Vai al contenuto

Luigi Salvatorelli

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Luigi Salvatorelli (1886 – 1974), storico e giornalista italiano.

Citazioni Di Luigi Salvatorelli

[modifica]
  • [...] Giorgio VI ha saputo adempiere, con lealtà e coscienza, la sua funzione. In un sistema di governo e in una compagine di nazione quali sono quelli dell'Inghilterra, si potrebbe dire, adottando un vecchio motto, che i re ben riusciti sono quelli che non hanno biografia o, per lo meno, che non si prestano a «biografie romanzate». E non sarà sbagliato definirlo: «The right man in the right place».[1]
  • La politica internazionale oggi non può essere che mondiale: e quindi mondiali i contrasti, mondiali gli accordi, mondiali le guerre, mondiali le paci.[2]

La Chiesa e il mondo

[modifica]

Che la storia del cristianesimo abbia stretti rapporti con la storia civile, è cosa evidente e che nessuno pensa a negare. Tali rapporti sono visibili soprattutto in certi periodi, per esempio, nel medio evo assai più che nei primi tre secoli del cristianesimo, o nel secolo XIX: essi, cioè, sembra che non si verifichino se non in quei periodi in cui la storia del cristianesimo viene più intimamente a contatto con la storia politica e sociale dei popoli.

