N-II

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N-II
Razzo N-II
Informazioni
FunzionePiccoli carichi
ProduttoreStati Uniti (bandiera) McDonnell Douglas (progetto)

Giappone (bandiera) Mitsubishi Heavy Industries (costruzione)

Nazione di origineGiappone (bandiera) Giappone
Dimensioni
Diametro2,44 m (ft)
Massa132,69 t (292,530 lb)
Stadi2 - 3
Capacità
Carico utile verso orbita terrestre bassa2000 kg (4 400 lb)
Carico utile verso
GTO
730 kg (1 610 lb)
Cronologia dei lanci
StatoRitirato dal servizio
Lanci totali8
Successi8
Fallimenti0
Fallimenti parziali0
Volo inaugurale11 febbraio 1981
Volo conclusivo19 febbraio 1987
Primo satelliteETS-4 (Kiku-3)
Razzi ausiliari (stadio 0)
Nº razzi ausiliari9

L'N-II o N-2 era un razzo derivato dall'americano Delta, prodotto su licenza in Giappone in sostituzione del razzo N-I.

Caratteristiche

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Il razzo era composto da un primo stadio Thor-ELT, un secondo stadio Delta-F, nove razzi ausiliari Castor SRM e, sulla maggior parte dei lanci, uno stadio superiore Star-37E o Burner-2, identico alle configurazioni della serie Delta 0100 degli Stati Uniti.[1]
Ne furono lanciati otto, tra il 1981 e il 1987[2], prima che venisse sostituito dall'H-I il quale presentava uno stadio superiore di produzione giapponese.

Il razzo N-II, come il precedente razzo N-I, è stato sviluppato con la politica di acquisire gradualmente la tecnologia, importando un prodotto finito prevalentemente all'estero (in questo caso il razzo N-I) e sviluppandola ulteriormente in Giappone e producendolo in casa. Questo metodo ha il vantaggio di essere in grado di acquisire la tecnologia americana in modo efficiente ed ottenere in breve tempo un prodotto utilizzabile, sebbene ci siano alcuni effetti negativi come la necessità dell'autorizzazione americana al momento del lancio, mentre parte delle tecnologie, rimanendo segreti militari o industriali, non possono essere gestite e apprese dalla nazione utilizzatrice rimanendo in una sorta di "scatola nera".

Nel 1974 (Showa 49), fu deciso l'avvio del programma di miglioramento dei razzi N-I al fine di rispondere alla crescente domanda di satelliti artificiali. Il razzo N-II fu designato come successore potenziato del razzo N-I e lo sviluppo iniziò nell'ottobre 1976 (Showa 51).[3]

Inizialmente, è stato pianificato di migliorare la capacità di lancio potenziando le prestazioni del LE-3, un motore di secondo stadio che era stato introdotto al momento dello sviluppo del missile N-I e di produzione nazionale. A causa della mancanza di sufficiente esperienza tecnologica, si è però deciso di continuare ad utilizzare la tecnologia del razzo Delta per garantire la capacità di inviare un satellite di 350 kg in orbita geostazionaria (GEO). Il motore del secondo stadio è stato comunque realizzato con una versione migliorata del motore del secondo stadio (AJ10-118F) utilizzato nel razzo Delta americano. In questo modo, con il razzo N-II, si è unito al prodotto concesso in licenza dagli Stati Uniti un prodotto knockdown prodotto dal Giappone, con un tasso di produzione nazionale dell'intero razzo quindi che dal 53% del predecessore è passato al 56% nel N-II.[4]

Il successore fu il razzo H-I, che volò per la prima volta nel 1986.

Sono stati effettuati in totale 8 lanci tutti con successo.[2]

Data (UTC) Volo Orbita Carico utile Risultato #
11.02.1981 08:34 7(F) MEO ETS-4 Riuscito 1
10.08.1981 20:03 8(F) GTO GMS-2 Riuscito 2
04.02.1983 08:37 10(F) GTO CS-2A Riuscito 3
05.08.1983 08:37 11(F) GTO CS-2B Riuscito 4
23.01.1984 07:58 12(F) GTO BS-2A Riuscito 5
02.08.1984 20:30 13(F) GTO GMS-3 Riuscito 6
12.02.1986 07:55 14(F) GTO BS-3B Riuscito 7
19.02.1987 07:23 16(F) LEO MOS-1 Riuscito 8
  1. ^ (EN) Gunter Krebs, N-2 [collegamento interrotto], su space..de, Gunter's Space Page. URL consultato il 5 dicembre 2019.
  2. ^ a b (EN) Jonathan McDowell, Orbital and Suborbital Launch Database - Thor, su planet4589.org, Jonathan's Space Report. URL consultato il 5 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 1º agosto 2020).
  3. ^ (EN) NASDA History, su global.jaxa.jp. URL consultato il 18 dicembre 2019.
  4. ^ (JA) 1981年4月17日, su kokkai.ndl.go.jp. URL consultato il 18 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2017).

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