro ordinamento giuridico riconosce e tutela solo ed esclusivamente la famiglia legittima, id est
quella fondata sul matrimonio.
Perchè possa dirsi configurata una convivenza more uxorio sono richiesti i seguenti requisiti:
Va osservato che il rapporto non fondato sul matrimonio e, quindi, la convivenza more uxorio come
nasce così può cessare; diverso è, invece, per la famiglia fondata sul matrimonio ove norme ad hoc e
leggi speciali regolano sia l’istituto della separazione, sia quello del divorzio.
Il convivente more uxorio ha diritti successori? E’ bene precisare che, non sussistendo lo status
giuridico di coniuge, il convivente more uxorio potrà ottenere una quota di eredità solo mediante un
lascito effettuato dal defunto mediante testamento. Lascito, si badi bene, che non dovrà,
comunque, ledere la porzione che, per legge, spetta a determinati soggetti: ad esempio ai figli.
I conviventi c.d. more uxorio non hanno, dunque, diritti successori nei confronti l’uno dell’altro
perchè, per la legge, non essendo legati da vincoli di parentela o di coniugio sono considerati
estranei fra di loro. Tuttavia, ciascuno dei due può, nel proprio testamento, nominare erede l’altro;
naturalmente dovranno essere rispettati i diritti dei successori c.d. legittimari, se vi sono cioè
l’eventuale coniuge e/o i figli del convivente che redige testamento. In questa ipotesi l’altro
convivente potrà ereditare la quota c.d. disponibile. Sono, invece, assolutamente vietati – sia tra i
conviventi sia, in generale, tra chiunque – i contratti con cui ciascuno si impegna a nominare come
proprio erede l’altro: la legge vieta, infatti, i c.d. patti successori. Questi ultimi sono considerati nulli.
In caso di morte di uno dei conviventi, a causa di fatto illecito del terzo (es. sinistro stradale), il
convivente superstite ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno morale e patrimoniale?
Con sentenza n. 23725 del 16.09.2008, i Giudici di Piazza Cavour hanno statuito che il diritto al
risarcimento del danno da fatto illecito, concretatosi in un evento mortale, va riconosciuto anche al
convivente more uxorio, e ciò sia con riferimento al danno morale, sia con riferimento al danno
patrimoniale. Quest’ultimo richiede, però, la prova di uno stabile contributo economico apportato
in vita dal de cuius al convivente superstite – danneggiato e di una relazione caratterizzata da
stabilità e da reciproca assistenza morale e materiale.
E, ancora, il convivente more uxorio gode del diritto di abitazione sulla casa adibita a convivenza, in
caso di morte di uno dei due?
Occorre sottolineare che un accordo tra i conviventi, avente ad oggetto l’attribuzione del diritto di
abitazione sulla casa adibita a convivenza, per il periodo successivo alla morte di uno dei due,
sarebbe nullo; ciò perchè un simile accordo integrerebbe un patto successorio di tipo istitutivo
vietato ai sensi dell’art. 458 c.c..
In tema di successione tra conviventi e diritto di abitazione, per completezza, si ritiene che in caso di
morte di uno dei due, il convivente può continuare ad usufruire del rapporto di locazione: cioè
abitare nell’immobile che, fino al momento del decesso, veniva utilizzato come casa familiare.
Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6,
comma 1 della Legge 392/1978 (c.d. legge sull’equo canone), nella parte in cui non prevede fra i
successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente
more uxorio ( vedasi, pure, la recente pronuncia: Cassazione Civile, Sez. III, 23 Febbraio 2013, n.
3548).
Alla luce di quanto sopra, il convivente more uxorio, seppur entro certi limiti, gode di diritti
successori.
Parentela e affinità.
Il matrimonio e la generazione costituiscono la fonte dei rapporti che legano i membri della famiglia.
Dal matrimonio scaturisce il rapporto di coniugio, derivando anche quello di affinità, che lega
ciascun coniuge ai parenti dell’altro. La parentela è il “vincolo tra persone che discendono dallo
stesso stipite” (art. 74 c.c.). Ai sensi dello stesso articolo sono parenti in linea retta coloro che
discendono l’uno dall’altro immediatamente (genitori-figlio), o per generazioni successive; sono
parenti in linea collaterale colo che, pur avendo un ascendete comune, non discendono l’uno
dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini). Il rapporto di parentela è giuridicamente rilevante, il
linea di massima, fino al sesto grado (art. 77). La modifica alla legge 219/2012 si è precisato che il
vincolo di parentela sussiste sia nel caso la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel
caso sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Meno rilevante è il
rapporto di affinità (78), quale “vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro”. Il rapporto di affinità
cessa in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.
Alimenti.
L'obbligo di prestare gli alimenti trova il proprio fondamento nella solidarietà familiare. Esso grava
pure sul donatario. L'obbligazione alimentare tra i componenti della famiglia è disciplinata dall'art.
433 che stabilisce un ordine tra di essi ponendo al primo posto il coniuge, quindi i soggetti legati da
un rapporto di discendenza (figli, discendenti prossimi, genitori) poi gli affini in linea retta (generi,
nuore, suoceri) e infine fratelli e sorelle. Nella famiglia nucleare si ha l'obbligo alimentare per i
coniugi, contribuzione cui è tenuto anche il figlio finché dura la convivenza. In favore dei figli e del
coniuge nell'ipotesi di separazione è dovuto il mantenimento. L'obbligazione al mantenimento
presenta un contenuto più ampio di quello alimentare in quanto riferito al parametro ed al tenore di
vita familiare. Il presupposto del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costitutivo dallo stato di
bisogno di chi non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita. Circa le modalità di
somministrazione, esse sono a scelta dell’obbligato. Dopo l’assegnazione le condizioni economiche
del ricevente possono mutare, pertanto vedrà se cessare, diminuire o aumentare il mantenimento
(art. 448). L'obbligazione ha natura personale e quindi cessa con la morte dell’obbligato (art. 448). E’
un diritto non patrimoniale, incedibile, irrinunciabile, impignorabile, insequestrabile.
essere l'allontanamento del responsabile dalla casa familiare, oltre alla inibizione di avvicinarsi in
luoghi in cui svolge la vita della vittima.
2
Matrimonio.
Matrimonio e famiglia.
Per l’art. 29, il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia. E’ l’atto col quale gli sposi si
assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita stabile e socialmente garantita,
caratterizzata dalla esclusività della relazione personale, dalla reciprocità dell’assistenza e della
contribuzione al soddisfacimento delle esigenze comuni. Il matrimonio, come atto, è un negozio
bilaterale, concorrendo alla sua formazione la volontà dei due nubendi. Gli effetti sono regolati
unicamente dall’ordinamento civile. L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla
volontà manifestata personalmente ed incondizionatamente dagli sposi e nelle forme previste dalla
legge: l’atto è personalissimo e puro.
Le forme matrimoniali.
L'unico matrimonio riconosciuto come produttivo di effetti per l'ordinamento dello stato restò
quello contratto secondo le condizioni e le formalità previste dal codice civile. Il cittadino interessato
a vedere pure consacratosi religiosamente il propri vincolo matrimoniale doveva ricorrere ad una
doppia celebrazione. (Restando comunque quella civile rilevante per il conseguimento degli effetti
civili). Il sistema fu profondamente mutato dal concordato fra stato e chiesa cui diede attuazione
alla legge matrimoniale 847/1929. Il nostro ordinamento è risultato caratterizzato così da una
pluralità di forme matrimoniali, in realtà quella da prendere in considerazione sono solo 2 quella
civile e quella concordataria. Quello concordatario, richiamato dal codice civile nell'articolo. 82
rappresenterebbe il modello di atto matrimoniale, essendo l'ordinamento statale impegnato a
riconoscere effetti civili al matrimonio disciplinato con rito canonico. Il matrimonio celebrato
secondo riti religiosi diversi da quello cattolico altro non sarebbe che un matrimonio civile.
Un altro requisito è la libertà di stato, per cui non può contrarre matrimonio chi sia già vincolato
matrimonialmente essendo il nostro matrimonio fondato sul principio della monogamia. Uno dei
pilastri della nostra civiltà è anche la esogamia, divieto di contrarre matrimonio in vista di uno
stretto rapporto di parentela e affinità (art. 87).
L’art. 88 preclude il matrimonio tra le persone delle quali l’uno sia stata condannata per omicidio
consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altro. Divieto temporaneo di nuove nozze (300
gg) per la donna.
Formalitá e celebrazione.
Le formalità che precedono la celebrazione del matrimonio rispondono alla funzione di rendere
nota la relativa intenzione dei nubendi, consentendo a chi ne sia a conoscenza di proporre
opposizione.
Le formalità sono la pubblicazione (affissione per 8 gg dell’avviso delle nozze, a cura dell'ufficiale
dello stato civile presso la porta della casa comunale) e l’opposizione. L'art. 102 indica le persona
che possono fare opposizione (in genere genitori e parenti prossimi e il P.M). Sull'opposizione, da
proporre con ricorso al presidente del tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione,
decide il tribunale con decreto motivato. Dopo 3 giorni dalla pubblicazione senza opposizione,
l’ufficiale dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio. Questa avviene, in linea
di massima, nella casa comunale, alla presenza di due testimoni con le relative dichiarazioni, fatte
personalmente, da ciascuno degli sposi, previa lettura degli artt. 143, 144, 147 cui segue la
dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile che essi sono uniti in matrimonio (art. 107). Il
matrimonio è atto puro, che non ammette condizioni. L’ufficio dello stato civile redige l’atto di
matrimonio, che viene poi iscritto nell’archivio informatico del comune. L’atto assume rilevanza in
quanto rappresenta l’essenziale strumento prova del matrimonio (art. 130).
E’ possibile impugnare il matrimonio per simulazione quando “gli sposi abbiano convenuto di non
adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti”.
Conseguenze di invalidità.
Per effetto dell’annullamento o della dichiarazione di nullità del matrimonio, i coniugi riacquistano il
loro stato libero con effetto retroattivo, come se il matrimonio non fosse stato celebrato. Tuttavia, gli
effetti del matrimonio valido o putativo (cioè del matrimonio che taluno dei coniugi o entrambi
reputavano valido) si producono fino al momento della pronuncia giudiziale nei seguenti casi (art.
128 cod. civ.):
Riguardo ai coniugi – Qualora entrambi lo abbiano celebrato in buona fede (cioè ignorando
l’esistenza di una causa di nullità), oppure quando il loro consenso sia stato estorto con violenza o
determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi, il matrimonio si
considera valido fino al momento della pronuncia di annullamento. In tal caso il tribunale può
disporre a carico di uno di essi e per un periodo di tempo non superiore a tre anni l’obbligo di
corrispondere all’altro un assegno periodico per alimenti, se questi non abbia redditi adeguati e non
sia passato a nuove nozze.
Qualora, invece, uno solo dei coniugi abbia celebrato il matrimonio in buona fede, gli effetti del
matrimonio putativo si producono solo in suo favore e riguardo ai suoi figli. In tal caso questi ha
diritto ad ottenere: a) una congrua indennità (che non può superare il mantenimento per tre anni)
dal coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio o dal terzo eventualmente responsabile; b)
gli alimenti, in assenza di altri coobbligati.
Qualora entrambi i coniugi avessero celebrato il matrimonio in mala fede, gli effetti del matrimonio
putativo si producono solo rispetto ai figli, salvo che la nullità sia dovuta da incesto.
Riguardo ai figli – Il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio valido nei
confronti di costoro, tanto nel caso in cui siano nati durante il matrimonio, quanto nel caso in cui
siano nati prima del matrimonio e riconosciuti prima della sentenza che ne abbia dichiarato
l’invalidità.
Qualora, invece, i coniugi abbiano celebrato il matrimonio in mala fede (cioè consapevoli della sua
nullità), esso ha comunque nei confronti dei figli lo stesso effetto del matrimonio valido, a meno che
l’invalidità dipenda da bigamia o incesto. In tale ipotesi costoro assumono lo stato di figli naturali
riconosciuti, nei casi in cui il riconoscimento è consentito.
Matrimonio concordatario.
È il matrimonio celebrato secondo i riti della regione cattolica che in base agli accordi tra la chiesa
cattolica ed il governo italiano ha effetti anche di natura civile. Sappiamo che gli stati moderni sono
laici e, quindi, indifferenti alle vicende religiose delle chiese che operano al loro interno.
Non si può ignorare, tuttavia, che in Italia la regione cattolica ha profonde radici e fa parte
integrante della nostra storia e cultura. Uno degli aspetti dove maggiormente si riscontra questo
legame con la cultura cattolica è sicuramente quello della famiglia, dove, tradizionalmente, la chiesa
cattolica interviene in diversi momenti della vicenda familiare.
Per questi motivi lo Stato italiano non è rimasto indifferente al sacramento del matrimonio,
riconoscendo effetti civili al rito matrimoniale celebrato innanzi ad un ministro della chiesa cattolica.
Nel nostro ordinamento esiste il matrimonio civile, di cui ci siamo già occupati, e il matrimonio
concordatario regolato dal concordato del 1929 (l. 27\05\1929 n. 847) e dall'accordo di revisione del
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Le questioni relative alla costituzione e validità del vincolo sono regolate dal diritto canonico e
rientrano nella giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, mentre tutto ciò che attiene al rapporto e il
procedimento giurisdizionale relativo alla esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche di nullità rientra
nella competenza dello Stato
La celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni eseguite a cura
del parroco con affissione di avviso innanzi alla porta della chiesa contenente tutte le notizie
necessarie per individuare gli sposi. Le pubblicazioni devono, inoltre, essere eseguite anche alla
porta della casa comunale. Trascorsi i termini di legge, l'ufficiale di stato civile, ove rilevi che non gli
sia stata notificata alcuna opposizione, rilascia un certificato dove si dichiara che non esistono cause
che si oppongono alla celebrazione del matrimonio valido ai di effetti civili.
La celebrazione avviene con rito religioso, con prevista lettura degli artt. circa i diritti e i doveri dei
coniugi. La celebrazione è seguita dalla redazione dell’atto di matrimonio (sep. beni, riconoscimento
figli naturali), in doppio originale, per consentire la trasmissione di uno di essi all’ufficiale dello stato
civile.
L'atto di matrimonio, formato dal celebrante e sottoscritto dagli sposi e dai testimoni, deve essere
trasmesso entro cinque giorni all'ufficiale di stato civile per la trascrizione nei registri di stato civile.
Il matrimonio, intervenuta la trascrizione ordinaria o tempestiva, produce gli effetti al momento
stesso della celebrazione. È ammessa anche la trascrizione tardiva, ove l'atto di matrimonio non
venga trasmesso entro cinque giorni dalla celebrazione. In questo caso occorre la richiesta dei due
sposi, o anche uno di essi, e che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal
momento della celebrazione a quello della richiesta. Con la revisione del concordato si considera
venuta meno la riserva di giurisdizione precedentemente sussistente in materia. Anche i tribunali
civili possono dunque sindacare la validità del matrimonio concordatario.
Effetti
che è alla base del matrimonio è che impone un vicendevolo aiuto sopratutto nei momenti difficili.
Non a caso il diritto di assistenza morale e materiale è sospeso nei confronti del coniuge che si
allontani in modo ingiustificato dalla residenza familiare. Il dovere di collaborazione vale a precisare
il precedente dovere nel senso della promozione di un'attività secondo le proprie capacità.
Importante è anche il dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita familiare
attestata dal legislatore è definito nella residenza familiare con i possibili risvolti penali del suo
abbandono. Alle ipotesi che si collegano alla convivenza fa riferimento la disciplina degli ordini di
protezione contro gli abusi familiari che comportano anche l'imposizione dell'allontanamento dalla
casa familiare.
Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una volta ritenuta
pacifica la loro incoercibilità. L’avere il comportamento tenuto dal coniuge in violazione di tali doveri
causato la crisi coniugale rende a lui eventualmente addebitabile la separazione personale
rientrando la valutazione delle ragioni e della decisione anche tra gli elementi da considerare per la
determinazione dell’assegno di divorzio.
In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito (143 bis).
Secondo quella che viene definita come regola dell’accordo nel governo della famiglia, i coniugi
concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia, alla luce delle
esigenze di entrambi e quelle collettive (art. 144). A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuale
l’indirizzo concordato (art. 144). Indubbiamente, il governo della famiglia fondato sulla regola
dell'accordo, pone il problema della conseguente mancanza dell'accordo. La soluzione per la
salvaguardia dell'unità familiare, è stata trovata nel prevedere un intervento del giudice in caso di
disaccordo. Per evitare che un simile intervento determini una lesione dell'autonomia dei coniugi si
è previsto che esso abbia carattere essenzialmente conciliativo in quanto mirato al raggiungimento
di una soluzione concordata. Ove vi siano contrasti sul accordo tra i due coniugi vi sarà un giudice
che adotterà la soluzione più opportuna.
Prima della riforma del diritto di famiglia, del 1975, spettava al marito somministrare alla moglie
tutto ciò che era necessario ai bisogni della vita, in proporzione alle sue sostanze. La moglie doveva
a sua volta contribuire al mantenimento del marito, solo se quest'ultimo non possedeva mezzi
sufficienti. L'introduzione dell'eguaglianza giuridica tra i coniugi ha imposto l'obbligo per entrambi di
contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro
professionale o casalingo. I coniugi regolano i propri rapporti patrimoniali scegliendo un regime
patrimoniale. La riforma ha innovato profondamente anche questo settore. Infatti, prima del 1975, il
regime consisteva nella separazione dei beni ed era ammissibile la comunione solo mediante la
stipulazione di convenzioni matrimoniali: attualmente, invece, la legge disciplina i seguenti regimi
patrimoniali: a) comunione dei beni
c) fondo patrimoniale
d) comunione convenzionale
Bisogna comunque indicare che il regime di comunione legale è "automatico" nel senso che viene
adottato in mancanza di una diversa dichiarazione di volontà (art. 159 c.c.). Convenzioni
matrimoniali.
Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi coi quali gli sposi, eccezionalmente con l’intervento di
un terzo, adottano un regime patrimoniale della famiglia diverso da quello legale di comunione.
Sono dei regimi atipici non previsti dalla legge o previsti dalla legge come la separazione dei beni.
I coniugi, oltre alla scelta del regime di separazione dei beni, possono accordarsi per la costituzione
del fondo patrimoniale o per dar vita ad una comunione convenzionale o a un’impresa familiare. Le
convenzioni matrimoniali possono essere stipulate in ogni tempo, anche dopo la celebrazione del
matrimonio e possono essere sempre liberamente modificate con il consenso di tutti coloro che le
hanno formate.
Originariamente era prevista l’autorizzazione del giudice al loro mutamento mentre ora, con una
legge del 1981, questa necessità è stata soppressa.
Per la stipulazione delle convenzioni è prevista, pena nullità, la forma dell’atto pubblico.
Attraverso le convenzioni matrimoniali i coniugi possono apportare delle modifiche al regime di
comunione dei beni:
1) possono restringerlo ad alcune della categorie di beni indicati dalla legge;
2) possono allargarlo ad altre categorie: per esempio facendo cadere in comunione anche i proventi
dell’attività di ciascun coniuge;
3) possono costituire causa di scioglimento della comunione legale.
Circa la capacità di agire, anche il minore ammesso a contrarre matrimonio è reputato capace di
stipulare le relative convenzioni con l'assistenza del tutore o dei genitori. L'inabilitato deve essere
assistito dal curatore. Le convenzioni o la scelta del regime di separazione dei beni devono essere
annotate a margine dell’atto di matrimonio comprese la data del contratto, le generalità del notaio
rogante e dei contraenti per essere opponibili ai terzi che vogliano acquisire un diritto sui beni
oggetto delle stesse.
Nel caso in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati è richiesta la
trascrizione come forma di pubblicità dal momento che è necessaria l’annotazione a margine
dell’atto di matrimonio anche in questo caso per l’opponibilità ai terzi.
Comunione legale.
Il regime è stato ritenuto indicato per rispondere all’esigenza di rispecchiare un modello familiare
che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale regime si è assicurato ad entrambi i coniugi
una partecipazione in piena eguaglianza per l'accumulo e la gestione delle ricchezze familiari. La
comunione legale ha carattere non universale, in quanto non si estende ai beni di cui i coniugi erano
titolari anteriormente al matrimonio, sia perché lascia a ciascuno dei coniugi la titolarità dei beni
essenziali per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e professionale.
Vediamo ora quali beni rientrano a far parte della comunione legale di beni e quali ne sono esclusi.
Cominciamo con i primi indicati dall'articolo 177 c.c.
Gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione
dei beni personali, le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti
dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della
comunione, i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della
comunione, non siano stati consumati. Vediamo che non tutti i beni oggetto della comunione hanno
lo stesso regime giuridico.
I primi due, infatti, vi rientrano sempre e comunque, mentre gli ultimi, due fanno parte della
comunione solo al momento del suo scioglimento.
Si tratta della c.d. comunione di residuo, cioè di beni che normalmente non rientrano nella
comunione legale, ma ne fanno parte solo al momento suo scioglimento se esistenti.
Facciamo l'ipotesi che uno dei coniugi abbia ricevuto il canone di locazione del mese di aprile di un
suo immobile e che tale somma di denaro non sia stata ancora spesa.
Nel caso di scioglimento della comunione proprio ad aprile, il coniuge proprietario dovrà dividere
con l'altro tale somma di denaro, ma non le successive che percepirà come canone di locazione per i
mesi successivi.
La comunione legale ha ad oggetto quasi tutti i beni acquistati durante il matrimonio, ma ne sono in
ogni caso esclusi i "beni personali" indicati nell'articolo 179 del codice civile.
Beni personali:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un
diritto reale di godimento
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando
nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (cioè di beni che non si
prestano ad un uso comune, come vestiti, ma anche gioielli, pellicce, etc.)
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla
conduzione di un'azienda facente parte della comunione
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita
parziale o totale della capacità lavorativa
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio,
purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto
Sono, quindi, beni personali quelli acquistati prima del matrimonio, mentre per gli acquisti avvenuti
successivamente l'art. 179 distingue due categorie e cioè:
Nel secondo gruppo rientrano i beni acquistati con il prezzo ricevuto dalla vendita di beni personali
o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato nell'atto di acquisto.
Se, ad esempio, il marito vende un appartamento di sua proprietà esclusiva e con il ricavato acquista
un nuovo immobile durante il matrimonio, tale acquisto non rientrerà nella comunione solo se il
marito dichiari, all'atto dell'acquisto, che l'immobile è acquistato con il prezzo della vendita del suo
appartamento.
Ai fini della responsabilità per i debiti, rileva la distinzione tra i creditori personali di ciascun coniuge
e quelli per obblighi gravanti sui beni della comunione (creditori della comunione). I primi possono
rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e solo sussidiariamente, fino al valore
corrispondente alla sua quota (metà) sui beni comuni. I secondi hanno a disposizione il patrimonio
comune e solo sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge.
Lo scioglimento della comunione è determinato da eventi che comportano il venir meno della
comunità di vita (morte, dichiarazione di assenza o di morte presunta, annullamento del
matrimonio, divorzio, separazione personale), oltre che dal mutamento convenzionale del regime
patrimoniale e dal fallimento di uno dei coniugi. Esso è determinato, su richiesta dei coniugi, anche
dalla separazione giudiziale dei beni. Con lo scioglimento si tende a ritenere che subentri un regime
di comunione ordinaria sui beni già oggetto di comunione legale. La divisione dei beni avviene
ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo, dopo gli opportuni rimborsi e restituzioni (192). Il
giudice può costituire, in relazione alla necessità della prole, a favore di uno dei coniugi l'usufrutto
su una parte dei beni spettanti all'altro.
Impresa familiare.
L'impresa familiare è caratterizzata dal fatto che in essa collaborano familiari dell'imprenditore. La
finalità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a costoro senza che sia giuridicamente
configurabile un rapporto di diversa natura. Pur non avendo la veste di imprenditori, i familiari
partecipanti hanno da una parte il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia, dall'altra di partecipare agli utili ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla qualità
e quantità del lavoro prestato. Inoltre le decisioni di maggiore rilevanza per la vita dell'impresa
devono essere adottate a maggioranza dei familiari partecipanti. Oltre ad avere un diritto, ove venga
a cessare o sia alienata l'azienda, alla liquidazione in danaro del proprio diritto di partecipazione, il
familiare ha pure un diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di relativo
trasferimento.
3
Crisi coniugale.
La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta l’aspetto più delicato della
regolamentazione complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore è chiamato ad assicurare il
rispetto della piena eguaglianza dei coniugi, garantendo l’interesse dei figli ad idonee condizioni di
sviluppo della personalità. Il principio da quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è
quello rappresentato dalla protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia, nella relativa
interdipendenza. I podromi della crisi del rapporto coniugale tendono a farsi avvertire attraverso
l'insorgere di una conflittualità in relazione alle decisioni concernenti la gestione della comunità
familiare. Le procedure di separazione personale e di divorzio sono indirizzate espressamente alla
riconciliazione dei coniugi attraverso l'apertura di spazi di riflessione e di ripensamento contro
iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emozionali.
A) Consensuale, si fonda su un accordo dei coniugi, esteso sia alla decisione di separarsi, sia alla
regolamentazione dei propri futuri rapporti reciproci e di quelli con i figli. L’accordo è sottoposto al
controllo dell’autorità giudiziaria che svolge il proprio lavoro e vede se le condizioni sono conformi
all’ordinamento (158). Attraverso la separazione il rapporto rimane in piedi, ma si allenta, viene
meno l’obbligo di coabitazione.
B) Giudiziale, un procedimento attraverso il quale uno solo dei coniugi o ciascuno di essi con proprio
ricorso autonomo chiedono al Tribunale competente di pronunciare una sentenza di separazione
che regoli i loro rapporti, e quelli dei figli, essendo cessata la convivenza tra loro
Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della separazione;
può avvenire anche tramite dichiarazione tacita.
Divorzio.
Fino all'emanazione della "Legge sul Divorzio" (legge n. 898/1970, detta anche "Legge Fortuna-
Baslini"), non erano previste cause di scioglimento del matrimonio diverse dalla morte di uno dei
coniugi: prima dell'avvento della Legge sul Divorzio, il matrimonio era quindi considerato
legalmente indissolubile. La Legge sul Divorzio prevede i casi in cui è consentito il divorzio; il caso di
gran lunga prevalente è dato dalla separazione legale dei coniugi che dura senza interruzioni da
almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale
(tali termini sono stati previsti dalla c.d. Legge sul Divorzio breve, in vigore dal 26 maggio 2015, e
sostituiscono il precedente termine di 3 anni). Il procedimento di divorzio può essere contenzioso o
a domanda congiunta e, una volta pronunciato, ha effetti sul piano civile, patrimoniale, successorio
e sull'affidamento degli eventuali figli. Anziché rivolgersi al Tribunale gli ex-coniugi possono ora
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Nel caso di matrimonio civile (ossia di matrimonio contratto in Comune davanti all’Ufficiale dello
Stato Civile), il divorzio è lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, pronunciato con
sentenza da parte del Tribunale competente; lo scioglimento del vincolo può essere ora l’effetto
anche di un accordo raggiunto al termine di un’apposita procedura di negoziazione assistita da un
avvocato, introdotta dal DL 132/2014, oppure di un accordo innanzi al Sindaco quale Ufficiale di
Stato Civile (ma solo se ricorrono determinate condizioni).
In caso di matrimonio concordatario (ossia quando il matrimonio è stato celebrato in Chiesa e poi
regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune), si parla più propriamente di
“cessazione degli effetti civili” del matrimonio stesso: permangono infatti gli effetti sul piano del
sacramento religioso (a meno che non si ottenga una pronuncia di annullamento o di nullità da
parte del Tribunale Ecclesiastico Regionale o della Sacra Rota).
1)i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda di divorzio, lo
stato di separazione dura ininterrottamente da almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da
almeno 6 mesi se la separazione è consensuale (tale termine decorre in ogni caso dal giorno della
comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione);
2)uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato condannato con
sentenza definitiva all’ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di reclusione) oppure – a
prescindere dalla durata della pena - è stato condannato per incesto, delitti contro la libertà
sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato di un figlio, tentato omicidio del coniuge,
lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;
3)uno dei coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del
vincolo matrimoniale o ha contratto all’estero un nuovo matrimonio;
Procedimento in contenzioso.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da uno dei coniugi, anche se l’altro
coniuge non è d’accordo.
Il procedimento cd. in contenzioso (per la mancanza di accordo dei coniugi) si svolge innanzi al
Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria residenza o il proprio
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domicilio; nel caso in cui il secondo coniuge sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda
di divorzio si presenta al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del coniuge richiedente.
Nel ricorso si deve aver cura di indicare l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Se il coniuge richiedente è residente all’estero, è competente qualunque Tribunale.
Ciascun coniuge deve essere assistito da proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, alla prima udienza il Presidente del Tribunale tenta la
conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non possa essere
mantenuta o ricostituita. Il Presidente emana quindi un’ordinanza con i provvedimenti temporanei e
urgenti necessari per regolamentare gli aspetti patrimoniali e che interessano i figli nella pendenza
del procedimento. Il Presidente nomina un Giudice Istruttore e fissa la data della relativa udienza
innanzi a quest’ultimo. Il procedimento prosegue poi come un processo ordinario, con la fissazione
di altre udienze. Se il procedimento comporta una lunga fase istruttoria, vale a dire un lungo
periodo di acquisizione delle prove (testimoni, perizie, ecc.), il Tribunale emana una sentenza
provvisoria, che intanto consenta ai coniugi di riottenere lo stato libero.
Sia che venga emessa al termine di un procedimento in contenzioso, sia che venga emessa alla fine
di un procedimento “a domanda congiunta”, la sentenza di divorzio viene trasmessa all’Ufficiale di
Stato Civile per l’annotazione nel Registro dello Stato Civile del luogo in cui fu trascritto il
matrimonio.
1)in caso di matrimonio civile, si ha lo scioglimento del vincolo matrimoniale; in caso di matrimonio
religioso, si verifica la cessazione degli effetti civili (permane, invece, il vincolo indissolubile sul piano
del sacramento religioso);
2)la moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio dopo il matrimonio (ma può
mantenerlo se ne fa espressa richiesta e il Giudice riconosce la sussistenza di un interesse della
donna o dei figli meritevole di tutela);
3)fintantoché il coniuge economicamente meno abbiente non passi a nuove nozze, il Giudice può
disporre che l’altro coniuge sia tenuto a corrispondere un assegno periodico (detto “assegno
divorzile”): l’importo è quantificato in base alle condizioni e ai redditi di entrambi i coniugi, anche in
rapporto alla durata del matrimonio (vedi scheda sulla modificazione delle condizioni di divorzio);
4)viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà;
5)i figli minorenni vengono affidati a uno dei coniugi, con obbligo per l’altro di versare un assegno di
mantenimento della prole, o a entrambi congiuntamente (cd. “affidamento condiviso”), nel rispetto
di quanto previsto anche dagli artt. da 337-bis a 337-octies cod. civ. (così come introdotti dal D.Lgs.
154/2013 in materia di filiazione);
7)se la sentenza di divorzio aveva a suo tempo riconosciuto a un coniuge il diritto all’assegno di
mantenimento, tale coniuge ha diritto anche alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto (o
a una sua quota), a condizione che nel frattempo il coniuge superstite non si sia risposato.
In ogni caso, se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) prima che sia
pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una parte di tale importo.
4
Filiazione.
La disciplina della filiazione è forse quella che ha più inciso sulla legislazione in materia familiare. Si
tratta di una progressiva e globale revisione che muovendo dall'art.30 della costituzione trova il suo
fulcro nella riforma del 1975 è un suo completamento nella legge 219/2012. Principio fondamentale
che ne deriva dall'art.30 comma 1 della costituzione è che è un dovere e diritto dei genitori
provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, anche quelli nati fuori dal
matrimonio. Di particolare importanza risulta l'esigenza di garantire al minore il più completo
sviluppo della persona umana. Tuttavia l'ordinamento prevede che nel caso il genitore o i genitori
risultino incapaci questi sono sollevati da tali obblighi verso i figli. La disciplina che viene fuori dalla
riforma prende le nette distanze dal precedente modello caratterizzato dalla discriminazione legata
ai figli nati al di fuori del matrimonio. Tale categoria oggi trova una sua tutela nel comma 3 dell'art.
30 della costituzione secondo cui, per i figli nati al di fuori del matrimonio l'ordinamento prevede
una forma di tutela giuridica e sociale.
I risultati conseguiti dalla riforma del 1975 sono stati oggetto di un unanime apprezzamento
raggiungendo così l'equiparazione sostanziale tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati al di fuori del
matrimonio. Tuttavia sul piano quotidiano permaneva ancora qualche contrasto tra filiazione
legittima e filiazione naturale e i figli nati al di fuori del matrimonio. L'obbiettivo finale perseguito
dal legislatore con la legge 219/2012 fu quello di unificare i due termini, ossia filiazione nel
matrimonio e filiazione fuori il matrimonio, sotto lo status di figlio. Tale unitarietà è stata completata
poi sul piano lessicale provvedendo ad una sostituzione nel codice civile della terminologia di figli
legittimi e figli naturali con quella di figli. Per l'instaurazione di un rapporto di filiazione, in mancanza
di procreazione, risulta essere di particolare importanza l'istituto dell'adozione atto alla tutela
dell'interesse del nato che si trovi irrimediabilmente senza assistenza.
Atto di nascita.
L'atto di nascita assume una fondamentale importanza in quanto presenta la funzione di strumento
di accertamento del rapporto di filiazione. L'atto di nascita è formato sulla base della dichiarazione
di nascita, correlato dall'attestazione di avvenuta nascita, resa all'ufficiale dello stato civile dai due
genitori, dal procuratore o da parte di chi ha assistito al parto. Viene sottolineato come la madre
possa esprimere la volontà di non essere nominata in tale atto. Nell'atto di nascita sono menzionate
le generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi oppure di chi intende proporre una
dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.
Accertamento di filiazione.
È considerato padre il marito della madre se il concepimento è avvenuto durante il matrimonio.
Risulta anche importante fissare il tempo di procreazione, e in tal modo viene prevista la
presunzione di concepimento durante il matrimonio. Si presume concepito durante il matrimonio il
nato non oltre il 300esimo giorno dall'annullamento del matrimonio, dal relativo scioglimento (per
morte o divorzio), per separazione personale. Del nato dopo i 300 giorni, i genitori, i loro eredi
possono provarne comunque concepimento durante il matrimonio. Anche il figlio può proporre
azione per provare il concepimento durante il matrimonio.
La prova di filiazione avviene attraverso l'atto di nascita e in sua mancanza dimostrando il continuo
possesso dello stato di figlio.
Tale dimostrazione avviene provando 3 elementi:
nella sua unitarietà anche con riguardo all'instaurazione di vincoli di parentela. Per quanto riguarda
l'accertamento volontario si tratta di un atto unilaterale, pur se può avvenire congiuntamente dai
genitori, sempre personalissimo e puro. Con la riforma del 1975 era venuto meno il divieto di
riconoscimento per i figli nati al di fuori dal matrimoni da parte chi fosse già coniugato. Era rimasto
invece quale ipotesi di irriconoscibilitá quella legata ai figli incestuosi ovvero quelli generati
attraverso il rapporto tra due soggetti legati dagli stessi vincoli di parentela, in linea retta o in linea
collaterale. Oggi la nuova disposizione prevede il riconoscimento anche di questa categoria di figli.
Per effettuare il riconoscimento il genitore deve aver compiuto 16 anni e qualora presenti un età
inferiore il tribunale può predisporre il riconoscimento attraverso un'autorizzazione. Il
riconoscimento del figlio che abbia compiuto 14 anni resta inefficace senza il suo assenso (250).
Inoltre il riconoscimento del figlio infraquattordicenne non può avvenire senza che l'altro coniuge lo
abbia riconosciuto. In caso di rifiuto del consenso, il genitore che intende effettuare il
riconoscimento, può rivolgersi al tribunale, il quale valutate le condizioni autorizzerà il
riconoscimento se lo ritiene corrispondente agli interessi del figlio. Il riconoscimento può avvenire
prima della nascita o prima della morte per garantire gli interessi dei suoi discendenti. Il
riconoscimento è un atto formale e può avvenire nell'atto di nascita, con dichiarazione al momento
del matrimonio, con dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile o ad un notaio o per
testamento. Il riconoscimento è inammissibile, e quindi inefficace, se in contrasto con il già esistente
stato di figlio. L'azione di riconoscimento non può essere proposta oltre i cinque anni
dall'annotazione del riconoscimento.
Nel codice civile del 1865 la dichiarazione giudiziale di paternità era ammessa solo in caso di ratto o
di stupro. Nel 1942 si provvide ad allargare i casi. Nel 1975 è stato sancito poi il principio per cui la
dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità è consentita in tutti i casi in cui è ammesso
il riconoscimento potendo la prova essere fornita con ogni mezzo. La maternità è dimostrata
provando l'identità di chi si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si
intende madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di suoi rapporti col preteso
padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità, in considerazione
dell'eventualità di una pluralità di partners. In ciò il giudice gode di un ampia discrezionalità nella
ricerca delle prove sopratutto legata all'evoluzione scientifica attraverso prove ematologiche e
genetiche. Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esse è valutabile come elemento di prova. Tale
azione è considerata imprescrittibile per il figlio e può essere proseguita, dopo la sua morte, dai suoi
discendenti. L'azione può essere proposta, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la
responsabilità genitoriale o dal tutore. Per promuovere o proseguire l'azione è necessario che il
figlio abbia raggiunto i 14 anni e del suo consenso. Nel caso del minore infraquattordicenne spetta
al tribunale valutare il proseguimento dell'azione se vi è un interesse del figlio.
Procreazione assistita.
La possibilità offerta dal progresso scientifico di intervenire nel processo riproduttivo ha
determinato l'insorgere di determinati problemi in ordine allo stato di figlio così generato. Con la
procreazione assistiamo allo scontro tra principi e regole affermati in materia di filiazione, in
particolare tra derivazione biologica e responsabilità nei confronti del generato. Con la legge
40/2004 il nostro legislatore ha dettato una regolamentazione della procreazione medicalmente
assistita. E’ opportuno sottolineare come pur essendo vietato il ricorso a tecniche di tipo eterologo
(comportanti l'utilizzazione di gameti estranei alla coppia che accede al trattamento), non si sia
mancato di disciplinarne le conseguenze. Coloro che si sono prestati all'applicazione delle tecniche
in esame, risulta precluso l'azione di disconoscimento della paternità. Il donatore di gameti, resta
estraneo a qualsiasi rapporto con il nato. Il nostro ordinamento consente solo fecondazioni omologa
(utilizzo di gameti della coppia che accede al trattamento). Se si tratta di coppia coniugata è precluso
l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità. Al figlio si attribuisce “lo stato di figlio nato
nel matrimonio o di figlio riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a
tecniche” (art.8). E’ vietata alla madre la facoltà di non essere nominata, restando anonima.
Adozione.
La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel nostro
ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con l’acquisto dello stato di figlio
legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli adottanti.
a)L'adozione dei minori prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (art. 7) a
seguito di “una situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei
genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. L’adozione resta consentita ai coniugi sposati da almeno
3 anni, pur essendo sufficiente una convivenza stabile e duratura che si sia protratta per 3 anni
prima del matrimonio. Ai singoli invece è consentita l'adozione solo in casi particolari. I coniugi
devono essere “affettivamente idonei e capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare”
e possono adottare più volte. La differenza di età tra adottante ed adottato viene fissata in 18 anni.
Il minore che abbia compiuto 14 anni deve presentare personalmente il proprio consenso
all’adozione e deve essere personalmente sentito il minore dodicenne o comunque capace di
discernimento. Non è accordata facoltà di scelta agli aspiranti adottanti. La sentenza che dichiara lo
stato di adottabilità del minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle condizioni
previste: può esser impugnata dal p.m o dalle altri parti davanti la Corte d’Appello. Divenuta
definitiva è trascritta a cura del cancelliere su apposito registro. A seguito dell’adozione, l’adottato
acquista, a tutti gli effetti, lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume il
cognome, mentre cessa ogni rapporto con la sua famiglia d’origine. Egli ha diritto ha conoscere i
suoi genitori dopo i 25 anni.
Rapporto di filiazione.
Secondo l'art. 315 “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art. 315 bis riconosce al figlio “il
diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente da genitori nel rispetto delle
sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Il mantenimento deve essere
conforme al tenore di vita della famiglia. Il diritto di mantenimento perdura oltre il raggiungimento
della maggiore età. L’obbligazione di mantenimento ha carattere solidale ed è ripartita tra i genitori
in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o
casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti sono gli ascendenti a dover fornire ad essi i
mezzi necessari all'adempimento dei loro doveri nei confronti dei figli. Ove vi sia un inadempimento
da parte di un genitore, può essere obbligato che una quota di redditi dell'obbligato venga versata
all'altro coniuge o a chi sopporta le spese. Quanto al cognome, nel caso di filiazione nel matrimonio,
cui rientra l'ipotesi di adozione, il figlio assume quello del padre. Nel caso di filiazione fuori dal
matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo riconosce e quello del padre se
il riconoscimento è effettuato da entrambi i genitori. Il figlio può decidere, ove vi sia stato
riconoscimento della madre e quindi l'assunzione del suo cognome, di assumere il cognome del
padre che lo riconosce successivamente, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello
della madre. Se il figlio è minore, sarà il giudice a decidere circa l'assunzione del cognome del padre.
Il figlio ha il dovere (non sanzionabile) di rispettare i propri genitori e, finché convive in famiglia,
deve contribuire al relativo mantenimento, in ragione delle sue sostanze e del suo reddito. Tali
obblighi non cessano con il raggiungimento della maggiore età. Alla responsabilità genitoriale, la cui
titolarità compete ad entrambi i genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o
all’emancipazione. Essa è esercitata di comune accordo dai genitori. Ciò ha indotto ad introdurre un
meccanismo atto a superare le eventuali situazioni di disaccordo. Quando il contrasto tra i genitori
verte su questioni di particolare importanza si ricorre al giudice. Il giudice, ascoltato pure il figlio,
svolge una funzione persuasiva è solo se il contrasto per mano attribuisce il potere di decisione al
genitore che ritiene più idoneo a curare l'interesse del figlio. L'esercizio della responsabilità
genitoriale si concentra nelle mani di un solo genitore in caso di lontananza o altro impedimento
dell'altro. La responsabilità genitoriale non cessa con il venir meno della convivenza. Al
riconoscimento della filiazione al di fuori del matrimoni consegue la titolarità, per il genitore che per
primo lo riconosce, della responsabilità genitoriale. Ove il figlio nato al di fuori del matrimonio
venga riconosciuto da entrambi i genitori la responsabilità spetta ad entrambi. Con riguardo al caso
di riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio da parte di persona coniugata, è rimessa al
giudice la decisione circa il suo affidamento o l'adozione di ogni provvedimento a tutela del suo
interesse morale e materiale. Un tale ipotesi può essere autorizzato, nell'interesse del figlio, il suo
inserimento nella famiglia del genitore, una volta accertato il consenso del coniuge convivente, dei
figli ultrasedicenni conviventi.
compiti connessi alla qualità di affidatario. L’esercizio della potestà compete ad entrambi i genitori. Il
tribunale dispone di ampi poteri pur dovendo andare contro gli accordi dei genitori in caso di
accordi che vadano contro l’interesse del figlio. In dipendenza di quanto disposto dalle convenzioni
internazionali è sembrata importante la necessità di conferire attenzione alle opinioni e ai desideri
dei figli. Risulta previsto quindi che il giudice sia tenuto a disporre dell'ascolto del figlio
ultradodicenne e anche di età inferiore capace di discernimento. Sotto il profilo economico i genitori
restano tenuti a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle loro possibilità
corrispondendo un assegno periodico a carico di uno dei genitori. Tutti i provvedimenti concernenti
i figli sono assoggettabili a revisione.
PARTE VI
PROPRIETÀ E DIRITTI REALI
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CONTENUTO
Il diritto di proprietà, che costituisce il prototipo delle situazioni giuridiche soggettive, vede il suo
contenuto definito da:
ART. 42 COST: la costituzione conferisce al legislatore il potere di porre regole e limiti allo
scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà e di renderla accessibile a tutti.
ART. 832 COD. CIVILE: afferma che il proprietario “ha diritto di godere e disporre delle cose in
modo pieno ed esclusivo”. Quindi al proprietario vengono i riconosciuti:
1. Diritto di godere, ossia decidere come e quando utilizzare la cosa.
2. Potere di disporre, ossia produrre atti giuridici determinando la relativa
condizione giuridica.
CARATTERI
PIENEZZA, ovvero che il proprietario ha diritto di godere disporre solo nei limiti e modalità
previste dalla legge.
ELASTICITÀ, portate il proprietario possono essere limitate dall’esistenza di altri diritti, come
l’usufrutto. Ma il diritto rimane comunque integro riacquistando la sua pienezza la
cessazione del diritto che lo comprime.
ESCLUSIVITÀ, ci si riferisce alla possibilità riconosciuta al proprietario di escludere chiunque
altro. È ammissibile esclusivamente la Contitolarità del diritto.
IMPRESCRITTIBILITÀ, emerge Dall’articolo 948, laddove si prevede uno strumento posto a
disposizione del proprietario: l’azione di rivendicazione, per far valere le sue ragioni e.
Contemporaneamente si prevede che nel conflitto tra un proprietario inerte e un utilizzatore
sia da preferire quest’ultimo, come nel caso dell’usucapione,
PERPETUITÀ, non possono essere imposti limiti temporali alla proprietà.