Citazioni

[modifica]
  • Non ci dovrebbe essere oggi gran questione fra gli studiosi, che il fattore «cristianesimo» e «Chiesa cattolica», nella formazione dell'Europa dallo sfasciamento dell'impero romano e dalle invasioni barbariche, pur rimanendo uno dei principali, non va tuttavia considerato così esclusivo come si tendeva a credere un secolo fa. (cap. II, p. 17)
  • Il cristianesimo primitivo nacque e crebbe in uno stato di ostilità e d'indifferenza verso lo stato e le strutture giuridiche della società del tempo. Nei primi tre secoli lo stesso «Date a Cesare quel ch'è di Cesare» veniva interpretato in maniera assai diversa da quella poi divenuta classica. Si lasciava a Cesare il dominio sui beni terreni perché non contavano nulla, erano «la figura di questo mondo che passa». L'unico vero valore, l'anima, si riserbava a Dio. (cap. III, p. 27)
  • Il concetto classico del Potere temporale come «sacro deposito» che un pontefice deve trasmettere all'altro e, al tempo stesso, come mezzo necessario per assicurare la indipendenza e il potere spirituale del pontificato, si costituisce definitivamente nel secolo XIX. Separatamente da esso, i teologi avevano elaborato l'altro concetto della Chiesa come «società perfetta», cioè completa e integrale, che perciò aveva diritto di esercitare, in riguardo agli interessi religiosi, soprattutto alla tutela dell'ortodossia, un potere non soltanto spirituale, ma anche giuridico, materiale, coercitivo. Il concetto della separazione fra Chiesa e Stato, dell'assoluta distinzione fra potere spirituale e coercizione giuridica, non accettato dalla Chiesa nei secoli passati, viene ora respinto più che mai, proprio quando la società civile più inclina a farlo suo. La Chiesa intende rimanere organizzazione visibile, giuridica, pienamente capace di emanare leggi ed imporne la osservanza, di concludere accordi coi governi di pieno valore giuridico, vincolanti cioè questi governi nell'esercizio del loro potere esteriore. (cap. III, p. 30)
  • In che consisteva il conflitto delle investiture, o meglio la soluzione di esso reclamata da Gregorio VII? semplicemente in questo: che nella scelta dei vescovi e abati nessuna ingerenza dovesse esercitarsi da parte dell'autorità civile, più particolarmente da parte dell'imperatore e re di Germania. Poiché vescovi e abati eran grandi feudatari dell'Impero e del regno germanico, il sottrarre le loro nomine al potere civile (e, occorre aggiungere, l'esercizio della loro autorità sui possessi temporali) significava né più né meno che rendere indipendenti di fronte al re un gran parte dei sudditi di lui. E questi al tempo stesso sarebbero entrati nella dipendenza del pontefice romano, poiché Gregorio VII rivendicava altresì il potere supremo papale sugli alti dignitari ecclesiastici e sul governo delle singole Chiese. (cap. V, p. 51)
  • Per Calvino lo Stato si riconnette – secondo un'idea largamente presente già nei Padri della Chiesa – al peccato originale. Lo Stato per lui è un ordine di giustizia che Dio ha dovuto instaurare dopo la caduta di Adamo, una disciplina e una coercizione esterne rese necessarie dalla corruzione che il peccato aveva apportato alla natura umana. (cap. IX, p. 73)
  • Lo spirito di Lutero verso il guadagno economico rimane cattolico-medievale: egli mantiene la condanna ecclesiastica del prestito ad interesse. (cap. X, p. 78)
  • [Francesco Ruffini] [...] ha rilevato come il giansenismo, nella sua efficienza storica, non si riduca alla professione di certe dottrine teologiche determinate, eretiche o non eretiche, ma costituisca una forma di mente, un abito di vita, la cui influenza si estende alle più diverse manifestazioni. (cap. XII, p. 88)
  • Storico di carattere strettamente confessionale, e non disposto per natura alle ricostruzioni ampie ed alle escavazioni in profondità, il barone von Pastor portava di fronte al giansenismo due predisposizioni, non giovevoli certo a farglielo intendere storicamente: una devozione illimitata all'autorità pontificia, un attaccamento fervidissimo all'Ordine gesuitico. (cap. XII, p. 88)
  • L'arcaismo giansenistico sul terreno dottrinale si manifesta come dommatismo rigido e pietrificato: quello che i padri della Chiesa e gli antichi concili hanno insegnato è la verità definitiva: soprattutto S. Agostino è il maestro infallibile, che non occorre se non ripetere. (cap. XII, p. 90)
  • Sul terreno morale il giansenismo si presenta soprattutto come rigorismo. Il suo ideale era la morale ascetica imposta a tutti i cristiani; il suo programma sacramentale, il ristabilimento dell'antica disciplina ecclesiastica, colla penitenza pubblica e l'esclusione dei peccatori dalla comunità. Qui più che mai spicca il carattere – diciamo pure la parola – reazionario del movimento. (cap. XII, p. 90)
  • Il padre gesuita Ilario Rinieri ha creduto di poter sostenere in un suo libro (un grosso libro che è stato scritto unicamente per questo[3]) che la rovina della monarchia borbonica provenne dalla sua lotta contro il papato: il regalismo avrebbe generato il giacobinismo. Gli fu risposto da un recensore, appena pubblicato il libro, che la cosa stava esattamente all'inverso: la monarchia borbonica crollò per aver abbandonato la politica di riforme, di elevazione del popolo e di indipendenza nazionale. (cap. XIII, p. 97)
  • Il suo è uno dei nomi più celebri nella storia del pontificato romano; ma non si può certo collocare papa Chiaramonti fra le personalità di prim'ordine. Pio VII è una figura assai simpatica per sincera pietà, purezza di vita, candore d'indole, buona volontà; la resistenza mite e e coraggiosa al tempo stesso fatta a Napoleone gli ha conferito un prestigio non immeritato; e gli stessi momenti di esitazione e – almeno agli occhi dei curialisti intransigenti – di debolezza lo rendono una figura di maggiore interesse umano. (cap. XIV, p. 100)
  • Il Risorgimento si è fatto contro il papato, e non poteva farsi diversamente: e in questo senso hanno concorso anche quei credenti cattolici che vi hanno partecipato effettivamente. La contraddizione non era di un uomo [Pio IX], né poteva cancellarsi per opera di un uomo: era nell'istituto, nell'idea. Il Risorgimento è il popolo italiano che prende in mano le sue sorti e si ricollega al corso della civiltà europea, da cui si era andato estraniando dalla fine del Rinascimento. Il Risorgimento significa autonomia politica, libertà religiosa, sovranità nazionale, iniziativa popolare: tutte cose che il papato non poteva accettare. (cap. XV, pp. 108-109)
  • Pio X si è mostrato, innanzi tutto, i tipo più puro del credente cattolico-romano. Religiosissimo intimamente, la sua religiosità è di quelle che trovano la propria base in tutto il complesso delle istituzioni ecclesiastiche, e vedono nella Chiesa rigorosamente gerarchizzata l'istituto indispensabile posto da Dio quaggiù per condurre gli uomini alla salvezza eterna. (cap. XX, p. 131)
  • Da quanto abbiamo detto, risulta chiaro che stato laico non significa per niente affatto «stato ateo», anzi esclude recisamente questo concetto. Per le ragioni stesse per cui lo Stato non può professare una confessione religiosa, esso non può professare neppure l'ateismo. E, s'intende, neppure farne propaganda, diretta o indiretta. (cap. XXVII, p. 222)
  • Chi oserebbe negare che Socrate e Platone siano stati uomini religiosi, anche se lo siano stati diversamente da Isaia e Geremia? E non sappiamo noi come fosse tutto permeato di religiosità – da quella filosofia stoica e neoplatonica a quella popolare misterica – la civiltà ellenistico-romana in cui si impiantò trionfalmente il cristianesimo? (cap. XXVIII, p. 232)

Storia del Novecento

[modifica]

Con il 1914 (inizio della prima guerra mondiale) incomincia "la novella storia", cioè la nostra "Storia contemporanea": entità di dubbia consistenza ideale, destinata a cambiare da una generazione all'altra la sua data di nascita, senza trovare di volta in volta l'accordo su di essa: e tuttavia, periodizzazione di cui praticamente non si può fare a meno.

