Vai al contenuto

Petosiris

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Facciata della tomba di Petosiri a Tuna el-Gebel.

Petosiris (o Petosìride, originariamente Ankhefenkhons; ... – dopo il 323 a.C.[1]) è stato un sacerdote egizio vissuto durante la XXX dinastia, che resse l'Egitto tra il 380 e il 343-2 a.C., e sotto la successiva invasione persiana (343-2 a.C.) e macedone (332 a.C.)[2].

Figlio di Sishu (o Neschuo[3]), scriba del faraone Nectanebo II, e della nobile Nefer-Renpet[4], fu Sommo Sacerdote del dio Thot a Ermopoli e sacerdote di Amon-Ra, Hathor, Khnum e Sekhmet, morto durante il regno del faraone Tolomeo I (323 - 283/2 a.C.)[5] e considerato un grande saggio dai suoi contemporanei, come testimoniano i numerosi graffiti di devoti sulle pareti della sua cappella, edificata presso la sua tomba a Tuna el-Gebel, la necropoli di Ermopoli[6]. Come scrisse l'archeologo Gustave Lefebvre:

«Questo grande sacerdote conduceva la vita di un principe. Egli possedeva terre, frutteti, vigne; i suoi granai traboccavano di cereali; il bestiame abbondava nelle sue stalle; le sue navi solcavano il Nilo; la caccia, la pesca, il gioco, la musica deliziavano il suo tempo libero.[7]»

Cappella funeraria di Petosiris

La cappella funeraria che Petosiris si fece costruire a Tuna el-Gebel, necropoli di Ermopoli, fu concepita come un vero e proprio tempio in miniatura (6 x 7 metri[4]), provvisto di pronao e di cappellette interne dedicate al proprio culto mortuario intorno a un naos per il quale si accedeva alla sepoltura, 8 metri sotto terra[4], dove fu rinvenuto il suo sarcofago, oggi al Museo del Cairo (n. 6036). Il sepolcro fu concepito per tutta la famiglia di Petosiris: vicino al suo sarcofago giaceva anche quello del fratello Dyedtotefankh, oggi al Museo egizio di Torino. Mentre le iscrizioni del feretro di Petosiris sono intagliate nel legno, su quello del fratello i geroglifici furono realizzati in pasta vitrea dai colori vivaci[3].

Il piccolo complesso è decorato dalla sua autobiografia, in cui egli descrive le proprie azioni; si vanta, per esempio, di aver restaurato le fortune del tempio presso cui officiava. Offre inoltre preziose informazioni sul suo turbolento periodo storico, come le disgrazie cagionate dalla invasione persiana:

«Un sovrano dei paesi stranieri comandava sull'Egitto. Nulla rimase come prima dopo i combattimenti all'interno dell'Egitto. Il Sud era in piena agitazione, e il Nord in stato di sommossa. Gli uomini vagavano smarriti, non c'era nessun tempio che fosse curato dai suoi servitori e i sacerdoti stavano lontani dai santuari, senza sapere cos'altro sarebbe potuto succedere.[3]»

Il sacerdote dipinge poi di sé l'immagine di un uomo pio, vissuto sempre sottomesso ai precetti divini e nell'osservanza della legge morale[8][9].

Mentre i soggetti e i temi delle scene rimangono quelli della tradizione egizia, lo stile (acconciature, capo d'abbigliamento, oggetti ornamentali) è ellenistico[5]. Nel vestibolo, che è la parte più tarda nonché postuma a Petosiris, le decorazione consta di rappresentazioni di azioni quotidiane come la carpenteria, il raccolto e la presentazione di offerte al defunto; nella cappella, coeva a Petosiris, gli stilemi sono tradizionali e i soggetti esclusivamente cultuali (corteo funebre, offerte agli dèi e loro venerazione)[5].

  1. ^ Rosalie David & Antony E. David, A Biographical Dictionary of Ancient Egypt, Seaby, Londra (1992), p. 104
  2. ^ cur. Sergio Donadoni, L'uomo egiziano, ed. CDE, Milano (1991), pgg. 157-159
  3. ^ a b c AA.VV., La fine dell'Antico Egitto, La Grande Storia National Geographic n. 3, Milano 2016, pgg. 114-115
  4. ^ a b c Christian Jacq, I grandi saggi dell'antico Egitto, Mondadori, 2011, pp. 153-160, ISBN 978-88-04-60611-6.
  5. ^ a b c Rosalie David & Antony E. David, A Biographical Dictionary of Ancient Egypt, Seaby, Londra (1992), p. 104
  6. ^ Gustave Lefebvre, Le Tombeau de Petosiris, Cairo, L'institut Français d'archéologie orientale, 1924.
  7. ^ Lefebvre, pg. 8
  8. ^ cur. Sergio Donadoni, ''L'uomo egiziano'', ed. CDE, Milano (1991), pgg. 158
  9. ^ L'Autobiografia di Petosiris (in inglese), su reshafim.org.il. URL consultato il 28 luglio 2016 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2017).

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
Controllo di autoritàVIAF (EN61340332 · ISNI (EN0000 0000 4710 4975 · LCCN (ENno2007159142