PROPRIETÀ AGRARIA
Alla proprietà agraria è stato dato particolare rilievo della costituzione soprattutto per la relativa
funzione sociale. L’articolo 44 pone, in materia, il duplice obiettivo del razionale sfruttamento del
solo e del perseguimento di equi rapporti sociali. A tal fine è demandata al legislatore la previsione
di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, la fissazione di limiti alla sua estensione, la tua
azione della bonifica, la trasformazione del latifondo, la ricostruzione delle unità produttive, anche
nella prospettiva dell’aiuto alla piccola e media proprietà. L’articolo 47 e poi prescrive di favorire
l’accesso del risparmio popolare alla proprietà diretta coltivatrice.
Inoltre la protezione della posizione di chi dedica la propria attività lavorativa all’agricoltura e alla
base di numerosi interventi che hanno condizionato i contratti agrari, assicurando la stabilità nel
godimento dei terreni sui quali si opera. Nel risultata una considerevole limitazione dei poteri del
proprietario di fondi agricoli, fino alla stessa per il diritto come nel caso della legislazione tendente
ad agevolare l’enfiteusi. Basti pensare ai limiti posti alla mezzadria, con la promozione della relativa
trasformazione in affitto, nonché la tendenza ad assicurare l’acquisizione della proprietà a beneficio
dei coltivatori diretti.
Modi di acquisto.
L'art. 922 c.c., traccia i modi di acquisto della priorità. La proprietà si acquista per occupazione, per
invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per
effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.
L'art. 922 riportato in tabella elenca i diversi modi di acquisto della proprietà, senza, però, indicarli
in modo tassativo (infatti la proprietà si acquista anche"negli altri modi stabiliti dalla legge").
Possiamo distinguere i modi di acquisto della proprietà in due categorie:
Vediamo, quindi, uno per uno i modi di acquisto della proprietà a titolo originario indicati
dall’art.922, mentre di quelli a titolo derivativo (contratti e successioni) ce ne occuperemo in
seguito.
Occupazione:
L'occupazione costituisce forse il modo di appropriazione primigenio.
Secondo l'art. 923 c.c. primo comma “le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano
con l’occupazione”. (res nullius).
Il secondo comma dell'art. 923 ci specifica, poi, quali sono questi beni mobili che non sono di
proprietà di alcuno, dividendole in:
• 1 cose abbandonate
• 2 gli animali che formano oggetto di caccia e di pesca
Per i beni immobili abbandonati non è possibile l'occupazione, sia perché l'art. 923 non li nomina,
sia perché l'art. 827 c.c. espressamente dispone che “ i beni immobili che non sono in proprietà di
alcuno spettano al patrimonio dello Stato”.
Sono anche oggetto di occupazione le cose abbandonate con l’intenzione di dismetterne la
proprietà.
Si reputano necessari, ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa:
Invenzione.
Un particolare regime previsto per il ritrovamento del tesoro. Tale considerata qualunque cosa
mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno possa provarne di essere proprietario. Il
tesoro appartiene al proprietario del fondo in cui si trova. Il ritrovatore ha diritto alla metà del
tesoro.
Accessione.
L'accessione può essere intesa come l'acquisto della proprietà in conseguenza dell'unione di altre
cose alla propria, ovvero come espansione della proprietà. Si dispone in base all'art. 934 c.c. che
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al
proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti
diversamente dal titolo o dalla legge in generale, e salve le ipotesi previste dallo stesso articolo 934,
il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra incorporato.
In altre parole il proprietario del suolo è proprietario anche dei beni che lì si trovano, siano essi
mobili o immobili, il termine accessione, infatti, deriva dal latino "accessio" e tradotto significa
accrescimento, aggiunta, elemento accessorio. Con l'accessione, quindi si verifica un accrescimento
di una cosa a scapito di un'altra, e in genere ciò accade a favore del suolo per tutto quello che vi
trova. In realtà non tutto quello che si trova sul suolo diviene del proprietario del fondo, ma solo
quello che vi è incorporato (stabile) , come, appunto, le piantagioni, le costruzioni e le altre opere
che si trovino sopra (ma anche sotto) il suolo. L’acquisto è definitivo.
Le eccezioni al principio dell'accessione sono elencate nello stesso articolo 934 e si riferiscono ai
casi dell'art. 935 (opere fatte dal proprietario del suolo con materiali non suoi), 936 (opere eseguite
dal terzo con materiali propri), 937 (opere eseguite dal terzo con materiali altrui) e 938 che si
riferisce al fenomeno della cosiddetta accessione invertita. Riportiamo il testo dell'art. 938: “Se nella
costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo adiacente, e il proprietario
di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'autorità
giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del
suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della
superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni”. Come si vede in questo caso, di natura
eccezionale, è il costruttore dell'edificio che diviene (o almeno può divenire) proprietario del suolo e
dello stesso edificio, mentre secondo i normali principi dell'accessione dovrebbe essere il
proprietario del suolo a divenire proprietario della costruzione fatta sul suo terreno.
Unione e commistione
Nella prospettiva più ampia dell’accessione, l’art. 939 disciplina, alludendo all’unione e
commistione, il fenomeno dell’accessione di mobile a mobile. Se due cose mobili appartenenti a
proprietari diversi sono state unite o mescolate in modo da formare un tutto unitario e non sono
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SPECIFICAZIONE
Il codice è disciplinato anche l’ipotesi della trasformazione della cosa adopera dell’uomo. L’articolo
940 parla, di specificazione. Se taluno adoperato una materia altrui per dar vita ad una cosa nuova,
ne acquista la proprietà pagandone il prezzo al proprietario, salvo che il valore della materia
sorpassi il valore della manodopera. Solo in tal caso la proprietà della cosa spetta al proprietario di
quest’ultima, il quale deve pagare il prezzo della manodopera.
Accessioni fluviali
Tale materia è stata disciplinata dal codice, secondo una tradizione che affonda le sue radici nel
diritto romano e che attesta la rilevanza che hanno, da sempre, avuto da noi i fenomeni
idrogeologici, con riferimento alle cosiddette accessioni fluviali. Tali accessioni hanno ancora riflessi
sulla proprietà privata, determinandone l’acquisto.
Azione negatoria.
È il rimedio concesso al proprietario che intende far accertare l'inesistenza dei diritti affermati da
altri sulla cosa. Se sussistano anche turbative o molestie ne può chiedere la cessazione oltre che
l'eventuale risarcimento. L’azione è imprescrittibile. A differenza dell'azione di rivendicazione il
proprietario non dovrà ricorrere alla probatio diabolica per dimostrare l'esistenza del suo diritto
bastando che dimostri di averlo ottenuto in base ad un valido titolo d'acquisto.
con chiarezza. (pali). È un'azione duplice in quanto può essere intestata indifferentemente da una
qualunque dei proprietari dei fondi contigui e l'interesse che tende a soddisfare è comune.
Azioni di nunciazione.
Tali azioni competono al proprietario (pur non in possesso del bene), al titolare di altro diritto reale
di godimento su cosa altrui e al possessore. Tali azioni sono due: denuncia di nuova opera e
denunzia di danno temuto. Sono azioni cautelari, indirizzate a prevenire il pericolo di danni derivanti
da opere intraprese o da cose esistenti su altri fondi.
Con la denunzia di nuova opera chi abbia ragione di temere che da una nuova opera, intrapresa sul
fondo proprio o altrui, sia per derivare danno a una sua cosa può denunziare all’autorità giudiziaria
la nuova opera, purché non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio (art. 1171). Non
occorre che si verifichi un danno ma basta un timore ragionevole che esso si verifichi. A seguito di
una sommaria cognizione l'autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell'opera. Il legislatore
allude alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto provvisoriamente
ragione.
Con la denunzia di danno temuto chi abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o
altra cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo ad una sua cosa può denunziare il fatto
all’autorità giudiziaria e ottenere che si provveda per ovviare al pericolo (art. 1172). Tale azione non
presume come la precedente un'attività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una
situazione dei luoghi dalla quale si ha ragione di temere danno ove non si intervenga su di essa. Il
giudice dispone di ampi potere di scelta per far cessare la situazione di pericolo (es. abbattimenti,
demolizioni,ecc.). Non è posto alcun termine per l'esperibilità dell'azione in questione la quale può
essere esercitata finché perduri il pericolo che ne costituisce il presupposto.
La tutela.
I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome), ma si
differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose. I diritti reali di godimento
conferiscono al titolare la possibilità di esercitare sulla cosa di proprietà di altri facoltà di godimento
che tipicamente rientrano nel contenuto del diritto di proprietà, determinando una compressione.
Per questo vengono anche definiti come diritti reali limitati o parziari.
Caratteristiche:
• assolutezza: possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati sui quali incombe
solo un generico dovere di astensione
• immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia necessaria la
collaborazione di altri soggetti, come accade nei diritti di credito
• tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. Costituiscono, quindi, una categoria
di diritti composta da un numero chiuso
• I diritti reali di godimento su cosa altrui comprimono il diritto di proprietà con una intensità
diversa secondo il tipo di diritto. La compressione del diritto di proprietà può essere
massima in alcuni casi, come nell'ipotesi dell'usufrutto. I diritti reali di godimento sono:
superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e abitazione e servitù.
La tutela del titolare dei diritti reali limitati é affidata all’azione confessoria, la quale tende a far
riconoscere l’esistenza del diritto stesso, tanto nei confronti del proprietario, quanto nei confronti di
chiunque ne contesti l’esercizio. Tale azione risulta espressamente prevista solo in materia di servitù
prediali, ma la sua portata viene estesa, alla tutela di tutti i diritti reali su cosa altrui. I diritti reali
limitati, inoltre, sono suscettibili di tutela possessoria, attraverso l’esercizio delle relative azioni.
Superficie.
Il proprietario di un suolo può concedere ad un altro soggetto il diritto di costruire un edificio sopra
al suo suolo attribuendogli la proprietà separata dell'edificio. Il proprietario può, inoltre, alienare la
costruzione già esistente mantenendo la proprietà del suolo.
Sappiamo che per il fenomeno giuridico della accessione il proprietario del suolo è anche
proprietario di quello che vi è posto al di sopra.
È possibile, tuttavia, separare la proprietà del suolo da quella della soprastante costruzione
attraverso il diritto di superficie, che è un vero e proprio diritto reale.
Questo può assumere la forma di una concessione ( di diritto privato) del proprietario del suolo, che
attribuisce ad un altro soggetto il potere di costruire sul suo suolo, e di mantenere la proprietà della
costruzione effettuata.
Vi saranno, quindi, due proprietà diverse, quella del proprietario, e quella del titolare del diritto di
superficie, che ha avuto il diritto di costruire sul suolo del proprietario.
Un'altra ipotesi di diritto di superficie è quella prevista dal secondo comma dell'art. 952, secondo
cui il proprietario può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla
proprietà del suolo. In questo caso il proprietario del suolo aliena la proprietà superficiaria.
È chiara la differenza tra i due tipi di diritto di superficie, perché il primo riguarda una costruzione
non ancora eseguita, mentre il secondo riguarda una costruzione già edificata.
Secondo l'art. 953 c.c. è anche possibile costituire il diritto a tempo determinato, con la
conseguenza che alla scadenza del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del
suolo diventa proprietario della costruzione. Potrebbe quindi essere questa una ipotesi di proprietà
temporanea, cioè di proprietà (della costruzione) che si estingue alla scadenza del termine del
diritto di superficie.
Il diritto di superficie si costituisce per contratto avente forma scritta ad substantiam, per
testamento, per usucapione anche se insistono dubbi sulla effettiva possibilità di poter usucapire il
diritto di edificare.
Enfiteusi.
L'istituto della enfiteusi, di origine romana, molto diffuso per lo sfruttamento del latifondo, fu
radicalmente escluso dal code civil il quale vi vedeva il residuo di una organizzazione economico-
produttiva da superare. Fu disciplinato invece, seppur con un certo sfavore dal codice civile del
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1865. Il c.c. non definisce l’enfiteusi, pur regolando minuziosamente i vari aspetti di tale rapporto.
Non è finalizzata esclusivamente all’assetto produttivo di fondi rustici, ma può avere ad oggetto
anche fondi urbani per assicurarne lo sfruttamento edilizio.
Il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile ad un altro soggetto (enfiteuta), che
acquista su di esso facoltà e poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, con l’obbligo di
migliorare il fondo e di pagare un canone.
L’art. 959 riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che avrebbe il proprietario” su frutti, tesoro e
sottosuolo. Non c'è da meravigliarsi che ci sia da sempre materia di discussione sul fatto che il
proprietario possa essere identificato nel concedente o nell'enfiteuta, ambedue definiti come veri
titolari di un dominio sulla cosa.
La durata può essere perpetua o temporanea. La minima è fissata a 20 anni. L'enfiteuta ha
innanzitutto l'obbligo di migliorare il fondo, obbligo considerato strettamente connesso con la
funzione economica dell'istituto. L’enfiteuta può pagare il canone o con una somma di denaro o in
una quantità fissa di prodotti naturali senza modificazioni. Tale canone è considerato come ipotesi di
onere reale.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto l'enfiteusi richiede
la forma scritta, pena la nullità, ed è soggetta a trascrizione.
L’enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento (965). Nell'atto
costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra vivi per un tempo non maggiore di
venti anni.
Nell’ipotesi di alienazione del proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo enfiteuta resta
obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni non soddisfatti (967). Non è
ammessa la subenfiteusi (968). Il concedente ha diritto di richiedere la ricognizione del proprio
diritto a chi si trova nel possesso del fondo enfiteutico un anno prima del compimento del
ventennio (969), per evitare l’usucapione.
Cause di estinzione:
Nello schema dell’enfiteusi, assumono un ruolo centrale, quali modi di cessazione del rapporto
l’affrancazione e la devoluzione.
Usufrutto.
Per quanto riguarda il contenuto, secondo l’articolo 981, l’usufrutto è il diritto reale che permette
all'usufruttuario di godere della cosa e di trarne ogni utilità rispettando, però, la destinazione
economica del bene: non può, cioè, mutare la organizzazione produttiva e di sfruttamento della
cosa rispetto quello operato dal proprietario.
L'usufrutto è un altro diritto reale che limita in maniera quasi completa le facoltà del proprietario sul
bene.
La temporaneità è caratteristica fondamentale dell’usufrutto. La sua durata non può eccedere la vita
dell’usufruttuario. Usufrutto, quindi, non è mai ereditariamente trasmissibile da parte
dell’usufruttuario e, se ceduto, si estingue con la morte del soggetto.
Con riguardo alla costituzione, l’articolo 978 stabilisce che l’usufrutto si costituisce per legge o
volontariamente (per atto tra vivi, a titolo oneroso o gratuito) e può acquistarsi anche per
usucapione. Ipotesi di usufrutto legale è l’uso frutto dei genitori sui beni dei figli minori. Se relative
ad immobili, il contratto costitutivo di usufrutto richiede la forma scritta e deve essere trascritto.
Lo so frutto può avere ad oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile. In caso di miglioramenti,
l’usufruttuario ha diritto a un’indennità, ove essi sussistono al momento della restituzione della
cosa. Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili, l’usufruttuario può servirsene normalmente,
dovendole, alla fine dell’usufrutto, restituire nello stato in cui si trovavano.
A tutela del suo diritto, l’usufruttuario può esercitare l’azione confessorie, competenti, anche, in
quanto possessore, l’esercizio delle azioni possessorie.
L’estinzione del suo frutto si verifica: per scadenza del termine eventualmente a posto adesso, per
prescrizione per non uso ventennale, per riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa
persona, per perimento totale della cosa.
Uso e abitazione.
Per quanto riguarda l'uso si tratta di un diritto reale dal contenuto più limitato dell'usufrutto perché
attribuisce al suo titolare il potere di servirsi del bene e, nel caso sia fruttifero, di raccoglierne i frutti,
ma solo per quanto occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. I poteri dell'usuario sono ben più
limitati di quelli dell'usufruttuario. Anche l'usuario, infatti, può, al pari dell'usufruttuario, servirsi
della cosa, usarla, ma, a differenza di questo, può percepire i frutti solo per quanto occorre per i
bisogni suoi e della sua famiglia. Aggiungiamo, poi, che non può appropriarsi dei frutti civili, cedere
il diritto o dare in locazione il bene. Possono essere costituiti per contratto, attraverso la forma
scritta e la trascrizione per quanto concerne l'abitazione e l'uso dei beni immobili, e testamento
essendo ammessa anche l'usucapione.
Per l'abitazione i poteri del titolare del diritto sono ancora più limitati.
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua
famiglia. Anche per l'abitazione vige il divieto di cessione e di locazione, ma in entrambi i casi vi è
l'obbligo delle riparazioni ordinarie, alle spese di coltura (per l'usuario), al pagamento dei tributi
come l'usufruttuario.
Servitù prediali.
Le servitù hanno mantenuto, nel codice civile vigente, la loro storica qualificazione come prediali, in
quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà su un fondo (praedium).
Art. 1027 “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo, detto fondo servente, per
l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante, appartenente a diverso proprietario”. Notiamo
che il codice civile non parla di proprietari, ma di fondi( fondo servente, gravato dal peso e
dominante, destinato a godere dell’utilità), volendo porre l'accento sul fatto che il diritto riguarda
dei fondi, e le utilità che se ne traggono sono oggettive dei fondi considerati e non dei singoli
proprietari. Ad una compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde,
quindi, una utilità del fondo dominante. Si tratta di un vero e proprio diritto reale di godimento su
cosa altrui, in quanto al titolare è riconosciuto sul fondo di proprietà altrui l’esercizio di facoltà di
godimento, per trarne una determinata utilità. L'utilità può consistere "anche "nella maggiore
comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale
del fondo. L’utilità deve essere oggettiva e durevole. L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita
per assicurare al fondo un vantaggio futuro (potenziale). I fondi devono essere necessariamente
vicini. Quale qualità del fondo, la servitù non può essere trasmessa separatamente. Art. 1071, se il
fondo è diviso, la servitù spetta ad ogni porzione per l’intero. Cosa deve fare il proprietario del
fondo servente? Nulla, potremmo rispondere (art. 1030 c.c.). Il proprietario del fondo servente deve
solo sopportare il peso sul suo fondo. È vero però che al proprietario del fondo servente spetterà un
corrispettivo per la servitù, e che potrebbe anche impegnarsi (o essere obbligato per legge) a
prestazioni accessorie. In questo caso non può liberarsi delle spese necessarie per l'uso o per la
conservazione della servitù, se non cedendolo al proprietario del fondo dominante (art. 1070 c.c.).
Ma vi può essere servitù a vantaggio di un soggetto piuttosto che di un fondo?
No, perché la servitù riguarda solo fondi e se per, esempio, mi accordo con una persona affinché
passi sul mio fondo per andare a pescare, questo non darà luogo a servitù, ma vi saranno solo effetti
obbligatori. Si parla, in questi casi, di "servitù irregolari" proprio perché manca la caratteristica della
predialità (praediàlis, dal latino medievale: che riguarda un fondo).
Servitù apparenti.
Nella disciplina delle servitù risulta possibile operare talune distinzioni di fondo tra le servitù.
• La prima distinzione è tra servitù apparenti non apparenti fondata sul l'esistenza o meno di
opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù. Per quanto riguarda la servitù
apparente l'opera deve consistere in segni materiali che ne denotano l'esistenza della
servitù. Esempio strada, ponte, balcone ecc. Le servitù non apparenti sono servitú come
quelle di pascolo, di passaggio, di non edificare o di non sopraelevare. Le opere visibili
devono essere tali dal fondo servente, ma non trovarsi necessariamente su di esso.
• Distinguiamo ancora servitù continue e discontinue. Per le prime non è necessario il fatto
dell'uomo in quanto vi sono delle opere permanenti per il loro esercizio. Servitù discontinue,
quelle per cui è necessaria un attività umana. Ai fini della prescrizione, infatti, se una servitù
è discontinua la prescrizione inizia a correre dall'ultima attività eseguita dall'uomo,
dall'ultima passeggiata; nell'altra ipotesi sino a quando l'acquedotto è in attività, non vi sarà
mai inizio della prescrizione (art. 1073 c.c.).
• Servitù positive e negative. Nelle prime il proprietario del fondo servente deve sopportare
l'attività del fondo dominante. Il comportamento del proprietario del fondo servente si
sostanzia in un "pati" , in una sopportazione. Servitù negative, quelle in cui il
comportamento del proprietario del fondo servente si sostanzia in un non fare, come la
servitù di non soprelevare.
Servitù coattive.
Sono denominate servitù coattive o legali quelle che possono essere imposte al proprietario di un
fondo, a prescindere dal suo consenso. Secondo l’art. 1032, quando, in forza di legge, il proprietario
di un fondo ha diritto di ottenere la costituzione di una servitù a carico di un altro fondo, ove il
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proprietario di questo non vi consenta, la servitù è costituita con una sentenza. La sentenza
determina l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, quale compenso per la perdita di
valore che il fondo stesso subisce. In presenza delle condizioni previste dalla legge sorge il diritto
potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad esistenza solo in conseguenza di un
contratto tra i proprietari dei fondi, ovvero una sentenza pronunciata su domanda dell’interessato.
Estinzione. Se il diritto alla loro costituzione si ricollega ad una necessità, quando essa venga meno
la legge ne consente la soppressione su istanza della parte interessata. Essa avviene, in mancanza di
accordo, con sentenza.
Servitù di passaggio coattivo: quando un fondo è circondato da un fondo altrui e non abbia accesso
alla via pubblica. Il passaggio è stabilito nella parte in cui la distanza sia minore. Sono esenti dal
passaggio le case, i cortili, le aie e i giardini ad esse adiacenti. Anche per transito di veicoli.
Servitù volontarie.
La loro costituzione può avvenire a titolo derivativo, per contratto (forma scritta e trascrizione) o per
testamento, me se il bene appartiene a più comproprietari c'è bisogno del consenso di tutti (art.
1059 c.c.). L’acquisto può avvenire, limitatamente alle servitù apparenti, per usucapione e
destinazione del padre di famiglia. L'usucapione è espressamente prevista quale modo di acquisto, a
titolo originario, delle servitú apparenti è opera secondo le regole generali dell'istituto.
Destinazione del padre di famiglia: In questo caso un proprietario costituisce delle opere sul suo
fondo, una strada asfaltata, per esempio, tali da essere utili per una porzione del fondo rispetto ad
un'altra. Ebbene se queste opere sono permanenti e visibili e se il fondo viene diviso e venduto a
due (o più) soggetti diversi, basterà dimostrare che il proprietario ha lasciato le cose in maniera
corrispondete all'esistenza di una servitù che questa, in assenza di una diversa volontà del vecchio
proprietario, è costituita. La servitù si costituisce, quindi, se si verifica la situazione prevista dalla
legge, senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà e senza che nemmeno vi sia una
sentenza. La servitù non può essere unilateralmente modificata. Estinzione avviene per confusione
(art. 1072), prescrizione per non uso ventennale (1073), impossibilità di uso e mancanza di utilità
(1074).
Usi civici.
Ai diritti reali su cosa altrui possono essere accostati gli usi civici. Essi consistono in diritti spettanti
su proprietà altrui agli appartenenti a determinate collettività di persone. La facoltà di godimento su
proprietà private o pubbliche sono riconosciute al singolo soggetto in quanto membro di una
comunità legata ad un territorio. Si tratta di facoltà di godimento che si ricollegano a una
organizzazione della società e della economia in larga misura non più attuale. Si pensi al diritti degli
appartenenti a una frazione comunale di raccogliere legna corta in boschi o di pascolare greggi in
appezzamenti determinati. Tali diritti rappresentano una persistente limitazione gravante su taluni
fondi, soprattutto in alcune zone del paese. Sono inalienabili e imprescrittibili, ma si tende ad
eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da essi gravati mediante il pagamento di somme di
denaro da destinare a beneficio delle comunità che ne risultano ancora titolari. Il riordino e la
conseguente liquidazione degli usi civilistici risultano perseguiti attraverso l'istituzione di appositi
organi cui siano stati attribuiti ampi poteri in materia.
Onere reale.
L'onore reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile, in virtù del quale chi si trova nel
relativo godimento è tenuto ad eseguire una prestazione periodica a favore di un altro soggetto.
Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza quale potere del titolare di soddisfarsi sulla cosa
indipendentemente dalle vicende relative ai diritti che la concernono con il conseguente possibile
esercizio di un'azione reale. Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modi di
presentarsi della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è gravato. Costui risponde
pure delle prestazioni maturare precedentemente all'instaurazione del suo rapporto col bene
stesso.
4 COMUNIONE E CONDOMINIO.
Comunione.
La comunione è la situazione che si determina quando la proprietà o altro diritto reale spetta in
comune a più persone (art. 1100). Se come accennato si ritiene inammissibile la coesistenza di più
diritti di proprietà sullo stesso bene, è consentita invece la contitolarità dello stesso diritto sul bene
da parte di una pluralità di soggetti. Il fenomeno che ne risulta si presenta molto diffuso. La difficoltà
è quella di conciliare la concorrenza, in relazione al bene, di una pluralità di interessi individuali della
stessa natura, assicurando nello stesso tempo che l'esercizio delle facoltà di godimento e dei poteri
di disposizione inerenti la proprietà non ne risulti pregiudicato. L'origine della situazione di
comunione può essere diverso.
• Si usa parlare al riguardo di comunione volontaria quando sorge per volontà delle parti,
come nel caso di un acquisto insieme di una cosa
• Comunione incidentale quando sorge indipendentemente dalla volontà delle parti per
effetto di previsione legislativa, come nel caso della comunione ereditaria.
• Comunione forzosa quando è imposta dalla legge non ne è ammesso lo scioglimento.
Per regolamentare la partecipazione di ciascuno alla contitolarità del diritto, l’ordinamento ricorre al
concetto di quota. Il diritto di ogni partecipante ha ad oggetto la cosa nel suo insieme e non una sua
parte specifica, ma esso viene limitato dal concorso del diritto spettante a ciascuno degli altri
contitolari. Il concorso dei partecipanti, ai quali insieme spetta la proprietà, tanto nei vantaggi
quanto ai svantaggi, è determinato in proporzione delle rispettive quote (1101). Tale situazione
viene correttamente definita come diritto a una quota ideale della cosa. La quota indica la misura
della partecipazione di ciascun contitolare al medesimo diritto sul bene. Ciascun partecipante può
disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nonché costituite un ipoteca sulla
propria quota. Quanto alla utilizzazione della cosa comune, ogni partecipante può utilizzarla
individualmente rispettando l’analogo diritto di godimento che compete agli altri partecipanti. Non
può, però, alterare la destinazione economica della cosa. In tali limiti può anche apportare, a
proprie spese, le modificazioni necessarie per migliorare il godimento della cosa. L'art.1102 fa
riferimento all'eventuale estensione del diritto del partecipante sulla cosa comune in danno degli
altri partecipanti. A tal fine è richiesto il compimento di atti idonei a mutare il titolo del suo
possesso. Occorre, per trasformare ai fini dell'usucapione, il compossesso in possesso esclusivo, un
comportamento che denoti inequivocamente l'intenzione esclusiva di possedere il bene.
Ciascun titolare è tenuto a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e il godimento
della cosa in comune in proporzione della sua quota. Ci si può liberare da tale obbligo solo
rinunciando al diritto. In tal modo la quota degli altri partecipanti si accresce, in vantaggio o in
svantaggio.
l'ordinaria amministrazione e per migliorare il godimento della cosa comune nonché nominato un
amministratore. Tale regolamento può essere impugnato davanti al l'autorità giudiziaria dai
partecipanti dissenzienti. Solo con una maggioranza qualificata si possono disporre innovazioni
dirette a migliorare la cosa in comune purché non comportino una spesa troppo gravosa. Contro le
deliberazioni, ciascun componente della minoranza può proporre impugnazione davanti all'autorità
giudiziaria. Il partecipante ha diritto di chiedere in ogni momento lo scioglimento della comunione e
la conseguente divisione. La divisione ha luogo preferibilmente in natura, ove la cosa sia
comodamente divisibile in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti (art. 1114). Nella
divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione ereditaria.
Multiproprietá.
L’espressione “multiproprietà” si è affermata nella pratica degli affari immobiliari senza un preciso
significato tecnico-giuridico. Con essa si è inteso semplicemente individuare la sostanza del
fenomeno consistente nell’attribuzione ad un soggetto del godimento ciclico, per un certo periodo
ogni anno, di locali idonea ad una utilizzazione turistica.
Si parla anche di multiproprietà alberghiera con riferimento all'ipotesi in cui il godimento periodico
del bene. Sia assicurati ad una struttura di tipo alberghiero. Si tratta in sostanza di una variante dei
due precedenti modelli. Non va confusa con essa l'acquisto di un diritto personale di godimento
relativamente ad un'alloggio e con diritto alla fruizione dei servizi alberghieri da una società
turistico-alberghiera. Di fornite ad un quadro tanti incerto, il legislatore ha inteso garantire la
posizione dell'acquirente nei confronti del venditore, disciplinando i i contratti con cui si realizzano
le finalità tipiche della figura. Sono state così puntualmente le informazioni da offrire in sede di
pubblicità, il contenuto del formulario informativo che deve essere consegnato all'aspirante
acquirente, la forma del contratto ed il suo contenuto, il diritto di recesso da esercitare entri 14
giorni dalla conclusione del contratto con modalità ed effetti rigorosamente predefiniti, l'obbligo del
vendite di prestare idonea garanzia. Sono state previste sanzioni rilevanti a carico dei venditori che
non si adeguino alla disposta regolamentazione.
5 POSSESSO.
Nozione.
L'art. 1140 c.c. afferma che“ il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività
corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”
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Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non solo in quanto
titolare di una situazione soggettiva qualificabile come diritto, ma anche per i semplice fatto di
esercitare un potere sulla cosa, tenendo un comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe
consentito dalla titolarità della proprietà (o altro diritto reale). Una certa tutela è accordata al
soggetto in quanto eserciti il potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla incostanza che egli
sia o meno titolare di un diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà esserlo o meno, ciò
non rileva ai fini del riconoscimento della tutela possessorio. E’ riconosciuto valore giuridico a quella
situazione di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di
altro diritto reale, in una parola, tutelando e attribuendo valore giuridico al possesso. Significa che
dal solo possesso scaturiscono conseguenze giuridiche che possono portare anche all'acquisto del
diritto, come accade nella usucapione. Per indicare questa complessa situazione di fatto e tutto
quello che ne consegue, si parla di "ius possessionis", un diritto, certo, ma un diritto a una tutela
provvisoria, destinato a cedere di fronte alla dimostrazione del vero diritto. Per questo motivo non
bisogna confondere lo ius possessionis con lo "ius possidendi" che è il diritto del proprietario a
possedere, diritto che esiste anche quando il proprietario non possiede, perché è stato spogliato del
possesso, o anche perché non lo ha mai conseguito, mentre non è concepibile che scaturiscano
effetti dal possesso quando questo non vi sia mai stato.
Il titolare del diritto in quanto abitualmente anche nel possesso della cosa, trova nella tutela
possessoria mezzi più efficienti per una più pronta tutela dei suoi interessi, senza dover sottostare
alle lungaggini della probatio diabolica per dimostrare il diritto di proprietà.
Ai fini della ora accennata distinzione delle possibili situazioni possessorie rispetto alla cosa, risulta
decisivo l’elemento intenzionale (animus). il quale si ritiene rappresentare, in via generale, uno dei
due elementi costitutivi del possesso (l’altro è individuato nel corpus, potere di fatto sulla cosa, cioè
nella relazione materiale con essa, che ne consente al soggetto la concreta disponibilità).
Possesso e detenzione.
La distinzione tra possesso e detenzione è fondata sull’elemento intenzionale (animus). art. 1140 “
si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
L’ordinamento ammette che il possessore resti tale anche se altri siano nella immediata disponibilità
di fatto della cosa (possesso indiretto) quasi che il soggetto che ha tale disponibilità materiale
(detentore) operi quale strumento del possessore. Alla base della detenzione, vi è un rapporto col
possessore, il quale trasmette ad altri la detenzione come espressione del suo potere sulla cosa, con
conseguente riconoscimento, da parte del detentore, della preminenza dell’altrui posizione rispetto
alla cosa stessa, e, quindi, del carattere dipendente della propria posizione.
Il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere la cosa per se (animus possidendi), senza
riconoscere la preminenza di altri su di essa.
La detenzione (possesso minore) è caratterizzata dall’intenzione di tenere la cosa per gli altri,
rispettandone la posizione preminente (animus detinendi).
In generale l'art. 1141 c.c. presume che, chi esercita il potere di fatto su una cosa sia possessore e
non detentore, ma lo stesso articolo ammette che la detenzione possa mutarsi in possesso
(interversione del possesso). Una volta che la situazione sia iniziata come detenzione, il possesso
potrà essere acquistato solo ove il relativo titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo o
in forza di opposizione contro il possessore. Sotto il primo profilo è da considerare l'atto col quale
l'attuale possessore conferisca il possesso al detentore. La distinzione tra possesso e detenzione è
basilare poiché diversi sono gli effetti. Così il solo possesso è preso in considerazione ai fini
dell'acquisto della proprietà per usucapione. Inoltre l'esercizio delle azioni possessorie compete al
possessore, mentre al detentore spetta solo quella di reintegrazione. Tale è la detenzione quando il
soggetto, pur riconoscendo la dipendenza della propria posizione da quella altrui, detiene
nell'interesse proprio.
Oggetto e vicende.
Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà oggettivamente percepibile. Sono
considerate possibili oggetto di possesso, le sorgenti, le energie naturali, le onde elettromagnetiche.
Sono suscettibili di possesso le universalità di beni mobili ma si dubita fortemente che possano
esserlo i beni immateriali. E’ considerato senza effetto il possesso delle cose di cui non può
acquistarsi la proprietà.
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, il quale si realizza
mediante l’apprensione materiale della cosa. L'apprensione della cosa per determinare gli effetti
che ne sono propri, richiede un profilo di consapevolezza e intenzionalità. E’ un atto giuridico in
senso stretto che richiede capacità giuridica. L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di
fatto della cosa consegue atti di tolleranza altrui (art. 1144). L’acquisto del possesso, il più delle
volte, avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con la consegna (traditio), in
cui si ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna costituisce correntemente adempimento
della relativa obbligazione nascente da un contratto. Per avere acquisto del possesso, occorre che la
cosa sia posta nella effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire materialmente,
con una consegna reale, o tramite consegna meramente simbolica (chiavi).
La consegna può avere anche carattere consensuale quando il possessore trasferisce ad un altro
soggetto il possesso conservando la detenzione della cosa. La perdita del possesso può avvenire,
oltre che per il perimento della cosa, perché il possessore ne viene privato da altri (spoglio), per
l’abbandono (derelictio) della cosa stessa o per la sua restituzione. Dato che l'effetto forse più
rilevante del possesso è legato alla sua persistenza nel tempo, risultano fondamentali le regole
previste con riferimento alla relativa dinamica temporale. Innanzitutto il possessore attuale che
abbia posseduto in tempo più remoto si presume avere posseduto anche nel tempo intermedio.
L'attuale possessore per vedersi riconosciuta la continuità del possesso non dovrà fornire prova di
avere posseduto in ogni momento potendo limitare a provare il possesso in un momento anteriore.
È previsto poi che il possesso attuale non faccia presumere il possesso anteriore. Per essere
considerato tale anche in precedenza, l'attuale possessore dovrà allora provare il possesso
anteriore. L’art. 1146 prevede che il possesso continua nell’erede con effetto della apertura della
successione. In caso di successione mortis causa viene automaticamente a crearsi una continuità tra
il possesso del defunto è quello dell'erede quasi che il secondo ne continui la persona. Il possesso in
tal modo continua nell'erede con i medesimi caratteri che contraddistinguevano il possesso del
defunto. Esso sarà considerato di buona o mala fede a seconda che tale fosse in capo a
quest'ultimo, indipendentemente dallo stato psicologico del successore. In caso di successione a
titolo particolare, il successore, per creare continuità del suo possesso con quello del dante causa
può unire al proprio possesso il possesso del suo autore per goderne degli effetti. Trattandosi di
unire al suo possesso quello del precedente possessore il soggetto dovrà avere conseguito
effettivamente il possesso stesso ottenendo la consegna della cosa dal dante causa o dall'erede. Se
il nuovo possessore è in buona fede al momento dell'acquisto del possesso, tale sarà considerato,
anche se il possesso del suo dante causa fosse stato in mala fede. Se il nuovo possessore acquista il
possesso in mala fede, egli non potrà invocarne la eventuale qualificazione di buona fede del
possesso del suo dante causa.
possesso in buona fede può essere certo di non potersi vedere mai opposto il precedente acquisto
di altri. Non essendo l'alienante, in quanto non proprietario, legittimato a trasferire la proprietà,
l'acquisto del diritto non può essere considerato dipendente dalla precedente titolarità del diritto
stesso da parte di altri. Si tratta allora di acquisto a titolo originario. Col carattere originario
dell'acquisto risulta coerente la regola per cui la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla
cosa. Di conseguenza il proprietario non potrà rivendicare il bene, e nemmeno gli altri titolari di
diritti sul bene potranno farli valere, a meno che questi diritti non risultavano dal titolo
(astrattamente idoneo) di acquisto del possessore.
Centro di gravità della fattispecie acquisitiva è il conseguimento del possesso della cosa. Il
conseguimento della cosa avviene mediante trasmissione della concreta disponibilità della cosa
stessa dall'alienante all'acquirente. L'acquisto presuppone che il conseguimento sia avvenuto in
buona fede, quindi nell'ignoranza circa la mancanza della proprietà della cosa. La buona fede si
presume ma non può essere invocata in caso di colpa grave. Il soggetto che abbia acquistato la cosa,
conoscendo l'originaria illegittima provenienza (ad esempio rubata), non porta a credere che il suo
precedente possessore sia effettivamente proprietario. La consapevolezza dell'originaria illegittimità
del bene esclude la buona fede. Deve sussistere un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Si
usa precisare che il titolo deve essere astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà. Il titolo
astrattamente idoneo ma che non presenti i requisiti richiesti è considerato invalido e l'acquisto del
possesso in buona fede non vale a sanare i vizi dell'atto che lo rendano invalido. Titolo
astrattamente idoneo può essere qualsiasi atto di alienazione, a titolo oneroso, ma anche a titolo
gratuito come donazione, vendita, ecc.
Sempre secondo l'art. 1153 come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo stesso modo si
possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
Ricordiamo, infine, che la regola esposta nell'art. 1153 non si applica alle universalità di mobili e ai
beni mobili registrati (art. 1156 c.c.).
Usucapione.
L’acquisto della proprietà per usucapione, si fonda, sulle stesse ragioni che giustificano l’operare
della prescrizione quale generale modo di estinzione dei diritti. Nel caso della prescrizione, il diritto
viene perso in conseguenza del suo durevole mancato esercizio. Nel caso dell’usucapione,
all’inverso, il diritto viene acquistato in conseguenza del suo persistente concreto esercizio.
Come la prescrizione determinante risulta l’inerzia del titolare del diritto, così nell’usucapione
decisiva è reputata l’attività del soggetto.
PARTE VII
OBBLIGAZIONI
Fonti.
Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto
idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Per “fonti dell’obbligazione” si
intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano e cioè i fatti giuridici determinativi della
nascita delle obbligazioni. I criteri di identificazione dell’obbligazione si appuntano essenzialmente
sulla causa (titolo) e sul contenuto (prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti delle obbligazioni è organizzato intorno a tre classi. Le prime due classi sono il
contratto e il fatto illecito. Essi rappresentano le fonti generali e di più comune ricorrenza.
• Contratti: sono le tipiche fonti delle obbligazioni. Con questo strumento le parti si
impegnano volontariamente ad eseguire delle prestazioni. Es. se si commissiona un quadro il
pittore s'impegnerà ad eseguirlo ed una volta finito si sarà obbligati a versare il corrispettivo
per l'opera svolta.
• Fatto illecito: in questo caso si prescinde da ogni e qualsiasi accordo tra i soggetti
dell'obbligazione, anzi c'è almeno un soggetto (il danneggiato) che non vuole il fatto da cui
scaturisce l’obbligazione. Art. 2043, risarcimento del danno.
La terza classe è riferita a ogni altro atto o fatto a produrle secondo l'ordinamento. È una classe
residuale rispetto le prime due avendo riguardo tutte le altre fonti non riconducibili al contratto e al
fatto lecito.
Possiamo fare una distinzione tra fonti volontarie e fonti legali a seconda che le obbligazioni
traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegati direttamente alla legge. Le fonti
volontarie si riducono all'esplicazione dell'autonomia negoziale, attraverso negozi unilaterali e
mediante contratti. Nelle fonti legali invece l'obbligazione è riconducibile alla legge.
soggetto. La struttura del rapporto di obbligazione è quindi caratterizzata dalla posizione del
creditore e del debitore. Creditore che diritto a conseguire una utilità tramite il comportamento del
debitore e il debitore obbligato a procurare tale utilità al creditore con il suo comportamento.
Diversamente dai diritti reali che sono caratterizzati da immediatezza e assolutezza, nel senso che
sono realizzabili sulla cosa autonomamente dal titolare e posso essere fatti valere verso tutti, i diritti
di credito sono caratterizzati da mediatezza e relatività, in quanto il credito è realizzabile solo
tramite la cooperazione di altro soggetto e può essere fatto valere solo nei confronti del debitore.
Soggetti.
Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni soggettive di credito e di debito.
Titolare della situazione attiva è il creditore, della situazione passiva è il debitore.
I soggetti esprimono due centri di interessi. Più spesso la titolarità della situazione attiva o passiva, è
formata da una sola persona ma sono frequenti le ipotesi di una titolarità di situazione composta da
più persone, le quali assumono la veste di contitolari della medesima posizione debitoria o
creditoria. Quando la qualità di debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona,
l’obbligazione si estingue per confusione. I soggetti devono essere determinati o determinabili. Se i
soggetti non sono precisamente indicati devono almeno risultare nel titolo i criteri di
determinazione degli stessi. Si pensi alla promessa al pubblico in virtù della quale un soggetto
(debitore) promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia
una determinata azione. Il debitore è vincolato dalla promessa appena questa è resa pubblica anche
se il creditore sarà noto successivamente. Può avvenire che la persona del creditore o del debitore
muti nel tempo in quanto l'obbligazione è connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il
mutamento della titolarità di quest'ultima comporta mutamento anche della connessa posizione di
credito o di debito. È il fenomeno delle cosiddette obbligazioni reali per le quali l'acquisto del diritto
reale comporta l'assunzione di obbligazioni accessorie. La rinuncia al diritto reale comporta la
liberazione dalla obbligazione. L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Di
conseguenza il debitore risponde con l'intero suo patrimonio per l'inadempimento delle
obbligazioni maturate con la titolarità del diritto reale.
Contenuto:
- pretesa.
Contenuto della posizione attiva è la pretesa alla prestazione di un bene, cui si riconnette il
corrispondente obbligo del debitore di attuazione. L'art. 1174 richiede che la prestazione deve
essere “suscettibile di valutazione economica” e corrispondere a un interesse anche non
patrimoniale del creditore. È dunque fondamentale che la pretesa deve essere sorretta da un
interesse del creditore, anche di carattere non economico. L'interesse del creditore e dunque la
pretesa sono soddisfatti attraverso l'attuazione del contenuto dell'obbligo da parte del debitore. Ma
non mancano i casi in cui l'interesse del creditore è soddisfatto in modi diversi (adempimento del
terzo). Si vedrà peraltro in seguito come in molte ipotesi, a fonte del comportamento del creditore
che non si riceve la prestazione possa sussistere un interesse del debitore ad eseguire la prestazione
e non solo essere liberato dal vincolo obbligatorio.
- prestazione.
Contenuto della posizione passiva è l'obbligo di prestazione di un bene al creditore (per posizione
debitoria). La prestazione è dunque il comportamento dovuto dal debitore per procurare al
creditore una determinata utilità: la sua esatta esecuzione comporta adempimento
dell’obbligazione in quanto realizza l’interesse del creditore, facendogli conseguire il bene
perseguito.
a) Requisiti generali.
L’art. 1174 fissa specificatamente due requisiti della prestazione: la patrimonialità e la
corrispondenza ad un interesse del creditore.
• 1) La prestazione deve essere “suscettibile di valutazione economica” (patrimoniale). La
patrimonialità della prestazione presenta sia un carattere oggettivo, che fa riferimento
all'essenza della prestazione in se considerata, sia un carattere soggettivo che è riferita ai
soggetti coinvolti.
• 2) La prestazione deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore,
cioè la prestazione del creditore deve essere sorretta da un interesse che può avere anche
un carattere non economico.
• 3) Temporaneità del vincolo obbligatorio, quindi della prestazione (art. 1865)
• 4) La prestazione deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile, secondo i
requisiti propri dell’oggetto del contratto (art. 1346).
Fissati i requisiti generali di ogni prestazione, è possibile delineare la tipologia delle prestazioni in
ragione di due criteri fondamentali: il contenuto della prestazione dovuta e l’esecuzione della
stessa.
b) Contenuto.
Con riferimento al contenuto della prestazione dovuta, vengono in rilievo tipicamente tre tipi di
prestazioni: dare, fare e consegnare, cui si aggiunge quella di prestare garanzia.
La prestazione può essere semplice o complessa a seconda che si svolga con un unico
comportamento del debitore oppure con più comportamenti.
• La prestazione di dare consiste nel trasferimento di un diritto. Esempio l'attività del
mandatario che ha acquistato un immobile per conto del compratore ed è obbligato a
ritrasferirlo al mandante.
• La prestazione di consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità materiale
della cosa (possesso o detenzione). Esempio, l'obbligazione del venditore di consegnare al
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compratore il bene venduto. Strumentale alla obbligazione di consegnare una derivata cosa
è quella di custodirla fino alla consegna.
• La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto quale risultato dell’attività materiale o
giuridica. La prestazione è fungibile se è indifferente la identità del debitore (pagamento di
una somma di denaro); infungibile se rileva la identità del debitore (prestazione artistica o
professionale). Nel concetto di “facere” rientra anche il “non facere” (obbligazione negativa)
• Obbligazione di prestare garanzia con la quale il debitore assume la obbligazione di
procurare una sicurezza nella realizzazione del credito. Tendenzialmente è un’obbligazione
accessoria.
c) Esecuzione.
Con riguardo all'esecuzione della prestazione rilevano due fondamentali tipi di obbligazione.
Obbligazione istantanea e obbligazione di durata.
• L'obbligazione istantanea si caratterizza per l’unitarietà del comportamento (programmato)
e dovuto, in funzione della realizzazione di un interesse unitario del creditore (anche quando
la prestazione è frazionata nel tempo, i singoli atti concorrono all'attuazione di un interesse
programmato e da realizzare come unico ed unitario.)
• L'obbligazione di durata mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore. Si svolge e
realizza nel tempo. A sua volta tale tipo di obbligazione può essere continuata o periodica, a
seconda che perduri continuativamente nel tempo (ad esempio l'obbligazione del locatore di
far godere il bene del locato), o sia eseguita ad intervalli di tempo (ad esempio il canone di
locazione da pagare mensilmente dal locatario).
La distinzione tra l'obbligazione istantanea e di durata rileva per la verifica nell'adempimento che è
correlata all'attuazione dell'interesse del creditore e per la decorrenza del termine di prescrizione
del diritto di credito che nell'obbligazione istantanea decorre dalla data di scadenza
dell'obbligazione, nella obbligazione di durata dalla data di cessazione della prestazione o di
scadenza delle singole prestazioni dovute. In ogni caso l'attribuzione che un soggetto compie nei
confronti dell'altro può essere immediata o differita a seconda che avvenga immediatamente o sia
differita nel tempo (nel primo caso si pensi alla vendita, nel secondo caso si pensi all'appalto).
Oggetto.
Dovere di correttezza.
Art. 1175: il debitore e il creditore “devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. Si è
discusso se il dovere di correttezza sia riconducibile al generale dovere di buona fede oggettiva che
attraversa l'intera dinamica contrattuale e in generale tutta l'attività privata. In realtà i più recenti
sviluppi dottrinali e giurisprudenziali sono pervenuti ad una riconduzione dei principi di correttezza
e buona fede al generale dovere di solidarietà quale clausola di presidio dell’intera attività privata. Si
è così chiarito, sia a carico del debitore che a carico del creditore, il dovere giuridico di preservare
l'interesse dell'altro, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse
proprio secondo un criterio di reciprocità. Vi é dovere di informazione; e l'osservanza, per il debitore
di obblighi accessori o strumentali alla esecuzione della prestazione dovuta. Il creditore deve
favorire la posizione debitoria e non aggravarla consentendo l'esecuzione della prestazione. Si
sviluppa poi un'ulteriore fondamentale principio ossia quello di inesigibilità nei rapporti obbligatori,
in base al quale è ammesso che l'inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se
l'interesse che lo sottende risulti tutelato dall'ordinamento o addirittura dalla costituzione come
valore preminente o superiore a quello perseguito dal creditore.
Obbligazioni naturali.
L’articolo 2034 prevede una generale categoria degli “doveri morali e sociali” che non sono
suscettibili di essere oggetto di obbligazione ma che assumono rilevanza giuridica al momento
dell’eventuale adempimento. Infatti il primo comma sancisce che non è ammessa la ripetizione di
quanto sia stato pagato spontaneamente equazioni di doveri morali e sociali. Dunque elementi
dell’obbligazione naturale sono: l’esistenza di un dovere morale sociale è un adempimento di
contenuto patrimoniale. Requisito dell’adempimento sono la capacità e la spontaneità di chi
adempie.
Le obbligazioni naturali non sono munite di azione per costringere il debitore al pagamento, se per
un pagamento è stato fatto non si può ottenere la restituzione di ciò che si è spontaneamente
prestato salvo che la prestazione non sia stata eseguita da un incapace.
Casi, espressamente previsti, di obbligazioni naturali sono:
- L’esecuzione spontanea di una disposizione fiduciaria (articolo 627))
- Il pagamento del debito prescritto (articolo 2940)
- Il pagamento di un debito di gioco di una scommessa (articolo 1933).
Generalità.
Sotto il titolo di” obbligazioni in generale”, l'ultimo capo è dedicato alla disciplina di alcune specie di
obbligazioni. La normativa è riferita ad alcuni tipi di rapporti obbligatori che presentano alcune
specificità rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni. Il modello di base del rapporto
obbligatorio, cui ha riguardo la disciplina generale delle obbligazioni, incarna la cosiddetta
obbligazione semplice, caratterizzata dalla presenza di due soli soggetti (creditore e debitore) con
unicità di prestazione.
Una disciplina particolare è dedicata ad ipotesi di obbligazione complessa, caratterizzata da una
molteplicità di soggetti e/o di prestazioni. L’obbligazione complessa si specifica a sua volta in
obbligazione plurisoggettiva se la molteplicità riguarda i soggetti di uno o di entrambe le posizioni
soggettive e in obbligazione cumulativa quando sono dedotte in obbligazione più prestazioni, che a
sua volta può essere congiuntiva (sono dovute tutte le prestazioni) o alternativa (quando ne è
dovuta una sola).
L'obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre quando ciascun
debitore è tenuto all’adempimento di una sola parte dell’obbligazione, ovvero quando ciascun
creditore può pretendere solo la parte dell’oggetto della obbligazione di sua spettanza. La
parziarietà indica la rilevanza della divisibilità dell'obbligazione in presenza di più soggetti (debitori o
creditori). Alla obbligazione parziaria non è dedicata un'apposita normativa. La sua rilevanza è
dedotta dalla norma riguardante l'obbligazione divisibile.
Per l'art. 1314: se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è
solidale, ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito solo per la sua parte e
ciascuno dei debitori è tenuto a pagare il debito per la sua parte.
Nell'ipotesi di pluralità di debitori, il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto verso tutti i
debitori potendo pretendere da ognuno di essi solo la sua parte. Nell'ipotesi che qualcuno non
adempia, il creditore non può rivalersi sugli altri debitori per la parte non riscossa. Nell'ipotesi di
una pruralità di creditori, il debitore è tenuto all'adempimento parziario a ciascuno dei creditori.
Le obbligazioni solidali.
La obbligazione solidale è una obbligazione complessa plurisoggettiva più spesso dal lato passivo
che dal lato attivo del rapporto.
La solidarietà passiva: in caso di pluralità di debitori in un'unica obbligazione se vi è solidarietà ( per
accordo o per legge) il creditore potrà chiedere l'intera prestazione ad uno qualsiasi dei debitori e
non essere costretto a chiedere parte della prestazione ad ognuno dei debitori. Il pagamento
eseguito dal debitore in solido libera gli altri.
Nella solidarietà passiva, quindi, vi è un rafforzamento della posizione del creditore poiché questi
potrà chiedere l'intera prestazione ad uno qualsiasi dei debitori che sono obbligati ad eseguirla.
Pensiamo al caso in cui tre debitori si sono impegnati in solido a pagare 300 ad un unico creditore.
Questi potrà chiedere, quindi, tutta la somma ad uno qualsiasi dei debitori (magari a quello più
solvibile) senza essere costretto a chiedere 100 ad ognuno di loro.
Abbiamo parlato della solidarietà passiva, ma l'articolo 1292 c.c. ne prevede un'altro tipo che
guarda alla pluralità di creditori. Vediamone la nozione
La solidarietà attiva: in caso di pluralità di creditori se è prevista solidarietà ognuno di loro potrà
chiedere l'intera prestazione al debitore il cui adempimento a favore di uno dei creditori lo libererà
nei confronti di tutti gli altri creditori rimasti.
Quando si parla di solidarietà, però, si fa di solito riferimento alla solidarietà passiva perché, a
differenza di quella attiva, è presunta dalla legge ( art. 1294 c.c.).
Di conseguenza più debitori obbligati per una medesima prestazione saranno debitori in solido, se
non si è previsto diversamente. All'opposto, se vi sono più creditori di una medesima prestazione
nei confronti di un debitore, non vi sarà solidarietà attiva se non per espressa previsione
contrattuale o legislativa. Come esempio di solidarietà attiva prevista dalla legge ricordiamo l'art.
1854 c.c che la prevede insieme, per altro, a quella passiva fra i cointestatari di un conto corrente.
Bisogna escluderla quando le prestazioni sono diverse per ogni debitore o quando non c'è pluralità
di soggetti;
riassumendo e precisando quanto sino ad ora esposto, per aversi obbligazione solidale sono
necessari i seguenti presupposti.
Presupposti:
• pluralità di soggetti dal lato attivo o passivo
• medesima prestazione da eseguire
• medesima fonte da cui scaturisce la prestazione
Si ritiene che la prestazione possa scaturire anche da più fonti.
In questo caso che l'elemento della solidarietà non solo vi sarebbe quando la fonte è unitaria ( ad
es. un unico contratto), ma anche quando le fonti siano diverse ( ad es. diversi contratti) ma
collegate in modo tale da farle ritenere un complesso unitario.
Non è vero, invece, che vi sia un unico rapporto per tutti i soggetti come, invece, unica è la
prestazione.
Esistono, infatti, tanti rapporti per quanti soggetti vi sono nella obbligazione rapporti, seppure
scaturenti da unica fonte ed aventi ad oggetto una sola prestazione, tutti identici tra di loro.
Nella solidarietà vi sono quindi tanti rapporti per quanti sono i soggetti coinvolti, rapporti identici,
abbiamo detto, ma comunque distinti. Questo vuol dire che vi possono essere delle differenze tra
debitore e debitore in merito alle eccezioni che i questi possono opporre al creditore.
Abbiamo, quindi, due tipi fondamentali di eccezioni che possono essere opposte al creditore.
• eccezioni comuni: possono essere opposte da uno qualsiasi dei debitore nei confronti del
creditore (nella solidarietà passiva) o da uno qualsiasi dei creditori nei confronti del debitore
(nella solidarietà attiva); ne sono esempi , la nullità totale dell'atto da cui è nata
l'obbligazione e la prescrizione
• eccezioni personali: nella solidarietà passiva possono essere proposte solo da uno dei
debitori al creditore, mentre nella solidarietà attiva il debitore non può opporre al creditore
le eccezioni personali con gli altri creditori; sono esempi di eccezioni personali la
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sospensione della prescrizione, lo stato di incapacità, le eccezioni di annullabilità per vizi del
volere
Si occupa delle eccezioni personali l'art. 1297 c.c. , ma chiariamo con un esempio l'ipotesi più
frequente relativa alla solidarietà passiva; poniamo che uno solo dei debitori in solido era caduto in
errore nella stipula del contratto da cui è scaturita l'obbligazione. Nel caso che proprio a lui venga
chiesto l'adempimento, potrà sempre eccepire l'annullabilità del contratto, cosa che non potranno
fare gli altri non caduti in errore;
rapporti interni: l'obbligazione in solido si divide in parti che si presumono uguali tra i debitori o i
creditori solidali
Ciò significa che se all'esterno ognuno dei debitori (ad es. 5) dovrà dare 50 o ognuno dei creditori
( ad es. 5) dovrà ricevere 50, nei loro rapporti interni s'intenderà che ognuno dovrà dare o ricevere
10, salvo, ovviamente, patto contrario. Tale situazione risulta più evidente nel caso dell'azione di
regresso ex art. 1299 c.c. che, seppure prevista per la sola solidarietà passiva, può essere estesa
anche a quella attiva.
azione di regresso: il debitore che ha pagato l'intero debito può ripetere dagli altri debitore la parte
che spettava a ciascuno di loro
Se quindi, nel caso di cui poc'anzi, il debitore ha pagato 50, potrà chiedere ad ognuno degli altri
quattro 10 che, sommati con la sua parte, saranno equivalenti all'intero debito pagato che era
appunto di 50.
a) Art. 1316 si ha obbligazione indivisibile quando “la prestazione ha ad oggetto una cosa o un fatto
che non è suscettibile di divisione” per sua natura (oggettiva) o per il modo in cui è stata concepita
dalle parti (soggettiva). Si parla, quindi, di indivisibilità assoluta o relativa.
L'indivisibilità assoluta, si verifica quando la prestazione ha per oggetto una cosa indivisibile per
natura o un fatto che non ammette esecuzione parziale.
L'indivisibilità relativa, invece, si ha quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto
naturalmente divisibile, ma che le parti hanno deciso di considerarlo indivisibile.
Ma come si adempie una obbligazione indivisibile?
Ci risponde l'art. 1317 c.c. secondo cui le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme sulle
obbligazioni solidali, in quanto applicabili.
In altre parole il creditore potrà chiedere a uno qualsiasi dei debitori la prestazione (il famoso
cavallo vivo).
L'art. 1317 contiene una salvezza poiché si riferisce alle norme sulla solidarietà "in quanto
applicabili" .
Questo perché solidarietà e indivisibilità non sono la stessa cosa;
la prima è mezzo per rafforzare il diritto del creditore nella sua attuazione, mentre la seconda è un
modo di essere della obbligazione. Ed infatti, il successivo articolo 1318 dispone che l'indivisibilità
opera anche nei confronti degli eredi del debitore o del creditore, ed, in effetti, se il debitore in
solido ex art. 1295 c.c., poi defunto, doveva una somma di denaro lasciando due eredi ognuno
dovrà pagare la sua parte, ma se doveva consegnare un cavallo vivo, gli eredi non potranno certo
consegnare mezzo cavallo per uno invocando l'art. 1295.
• Obbligazione facoltativa: anche detta con facoltà alternativa non ha una disciplina specifica
nel codice. Una sola prestazione è dedotta in obbligazione: è dunque un’obbligazione
semplice, essendo la prestazione unica e determinata fin dall’origine. E’ accordata al
debitore la facoltà di liberarsi eseguendo una prestazione diversa, di regola,
preventivamente pattuita; più raramente è accordata al creditore la facoltà di scegliere una
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diversa prestazione. In ogni caso, se perisce o diviene impossibile l’unica prestazione dovuta,
per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue. Una fattispecie di
obbligazione facoltativa si trova in materia di obbligazioni pecuniarie, se la somma dovuta
dal debitore è determinata da moneta non avente corso legale nello stato, il debitore ha
facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della cadenza e nel luogo
stabilito per il pagamento.
Obbligazioni pecuniarie.
Sono pecuniarie le obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro. L’articolo 1277
dispone che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al momento
del pagamento e al suo valore nominale. Si tratta del cosiddetto principio nominalistico in virtù del
quale l’obbligazione si esegue in conformità del suo importo nominale non del valore effettivo.
Pertanto il debitore deve dare la quantità di moneta stabilita, anche se il suo valore di scambio o il
suo potere di acquisto si sia frattanto modificato.
Pertanto, se ad esempio tizio ha assunto nel 2002 un debito di un euro, con l’obbligo di adempiere
nel 2005, egli dovrà, alla scadenza del termine, pagare sempre un euro, anche se tale somma per
effetto della svalutazione, avrà assunto un valore minore.
Di conseguenza essenziale stabilire il valore economico della moneta, in quanto si suole distinguere
tra due modelli di riferimento, debiti di valuta e debiti di valore:
- il debito di valuta (Per i quali trova applicazione il principio nominalistico), sono quelle
prestazioni che sono pecuniarie sin dalla nascita (si pensi a un prestito non restituito),
- il debito di valore ( non di applica il principio nominalistico) sono obbligazioni solo in
senso lato peculiare in quanto la prestazione, pur consistendo in una somma di denaro,
assume una funzione sostitutiva di un diverso bene dovuto.
Ex: si pensi alle conseguenze di un incidente stradale, ai fini del risarcimento del danno,
questo dev’essere convertito in denaro attraverso la cosiddetta liquidazione.
Nel debito di valore si tiene conto della svalutazione monetaria intervenuta fra il momento in cui è
sorta l’obbligazione e quello in cui avviene la liquidazione del danno, con applicazione degli interessi
legali alla somma rivalutata, per il periodo intercorrente fra la liquidazione e il pagamento.
Nel debito di valuta, invece, si applicano i soli interessi legali, calcolati sull’importo originario, a
meno che il creditore non provi di aver subìto un maggior danno.
Quanto alla fonte, gli interessi possono derivare dalla legge oppure essere previsti dagli usi o fissati
dalle parti:
- interessi legali sono regolati dalla legge, che stabilisce la maturazione di diritto e cioè
automatica degli interessi.
- Interessi convenzionali sono pattuiti tra creditore debitore all’atto della costituzione del
rapporto obbligatorio o successivamente, I quali possono fissare una misura diversa da
quella legale, purché non usuraia. Tuttavia, un eventuale tassa differente dall’interesse
legale deve essere stabilito dalle parti per iscritto: in mancanza interessi, anche se
convenzionali, sono dovuti nella misura legale.
Interessi anatocistici.
In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della
domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti
di interesse dovuto almeno per sei mesi (art. 1283). E’ il fenomeno dell’anatocismo: il termine indica
la maturazione di interessi su interessi (interessi composti). Gli interessi scaduti, cioè maturati, e non
pagati diventano capitale sicchè sono suscettibili di produrre al loro volta interessi. Il codice civile
ammette l'anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti. L'anatocismo può operare solo con
riguardo agli interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi. Quanto alla fonte gli interessi
anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla scadenza degli interessi semplici ovvero
vanno richiesti con domanda giudiziale.
Generalità.
Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi delle modificazioni che vanno a
configurare nuovi soggetti, sia nel lato attivo sia nel lato passivo del rapporto obbligatorio. Un
esempio di mutamento di soggetti si può osservare nella successione per causa di morte dove gli
eredi subentrano nelle universalità o in una quota del defunto e i legatari nei singoli rapporti.
Più rare invece si presentano invece le modificazioni dell'oggetto dell'obbligazione.
In definitiva la cessione del credito si atteggia come un normale contratto consensuale ad efficacia
reale. Il diritto di credito si acquista e si cede per effetto del consenso delle parti.
Quanto all'oggetto, sono oggetto di obbligazione non solo il credito inteso in una qualsiasi forma di
danaro, ma anche le prestazioni di dare, fare o consegnare, nonché anche il credito al risarcimento
del danno patrimoniale e non patrimoniale. La cessione del credito inoltre può riguardare un bene
presente e futuro.
Il cedente, nell'azione di trasferimento del credito al cessionario, deve prestare una prova
dell'esistenza del credito verso il debitore in questione.
Dall'art.1260 derivano poi ipotesi di incedibilità del credito. Il credito risulta incedibile se:
• Ha carattere strettamente personale (diritto agli alimenti)
• Vi è un divieto legale
• Vi è un divieto convenzionale. Ossia il creditore stipula un patto con il debitore con il quale si
obbliga a non cedere ad altri il suo credito.
L'efficacia.
L'efficacia può essere di tre tipi:
• Efficacia tra le parti. Si è visto che il contratto di cessione ha efficacia tra le parti anche senza
il consenso del debitore. La garanzia che il cedente deve prestare al cessionario muta in
ragione del titolo. Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente deve garantire l'esistenza del
credito al tempo della cessione. Tale garanzia può essere esclusa per patto tra le parti. Se la
cessione è a titolo gratuito il creditore cedente risponderà al cessionario solo per evizione. Al
profilo della garanzia si lega poi anche il rischio di insolvenza del debitore. Rischio che
comunque viene preso in ogni caso dal cessionario. Il cessionario non può rivalersi sul
patrimonio del cedente se il debitore non ha adempito al credito che gli spettava. Tuttavia
vediamo che il creditore può, attraverso un patto, assumere la garanzia della solvenza del
debitore al credito che si intende trasferire. Per effetto della cessione del credito, il
cessionario entra nella posizione di creditore e quindi il debitore può apporre al lui le
apposite eccezioni.
• Efficacia verso il debitore. Il debitore deve essere informato dell'avvenuta cessione del
credito affinché possa adempire verso il cessionario. Se il debitore in buona fede non viene
informato e consegue la sua obbligazione al precedente creditore questo si considera
comunque libero dalla obbligazione. Il debitore deve essere correttamente informato
mediante accettazione o notificazione. Anche in assenza di notifica o di accettazione il
cessionario può provare che il debitore ceduto sia stata informato dell'avventura cessione
del credito. Realizzatasi la conoscenza della cessione, legale o effettiva, il debitore non può
invocare la mancata conoscenza del fatto e quindi conseguire la sua obbligazione verso il
cessionario.
• Efficacia verso i terzi. Può accadere che il creditore ceda il proprio credito a più persone. Tra
le varie cessioni prevale quella che è stata notificata per prima al debitore o che è stata
accettata per prima dal debitore con atto avente data certa.
Il factoring.
Il factoring è una figura negoziale di matrice anglosassone. Con questo termine si intende indicare
un particolare tipo di contratto con il quale un imprenditore (cedente) si impegna a cedere i propri
crediti, presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale, ad un'altro soggetto
professionale denominato factor il quale, dietro corrispettivo consistente in una commissione,
assume l'obbligo a sua volta di fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione,
gestione, riscossione dei crediti, al finanziamento dell'imprenditore mediante prestiti o mediante il
pagamento anticipato dei crediti ceduti. Nella maggior parte dei casi, dietro il contratto di factoring,
si nasconde una operazione di finanziamento della impresa al cliente. La cessione può avvenire in
due modi diversi.
• Pro soluto: il factor si assume il rischio dell'insolvenza dei crediti ceduti e in caso di
inadempimento non può chiedere al cliente la restituzione degli anticipi.
• Pro solvendo, quella più frequente: il factor non si assume il rischio di insolvenza dei crediti
che vengono lasciati al cliente, con la conseguenza che il cedente dovrà restituire al factor le
anticipazioni ricevute.
La legge 1991 n.52 ha introdotto una nuova normativa speciale per la cessione dei crediti di
impresa. I requisiti affinché si applichino tali regole sono:
• Il cedente deve essere un imprenditore
• I crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa
• Il cessionario è una banca o un intermediario finanziario che ha come oggetto l'acquisto dei
crediti di impresa
• I crediti presenti e futuri possono essere ceduti anche in massa ed anche prima che siano
stipulati i contratti dai quali derivano, purché se ceduti in massa, i relativi contratti siano stati
stipulati in ventiquattro mesi.
Mentre la cessione del credito determina il mutamento del soggetto attivo, senza attuazione
rapporto obbligatorio: il creditore originario non consegue il bene oggetto dell’obbligazione.
Viceversa la surrogazione comporta mutamento del soggetto attivo in conseguenza del
soddisfacimento del creditore, ma ad opera di un terzo e non del debitore. La peculiarità è che
l’obbligazione originaria rimane in vita pur essendo intervenuto l’adempimento.
L’anomalia si giustifica per il fatto che l’adempimento non proviene dal debitore, di conseguenza il
soggetto che ha adempiuto è surrogato nella posizione del creditore verso il debitore originario,
consentendosi così al terzo adempiente di recuperare quanto prestato per l’adempimento.
Negli altri due casi di surrogazione, il semplice pagamento non bastava a produrre la surrogazione,
ma era necessaria la volontà del creditore o del debitore, qui invece il pagamento non produce
l'estinzione dell'obbligazione ex art. 1180 c.c. ma la surrogazione automatica, ope legis, di chi a
pagato nella posizione di creditore; si tratta di ipotesi eccezionali, proprio perché derogano alla
regola dell'art. 1180.
Analizziamo l'esempio fatto;
poniamo che c'è un creditore ipotecario, e un altro creditore (anche chirografario) dello stesso
debitore;
il creditore ipotecario è preferito sia rispetto ai creditori chirografari, sia rispetto agli altri creditori
ipotecari sullo stesso bene, ma di grado successivo al suo;
poniamo allora che un creditore chirografario, sapendo che difficilmente sarà pagato perché c'è un
creditore ipotecario prima di lui, vada da questo e gli dica:
" Salve Sempronio! Io sono Mevio, il creditore di Tizio, come lo sei tu, che però sei garantito da
ipoteca; Tizio ti deve 1.000, ecco i 1.000!"
Ciò fatto, Mevio assumerà la stessa posizione di Sempronio per effetto di legge; ovviamente
abbiamo semplificato l'ipotesi, perché il tutto deve coordinarsi con la specifica disciplina
dell'ipoteca, ma il principio è quello indicato nell'esempio.
Delegazione attiva.
La legge prevede la sola delegazione attiva che incide sul lato passivo del rapporto, ma ciò non toglie
che possa svilupparsi anche dal lato attivo del rapporto. In tal caso l'iniziativa della delega è presa
dal creditore (delegante) che conferisce l'incarico al debitore (delegato) di conferire il credito ad un
terzo (delegatario). Il debitore conseguendo il credito verso il delegatario è sciolto dal vincolo
obbligatorio con il creditore. Il creditore non cede il diritto ad un terzo, ma conferisce l'incarico al
debitore di conseguirlo al terzo stesso. Il terzo non si qualifica come cessionario in quanto non
acquista il credito ma ne consegue ugualmente l'oggetto della obbligazione. La delegazione attiva è
molto frequente nei casi in cui il creditore sia a sua volta debitore di un terzo.
Delegazione passiva.
Si è visto come nella delegazione attiva l'iniziativa della delega è presa dal creditore. Nella
delegazione passiva l'iniziativa è presa dal debitore. In particolare il debitore (delegante) conferisce
l'incarico ad un terzo (delegato) di adempire o di promettere di adempire all'obbligazione nei
confronti del creditore (delegatario). Se l'obbligazione è di adempire allora si tratta di delegazione di
pagamento con cui il terzo, attraverso una sua prestazione economica e nei confronti del creditore,
libera il debitore originario. Se l'incarico è di promettere di adempire il terzo si aggiunge nella
posizione debitoria accanto al debitore originario o in sostituzione dello stesso.
a) Quanto alla funzione la delegazione passiva realizza scopi diversi. Spesso è rivolta alla
concentrazione delle prestazioni. Esempio se Tizio è debitore verso Caio ma creditore verso
Sempronio, è sufficiente che Sempronio adempia nei confronti di Caio per estinguere entrambi i
rapporti. Talvolta la delegazione è accompagnata da una concessione di un mutuo del terzo al
debitore. Esempio non essendo il debitore in grado di adempiere, può incaricare un terzo di pagare
il creditore anticipando i fondi necessari. Può avvenire che il terzo esegua l'ordine di pagamenti a
titolo gratuito.
b) Per quanto riguarda la struttura della delegazione passiva bisogna analizzare le modalità di
coinvolgimento del terzo. Alla base della delegazione vi è un mandato delegatorio del debitore al
terzo con il quale il delegante conferisce l'incarico al delegato di assumere il debito o il pagamento
nei confronti del creditore.
A seconda dell'oggetto del mandato distinguiamo due tipi di delegazione: di pagamento e di debito.
• La delegazione di pagamento è il modello più semplice con cui il debitore conferisce
l'incarico ad un terzo di assumere il pagamento dell'obbligazione nei confronti del creditore
estinguendo l'obbligazione verso il debitore originario. Non si ha successione nel debito. Si
pensi all'assegno bancario con cui un cliente ordina alla banca di pagare una determinata
somma ad un beneficiario. Sebbene il debitore abbia delegato il terzo al pagamento
dell'obbligazione in sostituzione sua, il debitore originario può a sua volta obbligarsi verso il
terzo se questo ne fa espressa dichiarazione. Il terzo non è tenuto ad accettare l'incarico di
pagamento al creditore anche se è debitore del delegante. Non obbligandosi verso il terzo il
creditore non ha alcun titolo per agire nei suoi confronti.
• La delegazione di debito ha invece un meccanismo più complesso. Innanzitutto vi è un
incarico da parte del debitore originario verso il terzo di promettere di adempire al
pagamento verso il creditore. Sono necessari due negozi. Un negozio di assunzione del
debito da parte del terzo nei confronti del creditore e un negozio di assegnazione del nuovo
debitore. L'esito della delegazione di debito è l'assunzione del debito da parte del terzo
verso il creditore. Il debitore originario non è liberato dalla obbligazione se il creditore non lo
dichiara espressamente. Con la liberazione del debitore originario si realizza l'assunzione
liberatoria che va a sostituire il debitore originario con il terzo nel medesimo rapporto. Il
creditore che ha liberato il debitore originario non ha più azione contro lui se il terzo diviene
insolvente. Tuttavia se il terzo era insolvente al momento in cui assunse il debito nei
confronti del debitore originario, il debitore originario non è liberato dalla obbligazione. Se il
debitore originario non dichiara al creditore di assegnargli un terzo che assolva al debito per
suo conto, e il terzo non rivela al creditore di agire per conto del debitore originario si ricorre
alla figura dell'espromissione.
Quanto alla estinzione della delegazione, sia in caso di delegazione di pagamento sia nel caso di
delegazione di debito, il debitore originario può revocare la delegazione, fino a quando il terzo non
abbia adempiuto o assunto l'obbligazione nei confronti del creditore. Il terzo può adempire o
assumere il debito verso il creditore anche dopo la morte del debitore originario o in caso di
incapacità del debitore originario.
Espromissione.
L'espromissione è un contratto tra terzo e creditore. Il terzo assume nei confronti del creditore il
debito dell'debitore originario senza ordine del debitore oppure laddove esista la delega del
debitore originario, il creditore non ne venga a conoscenza. Il terzo che assume il debito nei
confronti del creditore in nome del debitore originario è obbligato in solido col debitore originario
se il creditore non dichiara espressamente di liberarlo. Un esempio di espromissione può essere
l'azione compiuta dal genitore per conseguire il pagamento dell'obbligazione assunta dal figlio nei
confronti del creditore.
Anche l'espromissione fa in modo che il terzo si affianchi al debitore originario nella posizione
obbligatoria dando luogo all'assunzione comulativa, ma a sua volta l'espromissione puo essere
anche liberatoria con la conseguente liberazione del debitore originario nei confronti del creditore.
Per quanto riguarda le eccezioni, in mancanza di una delegazione da parte del debitore originario, si
esclude che possano essere opposte al creditore.
Accollo.
L'accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo assume nei confronti del creditore il
debito del debitore originario. In tale rapporto il creditore si trova in una posizione esterna. L'accollo
può derivare da varie giustificazioni, ad esempio il terzo può decidere di assumere il debito altrui
per estinguere il suo debito verso il debitore, o per compiere in suo favore un'operazione di
finanziamento o anche solo per spirito di liberalità. L'accollo può essere interno ed esterno.
• L'accollo interno non è regolato dal codice civile ma presenta una sua elaborazione dalla
giurisprudenza e dalla dottrina. Si svolge tra il terzo e il debitore rimanendo estraneo dal
rapporto di accollo il creditore. Il terzo assume nei confronti del debitore l'obbligo di tenerlo
indenne dal peso del debito. Terzo e debitore possono modificare in ogni momento
convenzione di accollo senza l'intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza
dell'obbligo il terzo risponde dell'inadempimento verso il debitore originario e non verso il
creditore.
• L'accollo esterno è l'unico previsto dalla legge e rappresenta la figura più complessa di
questa fattispecie. Quando il creditore aderisce alla convenzione. Rendendo il revocabile e
immodificabili la stipulazione a suo favore. In questo modo, a differenza dell’accollo interno,
risponde dell’inadempimento anche l’accollante e non solo l’accollato.
La convenzione di accollo oltre che interessare debitore e terzo, interessa anche al creditore che
può aderire alla convenzione stipulata. Come ogni altra assunzione del debito altrui l'accollo può
essere cumulativo o liberatorio. Nel caso di accollo liberatorio si prevede nella convenzione la
liberazione dall'obbligazione del debitore originario da parte del creditore. In ogni caso il creditore,
in assenza della dichiarazione di liberazione, può liberare il debitore originario per dichiarazione
espressa. Il creditore che ha aderito all’accollo liberatorio non ha azione contro il debitore originario
in caso di insolvenza del terzo. Se però l'accollante era già insolvente al tempo in cui assunse il
debito, il debitore originario non sarà liberato dall'obbligazione. Quanto alle eccezioni si è visto che
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il creditore aderisce al contratto di accollo e perciò si adegua a tutte le eccezioni che vi inseriscono
debitore e terzo. Perciò il terzo può opporre al creditore tutte le eccezioni previste nella
convenzione di accollo ed anche in assenza di una espressa previsione di eccezioni, il terzo può far
valere nei confronti del debitore le eccezioni relative al rapporto tra debitore originario e creditore.
C) Modificazioni oggettive.
La modificazione oggettiva ha riguardo ad una modificazione del contenuto o dell’oggetto della
medesima obbligazione. Le modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione non importano estinzione
della stessa.
Surrogazione reale.
Un fenomeno di surrogazione reale si ha in conseguenza della impossibilità sopravvenuta della
prestazione dovuta. Il creditore divenuta impossibile, subentra nei diritti spettanti al debitore in
dipendenza del fatto che ha causato l'impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di
quanto questi abbia conseguito a titolo di risarcimento danni.
CAPITOLO 3
ESTINZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.
Per quanto riguarda le cause estintive dell'obbligazione bisogna distinguere cause generali da cause
specifiche. Nelle cause generali rientra la prescrizione e la morte del titolare di situazioni
indisponibili. Per quanto riguarda la prescrizione, ogni diritto disponibile si estingue per prescrizione
se il titolare non lo esercita nei tempi previsti dalla legge. Per quanto riguarda la seconda ipotesi,
con la morte del soggetto si estinguono le obbligazioni soggettivamente infungibili o ritenute tali
dalle parti. Per quanto riguarda le cause specifiche bisogna proporre una divisione tra modi di
estinzione satisfattivi e modi di estinzione non satisfattivi.
• Sono modi di estinzione satisfattivi quelli che determinano la estinzione dell'obbligazione
con la realizzazione dell'interesse del creditore.
• Sono modi di estinzione non satisfattivi le cause di estinzione dell'obbligazione senza
soddisfacimento dell'interesse del creditore. Rilevano in tal modo: la novazione, la
remissione in debito e l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non
imputabile al debitore.
Adempimento.
L'adempimento è atto dovuto dal debitore. Rappresenta il normale modo di attuazione del rapporto
obbligatorio in quanto realizza il diritto del creditore mediante l'esecuzione della prestazione da
parte del debitore facendo conseguire al creditore il bene oggetto dell'obbligazione. In tal modo
l'adempimento rappresenta una vicenda satisfattiva. Il debitore che ha eseguito la prestazione non
può impugnare l'adempimento per incapacità proprio perché è tenuto comunque a procurare il
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bene al debitore. L'adempimento può essere compiuto personalmente dal debitore o mediante un
mandatario o altro soggetto legittimato all'adempimento. Principio generale è che il debitore
risponde dei mandatari circa le cause di adempimento dell'obbligazione. Esistono poi soggetti
legittimati dalla legge all'adempimento esempio è il rappresentante legale del soggetto incapace
oppure l'organo giudiziario. Le spese dell'adempimento sono a carico del debitore. Il debitore che
ha adempiuto ha diritto alla quietanza ossia un documento formale che attesta l'avvenuto
pagamento del bene oggetto dell'obbligazione.
prestazione solo nel termine stabilito. In ogni caso il debitore decade dal termine in suo
favore e il creditore può conseguire immediatamente l'oggetto della obbligazione se il
debitore è divenuto insolvente, ha diminuito le garanzie o non le ha di fatto più prestate.
• Per quanto riguarda il bene dovuto innanzitutto la prestazione deve essere integrale nel
senso che il debitore è tenuto a procurare per intero il bene dovuto. Il creditore può anche
rifiutare l'adempimento parziale salvo che la legge disponga diversamente. Se però la
prestazione è divenuta parzialmente impossibile, il debitore si libera dalla obbligazione
eseguendo la parte che è rimasta possibile. Se l'adempimento ha ad oggetto cose
determinate solo nel genere, il debitore non può prestare cose inferiore alla media.
L'obbligazione di consegnare include anche poi l'obbligo di custodirla. Così in tema di
vendita il venditore che vende un oggetto al momento della consegna, la cosa deve trovarsi
nello stesso stato in cui si trovava al momento della vendita.
• Imputazione del pagamento. Quando un soggetto ha più debiti nei confronti della stessa
persona è importante stabilire a quale prestazione ha oggetto l'adempimento
dell'obbligazione per eliminare le relative incertezze. Il debitore può dichiarare in tal modo
quando paga, quale debito intende soddisfare al fine di liberarsi dalle specifiche obbligazioni.
In assenza di imputazione del debitore, opera la imputazione del creditore, se compiuta nella
quietanza e questa è accettata dal debitore. Mentre in assenza di imputazioni sia del debitore del
creditore, opera la imputazione legale (articolo 1193), secondo la quale il pagamento deve essere
imputato prima e debiti scaduti, tre debiti scaduti quello meno garantito, tra i debiti ugualmente
garantiti, il più oneroso, e tra I più onerosi, il più antico.
• Destinatario dell'adempimento. L'adempimento deve essere fatto al creditore o al suo
rappresentate ovvero la persona da lui incaricata alla riscossione del debito. Tale soggetto
non è titolare del diritto e quindi non può esercitarlo ma è solo legittimato a riceverlo. Circa
le persone incaricate dal creditore per riscuotere l'obbligazione bisogna comunque parlare di
una conseguente comunicazione del creditore al debitore per renderlo a conoscenza del
soggetto a cui conseguire l'obbligazione. Per quanto riguarda i soggetti autorizzati dalla legge
rilevano il rappresentate legale dell'incapace, l'ufficiale giudiziario, il curatore fallimentare
ecc. L'adempimento del soggetto non legittimato non libera dalla obbligazione il debitore di
fatto costretto ad eseguire nuovamente la prestazione dovuta. L'adempimento compiuto nei
confronti del creditore incapace non libera il debitore se questo non prova che il creditore ne
abbia tratto un vantaggio. Diverso risulta l'adempimento al creditore apparente. L'apparenza
è causa di liberazione del debitore per aver suscitato nello stesso un ragionevole
affidamento che il ricevente fosse il vero creditore ovvero legittimato a riceverlo. Il debitore
quindi che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo è liberato se prova di
essere stato in buona fede.
prodotto da un terzo. La legge tuttavia prevede un potere di rifiuto dal creditore ammesso in due
ipotesi. Quanto il creditore ha interesse che il debitore consegui all'adempimento dell'obbligazione
personalmente oppure quando il debitore si opponga all'adempimento del terzo, il creditore deve
rifiutare che il terzo adempia.
Dazione in pagamento.
Di particolare importanza risulta la dazione in pagamento secondo cui il debitore non può liberarsi
dalla obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta anche se di valore uguale o
maggiore senza che il creditore lo consenta. Con la dazione in pagamento si realizza l'interesse del
creditore ma con la sostituzione del bene originario oggetto della precedente obbligazione. In tal
modo la dazione in pagamento si distingue dalla novazione. Ai fini della realizzazione dell'interesse
del creditore rileva la volontà dello stesso di conseguire un bene diverso da quello originario. In tal
modo l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Se la dazione consiste nel
trasferimento della proprietà o di altro diritto reale il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e
per vizi secondo le norme della vendita salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione
originaria e il risarcimento del danno. Se la dazione consiste nella cessione del diritto di credito
l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito ceduto. Il cedente deve garantire la solvenza
del debitore. Quando la dazione in pagamento non ha prodotto l'effetto sperato è possibile far
valere il diritto di credito originario con le garanzie prestate dal debitore.
L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del creditore; si tratta
di una situazione atipica in cui creditore, invece di ottenere quanto gli è dovuto, rifiuta o ostacola
l'adempimento del debitore.
Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella realtà, in quanto
il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione di supremazia nei confronti della
persona del debitore, supremazia che appunto gli deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista terminologico,
alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è obbligato ma solo
onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato ad adempiere; tuttavia il
comportamento del creditore può causare difficoltà e danni al debitore che per questo motivo deve
avere il modo di liberarsi dall'obbligazione anche quando il creditore non voglia.
Vediamo schematicamente le varie fasi che portano alla liberazione del debitore;
• 1. il debitore offre di eseguire la sua prestazione nei termini stabiliti, ma il creditore la rifiuta
senza alcun motivo legittimo (offerta non formale art. 1220 c.c.)
• 2. di fronte al rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, il debitore ricorre ad un'offerta
fatta secondo le modalità dell'articolo 1208 c.c. detta " offerta solenne ". L'offerta solenne ha
caratteristiche diverse secondo il tipo di prestazione: a) è reale se l'obbligazione ha per
oggetto: denaro, titoli di credito, oppure cose mobili da consegnare al domicilio creditore; b)
se si tratta di cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore l'offerta
consiste dell'intimazione a riceverle (offerta per intimazione); c) se deve essere consegnato
un immobile l'offerta consiste dell'intimazione al creditore di prenderne possesso (art. 1216
c.c.); d) se la prestazione consiste in un fare il creditore è costituito in mora mediante
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intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti necessari affinché questa possa
svolgersi (art. 1217 c.c.)
• 3. eseguita correttamente offerta solenne e rifiutata dal creditore, quest'ultimo è
considerato a tutti gli effetti in mora con le conseguenze stabilite dall'articolo 1207 c.c.
• 4. per liberarsi definitivamente dall'obbligazione il debitore, di fronte al perdurare del rifiuto
del creditore a ricevere la prestazione, dovrà depositare le cose dovute (art. 1210 c.c.)
secondo le modalità indicate dall'articolo 1212 c.c. ; solo quando il creditore accetta il
deposito, oppure, in caso di rifiuto, quando passa in giudicato la sentenza con la quale viene
ritenuto valido il deposito, il debitore sarà completamente liberato dall'obbligazione
Il debitore che vuole evitare le conseguenze che derivano dall'inadempimento è quindi costretto ad
offrire la sua prestazione con un'offerta solenne.
Eseguita l'offerta solenne si produrranno gli effetti della mora del creditore, effetti che sono
schematizzati qui sotto:
• il creditore subisce il rischio derivante dall'impossibilità sopravvenuta dalla prestazione per
causa non imputabile al debitore;
• il debitore non deve più corrispondere gli interessi o i frutti della cosa;
• il creditore è tenuto a risarcire il debitore degli eventuali danni derivanti dalla mora e a
rimborsarlo delle spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Compensazione.
La compensazione si verifica quando due persone sono obbligate una verso l'altra per debiti e
crediti reciproci; in questo caso i reciproci debiti e crediti si estinguono per le quantità
corrispondenti.
La compensazione per operare ha bisogno di alcuni presupposti; non basta, infatti, che vi siano dei
semplici reciproci rapporti di debito e credito tra le parti, ma è anche necessario che tali rapporti
rappresentino crediti omogenei, liquidi ed esigibili.
A queste condizioni la compensazione opera automaticamente, senza che le parti debbano fare
altro e, per questo motivo, è detta compensazione legale.
Il nostro codice, però, conosce altri due tipi di compensazione, la compensazione giudiziale e la
volontaria.
Vediamo nella sottostante tabella i tre tipi di compensazione e le condizioni alle quali possono
operare.
• compensazione legale (art. 1243 c.c.) opera automaticamente fin dal momento della
coesistenza di reciproci rapporti di debito e credito quando questi siano:
omogenei: devono avere lo stesso oggetto, come due crediti di denaro o di cose fungibili;
liquidi: quando sono esattamente determinati del loro ammontare;
esigibili: quando non sono sottoposti né a termine ne è condizione;
• compensazione giudiziale (art. 1243 c.c. comma 2) si verifica quando il debito opposto in
compensazione non è liquido, cioè non è esattamente determinato, ma è di facile è pronta
soluzione. In questo caso il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito
che riconosce esistente.
• compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) anche quando i debiti i crediti reciproci non
presentino le caratteristiche di omogeneità, liquidità e esigibilità, possono essere comunque
compensati in base all'accordo delle parti.
L'articolo 1246 del codice civile indica i casi in cui la compensazione non si verifica, nonostante
l'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge. In particolare si vieta la compensazione per i
crediti per cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato, per la restituzione di cose depositate
o date in comodato, per crediti dichiarati impignorabili, per rinunzia alla compensazione e negli altri
casi in cui il divieto è stabilito dalla legge come nell'ipotesi in cui il credito abbia natura alimentare.
Confusione.
La confusione ha luogo quando la qualità di creditore e debitore si riuniscono nella stessa persona.
Ad esempio un soggetto che è creditore verso un altro soggetto ma poi successivamente diventa
suo erede oppure un imprenditore che è creditore verso altro imprenditore, acquista la sua azienda.
In entrambe le ipotesi lo stesso soggetto assume la qualifica di debitore e di creditore. La riunione
nella stessa persona del creditore ed del debitore porta all'estinzione dell'obbligazione per
confusione.
Novazione.
Con la novazione il rapporto obbligatorio originario viene sostituito con un nuovo rapporto. La
novazione può inerire all'oggetto o al titolo oppure ai soggetti.
La novazione oggettiva è l'unico tipo di novazione regolato dalla legge. Con la novazione oggettiva si
ha la sostituzione dell'obbligazione originaria con una nuova obbligazione che può avere oggetto o
titolo diverso. La novazione si atteggia come contratto consensuale poiché il consenso del creditore
risulta fondamentale ai fini della costituzione della novazione. La novazione si distingue in tal modo
dalla dazione in pagamento proprio perché nel caso della dazione il creditore, nonostante muti
l'oggetto della obbligazione viene soddisfatto del suo credito, nella novazione non vi è comunque
soddisfacimento per il creditore.
Ci riferiamo alla novazione soggettiva passiva che si ha quando, restando immutati gli altri elementi
del rapporto, ne mutano i soggetti. Avremo, quindi, novazione soggettiva attiva se vi sarà
mutamento della persona del creditore, mentre avremo novazione soggettiva passiva quando vi
sarà mutamento della persona del debitore
Anche la novazione soggettiva, al pari di quella oggettiva, produce l'estinzione del vecchio rapporto
obbligatorio con la conseguenza che il vecchio debitore sarà completamente liberato dalla sua
obbligazione mentre unico soggetto obbligato sarà il nuovo debitore.
Come si vede dalla nozione, con la remissione del debito si provoca l'estinzione dell'obbligazione in
base alla dichiarazione unilaterale espressa dal creditore. Per questo motivo la dottrina prevalente
ritiene la remissione del debito negozio unilaterale recettizio, e non contratto; tuttavia il debitore
può far venir meno di effetti della remissione con efficacia retroattiva, comunicando in un congruo
termine di non volerne profittare.
Come si vede dalla nozione, l'estinzione dell'obbligazione si verifica solo quando l'impossibilità non
può essere causalmente ricollegata al debitore; se, invece, impossibilità della prestazione fosse da
attribuire al debitore, non vi sarebbe estinzione dell'obbligazione e il creditore potrebbe far valere il
suo diritto come risarcimento del danno.
Per ottenere, quindi, estinzione dell'obbligazione con conseguente esonero della responsabilità,
l'impossibilità di esecuzione della prestazione deve avere caratteristiche ben precise indicate negli
articoli 1256 e seguenti.
• non imputabile al debitore: il debitore non deve aver causato con il suo comportamento
impossibilità della prestazione, ad esempio provocando la distruzione del bene a
consegnare. L'impossibilità quindi, deve derivare da caso fortuito o da forza maggiore
• definitiva: l'impossibilità deve essere di natura tale da non consentire in alcun modo
l'adempimento.
Si distinguono quindi:
• impossibilità oggettiva, che fa riferimento alla prestazione in sé tale che nessun debitore
potrebbe eseguirla;
• impossibilità soggettiva, che attiene alla persona del debitore che non è in grado,
fisicamente o economicamente, di eseguirla mentre potrebbe essere eseguita da altri.
Di conseguenza se il debitore, nonostante l'uso della adeguata diligenza, non avrà adempiuto
l'obbligazione, non sarà responsabile per l'inadempimento, e non potendo il creditore richiedere
l'esecuzione della prestazione, si avrà comunque estinzione dell'obbligazione.
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Inadempimento dell'obbligazione
comunque non vantaggiosa perché il costo di trasporto risulta essere maggiore rispetto al prezzo
della marce. Quindi si potrebbe ritenere il venditore libero dalla prestazione nei confronti del
compratore.
caso fortuito (distruzione o perimento) o forza maggiore cui non è possibile sottrarsi (divieto
della pubblica autorità di commercio di un determinato bene)
• Esistono ancora altre ipotesi di responsabilità oggettiva dove il debitore risponde della
mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta indipendentemente dalla diligenza,
causa fortuita, o causa di forza maggiore. Si collega alla figura di responsabilità oggettiva la
responsabilità per fatto degli ausiliari. Il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si
avvale di terzi risponde nei loro confronti anche dei danni colposi o dolosi.
• Ulteriore figura di responsabilità è quella per danno derivante da prodotto difettoso. Il
produttore è responsabile del danno cagionato dal difetto suo prodotto. Tale responsabilità
si estende anche al fornitore che abbia distribuito il prodotto se abbia omesso di comunicare
al danneggiato nei tre mesi dalla richiesta l'identità e il domicilio del produttore.
c) Sono nulle le clausole di esonero o limitazione della responsabilità del debitore per dolo o
colpa grave, le clausole di esonero da responsabilità sono valide invece per colpa ordinaria,
sono invece sempre nulle le clausole di esonero di responsabilità per fatti del debitore o dei
suoi ausiliari che fanno riferimento alla violazione di obblighi derivanti da norme di ordine
pubblico.
d) Altro delicato problema è quello dell'onere della prova tra debitore e creditore. Per l'art.
1218 il debitore è responsabile se non prova che l'inadempimento o l'inesatto adempimento
è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile. Opera perciò il principio dell'inversione dell'onere della prova per cui non è il
creditore a dover provare l'inadempimento ma è il debitore a dover provare l'assenza di
responsabilità. Il creditore invece ha solo l'onore di provare la fonte del suo diritto di credito
ed il relativo termine di scadenza. Diverso è il regime della prova nella responsabilità
extracontrattuale dove è il soggetto danneggiato a dover provare la responsabilità
dell'autore del danno.
e) Riguardo il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità è fissato in 10 anni
decorrenti dal giorno dell'esigibilità del credito. Il termine di prescrizione del diritto al
risarcimento del danno è fissato in 5 anni dal giorno in cui si è verificato l'illecito salvo
termini ancora più brevi.
L'adempimento coattivo.
Il creditore può soddisfare coattivamente l’interesse perseguito col rapporto obbligatorio,
permettendo di conseguire attraverso gli apparati giudiziari il bene dedotto in obbligazione non
procurato dal debitore: cd. adempimento coattivo che consente al creditore la realizzazione coattiva
del credito. Per realizzare tale risultato opera lo strumento della esecuzione forzata nelle due specie
della esecuzione in forma specifica e della esecuzione per espropriazione.
• Esecuzione in forma specifica: il creditore consegue il medesimo bene oggetto
dell’obbligazione; il c.c. prevede più procedure in tale direzione, con le quali il creditore,
attraverso il processo, consegue coattivamente il bene dovuto dal debitore.
• Esecuzione forzata per espropriazione: impiegata per il conseguimento di somme di danaro,
il creditore, attraverso l’aggressione del patrimonio del debitore, consegue il bene dovuto
dal debitore: la normale fungibilità del danaro consente la realizzazione coattiva del credito
attraverso la vendita forzata e quindi la conversione in danaro dei beni assoggettati ad
esecuzione presenti nel patrimonio del debitore.
In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore ad un’azione
giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il medesimo bene dedotto in
obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento che obbliga il debitore al risarcimento del
danno.
Il risarcimento del danno si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta,
esegue con ritardo la prestazione oggetto della obbligazione. L'inadempimento provoca quindi una
responsabilità del debitore per i danni subiti al creditore e per questo si dà luogo al risarcimento del
danno. Vediamo ora quando il creditore può chiedere il risarcimento del danno e in che misura.
a) Nesso di causalità: anzitutto deve sussistere un nesso di causalità tra il fatto
dell’inadempimento o del ritardo e la conseguenza dannosa, nel senso sono valutabili solo
quei danni che immediatamente sono riconducibile al comportamento imputabile del
debitore.
Il diritto al risarcimento del danno e dunque legato, non solo esistenza di un danno, ma
anche alla prova della derivazione del danno del mento del debitore. Tale ricerca implica di
valutare la catena causale degli eventi che si susseguono attraverso una ricostruzione del
nesso Ezio logico degli stessi a partire dal danno, per verificare gradualmente fino a quale
causa e dunque fino a quale evento e a quale soggetto è possibile condurre la
determinazione del danno.
b) Riparazione integrale del danno. L’entità del danno e differente a seconda che si
accompagni con la realizzazione coattiva del credito o meno: nella prima ipotesi, il
risarcimento è aggiuntivo all’adempimento coattivo. Nella seconda ipotesi, il risarcimento
sostitutivo della gentilmente e quindi deve reintegrare il creditore del mancato
conseguimento del bene avuto, e poi ristorarlo dei ulteriori danni subiti.
È risarcito l’interesse positivo del creditore all’adempimento. Il risarcimento deve coprire
integrare il ristoro del danno sofferto dal creditore per l’inadempimento, per l’articolo 1223
risarcimento del danno per il inadempimento o per il ritardo deve comprendere: la perdita
subita dal creditore (cd danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante). Se il
danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con una
valutazione equitativa.
L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto, in quanto gli effetti sono previsti
dall’ordinamento, ed è atto recettizio.
Per l’articolo 1219 la costituzione in mora e necessaria, e perciò la caduta in mora e automatica,
nelle seguenti tre ipotesi:
1. il debito deriva da fatto illecito; in questo caso il debitore è in mora dal momento in cui si è
verificato il fatto illecito
2. il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere
3. quando è scaduto il termine e la prestazione doveva essere eseguita presso il domicilio del
creditore
La responsabilità patrimoniale del debitore è regolata dal codice civile da due principi fondamentali
con le apposte eccezioni. A tali due principi se ne è aggiunto poi un terzo. Si parla in tal modo della
responsabilità patrimoniale illimitata con le relative eccezioni previste dalla legge, alla parità di
trattamento dei creditore esclusivi quelli che presentano cause legittime di prelazione e infine si
parla del divieto del patto commissorio.
• Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale illimitata del debitore, salve le eccezioni
previste dalla legge abbiamo già visto che l'art. 2740 afferma che il debitore risponde
dell'adempimento delle obbligazioni da lui assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri.
L'interesse dei beni presenti e futuri rappresentano una importante garanzia del creditore.
Nel corso del rapporto il creditore ha diritto all'integrazione di garanzie laddove queste
vengano diminuite o non più prestate dal debitore. Il comma 2 dell'art. 2740 ammette poi
che le limitazioni di responsabilità nei soli casi previsti dalla legge. Limitazioni di
responsabilità sono dunque eccezionali e tassative. Sarà l'ordinamento stesso a valutare
l'opportunità di introdurre figure limitative della responsabilità in base alla valutazione della
natura del credito, qualità dei beneficiari, natura e destinazione dei beni esclusi dalla
esecuzione. Le limitazioni di responsabilità comportano un vincolo di indisponibilità che
esclude i beni dalla espropriazione. Ne sono esempi i vari patrimoni separati e destinati.
Esempi sono il fondo patrimoniale, l'usufrutto legale, fondi speciali per l'assistenza e la
previdenza, i patrimoni destinati dalle s.p.a ad uno specifico affare. Un'ampia categoria è poi
rivolta ai cosiddetti atti di disposizione in cui rientra anche il trust. Vediamo che solo il
patrimonio destinato risponde dei debiti assunti in funzione alla realizzazione della
destinazione e su tale patrimonio possono rivalersi i creditori.
• Parità di trattamento dei creditori salvo cause legittime di prelazione. In tal caso i creditori
hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve cause legittime di
prelazione. È la regola della cosiddetta par condito creditorum per il quale dallo stesso
patrimonio devono essere soddisfatti tutti i creditori in maniera paritaria, per intero se il
patrimonio è sufficientemente capiente, in modo proporzionale se non lo è. Una porzione di
vantaggio invece assumono i creditori soggetti a cause legittime di prelazione. Rientrano in
tale categoria, pegni, ipoteche e privilegi. Le cause legittime di prelazione rappresentano una
garanzia specifica rendendo a tali creditori una posizione di vantaggio nella riscossione del
credito rispetto ai creditori chirografi. Si distinguono in tal modo due garanzie. Una generica
che ha come oggetto la totalità del patrimonio e garanzie specifiche che ha come oggetto
specifici beni. Tutti i creditori sono dotati di garanzie generiche solo alcuni di garanzie
specifiche.
• Divieto del patto commissorio. È un istituto che solo di recente si è evoluto a principio
generale di responsabilità patrimoniale. È nullo ogni patto con il quale si conviene che in
mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o
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data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo sia che la costituzione del pegno o
dell'ipoteca sia stata fatta anteriormente o posteriormente. Tale previsione non permette al
creditore di ottenere il possesso del bene se non successivamente ad una sentenza di
espropriazione del bene oggetto di pegno o ipoteca. Viene assicurato che il bene del
debitore venga valutato in maniera corretta cosicché con la rimanenza della liquidazione del
bene possano essere soddisfatti anche i creditore chirografari. È poi possibile anche che le
parti convengano ad accordarsi ad un diverso oggetto rispetto l'obbligazione originaria ma
comunque di interesse del creditore aprendosi così la dazione in pagamento.
Un'applicazione del divieto del patto commissorio è operata dalla legge in tema di anticresi.
Ma sono varie le ipotesi in cui si spinge ad aggirare tale previsione con la costituzione di
negozi o contratti che la giurisprudenza ha dichiarato nulli per illiceità della causa concreta.
Risulta invece essere valido il cosiddetto patto marciano in virtù del quale il bene oggetto di
pegno o ipoteca dato in garanzia, può essere acquistato dal creditore che è tenuto al
pagamento della somma del bene valutato da un terzo.
Espropriazione forzata.
Di regola con una sola sentenza viene accertato l'inadempimento del debitore ed emessa così la
condanna del debitore al pagamento di una somma di danaro al creditore in sostituzione
dell'obbligazione originaria inadempiuta con l'aggiunta dei relativi danni. La sentenza diviene quindi
il titolo esecutivo che consente al creditore di promuovere l'azione esecutiva di espropriazione
forzata dei beni del debitore. Il procedimento è regolato dall'art. 483 del codice di procedura civile.
Tale procedimento prende forma inizialmente con il pignoramento del bene. Tale pignoramento
interessa frutti del bene, pertinenze ed accessori. Tuttavia non tutti i beni sono soggetti a
pignoramento. Ne sono esclusi quelli destinati al culto, alla sfera esistenziale del soggetto e gli
strumenti professionali. Quando il valore dei beni pignorati è superiore al valore del credito il
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giudice può disporre una riduzione del pignoramento. Se l'esecuzione non perviene ad esaurimento
perché il debitore ad esempio ha pagato il suo debito, gli atti di alienazione dei beni pignorati
rimangono efficaci nei confronti dei terzi. In ogni caso sono salvi gli effetti del possesso di buona
fede da parte del terzo per i beni mobili non registrati mentre per i beni immobili e mobili registrati
è decisiva la trascrizione del pignoramento. L'atto di pignoramento va trascritto nei registri
immobiliari. La trascrizione ha effetto per 20 anni, l'effetto cessa ipso jure se la trascrizione non
viene rinnovata prima della scadenza del termine. Successiva al pignoramento è la vendita forzata
del bene per conseguire una successiva liquidità che andrà a soddisfare per legge prima i creditori
che vantano una causa legittima di prelazione e successivamente i creditori chirografari secondo la
regola della par conditio.
La riforma del 2006 ha avuto come scopo primario quello di salvataggio dell’impresa in crisi e di
riabilitazione del fallito per la ricchezza che è ancora suscettibile di produrre in favore dei creditori e
dell’economia in genere e per i posti di lavoro che è ancora in grado di assicurare.
b) una particolare forma di procedura collettiva è la liquidazione coatta amministrativa, per
particolari tipi di impresa. In ragione della natura degli interessi coinvolti la procedura, diversa dal
fallimento, opera, non solo in ipotesi di crisi economica, ma anche per irregolarità di gestione.
c) L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza, fino alla data di dichiarazione di fallimento,
ricorrendo determinati presupposti, può proporre ai creditori un concordato preventivo. Se il
tribunale riconosce ammissibile la proposta, delega un giudice alla procedura e nomina il
commissario giudiziale che vigila sull’amministrazione dei beni da parte del debitore durante la
procedura.
Azione surrogatoria.
Tale azione si rivolge verso il debitore inerte nella cura del patrimonio. Il debitore carico di debiti
potrebbe non trovare più interessi nel riscuotere i crediti di terzi poiché è consapevole che eventuali
accrescimenti del patrimonio, ma anche la stessa conservazione, sarebbero solo di vantaggio al
creditore. In tal modo il creditore per evitare che il patrimonio vada a deperirsi e per assicurare le
eventuali garanzie sul patrimonio del debitore, si sostituisce ad esso per conseguire i debiti verso i
terzi. Affinché si realizzi la procedura dell'azione surrogatoria è necessario:
• L'inerzia del debitore nel conseguire i crediti verso i terzi costituendo un pregiudizio verso il
creditore
• Il creditore che si sostituisce al debitore può esercitare nei confronti di terzi solo azioni e
diritti di contenuto patrimoniale e non azioni e diritti che per loro natura debbano essere
esercitati esclusivamente dal debitore.
• Deve sussistere un pregiudizio che susciti nel creditore pericolo per il deperimento del
patrimonio del debitore.
Il risultato dell'azione surrogatoria avvantaggia tutti i creditori e non solo quello che abbia agito.
Azione revocatoria.
Tale azione si rivolge verso il debitore malizioso che depaupera il patrimonio. È una pratica molto
diffusa che il debitore tenda a sottrarre intenzionalmente beni al suo patrimonio per evitare
l'aggressione dei creditori simulando una alienazione o compiendo effettivamente una alienazione
di singoli beni a terzi pur di ricavarne qualcosa. L'azione revocatoria quindi a differenza dell'azione
surrogatoria interessa un soggetto attivo che appunto intenzionalmente vuole ridurre il suo
patrimonio. L'azione revocatoria è un atto che impedisce tale pratica. Non è necessario che il credito
sia attuale e liquido ma è sufficiente che esista. Per realizzarsi l'azione revocatoria deve avere due
presupposti ossia un presupposto oggettivo e soggettivo.
• Presupposto oggettivo deve esistere innanzitutto un atto di disposizione del debitore che
rechi pregiudizio alla garanzia patrimoniale del creditore. Tale atto può essere un negozio
traslativo come per esempio vendita, donazione, ecc. La costituzione di un diritto reale di
godimento a favore di terzi ossia la costituzione di un diritto di usufrutto, la costituzione di
garanzie come pegno o ipoteca. È considerato pregiudizievole anche qualsiasi atto che miri
alla riduzione del valore economico del patrimonio come per esempio locazione di un
immobile, fideiussione, costituzione di servitù, ecc. Il debitore deve mantenere l'originario
stato di fruttuosità del patrimonio.
• Presupposto soggettivo. Rileva sia lo stato soggettivo del debitore sia lo stato soggettivo del
terzo. Quanto al debitore il tratto minimo è la consapevolezza del pregiudizio che l'atto
dispositivo arreca alle ragioni del creditore diminuendo la garanzia patrimoniale. Tale atto è
sufficiente se successivo alla nascita del debito. Se invece l'atto dispositivo è precedente al
sorgere del credito è richiesta la dolosa preordinazione dell'atto dispositivo al fine di
pregiudicare il soddisfacimento del creditore. Quanto al terzo risulta determinante la natura
dell'atto dispositivo. Per gli atti a titolo oneroso è sufficiente che il terzo conoscesse il
pregiudizio che l'atto dispositivo arrecava alle ragioni del creditore, avesse cioè
consapevolezza del danno causabile al creditore. Se però l'atto dispositivo è anteriore al
sorgere del credito il terzo deve essere partecipe della dolosa preordinazione. Per gli atti a
titolo gratuito è irrilevante lo stato soggettivo del terzo. Ma non sempre riesce la nitida
distinzione tra onerosità e gratuità.
L'azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell'atto dispositivo. Il profilo più delicato è il
regime della prova dei presupposti soggettivi. Principio generale è che la buona fede è presunta al
momento dell'acquisto. Quindi al creditore che agisce in revocatoria incombe l'onere di provare non
solo i presupposti oggettivi ma anche lo stato soggettivo del terzo e del debitore.
Sequestro conservativo.
Tale istituto viene applicato quando sussista un pericolo oggettivo di depauperamento del
patrimonio del debitore. Il dato oggettivo è il pericolo da parte del creditore di perdere
completamente la garanzia patrimoniale. Il creditore così può far richiesta di sequestro conservativo
del patrimonio del debitore. Esso può rivolgere tale richiesta anche al terzo per evitare una ulteriore
alienazione del bene.
Il giudice su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito,
può autorizzare il sequestro di un immobile, mobile o somme di denaro del debitore nei limiti in cui
la legge permette il pignoramento. Affinché si realizzi il sequestro conservativo devono concorrere
due presupposti.
• Innanzitutto deve esistere una ragionevole fondatezza del diritto vantato dal creditore per
evitare abusi sia sul debitore sia sul patrimonio di quest'ultimo.
• Deve sussistere un timore fondato di perdere la garanzia patrimoniale del debitore ricavabile
dal comportamento di quest'ultimo volto al deperimento totale del patrimonio.
Come abbiamo visto possono formare oggetto di sequestro beni mobili, immobili, somme di denaro,
partecipazioni sociali ecc. Il sequestro sugli immobili si esegue con la trascrizione del provvedimento
nei registri immobiliari del luogo in cui sono situati. Analogamente per i beni mobili registrati si
prevede la trascrizione del provvedimento su appositi registi. Con il sequestro si realizza un vincolo
di indisponibilità del bene per il debitore. Il debitore è privato della disponibilità materia della cosa
che è affidata ad un curatore, potrebbe essere lo stesso debitore. Il provvedimento di sequestro
conservativo di beni immobili va trascritto sui registri immobiliari ed ha effetto per 20 anni. L'effetto
cessa ipso jure se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il suddetto termine.
Il debitore ha diritto di controllare la gestione dei bei ceduti da parte dei creditori e di ottenere un
rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno.
Inoltre può recedere sempre il contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi e
rimborsando ai creditori le spese di gestione. I creditori a loro volta hanno diritto a chiedere
l'annullamento del contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti i suoi beni, ha occultato una
parte consistente degli stessi.
Anticresi.
L'anticresi è il contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga verso un creditore a consegnare un
immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti imputandoli
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agli interessi, se dovuti e quindi al capitale. È un contratto legato essenzialmente ad una economia
agricola attraverso cui il creditore viene soddisfatto del proprio interesse attraverso i frutti procurati
dall'immobile. Perciò oggi è di rara applicazione. Il creditore anticretico ha l'obbligo di conservare,
coltivare e amministrare il fondo da buon padre di famiglia. L'anticresi dura finché il creditore sia
stato completamente soddisfatto del suo credito, in ogni caso non può perdurare più di 10 anni. Se il
bene costituito in anticresi è espropriato da altri creditori, il creditore anticretico non è preferito agli
altri ma concorre con gli essi secondo la par conditio. Il contratto deve essere stipulato in forma
scritta, pena annullamento ed essere soggetto a trascrizione. Il contratto di anticresi si presta molto
spesso ad aggirare il divieto del patto commissorio laddove si consegna l'immobile, al termine della
scadenza dei pagamenti se il debitore non ha adempiuto alla obbligazione, al creditore che ne
ottiene il possesso. L'ordinamento come abbiamo già visto vieta il patto commissorio dichiarandone
la nullità di qualunque patto anche posteriore al contratto che comporta l'acquisto dell'immobile da
parte del creditore nei casi in cui il debitore non adempi all'obbligazione. Con l'anticresi si estingue
l'obbligazione con il pagamento prima degli interessi e poi dell'intero capitale.
Rimedi di autotutela.
Al fine di agevolare la realizzazione del credito, la legge appresta specifici rimedi di autotutela
spettanti al creditore, salva la successiva verifica giudiziaria del corretto esercizio degli stessi. Sono
rimedi che permettono indirettamente la garanzia del credito, attraverso un’iniziativa del creditore
che evita o riduce il danno conseguente all’inadempimento.
Generali rimedi di autotutela del creditore:
• a) diritto di ritenzione: è accordato al creditore di non consegnare la cosa dovuta al
proprietario o altro avente diritto finché questi non esegua la prestazione dovuta.
• b) decadenza del debitore dal termine: art. 1186, il creditore può esigere immediatamente la
prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzia
che aveva dato o non ha dato le garanzia che aveva promesso.
• c) Sospensione dell’adempimento per mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.
Art. 1461, ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta,
se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il
conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
• d) Opposizione al pagamento del debitore a un terzo per alcune ipotesi. Il pagamento
eseguito dal debitore non ha effetto se rechi pregiudizio al creditore opponente.
6
Cause legittime di prelazione.
Si è visto che nei casi in cui concorrono più creditori sul medesimo patrimonio del creditore, tutti i
creditori devono essere soddisfatti in maniera paritaria secondo il principio della par conditio
creditorum. Quando il patrimonio risulta insufficiente per soddisfare tutti i creditori questi devono
essere soddisfatti in maniera proporzionale. È molto diffusa l'ipotesi in cui sul medesimo patrimonio
oltre che rivalersi i normali creditori vi siano alcuni che presentino su determinati beni cause
legittime di prelazione. Si tratta quindi di garanzie specifiche che portano a soddisfare prima i
creditori che presentano tali caratteristiche e poi i creditori con garanzie generiche detti anche
creditori chirografari. Quando i beni su cui vertono cause legittime di prelazione non risultino essere
sufficienti a soddisfare interamente il creditore, questo può rivalersi sul patrimonio del debitore per
soddisfare il credito residuo insieme ai creditori chirografari in modo proporzionale.
• regola della tipicità delle cause di prelazione. Per l’art. 2741 sono cause legittime di
prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Pegno e ipoteca sono garanzie reali per inerire
ad uno specifico bene; diversamente operano i privilegi.
• surrogazione dell’indennità della cosa: se la cosa soggetta a garanzia perisce o si deteriora e
la stessa risulta assicurata, il creditore può soddisfarsi sulla corrispondente indennità pagata
dall’assicuratore. Art. 2742. La surrogazione reale realizza una vicenda modificativa oggettiva
dell’obbligazione
• decadenza del debitore dal termine: anche se il termine è fissato a favore del debitore, il
creditore può esigere immediatamente la prestazione e il debitore è divenuto insolvente o
ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie che
aveva promesso.
Privilegi.
Il privilegio è una causa di prelazione accordata dalla legge al creditore in considerazione della
particolare natura del credito. Abbiamo già visto che tutti i creditori devono essere soddisfatti in
eguale misura dal patrimonio del debitore inadempiente. In certi casi, però, vi sono dei crediti di
rilevanza maggiore rispetto ad altri, rilevanza non economica, ma sociale o giuridica. Quando accade
ciò il legislatore ha deciso che questi creditori debbano essere favoriti rispetto gli altri in caso di
esecuzione sul patrimonio del debitore.
Da questa speciale considerazione nascono, appunto, i privilegi che sono caratteristiche particolari
del credito accordate esclusivamente dalla legge in relazione alla particolare causa dello stesso. Si
tratta di situazioni eccezionali che trovano fondamento nella legge e che, di solito, sorgono in
maniera automatica senza che vi sia una specifica convenzione fra le parti. In certi casi, però, le parti
possono far nascere convenzionalmente un privilegio; ciò non vuol dire che possano esistere
privilegi di natura convenzionale, ma significa semplicemente che un privilegio previsto dalla legge
può essere subordinato alla convenzione delle parti. Normalmente il privilegio non prevede
particolari forme di pubblicità come invece accade per l'ipoteca, in certi casi, tuttavia, la legge
prevede particolari forme di pubblicità per render nota l'esistenza del privilegio.
Parlando delle cause legittime di prelazione abbiamo sottolineato il fatto che il creditore che ne
gode è preferito rispetto gli altri creditori in caso di esecuzione sul patrimonio del debitore;
specifichiamo adesso che questa preferenza è accordata soprattutto sui creditori chirografari che
sono quelli non garantiti; rispetto a questi creditori è quindi facile stabilire chi dovrà essere
preferito.
Ma che cosa accade se vi sono più creditori privilegiati oppure se vi sono più creditori che vantano
diverse cause di prelazione sui beni del debitore?
credito con privilegio speciale immobiliare ----> prevale sul credito garantito da ipoteca
credito con privilegio speciale mobiliare <---- non prevale sul credito garantito da pegno
I casi riportati in tabella sono quelli previsti dall'articolo 2748 del codice civile e sono validi in via
generale, nel senso che possono essere derogati da speciali disposizioni di legge che dispongano
diversamente.
Se poi concorrono più creditori tutti egualmente privilegiati, l'articolo 2782 del codice civile
stabilisce che questi saranno soddisfatti in proporzione dell'importo del loro credito.
Pegno e ipoteca sono garanzie reali parziarie. Tradizionalmente li si definisce come diritti reali di
garanzia su cosa altrui: il bene resta di proprietà di chi, debitore o terzo, lo ha dato in pegno o in
ipoteca, e può essere dal proprietario liberamente alienato. Ma il creditore acquista sul bene un
duplice diritto:
• il diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo
acquirente (“diritto di sequela” del pegno o dell’ipoteca);
• il diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene con preferenza
rispetto agli altri creditori del medesimo debitore (“diritto di prelazione”).
Sul creditore pignoratizio o ipotecario incombe un onere: non può sottoporre ad esecuzione forzata
altri beni del debitore se non sottopone prima ad esecuzione i beni gravati da pegno o da ipoteca
(art. 2911).
Pegno.
Il pegno è un diritto reale di garanzia su beni mobili costituito dal debitore o dal terzo a garanzia
dell'obbligazione.
Oggetto del pegno sono beni mobili, universalità di beni mobili, crediti e altri diritti aventi ad
oggetto beni mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché questo non sia stato
completamente soddisfatto anche se il debito o la cosa data in pegno sia divisibile.
Il pegno viene costituito mediante spossamento, colui che costituisce il pegno deve consegnare la
cosa o il documento che costituisce l'esclusiva disponibilità della cosa o del diritto al creditore. Si
tratta di un contratto reale che si perfeziona con la consegna della cosa o del documento. La cosa o
il documento possono essere consegnati anche al terzo destinato dalle parti a riceverla in custodia
in modo che sia negata a colui che ha costituito il pegno la disponibilità senza cooperazione del
creditore. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato non in suo
possesso non possono invocarne la tutela. In modo analogo gli altri creditori non possono fare
affidamento alla espropriazione su un bene che non è nel possesso.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo solo quando il pegno risulta da atto scritto che sia stato
notificato al debitore e accettata la notificazione con scrittura avente data certa. Per pegni di diritti
diversi da crediti si ha il trasferimento di singoli diritti.
Il pegno costituisce un vincolo di destinazione sul bene finalizzato alla garanzia del credito. Sul bene
pignorato quindi si avrà un diritto reale di garanzia che attribuisce un diritto di prelazione assistito
da un diritto di seguito. Il creditore ha diritto di farsi pagare in prelazione sulla cosa ricevuta in
pegno. La prelazione non si può far valere se la cosa non è rimasta in possesso del creditore o
presso il terzo designato. Il creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno che
Scaricato da Vittoria Renzulli (mariavittoria35@gmail.com)
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rimane dunque al debitore. Egli nei confronti del bene pignorato ha un dovere di gestione e
conservazione del bene in vista della restituzione del bene in seguito all'adempimento del debitore.
Il creditore senza il consenso del costituente non può usare la cosa data in pegno con un fine
diverso dalla conservazione. In tal modo non può darla ad altri in pegno ne concederne il godimento
ad altri. Se il debitore rimane inadempiente, il creditore può far vendere la cosa data in pegno.
Prima della vendita deve però intimare il debitore al pagamento del debito e gli accessori, in
mancanza si procederà alla vendita. Quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58 la
prelazione non può essere esercitata se il pegno non ha forma scritta.
Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente pagati il capitale, gli
interessi e il rimborso per le spese relative al debito e al pegno. Se però il debitore ha nei confronti
del creditore un debito ulteriore sorto dopo la costituzione del pegno e ormai scaduto, il creditore
ha diritto alla ritenzione a garanzia del nuovo credito.
Pegni atipici.
Nella esperienza generale sono diffuse pratiche in deroga ai principi generali delle garanzie reali.
• Il pegno omnibus è una figura utilizzata nella prassi bancaria. Si tratta di una clausola con cui
la banca estende la garanzia su tutti i beni di pertinenza del cliente a garanzia di un suo
credito presente o futuro.
• Con il pegno rotativo le parti provvedono a sostituire i beni originarimante costituiti in
garanzia con altri beni.
• Con il pegno irregolare il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro, o titoli) che il
creditore acquista in proprietà e che il creditore è tenuto a restituire nello stesso genere e
nella stessa quantità successivamente alla estinzione del rapporto obbligatorio. Il pegno
irregolare, comportando il trasferimento della proprietà al creditore pignoratizio,
rappresenta una eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno, perciò, per la
giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere previsto dalla legge.
Diversamente deve essere qualificato come pegno regolare.
Ipoteca.
L'ipoteca è una garanzia reale costituita dal debitore o dal terzo su beni mobili o immobili a garanzia
dell'obbligazione mediante la iscrizione nei registri di pubblicità. Ha la funzione di prelazione sul
ricavato della vendita del bene espropriato.
Sono oggetto di ipoteca pertinenze, usufrutti, superfici, diritto dell'enfiteuta, rendite dello stato,
beni mobili registrati. Il diritto di servitú è escluso dai beni oggetto di ipoteca in quanto non
suscettibile di atto di disposizione e dunque di espropriazione. Sono esclusi da ipoteca anche i diritti
di uso e di abitazione per specifici bisogni del titolare e della sua famiglia. In presenza di pericolo di
danno a causa di atti compiuti da terzo o debitore, per perimento o deterioramento, sui beni su cui
insiste ipoteca, il creditore può domandare all'autorità giudiziaria la cessazione degli atti.
L'ipoteca viene costituita mediante l'iscrizione nei registri immobiliari se si tratta di beni immobili, se
si tratta di beni mobili invece con l'iscrizione in appositi registri. L'ipoteca deve essere iscritta per
beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro. C'è dunque necessità di esatta
identificazione dell'immobile o dei singoli immobili ipotecati e dell'esatta determinazione
dell'ammontare del credito. Omissioni o inesattezze nel titolo che inducano incertezza sulla persona
del creditore o del debitore sull'ammontare del credito comportano l'invalidità della iscrizione.
L'ipoteca come anche il pegno rappresenta un diritto reale di garanzia finalizzato al l'attuazione del
diritto di prelazione. In particolare l'ipoteca consente al creditore il diritto di espropriare i beni
vincolati da ipoteca e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dalla espropriazione. Il
bene ipotecato rimane comunque nella proprietà e nel possesso del debitore e può dunque
alienarlo a terzi sebbene il vincolo ipotecario non lo rende appetibile sul mercato. All'ipoteca poi si
accompagna il diritto di seguito per cui il creditore può far valere la espropriazione anche nei
confronti del terzo acquirente.
È possibile che su un medesimo bene siano costituite più ipoteche. Per stabilire quindi quale
creditore debba essere preferito rispetto ad un altro bisognerà verificare il grado della sua ipoteca.
Sarà preferito in tal modo il creditore che avrà per primo iscritto la sua ipoteca rispetto al creditore
che abbia iscritto la sua ipoteca in un momento secondario. Questa preferenza si esprime nel fatto
che il primo creditore avrà diritto ad essere soddisfatto per l'intero suo credito sul bene ipotecato,
ma se vi sarà un residuo della somma ricavata in seguito all'espropriazione, questa spetterà al
secondo creditore e se, dopo la soddisfazione di quest'ultimo creditore, vi sarà ancora una somma
di danaro disponibile questa spetterà al terzo e così via.
Regole fondamentali sono dettate a favore del terzo acquirente. Al terzo acquirente del bene
ipotecato, che ha trascritto il suo titolo di acquisto, sono accordati tre fondamentali diritti.
• Innanzitutto ha diritto ad evitare la espropriazione dei beni ipotecati pagando integralmente
i creditori ipotecari; rilasciare i beni ipotecati ai creditori ipotecari; liberare l'immobile da
ipoteca (purgazione dell'ipoteca)
• Ha inoltre diritto di far separare dal prezzo della vendita la parte corrispondente ai
miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione dell'acquisto.
• Infine, se ha pagato i creditori iscritti o ha rilasciato l'immobile ipotecato ai creditori o ha
sofferto l'espropriazione, ha ragione di indennità verso il debitore, anche se si tratta di
acquisto a titolo gratuito. In dipendenza di ciò ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche
dei creditori soddisfatti sugli altri beni del debitore. Nei confronti del terzo acquirente
l'ipoteca si estingue per prescrizione con il decorso di venti anni dalla data di trascrizione
dell'acquisto del terzo, salvo cause di sospensione o interruzione.
Titolo dell'ipoteca.
Il titolo costituisce la fonte dell’ipoteca e ne consente la costituzione. Possiamo distinguere 3 tipi di
ipoteca: legale, giudiziaria e volontaria.
• Per quanto riguarda l'ipoteca legale il titolo dell'ipoteca è nella legge che prevede a favore di
alcuni soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Hanno diritto all'iscrizione della ipoteca
legale: 1. l'alienante sopra gli immobili alienati per l'adempimento degli obblighi che
derivano dall'atto di alienazione; 2. i coeredi, soci e altri condividenti per il pagamento dei
conguagli di beni immobili assegnati ad altri condividenti; 3. lo Stato sopra i beni
dell'imputato o del civilmente responsabile per il pagamento delle spese processuali.
L'ipoteca dell'alienante e quella condividente sono disciplinate dal codice civile, l'ipoteca
dello stato è regolata dal codice penale e di procedura penale. Tale ipoteca è costituita con
l'iscrizione nei registri di pubblicità.
• L'ipoteca giudiziale deriva dalla sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro
o per l'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento del danno da liquidarsi
successivamente. È sufficiente anche una sentenza di condanna generica al risarcimento. Il
provvedimento giudiziale contiene la condanna al pagamento. In virtù di tale titolo il
creditore ha diritto ad ottenere la costituzione dell'ipoteca sugli immobili appartenenti al
debitore e su quelli successivi alla condanna. Si può iscrivere una ipoteca in base a sentenze
pronunciate da autorità giudiziarie straniere dopo che ne sia stata dichiarata l'efficacia
dall'autorità guidiziari italiana.
• Ipoteca volontaria. trova la sua fonte nella volontà di una o entrambe le parti; normalmente
è costituita per contratto redatto per atto pubblico, ma è possibile che sorga, sempre nella
stessa forma, per atto unilaterale, ma non per testamento.
La concessione deve farsi per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o
accertata giudizialmente. L'atto di concessione deve contenere le informazione dell'immobile
ipotecato.
Vicende dell'ipoteca.
L'ipoteca si basa su un sistema di pubblicità in grado di procurare ai terzi la conoscenza legale della
garanzia reale. Assumono rilevanza quindi:
• La costituzione dell’ipoteca (ad opera del debitore o di un terzo) avviene mediante iscrizione
nei registri di pubblicità: trattasi di una pubblicità costitutiva. Relativamente ai beni immobili,
l’ipoteca si “costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari” (2808); relativamente ai
beni mobili registrati, mediante pubblicità nei registri specifici che li riguardano. Si è già
detto che caratteristiche comuni delle garanzie reali sono la specialità, la determinatezza e la
indivisibilità. L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati e per una soma
determinata in danaro (2809): c’è dunque necessità di identificazione dell’immobile o dei
singoli immobili ipotecati e di esatta determinazione dell’ammontare del credito, indicato in
una somma di danaro. L’ipoteca è indivisibile nel senso che sussiste per intero sopra tutti i
beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte (2809). Nell’eventualità di più
iscrizioni ipotecarie (in favore di più creditori), come si è visto, la preferenza tra i creditori è
data dalla priorità temporale tra le varie iscrizioni, che si esprimono attraverso un ordine
cronologico delle iscrizioni medesime, che segna il cd. grado dell’ipoteca. L’iscrizione
conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data: l’effetto cessa se l’iscrizione non è
rinnovata prima che scada detto termine (2847).
• Surrogazione: c'è surrogazione nei diritti del creditore a vantaggio di chi, essendo creditore
ancorché chirografario, paga un'altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione
dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche.
• Disposizione di grado: due creditori di grado immediatamente successivo possono compiere
atti dispositivi del grado, scambiandosi il grado. Lo scambio non nuoce il creditore di grado
ulteriore che comunque ha davanti a se entrambi i creditori.
• Rinnovazione: Si è visto come l’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data
(2847). E’ però consentito evitare la cessazione dell’effetto dell’iscrizione con la rinnovazione
dell’iscrizione prima dello scadere dei venti anni. La rinnovazione consente di prolungare
l'effetto dell'iscrizione fino all'estinzione del diritto di ipoteca. Se il creditore non rinnova la
iscrizione al termine dei 20 anni, l'effetto originario di iscrizione cessa venendo così meno gli
effetti favorevoli della pubblicità. Il creditore potrà prendere una nuova iscrizione ma
perdendo il suo grado precedente e quindi con varie conseguenze negative per il creditore,
poiché nel ventennio un altro creditore potrebbe aver preso iscrizione e avendo un grado
superiore potrà essere soddisfatto del credito con preferenza.
• Riduzione: quando la somma per la quale è stata presa l’iscrizione o la consistenza dei beni
gravati è eccessiva rispetto all’importo del credito, è consentito ottenere una riduzione
dell’ipoteca onde non ostacolare ingiustificatamente l'utilizzazione dei beni.
• Estinzione: le cause dell’estinzione dell’ipoteca sono tassative e sono così indicate dall’art.
2878 1) la cancellazione dell’iscrizione; 2) la mancata rinnovazione dell’iscrizione nel termine
di venti anni dalla trascrizione; 3) l’estinzione della obbligazione; 4)il perimento del bene
ipotecato; 5) la rinunzia del creditore all’ipoteca; 6) lo spirare del termine di durata
A) Garanzie personali.
Generalitá.
È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale per l'adempimento delle obbligazioni
altrui. Il terzo in tal modo è tenuto a rispondere illimitatamente per l'adempimento delle
obbligazioni altrui con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla in tal modo della fideiussione, il
mandato di credito, il contratto autonomo di garanzia e l'avallo.
Fideiussione.
È la garanzia personale più frequente. Per l’articolo 1936, “e fideiussore colui che, obbligandosi
personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”. È dunque un
contratto tipico, che si configura come contratto unilaterale, il senso e dallo stesso derivano
obbligazioni a carico di una sola parte e cioè del solo fideiussore. Funzione della fideiussione è
quella di rafforzare la pretesa creditoria, traverso la costruzione di una obbligazione aggiuntiva alla
obbligazione principale, sì da duplicare i patrimoni sui quali il creditore possa far valere il diritto di
credito. Per i tempi di maggiore consistenza, si ricorre talvolta coinvolgere più soggetti nella garanzia
del credito, costituendo un accordo fideiussione o una Sessione plurima. La fideiussione efficace
anche se il debitore garantito non ne ha conoscenza.
Quanto all’oggetto, la fideiussione è di regola prestata per garantire rapporti obbligatori attuale, può
essere prestata anche per garantire una obbligazione condizionale o un’obbligazione futura, con la
previsione, in quest’ultimo caso, importo massimo garantito.
L’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto a quella principale garantita. Inoltre non può
eccedere quanto è dovuto dal debitore, né può essere prestata condizioni più onerose. Infine, il
fideiussore può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella
derivante dall’incapacità.
- quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei
diritti e delle garanzie del creditore.
- Quando, in ipotesi di fideiussione per un'obbligazione futura, il creditore, senza
autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le contiene
patrimoniale di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il
soddisfacimento del credito
a) Rapporti tra fideiussore creditore. Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale
al pagamento del debito, sicché il creditore può chiedere l’adempimento per l’intero sia il
debitore principale che al fideiussore. Le parti possono pattuire il cosiddetto beneficio di
escussione, per cui il fideiussore non è tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore
principale, tal caso il fideiussore deve indicare i beni del debitore principale sul quale il
creditore può soddisfarsi.
b) Rapporti tra fideiussore e debitore. Il fideiussore ha più rimedi a tutela delle sue ragioni
verso il debitore. Anzitutto, al cosiddetto diritto di rilievo verso il debitore, perché questi, i
casi previsti all’articolo 1153, mi procuri la liberazione o, in mancanza, presti le garanzie
necessarie per assicurare il soddisfacimento delle eventuali ragioni di regresso. Inoltre, il
fideiussore che ha pagato il debito è assistito da surrogazione legale nei diritti che creditore
aveva contro il debitore: il fideiussore può avvalersi anche delle garanzie che il creditore
aveva verso il debitore.
Infine, il fideiussore che ha pagato a azione di regresso verso il debitore principale. Il
regresso comprende il capitale, interessi e le spese che il fideiussore ha fatto dopo che ha
denunziato al debitore principale le stanze proposte contro di lui, se però il debitore
incapace, il regresso è ammesso nei limiti di ciò che si è stato rivolto a suo vantaggio.
contestazioni. Tale contratto di garanzia può affiancare vari tipi di contratto, appalto, vendita,
somministrazione, mutuo, apertura di credito, ecc., con la funzione di procurare sicurezza circa il
soddisfacimento del credito. Tratto fondamentale del contratto di garanzia è l'assenza dell'elemento di
accessorietà rispetto l'obbligazione garantita per cui il garante non può opporre al beneficiario creditore le
eccezioni inerenti alla obbligazione principale. La giurisprudenza ha ritenuto che l'inserimento nel contratto
di fideiussione di una clausola che preveda il pagamento a prima richiesta e l'impossibilità per il garante di
apporre eccezioni, sia sufficiente per qualificare il rapporto quale contratto autonomo di garanzia.
Mandato di credito.
È un contratto con il quale un soggetto, su incarico di un altro soggetto si obbliga a fare credito a un terzo in
nome e per conto proprio. Il soggetto che ha dato l'incarico risponde come fideiussore di un debito futuro.
Chi ha accettato l'incarico non può rinunciarvi, mentre chi lo ha conferito può revocarlo salvo l'obbligo di
risarcire il danno alla controparte. Se però dopo l'accettazione dell'incarico, le condizioni patrimoniali di chi
ha conferito l'incarico o del terzo diventano tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del
credito chi ha accettato l'incarico non può essere costretto ad eseguirlo.
Avallo.
L'avallo è apposto sull'assegno bancario o sulla cambiale. Da luogo ad una tipica obbligazione cartolare
caratterizzata dai requisiti dell'autonomia, dell'astrattezza e della letteralità. Sia il pagamento della cambiale
che dell'assegno bancario possono essere garantiti con avallo per tutta o parte della somma. Chi rilascia
l'avallo è obbligato nella stessa maniera di colui per il quale l'avallo è stato dato. Contrariamente alla
fideiussione, che rappresenta una garanzia accessoria, l'avallo è una obbligazione autonoma. Ciò significa che
l'avallante è tenuto a pagare anche nel caso in cui la cambiale sia invalida con eccezione del caso in cui
presenti vizi di forma. Colui che rilascia l'avallo e paga la cambiale o l'assegno, acquista i diritti ad essa
inerenti contro il soggetto garantito e contro coloro che sono obbligati verso quest'ultimo.
Lettera di patronge.
È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società capogruppo o controllante, lettere di patronage o dette
anche di gradimento, ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una
società controllata. Il dato comune alle lettere di patronage è l'esistenza di un rapporto tra due società, con la
partecipazione di una società controllante nella società controllata e il correlato impegno della società
controllante verso la banca erogatrice del credito di comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le
due società. L'impegno può esaurirsi in una mera informatica di controllo oppure nella gestione della società
controllante, assunzione dell'impegno di solvibilità della società controllata o addirittura il rischio di
inadempimento.
