CARTESIO
CARTESIO
CARTESIO
DUBBIO E COGITO
Le regole metodiche non hanno intrinseche in sé la propria giustificazione: il fatto che la
matematiche se ne serva con successo, non è determinante nello stabilire la validità assoluta di
quest’ultime in ogni campo del sapere, al di là delle discipline matematiche.
Cartesio riconosce la necessità di ricostruire l’intero sapere a partire dalle sole conoscenze certe e
propone, a tale fine, di applicare al sapere tutto il dubbio metodico, ossia un procedimento di
critica radicale che prevede di sospendere l’assenso a ogni conoscenza comunemente accettata e
dubitare, ritenendo almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se
l’atteggiamento di critica radicale persiste, si giungerà ad un principio da considerarsi
universalmente valido, in quanto resistente al dubbio, e a partire da questo verranno a
sovrapporsi tutte le altre conoscenze.
Nessun grado o forma di conoscenza si sottrae al dubbio: anzitutto è necessario dubitare delle
conoscenze sensibili, sia perché i sensi qualche volta ci ingannano e perciò possono ingannarci
sempre, sia perché si hanno nei sogni impressioni o sensazioni simili a quelle che si hanno nella
veglia, senza che si possa trovare un criterio sicuro di distinzione tra le une e le altre.
Nonostante le certezze matematiche appaino immutabili sia nel sogno che nella veglia, esse
possono rivelarsi illusorio: con tale considerazione il dubbio metodico culmina in quello iperbolico.
Sulla base della considerazione che finchè non si sappia qualcosa di assolutamente certo intorno
alla nostra origine, si può supporre che la nostra creazione derivi da un “genio maligno”, una
potenza superiore e malvagia che ci inganna facendoci apparire come chiaro ed evidente ciò che in
realtà è falso e assurdo.
L’unica verità che si sottrae al dubbio, configurandosi come verità originaria è quella del cogito
(“penso”, dal latino cogitare, ossia pensare). Si può ammettere di ingannarsi oppure di essere
ingannati, ma perché ciò avvenga è fondamentale l’esistenza, ossia essere qualcosa e non un nulla.
Il cogito sconfigge il dubbio in quanto rappresenta la certezza indubitabile che il soggetto ha di
esistere, in quanto soggetto pensante. Cartesio propone due formulazioni di tale argomento: nelle
Meditazioni Metafisiche, nelle forma “ego cogito, ego existo” (io penso, io esisto); un’altra nel
Discorso sul metodo dove lo presenta come “cogito ergo sum” (penso, dunque sono). La
proposizione “io esisto” equivale alla proposizione “io sono un soggetto, dunque sostanza,
pensante”, ossia uno spirito, intelletto o ragione. E la mia esistenza di soggetto è certa come non
lo è l’esistenza di nessuna delle cose che penso. Può ben darsi che ciò che io percepisco non esista;
ma è impossibile che non esista io, che penso di percepire quell’oggetto.
Numerosi furono i contemporanei di Cartesio che discussero ampliamente circa il tema del cogito.
In particolare, ricordiamo Arnauld, Gassendi e Hobbes. Il filosofo inglese Thomas Hobbes sollevò
una critica insidiosa nei confronti del pensiero di Cartesio: egli ritenne che Cartesio aveva
senz’altro ragione nel dire che l’io, in quanto pensa, esiste, ma torto nel pretendere di
pronunciarsi su come l’io esiste, ovvero nel definirlo come spirito o anima. La critica di Hobbes
risiede nel passaggio dall’attività del pensare alla sostanza, che è l’anima. Difatti il soggetto
dell’attività pensare non è lo spirito, ma un organo materiale, ossia il cervello.
DIO COME GIUSTIFICAZIONE METAFISICA DELLE CERTEZZE UMANE
Ideaogni oggetto o contenuto del pensiero. Esse si distinguono a seconda dell’origine (idee
innate, avventizie e fattizie) oppure a seconda dell’oggetto che rappresentano.
L’autoevidenza del cogito rende sicura la mia esistenza come essere pensante, a lascia ancora
aperta la questione delle altre esistenze. Infatti, io sono essere pensante che ha idee e sono sicuro
del fatto che tali idee esistano nel mio spirito, ma non sono invece sicuro che a queste idee
corrispondano realtà effettive fuori di me.
L’ipotesi del genio maligno non riesce a scalfire l’evidenza della mia esistenza come cosa pensante,
ma continua a gravare sul mondo esterno a me, facendo apparire come evidente ciò che in realtà
è ingannevole. Per superare tale Ostacolo, Cartesio deve dimostrare l’esistenza di un Dio, che sia
buono e perfetto, e proprio secondo tali virtù, non inganna l’uomo. Dio in Cartesio ha dunque
principale valore gnoseologico, più che teologico, in quanto costituisce il fondamento e la garanzia
della verità del mondo esterno.
Cartesio, al fine di dimostrare l’esistenza di questo Dio buono e perfetto, applica un precisamente
a priori di analisi a partire dal cogito e dunque dei contenuti del pensiero.
Cartesio parte esaminando le idee classificandole sulla base della loro origine: