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Lezione 2: Monteverdi

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Tra Cinquecento e Seicento (Musica vocale profana)

- Camerata dei Bardi - recitar cantando


- Primi esperimenti di Peri e Caccini (Euridice, 1600)
- Nascita dell’Opera

La melodia accompagnata contro complessità della polifonia (che rende incomprensibile il testo;
problema sentito tanto in ambito sacro - Palestrina - quanto profano - Vincenzo Galilei)

Claudio Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643)

Si formò alla severa scuola di Marcantonio Ingegneri (autore di madrigali cromatici, messe e
mottetti), da cui apprese, oltre all'uso del cromatismo, quel rispetto per la condotta polifonica delle
parti che non lo abbandonò mai. Dal 1590 fu al servizio della corte dei Gonzaga, a Mantova, come
suonatore di viola e cantore, e dal 1602 divenne “maestro di musica” del duca Francesco Gonzaga,
per cui scrisse i primi lavori teatrali nel nuovo stile monodico (Orfeo e Arianna); dal 1613 fu
maestro di cappella a Venezia in San Marco; agli anni veneziani fanno capo i suoi rimanenti
melodrammi (Il ritorno di Ulisse in patria e l’Incoronazione di Poppea);

E’ il compositore di riferimento che, nell’ambito della musica vocale, fa da tramite tra Cinquecento
e Seicento.
I libri di Monteverdi segnano l’evoluzione del genere del madrigale che si dissolve nell’opera, dai
primi libri, con i madrigali polifonici, agli ultimi, con i madrigali rappresentativi.

Opere significative:

- Otto libri di madrigali (nell’Ottavo, 1638, si trova il celebre Combattimento di Tancredi e


Clorinda);

- L’Orfeo, prima opera compiuta in senso moderno (come spettacolo che prevede introduzione
strumentale, orchestra ricca di strumenti, arie, duetti, cori, danze ecc.);
https://www.youtube.com/watch?v=jUep3sqe35o

- Il ritorno di Ulisse in patria

- L’incoronazione di Poppea

Il Quinto libro di madrigali è legato alla polemica con Artusi (la prima e la seconda “practica”).
La seconda pratica come adesione totale al significato del testo, tanto dal punto di vista del
compositore quanto di quello dell’interprete.

La storia del madrigale copre un centinaio di anni e può essere, approssimativamente, ricondotta a
due fasi, che Monteverdi chiamerà prima e seconda practica.
I madrigali seguenti

Verdelot
https://www.youtube.com/watch?v=SFnGIcCpzV8

Arcadelt “Il bianco e dolce cigno”


https://www.youtube.com/watch?v=e80pobrCT5Y
rappresentano bene la prima fase della storia del genere, che ha tendenzialmente queste
caratteristiche:

I brani, pur essendo polifonici, hanno un andamento tendenzialmente omoritmico, e l’armonia che
si forma dall’incontro delle voci è già molto vicina alla nostra sensibilità armonica e tonale.
La polifonia è scritta, complessivamente, all’insegna di un accurato equilibrio armonico, e la
sensazione generale è quella di una perfetta eufonia, dove le dissonanze vengono accuratamente
preparate e risolte: non c’è, tuttavia (e questo è il dato più importante), una cura particolare da
parte del compositore di adeguare le parole al testo.

Gioseffo Zarlino pubblica infatti a Venezia, in quegli anni, Le istituzioni harmoniche, un libro che si
pone teoricamente alla base del dualismo moderno dei modi maggiore e minore. I madrigalisti della
prima practica sono molto attenti a rispettare le regole della polifonia enunciate da Zarlino, a
discapito di una più stretta relazione tra musica e testo.

I musicisti della seconda practica invece, che cominceranno ad operare a partire dagli anni 80 del
Cinquecento, cambieranno radicalmente questo paradigma e troveranno in Monteverdi il più
significativo rappresentante della nuova tendenza.

Monteverdi (1583-1643) scriverà otto libri di madrigali (ogni libro contiene approssimativamente
una ventina di madrigali). Grazie a questi otto libri possiamo seguire una vera e propria evoluzione
del suo stile e del genere in sé.
Alla pubblicazione del quinto libro, nel 1605, Monteverdi subisce una critica da parte di Artusi, un
teorico che lo attacca pubblicamente sostenendo che Monteverdi non avesse rispettato le regole
dell’armonia e del contrappunto teorizzate da Zarlino.
Monteverdi rispose dicendo che lui componeva in base a ciò che il testo gli suggeriva a livello di
immagini e stati d’animo, e non solo sulla base delle rigide regole del contrappunto suggerite da
Zarlino.
Da queste significative premesse, cercando un’aderenza tra parola e testo, Monteverdi terminerà la
sua ricerca artistica approdando nell’universo del recitar cantando e dell’opera, che, infatti,
accoglie e sintetizza il genere del madrigale (il quale non a caso sparirà definitivamente dalla scena
musicale quando l’opera comincerà ad affermarsi definitivamente, ovvero a partire dagli anni trenta
del Seicento).