B) Garanzie reali. L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è quella della concessione, da
parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca). Si è visto come il pegno e l’ipoteca possano essere costituiti
a garanzia dell’obbligazione, non solo dal debitore, ma anche dal terzo, il quale così assume la veste di terzo
datore di pegno o terzo datore di ipoteca.
PARTE VIII
CONTRATTO
Autonomia negoziale e autonomia contrattuale
L’autonomia negoziale esprime la generale categoria di autoregolazione dei propri interessi,
patrimoniali e non patrimoniali.
L’autonomia contrattuale: l’art.1321 qualifica l’autonomia contrattuale come il potere di
determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Di conseguenza è garantita la libertà di contrarre, libertà di scelta del contraente e la libertà di
contrattare
2) Causa: indica la funzione pratica e concreta, ovvero economico e sociale del contratto.
3) Oggetto: indica l’assetto di interessi realizzato, ovvero lo scopo.
4) Forma vincolata: designa la forma di manifestazione della volontà negoziale, quando è
prescritta sotto pena di nullità.
Oltre agli elementi essenziali del contratto possono essere inseriti anche:
- elementi accidentali detti tali in quanto possono essere o meno presenti nel contratto:
sono aggiunti dalle parti con la funzione di arricchire il contenuto del contratto.
- elementi naturali, che possono essere prestati direttamente alla legge ma che le parti
possono eliminare.
CONCLUSIONE
A) Accordo e conclusione del contratto
L’accordo realizza la concordanza degli interessi e determina la conclusione del contratto, ma
l’accordo non sempre sufficiente alla conclusione del contratto, soprattutto per quanto riguarda i
contratti plurilaterali. In quanto il fine perseguito da una parte può non coincidere con quello
dell’altra, parte per questo È fondamentale regolare l’assetto di interessi delle varie parti. In
relazione al divario tra accordo e conclusione si suole distinguere tra contratti consensuali e
contratti reali.
TUTELA DELL’AFFIDAMENTO
Può accadere che una manifestazione di volontà, non sia consapevolmente voluta, ovvero che sia
voluta nella sua materialità come contegno, ma non si è avvertita o voluta come manifestazione di
volontà negoziale.
Per questi rapporto tra volontà e dichiarazione risolto in generale dal codice civile con la tutela
dell’affidamento, che significa comportarsi rispettando la legittima aspettativa che si è indotta nella
controparte con la propria dichiarazione o comportamento.
Può avvenire che una dichiarazione sia voluta, non solo nella sua materialitá, ma anche come
espressione di intento negoziale, e che però fattori vari alterino il processo di formazione della
volontà. In tali casi la stessa volontà negoziale risultare viziata, di conseguenza danno luogo alla
annullabilità del negozio.
Esempio: se Tizio in mala fede mi ha indotto a comprare un quadro di Picasso, io effettivamente ho
voluto l’acquisto, ma tale volontà è stata viziata e, in quanto il quadro è falso. Di conseguenza posso
chiedere l’annullamento del negozio.
Errore
L’errore può insorgere sia nella formazione della volontà negoziale e stia nella dichiarazione della
stessa: nella prima ipotesi Opera quale errore vizio della volontà negoziale, ed è perciò ho detto
errore vizio. Nella seconda potessi opera quale anomalia della dichiarazione, ed è perciò indicata
quale “errore ostativo”.
- Errore vizio: L errore vero e proprio, quale vizio della volontà consistente è una falsa
rappresentazione della realtà. La falsa conoscenza della realtà è imputabile allo stesso
autore della dichiarazione. L’errore di conoscenza influenza ed orienta la libertà di scelta,
traducendosi in un vizio della volontà, perciò il consenso è dato per errore.
in errore offre di seguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto
che quella intendeva concludere.
- Errore ostativo. L’errore incide sulla manifestazione della volontà negoziale in quanto la
stessa, in conseguenza dell’errore, contiene un riferimento errato. L’errore può cadere
senz’altro sulla dichiarazione oppure sulla sua trasmissione. In ragione di ciò una
generale esigenza di tutela dell’affidamento accomuna le due porte e siccome cause di
annullabilità. Perciò anche l’errore ostativo è rilevante come causa di annullamento solo
sì è essenziale e riconoscibile, secondo le indicazioni di articoli 1429 e 1431.Inoltre anche
con riguardo all’errore ostativo opera il principio del mantenimento del contratto
rettificato.
Dolo
Come l’errore, anche il dolo influenza la conoscenza della realtà e dunque la libertà di scelta,
viziando la volontà negoziale. Il dato peculiare e che il dolo induce in errore tramite l’inganno cioè
con l’impiego di raggiri ed artifici che una parte perpetra a danno dell’altra per indurlo a concludere
il contratto:
il consenso è carpito con dolo.
Il dolo può essere commissivo, cioè compiuto con atti fraudolenti, oppure omissivo, cioè compiuto
con il silenzio: in ogni caso deve ingenerare nella controparte una rappresentazione alterata della
realtà, tale da essere determinante del consenso.
Per l’articolo 1439 il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati dal contraente
sono stati tali che, senza di essi, l’altro contraente non avrebbe contrattato. E questo il dolo vera e
propria, detto dolo determinante, cioè determinante del consenso.
Inoltre necessario che artifici e reagii provengono dalla con trovante che trae profitto dalla
conclusione del contratto: quando artifici raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è
annullabile solo se gli stessi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Perciò, l’annullamento del contratto, si somma l’obbligo di risarcimento dei danni a carico
dell’autore del dolo. Il dolo può avere anche rilevanza penale, integrando il reato di truffa.
Diverso è il dolo incidente. Il dolo non è determinante della conclusione del contratto, ma incide sul
suo contenuto, che si sarebbe pattuito diversamente. Per l’articolo 1440, se i raggiri non sono stati
tali da terminare il consenso, il contratto è valido, ma il contraente in malafede risponde dei danni.
In ipotesi di dolo incidente, non c’è reazione dell’ordinamento e sull’atto ma solo reazione contro il
soggetto che ha agito con dolo, il contratto rimane valido, ma l’autore del dolo risponde per
comportamento illecito lesivo della libertà negoziale della controparte, con comminatoria
dell’obbligo di risarcimento del danno.
Violenza morale
La violenza morale consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole tale da indurre il soggetto
violentato a concludere un contratto. Più specificamente, segue della minaccia al soggetto e
violentato si prospettano due possibilità
- Subire il male minacciato e non concludere il contratto
- Evitare il male minacciato e concludere il contratto.
In questa ultima ipotesi il consenso e estorto con violenza. La minaccia può essere esercitato in
modo esplicito o anche il modo implicito, e può provenire sia dalla controparte che da un terzo.
La violenza deve assumere efficienza causale concreta nella determinazione del consenso. Per
l’articolo 1435 la violenza deve essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata,
sì da far temere di esporre sè o i suoi beni a un male ingiusto.
I caratteri della violenza giuridicamente rilevante sono: la minaccia deve essere determinante, deve
essere ingiusta e notevole.
La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la
persona poi beni del coniuge del contraente o di un discendente. Inoltre l’autore della violenza
all’obbligo di risarcimento del danno subito dal soggetto minacciato. Al pari del dolo anche la
violenza morale può avere rilevanza penale: può integrare il reato di estorsione.
Offerta al pubblico
E una proposta indirizzata ad una generalità d persone (in incertam personam).
Per non essere indirizzata ad un soggetto determinato, l'offerta al pubblico non integra un atto
recettizio: non deve essere portata a conoscenza dei terzi per avere efficacia, essendo sufficiente
che sia resa conoscibile. Caratteristica di tali fenomeni non è l'assenza dell'accordo ma la peculiare
modalità di formazione dello stesso, mediante uno specifico contegno. Per le circostanze nelle quali
tali contegni sono tenuti gli stessi assumono il significato sociale di orientarsi verso lo scambio di un
bene o un servizio o di una prestazione lavorativa verso il corrispettivo di un prezzo.
La revoca dell’offerta non può indirizzarsi individualmente: è sufficiente che sia resa conoscibile,
indipendentemente dalla conoscenza effettiva. Offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al
pubblico, essendo questa un’equazione laterali di per sé fonte di obbligazione.
Il contratto aperto.
Si è anticipato e ancora si parlerà in seguito dei contratti con comunione di scopo, con i quali si
tende a realizzare un interesse comune a tutte le parti del contratto (VILL, 3.18)
Tali contratti possono aprirsi all'esterno mediante la previsione di una c.d. clausola di apertura. È il
fenomeno tipico delle organizzazioni collettive (associazioni, società specie cooperative, ecc.), al fine
di incrementare la compagine sociale.
Il carattere "aperto" tipicamente connota i contratti plurilaterali. Con la clausola di apertura i
contraenti originari offrono la possibilità ad altri soggetti di aderire al contratto originario,
accettandone i fini e l'organizzazione interna (espressi dallo statuto).
L'apertura può riguardare la generalità dei soggetti o specifiche categorie di soggetti con
determinate caratteristiche (professionali, culturali, ecc.), operando caso come offerta al pubblico.
Più raramente l'apertura fa riferimento a soggetti predeterminati: in tal caso opera come una
normale offerta contrattuale.
Le adesioni sono assoggettate a verifica da parte statuto o, in mancanza, dalla totalità degli
associati. L'atto di accoglimento di regola si limita a verificare il ricorso dei presupposti per
l'ammissione: è un controllo di conformità dell'adesione all'offerta (proposta) contenuta nella
clausola di apertura Qualora l'adesione non sia conforme all'offerta, per non ricorrere i requisiti di
adesione predeterminati, la richiesta di adesione vale (a sua volta) come proposta (ex 1326'), che,
per essere accolta, richiede l'accettazione da parte del gruppo.
determini la conclusione del contratto. Perciò la sua operatività è circoscritta dalla legge
alle sole tre previste (richiesta del proponente, natura dell'affare, presenza di usi).
In realtà il fenomeno è frequente nei rapporti commerciali, per la natura di tali affari di
comportare una spedita realizzazione.
Ad es nelle vendite tra piazze diverse è prassi che il venditore, ricevuta la proposta di
acquisto dal compratore e conveniente, invii senz'altro la merce prima della risposta.
L'accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della iniziata esecuzione, in
mancanza è tenuto al risarcimento danni (1327 Il proponente, non avvertito
dell’accettazione, potrebbe non essere pronto a ricevere la prestazione (nell'esempio
fatto il compratore non ha gli spazi disponibili per ricevere la merce). In tal caso
l’accettante è tenuto a risarcire i danni sofferti dal proponente per riceversi la
prestazione.
Per il codice civile le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci
nei confronti dell’altro se, momento della conclusione del contratto, “questi le ha conosciute o
avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”. L’aderente rimane vincolato anche per
condizione generale che non è effettivamente conosciuto e dunque accettato, la conoscibilità è stata
peraltro intesa come notorietà dell’esistenza delle condizioni generali e intelligibilità del relativo
contenuto.
Sono apprestati tre meccanismi tutela del contraente aderente:
1) Introdotto un requisito di forma per clausole vessatorie, cioè quelle clausole considerate
particolarmente onerose del contraente aderente e dalla stessa legge individuate. Per l’articolo
1341 hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto dico le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di
recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, direzionare libertà contrattuale rapporti
con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto.
È perciò emersa un’interpretazione orientata ad una migliore tutela del contraente aderente,
richiedendosi una autonoma e specifica approvazione per iscritto delle singole clausole, non
considerandosi sufficiente il richiamo alle stesse. È maturata inoltre la convinzione che l’assenza
di specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie comporti un vizio di forma ad
substantiam che termina la nullità delle stesse.
2) È stabilita la prevalenza delle clausole aggiunte a moduli o formulari. Per l’articolo 1342 le
clausole aggiunte al modulo formulario prevalgono su quelle del modulo del formulario quando
siano incompatibili con esse. Anche ai contratti conclusi mediante moduli o formulari
applicabile requisito di forma per la validità delle clausole vessatorie.
3) E fissata la regola della interpretazione contro l’autore della clausola. Con l’articolo 1370 le
clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno
dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’aderente.
- L’opzione legale ha una minore diffusione, ma una maggiore incisività della prelazione
legale. In ragione di un particolare assetto giuridico, è accordato dalla legge ad un
soggetto il diritto di conseguire un bene, con correlato obbligo del titolare di formulare
offerta di acquisto, che l’opzionario è libero di accettare o meno. La figura a uno specifico
campo di applicazione in tema di società per azioni.
- L’obbligo legale a contrarre indica le ipotesi in cui la stipula di un contratto non è per un
soggetto espressione di libertà negoziale, come di regola accade, ma costituisce un
comportamento dovuto. Fonte dell’obbligo a contrarre può essere sia l’autonomia
privata (ad es., chi stipula un contratto preliminare assume l’obbligo di concludere
successivamente il contratto definitivo), sia la legge (ad es., l’art. 2597 c.c. dispone che
chi esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con
chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’attività d’impresa, osservando
la parità di trattamento).
- Proposta irrevocabile.
La proposta irrevocabile è una proposta a termine, non consentendosi nell’ordinamento
un impegno perpetuo. Il termine indicato il destinatario della proposta irrevocabile ha il
diritto di concludere il contratto con l’accettazione, senza che il proponente possa
revocare la proposta, fino allo scadere del termine di irrevocabilità, la morte o la
sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la
natura dell’affare o altre circostanze escludano tale efficacia.
Il termine di irrevocabilità non deve necessariamente coincidere con il termine di
efficacia della proposta
- Patto di opzione.
È il patto con il quale le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria
dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la proposta è la parte si vincola
è considerata come proposta irrevocabile per gli effetti dell’articolo 1329.
- Prenotazione.
Di facente la figura trovato particolare sviluppo nel settore dei viaggi organizzati delle
prestazioni alberghiere di trasporto. Per l’articolo 86 del codice del consumo il contratto
di vendita di pacchetti turistici, da redigersi in forma scritta in termini chiari e precisi,
deve contenere, tra l’altro, la indicazione dell’importo, comunque non superiore al 25%
del prezzo, da versarsi all’atto della prenotazione, nonché il termine per il pagamento del
saggio, il suddetto importo e è versato a titolo di caparra. Deve dedursi che la
prenotazione di un pacchetto turistico, accompagnata e versamenti una somma di
denaro, sia di regola presidiata da una caparra confirmatoria, con gli effetti previsti
dall’articolo 1385. Con la conclusione del contratto, della mancata esecuzione è lo stesso,
opererà la normale disciplina dell’inadempimento
È una prassi diffusa in cui la stipulazione del contratto è preceduta da trattative, con un
progressivo affinamento dell’accordo attraverso successive puntualizzazioni, che prendono il
nome di minuta, puntuazione, lettera di intenti.
La formazione progressiva del contratto ha una funzione meramente preparatori di un futuro
negozio. Tale in tese non sono come tali vincolanti, ma rilevano comunque giuridicamente
per la verifica della responsabilità precontrattuale. Spesso poi, le parti pervengono alla
compreso il contratto in modo progressivo attraverso la stipula di atti preliminari in vario
modo impegnativo.
Contratto preliminare
È una prassi diffusa nella stipula del contratto definitivo sia anticipata da una contrattazione
preliminare tra le parti, che determina la formazione progressiva del contratto. Perciò le
parti assumono l’obbligazione di concludere un contratto definitivo.
Sia che si accede all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, sia che si
scelga la risoluzione il contratto, la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei
danni.
Anche Protraendosi la disponibilità materiale del bene per oltre vent’anni, senza
stipulare il contratto definitivo, avendo il promissario acquirente cominciato ad avere la
detenzione non può mutare il titolo in possesso, tranne che non provi la cosiddetta
interversio possesionis ( mutamento del titolo per causa proveniente da un terzo in forza
di opposizione da lui fatta contro il possessore).
E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
I danni risarcibili
In ragione di una responsabilità precontrattuale, si tende a limitare il risarcimento ristoro del solo
cosiddetto interesse negativo c’è dell’interesse a non iniziare trattative inutili che hanno comportato
la sopportazione di spesa e la perdita di altre occasioni. In quanto a carico del soggetto responsabile
dell’obbligo di risarcimento del danno del soggetto danneggiato. Il risarcimento qui a diritto il
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soggetto danneggiato comprende dunque rimborso delle spese tenuta delle perdite sofferte per
non aver concluso altri contratti.
Ho detto danneggiato grava l’onere di provare l’illiceità il comportamento della controparte danni
subiti.
3 Contenuto.
(A) Oggetto.
Nozione.
L’art. 1325, n.3, indica l’oggetto tra i requisiti del contratto: l’oggetto è dunque elemento essenziale
(costitutivo) del contratto, la cui mancanza comporta la nullità del contratto (1418).
Da tempo è dibattuta la qualificazione giuridica dell’oggetto del contratto: da alcuni è riferita al bene
materiale esterno all’atto; da altri è ricondotta all’interno dell’atto per indicare vuoi la materia o gli
interessi cui ha riguardo il contratto, vuoi la rappresentazione del risultato perseguito.
Requisiti dell’oggetto
L’oggetto del contratto deve essere a norma dell’art. 1346, sotto pena di nullità, ovvero deve essere:
a) Possibile: indica la idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato. La possibilità deve essere
sia materiale che giuridica: quindi l’attribuzione deve essere, non solo fisicamente eseguibile, ma
anche giuridicamente realizzabile nel senso che non deve essere vietata dall’ordinamento. In
sostanza il contratto deve avere ad oggetto attribuzioni realizzabili, riferite a cose presenti o future.
Se la prestazione diventa impossibile successivamente alla conclusione del contratto, si
determinano anomalie del rapporto contrattuale e non più dell’atto.
b) Lecito: l’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon
costume.
Beni futuri.
I contratti spesso riguardano beni esistenti; non mancano però casi in cui i contratti facciano
riferimento a beni non ancora esistenti.
Una generale applicazione di tali tipi di contratti risulta essere in materia di vendita, relativamente
alla vendita di cose future. L'acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad esistenza.
Qualora le parti non abbiano concluso un contratto aleatorio, la vendita è nulla se la cosa non viene
ad esistenza. È dunque importante distinguere i contratti aleatori dai contratti commutativi.
Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della cosa: la
prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque dovuta quantunque la cosa
futura non venga ad esistenza.
Esempio, il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo è tenuto al pagamento del prezzo
pattuito quantunque il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della
cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sará dovuta se la cosa non verrà ad
esistenza. In assenza di previsione il contratto si presume commutativo. Riprendendo l'esempio
precedente, il prezzo non sarà dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.
(B) Causa
Il tipo contrattuale.
Il codice civile parla sia di “tipo” che di “causa” del contratto.
- Per l’art. 1322 le parti posso concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una
disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico;
- e per l’art. 1323, “tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi aventi una disciplina
particolare, sono opposti alle norme generali.
Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta nella struttura, talaltra nel
contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili.
Tipo sociale: si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché operante nella
realtà sociale e meritevole di tutela, non è ancora disciplinato dall’ordinamento;
Tipo legale: indica uno schema di operazione economica diffusa nella realtà sociale e proprio perciò
assunto dall’ordinamento giuridico come struttura generale astratta dell’operazione e come tale
regolata: esprima la causa astratta del negozio. Per esempio contratto di compra-vendita, di affitto
ecc.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni esigenze
suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme tutela. es. forniture di beni di consumo. È
possibile cogliere la distinzione tra contratti tipici e atipici.
• Contratti tipici: hanno una struttura fissata per legge, con conseguente previsione legale
della relativa disciplina.
• Contratti atipici: utilizzano uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale o perché è del
tutto nuovo o in quanto il tipo legale è variamente modificato.
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Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, la liceità e la meritevolezza dell’assetto
di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la compatibilità con
l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi compiere la consueta verifica di liceità e
meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
C’è peraltro da dire che, per molte ragioni, vuoi di carattere fiscale vuoi di fronte a terzi e creditori,
spesso si pongono in essere atti apparentemente validi che producono un’attribuzione traslativa
senza far emergere la causa dell’attribuzione patrimoniale. Negozi simulati, senz’altro nulli perché
stipulati in violazione del principio di causalità dei contratti.
Causa illecita.
Una causa può esistere e risultare dal contratto ma essere illecita o non meritevole di tutela. Tutti i
contratti sono soggetti al controllo di legalità sebbene con intensità diversa a seconda che sia
impiegato o meno un tipo legale.
Quando un contratto è nullo per illiceità, non assume rilevanza giuridica l’eventuale adempimento
dello stesso. La illiceità della causa comporta la nullità del contratto (art. 1418).
Quanto al controllo di liceità, per l’art. 1343 la causa è illecita quando è contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
elusione della norma giuridica, infrangendo e deformando lo strumento legale impiegato. Il tipico
esempio è la vendita con patto di riscatto stipulata per una causa di garanzia al fine di aggirare il
divieto del patto commissorio. Più spesso la frode alla legge avviene attraverso una sequenza di atti.
Accertata la frode alla legge consegue illiceità e dunque la nullità del contratto. Un campo di
applicazione incisiva della categoria dei contratti in frode alla legge è quello tributario dove affianco
alla evasione fiscale opera la elusione fiscale quale mezzo di aggiramento della norma tributaria.
La presupposizione.
Accanto agli elementi costitutivi del contratto rilevano spesso i cd. presupposti del contratto, che
possono essere di fatto e di diritto. La presupposizione designa un presupposto di fatto o di diritto
assunto dalle parti a fondamento del contratto, perciò rilevante per la efficacia dello stesso, pur
senza essere oggetto di espressa pattuizione. Si è soliti anche di parlare di condizione inespressa. La
presupposizione perciò non è oggetto di una statuizione contrattuale, ma emerge dalle circostanze,
che i contraenti hanno tenuto presente nel contratto come presupposto dello stesso. “es. locazione
di un balcone per assistere a un evento”.
Come si vede dalla nozione, le parti d'accordo e consapevolmente fingono di stipulare un contratto
perché vogliono che all'esterno (e quindi nei confronti dei terzi) appaia una certa situazione
giuridica da poter invocare quando occorra, mentre all'interno è rilevante ciò che hanno stabilito tra
loro circa il contratto simulato.
Elemento fondamentale della simulazione è, quindi, "l'accordo simulatorio" cioè quello che le parti
hanno stabilito in merito al negozio simulato, cioè sul fatto che il contratto è simulato e non ha
effetto tra le parti.
La simulazione è prevista dall'articolo 1414 c.c. Vi sono due tipi:
• Simulazione assoluta: quando le parti creano per l’apparenza un contratto mentre non
vogliono alcun mutamento della realtà giuridica. Ad esempio si stipula la vendita simulata di
un bene per fare apparire l’uscita del bene dal patrimonio.
• Simulazione relativa: quando le parti creano un contratto per l’apparenza, mentre realtà
vogliono un diverso mutamento della realtà giuridica, o nell’oggetto o con riguardo ai
soggetti. In tal caso, a fronte il negozio creato per l’apparenza(negozio simulato), si dà vita a
un diverso e sottostante negozio destinato ad avere effetto tra le parti(negozio dissimulato),
che spesso contiene anche la contro dichiarazione da cui emerge il fenomeno simulatorio. La
simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva:
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Effetti tra le parti: regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto tra le parti”
(1414). Indirizzo consolidato dalla giurisprudenza è che il contratto simulato è nullo. Dunque, nella
simulazione assoluta, non si realizza alcun effetto.
Il secondo comma dello stesso articolo regola la simulazione relativa “ se le parti hanno voluto
concluder un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato,
purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”. Dunque, ferma la nullità del contratto
simulato, produce effetto tra le parti il contratto sottostante (dissimulato) quale contratto realmente
voluto. E’ però necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la forma prescritta ad
substantiam. (Ad esempio una donazione dissimulata deve essere stipulata per atto pubblico con la
presenza di due testimoni.)
Effetto rispetto ai terzi: il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della opponibilità della
simulazione ai terzi. Lo stesso è pertanto governato dal generale principio della tutela della buona
fede dei terzi e cioè dell’affidamento. Regola base è dunque che le parti del contratto simulato non
possono opporre la simulazione ai terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare
apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In sostanza, con la
creazione di un negozio fittizio, le parti corrono il rischio di suscitare l’affidamento dei terzi: essendo
le parti stesse non incolpevoli, anzi addirittura artefici della finzione, soccombono rispetto ai terzi
che hanno fatto affidamento sulla titolarità apparente, bensì originata dalla simulazione ma
comunque immessa nella realtà giuridica.
Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la stessa arrechi
pregiudizio ai loro diritti (1415) così da fare emergere la realtà sottostante contro l’apparenza.
Effetto verso i creditori: nei rapporti con i creditori i beni rilevano in funzione di garanzia patrimoni.
I creditori del titolare apparente che, in buona fede, hanno compiuto atti di esecuzione sui beni da
costui acquistati simulata mente, di regola, non subiscono effetti della situazione: agli stessi non è di
regola, opponibile la simulazione.
Sussiste però l’opposto interesse dei creditori dell’apparente acquirente mirano alla efficacia
dell’atto simulato, i creditori del simulato alienante e tendono all’inefficacia dell’atto. Trattandosi di
crediti tutti chirografari, legge accorda tutela preferenziale ai creditori del simulato alienante e con il
loro credito è anteriore all’atto simulato.
Azione di simulazione e prova della simulazione.
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In assenza della contro dichiarazione scritta, non potendo le parti avvalersi della prova
documentale, devono ricorre a prove costituente, con il limite che le caratterizzano: e se
nota la scarsa fruttuosità della confessione del giuramento.
Inoltre per essere le parti autori del contratto simulato, opera il da mentale limite
dell’articolo 2722, per cui la prova per testimoni non è ammessa se è per oggetto patti
aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Peraltro l’articolo 2724 prevede tre accezioni al divieto della prova testimoniale per i
contratti:
1) Quando vi è un principio di prova per iscritto.
2) Quando il contraente stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una
prova scritta.
3) Quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento di forniva la prova.
La prova per testimoni è ammessa senza limiti solo se la domanda proposta dalle parti e
diretta a far valere l’illecita del contratto emulato.
- Quanto ai terzi , non essendo questi partecipi dell’atto simulato, la simulazione rilevarsi
stessi come mero fatto giuridico: perciò i terzi creditori possono avvalersi tutti mezzi di
prova sono sempre ammessi a provare la illiceità il contratto simulato. Per l’articolo 1417
la prova della simulazione può essere data anche per testimoni senza limiti.
Trattandosi di crediti tutti chirografari, legge accorda tutela preferenziale ai creditori del simulato
alienante e con il loro credito è anteriore all’atto simulato.
Differenze tra istituti La simulazione deve essere distinta dal negozio indiretto, dal negozio fiduciario
e dal trust
A) Il negozio indiretto
Tale figura negoziale ricorre quando i soggetti, per raggiungere l'effetto perseguibile attraverso un
determinato negozio, seguono una via indiretta, servendosi di un negozio tipico che viene adattato
ad uno scopo diverso da quello che ne costituisce la causa. Ad esempio anziché vendere un
immobile ad un soggetto, gli si rilascia un mandato irrevocabile ad amministrare l'immobile, senza
obbligo di rendiconto, e ad alienarlo: il mandatario avrà poteri equivalenti a quelli del proprietario.
Tale negozio è valido, purché non sia in frode alla legge e non tenda a realizzare motivi illeciti
comuni ad entrambe le parti Il negozio indiretto si distingue da quello simulato in quanto le parti
vogliono realmente gli effetti giuridici del negozio, che sono strumentali rispetto al fine ulteriore
perseguito.
B) Il negozio fiduciario
Ricorre quando un soggetto conferisce un ampio potere ad un'altra parte, che assume personale di
servirsi della posizione acquisita entro i limiti di quel fine al quale trasferisce, come Ad esempio
vendita a scopo di garanzia (Tizio ottiene un prestito da Caio garanzia, la proprietà di un immobile,
nella fiducia che l'immobile gli sarà restituito al pagamento del debito) il diritto solo in apparenza,
mentre Va distinto dal negozio simulato, in quanto questo trasferisce temporaneamente e il negozio
fiduciario trasferisce realmente il diritto al fiduciario, anche se solo conseguito attraverso un mezzo
giuridico più ampio rispetto a quello sufficiente per lo scopo conseguito.
C) Il trust
Dicotomie fondamentali.
Relativamente alla causa è possibile identificare tre fondamentali dicotomie in grado di raggruppare
significative classi di contratti:
Tra i contratti a titolo oneroso assume un significato rilievo la distinzione tra contratti commutatitivi
e contratti aleatori.
Nei contratti commutativi l’entità delle reciproche attribuzioni (e dunque la correlazione tra
vantaggio e sacrificio) è certa fin dalla stipula del contratto. Es. vendita che ha appunto per oggetto
il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo prezzo.
Nei contratti aleatori, benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reciproci, la relativa entità
non è predeterminatile: all’atto della conclusione del contratto è ignoto quale delle due parti subirà
il maggior sacrificio e chi il maggior vantaggio. Es. contratto di assicurazione. La causa concreta dl
contratto è quindi caratterizzata da un’alea e dunque da un rischio a carico delle parti circa il
risultato economico che ciascuna, alla fine conseguirà.
La gratuità nella sua essenza elementare, indica l’attribuzione di un vantaggio senza un corrispettivo.
Ma ciò non implica necessariamente uno spirito di liberalità. Questo sussiste solo quando l’atto
gratuito è compiuto con il precipito intento di arricchire il destinatario senza conseguire alcun tipo di
vantaggio. Esempio tipico è la donazione che va stipulata con forma solenne.
La condizione.
La condizione è un avvenimento futuro ed incerto dal cui verificarsi le parti fanno dipendere l'inizio
o la cessazione degli effetti di un negozio giuridico (articolo 1353 c.c.).
• La condizione produce i suoi effetti sulla efficacia e non sulla validità del negozio
• L'efficacia del negozio è subordinata al verificarsi di un evento che si identifica con la
condizione stessa.
• L'evento per essere definito come condizione deve essere futuro ed incerto.
Se l’avvenimento è futuro ma certo, rileva come termine, non come condizione. Può essere anche
indicato il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi.
a. In relazione all’incidenza dell’evento sull’efficacia, si distinguono due fondamentali tipi di
condizioni:
1) Si ha condizione sospensiva quando le parti subordinano la produzione degli effetti al
verificarsi di un evento futuro o incerto. Es”un impiegato acquista un determinato
appartamento sotto condizione che venga trasferito in quella città”
2) Si ha condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace ma soggetto alla
privazione di effetti se interverrà un avvenimento futuro e incerto. Es. “un impiegato
acquista senz’altro un appartamento in una determinata città, ma se entro un determinato
periodo non è trasferito presso tale città o è trasferito altrove il contratto cessa di produrre
effetti.
b. In relazione alla derivazione dell'evento, si distingue tra condizione casuale, potestativa e
mista.
1. Si ha condizione casuale quando l’avveramento dell’evento dipende dal caso o da terzi.
2. Si ha condizione potestativa quando l’avveramento dipende dalla volontà di una delle parti.
3. Si ha condizione mista quando l’avvenimento dipende sia dalla volontà di una delle parti sia
del caso.
c. In relazione al carattere dell’evento, è necessario che lo stesso si riveli possibile lecito, così
riflettendosi sull’atteggiarsi della condizione.
1) La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume, secondo la nozione di illiceità della causa. La condizione illecita, sospensiva o
risolutiva, rende nullo il contratto (1354). Questo tipo di condizioni rendono nullo il contratto
cui sono apposte, come ad esempio nel caso in cui io mi impegni a vendere un
appartamento a condizione che l'acquirente mi permetta la spaccio di droga in una stanza
dello stesso. Nel caso di negozi mortis causa la condizione non rende nullo il negozio ma si
considera non apposta. Esempio la nomina di tizio come erede di sempronio se uccide Caio.
In questo caso però la condizione può rendere nullo il negozio quando sia stata l'unico
motivo che ha determinato il testatore a disporre.
2) La condizione impossibile è quella che non ha nessuna possibilità di realizzazione. Esempio
tipico " ti darò 100 se toccherai il cielo con un dito ". Anche in questo caso bisogna
distinguere tra negozi inter vivos e mortis causa; nei primi la condizione renderà nullo
l'intero negozio, mentre nei negozi mortis causa si avrà per non apposta a meno che non sia
stato l'unico motivo che ha spinto il testatore a disporre.
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Una particolare fisionomia la cosiddetta condizione legale. Trattasi della previsione di una
condizione che fa dipendere l’efficacia del contratto da un presupposto previsto l’ordinamento. Più
spesso tali condizioni si atteggiano come requisiti legali di efficace il contratto di regola la condizione
legale comporta la non retroattività il contratto per l’essenzialità del requisito imposto dalla legge.
a) L’esercizio delle posizioni soggettive durante la pendenza della condizione regolato dalla
legge. Principio generale che, in pendenza della condizione, il titolare del diritto può
disporne, ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione.
Mentre il titolare dell’aspettativa aspettano solo poteri di controllo e conservazione oltre che
la disponibilità della posizione di aspettativa.
L’incertezza della pendenza può sciogliersi in un duplice modo: con l’avveramento
dell’avvenimento o con la mancanza dello stesso.
Termine.
a) Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto Per incidere sul tempo degli
effetti del contratto, segnando il momento iniziale e il momento finale della produzione degli
effetti stessi. Sì a necessità di ricorrere ad un termine di efficacia del contratto quando c’è
necessità di differire inizio dell’efficacia del contratto rispetto alla data di stipula può fissare
la fine dell’efficacia quando la esecuzione si protrae nel tempo
b) Il termine di adempimento dell’obbligazione designa una modalità cronologica
dell’attuazione del rapporto obbligatorio. In particolare il termine indica una modalità
dell’adempimento dell’obbligazione. (Ad esempio il canone di locazione sarà pagato entro il
cinque di ogni mese).
Onere.
L'onere o modus, afferisce ai soli negozi a titolo gratuito (donazione e testamento), introducendo un
obbligo a carico del beneficiario dell'atto.
Se il beneficiario non adempie l'onere, chiunque ha interesse può agire per il suo adempimento. In
ogni caso, però, inadempimento dell'onere non comporta la risoluzione del negozio, a meno che
questa non sia stata prevista come conseguenza dell'inadempimento.
4 FORMA.
La forma indica appunto i modi di manifestazione della volontà negoziale.
L’ordinamento spesso limita l’autonomia privata, imponendo una forma vincolata della volontà
negoziale (c.d. atti solenni = forma ab sustantiam) in ragione della natura degli interessi coinvolti e
delle circostanze in cui la volontà stessa è esperita e dunque il contratto è concluso.
Se non è prescritta una forma vincolata è lasciata ai privati la scelta della forma con la quale
manifestare la propria volontà negoziale e dunque autoregolare i propri interessi.
La forma ad substantiam può essere prescritta dall’ordinamento (cd. forma legale) e essere adottata
dai privati (cd, forma convenzionale).
a) Forma legale: Il requisito di forma più diffusamente prescritto è la forma scritta, nei due tipi
dell’atto pubblico e della scrittura privata, entrambi collocati dal codice civile sotto il capo dedicato
alle prove documentali. La forma scritta è tradizionalmente prescritta per gli atti relativi ai beni
immobili. Per l’art. 1350 devono farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà o che
costituiscono, modificano o trasferiscono diritti reali o con i quali si rinunzia ai detti diritti; i contratti
di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni. Il contratto preliminare è nullo
se non è fatto nella stessa forma prescritta per il contratto definitivo (1350).
b) Forma convenzionale: Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata
voluta per la validità di questo. Il fenomeno è particolarmente diffuso con riguardo ai contratti
preordinati alla stipula di un contratto successivo. In tale ipotesi c’è un’autolimitazione
dell’autonomia privata; ma proprio perché il vincolo non deriva dalla legge, è sempre in potere delle
parti, d’accordo, cancellare il vincolo di forma adottato. La giurisprudenza indica che in seguito al
mancato rispetto di una delle due parti della forma convenzionale vi è la nullità del contratto.
Talvolta è imposto un vincolo di forma, non già per la validità del contratto, ma solo ai fini probatori
(cd. forma ad probationem). La forma ad probationem è richiesta solo per provare l'esistenza del
negozio, come nel caso di trasferimento di azienda.
È necessario sottolineare che il negozio mancante della forma ad probationem è perfettamente
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valido ed efficace, ma, in caso di processo, l'unico modo per provare l'esistenza di quel particolare
negozio sarà la forma che la legge richiedeva, salva la possibilità di ricorrere al giuramento e alla
confessione. Quando un contratto deve essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per
testimoni, salvo che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la
prova (2725).
Il consumatore deve ricevere per iscritto conferma o a sua scelta ulteriori informazioni prima della
esecuzione del contratto. Il consumatore non è tenuto a nessuna prestazione aggiuntiva in caso di
fornitura non richiesta, in ogni caso l'assenza di risposta non implica il consenso del consumatore.
L'impiego da parte di un professionista del telefono, della posta elettronica, sistemi automatici di
chiamata o di fax richiede il consenso preventivo del consumatore fatta comunque salva la disciplina
in materia di protezione dei dati personali.
Per i contratti e le proposte contrattuali a distanza oppure negoziati fuori dai locali commerciali, il
consumatore ha il diritto di recesso senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo entro il
termine di 10 giorni lavorativi il diritto di recesso si esercita con l'invio entro i termini previsti di una
comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di
ricevimento, telegramma, telex, posta elettronica e fax a condizione che sia confermata mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le 48 ore successive.
La raccomandata si intende spedita nel tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante
entro i termini previsti dal codice o dal contratto. L'avviso di ricevimento non è comunque
condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.
riconosciuta ai sensi dell'articolo. 2703, la forma digitale, o altro tipo di firma elettronica qualificata
autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il documento informatico,
sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale soddisfa il requisito legale della
forma scritta se formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite dall'arte. 71.
5 REGOLAMENTO CONTRATTUALE.
(A) Interpretazione.
Le norme sul l'interpretazione.
Poiché il contratto (Come la norma giuridica) mira alla regolazione di una relazione sociale , c’è
la necessità di apprestare dei criteri affinché chiunque lo interpreti possa attribuire più
significato uniforme. C’è perciò l’esigenza di fissare criteri vincolanti all’attività interpretativa
perché l’interpretazione possa accedere ad un significato tendenzialmente univoco.
Le regole sull’interpretazione del contratto sono norme giuridiche, vincolanti per l’interprete.
I criteri di interpretazione sono tradizionalmente ricondotte a due classi di regole, a seconda
che tendano a ricostruire la volontà comune delle parti (cosiddetta interpretazione soggettiva) o
ad attribuire all’atto un significato ragionevole o equo (interpretazione oggettiva).
Le due classi di norme sono organizzate gerarchicamente, nel senso che, solo ove criteri
soggettivi non conducono alla ricostruzione di un significato univoco, si può fare ricorso ai criteri
oggettivi di determinazione del significato.
Le regole sulla interpretazione secondo l’organizzazione gerarchica disposto dal codice sono:
Per l’interpretazione il contratto vige il principio del cosiddetto gradualismo applicato dalla
giurisprudenza, secondo cui le regole di ermeneutica contrattuale sono considerate elencate
secondo un ordine gerarchico. I realtà il criterio della gradualità e da intendere nel limitato
senso che non può proceder sì ad interpretazioni aggettivo se l’interprete è soggettiva
condotta la definizione la comune volontà delle parti. E questo un principio di limite
all’intervento del giudice in contrasto autonomia privata,. I vari criteri soggettivi sono però
complementari: concorrono ed operano con eguale rilevanza nella ricerca della comune
intenzione delle parti. Essendo interpretazione soggettiva rivolta alla ricostruzione del senso
di un autoregolamento, il comportamento le parti la presente essenziale criterio di
determinazione del significato che le parti stesse hanno inteso attribuire ad un proprio atto.
Il procedimento ermeneutico si conclude con due regole finali (articolo 1371). Quando i
criteri di interpretazione soggettiva e quelli di interpretazione oggettiva non consentono di
assegnare un senso al contenuto contrattuale, che permane scure, questo deve essere
inteso nel modo meno gravoso per l’obbligato se è a titolo gratuito nel senso che realizzi
l’equo con temperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso.
B) Qualificazione.
Interpretato e quindi definito il contenuto contrattuale, c’è da determinare gli effetti che
l’ordinamento vi attribuisce. In tale direzione si rivela l’essenzialità della qualificazione dell’atto di
autonomia.
Con la qualificazione giuridica si compie la riconduzione del concreto contenuto contrattuale alla
realtà normativa, con l’attribuzione del nomen iuris, in funzione degli effetti da ricollegarvi. L’esito di
tale operazione può essere la riconduzione della fattispecie concreta ad uno tipi legali previsti dalla
legge: in tal caso il contratto è qualificato come tipico, assumendo il nomen iuris del singolo schema
contrattuale cui è ridotto (es. un contratto di trasferimento della proprietà verso il pagamento del
prezzo, risulta essere riconducibile alla vendita.)
(C) Integrazione.
A seguito della qualificazione, quando il contratto nel suo insieme supera la verifica ordinamentale,
conseguono gli effetti giuridici. Tali effetti sono conformati secondo lo scopo pratico perseguito dai
privati con il contratto, per essere in generale riconosciuto il diritto dei privati di autoregolare i
propri interessi. Regola fondamentale, art. 1374 “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel
medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in
mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Egualmente rilevante è l’articolo successivo, che impone la
esecuzione del contratto secondo buona fede. Lo stesso articolo introduce un principio generale di
gerarchia tra le fonti di integrazione del contratto, ponendo al primo posto la legge e in assenza di
questa gli usi e l’equità. Oggi alla sommità della scala gerarchica c’è la Costituzione e l’ordinamento
dell’UE.
6 EFFICACIA.
Efficacia e inefficacia.
Si è visto come, in generale, gli effetti giuridici esprimano la risposta dell’ordinamento all’agire dei
soggetti, secondo l’ordine di valori storicamente operante.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica: in particolare gli effetti derivanti dal
contratto sono in funzione di realizzazione dell’intento delle parti alla stregua e con l’integrazione
dei valori espressi dall’ordinamento.
Recesso.
Il recesso è un negozio unilaterale con il quale una parte dichiara di sciogliersi unilateralmente dal
contratto prima della scadenza. E’ espressivo di un diritto potestativo, a fronte del cui esercizio, la
controparte deve soggiacere. L’art. 1373 contiene lo statuto generale del recesso:
1) L’art. 1373 “se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà
può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
Il recesso di fonte legale ha specifici presupposti e va esercitato con le modalità previste
dalla legge.
Il codice civile, in relazione ad alcuni tipi di contratto consente un diritto di recesso
esercitabile anche dopo la esecuzione del contratto, esempi sono: diritto del committente di
recedere dal contratto di appalto o dal contratto d'opera tendendo indenne la controparte
dalle spese sostenute, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.
2) Nei contratti di durata il recesso può essere esercitato anche dopo l’inizio dell’esecuzione,
ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (1373, c.2).
3) Le parti possono pattuire un corrispettivo per l’esercito del recesso, che si configura come
prezzo del recesso. Se il corrispettivo è versato all’atto della stipulazione del contratto, si ha
caparra penitenziale: il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella
che ha ricevuto (1386). Se il corrispettivo andrà versato al momento del recesso, si ha multa
penitenziale: il recesso ha effetto quando la prestazione del corrispettivo è eseguita (1373,
c.3)
a) Quanto alla fonte; il diritto di recesso può avere fonte convenzionale o legale:
- Se è di fonte convenzionale sono le stesse parti ad attribuire a entrambe o a uno di esse il
potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto: il recesso è dunque a base volontaria.
- Se è di fonte legale è la legge che attribuisce il potere di sciogliessi unilateralmente dal
contratto. Ad es. quando sopravvengono eventi considerati dalla legge in grado di
compromettere l’interesse della parte alla realizzazione del regolamento contrattuale
programmato.
b) Quanto alla funzione: esistono due fondamentali modelli di recesso, di pentimento e per
giusta causa, a seconda che il relativo esercizio sia rimesso alla sola volontà del recedente o
debba rispondere a legittimi motivi:
- Con il recesso per giusta causa ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto [1373]
prima della scadenza del termine. In generale è accordato per il sopravvenire di eventi che
incrinano il rapporto di fiducia tra le parti (es.2237) O modifichino l’assetto di interessi
programmato (Es. Art. 1375) o giustificati da specifiche finalità più parentesi esempio
articolo 1613). Talvolta ricorso della giusta causa è richiesta solo al fine del conseguimento di
determinati effetti: ad esempio, il prestatore d’opera, solo se recede per giusta causa, ha
diritto a rimborso delle spese fatte al compenso per l’opera svolta (articolo 2237).
Frequenti ragioni giuste a casa sono ravvisate in anomalia del rapporto contrattuale, nella
sua rappresentazione Al momento del contratto o nella sua successiva attuazione. E’ in tal
caso accordato il recesso in autotutela, che è un rimedio di pronta tutela del contraente.
(B) Effetti particolari.
Deroga al principio di relatività degli effetti del contratto è il contratto in favore di terzi (art. 1411) in
cui è valida la stipulazione di un contratto a favore di un terzo qualora lo stipulante vi abbia un
interesse. Salvo patto contrario il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della
stipulazione. Questa può essere modificata o revocata dallo stipulante finché il terzo non abbia
dichiarato di volerne profittare. In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di volerne
profittare, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante salvo che diversamente risulti dalla
volontà delle parti o dalla natura del contratto.
Tipologia di effetti.
La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata alla varietà degli interessi
realizzati. Secondo l’art. 1321 è possibile designare gli effetti prodotti dal contratto come
determinativi di vicende costitutive, modificative o estintive di rapporti giuridici a contenuto
patrimoniale. La norma ha riguardo anche alla regolazione di rapporti giuridici. È consentito
realizzare anche un effetto di mero accertamento di situazioni giuridiche esistenti.
