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Filippo Manzoni

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Filippo Manzoni (Milano, 18 marzo 1826Milano, 8 febbraio 1868) è stato un nobile italiano, figlio del celebre poeta e letterato Alessandro Manzoni e della sua prima moglie, Enrichetta Blondel.

Penultimo figlio di Alessandro Manzoni e di Enrichetta Blondel, Filippo perse la madre quando aveva soltanto sette anni. Fu perciò inviato in collegio a Susino (nei pressi di Tremezzo), sul Lago di Como, dove trascorse un'infanzia solitaria, lontano dai parenti[1]. Oltre alla solitudine psicologica, il periodo che trascorse in collegio fu anche deleterio non solo per l'aspetto educativo[2], ma anche dal punto di vista morale, in quanto «un prefetto perverso gli insegnò ogni sorta di dissolutezze»[1]. Ritornato nel 1837 a Milano su richiesta della nuova moglie del padre, Teresa Borri, Filippo fu affidato alle cure di don Giuseppe Ghianda[3]. L'adolescenza, trascorsa nella casa paterna, è anch'essa pregna di solitudine e di mancanza d'affetti. Filippo, tra il 1837 e il 1848, sviluppò un carattere simile a quello del fratello Enrico: «studiava legge di malavoglia e spendeva molto, i suoi rapporti col padre furono cattivi»[4], rileva Natalia Ginzburg.

Una svolta nella vita di Filippo giunse all'indomani delle Cinque giornate di Milano quando, ventiduenne, decise di scendere in piazza con altri suoi coetanei a combattere contro gli austriaci di Radetzky. La sera del 18 marzo si trovava con altri giovani nel Palazzo del Broletto, ove fu catturato dalle truppe austriache[5]. Quando queste furono poi costrette ad abbandonare Milano, Filippo e gli altri prigionieri sostarono inizialmente a Crema (da dove Filippo riuscì ad inviare una lettera al padre[6]), per poi essere trasportati fino in Tirolo, a Kufstein[7]; rilasciato dalla prigione, fu poi trasferito in libertà vigilata a Vienna, dove si indebitò, costringendo il padre Alessandro a pagargli i debiti contratti[8]. Il giovane poté rientrare a Milano il 5 luglio[9].

I rapporti tra padre e figlio, da quel momento, divennero sempre più tesi finché Filippo, oltre ad ipotecare parte dell'eredità della nonna Giulia Beccaria e della madre Enrichetta[10], si sposò senza consenso paterno con la ballerina[11] comasca[12] Erminia Catena il 10 giugno 1850[13]. Manzoni si rifiutò da quel momento di rivedere Filippo, la moglie e i nipoti ma, su sollecitudine della moglie Teresa cui Filippo si era rivolto, iniziò a passare al figlio un assegno mensile che tuttavia non servì a pagare i suoi debiti sempre maggiori[14]. Entrato in conflitto anche coi fratelli Pietro ed Enrico, Filippo continuò a vivere a Milano fino alla fine dei suoi giorni, morendo in povertà l'8 febbraio 1868[7] per una malattia ai reni[15]. Dopo la morte di Filippo, la moglie Erminia si risposò con il marchese don Paolo Rescalli nel 1882[16].

Nella letteratura

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Filippo Manzoni compare, seppur citato indirettamente, nella nota poesia Sant'Ambrogio (ottobre 1846[17]) del poeta toscano Giuseppe Giusti (1809-1850), amico del padre[18]. La poesia, celebre per la sua marcata ironia ai danni dell'Impero Austriaco che vedeva in ogni suddito un possibile sovvertitore, si apre con Giusti che viene accompagnato a visitare la basilica di Sant'Ambrogio dal «figlio giovinetto / d’un di que’ capi un po’ pericolosi, / di quel tal Sandro, autor d’un Romanzetto / ove si tratta di Promessi Sposi......» (Sant'Ambrogio, vv. 9-12)

Dal matrimonio con Erminia Catena nacquero i seguenti figli[9]:

  • Giulio (1850-1890)
  • Massimiliano (1853-1899)
  • Cristina (1859-dopo il 1903), maritata con Eugenio Manzoni nel 1883, suo cugino in quanto figlio di Enrico.
  1. ^ a b Boneschi, p. 349.
  2. ^ Stampa, p. 23.
  3. ^ Boneschi, p. 368 e Stampa, p. 260
  4. ^ Ginzburg, p. 241.
  5. ^ Ginzburg, p. 240 e Stampa, p. 285
  6. ^ Premi.
  7. ^ a b Filippo Manzoni.
  8. ^ Ginzburg, p. 243 e Premi
  9. ^ a b Colussi.
  10. ^ Ginzburg, p. 258.
  11. ^ Boneschi, p. 393.
  12. ^ Pontiggia, p. 85.
  13. ^ Filippo Manzoni, Colussi e Ginzburg, p. 260
  14. ^ Ginzburg, p. 272.
  15. ^ Ginzburg, p. 325.
  16. ^ Pontiggia, p. 86.
  17. ^ Ferroni, p. 363.
  18. ^ Ferroni, p. 365, 2 v.1.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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