Come si è detto, il passaggio tra prima e seconda practica avviene verso gli ultimi due decenni del
Cinquecento: è quello il periodo in cui i madrigalisti iniziano a cambiare il modo di scrivere.
Monteverdi, infatti, dice testualmente nel 1605: “i vecchi madrigalisti (quelli della prima pratica)
compilavano una cartella di contrappunti dove tutte le regole erano rispettate e dopo ci mettevano
sopra le parole; nella seconda practica, invece, la musica deve essere serva dell’orazione, e non
padrona”.

Ascolto: Cruda Amarilli, Monteverdi (Quinto libro)

https://www.youtube.com/watch?v=bKTQQ28sSNo

Questo è il madrigale che apre il Quinto libro di Monteverdi e che suscitò le polemiche di Artusi.
Alcuni aspetti notevoli legati alle critiche di Artusi riferite a questo brano:
1) in corrispondenza di “Cruda” (crudele), parola con cui inizia il madrigale e il libro, viene messa
da Monteverdi una settima che risolve in modo anomalo (secondo le regole di Zarlino);
2) più avanti in corrispondenza delle parole “ahi lasso!” Monteverdi utilizza una nona, tra soprano e
basso, senza preparazione;
3) sulle parole “ma dell’aspido sordo” la musica ha un disegno ed un andamento tortuoso
 madrigalismo: utilizzare un’immagine “pittorica” realizzata con l’ausilio della grafia
musicale per “dipingere” una figura contenuta nel testo;
4) sulle parole “e più fugace” anche la musica diventa più fugace, come se scappasse via.

Ascolto: Piagn’e Sospira, Monteverdi (Quarto libro)

https://www.youtube.com/watch?v=8FzCO4GNsLU

Il testo è un’ottava della Gerusalemme Conquistata di Torquato Tasso.


Alcuni punti importanti:
1) Per dare l’idea del pianto utilizza una scala cromatica ascendente;
2) Per dare l’idea del sospiro utilizza una pausa,;
3) Utilizza crome che “corrono via” per la parola “fuggon”.

Seconda pratica:

Monteverdi: “Ecco mormorar l’onde”


https://www.youtube.com/watch?v=7Tbyjdge4A8
Monteverdi: Sfogava con le stelle
https://www.youtube.com/watch?v=etwCfytWqr4
Monteverdi “Piagne e sospira”

_____________________

L'Orfeo e il Lamento di Arianna

Monteverdi scrive l'Orfeo (nel 1607)

https://www.youtube.com/watch?v=0mD16EVxNOM

per Francesco Gonzaga, che pare avesse condotto il musicista con sé a Firenze per l'Euridice di
Peri, così che si impadronisse del nuovo stile monodico.
Quando compone Orfeo (sua prima opera, lo stesso soggetto dell’Euridice, libretto di
Alessandro Striggio Junior) Monteverdi ha già pubblicato cinque dei suoi otto libri di Madrigali, il
primo dei quali (1587) gli garantì fama europea.
Monteverdi accoglie lo “stile rappresentativo” di Peri e Caccini, ma in modo più elastico e
meno esclusivo nel rigore del procedimento, infondendovi inoltre il suo pathos e la sua grandezza di
compositore:
- il “recitativo” dei fiorentini si trasforma in “arioso”: andamento musicale tipicamente
monteverdiano, dove, pur nel rispetto del ritmo e della comprensione della parola (quello
che Monteverdi, chiama il “parlar cantando”), si ha una notevole apertura melodica;
- il cambiamento di tonalità è usato a fini di tensione drammatica, come quando la
messaggera Silvia dice ad Orfeo che Euridice “si è spenta”, con un improvviso passaggio al
minore;
- il principio della variazione strofica è esteso dalla monodia solistica
La Musica: “Io la Musica son ch’ai dolci accenti”
https://www.youtube.com/watch?v=NIr_SWt_NzY minuto 2’22’’
Orfeo: “Possente spirito”
https://www.youtube.com/watch?v=VYqF3TTaZcc
al coro, integralmente, molto più in là dell'impiego che ne aveva fatto de’ Cavalieri nella
Rappresentazione;
- applicato al canto il cromatismo, sia melodico che armonico, è di forte intensità
(Monteverdi era stato allievo di Ingegneri);
- l'unitarietà di scene ed atti è garantita dal ripetersi identico di ritornelli strumentali o corali
variamente disposti.