Le delineate vicende, prodotte dal contratto, integrano i cd. effetti particolari del contratto
espressivi del regolamento contrattuale quale voluto dalle parti e integrato dall'ordinamento: sono
connaturati al risultato programmato dalle parti come effetti contrattuali. Ad esempio effetti
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particolari del contratto di vendita sono il trasferimento del diritto e la costituzione di obbligazione
per il pagamento del prezzo. Gli effetti possono essere anche interni, nel senso di prodursi tra le sole
parti del contratto, si vedrà poi come sussistono ipotesi in cui è consentito all'autonomia privata di
produrre effetti contrattuali anche verso i terzi. Differenti sono i cd. effetti riflessi, che si realizzano
nei confronti dei terzi: tali effetti esprimono le ripercussioni in capo ai terzi della efficacia diretta del
contratto. Non sono effetti contrattuali, ma mere conseguenze degli stessi. Poi ci sono i c.d. effetti
naturali = elementi naturali.
Delineata la natura degli effetti reali, bisogna esaminare la dinamica degli stessi.
Il nostro ordinamento adotta il principio del cd. consenso traslativo, per cui l’atto dispositivo è, ad
un tempo, causale (in quanto regolato dell’assetto di interessi tra le parti) e traslativo (in quanto,
come tale, determinativo dell’effetto reale tra le stesse). L’effetto traslativo di realizza dunque in
virtù e per effetti del consenso legittimamente espresso.
Per i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di cose determinate, la
costituzione o il trasferimento di un diritto reale o del trasferimento di un altro diritto, l’effetto
traslativo è contestuale alla formazione del consenso. L’articolo 1376, sotto la rubrica di “contratto
d’effetti reali”, prevede solamente che “la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per
effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Il risultato traslativo è dunque prodotto
per effetto del consenso e al momento dello stesso.
Discorso diverso vale per i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo
nel genere. Per l’indeterminatezza della cosa oggetto di trasferimento, non può prodursi l’effetto
reale del trasferimento del diritto prima che intervenga la specificazione della cosa oggetto di
trasferimento (cd. Individuazione), di conseguenza il trasferimento è reso possibile solo tramite
l’impegno assunto dall’alienante di specificare la cosa oggetto del diritto trasferito (art 1378).
Il risultato traslativo il prodotto per effetto del consenso, ma non al momento dello stesso: è
differito ad un momento successivo in conseguenza della individuazione seguita nel modo concordo
tra le parti ma anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere.
Il regime del rischio è modellato sulle cadenza della vicenda traslativa, nel senso di fare sopportare
al titolare del diritto il rischio che la perdita è il deterioramento della cosa alienata: a seguito del
trasferimento del diritto in capo all’acquirente, il perimento della cosa per una causa non imputabile
all’alienante non libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa
non gli sia stata consegnata. Su tale ordine di idee sono anche attestate le scelte della legge
fallimentare, secondo cui, se un contratto è ancora ineseguito O non compiutamente seguito da
entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del
contratto, di regola, rimane sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei
creditori, dichiara di subentrare nel contratto luogo del fallito, assumendo tutti relativi obblighi di
sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti effetti reali, sei già venuto il trasferimento in diritto.
In particolare il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la
rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore: in virtù
del cosiddetto consenso traslativo, il venditore non risponde per il sopravvenire di vizi inerenti una
cosa che non è più in sua proprietà, anorchè non ancora consegnata.
La presenza di vizi comporta una menomazione del valore economico dell’attribuzione traslativa
rispetto all’ammontare del prezzo, così determinando un aggettivo squilibrio del rapporto di
corrispettività danno del compratore.
Gli aventi causa sono coloro che derivano il loro diritto dal diritto di una delle parti, i successori a
titolo particolare. Il diritto dell'avente causa derivando da quello della parte, ne segue le vicende.
Al di fuori di questi soggetti abbiamo coloro che non sono toccati dalle vicende contrattuali: i terzi.
• terzo è colui che non è né parte, né erede o avete causa delle parti
Queste persone non sono quindi toccate dagli effetti del contratto, anche se si è soliti distinguere, in
merito agli effetti contrattuali, tra efficacia diretta e efficacia riflessa; la prima, che è tipica
contrattuale, tocca solo le parti, mentre l'efficacia riflessa si propaga come conseguenza indiretta
della prima, sui terzi.
Abbiamo quindi stabilito che il contratto ha efficacia solo tra le parti e che queste non possono
disporre della sfera giuridica di altri soggetti, i terzi, appunto.
• Questa ovvia affermazione sembra, però essere contraddetta dallo stesso secondo comma
dell'art. 1372 c.c. che permette in certi "casi previsti dalle legge" l'effetto diretto del
contratto anche sui terzi.
Dobbiamo chiederci, allora, quando è possibile che i terzi siano coinvolti in contratti altrui e perché;
Rispondendo alla seconda parte della domanda, osserviamo che quando il contratto ha effetti
favorevoli per il terzo, si permette che possa avere efficacia su di lui, a meno che il terzo non intenda
rifiutare il beneficio. Caso tipico è l'ipotesi prevista dall'art. 1411 del codice civile, il contratto a
favore del terzo, con tutte le sue derivazioni, come ad esempio l'accollo.
Al di fuori del beneficio del terzo, rientrano i casi in cui una parte s'impegna a coinvolgere nel
rapporto contrattuale un terzo; in tal caso abbiamo le ipotesi del contratto per persona da nominare
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(art. 1401 c.c.) e della promessa del fatto di un terzo. Osserviamo, però, che questi due ultimi
contratti non rientrano nella previsione del secondo comma dell'art. 1372, perché qui non c'è alcun
effetto diretto sui terzi, né favorevole né sfavorevole; ce ne occupiamo, quindi, solo per comodità
espositiva.
Esempio dell'effetto riflesso di fatto può essere: Tizio vende a Caio un appartamento. Sempronio,
unico figlio di Tizio non potrà più acquistarlo alla morte del padre jure successionis. L'effetto riflesso
di fatto è una semplice conseguenza del mutamento dell'assetto giuridico introdotto nella realtà è
determinato dal perfezionamento di qualsiasi atto modificativo del mondo giuridico.
Più articolata risulta invece essere l'efficacia riflessa di diritto. È riconducibile alla efficacia riflessa di
diritto la rilevanza esterna che attiene ai diritti, ai doveri, alle obbligazioni dei terzi. Ad esempio: se
Tizio vende un bene a Caio questo entra a far parte del patrimonio di costui è dunque oggetto della
garanzia patrimoniale generica. I creditori di Caio, terzi rispetto al contratto, potranno far valere i
propri diritti di credito anche sul nuovo acquisto.
Risulta essere quindi palese il vasto ambito di rilevanza degli effetti riflessi del contratto. Effetti che
non si esauriscono esclusivamente con la titolarità di diritti reali e nell'ambito contrattuale, ma
anche alle modalità di estinzione dell'obbligazione. Un esempio potrebbe essere fatto proprio in
merito alla remissione del debito. Essa quando effettuata produce un effetto liberatorio anche nei
confronti degli altri condebitori, a meno che il creditore, al momento della remissione, non abbia
riservato tale diritto di liberazione nei loro confronti.
sicché la sua situazione patrimoniale e le sue qualità personali non sono di certo indifferenti per
quest'ultimo.
C) Forma
ll consenso del ceduto può essere dato anche in via preventiva (art. 1407); tal caso, però, il ceduto
deve essere posto a conoscenza della cessione (la sostituzione deve essere notificata o accettata
D) Effetti della cessione del contratto
Il contraente cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto, a meno che
questo non dichiari di non volerlo liberare. In questo caso il cedente diviene responsabile eventuale
ove sia inadempiente il cessionario (art. 1408).
Il cessionario è sostituito nella posizione del cedente, perciò il contraente ceduto può opporre al
cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, non però quelle fondate sui rapporti personali
col cedente e non dipendenti dal contratto (art. 1409). come nella cessione dei crediti, anche in
questo caso il cedente è tenuto garantire il nomen verum ossia l'esistenza di un contratto valido. Se
ha assunto anche la garanzia dell'adempimento del contratto (nomen bonum), egli risponde come
un fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto (art. 1410).
Subcontratto.
Diversamente si atteggia il subcontratto o contratto derivativo, di cui manca una generale disciplina.
Il subcontratto consente ad una parte contraente di riutilizzare la propria posizione contrattuale per
attivare in forza di questa una nuova operazione economica con altro soggetto in virtù di un
contratto che dipende dal contratto originario. Il subcontratto talvolta deve essere autorizzato
dall'altro contraente, esempio subappalto, altre volte non richiede autorizzazione, salvo patto
contrario esempio sublocazione.
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto tra i contraenti che hanno
concluso il contratto rimane in vita e continua ad operare. Su questo si innesta un nuovo rapporto
tra uno dei contraenti originari e il terzo anche a condizioni diverse rispetto al contratto originario.
Ma tale nuovo rapporto è derivativo dal rapporto base, che rimane in piedi, dunque è subordinato
allo stesso. Perciò il subcontratto è destinato a subire le sorti del contratto base. Non può avere una
durata maggiore del contratto base e viene meno se invalido, o comunque diviene inefficace il
contratto base.
L'opponibilità.
Uno specifico angolo di osservazione degli effetti del contratto nei rapporti con i terzi, è quello del
conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi all'ipotesi che un soggetto alieni un suo bene prima ad un
acquirente e successivamente ad un diverso acquirente. Il secondo acquisto è incompatibile con il
primo. In entrambi i casi gli acquirenti vantano un titolo di acquisto a proprio favore. C'è dunque
incompatibilità di diritti derivante da incompatibilità di titoli acquisitivi. Un generale criterio logico
dovrebbe condurre a preferire il soggetto che prima ha acquistato il diritto e che dunque ha per
primo concluso il contratto. Il titolare di un diritto, alienato lo stesso, non potrebbe di nuovo
alienare il medesimo diritto a un diverso soggetto, per non esserne più titolare. Ma sono molte le
deroghe legali a tale principio in ragione di più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo
sviluppo economico. In ragione di ciò può avvenire che un contratto, pur validamente concluso ed
efficace tra le parti, sia considerato inefficace nei confronti di determinati terzi. Il fenomeno è
indicato con il termine inopponibilità del contratto ai terzi. Il conflitto è risolto rendendo uno dei
contratti inefficace nei riguardi di un determinato avente causa o verso determinati terzi che vantino
una situazione giuridica incompatibile con gli effetti del contratto.
B) Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che ne ha
acquistato in buona fede il possesso è preferito agli altri anche se il suo titolo è di data posteriore.
C) Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il godimento spetta al
contraente che per primo lo ha eseguito. Se nessuno dei contraenti ha eseguito il godimento è
preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore.
D) tra più aventi causa del diritto di credito, prevale la cessione notificata per prima al debitore o
quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto di data certa.
L'autore di più atti dispositivi, cioè chi aliena uno stesso diritto prima ad un soggetto e poi ad un
terzo, risponde verso il primo avente causa per inadempimento del contratto ed è dunque tenuto al
risarcimento del danno. Anche il secondo avente causa è tenuto al risarcimento del danno se in
mala fede.
7 ESECUZIONE.
In questa ipotesi, l’effetto traslativo non esaurisce l’assetto di interessi, sussistendo altre
determinazioni che devono essere eseguite attraverso il comportamento delle parti. (es. il contratto
non si limita a disporre il trasferimento del diritto, che si realizza con il consenso, ma prevede anche
l'obbligazione di consegnare la cosa venduta e la obbligazione del compratore di pagare il prezzo.
La regola specifica e fondamentale sull’esecuzione del contratto è nell’art. 1375 secondo il quale “il
contratto deve essere eseguito secondo buona fede (oggettiva)”.
L’esatta esecuzione del contratto comporta l’esatta attuazione di tutti gli obblighi inerenti alla singola
fattispecie contrattuale.
In tal senso svolge un ruolo fondamentale la buona fede oggettiva. Le parti nella esecuzione del
contratto devono avere un comportamento ispirato ai canoni di lealtà e correttezza come
esplicazione del dovere di solidarietà sociale, dovendo salvaguardare la posizione contrattuale
altrui. La violazione della buona fede oggettiva comporta inadempimento del contratto e determina
dunque la responsabilità contrattuale del trasgressore.
Modalità dell’esecuzione.
Per cogliere la dinamica della esecuzione del contratto bisogna avere riguardo alle modalità di
esecuzione delle singole attribuzioni delle parti, espressamente programmate o dovute per legge:
dovuto, satisfattivo della controparte, si esaurisca in un solo atto o si svolga attraverso un contegno
che si protrae nel tempo:
al giudice può essere esercitato d’ufficio. Ulteriore problema è quello di utilizzare la clausola
penale come negozio in frode alla legge al fine di aggirare l'art. 1129 pattuendo una
prestazione irrisoria rispetto al danno conseguente. In tal modo la clausola penale viene
considerata nulla per illiceità della causa.
• Caparra confirmatoria: dopo la conclusione del contratto può emergere nei contraenti
l’interesse a non adempiere il contratto perché si intende alienare o acquistare ad un prezzo
più conveniente o con modalità di esecuzione più convenienti o perché la controparte si è
resa inadempiente. La caparra tende a rafforzare la serietà dell’impegno con il versamento
anticipato che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una quantità di altre cose
fungibili al momento della conclusione del contratto in quanto, in caso di inadempimento di
una delle parti, funge da mezzo di risarcimento per la mancata esecuzione del contratto. In
caso di adempimento, la caparra non svolge alcuna funzione. Se la parte che ha dato la
caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra a titolo di
risarcimento danni; se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal
contratto ed esigere il doppio della caparra versata, sempre a titolo di risarcimento danni
(1385). In entrambe le ipotesi è sufficiente alla parte che invoca l'inadempimento della
controparte allegare l'altrui inadempimento, l'altra parte deve fornire la prova di aver
esattamente eseguito il contratto. La legge accorda al soggetto non inadempiente due
distinte tutele: quella specifica del recesso, con la ritenzione della caparra; quella generale
della risoluzione o esecuzione del contratto, con il risarcimento del danno. Il recesso in
esame è un recesso in autotutela, rimedio rapido senza ricorso all’apparato giudiziario.
Diversa è la caparra penitenziale la quale ha funzione di corrispettivo del recesso di
pentimento senza alcun riguardo al verificarsi di un inadempimento del contratto, la parte
che lo recede perde la caparra o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto. Diverso
ancora è il cd. deposito cauzionale, che ha la funzione di garantire un eventuale obbligo del
cauzionante verso la controparte in relazione all’esecuzione.
a) L’ipotesi più agevole è quella della sopravvenienza regolata dalla legge, rispetto alle quale la legge
stessa appresta i relativi rimedi; con riguardo ai contratti a prestazioni corrispettive, il codice
disciplina due principali figure di sopravvenienze non imputabili alle parti ovvero la sopravvenuta
impossibilità della prestazione e la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione di una delle
parti. Per ciascuna delle due figure è apprestato un rimedio distruttivo del contratto, comportante la
inefficacia del rapporto contrattuale, in alcune ipotesi evitabile con la ricostruzione dell’equilibrio
originario.
In modo più specifico la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta
non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che già abbia ricevuto.
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto
a una corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto
quando non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Relativamente ai contratti di
durata o a esecuzione differita il sopravvenire di avvenimenti straordinari e imprevedibili che
rendono la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa consente alla parte tenuta a tale
prestazione di domandare la risoluzione del contratto, la controparte può evitarla offrendo di
modificare equamente le condizioni del contratto.
b) Può anche avvenire che singole sopravvenienze siano tenute presenti dalle parti al momento del
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c) Più complessa è la gestione delle sopravvenienze in assenza di previsione: quando cioè, per un
verso, non operano criteri convenzionali preventivi di gestione e regolazione delle sopravvenienze;
per altro verso, non operano rimedi legali ovvero sussistano solo rimedi demolitori del contratto e la
parte interessata non intende avvalersi degli stessi in quanto non ha interesse allo scioglimento del
contratto ma alla sua conservazione ed esecuzione.
Si rinvia sempre al principio di buona fede oggettiva. Si tende a privilegiare i rimedi manutentori del
contratto su quelli demolitori. In sostanza, in presenza di sopravvenienze che rendano l’assetto di
interessi non più ragguagliabile a quello precedente, è consentito a ciascuna parte invocare la
revisione del contratto e specificatamente chiedere la rinegoziazione per l’adeguamento dello stesso
all’originario programma contrattuale.
Deve trattarsi di avvenimenti sopravvenuti, imprevisti e imprevedibili. In ipotesi di diniego di
rinegoziare il contratto pure in presenza di sopravvenienze impreviste si può ammette. In generale
non può ammettersi che il giudice possa riscrivere il contratto in sostituzione delle parti poiché in tal
modo si violerebbe il principio dell'autonomia dei privati.
Si può però ammettere, in applicazione del principio di buona fede, un intervento giudiziario
sostitutivo della rinegoziazione quando l’adeguamento del contratto è reso possibile attraverso
l’ancoraggio a parametri oggettivi. Il giudice verificato l'insorgere delle sopravvenienze può solo
valutare se il comportamento della parte ostativo alla rinegoziazione sia o meno conforme alla
buona fede, sanzionando con il risarcimento del danno la condotta della parte contraria alla buona
fede. A fronte di un diniego di rinegoziazione in contrasto con il principio di buona fede, può
consentirsi alla controparte il recesso dal contratto in via di autotutela.
Tratto comune della sostituzione nell’attività giuridica altrui è la gestione dell’interesse altrui, che ne
incarna il profilo sostanziale (cd. rapporto gestorio). Tale attività può essere svolta quale funzione, in
ottemperanza di un obbligo di legge (es. potestà genitoriale) o in attuazione di un incarico o per
iniziativa del gestore stesso. Al dato di carattere sostanziale di cura dell'interesse altrui, se ne
accompagna un altro, di carattere formale, costituito da un potere del gestore di incidere senz’altro
la sfera giuridica del soggetto interessato, riversando nella sfera altrui gli effetti degli atti compiuti: è
questo il fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, con il quale ad un soggetto è conferito il
potere rappresentativo di altro soggetto.
Quanto alla fonte del potere di rappresentanza lo stesso può essere conferito dalla legge
(rappresentanza legale) oppure dall’interessato (rappresentanza volontaria, procura), (1387).
(A) Rappresentanza
Rappresentanza e gestione
La gestione (specificamente il mandato) è il regolamento di interessi tra sostituito e sostituto,
mentre la rappresentanza (fondata sulla procura) è la legittimazione a spendere il nome altrui.
a) La Rappresentanza (diretta) è caratterizzata dalla spendita del nome altrui (cd. contemplatio
domini). Si realizza una gestione qualificata dell’interesse altrui per agire il gestore, non solo
nell’interesse di un soggetto diverso, ma anche in suo nome. In tal guisa, alla qualifica di gestore
dell’interesse altrui si aggiunge quella di rappresentante del soggetto interessato; correlativamente,
alla qualifica di soggetto gerito si connette quella di rappresentato.
Il negozio è concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato e perciò
produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (1388), sicché questi assume
immediatamente la titolarità dei rapporti derivanti dal contratto stesso. Il rappresentante è solo
parte formale del negozio rappresentativo; la parte sostanziale è il soggetto interessato. Ad esempio
l'acquisto di un bene in nome e per conto altrui comporta che gli effetti del contratto di vendita si
producano direttamente tra venditore e soggetto rappresentato (compratore), per cui in capo allo
stesso rappresentato si realizza il trasferimento della proprietà acquistata e nasce l'obbligazione del
pagamento del prezzo. Con riguardo a tale negozio è il rappresentante che elabora la volontà
negoziale e la dichiara, su istruzioni del soggetto rappresentato nel cui interesse è esercitato il
potere rappresentativo. Ad esempio è conferito al rappresentante il potere di acquistare un
appartamento con alcune caratteristiche in una specifica città ad un prezzo non superiore ad una
determinata somma; oppure di vendere un appartamento ad un prezzo non inferiore ad una
determinata somma. Sta al rappresentante ricercare e individuare il soggetto in grado di compiere il
contratto secondo le generali indicazioni ricevute dal rappresentato.
b) La gestione (rappresentanza indiretta) realizza una interposizione reale o gestoria di persona, per
cui un soggetto agisce nell’interesse altrui ma non in nome proprio. Il contratto così concluso dal
gestore produce effetti nella sfera giuridica del gestore stesso: in virtù del rapporto gestorio che lega
il gestore al soggetto interessato, il gestore è obbligato a riversare poi gli effetti del contratto dalla
sua sfera giuridica in quella del soggetto interessato (gerito). Il contratto regolatore del rapporto
gestorio più diffuso è il mandato che si distingue in mandato con rappresentanza, si applica la
disciplina sulla rappresentanza (1704) e mandato senza rappresentanza, i terzi non hanno rapporto
col mandante (1705). Solo quando i beni acquistati dal mandatario sono immobili o mobili registrati,
il mandatario ne acquista la proprietà ed è dunque obbligato a ritrasferirla al mandante. In caso di
inadempimento si osservano le norme relative all'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un
contratto. Il mandante può ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto
non concluso. Inoltre la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica vale a rendere il
diritto del mandante prevalente rispetto a trascrizioni o iscrizioni eseguite contro il mandatario
dopo la trascrizione della domanda.
Quando la gestione dell’interesse altrui non involge beni soggetti a pubblicità, al mandante sono
accordati rimedi di tutela diretta del suo interesse, al fine di fare propri i rapporti derivanti dal
contratto. E così il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario
che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede
(1706). Il mandante, sostituendosi al mandatario può esercitare i diritti di credito derivanti
dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario. In
definitiva sussistono varie aree di tutela diretta del mandante anche in presenza di mandato senza
rappresentanza.
d) su un piano diverso si pone la figura del nuncius (portavoce): lo stesso si limita materialmente a
trasmettere una dichiarazione di volontà altrui, senza contribuire all’elaborazione della volontà
negoziale.
La procura.
La procura è la fonte del potere di rappresentanza. E’ in particolare il negozio unilaterale con il quale
è conferito il potere di rappresentanza (1387), autorizzandosi un soggetto (procuratore) ad agire in
sostituzione dell’interessato e dunque a rappresentarlo, compiendo atti giuridici in suo nome.
Quanto ai soggetti, la procura può provenire da un solo soggetto verso un solo rappresentante
(procura semplice) o può involgere una pluralità di soggetti rappresentati e/o rappresentanti: può
essere rilasciata da più soggetti o conferita a più soggetti (c.d. procura collettiva). In quest’ultimo
caso la procura può essere disgiuntiva o congiuntiva a seconda che i vari procuratori siano obbligati
ad agire insieme o siano autorizzati ad agire anche separatamente. In assenza di una specifica
disciplina possibile applicare la disciplina de mandato con pluralità di mandati.
Quanto alla forma, la procura, come del resto ogni dichiarazione di volontà, può essere espressa o
tacita. Peraltro, essendo la procura un negozio orientato alla stipula di un contratto successivo, la
forma della stessa è vincolata al contratto da concludere. La procura non ha effetto se non è
conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.
Quanto all’oggetto, la procura può essere speciale o generale. E’ speciale se ha riguardo ad un
singolo atto o ad un singolo affare. E’ generale se ha riguardo a tutti gli affari del rappresentato o,
almeno, a tutti gli atti relativi ad una sfera di rapporti del rappresentato. In assenza di una disciplina
specifica in tema di rappresentanza ci si può rifare all'applicazione delle regole in tema di mandato.
verifica di validità del contratto bisogna verificare come la legge imputa ai due soggetti i requisiti
soggettivi di validità del negozio concluso e la rilevanza che attribuisce agli apporti dei due soggetti.
b) Con riguardo ai vizi della volontà, si è anticipato che la legge riferisce al rappresentante la
elaborazione della volontà negoziale: per l’art. 1390 il contratto è annullabile se è viziata la volontà
del rappresentante. Quando il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto
è annullabile se era viziata la volontà di questo (1390).
c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione dei vizi della volontà. Per
l’art. 1392, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di scienza o d’ignoranza di determinate
circostanze, si deve avere riguardo alla persona del rappresentante.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato d’ignoranza o di buona
fede del rappresentato (1391).
a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal rappresentante in
nome e nell’interesse del rappresentato produce effetti nei confronti del rappresentato nei limiti
delle facoltà conferitegli (1388).; pertanto chi agisce privo di poteri rappresentativi pone in essere
un contratto non efficace per il rappresentato (1398); il contratto stipulato dal falso rappresentante
è sempre inefficace, non potendosi riferire né al rappresentato né al rappresentante.
c) Per quanto riguarda la posizione del rappresentato, questo non può essere obbligato
ad osservare il contratto concluso dal falso rappresentante, ma potrebbe comunque
essere interessato a questo nel caso in cui il contratto sia conveniente.
In tal modo è consentito al rappresentato di far proprio il contratto concluso dal falso
rappresentate attraverso la ratifica. La ratifica è un negozio unilaterale con il quale il
rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulati dal falso rappresentate. Con la
ratifica è come se il falso rappresentate avesse avuto sin da subito la procura. La ratifica
può essere espressa o tacita e deve avere la forma del negozio da ratificare, se per
questo è prevista una forma solenne.
La rappresentanza apparente.
È la situazione in cui un soggetto si comporta come rappresentante di un’altra persona, senza però
averne il potere, ma il modo con cui esercita quest’attività e la colpa del falsamente rappresentato,
ingenerano nei terzi ignari della realtà, il ragionevole affidamento circa l’esistenza della
rappresentanza, vincolando così il rappresentato apparente all’attività compiuta in suo nome dal
rappresentante apparente.
Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, e la colpa può risiedere nell’aver dato
causa alla situazione di apparenza o anche solo di aver tollerato l’esistenza di una situazione
conosciuta di apparenza senza rimuoverla. Mi entrambi i casi l’apparenza prevale sulla realtà: A
tutela del terzo il contratto è considerato efficace anche in assenza di procura, il comportamento
colposo del soggetto (falsamente) rappresentato è sanzionato con l’efficacia dell’atto compiuto dal
falso rappresentante.
insorgono successivamente alla stipulazione del contratto sono sopravvenute, per riguardare
l’attuazione del contratto, in funzione dello svolgimento dell’assetto di interessi programmato.
Analizziamo le anomalie genetiche.
a) La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene contro gli autori dell’atto.
Se la reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte dell’atto c’è mera irregolarità
del negozio, che produce normalmente i suoi effetti, Es. evasione di imposte di bollo
b) La reazione contro l’atto incide sulla efficacia dell’atto, privando l’atto senz’altro degli effetti o
connettendovi effetti precari in quanto destinati alla caducazione. Tale tipo di reazione comporta la
inefficacia del negozio (privazione di effetti).
Sono varie le ipotesi di contrarietà dell’atto all’ordinamento dalle quali deriva la inefficacia del
contratto. Tali anomalie possono ricondursi a due generali categorie giuridiche, a seconda che
l’anomalia inerisca alla conclusione o all’esecuzione del contratto: nella prima direzione operano la
invalidità, nelle due specie della nullità e annullabilità e la rescissione; nella seconda direzione
operano la risoluzione e l’autotutela.
Su un diverso piano si colloca la manovra volontaria degli effetti del contratto che dà luogo alla
inefficacia in senso stretto. Comune conseguenza a tutte le ipotesi di inefficacia del contratto è la
ripetibilità delle attribuzioni eseguite (indebito oggettivo, 2033), in quanto, con la inefficacia
dell’atto, le attribuzioni sono prive di causa giustificativa e vanno dunque restituite.
Inesistenza e invalidità
A) L’Inesistenza. Ove si intenda a mettere tale categoria, non è in discussione l’assenza di uno
degli elementi che l’ordinamento richiede per il perfezionamento dell’atto, ma la stessa
identificabilità della fattispecie realizzata come atto di autonomia privata. E cioè postina
essere un atto che, già nella valutazione sociale, non si presenta idoneo a realizzare un
regolamento di interessi, in quanto anche giuridicamente il negozio risulta inesistente (Il
classico esempio della tradizione era il matrimonio tra persone dello stesso sesso).
B) L'invalidità Opera con riferimento a contratti esistenti e cioè socialmente identificati come
atti di autonomia privata, ma difformi all’ordinamento giuridico. L’atto, benché in grado di
operare nella realtà sociale, è valutato negativamente dall’ordinamento per contrarietà ai
“valori” fondanti o anche solo a specifiche regole organizzative.
Le cause di invalidità attengono, da un lato, a vizi di forma dell’atto e cioè con riferimento
all’attività rappresentativa e al documento; dall’altro, a vizi di sostanza dell’atto e cioè con
riguardo al contenuto dell’atto e al contesto in cui è maturato oltre he alla persona degli
autori. La invalidità si articola in due specie: la nullità e l’annullabilità.
La nullità determina l’inefficacia originaria e automatica del negozio; l’annullabilità
comporta la precarietà degli effetti dell’atto, che possono essere caducati dall’autorità
giudiziaria. La comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in ragione di due
fondamentali criteri: il tipo di illegalità, e perciò la natura degli interessi coinvolti e lesi;
l’impatto sociale dell’atto, e dunque l’affidamento che lo stesso è in grado di suscitare e in
realtà determina.
(A) Nullità
Configurazione di nullità.
La nullità è la specie più grave di invalidità. L’atto di autonomia privata è considerato
inidoneo A realizzare interessi perseguiti in quanto attua un disvalore rispetto
all’ordinamento. L’atto nasce nullo e dunque privo di effetti.
a. Il fondamento della nullità sta nella rilevanza degli interessi coinvolti il leasing: l’atto è in
contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento.
b. L’azione di nullità, salvo diverse disposizioni di legge, può essere esercitata, e quindi la
nullità fatta valere, da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Di conseguenza la nullità ha una legittimazione assoluta, ma è necessario avervi interesse,
pertanto chi invoca la nullità deve allegare il proprio interesse alla dichiarazione di nullità.
c. Gli effetti della sentenza consistono nell’accertamento della nullità del negozio e dunque
della inefficacia originaria dello stesso: trattasi di una sentenza dichiarativa. Per la regola
generale dell’articolo 1338, la parte che, conoscendo dovendo conoscere la causa di nullità,
non ne ha dato notizia all’altra è tenuto a risarcire il danno da questa risentito per aver
confidato senza sua colpa nella validità del negozio. Di regola la dichiarazione di nullità opera
retroattivamente, così tra le parti come verso i terzi, travolgendo di regola tutti gli atti sono
stati successivamente compiuti in conseguenza il contratto nullo.
d. Inoltre per l’articolo 1422 l’azione per far dichiarare la nullità e imprescrittibile.
Le cause di nullità.
Le nullità di protezione.
La nullità è impiegata sempre più di frequente a tutela di qualificate posizioni giuridiche soggettive
socialmente deboli o comunque deboli nei rapporti di mercato sì da subire l’abuso di posizioni
dominanti, in grado di imporre i propri schemi contrattuali. Tale tutela si svolge in una duplice
direzione.
• Innanzi tutto incidendo sulla fattispecie e sanzionando con la nullità le clausole considerate
vessatorie o comunque espressive di abuso di posizione dominante, con l'eliminazione di
singole clausole contrattuali e la sostituzione di altre.
• Mediante gli obblighi di informazione precontrattuale a carico di soggetti forti del mercato.
(banche, assicurazioni, ecc.).
Si è arrivati ad utilizzare la nullità per sanzionare così l'inosservanza di molti obblighi imposti
durante la formazione del contratto.
Molto spesso così le due tecniche sanzionatorie si sovrappongono operando insieme e
contemporaneamente. Entrambe tendono ad attribuire alla nullità la funzione di protezione di
interessi qualificati. Perciò tali nullità si qualificano come relativa per poter essere rilevate dal solo
soggetto appartenente alla categoria nel cui interesse sono previste, oltre che dal giudice. Ad
esempio in tema di contratti dei consumatori, la nullità delle clausole vessatorie opera solo a
vantaggio dei consumatori e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tali nullità sono di regola
insanabili e parziali.
Il principio generale di conservazione dell’attività giuridica, per cui, nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, trova
applicazione anche con riguardo ai negozi nulli, al fine di non disperdere l’attività negoziale.
a. Conversione del contratto nullo. (Art 1424) È un istituto che permette di salvare il negozio
nullo trasformandolo in un contratto diverso.
Nella conversione sostanziale devono correre due fondamentali presupposti:
- Il contratto nullo deve avere requisiti di sostanza e di forma di un contratto diverso
valido.
- Dal contratto nullo deve emergere una volontà ipotetica.
b. Nullità parziale. La nullità può essere totale o parziale asseconda che neri scale intero
contratto singole clausole. Per l’articolo 1419 la nullità parziale importa la nullità dell’intero
contratto solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso, senza quella parte del
suo contenuto che è colpita dalla nullità. In realtà bisogna verificare se il contratto, depurato
dalla clausola nulla, attui un assetto di interessi congruente con la causa concreta.
In ragione del principio di conservazione del contratto è la parte che invoca la nullità totale a
dover fornire la prova dell’estensione della nullità parziale all’intero contratto.
Di conseguenza la nullità di singole clausole importa la nullità del contratto quando le
clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
c. Contratto plurilaterale: Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni
di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il
vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione
di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. È questa una regola
fondamentale dei contratti con comunione di scopo;(società, consorzi, ecc.). Bisogna
verificare se la liberazione di una singola parte consenta al contratto di attuare egualmente
lo scopo comune programmato.
d. sanatoria: il negozio nullo non può essere sanato attraverso un negozio di convalida tranne
che la legge non disponga diversamente.
(B) Annullabilità.
Configurazione dell’annullabilità.
L’annullabilità È la specie è meno grave di invalidità. L’atto di autonomia privata è considerato
idoneo a realizzare interessi perseguiti. L’atto dunque produce effetti, ma gli stessi non sono stabili.
Le cause di annullabilità.
Le cause di annullabilità sono tassativamente previste dalla legge, a differenza della nullità.
a) Incapacità di agire: si è visto come la capacita di agire sia l’attitudine a compiere atti giuridici, che
di regola di acquista con la maggiore età.
Per l’art. 1425 il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare. Il
riferimento alla incapacità legale rende manifesto che sono annullabili gli atti compiuti da minori
(322) e da interdetti nei limiti fissati dall’art. 427; sono annullabili gli atti di straordinaria
amministrazione compiuti dal minore emancipato e dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore
(396-427).
b) Vizi del consenso: per l’art. 1427 il contraente cui il consenso fu dato per errore, estorto con
violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto.
c) Altre ipotesi: sono cause particolari di annullabilità, per riferirsi a specifiche fattispecie
espressamente sanzionate dalla legge con l’annullabilità. Si pensi ad es. al contratto stipulato dal
rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato: il contratto può essere annullato su
domanda del rappresentato, se il conflitto era riconosciuto o riconoscibile dal terzo (1394, 1395).
Conservazione del negozio annullabile. Come Per il contratto nullo, anche per il contratto
annullabile, operano strumenti di conservazione dell’attività negoziale. A differenza però della
nullità, la conservazione riguarda, non una parte o un contenuto minore dell’attività negoziale, ma
lo stesso negozio annullabile nella sua interezza.
C)Rescissione
1) Innanzitutto lo stato di pericolo: deve ricorrere alla necessità, deve essere attuale, e
notevole cioè da farti avere un danno grave alla persona.
2) Inoltre le condizioni inique del contratto devono emergere dal testo e dal contesto del
contratto.
3) Infine la conoscenza della controparte dello stato di pericolo di cui intende approfittare
b. Rescissione in stato di bisogno. Per la sua rilevanza devono ricorrere, simultaneamente, tre
presupposti
1) innanzi tutto lo stato di bisogno di una parte che li induce un accettare le condizioni
inique.
2) Inoltre la sproporzione tra le due prestazioni oltre la metà del valore che la prestazione
seguito o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
3) Infine la profittare della controparte dello stato di bisogno di cui era consapevole, per
trarne vantaggio.
10 ANOMALIE SOPRAVVENUTE.
Poiché la realizzazione dello scopo perseguito dalle parti passa attraverso l'adempimento delle
obbligazioni, può avvenire che il rapporto contrattuale non sia attuato o sia inesattamente attuato a
causa del mancato adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto o per il sopravvenire di
fatti comportanti una impossibilità o difficoltà nell'adempimento o inesatto adempimento delle
obbligazioni. Una particolare disciplina è prevista per i contratti a prestazioni corrispettive. Essi sono
caratterizzati dalla presenza di due prestazioni, vincolate da un nesso di reciprocità, per cui la
prestazione di una parte viene posta in essere in conseguenza della prestazione della controparte
(Es. nella vendita, la consegna di un bene si ha con il pagamento del prezzo). Pertanto se il rapporto
di corrispettività viene meno, l'ordinamento prevede due strumenti per i soggetti:
• L'autotutela, con il quale un soggetto può difendere autonomamente il proprio diritto;
• L'eterotutela, con la quale un soggetto può difendere un proprio diritto ricorrendo
all'apparato giudiziario;
Per quanto riguarda la funzione, facciamo una distinzione tra tecniche manutentive con le quali si
mira a conservare il contratto con le opportune modificazioni, e tecniche demolitive con le quali si
mira alla risoluzione del contratto.
(A) Autotutela.
Si è già accennato all’autotutela privata, quale rimedio accordato dall’ordinamento ai privati per la
soluzione di una controversia senza il ricorso all’autorità giudiziaria e dunque al processo. Anche
nella materia contrattuale esiste una vasta area cui è consentito alle parti autotutela per propri
interessi senza il ricorso all’apparato giudiziario
b. L’autotutela assume invece, significato e funzioni pregnanti quando consente alla singola
parte di autotutelare i propri interessi, non solo senza il ricorso a un apparato terzo, ma
anche in assenza del consenso della controparte ed anzi contro la sua volontà. E’ questa
l’autotutela in senso stretto, che si configura come autotutela unilaterale, esercitata da una
parte nei confronti dell’altra, anche contro la sua volontà. Il diritto di autotutela si configura
come diritto potestativo, per il potere accordato al singolo contraente di determinare
unilateralmente il mutamento di una situazione giuridica, cui corrisponde una posizione di
soggezione del titolare della posizione passiva. E’ di questo che parleremo. Poiché non è
consentito farsi giustizia da se con ingiusta lesione degli interessi altrui, la tutela unilaterale è
uno strumento disciplinato dall’ordinamento: è l’ordinamento stesso che attribuisce ai
privati il diritto di autotutela, quale potere unilaterale di tutela immediata e diretta dei
propri interessi. Come per l'esercizio di ogni diritto anche per l'esplicazione dell'autotutela si
annida il pericolo di abuso della stessa. Quando nasce contestazione tra le parti circa il
corretto utilizzo di tale strumento unilaterale, spetterà all’autorità giudiziaria accertare se i
poteri di autotutela accordati sono stati esercitati in conformità con l’ordinamento (c.d.
sentenza di accertamento).
Venendo alla tipologia dell’autotutela, distinguiamo tra preservazione della corrispettività e
definizione della controversia.
per la liberazione della cosa, alla scadenza della quale, se la cosa non è libera il contratto è risoluto
con obbligo del venditore di risarcire il danno.
• b) Mutamento nelle condizioni patrimoniali: tale rimedio risponde ad una logica diversa: c’è
il pericolo che una prestazione non possa essere eseguita per incapacità patrimoniale. Per
l’art. 1461 ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta,
se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono diventate tali da porre in evidente
pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia stata prestata idonea
garanzia. Non devono ricorrere i presupposti dell’inadempimento: determinante è che sia
compromessa la garanzia patrimoniale (2740)
• c) Diritto di ritenzione: si è visto come l’ordinamento, in molte ipotesi accordi al creditore il
diritto a non consegnare la cosa dovuta al proprietario o altro avente diritto finché non è
soddisfatto del suo credito. Con tale rimedio una parte che detiene una cosa induce la
controparte ad adempiere la sua prestazione al fine di conseguire la disponibilità della cosa
trattenuta. Es. nel contratto di trasporto, il vettore può rifiutarsi di consegnare la cosa al
destinatario se questi non paga i crediti derivanti dal trasporto.
• d) Altri rimedi previsti in sede di attuazione del rapporto obbligatorio, come la decadenza
del debitore dal termine e l’opposizione di pagamento, pure si rivelano suscettibili di
applicazione nei contratti a prestazioni corrispettive, per riflettersi le vicende di una
obbligazione sulla obbligazione corrispettiva.
a) Recesso: del recesso già si è detto quale strumento accordo ai contraenti di realizzare lo
scioglimento del contratto. La rescissione può chiedersi per anomalie verificatesi al momento della
conclusione del contratto perché concluso in stato di pericolo o per lesione. Il recesso può
presentarsi nelle due forme di recesso in autotutela e di pentimento.
In questa sede rileva in particolare il recesso in autotutela, quale strumento di tutela unilaterale
accordato ai contraenti in relazione all’attuazione del contratto, vuoi per anomalie insorte circa
l’attuazione (es. inadempimento controparte), vuoi per consentire di sciogliersi dal contratto nei
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(B) Eterotutela.
Generalità.
Si è già anticipato come, per i contratti a prestazioni corrispettive, caratterizzati cioè dalla esistenza
di un nesso di reciprocità tra le prestazioni (sinallagma genetico) è necessario che tale nesso persista
anche durante o lo svolgimento del rapporto contrattuale (cd. sinallagma funzionale). Verificandosi
anomalie nella correlazione tra le prestazioni durante l’esecuzione del contratto, la legge appresta
specifici rimedi di tutela a presidio del nesso di corrispettività.
Si è già detto sopra della c.d. risoluzione consensuale con la quale i contraenti con mutuo consenso
sciolgono il contratto concluso. (1372). In questa sede però si dibatte gli strumenti protettivi che non
vengono assunti con l’accordo delle parti, ma che anzi l’una parte fa valere contro l’altra; con
“eterotutela” ci si vuole riferire alle varie ipotesi, e sono le più diffuse, nelle quali il contraente non
ha a disposizione poteri di tutela immediata e diretta, sì da conseguire autonomamente il
soddisfacimento per la mancata esecuzione del contratto (autotutela). Il contraente, per mancata
attuazione del rapporto contrattuale, ricorre a un apparato terzo (autorità giudiziale statale o
giustizia arbitrale) che verifica le ragioni addotte dalle parti ed emette una decisione di tutela dei
diritti vantati.
Il c.c. fissa tre figure di anomalo svolgimento del rapporto contrattuale nell’attuazione del contratto:
l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’eccessiva onerosità. Tutte sono
racchiuse sotto l’unico capo XIV del Libro Quarto “Della risoluzione del contratto”. In realtà la
risoluzione del contratto rappresenta uno degli strumenti a cordati al contraente per la tutela dei
suoi diritti.
L'inadempimento.
Per delineare l’inadempimento del contratto si deve, dunque, analizzare il complessivo contenuto
dello stesso. Pertanto l'inadempimento può essere definito come inattuazione del regolamento
contrattuale, non procurando uno dei contraenti il risultato programmato nel contratto e/o imposto
dalla legge. L’espressione “inadempimento” è comprensiva sia dell’inadempimento che dell’inesatto
adempimento. Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è necessario che l’obbligazione
non adempiuta sia esigibile, cioè sia scaduto il termine di adempimento dell’obbligazione; l’inesatta
esecuzione delle prestazioni deve esser imputabile alla parte inadempiente (1218). Infine
l’adempimento del contratto deve essere importante e cioè grave, nel senso che non deve avere
scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (1455). Qualora ricorrano inesatte
esecuzioni delle prestazioni da entrambe le parti, bisogna verificare, nel concorso tra le stesse,
quale delle due si riveli prevalente e causalmente determinante della mancata attuazione del
contratto, sì da integrare inadempimento contrattuale. Il contraente che invoca la tutela giudiziaria
per l’inadempimento dell’altro contraente non ha necessità di fornire in giudizio la prova
dell’inadempimento, essendo sufficiente l’allegamento dell’inadempimento (o inesatto).
Risoluzione giudiziale.
Può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento, ma
non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione (1453).
L’impossibilità di mutare la domanda di risoluzione in domanda di adempimento si giustifica per la
ragione che la domanda di risoluzione del contratto denota in chi la propone di non avere più
interesse alla esecuzione del contratto: ciò comporta che la parte inadempiente consideri ormai
inutile apprestare l’adempimento. Correlativamente l’inadempiente, dalla data della domanda di
risoluzione, non può più adempiere la propria obbligazione (1453) in quanto la parte che ha chiesto
la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mercato la prestazione non eseguita dalla controparte.
La domanda di risoluzione è soggetta a prescrizione ordinaria decennale con decorrenza dalla data
di inadempimento.
Il giudice che pronunzia la risoluzione deve verificare i presupposti dell’inadempimento. La sentenza
di risoluzione ha efficacia costituiva in quanto determina l’estinzione del rapporto contrattuale, con
lo scioglimento del vincolo che teneva unite le parti. In assenza di una norma sulla prescrizione, la
domanda di risoluzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, con decorrenza dalla data
dell’inadempimento.
Risoluzione di diritto.
In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè automaticamente, al ricorrere
di determinati presupposti. Tratto comune è il riconoscimento ai privati del potere di realizzare la
risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo
funzione di accertamento dei presupposti della risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto
tende dunque ad una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione per inadempimento.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva
espressa e il termine essenziale.
a) Diffida ad adempiere: in realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in senso stretto, in
quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare unilateralmente la risoluzione del
contratto. Rimanendo una parte inadempiente del contratto, è accordata alla controparte il diritto
potestativo di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare è un
atto unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo scopo di
determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato per iscritto e contenere
la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non può essere inferiore a 15 giorni salvo
diversa pattuizione o salvo che il contratto preveda diversamente e l’avvertimento che decorso il
termine, il contratto si intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia adempiuto,
questo è risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato pone
le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine assegnato, dall'altro vale a
costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di adempire in un congruo termine non
accompagnata da un'espressa dichiarazione che il decorso del tempo comporterà la risoluzione del
contratto non vale come diffida ad adempire ma solo come costituzione in mora, con gli effetti
propri di questa. Anche la diffida ad adempiere è esercitabile in presenza di un inadempimento
della controparte di non scarsa importanza (1455).
modalità di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse. In quanto sono le parti
stesse a valutare il ricorso dell’inadempimento, è presunta l’importanza dell’inadempimento ai sensi
dell’art. 1455.