La novità di Orfeo comunque, novità che apre la strada al melodramma successivo, è


avere realizzato le possibilità drammatiche, cioè teatrali, latenti in tutte le forme musicali del
tempo, anziché del solo “recitar cantando” che i Fiorentini, radicalmente, avevano
privilegiato.
Le possibilità drammatiche:

- di forme monodiche, polifoniche, vocali e strumentali (celebre la Toccata di apertura:


https://www.youtube.com/watch?v=mjpFi9bn1do che si ispira ai modelli delle sonate e
sinfonie per ottoni dei Gabrieli)
- del coro in stile madrigalistico
- dell'aria strofica e della canzone di danza
- dei ritornelli strumentali (tipo toccata veneziana per ottoni)
- dello stile concertato (Orfeo: “Possente spirito”), con gli strumenti (due violini, due
cornetti, arpa doppia) che, con le loro fioriture, dialogano con la voce (“Possente spirito” è
interamente e riccamente “passaggiato” da Monteverdi stesso), costituendo una remota
anticipazione dell'aria con strumenti concertanti.

Da osservare come, quando Orfeo con l'invocazione a Caronte (“Possente spirito”) fa leva
sui suoi mitici poteri di cantori – ovvero, fuori dal mito, sui poteri della musica - Monteverdi ricorra
ad una ornamentazione vocale fastosa, da “Piece de Resistence” senza precedenti.
Minori (a dispetto di quanto si legge) le novità nel campo dell'orchestrazione, perché la
notevolissima quantità di strumenti (eccezionalmente elencati uno dopo l'altro in testa alla partitura
e spesso in corrispondenza dei vari brani) si rifà ancora alla tradizione degli intermedi, dove si
impiegavano un’infinità di strumenti diversi.
Infatti, quella dell'Orfeo, come appunto quella degli intermedi, è ancora un tipo di
“strumentazione figurativa” fine Cinquecento primi Seicento, cioè che dipinge a priori una scena:
ad esempio, trombe per le scene marziali, cornetti, fagotti e tromboni per le scene infernali
(l’aldilà); viole da gamba per i “lamenti”.

In Orfeo troviamo, infatti:

- flauti e flautini per le scene pastorali


- tromboni e regale (registro organistico con canne di legno) per le scene infernali
- violini piccoli “alla Franzese” (cioè con tre corde: Sol3 Re4 La4) per i balli
- ottoni per la “toccata” introduttiva, secondo modelli veneziani: Gabrieli, eccetera.

Già a partire dall’Euridice di Peri si incontra nell'opera il “lamento” come momento clou
della piece. Così nell'Orfeo “Possente spirito”, che un lamento-invocazione.
A partire dal subito celeberrimo “Lamento di Arianna” (che c'è giunto; l'Arianna invece è
andata perduta) la scena-lamento diventa la “scena madre” dell’opera: una
scena di: disperazione-imprecazione-autocommiserazione
(cfr. il “mini-ciclo armidiano” del III libro dei Madrigali)

Il “Lamento d'Arianna” è un vasto “arioso” (“Lasciatemi morire”) articolato in vari episodi di


carattere contrastante (appunto: disperazione per l'abbandono di Teseo, imprecazione contro Teseo,
autocommiserazione rassegnata alla morte).

https://www.youtube.com/watch?v=b7aMcqdsf64

Il grande successo della scena indusse Monteverdi ad approntarne una versione madrigalistica
(polifonica) a cinque voci, che inserì poi nel VI libro di Madrigali:

https://youtu.be/ZgGAKG2lM7I

Anche in questo lamento, come nell’Orfeo, che è stato definito la prima grande scena opera, i
procedimenti musicali più diversi si fondono perfettamente nel nuovo “stile rappresentativo”:

- i madrigalismi: “Lasciatemi” impostato su una sequenza melodica cromatica


- l'incidenza dell'armonia
- la perfetta fusione parola-musica con la musica che sembra uscire dalle parole
- accordi concatenati con movimento cromatico, di derivazione madrigalistica
- l'intensità e la pieghevolezza emotiva del recitativo

L'incoronazione di Poppea

Distanti nel tempo e nella concezione, rispetto all’Orfeo (1607), sono Il ritorno di Ulisse in
patria (1641) e L'incoronazione di Poppea (1642). L’Ulisse e L’incoronazione sono il punto di
passaggio fra il “recitar cantando” fiorentino e l'opera romana di Rossi e veneziana di Cesti, basata
sulla netta distinzione tra recitativo ed aria.
L’Orfeo è “teatro di corte”, secondo il modello fiorentino, su soggetto pastorale. L'Ulisse e
L'incoronazione sono opere per i teatri pubblici e a gestione impresariale di Venezia e di argomento
mitologico-romanzesco (Ulisse) o storico romanzesco (Incoronazione).
Così, alla linearità della narrazione pastorale si sostituisce l'intreccio romanzesco con
colpi di scena, travestimenti, intrighi; si incontrano personaggi buffi; nell’Incoronazione troviamo:

- la damigella che insegna il bacio al paggio


- il paggio che si burla di Seneca
- la nutrice di Poppea, Arnalda, vecchia e scaltra (dove la figura popolaresca della nutrice
navigata e saggia ritornerà negli intrecci seicenteschi).