E’ necessario che la mancata esecuzione della prestazione dovuta sia imputabile al debitore e che
perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. Se non è imputabile al debitore si è in presenza di
condizione risolutiva negativa (1353). L’inadempimento di per se non determina l’automatica
risoluzione del contratto. E’ la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno della risoluzione
e dunque decidersi se avvalersi o meno di tale clausola: la parte beneficiaria potrebbe anche essere
interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a non avvalersi della clausola. Perciò la
operatività della clausola risolutiva è rimessa alla iniziativa della parte nel cui favore la clausola
stessa è destinata ad operare. La risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara
all’altra che intende valersi della clausola risolutiva (1456)
Impossibilità sopravvenuta.
Si è già visto come la impossibilità originaria di una prestazione, comportando un oggetto
impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso (1346)
Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al debitore, la
situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha diritto a chiedere la risoluzione
del contratto per inadempimento, oltre il risarcimento dei danni (1453).
Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la stessa determina
la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere oggettiva e definitiva e può anche
riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della prestazione della controparte, secondo la causa
concreta del contratto; può essere invocata da entrambe le parti.
L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, ecc).
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d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa imputabile al
creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che l'impossibilità della
prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la inattuabilità del rapporto
contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze della imputabilità della impossibilità del
creditore. Si può configurare una risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale
imputabile al creditore, con obbligo di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto meno
al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.)
controparte, è vero che non riceve la prestazione divenuta impossibile, ma nulla perde per tale
evento in quanto è liberata dall’obbligo della controprestazione. In sostanza la peculiarità della
sopportazione del rischio nei contratti obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una
prestazione, determinando la estinzione dell’obbligazione, comporta la liberazione della controparte
dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Si pensi al classico esempio dell'incendio dell'immobile
dato in locazione: il locatore a seguito dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere
l'immobile, ma perde il bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non
consegue il godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde nulla. Anche qui
però troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora, non è liberato dall’obbligazione
ed è tenuto al risarcimento per equivalente della prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi
solo provando che l’oggetto della prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo
che si tratti di cosa illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo carico
la impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (1207).
b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per operare il principio del
c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono in virtù del consenso legittimamente
manifestato. La sopportazione del rischio è organizzata sulla dinamica del trasferimento del diritto:
gli eventi fortuiti che colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto gravano sull’acquirente in
quanto già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di una cosa determinata oppure
costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile
all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione ancorché la cosa
non gli sia stata consegnata. Si considera cioè che, con il trasferimento del diritto è realizzato il
risultato traslativo che è il risultato fondamentale del contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla
prestazione corrispettiva.
Eccessiva onerosità.
Si è visto come nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di durata la esecuzione è
procrastinata o si svolge nel tempo. Può quindi accadere che, nel correre del tempo, l’equilibrio
economico programmato nel contratto si incrini o addirittura venga meno, mutando l’originario
rapporto di corrispettività: il sinallagma funzionale è distorto e compromesso.
La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta eccessivamente
onerosa, il diritto a chiedere la risoluzione del contratto; ma circonda il rimedio di specifici limiti, al
fine di evitare che lo stesso possa costituire un docile strumento di scioglimento del contratto
quando è venuto meno l’interesse originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti:
a) deve trattarsi di contratti a esecuzione differita ovvero di durata (continuata o periodica) e cioè di
contratti la cui esecuzione è differita o si protrae nel tempo: il divario di valore deve intervenire
quando una prestazione è ancora dovuta. La sproporzione deve dunque intervenire dopo la
conclusione del contratto, ma prima della esecuzione non è ammessa la ripetizione di una eventuale
prestazione onerosa già eseguita.
b) la prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra.
Ossia la prestazione deve essere eccessiva e cioè notevole.
Ricorrendo tali presupposti la parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può
domandare la risoluzione del contratto (1467). Ciò significa che la risoluzione è giudiziale e la
relativa sentenza ha efficacia costitutiva. La prescrizione (decennale) dell’azione decorre da quando
si è determinata la sperequazione tra le prestazioni.
La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già eseguite ne
contratti di durata. La risoluzione però non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della
trascrizione e della domanda di risoluzione. In applicazione del principio di conservazione dei
contratti, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla mediante l’offerta di equa
modifica della condizione del contratto: il contratto è rettificato con riconduzione ad equità dello
stesso (1467).
Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori, rientrando nella stessa causa del contratto la
incertezza dell’esito.
PARTE X
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE.
Struttura del fatto illecito.
Nozione e funzione.
È giusto iniziare a discutere di tale problematica partendo dalla nozione degli art. 2043 del c.c.
ovvero, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno, e dell'art. 1218, ovvero il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da una
causa a lui non imputabile.
Prima di analizzare, però, l'atto illecito è necessario riportare alcune distinzioni utili a farci
comprendere l'esatta collocazione di tali atti.
In primo luogo riportiamo la distinzione tra gli atti umani vietati e leciti.
• Atti vietati sono posti in essere in violazione di un obbligo di legge arrecando un danno ad un
altro soggetto giuridico. La violazione dell'obbligo fa nascere nel soggetto danneggiato il diritto al
risarcimento del danno.
• Atti leciti sono posti in essere in maniera conforme al diritto.
Ci dobbiamo chiedere ora, che cos'è l'illecito civile, cioè come identificare la generale figura
dell'illecito civile? Possiamo quindi affermare che:
® è illecito civile qualunque fatto che provochi come conseguenza voluta dalla legge il
risarcimento del danno.
Il risarcimento del danno, però, può nascere da fatti o atti diversi, può nascere dalla violazione
dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 1218 c.c.
Nel primo caso avremo illecito civile di natura extracontrattuale, mentre nel secondo vi sarà illecito
di natura contrattuale, ma pur sempre di illeciti civili si parla.
Sarà quindi illecito civile extracontrattuale la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ,
mentre sarà illecito civile di natura contrattuale l'inadempimento di una obbligazione.
Nell'ambito degli atti vietati distinguiamo ancora due categorie che fanno sorgere i due diversi tipi di
responsabilità.
• atti che danno vita a responsabilità contrattuale: sono quegli atti che violano obblighi
che intercorrono tra soggetti determinati, come gli inadempimenti contrattuali
• atti che danno vita a responsabilità extracontrattuale: sono gli altri atti illeciti (civili);
la responsabilità nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera
giuridica.
Nel nostro ordinamento non sono previsti, però, solo gli illeciti civili; ricordiamo, infatti, che alcuni
illeciti civili sono anche rilevanti per altri rami del diritto essendo anche illeciti penali e
amministrativi.
Occupiamoci della distinzione tra l'illecito penale e quello civile di natura extracontrattuale.
• illecito penale nasce da un comportamento che contrastando con i i fini dello Stato esige
come sanzione una pena criminale. Il comportamento vietato è detto reato ed è espressamente
previsto dalla legge.
• illecito civile nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica.
Conseguenza della violazione sarà l'obbligazione di risarcimento del danno.
Su questa distinzione sono opportune alcune osservazioni;
In primo luogo i fatti che danno luogo ad illecito civile e penale possono anche coincidere;
pensiamo, ad esempio, al caso in cui un sinistro provochi delle lesioni; qui avremo insieme un
illecito penale, e cioè un reato (art. 590 c.p. lesioni colpose), e un illecito civile (art. 2043 c.c.);
Accade, però, che i due illeciti operino su piani diversi, perché con la previsione dell'illecito civile si
vuole ristorare la vittima del danno attraverso il risarcimento, mentre con la previsione di un fatto
come reato, lo Stato vuole tutelarsi contro comportamenti da lui ritenuti contrastanti con i suoi fini.
Il risarcimento è quindi secondario rispetto al fine primario (autotutela dello Stato) che si vuole
ottenere attraverso la minaccia di una pena criminale.
Ancora dobbiamo considerare che mentre un fatto è reato solo se viene espressamente previsto
come tale dalla legge (art. 1 c.p. art. 25 Cost.), l'illecito civile, invece, può essere previsto anche in
modo generico ("qualunque fatto", recita l'art. 2043); di conseguenza ci saranno dei fatti che
possono essere rilevanti solo come illecito civile (es. responsabilità precontrattuale), ma non come
reato, mentre, all'opposto, vi sono dei reati che possono non essere illeciti civili (es. spionaggio).
Il fatto doloso o colposo è un atto umano proprio perché rileva l'elemento psicologico, il dolo o la
colpa. Questo elemento psicologico è tradizionalmente denominato "colpevolezza".
Accade, però, che per aversi responsabilità non basta che vi sia la colpevolezza, ma è anche
necessario che il soggetto sia capace di intendere e di volere.
Mancando la capacità di intendere e di volere può anche esservi dolo o colpa (anche un minore di
10 anni può volere o meno un fatto), ma non ci sarà responsabilità dell'agente; questo non vuol dire
che non sarà mai nessun soggetto che risponda dei danni (v. art. 2047 c.c.)
Danno ingiusto.
Il danno, secondo, l'art. 2043 deve essere "ingiusto" .
Per ingiustizia del danno s'intende la sua "antigiuridicità" cioè la sua capacità di provocare la lesione
di un diritto.
Proprio su questo punto, però, si è incentrato il dibattito dottrinario;
da una iniziale posizione che riteneva ingiusto solo il danno che provocava una lesione di diritti
soggettivi assoluti, si è passati, grazie ad una lenta evoluzione dottrinale, ad ammettere l'ingiustizia
del danno anche nel caso di diritti relativi, come i diritti di credito, sino ad arrivare alla posizione che
giunge a ritenere antigiuridico qualsiasi danno provocato ad un interesse giuridicamente tutelato,
dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, alla libertà negoziale, all'ambiente, alla tutela
extracontrattuale del credito per i danni provocati da terzi.
a) una prima apertura è avvenuta superando la rigidità della contrapposizione tra diritti assoluti e
diritti relativi. Vi è un interesse del creditore a non vedere turbata da terzi la possibilità del
soddisfacimento della sua pretesa nei confronti del debitore. Ove il terzo renda impossibile
l’adempimento, potrà essere chiamato a rispondere in base all’art. 2043.
E’ stato considerato obbligato a risarcire il danno risentito dal creditore pure chi dolosamente inficia
il debitore a non adempiere (induzione all’inadempimento).
legittima aspettativa, quella alla partecipazione ai risparmi che il congiunto avrebbe accumulato. Il
risarcimento del danno patrimoniale è stato particolarmente riconosciuto anche al convincente
more uxorio, benché costui non abbia un diritto all'assistenza economica da parte del compagno.
c) E’ stato ritenuto risarcibile il danno derivante dalla perdita di chance, quale concreta ed effettiva
occasione favorevole di conseguire un determinato risultato economicamente vantaggioso. Essa
non è considerata mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale rilevante di per se stessa, per
cui la perdita configura un danno concreto e attuale.
d) Abbiamo ancora il diritto all'integrità del patrimonio con cui si è ritenuto che un pittore, risponde
del danno subito da uno dei successivi acquirenti di un quadro per aver autenticato egli sul retro
dello stesso quadro, uno suo quadro risultato falso.
a) in relazione alla legittima difesa, l’art. 2044 dispone che non è responsabile chi cagioni il danno
per legittima difesa di sé o di altri. L’offesa deve essere ingiusta; il pericolo al diritto proprio o altrui
deve essere attuale; la difesa deve essere proporzionata all’offesa. Il diritto posto in pericolo
dall'altrui ingiustificata aggressione può essere anche di natura patrimoniale.
b) non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non risulti causato
volontariamente, né altrimenti evitabile. Ove ricorrano simili condizioni, al danneggiato è dovuta
un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice (2045). Il pericolo deve
essere: attuale, involontario, inevitabile. Il danno dal quale ci si cerca di sottrarre deve presentarsi
come grave e concernere esclusivamente la persona dell’agente o quella di altri. Non si potrà,
insomma, invocare lo stato di necessità per salvaguardare interessi patrimoniali, ma solo interessi
personali, peraltro pure diversi dall’incolumità fisica. L’art. 2045 prevede la corresponsione al
danneggiato di una indennità da parte di chi abbia agito in stato di necessità. Ove si consideri
esclusa l’antigiuridicità del fatto è da di ritenere che qui l’ordinamento ricolleghi il sorgere di
un’obbligazione indennitaria ad un fatto dannoso lecito.
c) L’art. 50 c.p. relativo al consenso dell’avente diritto, dispone la non punibilità di chi abbia leso o
posto in pericolo un diritto col consenso della persona che ne è titolare, purché si tratti di un diritto
disponibile.
d) Non è prevista nel c.c. neppure la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., per cui la punibilità
è esclusa ove si sia agito nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere (imposto da
una norma o dalla pubblica autorità). L’esercizio del diritto acquista sicuramente rilievo anche ai fini
dell’esclusione del sorgere dell’obbligazione risarcitoria, ove pure ciò comporti ad altri un danno
apprezzabile. Si pensi, ad es., all’edificazione di una costruzione che, pur avvenendo del tutto
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Imputabilità e colpevolezza.
Ulteriore fattispecie da analizzare è quella relativa alla responsabilità oggettiva. Essa si configura
come una situazione in cui il soggetto può essere responsabile di un illecito, anche se questo non
deriva direttamente da un suo comportamento e non è riconducibile a dolo o colpa del soggetto
stesso.
Tale situazione costituisce una deroga al principio generale della responsabilità secondo cui è
necessaria l'esistenza di un preciso nesso di causalità tra il fatto illecito ed il comportamento
dell'individuo, affinché a questi possano essergliene attribuite le conseguenze giuridiche.
Un'importante e distintiva caratteristica della responsabilità oggettiva si ha in tema di onere della
prova: la responsabilità extracontrattuale (normale) viene meno se l'autore del fatto illecito fornisce
la prova dell'assenza di sua colpa. La responsabilità extracontrattuale oggettiva viene meno solo se
si prova che il danno è dovuto ad un evento fortuito imprevedibile ed inevitabile.
a) Per l’art. 2046, non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di
intendere o di volere al momento in cui cui lo ha commesso, salvo che lo stato di incapacità derivi
da sua colpa (capacità naturale). Sono così considerati responsabili il minore e lo stesso interdetto
giudiziale, pur legalmente incapaci, ove ritenuti in grado di comprendere la portata dannosa del
proprio comportamento; l’accertamento della incapacità di intendere o di volere dovrà essere
effettuata in concreto dal giudice, il quale si avvarrà di criteri di giudizio tratti dalla comune
esperienza o dalla scienza.
Nel caso che il danno sia stato cagionato da chi sia incapace di intendere o di volere, l’art. 2047
addossa l’obbligo del risarcimento al soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi
di non aver potuto impedire il fatto. La responsabilità si presenta come basata su una presunzione di
difetto di sorveglianza. Presunzione superabile solo attraverso la dimostrazione di non aver potuto
impedire il fatto. È una prova non facile dato che si reputa correntemente necessario dimostrare di
avere adeguato la sorveglianza alle concrete condizioni dell'incapace.
Anche se il danno risulta cagionato da un incapace, l’art. 2047, c.c, dispone che, ove il danneggiato
non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, perché insolvente o
perché è riuscito a fornire la prova liberatoria, il giudice, in considerazione delle condizioni
economiche delle parti, può condannare l’autore del danno ad una equa indennità. Il legislatore
ricorre al concetto di indennità e non risarcimento, come piena reintegrazione dell’interesse leso.
Ove il minore, o l’interdetto in un momento di lucido di intervallo, sia capace di intendere e di
volere, l’art. 2048 prevede una responsabilità dei genitori o del tutore o degli insegnanti,
concorrente con quella di chi abbia cagionato il danno.
b) Per avere risarcimento l’art. 2043 prevede che tale comportamento sia qualificabile come doloso
o colposo.
Dolo: intenzionalità del comportamento, l’evento dannoso è “preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione od omissione” (43 c.p.).
Colpa: l’evento dannoso non è voluto e si verifica “ a causa di negligenza o imprudenza e imperizia,
ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (43 c.p.)
Ciascuno, nei propri comportamenti, è tenuto a prestare un’attenzione e uno sforzo sempre
adeguato alla salvaguardia dell’interesse altrui. Ove non lo faccia, l’ordinamento lo considera
responsabile del danno prodotto. La colpevolezza, la cui ricorrenza deve essere provata, è esclusa
quando si presenta l’ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore (intervento di una causa
esterna).
a) la prima ipotesi è quella in cui a cagionare il danno sia stato il fatto illecito - di cui, quindi, devono
ricorrere tutti i requisiti, pure soggettivi - di un minore non emancipato (2048). In tal caso
risponderanno anche i genitori o il tutore. Gli insegnati rispondono, poi, del danno cagionato dal
fatto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (2048). Ai fini del sorgere
della responsabilità, occorre che sussista il requisito della convivenza con i genitori (o meglio ancora
dell’esercizio della responsabilità genitoriale). Ai genitori è quindi addossata una corrente
responsabilità sulla base di un rischio da considerare tipicamente connesso, sul piano sociale, alla
loro posizione. Per gli insegnanti di scuole statali “l’amministrazione si surroga al personale
medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”, risultando, in
pratica, la responsabilità addossata all’amministrazione scolastica, quale rischio inerente alla sua
organizzazione. E’ consentito liberarsi della propria responsabilità esclusivamente provando di non
avere potuto impedire il fatto (2048). Non solo si richiede di aver preventivamente adottato le
misure idonee ad evitare il fatto, ma la responsabilità si ritiene poter essere affermata sulla base del
mero difetto di educazione, dovendo a tal fine i genitori, dimostrare positivamente di aver impartito
al minore una educazione atta a dimostrare una corretta vita di relazione, correggendo i difetti che il
minore via via riveli. Per evitare ancora la responsabilità per fatto degli allievi occorre non solo che si
tratti di un evento imprevedibile ma che sia anche dimostrata l'assenza di carenze organizzative.
La responsabilità dei genitori concorre con quella del figlio responsabile, secondo la regola della
responsabilità solidale prevista dall’art. 2055. Essa è ritenuta poter concorrere anche con la
responsabilità dell’insegnate, dato che, pure in caso di giustificato affidamento del minore
all’insegnante resta comunque sussistente il relativo fondamento.
b) Carattere oggettivo ha la responsabilità che l’art. 2049 pone a carico dei padroni e committenti,
per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell’esercizio delle incombenze a
cui sono adibiti. Non vi è colpa nella scelta del dipendente. Se il danno provocato è da un
dipendente, nell’esercizio delle incombenze a cui è adibito, è considerato responsabile, assieme al
dipendente stesso, anche il padrone o committente, 2049 cc. La responsabilità di quest’ultimo è
giustificata dall’esigenza di tutelare il danneggiato, consentendogli di ottener risarcimento dal
soggetto che fruisce dei risultati dell’attività lavorativa. E’ necessario che tra preponente e preposto
vi sia un vincolo di subordinazione. Occorre, infine, che vi sia una connessione tra le incombenze e il
danno (nesso di occasionalità necessaria). Il preponente risponderà del danno se l’esercizio delle
incombenze espone il terzo all’ingerenza dannosa del fatto preposto. Così accade, ad es. nel caso in
cui l’impiegato della banca si appropri delle somme versate dal cliente per una sua operazione. Pure
qui, la responsabilità del preponente e del preposto sono concorrenti, secondo la regola della
responsabilità solidale, 2055 c.c.
recente evoluzione dei rapporti economico-sociali (responsabilità per l’esercizio di attività pericolose
e per la circolazione di veicoli).
a) Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia: l’art. 2051 stabilisce che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose o animali che ha in custodia, salvo che non provi il caso
fortuito. Nella portata della disposizione rientra qualsiasi cosa, mobile o immobile,
indipendentemente dalla sua interseca pericolosità. Il danno deve derivare dalla cosa: se essa
costituisce strumento di un’attività pericolosa, il principio operante è quello del 2050. La casistica è
sconfinata, si pensi alla caduta dei rami, alle strade insidiose, ai pavimenti sconnessi, alle
impalcature che permettono l'intrusione dei ladri, all'incendio sviluppato su un terreno che produca
danni ai fondi vicini, ecc. Condizione del sorgere della responsabilità è che il soggetto ne abbia la
custodia. Questa viene intesa come effettivo potere materiale sulla cosa. Potrà trattarsi quindi non
solo del proprietario, ma anche del possessore o detentore, pure nel caso di potere di fatti
esercitato abusivamente. La prova liberatoria consiste nella dimostrazione del solo caso fortuito,
che viene, in effetti, inteso in senso ampio, ma estremamente rigoroso.
b) Affine è la responsabilità, che grava sul proprietario di un animale o su chi se ne serve per il
tempo in cui lo ha in uso, per i danni cagionati dall’animale, anche se smarrito o fuggito salvo che
venga provato il caso fortuito (2052) vi è prova liberatoria, deve trattarsi di un fattore che presenti
rigorosi caratteri di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità.
c) L’art. 2053 disciplina la responsabilità per rovina di edificio o di altra costruzione, addossandola al
proprietario, salvo che costui provi che la rovina stessa non è dovuta a difetti di manutenzione o
vizio di costruzione. La norma si ritinte applicabile anche a chi sia titolare di un diritto di godimento,
che comporta l’obbligo di manutenzione (usufrutto). Il proprietario resta esclusivo responsabile nel
caso che l’immobile sia locato. Per rovina si intende anche la disgregazione di piccole parti
dell’edificio, come sostegni per vasi da fiori, tegole, cornicioni, ecc. La responsabilità per i danni
derivanti da difetto di manutenzione è ricollegabile ad un comportamento colposo, la responsabilità
per i danni derivanti da vizi di costruzione è ricollegabile al carattere oggettivo.
d) Significativa novità introdotte dal c.c. è quella per cui grava su chi svolge un’attività pericolosa.
art. 2050, chi causa ad altri danni nello svolgimento dell’attività pericolosa per sua natura, o per la
natura dei mezzi impiegati, è tenuto al risarcimento, indipendentemente dalla sua colpa, salvo che
non provi di aver adottato, nello svolgere l’attività, tutte le misure consentite dalla tecnica idonee a
evitare ogni pregiudizio a terzi, salvo quelli inevitabili, cd. prova liberatoria. Gli esempi sono
innumerevoli, caccia, organizzazione di gare motociclistiche su circuito aperto al pubblico, attività
edilizia, esecuzione di lavori su strada pubblica, produzione e distribuzione di bombole di gas, ecc.
e) In ordine la circolazione dei veicoli, il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a
risarcire il danno prodotto a persona o a cose dalla relativa circolazione, se non provi di avere fatto
tutto il possibile per evitare il danno (2054). Nel caso di scontro tra veicoli, si presume, fino a prova
contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a provocare il danno subito dai
singoli veicoli (2054). E’ responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione
del veicolo sia avvenuto contro la sua volontà, il proprietario del veicolo o, in sua vece,
l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio. Le persone in precedenza indicate sono
responsabili dei danni derivanti da vizi di costruzione o difetto di manutenzione (2054). Per veicolo
si intende qualsiasi mezzo circolante, a trazione meccanica o animale, o determinata all’azione
diretta dell’uomo, purché senza guida di rotaie. La circolazione cui si riferisce la norma è quella
aperta al transito pubblico, non quindi la manovra di un veicolo in un area privata.
Quanto ai soggetti danneggiati, ad esito di una lunga discussione sul punto, si è convenuto da parte
della giurisprudenza che il particolare regime di responsabilità previste dal 2054 operi anche nei
confronti delle persone a qualunque titolo trasportate nel veicolo. Il principio della uguale
responsabilità dei conducenti in caso di scontro di veicoli ha carattere solo sussidiario in quanto
destinato ad operare solo esclusivamente quando non sia possibile accertare in concreto in quale
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misura il conducente abbia concorso a cagionare l'evento. La presunzione prevista in caso di scontro
opera anche nel caso in cui uno solo dei veicoli abbia riportato danni. Articolato è il regime della
responsabilità che emerge dalla norma in esame. Carattere oggettivo si ritiene avere la
responsabilità per i vizi di costruzione o per difetto di manutenzione. Nel primo caso con la
responsabilità del conducente e del proprietario concorre la responsabilità del costruttore. L'unica
prova per esentarsi dalla responsabilità può essere la negazione della sussistenza del nesso di
causalità tra vizi di costruzione o difetto di manutenzione e danno. Circa la responsabilità del
conducente si tratterebbe di una responsabilità pur sempre fondata sulla colpa, anche se lievissima.
Per quanto riguardo la prova liberatoria, il conducente deve provare di aver fatto tutto il possibile
per evitare il danno. Quanto alla responsabilità del proprietario in solido con il conducente è diffusa
l'idea che si tratti di una responsabilità oggettiva. La prova liberatoria è fondata sulla opposizione
alla circolazione e quindi sull'adozione di mezzi idonei a impedire l'entrata in circolazione del
veicolo. Il proprietario viene così considerato responsabile ove affidi le chiavi ad un parcheggiante, e
addirittura anche in caso di furto se non siano prese le idonee misure di prevenzione (come la
chiusura a chiave e l'applicazione di congegni di antifurto).
La gravità dei pericoli che la diffusione della circolazione stradale comporta ha introdotto il
legislatore, per garantire un sicuro e pronto ristoro al danneggiato, ad introdurre un regime di
assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica, con l’istituzione anche di un
“Fondo di garanzia per le vittime della strada”.
f) D. Lgs. 206/2005 (cod cons.) Il principio di fondo è quello secondo cui il produttore è responsabile
del danno cagionato da difetti del suo prodotto. Ove il produttore non sia individuato, è
assoggettato alla stessa responsabilità il fornitore. Il prodotto è considerato difettoso quando non
offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze. Il
danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno (120)
mentre il produttore può escludere la propria responsabilità nei casi tassativamente previsti: se egli
non aveva messo in circolazione il prodotto o se il difetto non esisteva nel momento in cui è stato
messo in circolazione, se egli non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per ogni altra
distribuzione a titolo oneroso, ecc. Il danno risarcibile è quello cagionato dalla morte, da lesioni
personali, nonché quello relativo alla istruzione o al deterioramento di cose diverse dal prodotto
difettoso, normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzate (123). Il
diritto al risarcimento del danno si prescrive in 3 anni dalla conoscenza del danno del difetto, e
dell'identità del responsabile. Vi è responsabilità in solido in caso di pluralità di responsabili. Il
risarcimento del danno non è dovuto in caso di consapevole esposizione ai rischi derivanti dal
difetto del prodotto.
g) Responsabilità gravante sugli esercenti di impianti nucleari. L’art. 15 L. 1860/1962 prevede che
l’esercente di un impianto nucleare risponda di ogni danno causato da un incidente avvenuto
nell’impianto o ad esso connesso, con la sola eccezione dei danni derivanti da conflitti armati legati
ad eventi bellici e insurrezionali o derivanti da cataclismi naturali di carattere eccezionale. La
responsabilità, trova una limitazione nel suo importo massimo, essendo previsto, poi, in
considerazione dell’eventuale carattere catastrofico dei danni verificatisi, l’intervento dello Stato e di
un fondo internazionale a ciò destinato.
PARTE XI
ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE.
Atti e fatti diversi da contratto è fatto illecito.
l’unico limite della conformità all’ordinamento giuridico. Dei fatti illeciti e dei contratti c'è ne siamo
già occupati ma ora è necessario concentrare la nostra attenzione sui quegli altri "atti o fatti idoneo
a produrle" .
Il riferimento va principalmente (e quindi non esclusivamente) alle ipotesi disciplinate nel titolo IV
del codice civile (artt. 1987-2042) di cui ci occuperemo in questo capitolo, e che possono essere
divise tra obbligazioni nascenti da atto unilaterale, che trovano, in ogni caso, la loro giustificazione
nella volontà di un soggetto, obbligazioni nascenti dalla legge come la gestione di affari altrui, la
ripetizione dell'indebito e l'ingiustificato arricchimento.
Promesse unilaterali.
Sono negozi giuridici unilaterali con i quali un soggetto assume delle obbligazioni a suo esclusivo
carico.
Il negozio si perfeziona indipendentemente dalla accettazione del promissario. Secondo l'art. 1987,
la promessa unilaterale non produce effetti al di fuori dei casi ammessi dalla legge.
Ma cosa sono le promesse unilaterali?
Non sono dei contratti, perché provengono da una parte sola, non sono degli atti illeciti ma sono
negozi giuridici perfettamente validi solo nei casi previsti dalla legge, come prevede l'art. 1987. Gli
art. 1988 regolano due schemi di promesse unilaterali ovvero la promessa al pubblico e la promessa
di pagamento e la ricognizione del debito.
Promessa al pubblico
1) Promessa al pubblico: È un negozio giuridico unilaterale con il quale un soggetto promette di
eseguire una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una
determinata azione.
Il contenuto della promessa al pubblico può essere il più vario; tipico è il caso di chi promette una
somma di denaro a chi riporterà il cane smarrito.
Prima della scadenza del termine, la promessa può essere revocata solo per giusta causa, ma solo se
la revoca sia anch'essa resa pubblica nella stessa forma della promessa o in una equivalente.
Ovviamente la revoca non avrà effetto se si è già verificata la situazione promessa o si è compiuta
l'azione oggetto della promessa.
Se l'azione richiesta è stata compiuta da più persone separatamente o in comune, la prestazione
promessa, se è unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente (art. 1991 c.c.).
Obbligazioni ex lege.
Per le obbligazioni che derivano dalla legge la tipicità è in re ipsa e cioè nel fatto in sé di derivare
dalla legge. Nel nostro c.c. si pensi all’obbligazioni di prestare gli alimenti (433) e alle specifiche
obbligazioni di mantenimento che caratterizzano i rapporti familiari (147-148) o all’obbligo del
partecipante alla comunione di contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e il
godimento della cosa comune (1104), Altre sono contenute in normative diverse dal c.c., ovvero
ricostruire dalla giurisprudenza: si pensi alla obbligazioni di equa riparazione per mancato rispetto
del termine ragionevole del processo (L. 89/2001).
Gestione di affari.
Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto senza esservi obbligato
assume consapevolmente la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non è in grado di
provvedervi.
L'ipotesi dell'art. 2031 riguarda una situazione che può verificarsi nella realtà con un frequenza
maggiore di quanto non si pensi.
Può succedere, infatti, che una persona non possa occuparsi dei suoi affari rischiando di subire un
danno.
Ma può anche accadere che un'altra persona, essendo a conoscenza di questa situazione, decida di
intervenire per impedire il danno. Se la gestione avverrà alle condizioni previste dalla legge, il
dominus dovrà non solo adempiere alle obbligazioni assunte dal gestore, ma dovrà anche
indennizzarlo (e non compensarlo) delle spese che questi ha sostenuto.
Come si vede la gestione di affari altrui è fonte di obbligazioni che non derivano né da contratto né
da atto illecito, ma direttamente dalla legge.
• deve adempiere agli obblighi che scaturiscono dalla gestione e indennizzare il gestore delle
spese non solo quando la gestione gli sia stata utile ma anche quando non gli abbia portato vantaggi
ma sia stata "utilmente iniziata" dal gestore.
Come si vede il dominus deve effettivamente trovarsi in una particolare situazione che gli impedisca
di occuparsi dei propri affari. Questa può verificarsi quando il dominus sia scomparso e non siano
stati ancora presi i provvedimenti previsti dalla legge, o quando sia incapace senza che vi sia chi lo
rappresenti. In merito al divieto, questo è efficace solo se non sia contrario alla legge, all'ordine
pubblico o la buon costume, ma si ritiene che sia anche inefficace quando riguardi una situazione
imprevista.
Pagamento dell'indebito.
È l'azione diretta alla restituzione di quanto adempiuto da un soggetto ad un altro quando questo
adempimento non era dovuto.
È necessario distinguere due situazioni in cui si sia eseguita questa prestazione non dovuta,
vediamole:
• indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) è il caso di chi esegua un pagamento di un debito che non
esiste né per lui né per altri
• indebito soggettivo (art. 2036 c.c.) è il caso un soggetto paghi un debito altrui ritenendosi
debitore in base a un errore scusabile.
Come si vede nell'indebito oggettivo vi è una vera e propria inesistenza del debito, mentre
nell'indebito soggettivo si pone più l'accento sull'errore in cui è caduto chi ha eseguito il pagamento.
In merito all'indebito oggettivo si ritiene, però, che possa rientrare nell'ipotesi dell'art. 2033 anche il
caso di chi paghi il proprio debito a chi non ha diritto al pagamento. Qui il debitore paga un suo
debito esistente a un'altra persona, mentre nel tipico indebito soggettivo il solvens paga un debito
altrui ritenendosi essere lui il debitore in base a un errore scusabile. In definitiva anche nell'indebito
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soggettivo il debito era inesistente, ma solo per il solvens, mentre esisteva per un altro debitore.
Osserviamo che chi ha ricevuto il pagamento sarà tenuto a restituire quanto ha avuto, ma in modo
diverso nei due tipi di indebito.
1) Per l'indebito oggettivo chi ha pagato ha diritto alla restituzione di quanto corrisposto, ma se chi
ha ricevuto il pagamento era in mala fede dovrà anche corrispondere i frutti e gli interessi dal giorno
del pagamento, mentre se era in buona fede gli interessi e i frutti saranno dovuti solo dal giorno
della domanda giudiziale.
2) Per l'indebito soggettivo la ripetizione è dovuta solo se l'errore in cui è caduto il solvens sia
scusabile. Se l'errore è scusabile anche qui vi sarà obbligo di restituzione con i frutti e gli interessi
nelle stesse modalità dell'indebito oggettivo, ma solo se il creditore non si sia privato in buona fede
del titolo e delle garanzie del credito.
Bisogna considerare che vi è una terza persona che ha tratto vantaggio da questa situazione, e cioè
il vero debitore che non ha eseguito alcun pagamento e si troverebbe con il debito estinto. Non
essendo giuridicamente accettabile tale situazione, opportunamente l'art. 2036 c.c. comma 3
dispone che quando la ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del
creditore. Se il solvens ha adempiuto non versando una somma di denaro, ma un altro bene, potrà
comunque ripetere quanto ha dato, ma secondo l'art. 2040 c.c. anche lui sarà obbligato nei
confronti del presunto creditore a rimborsargli le spese e i miglioramenti eventualmente effettuati
secondo le regole del possesso (artt. 1149- 1152 c.c.). In entrambe le ipotesi di indebito il diritto di
credito alla ripetizione è soggetto alla prescrizione ordinaria (decennale).
I casi possono essere i più svariati, pensiamo, ad esempio all'ipotesi in cui per errore si esegua la
semina su un terreno agricolo altrui credendolo proprio, ma le ipotesi possono essere le più
svariate, perché il legislatore ha voluto con questa norma proprio considerare tutti i casi in cui vi sia
stato un arricchimento senza causa.
PARTE XII
SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE.
Concetto di successione.
Per successione si è soliti intendere quel fenomeno giuridico consistente nell’avvicendamento di un
soggetto ad un altro in una situazione giuridica soggettiva o passiva. Nella successione per causa di
morte (mortis causa), in particolare, il fenomeno successorio trova giustificazione nella morte di un
soggetto e consiste nel trasferimento dei diritti del defunto (de cuius) ad altri soggetti, individuati
dal de cuius stesso o, in mancanza, dal legislatore.
Ma che cosa viene trasferito agli eredi? È possibile per il de cuius lasciare sue sostanze a persone
diverse dai suoi familiari? Ed ancora, è possibile trasferire solo alcuni diritti e non tutto il
patrimonio?
Rispondendo all'ultima domanda è prevista una successione a titolo universale e a titolo particolare.
• successione a titolo universale: si verifica quando l'erede acquista tutti diritti ed
obblighi del defunto o subentra in una quota degli stessi.
• successione a titolo particolare: quando il successore (legatario) succede in singoli
specifici rapporti giuridici. Vi sarà quindi un legatario istituito in un testamento.
Per quanto riguarda i soggetti, nell'ambito della successione a titolo universale distinguiamo:
• La successione legittima. Si applica quando manca un testamento o quando questo abbia
disposto solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
• La successione testamentaria in questo caso il de cuius ha già stabilito a chi saranno trasferiti
i suoi rapporti giuridici redigendo un apposito atto, il testamento.
Abbiamo poi la successione dei legittimari.
Si verifica in maniera del tutto particolare in presenza di un testamento.
Con il testamento il de cuius non può escludere dalla successione alcuni dei suoi parenti più vicini,
ma, d'altro canto, nemmeno gli si può togliere il diritto di disporre del suo patrimonio dopo la sua
morte. Per questo motivo al testatore è lasciato comunque il diritto di disporre del suo patrimonio,
ma tale diritto non può spingersi fino a ledere completamente le posizioni dei suoi parenti più
stretti; vi sono allora alcuni soggetti, i legittimari, ai quali spetta in ogni caso una quota dell' eredità,
o una parte dei beni ereditari, anche se il de cuius con un testamento abbia diversamente stabilito.
Veniamo ora altro problema relativa all'oggetto della successione: che cosa viene trasferito agli
eredi?
È intuitivo che certi diritti non possono essere trasferiti agli eredi; non sono, infatti, trasferiti i diritti "
personalissimi " che sono strettamente legati all'individualità della persona.
Si estinguono, quindi, con la morte il diritti personali, mentre si trasmettono, invece, i diritti di
natura patrimoniale proprio perché possono essere attribuiti anche ad altre persone. Anche in
quest'ultimo caso, tuttavia, vi sono alcuni diritti patrimoniali che si estinguono con la morte, o
perché, per loro natura, non possono essere trasmessi ad altre persone o perché il rapporto è
intuitu personae. Non si trasmettono, quindi, i diritti e gli obblighi scaturenti da un contratto di
mandato, contratto intuitu personae; non si trasmettono i diritti di uso, abitazione e usufrutto.
Potremmo pensare, infatti, che se prima della morte il futuro chiamato all'eredità non ha alcun
diritto sul patrimonio del defunto, nulla gli vieterebbe di stipulare un accordo con lui quando era
ancora in vita.
A guardare bene, però, una tale situazione creerebbe non pochi problemi, sia perché si tratterebbe
di accordi che diverrebbero efficaci dopo la morte di uno dei contraenti, sia perché il de cuius
perderebbe quella libertà di testare che la legge riconosce ad ognuno sino al momento della morte.
per questi motivi l'articolo 458 del codice civile stabilisce la nullità dei patti successori
Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, volto a provocare un consenso completo con tutti i
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Andiamo ora a verificare dal punto di vista della validità, cosa accade se non si seguono le
prescrizioni cui ci siamo riferiti
Sappiamo della nullità dell'atto se non è stipulato per atto pubblico, ma potrebbe accadere che
all'atto stesso non partecipino tutti coloro che ne hanno diritto ex art. 768 quater; vediamo le
conseguenze. In caso di mancata partecipazione alla stipula del contratto del coniuge e\o dei
legittimari, se gli assegnatari non liquidano loro le somme che gli spettano il patto è annullabile
entro un anno dall'apertura della successione. In caso di vizi del consenso è possibile chiedere
l'annullamento del patto entro un anno dalla sua stipula. Ricordiamo, infine, che il patto può essere
sciolto o modificato dagli stessi che l'hanno stipulato, o mediante un nuovo contratto, o con un
recesso, solo, però, se previsto nel patto e certificato da un notaio (art. 768 septies c.c.). Le
eventuali controversie che scaturiscono dal patto, non possono essere decise dal tribunale, ma da
organismi di conciliazione (art. 768 octies c.c.). Questo perché le cause ereditarie durano così tanto
tempo che spesso gli stessi eredi che le avevano instaurare muoiono prima della sentenza.
Affidando il procedimento agli organi di conciliazione si tenta a rendere più rapida la tutela.
Vocazione e delazione.
Secondo l'articolo 456 del codice civile " la successione si apre al momento della morte, nel luogo
dell'ultimo domicilio del defunto ".
Come si vede un evento giuridico scaturisce, o meglio è contemporaneo, ad un evento naturale: la
morte. L’esatta determinazione del luogo di apertura della successione vale ad identificare anche
l’autorità giudiziaria competente ad emanare i più rilevanti provvedimenti relativi alla vicenda
successoria. “Apertura” si riferisce alla possibilità che nuovi soggetti si sostituiscano al defunto
subentrando nei suoi rapporti giuridici. Aperta la successione, la principale esigenza è quella
concernente la identificazione di quali siano i successibili del de cuius. La successione si apre in base
ad un titolo che può consistere nel testamento oppure nella legge. Abbiamo, quindi, il concetto
giuridico di " vocazione " che indica proprio il titolo in base al quale deve avvenire la successione, il
testamento o la legge.
Si suole distinguere la c.d. vocazione, che consiste nella individuazione in astratta, in base ai criteri
del 457, di colui che dovrà succedere, dalla c.d. delazione che costituisce la messa a disposizione del
patrimonio del defunto ai chiamati all'eredita.
Capacità.
L'art. 462 dichiara capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura
della successione. L’art. 462, c.3. specifica che possono ricevere per testamento anche i figli di una
determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché ancora non concepiti. La
capacità di succedere consiste nell’idoneità del soggetto ad acquistare le situazioni soggettive che in
precedenza rientravano nella sfera giuridica del de cuius. In quanto tale, essa deve su istanza dei
soggetti interessati ricondursi al più ampio concetto di capacità giuridica e non a quello di capacità
di agire.
L’accettazione dell’eredità è un negozio giuridico e presuppone la capacità di agire dell’autore.
Pertanto, se una eredità viene lasciata ad un soggetto legalmente incapace di agire, questi sarà
capace di succedere, ma incapace di accettare l’eredità, se non a mezzo del suo legale
rappresentante e nelle forme richieste.
Indegnità.
È la situazione di chi avendo compiuto gravi atti contro il de cuius quando questi era in vita è escluso
dalla successione. L'indegnità non è una forma di incapacità in quando l'indegno può acquistare
l'eredità, ma il suo acquisto può essere dichiarato inefficace a seguito di un provvedimento disposto
dall'autorità giudiziaria su istanza dei soggetti interessati. Cause di indegnità possono essere:
omicidio o tentato omicidio commesso contro il potenziale de cuius, calunnie, attentato alla volontà
di testare, soppressione-alterazione-falsificazione del testamento.
L’art. 464 impone all'indegno l’obbligo di restituire i frutti che siano pervenuti dopo l’apertura della
successione.
L’art. 466 legittima il de cuius a riabilitare l’indegno espressamente con atto pubblico o con
testamento. La riabilitazione espressa è un vero e proprio negozio giuridico, che ha la funzione di
rimuovere le conseguenze giuridiche derivanti dalla indegnità. E’ un atto personale, irrevocabile e
formale. L’art. 466, c.2, prevede che è ammesso a succedere se è stato contemplato nel testamento
quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, ma nei limiti della disposizione testamentaria.
Si parla in questo vaso di riabilitazione parziale e tacita.
B) Acquisto dell’eredità.
Accettazione dell’eredità.
L’art. 459 opera una precisa scelta in ordine alla modalità di acquisto della eredità: l’eredità si
acquista con l’accettazione. Con l’apertura della successione, quindi, il successibile non è ancora
erede, ma è soltanto chiamato all’eredità e, in quanto tale, ha il diritto di accettarla. L’effetto
dell’accettazione viene però fatto retroagire al momento dell’apertura della successione, proprio per
evitare quella soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius, che rischierebbe di
pregiudicare gravemente l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici. L’accettazione può essere:
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Con l'accettazione pura e semplice l'erede confonde il suo patrimonio con quello del defunto che
divengono, in tal modo, un unico patrimonio; questa conseguenza può non sempre essere
conveniente per l'erede, perché se nel patrimonio del de cuius i debiti superano i crediti, l'erede
sarà tenuto comunque ad onorarli. Per questo motivo potrebbe convenire accettare l'eredità, non
puramente e semplicemente, ma con beneficio di inventario in modo da non dover rispondere con il
proprio patrimonio per i debiti che erano del defunto.
È necessario l'atto pubblico a pena di nullità; la dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o
dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro
delle successioni conservato nello stesso tribunale. La dichiarazione deve essere trascritta, a cura
del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione. La
dichiarazione di accettazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario.
L'inventario deve essere fatto entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della
notizia della devoluta eredità. Se l'inventario non viene fatto entro i tre mesi, si considera che abbia
accettato puramente e semplicemente.
Con l'accettazione con beneficio d'inventario i poteri sul patrimonio del defunto del chiamato
all'eredità non saranno certamente quelli pieni che gli sarebbero derivati dalla accettazione pura e
semplice; Con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede diviene l'amministratore del patrimonio del
de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari; proprio
perché l'erede amministra pur sempre delle cose sue, l'art. 491 c.c. prevede la sua responsabilità
per l'amministrazione solo per colpa grave. L’erede decade dal beneficio d’inventario se aliena o
sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari o omette parte degli stessi nell'inventario e in caso di
inosservanza delle procedure previste dalla legge.
Rinunzia all'eredità.
Il chiamato è libero di rinunziare all’eredità, ovvero di manifestare la volontà di non voler accettare
l’eredità stessa. La rinunzia è un negozio unilaterale non recettizio e può essere compiuto fino a che
il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto. E’ un negozio puro, che non tollera, sotto pena di
nullità, l’apposizione di termini o di condizioni, né può essere parziale (520). La rinunzia ha effetto
retroattivo, nel senso che il rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato (521). La
rinunzia deve essere espressa, non è ammessa rinunzia tacita all’eredità. A differenza
dell’accettazione, la rinunzia può essere revocata (525): tale revoca della rinunzia si realizza
mediante l’accettazione dell’eredità, la quale può intervenire fino a che il diritto di accettare non sia
prescritto e se l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati.
La rinunzia è impugnabile dai creditore, ove gli stessi ricevano danno dalla rinunzia. La rinunzia può
essere impugnata pure dal rinunziante se è effetto di dolo o violenza: l’azione si prescrive in 5 anni
dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o è cessata la violenza (526).
L’art. 467 ci dice, in primo luogo, cos’è la rappresentazione. È un istituto abbastanza semplice,
perché si riferisce al caso in cui soggetto, chiamato all’eredità, si trovi nella condizione di non potere
o non volere accettare l’eredità (o il legato). Non vuole perché rinuncia, non può perché, magari, è
indegno o anche è morto prima di aver accettato l’eredità.
Cosa accade, o meglio, cosa dovrebbe accadere in questi casi?
In teoria dovrebbero applicarsi una serie di regole specifiche, come gli articoli 522 e 523, o anche
l’art. 479, ma invece si applica la regola prevista dall’art. 467: al posto del chiamato che non può o
non vuole accettare l’eredità, subentrano i suoi discendenti, ma non vi subentrano semplicemente,
ma nel luogo e nel grado del loro ascendente, insomma si sostituiscono in tutto e per tutto al loro
ascendente, ne prendono il posto.
Bene, ma allora, ci si potrebbe chiedere, ogni volta che qualcuno non può o non vuole accettare
l’eredità ci sarà sempre e comunque rappresentazione?
No. Bisogna vedere che rapporto di parentela c’era tra la persona che non ha voluto o potuto
accettare l’eredità, e il de cuius.
Per l’art. 468 la rappresentazione opera rispetto al de cuius in due modi, in linea retta e in linea
collaterale.
In altre parole bisognerà vedere se la persona che non ha voluto o potuto accettare l’eredità era un
discendente, anche figlio adottivo, del de cuius (e quindi c’era un rapporto di parentela in linea
retta) o era fratello o sorella del de cuius (quindi parentela in linea collaterale). Solo in questi casi i
discendenti di questi parenti succederanno per rappresentazione, mentre se il rapporto di parentela
con il de cuius era di altro tipo, per es. un ascendente del de cuius che non ha potuto o voluto
accettare l’eredità, non si avrà rappresentazione e si applicheranno le normali regole previste per la
successione. Abbiamo visto che la rappresentazione opera in maniera automatica e ciò è tanto vero
soprattutto della successione legittima. Ma cosa accade nella successione testamentaria?
Secondo l'articolo 467 comma 2 la rappresentazione si applica negli stessi modi della successione
legittima anche nella successione testamentaria.
Il testatore, tuttavia, può aver previsto il caso in cui l'istituito non voglia o non possa accettare
l'eredità o il legato designando la persona da sostituire.
Può accadere, ad esempio, che nel testamento il testatore scriva: " istituisco mio erede Tizio, ma nel
caso in cui rinunzi all'eredità, istituisco mio erede Sempronio ". In queste ipotesi non si avrà
rappresentazione e i figli di Tizio non subentreranno nella posizione del loro genitore.
Eredità giacente.
Nel diritto romano l’eredità veniva definita giacente nel periodo che intercorreva tra l’apertura della
successione e l’accettazione da parte del chiamato.
La disciplina della eredità giacente si ricollega all’esigenza di assicurare un adeguato grado di tutela
ai beni componenti l’asse ereditario, nella ipotesi in cui non vi sia altro soggetto reputato idoneo alla
loro conservazione. Ai sensi dell’art. 528, quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel
possesso dei beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza
delle persona interessata o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità. La giacenza dell’eredità
cessa in conseguenza dell’avvenuta accettazione da parte di uno dei chiamati. Il curatore è tenuto a
procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle
istanze proposte contro la medesima e, più in generale, ad amministrarla (529). Diversa dall’eredità
giacente è la c.d. eredità vacante, situazione che si verifica quando non sussistano più chiamati che
possano accettare l’eredita. In tal caso, l’eredità viene acquistata dallo Stato.
Se confrontiamo l'art. 533 e l'art. 534 notiamo che in entrambi i casi si può agire contro un erede
apparente ma le figure di eredi apparenti non sono uguali. Il caso dell'art. 533 fa riferimento
all'erede apparente ovvero al soggetto che pur non essendo erede possiede i beni ereditari
affermandosi erede. Nel caso dell'art. 534 si agisce contro il terzo che ha acquistato l'eredità
dall'erede apparente. Si può vedere come le due norme sono diverse. Nel caso disposto dall'art. 533
il bene è ancora nel possesso dell'erede apparente. Nel secondo caso, ovvero quello disposto
dall'arte. 534 il vero erede non agisce contro l'erede apparente ma contro i suoi aventi causa.
Analizziamo, infine, le differenze tra questa azione e quella prevista dall'art. 533. L'azione è rivolta
contro terzi e non direttamente contro l'erede apparente;
non è possibile, con questa azione, agire semplicemente contro chiunque possegga i beni ereditari,
come nel caso dell'art. 533, ma solo contro chi sia stato avente causa dall'erede apparente o dal
possessore senza titolo alcuno;
in tema di buona fede notiamo che quando l'erede apparente aliena il bene al terzo, la sua
situazione di buona fede è irrilevante, contando, semmai, la buona fede del terzo. Nel caso dell'art.
533, invece, la buona fede dell'erede apparente deve essere accertata poiché sarà rilevante in
merito alle restituzioni ( art. 535 c.c.) .
Criteri di vocazione.
A) Successione legittima.
Presupposti e fondamento.
È la successione che avviene per volontà di legge quando non vi sia testamento. Se il de cuius è
morto senza lasciare testamento, la successione è interamente regolata da norme di legge ( art. 457
c.c.), norme che tendono a privilegiare le persone che hanno avuto un rapporto di parentela più
stretto con il defunto, rispetto a coloro che hanno un grado di parentela più lontano. Se, poi,
esisteva un rapporto di coniugio anche il coniuge del defunto concorrerà con i parenti nella
successione ereditaria. Abbiamo detto che presupposto della successione legittima è la mancanza di
testamento. Specifichiamo che questo tipo di successione ha luogo anche quando un testamento è
nullo o è stato annullato, quando è privo di disposizioni patrimoniali o quando il testamento
prevede solo legati oppure, infine, quando il testamento dispone solo per alcuni beni.
Insomma la mancanza di una valida o completa volontà del testatore in merito alla individuazione
degli eredi che subentreranno nel suo patrimonio, apre la strada alla successione legittima.
Ciò detto, cominciamo a vedere, chi sono le categorie di successibili, chi sono, cioè, coloro che
hanno titolo alla vocazione legittima.
Hanno diritto a succedere, per vocazione legittima, il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i
collaterali e gli altri parenti (fino al sesto grado), infine lo Stato. Quest'ultimo, però, succede solo
quando non sia possibile la successione degli altri chiamati.
riserva 2/3 dell’eredità nel concorso con gli ascendenti, con fratelli e sorelle o con entrambe le
categorie di successibili.
In caso di separazione o divorzio si rimanda al diritto di famiglia.
Nell’ipotesi di dichiarazione di nullità del matrimonio dopo la morte del de cuius, al coniuge
superstite di buona fede spettano gli ordinari diritti successori: egli è escluso però se il de cuius era
legato da valido matrimonio al momento della morte (584).
Al coniuge superstite spettano il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il
diritto di uso sui mobili che la corredano.
B) Successione testamentaria.
Il testamento.
Il testamento, quale prototipo dell’atto mortis causa, ha da sempre assunto un ruolo di assoluta
centralità nel quadro delle vicende successorie. Il suo carattere di negozio mortis causa sta ad
indicare che il testamento è destinato a definire l’assetto dei rapporti patrimoniali del de cuius per il
tempo in cui questi avrà cessato di vivere. Il testamento è l’unico strumento negoziale riconosciuto
ai privati per disporre del proprio patrimonio per il periodo successivo alla cessazione della
esistenza. Il nostro ordinamento non tollera alcun tipo di disposizione mortis causa di natura
contrattuale. Il testamento si presenta quale atto di carattere personale volto ad incidere su
situazioni di contenuto patrimoniale. In tema di interpretazione non vi è una disciplina analitica,
l’applicazione dell’articolo 1362 imporrà all’interprete, nel determinare il contenuto del testamento,
di non limitarsi al senso letterale delle parole adoperate dal testatore, cercando di ricostruirne
l’effettiva volontà. È evidente però che a differenza della materia contrattuale il criterio di fondo non
consisterà nella individuazione della comune intenzione delle parti, bensì la ricerca della concreta
volontà del testatore.
Il testamento è definito dall’art. 587 come “atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo
in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”.
Si distingue il testamento, quale atto di ultima volontà, dalle disposizioni testamentarie, che
rappresentano ciascuna una manifestazione volitiva del testatore. È vero, infatti, che di solito con il
testamento si dispone del proprio patrimonio dopo la morte, ma è anche vero che nello stesso atto
possono esserci anche altre disposizioni di carattere non patrimoniale, di indole puramente morale (
come, ad es. l'obbligo imposto all'erede di far celebrare una messa in memoria del defunto) oppure
che integrano diversi negozi, sempre di carattere non patrimoniale.
Quanto più sarà articolata la volontà del defunto, più saranno le disposizioni (patrimoniali e non)
contenute nel testamento.
É quindi necessario distinguere il testamento come atto dalle disposizioni in esso contenute, non
perché ci troviamo di fronte ad un atto complesso, perché unica è la dichiarazione di volontà, ma
perché le singole disposizioni sono autonome, e l'invalidità di alcune di esse non sempre travolge
l'intero atto.
Questa particolarità del testamento dev'essere sempre tenuta presente, perché spesso ci
imbatteremo in articoli del codice che si riferiscono a singole disposizioni e ad altre che si riferiscono
all'intero atto.
E’ negozio personale in quanto tale non risulta suscettibile di essere compiuto mediante
rappresentante, ma anche unipersonale (bisogna rispettare solo la volontà del testatore). E’ nullo il
testamento congiuntivo mediante il quale due o più persone fanno testamento a vantaggio di un
terzo. È nulla anche la disposizione testamentaria fatta sotto condizione di essere a sua volta
avvantaggiato dall'erede o dal legatario. (589). Il testamento è revocabile, può essere revocato in
qualsiasi momento dal testatore. Un simile potere di revoca giustifica il principio di tutela della
libertà testamentaria (587).
Il testamento è negozio formale, è quindi necessario che sia redatto nelle forme previste dal c.c.
Particolare rilievo assume l'art. 587, c.2. secondo cui le disposizioni di carattere non patrimoniale
che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto
che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. Un
ipotesi di disposizione dal carattere non patrimoniale è il riconoscimento del figlio nato fuori dal
matrimonio.
Il legato è istituto tipico della successione testamentaria e non trova riscontro nella successione
legittima; pur essendo nominato nel testamento, però, il legatario non diviene erede del defunto e
non risponde dei debiti che derivano dal legato ed è tenuto all'adempimento del legato e di ogni
altro onere nei limiti di valore di quanto ricevuto ( art. 671 c.c.); in altre parole il legatario è un
soggetto che è stato beneficiato dal testatore, una persona che dovrebbe ricevere vantaggio dalla
attribuzione ricevuta, cosa che non sempre accade per l'erede.
Proprio perché il legato di solito si risolve in un vantaggio, non è previsto che debba essere
accettato, come invece accade per l'eredità, ma è fatta salva, però, la facoltà di rinunciare (art. 649
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c.c.).
Il legato è quindi un atto di liberalità che il testatore ha voluto fate nei confronti del legatario, anche
se questa caratteristica può a volte non verificarsi, come nel caso in cui il testatore imponga un
onere al legatario pari al valore del legato.
Il testatore ha quindi deciso di favorire una o più persone ( fisiche o giuridiche) con il legato, ma chi
dovrà eseguire la prestazione oggetto del legato?
Ci risponde l'art. 662 c.c. che la pone a carico degli eredi, se il testatore non ha disposto nulla in
proposito; ma il testatore può aver indicato chiaramente tutti gli eredi o uno o più legatari
(sublegato) come obbligati, o anche un solo erede ( art. 663 c.c.). In quest'ultimo caso l'erede
indicato sarà il solo a dover adempiere, mentre negli altri casi l'obbligo grava in proporzione della
rispettiva quota di eredità o di legato, se il testatore non ha stabilito diversamente. I soggetti
incaricati di adempiere sono anche chiamati "onerati", mentre il legatario è detto "onorato".
L'acquisto del legato avviene ipso iure senza che sia necessaria accettazione. L'accettazione non è
quindi necessaria, ma è pur sempre possibile rinunciare, solo che per la rinuncia non è previsto
alcun termine; per questo motivo l'art. 650 c.c. permette di agire innanzi alla autorità giudiziaria
affinché questa fissi un termine al legatario per la rinuncia. La particolarità di questa specie di actio
interrogatoria sta nel fatto che se il legatario lascia trascorrere il termine senza che abbia espresso
alcuna dichiarazione, la conseguenza non sarà la rinunzia implicita, ma, al contrario, la perdita della
facoltà di rinunziare.
Il legatario, inoltre, non potrà più rinunziare quando abbia esercitato il diritto oggetto del legato.
La rinunzia, a differenza della rinunzia dell'eredità, è un negozio abdicativo unilaterale, proprio
perché si perde un diritto di cui si è già titolare.
Oltre alla fondamentale distinzione che abbiamo appena fatto, il codice civile elenca ancora
numerosi tipi di legato. Esaminiamoli sinteticamente.
Il prelegato, previsto dall'art. 661 c.c., è invece il legato di cui beneficiario sia uno degli eredi o
più coeredi. Questi cumula pertanto le due qualità di coerede onerato e di legatario, in ragione
di due distinte attribuzioni patrimoniali: istituzione di erede ed attribuzione di legato.
Il beneficiato non confonde mai, tuttavia, i due distinti titoli di acquisto; può dunque acquistare
il legato e rinunciare all'eredità.
Il prelegato è considerato legato per l'intero ammontare della successione: esso grava pertanto
su tutta l'eredità e quindi anche sulla quota spettante allo stesso legatario in qualità di erede.
Infine si ha il legato di credito: può avere ad oggetto un credito (e in tal caso il legatario diviene il
nuovo creditore) o la liberazione da un debito ( e di conseguenza il legatario è liberato dal debito
che aveva nei confronti del testatore).
sottoscrizione: deve essere sottoscritto, oltre che dal testatore, anche dai testimoni e dal notaio. Il
testamento segreto (604) è scarsamente impiegato. La scheda testamentaria viene letta dal
testatore o da un terzo; se è scritta dal testatore deve essere sottoscritta dal medesimo alla fine
delle disposizioni; se è scritta da altro soggetto, o se scritta con mezzi meccanici, deve portare la
sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato. La scheda deve essere
sigillata e consegnata al notaio in presenza di due testimoni. L’atto viene sottoscritto dal testatore,
dai testimoni e dal notaio (605). Anche il testamento segreto può essere ritirato in ogni momento da
parte del testatore (608). I testamenti per atto di notaio sono nulli qualora manchi la reazione per
iscritto da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro
(606). Per ogni altro difetto di forma il testamento è annullabile.
• Testamenti speciali concernono i presupposti e l’efficacia. In relazione ai presupposti, è il
legislatore che in corrispondenza di particolari situazioni tassativamente prededeterminate
(epidemie, calamita, operazioni belliche) autorizza talune deroghe sotto il profilo formale nella
redazione del testamento. L’efficacia è limitata nel tempo. Così infatti il testamento, redatto in
costanza di epidemie o viaggio in nave perde efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa che
ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie (610). Il testamento dei militari perde la
sue efficacia dopo il ritorno del testatore in un luogo dove è possibile far testamento nelle forme
ordinarie.
Pubblicazione.
Il testamento olografo deve essere presentato ad un notaio per la pubblicazione da chiunque ne sia
in possesso, appena giunta la notizia della morte del testatore. Il notaio procede alla pubblicazione
del testamento in presenza di due testimoni, redigendo un apposito verbale nel quale descrive lo
stato del testamento e ne riproduce il contenuto. Se il testamento è stato depositato dal testatore
presso il notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario. Una volta avvenuta la
pubblicazione il testamento ha esecuzione. La pubblicazione è operazione assolutamente necessaria
per portare a conoscenza dei terzi interessati alla successione del testatore le ultime volontà del
medesimo.
Analoga esigenza di pubblicazione del testamento non sussiste nell'ipotesi di testamento pubblico
che è di per se eseguibile: qualunque interessato ne potrà prendere conoscenza una volta che dal
notaio il testamento sia passato dal fascicolo e repertorio speciale degli atti di ultima volontà a
quello generale degli atti notarili.
Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della
morte del testatore (621).
valere, da chi conoscendo la causa della nullità dopo la morte del testatore, ha confermato la
disposizione e ne abbia dato esecuzione, art. 590.
Fiducia testamentaria: Nella disciplina del testamento il concetto di fiducia assume una rilevanza
propria per effetto del modo di disporre dell'art.627 c.c., in cui viene previsto il caso in cui il
testatore dispone a favore di un soggetto indicato nel testamento, ma con l'incarico fiduciario di
trasmettere i beni ereditati ad altri, secondo le indicazioni espressamente indicategli. I beni
diventano effettivamente di proprietà dell'erede nominato. La persona dichiarata nel testamento
non è obbligata, e neppure può essere costretta giudizialmente, a rispettare le prescrizione del
testatore. Tuttavia qualora tale soggetto abbia spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria,
trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può chiedere la ripetizione di quanto
prestato, salvo che sia un incapace.
Onere.
L'onore o modus, consiste in un peso posto dal testatore o dal donante a carico del beneficiario
dell'attribuzione gratuita. In cui si ravvisa la differenza con la condizione in quanto l'onere obbliga
ma non sospende l'efficacia della disposizione. Il modus, da non confondere con l'onere, è
qualificato come elemento accidentale del negozio giuridico. L'onore può essere apposto tanto nei
confronti dell'erede quanto al legatario. Qualora l'onore sia illecito o impossibile si considera come
non apposto. Rende però nulla la disposizione se ha costituito il motivo determinante. Per
l'adempimento dell'onere può agire chiunque ne abbia interesse.
a) sostituzione ordinaria (volgare) allorché il testatore sostituisce all’erede istituito altra persona per
il caso in cui il primo non possa o non voglia accettare l’eredità (688). Una volta che l'istituito abbia
rinunziato ad esempio all'eredità, questa si devolverà al sostituto, il quale potrà accettarla al pari di
un vero e proprio chiamato all'eredità. È altresì possibile una sostituzione plurima nella quale sono
sostituite più persone con una sola. (Istituisco erede tizio, e per il caso in cui questo non voglia o
non possa accettare, gli sostituisco Caio o Sempronio; oppure istituisco eredi Tizio e Taio e qualora
non possano o non vogliano accettare sostituisco loro con Sempronio).
Secondo l'articolo 693 del codice civile l'istituito ha il godimento e l'amministrazione dei beni che
formano oggetto della sostituzione e può compiere tutte le innovazioni dirette ad una loro migliore
utilizzazione. A lui si applicano, in quanto applicabili, le norme relative all'usufruttuario.
Si è parlato, in conseguenza di ciò, di proprietà temporanea o risolubile, ma altra dottrina preferisce
individuare questo caso come ipotesi di usufrutto o, infine come proprietà gravata da un vincolo
reale di indisponibilità.
Il sostituito (cioè l'ente o la persona che si occupano dell'interdetto), invece, non ha un diritto ma
una semplice aspettativa di diritto che si realizzerà al momento della morte dell'istituito.
Alla morte dell'istituito l'eredità si devolve al sostituito, ma potrebbe accadere che questi muoia
prima dell'interdetto. In tal caso l'istituito acquista la piena disponibilità dei beni ereditari che
passeranno, alla sua morte, ai suoi successori legittimi.
La sostituzione di cui ci stiamo occupando è l'unica ammessa dal codice civile, ed è anche chiamata
"fedecommesso assistenziale" ; ribadiamo che ogni altro tipo di sostituzione che non abbia le
finalità assistenziali che abbiamo visto è nulla.
Diritto di accrescimento.
Qualora venga meno uno dei chiamati, l’istituto dell’accrescimento consente, a determinate
condizioni, l’espansione automatica della quota a lui spettante agli altri successori.
I presupposti sono indicati dall’art. 674: i coeredi devono essere chiamati nello stesso testamento,
nella universalità dei beni e senza determinazione di parti o in parti uguali; uno dei chiamati non
può o non vuole accettare l’eredità; sull’accrescimento prevalgono, nell’ordine, l’eventuale volontà
Esecutore testamentario.
Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari (700), i quali, apertasi la successione e
accettato l’incarico, devono curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà
del defunto (703). L'esecutore non è un rappresentante del de cuius. L’ufficio è gratuito, a meno che
il testatore abbia stabilito una retribuzione sull’eredità. Per essere nominato deve avere la capacità
di obbligarsi e può essere un erede o un legatario. La nomina di un esecutore testamentario
rappresenta una garanzia di corretta esecuzione della propria volontà. L'esecutore deve attenersi a
quanto previsto nel testamento. L'esecutore, salva diversa volontà del testatore, deve amministrare
la massa ereditaria prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il possesso non può durare più
di un anno dall'accettazione. Tale termine può essere prorogato solo una volta dal l'autorità
giudiziaria. Nell'amministrazione l'esecutore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
L'alienazione dei beni ereditati deve essere sempre espressamente autorizzata dall'autorità
giudiziaria, sentiti gli eredi. Al termine della gestione l'esecutore è tenuto a rendere conto della sua
attività, e in caso di colpa è tenuto al risarcimento del danno verso gli eredi e i legatari.
Diritti legittimari.
Nozione di legittimario.
Con la disciplina della successione dei legittimari viene apprestata tutela a talune categorie di
soggetti, i cui diritti l’ordinamento intende garantire in sede successoria, in considerazione dello
stretto vincolo familiare che li lega al de cuius. Nel bilanciamento tra l’interesse del soggetto alla
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piena disponibilità dei propri beni e l’interesse dei componenti del nucleo familiare, il legislatore
accorda una spiccata preferenza al secondo, riservando a determinati successibili del defunto
(legittimari) una certa quantità di beni da calcolarsi sul patrimonio complessivo del medesimo.
La quota che spetta ai legittimari viene comunemente denominata legittima o riserva o
indisponibile: il de cuius, cioè non può disporre di tale quota né per testamento né a titolo di
liberalità (in vita). Si parla di successione necessaria e i legittimari sono anche chiamati eredi
necessari. La quota di riserva si contrappone alla cosiddetta quota disponibile, cioè la quota del
patrimonio di cui ciascun soggetto può liberamente disporre per testamento. La quota che spetta al
legittimario non può essergli sottratta e in ciò consiste il principio di intangibilità della legittima. Tale
principio va inteso in senso quantitativo e non qualitativo: al legittimario deve pervenire un certo
quantitativo di beni per un determinato ammontare e al testatore è consentito comporre la sua
quota come meglio crede. Tale principio trova piena applicazione nell’art. 549, che vieta al testatore
di imporre pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Sono legittimari: il coniuge, i figli, e, in assenza dei figli, gli ascendenti (536). E’ da evidenziare che i
fratelli non fanno parte dei legittimari.
Erede legittimo è colui cui spetta succedere in assenza, totale o parziale, di vocazione testamentaria;
erede legittimario è colui nella successione a favore del quale deve essere comunque ricompreso un
quantitativo di beni almeno pari a quello che l’ordinamento gli riserva con riferimento al patrimonio
complessivo del de cuius.
La tutela del legittimario contrasta con l’interesse del soggetto a disporre liberamente del proprio
patrimonio. Risultano frequenti le proposte di limitare la portata.
minor calcolo della quota pervenuta al legittimario. A seconda che il legittimario sia pretermesso (è
il soggetto che è stato completamente escluso dalla successione con un testamento, successione
che è andata a totale vantaggio di altri soggetti) o leso. Il legittimario leso non è da considerare
chiamato all’eredità, ma acquista tale qualità solo per effetto dell’esito vittorioso dell’azione di
riduzione. Il legittimario leso, chiamato all’eredità, può accettare l’eredità a lui devoluta e acquista la
qualità di erede limitatamente a quanto acquistato: l’azione di riduzione, in questo caso, assolve alla
funzione di reintegrare il legittimario leso fino alla concorrenza del valore della legittima.
L'azione di riduzione.
È l'azione concessa al legittimario che ha visto ledere, in tutto o in parte, la sua quota di legittima a
causa delle disposizioni testamentarie o delle donazioni effettuate dal defunto. Con questa azione si
tende ad ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni allo scopo di
reintegrare la quota di legittima.
Abbiamo visto come si calcola la quota riservata ai legittimari; se da questo calcolo risulta lesa, si
può agire con l'azione di riduzione;
riduzione di cosa?
Delle disposizioni testamentarie (legati compresi), delle donazioni effettuate che, appunto, si
riducono in modo da integrare la quota spettante al legittimario.
L'art. 557 c.c. ci indica chi sono i soggetti che possono proporre l'azione, ovvero i legittimati attivi: i
legittimari lesi in tutto o in parte nella loro quota di legittima, i loro eredi o aventi causa.
Come si vede il diritto alla legittima ( e alla relativa azione) può essere trasmesso per atto tra vivi o
mortis causa ( si parla, infatti, di "eredi o aventi causa").
Il diritto è "irrinunciabile" finché il donante è in vita, ma la rinuncia può avvenire dopo la morte del
donante.
Potrebbe accadere che il de cuius abbia posto in essere delle vendite simulate, per evitare l'azione
di riduzione; in questo caso al legittimario converrà prima dimostrare la simulazione e poi agire in
riduzione.
Vediamo, ora, chi sono i legittimati passivi: eredi, legatari o donatario, coloro, cioè, che sono stati
beneficiari della disposizione lesiva.
Azione di restituzione.
I beneficiari possono restituire spontaneamente i beni al legittimario, ma nel caso in cui ciò non
avvenga, si potrà ancora agire con una nuova azione, l'azione di restituzione ( artt. 561 c.c. e ss.).
Scopo dell'azione di restituzione è quello di far conseguire il pieno possesso dei beni al legittimario,
ed è esperibile sia contro i beneficiari sia contro gli aventi causa da questi.
Nel caso di restituzione della cosa donata, se la stessa è perita per causa imputabile al donatario o ai
suoi avanti causa, o in caso di insolvenza del donatario, sorgerà un diritto di credito nei confronti del
donatario, ma se questo risulterà insolvente saranno gli eredi e gli altri donatari anteriori a
sopportare le conseguenze di questa insolvenza.
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati
e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa
l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in
cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.
L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni,
cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni
mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando
l'equivalente in danaro.
Patto di famiglia
L’istituto Del patto di famiglia consiste nel contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in
parte, l’azienda o le proprie quote, ad uno o più discendenti (articolo 768).
Col nuovo istituto si è inteso consentire una stabile trasmissione dell’azienda delle quote sociali dal
genitore ad uno o più discendenti. Ciò, evidentemente, per assicurare che l’attività economico e
imprenditoriale possa essere continuata dei soggetti dell’imprenditore considera maggiormente
idonei tra i successibili e senza rischi tipica mente derivanti dall’eventuale frammentazione della
titolarità Del compendio aziendale in conseguenza della sua morte. Il contratto è richiesta la forma
dell’atto pubblico sotto pena di nullità, devono partecipare il coniuge e tutti coloro che sarebbero
legittimari, ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.
Chi si è visto assegnare l’azienda deve liquidare gli altri partecipanti al contratto col pagamento di
una somma corrispondente al valore delle quote loro spettanti.
Il contratto è considerato impugnabile per i vizi del consenso, è il termine di un anno dalla sua
conclusione. Inoltre può essere sciolto modificato dalle stesse persone che lo hanno concluso
mediante un diverso contratto con le medesime caratteristiche presupposti ovvero mediante
recesso.
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Comunione e divisione ereditaria.
Comunione ereditaria.
Si ha comunione dell'eredità quando più persone, per effetto di una vocazione congiuntiva,
acquistano l'eredità. Abbiamo, quindi, la figura del coerede che è titolare "pro quota" dell'asse
ereditario insieme agli altri eredi, si tratta quindi, di titolarità di una quota ideale dei beni ereditari,
e non di una parte determinata di questi. Non partecipa alla comunione ereditaria il legatario.
I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle
rispettive quote ereditarie, salvo diversa disposizione del testatore. Il legatario è esente dal
pagamento dei debiti ereditari, tuttavia se ha estinto il debito di cui era gravato il fondo legato,
subentra nelle ragioni del creditore contro gli eredi (756). Nel caso in cui un coerede adempia
all’obbligazione in una misura eccedente alla sua quota, egli avrà il diritto di rivalsa nei confronti
degli altri coeredi. Per quanto concerne i crediti del de cuius, questi potranno essere riscossi da un
solo coerede.
La quota ereditaria è un bene alienabile. L’art. 732 stabilisce che il coerede che intende alienare la
propria quota deve notificare la proposta agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione (ratio
nella concentrazione dell’eredità in pochi soggetti). Deve trattarsi di atto a titolo oneroso. Il diritto di
prelazione deve essere esercitato entro 2 mesi dalla notificazione, trascorsi i quali l'erede sarà libero
di alienare la sua quota anche ad estranei all'eredità. In caso in cui il coerede abbia alienato la quota
senza notificare l’intenzione di alienare agli altri coeredi, essi hanno diritto di riscattate la quota
dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria.
E’ questo il c.d. retratto successorio, negozio unilaterale recettizio, con efficacia reale, che produce
l’effetto di sostituire il coerede che l’abbia posto in essere nel diritto acquistato dall’estraneo, con
effetto dalla data di conclusione del contratto di alienazione a quest’ultimo. Nel caso in cui più
coeredi intendano acquistare la quota oggetto di prelazione, essa sarà assegnata, in parti uguali, ai
coeredi che intendono acquistare.
I coeredi godono in comunione i beni ereditari, ma questa può sempre essere sciolta per iniziativa
anche di uno solo di loro che non intenda più farne parte con la divisione dell'eredità.
Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione.
La situazione di comunione ereditaria si determina automaticamente, per effetto dell’acquisto pro
quota dell’eredità da parte dei chiamati. Una simile forma peculiare di contitolarità dei beni
ereditari non si realizza nell’ipotesi in cui sia stato il testatore stesso ad attribuire direttamente i beni
ai coeredi. Il testatore, ai sensi dell’art. 734, può dividere i suoi beni tra gli eredi: in tal caso, per
effetto dell’accettazione, costoro acquisteranno i beni senza passare per lo stato di comunione
ereditaria. L’istituto, denominato divisione fatta dal testatore, sostituisce la divisio inter liberos.
La divisione fatta dal testatore può anche non comprendere tutti i beni lasciati al tempo della morte
se non risulta una diversa volontà del testatore.
Viene considerata nulla la divisione dalla quale sia escluso qualcuno dei legittimari o degli eredi
istituti (735): è questa la divisione soggettivamente parziale. La dottrina tende però a salvare dalla
nullità, la divisione fatta dal testatore, qualora nell'asse ereditario il testatore abbia lasciato un
quantitativo tale di beni da soddisfare gli esclusi.
Collazione.
È il rimedio previsto dalla legge per aumentare la massa ereditaria grazie al quale i figli, i loro
discendenti, e il coniuge che hanno accettato l’eredità devono restituire alla massa ereditaria tutti i
beni che sono stati loro donati in vita dal defunto, in maniera tale da dividerli con gli altri coeredi.
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Prima ancora di approfondire la dinamica dell'istituto è importante sottolineare una differenza con
una situazione simile che abbiamo già visto parlando della lesione della quota di legittima, ci
riferiamo, cioè alla riunione fittizia della massa ereditaria.
La differenza è sostanziale, anche se di non immediata percezione;
accade, infatti, che nella riunione fittizia è necessario far rientrare nella massa ereditaria i beni che
sono stati donati dal coniuge per determinare la quota disponibile ( art. 556 c.c.).
I beni donati rientrano nella massa ereditaria ma solo per l'ammontare del valore necessario per
reintegrare la quota del legittimario che sia stata lesa dalle donazioni.
Nella collazione, invece, non ci sono legittimari da tutelare, ma una eredità da dividere, ed è
necessario che questa eredità sia completamente divisa comprendendo per intero anche i beni che
vi sono usciti a causa di donazioni.
Mentre è possibile evitare la collazione, non è possibile evitare la riunione fittizia perché questa è
funzionale alla salvaguardia del diritto del legittimario.
L’assegnazione delle porzioni uguali è fatta tramite estrazione a sorte; per le porzioni diseguali si
procede mediante attribuzione (729). Può verificarsi che tra le quote ereditarie sussistano delle
ineguaglianze. In tale ipotesi chi riceva una porzione maggiore è obbligato a versare un equivalente
in danaro (conguaglio).
1. La PUBBLICITA’ è lo strumento che l’ordinamento prevede per rendere CERTI (quindi noti), nei confronti dei
terzi, gli accadimenti giuridici, e consiste nella REGISTRAZIONE di atti e fatti giuridici in PUBBLICI REGISTRI,
allo scopo di procurarne la conoscenza. Dato che nella società si sono sviluppate due opposte tendenze, cioè
quella di riserbo nell’esplicazione della vita personale e l’esigenza di conoscenza dei fatti rilevanti allo
svolgimento delle relazioni sociali, il legislatore talvolta difende la sfera personale contro le intrusioni altrui
attraverso la protezione della riservatezza, altre volte, invece, garantisce il diritto all’informazione attraverso
meccanismi in grado di assicurare la notorietà: in quest’ultima dimensione si colloca la PUBBLICITA’. Questo
perché, soprattutto nello sviluppo dei traffici giuridici, è tanto importante essere titolari di un diritto quando
fare in modo che la generalità dei consociati, estranea alla trasmissione, modificazione o nascita della
situazione giuridica, ne venga a conoscenza. Se, ad es., tizio acquista una casa, è necessario che i terzi
sappiano che sia diventato proprietario di quella casa, perché possano fare riferimento a lui, e non più al
vecchio proprietario, circa le vicende giuridiche dell’appartamento, altrimenti potrebbe accadere, per es, che
il vecchio proprietario sia chiamato a pagarne le tasse, oppure che venda la casa che non è più sua ecc… Cosa
importante è anche che deve essere interesse di ogni soggetto procurare la conoscenza di tali fatti e che i dati
inerenti siano resi trasparenti e dunque accessibili alla collettività. Quindi, deve operare un sistema di
CERTEZZA DELLE SITUAZIONI SOGGETTIVE E DEI RAPPORTI, perché è interesse generale della collettività che
alcuni fatti siano resi conoscibili.
Effetto fondamentale della pubblicità è la CONOSCENZA LEGALE, nel senso che i fatti resi pubblici sono
considerati conosciuti anche se i registri non sono ispezionati: in questo modo, la pubblicità neutralizza la
buona fede soggettiva (ignoranza di un fatto o una situazione giuridica).
2. La PUBBLICAZIONE dell’atto è un ONERE del soggetto che l’ha compiuto e che, quindi, ha interesse a
richiederla, per conseguire l’effetto della pubblicità, mentre è un OBBLIGO dei soggetti che sono tenuti per
legge alla pubblicazione in ragione della funzione che assolvono (es. i notai, che devono curare la trascrizione
degli atti ricevuti).
Vi sono più tipi di pubblicità in base alla specifica RILEVANZA GIURIDICA di ognuno:
- PUBBLICITA’ NOTIZIA: si ha quando la pubblicità ha il solo scopo di rendere noto il fatto pubblicato, per cui
l’eventuale assenza della notizia non realizza alcun effetto sul fatto reso pubblico (es. pubblicazioni
matrimoniali). Dunque, i fatti oggetto di questo tipo di pubblicità servono solo ad assicurare la loro
conoscibilità legale ma non per questo sono opponibili a terzi (come se per i terzi non fossero mai stati
conclusi).
- PUBBLICITA’ COSTITUTIVA: si ha quando la pubblicità assume la veste di formalità essenziale alla perfezione
della fattispecie (es. costituzione di ipoteca o la iscrizione nel registro delle imprese delle società di capitali).
Senza pubblicità, la fattispecie non produce neanche effetti tra le parti, per cui vi sarà inefficacia assoluta
dell’atto.
- PUBBLICITA’ SANANTE: si ha quando la pubblicità svolge una funzione sostitutiva di un elemento mancante
o viziato. Prendiamo ad esempio la trascrizione del contratto nullo: dato che il contratto nullo nasce privo di
effetti, l’azione di nullità è imprescrittibile per cui, dichiarata la nullità del negozio, dovrebbero cadere anche
tutti gli atti da questo dipendenti (per esempio, dichiarata la nullità del titolo di acquisto dell’alienante,
dovrebbe cadere anche il titolo di acquisto dell’acquirente). La pubblicità sanante opera come deroga a
questo principio: se la trascrizione della domanda di nullità viene effettuata entro cinque anni dalla
trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza dichiarativa di nullità è opponibile a terzi, anche se di buona
fede e anche se hanno trascritto il proprio titolo di acquisto prima della trascrizione della domanda di nullità
(quindi, nell’esempio riportato, la domanda di nullità prevale sulla trascrizione del titolo di acquisto
dell’acquirente); invece, se la trascrizione della domande di nullità avviene dopo i cinque anni dalla data del
negozio nullo, sarà inopponibile ai terzi, per cui i diritti da loro acquistati non rimarranno pregiudicati.
3. Dato che oggetto della pubblicità sono atti e fatti relativi a soggetti, beni, attività, imprese ecc., operano
più REGISTRI DI PUBBLICITA’:
- Per quanto riguarda le PERSONE FISICHE, i REGISTRI DI STATO CIVILE sono quelli in cui vengono rese note le
vicende esistenziali della persona fisica, quindi tutti gli atti riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni
e la morte. La pubblicità eseguita è tendenzialmente una pubblicità notizia. Altri registri specifici riguardano
la CAPACITA’ delle persone, come i REGISTRI DELLE TUTELE DEI MINORI E DEGLI INTERDETTI, quelli delle
AMMINISTRAZIONI DI SOSTEGNO e quelli delle CURATELE DEI MONORI EMANCIPATI E DEGLI INABILITATI.
- Per quanto riguarda le PERSONE GIURIDICHE PRIVATE (associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere
privato), gli atti riguardanti il loro riconoscimento sono iscritti nel REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE.
- Gli atti riguardanti le IMPRESE COMMERCIALI e le SOCIETA’ sono iscritti nel REGISTRO DELLE IMPRESE,
istituiti presso le Camere di commercio.
- Per i BENI MOBILI REGISTRATI, infine, sono previsti registri di pubblicità relativamente alle NAVI, agli
AEROMOBILI e agli AUTOVEICOLI, e tenuti da diverse istituzioni in ragione del tipo di mobile registrato.
1. La TRASCRIZIONE è uno strumento di pubblicità predisposto dall’ordinamento per rendere certi i fatti che
riguardano beni immobili e beni mobili registrati. Come già detto, l’esecuzione di questi strumenti di
pubblicità rappresenta un ONERE per la parte interessata (colui che compie l’atto), per avvantaggiarsi degli
effetti che alla pubblicità si riconnettono, ma anche un OBBLIGO per il notaio o pubblico ufficiale che riceva
l’atto, per assicurare la certezza della circolazione (cioè l’avvenuto trasferimento) degli immobili o mobili
registrati: infatti, il pubblico ufficiale ha l’obbligo di curare la trascrizione nel minor tempo possibile e, in caso
di ritardo, è tenuto al risarcimento dei danni.
2. I REGISTRI IMMOBILIARI sono impostati su BASE PERSONALE, nel senso che i registri sui quali si attuano le
formalità pubblicitarie sono organizzati secondo i NOMI dei SOGGETTI cui si riferisce la trascrizione: al
nominativo di ciascuna persona sono indicati gli atti che lo riguardano, trascritti a favore (per quanto riguarda
la trascrizione dell’acquisto o di altro diritto reale) o contro (per quanto riguarda la cessione) il soggetto. In
questo modo, con la pubblicità dei singoli atti dispositivi viene eseguita la trascrizione in capo ai soggetti
interessati per consentire la conoscenza della loro titolarità di diritti reali e della circolazione degli stessi.
Per eseguire la trascrizione, titoli utili sono la SENTENZA, l’ATTO PUBBLICO o la SCRITTURA PRIVATA CON
SOTTOSCRIZIONE AUTENTICATA O ACCERTATA GIUDIZIALMENTE. Insieme al titolo, va presentata anche una
NOTA DI TRASCRIZIONE, con le indicazioni circa le generalità delle parti, il regime patrimoniale delle stesse se
coniugate, la natura e la situazione dei beni… Comunque, l’omissione o l’inesattezza di una delle indicazioni
richieste in questa nota non influiscono sulla validità della trascrizione, a meno che non inducano a incertezze
sulla persona, sul bene o sul rapporto giuridico cui si riferisce l’atto, oppure sulla sentenza o la domanda di
trascrizione.
3. Nel nostro ordinamento vige il cd. CONSENSO TRASLATIVO, per cui la proprietà o altro diritto si
trasferiscono e si acquistano per effetto del CONSENSO DELLE PARTI legittimamente manifestato, quindi le
formalità pubblicitarie mirano solo alla conoscenza legale delle vicende circolatorie nei confronti dei terzi,
fungendo da pubblicità dichiarativa, opponibile alle parti. Tuttavia, talvolta questo principio trova
un’eccezione nel principio di trascrizione, in quanto può avvenire che il medesimo diritto può formare
oggetto di più diritti di alienazione (es. il proprietario di un bene vende la proprietà dello stesso prima a un
soggetto e poi ad un altro). Secondo un principio logico ed etico, chi ha acquistato per primo il bene
dovrebbe prevalere sul secondo, dato che, sul piano formale, se l’alienante ha già disposto un diritto, non è
più titolare dello stesso e quindi non può disporne di nuovo, e sul piano etico, perché l’alienante che rivende
un bene già venduto a terzi si rivela disonesto. Però, l’esigenza di circolazione dei beni richiede che venga
garantita la posizione di chi ha acquistato un bene contro il pericolo che il suo acquisto possa
successivamente venir meno. Per questo, il CONFLITTO tra i vari AVENTI CAUSA, sui beni immobili e mobili
registrati, viene risolto con il RICORSO ALLA TRASCRIZIONE: in questo senso, la trascrizione non è necessaria
all’acquisto, che si realizza con il consenso, ma è necessaria per rendere inattaccabile l’acquisto di terzi del
medesimo bene già venduto dallo stesso autore, per cui, in caso di conflitto prevarrà, secondo principio
logico, il diritto di colui che ha effettuato per prima la trascrizione. La DEROGA al PRINCIPIO
CONSENSUALISTICO, dunque, consiste proprio nel fatto che la SICUREZZA DELL’ACQUISTO prevale sul
CONSENSO TRASLATIVO, anche nel caso in cui quest’ultimo sia effettuato prima.
La trascrizione, infine, può avere DUE EFFETTI: POSITIVO, in quanto il soggetto che trascrive per primo rende
l’atto opponibile ai terzi che l’hanno trascritto successivamente; NEGATIVO, in quanto la mancata trascrizione
rende l’atto inopponibile ai terzi che l’hanno trascritto anteriormente.
4. I registri immobiliari assicurano la conoscenza della circolazione dei beni attraverso il principio della
CONTINUITA’ DELLA TRASCRIZIONE: per avere effetto, le trascrizioni devono essere CONTINUE, cioè trovarsi
di seguito e collegate con i precedenti atti di acquisto, di modo che sotto i nomi dei proprietari di un
immobile che si sono succeduti, risulti una catena ininterrotta di titolari. In questo modo, si snoda una catena
nella quale ad ogni anello, che corrisponde a una trascrizione a favore (cioè l’acquisto), si lega ad un anello
precedente, che corrisponde ad una trascrizione contro (cessione del bene). Dunque, è interesse
dell’acquirente non solo curare la trascrizione del proprio atto di acquisto, ma anche DETERMINARE LA
TRASCRIZIONE DELL’ACQUISTO DEL SUO DANTE CAUSA, per saldare così la catena delle trascrizioni e rendere
l’acquisto, una volta determinata l’effettiva circolazione del bene, opponibile ai terzi, eventuali aventi causa
dall’originario titolare.
5. L’art. 2643 detta un elenco degli ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE CON EFFICACIA TIPICA, cioè prevista dalla
legge. Sono soggetti a trascrizione i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili e i contratti che
costituiscono, trasferiscono o modificano diritti reali di godimento su immobili altrui; ancora i contratti che
costituiscono la comunione di uno dei diritti in precedenza citati, gli atti tra vivi di rinuncia, i provvedimenti di
trasferimento coattivo; circa i diritti personali di godimento, sono soggetti a trascrizione i contratti di
locazione ultranovennale e altri; inoltre, anche i contratti di società e di associazione che si riferiscono al
godimento di beni immobili o di diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell’associazione
superi i nove anni.
6. Vi è un’altra categoria di atti verso i quali la trascrizione produce EFFETTI PARTICOLARI propri
DIVERSIFICATI, fissati di volta in volta dall’ordinamento. Sono così soggetti a trascrizione gli atti che
riguardano la divisione della cosa comune, in quanto la trascrizione in questo caso mira solo a tutelare i
singoli aventi causa dagli altri partecipanti e loro creditori contro il pericolo di divisioni occulte, per cui la
pubblicità ha efficacia dichiarativa; ancora deve essere trascritta la cessione dei beni ai creditori, perché
questi procedano alla liquidazione dei beni e alla ripartizione del ricavato; ancora vanno trascritte le sentenze
da cui risulta l’estinzione per prescrizione o l’acquisto a titolo originario, avendo la generale efficacia di
pubblicità notizia, ma comunque esclude la buona fede dei terzi, nei casi in cui la stessa buona fede rilevi
giuridicamente; sono, infine, soggetti a trascrizione la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni
matrimoniali che escludono i beni dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento
della comunione e gli atti di acquisto di beni personali.