Una sensualità melodica dà vita ai primi duetti d'amore (Nerone e Poppea: “Pur ti miro”,
https://www.youtube.com/watch?v=6eA7aDYflc4, aria tripartita su un basso di ciaccona ostinato:
Sol, Fa diesis, Mi Re), mentre ritroviamo una maggiore quantità di pezzi chiusi (“arie”) e del canto
vocalizzato, con la tendenza ad affidare al “recitativo” la narrazione e al canto melodico
l'espressione lirica, anche se in queste opere monteverdiane (a differenza delle ultime romane di
Luigi Rossi e poi di quelle veneziane di Cesti) non si sa ancora una netta divisione tra recitativo e
aria.
Cominciano anche a costituirsi le “arie di genere”, che saranno un vero e proprio codice
di modelli ricorrenti nel melodramma Settecentesco; ad esempio:

- l'aria di sonno, sul ritmo di berceuse (Arnalta: “Oblivion soave”


https://www.youtube.com/watch?v=U1yzBEtbe7w )

- l'aria di sdegno (Ottavia: “Disprezzata Regina”, tutta imperniata sulla potenza della declamazione
e dell'invettiva drammatica di Ottavia, che si vede abbandonata dal marito Nerone per le grazie
della cortigiana Poppea; si notino le scalette discendenti su “fulmini”, madrigalismo impiegato a
fini drammatici)
https://www.youtube.com/watch?v=MWDSDBivEEo

- l'aria di vendetta (Nerone: “Flagelli, flagelli” )

- il lamento (Ottavia: “Addio Roma”, dove la parola si scinde in un singhiozzo e in un lamento (A-
a-a-a-addio Roma, a-a-a-addio patria, a-amici addio) dove le ripetizioni accrescono la tensione
drammatica, mentre sembra che la voce venga meno:
https://www.youtube.com/watch?v=ww7bmU1ZEPA

- il duetto d'amore
https://www.youtube.com/watch?v=_isL0E-4TsQ

Anche qui, inoltre, procedimenti madrigalistici vengono usati nell'espressione teatrale, come
nella morte di Seneca, scena molto strutturata, fra “ritornelli” solistici, madrigalistici e strumentali,
che la rendono unitaria; dove di contro al recitativo calmo e composto di Seneca, che decide di darsi
la morte per non venire ucciso da Nerone cui ha rimproverato il rapporto adulterino con Poppea, si
oppone il lamento degli amici (“Non morir, Seneca”), espresso con entrate imitative ad andamento
cromatico, che sembrano prese da un lavoro polifonico di Gesualdo.
https://www.youtube.com/watch?v=f7_PB3USsKk

Inoltre nel duetto Poppea Arnalda dell'atto primo (“Speranza tu mi vai”) è affidata a Poppea
l'espressione lirica della sua gioia di innamorata con un arietta che ritorna varie volte:
https://www.youtube.com/watch?v=D39DxZ3WuWE

Altre monodie accompagnate monteverdiane e lo stile concitato

Oltre ai melodrammi, melodie accompagnate compaiono nei tardi libri di madrigali: per
l'esattezza nel Settimo (1619) e nell’Ottavo (1638). In quest'ultimo troviamo “Madrigali guerrieri et
amorosi in stile rappresentativo”, tra cui Il Combattimento di Tancredi e Clorinda, per narratore
(tenore), Tancredi (tenore), Clorinda (soprano), 4 viole da braccio e basso continuo, con tre
personaggi: il Testo (che narra la vicenda), Tancredi e Clorinda.

https://www.youtube.com/watch?v=AT_Ktsg86gs

Nella parte del Testo si trova un procedimento musicale che incontreremo anche nelle ultime
opere di Monteverdi: lo “stile concitato”, cui concorre anche qui il “tremolo” (ribattuto) degli archi,
ideato non da Monteverdi, ma da Biagio Marini negli Affetti musicali del 1617.
Lo stile concitato consiste in una rapida e serrata sillabazione vocale sulla parola, a fini
drammatici, per imitare, dice Monteverdi nella Prefazione, il sentimento dell’ira.

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