Citazioni

[modifica]

Volume I

[modifica]
  • La Restaurazione, con la Santa Alleanza e con Metternich, tentò una politica solidale europea in senso conservatore: solidarietà indebolita e alterata ben presto dal rinato contrasto degli interessi e degli orientamenti particolari. (vol. I, Introduzione, p. 7)
  • Le rivoluzioni nazionali del 1848 si aggirarono intorno a tre questioni fondamentali: nazionale, costituzionale, sociale. Indipendenza e unificazione dei popoli insorgenti; regime politico sostituente all'assolutismo monarchico la libertà e la iniziativa dei cittadini; trasformazione sociale a favore dei lavoratori. Le tre direttive avevano una confluenza naturale negativa: cambiare l'ordine di cose esistente. Ne avevano anche una positiva: elevare le condizioni del popolo, e farne il protagonista della storia. (vol. I, Introduzione, p. 9)
  • L'impero germanico, fondato a Versailles nel gennaio 1871, può esser considerato come il caso tipico di costituzionalismo puro. L'influenza del Reichstag sul governo imperiale federale era qui ridotta al minimo già per il fatto statuario che un ministero non c'era (e Bismarck curò che esso si istituisse), ma semplicemente un cancelliere di nomina imperiale il quale aveva sotto di sé dei funzionari, i maggiori dei quali erano "segretari di stato". (vol. I, parte prima, cap. I, p. 20)
  • Nell'ultimo ventennio del secolo XIX il movimento politico-sociale che apparve ai contemporanei più pericolosamente sovversivo fu quello anarchico: e ciò non tanto per la sua teoria di individualismo estremo, rigettante ogni organizzazione stabile e, si può dire, ogni autorità, quanto per il metodo dell'azione diretta, adottato sotto l'influenza del terrorismo russo. L'anarchismo non si limitò a preparare e tentare l'insurrezione armata, ma, anche al difuori di ogni prospettiva di questa, praticò la violenza distruttiva di uomini e cose quale scopo a se stessa, per un suo presunto valore dimostrativo, propagandistico e intimidatorio; e l'attuò particolarmente con il lancio di bombe, non solo contro alti personaggi determinati, ma anche in luoghi pubblici (ristoranti, caffè). L'effetto di intimidazione fu raggiunto, ma con risultato assai diverso da quello a cui si mirava. L'uomo della strada di qualsiasi classe, professione e opinione, si sentì minacciato, e fu tratto ad aborrire gli agitatori sociali, di qualsiasi tipo e idea. (vol. I, parte prima, cap. I, p. 34)
  • Formalista del giure, amministratore meticoloso che per contare e catalogare gli alberi non vedeva la foresta, [l'imperatore Francesco Giuseppe] mancava completamente d'immaginazione, era freddo e indifferente. (vol. I, parte prima, cap. I, p. 102)
  • La "belle époque", non è un mito, anche se il ricordo dei pochi superstiti e la fantasia delle generazioni posteriori l'abbiano rivestita di mitologici, arcadici colori. Né essa fu soltanto epoca di pace, di ordine, di progresso materiale, di mezzi tecnici. A tutto questo andò connesso un diffuso incremento di vita spirituale della coltura generale, un ampliamento di orizzonti spirituali, una diminuzione nel dislivello umano fra le classi. (vol. I, parte prima, cap. I, p. 172)
  • C'era nell'aria [nel periodo della belle époque] un senso di benessere crescente e di gioia della vita. Di codesta "felicità dei tempi" non mancò la coscienza alla generazione di allora: e ne abbiamo testimonianze molteplici sia contemporanee, sia di posteriore preciso ricordo: testimonianze che sarebbe interessante confrontare, per analogia e diversità, con quelle della felicità augustea nel mondo ellenistico romano. (vol. I, parte prima, cap. I, p. 173)
  • Il positivismo non volle pronunciarsi sulla natura ultima delle cose; per esso unica realtà scientifica era il fatto, inteso come qualche cosa di dato, di esteriore allo spirito, dimodoché il problema critico veniva ad essere soppresso e lo spirito stesso ad esser negato implicitamente. Questa scuola pertanto si chiudeva nell'àmbito delle scienze positive, ma sopra i dati di esse voleva costruire una veduta generale del mondo. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 181)
  • Come rappresentante filosofico-politico [della fede nell'umanità e nel suo progresso indefinito] indichiamo Jaurès, il capo socialista francese, che rimanendo positivista e professando almeno in qualche misura il materialismo storico marxistico, distinse tuttavia nettamente i fenomeni naturali dai fisici, affermò al di là della conoscenza scientifica la fede in un Essere infinito, congiunto intimamente al mondo, e riconobbe che la coscienza umana ha bisogno di Dio, che le religioni escono dal fondo dell'umanità. Il socialismo diveniva nel suo pensiero una forma della vita religiosa, in quanto questa consisteva per lui nell'uscire dall'io egoista e meschino per andare verso la realtà ideale ed eterna. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 183)
  • Considerato dal punto di vista di una storia della civiltà, noi diremmo che i grandi impressionisti, creatori d'arte in un tempo in cui l'Europa politico sociale del secolo XIX non aveva ancora trovato il suo equilibrio, o lo aveva raggiunto appena, anticiparono nelle loro opere quella pienezza di vita, quella armonia sintetica, quel senso di umanità che caratterizzano la civiltà europea alla svolta del secolo. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 187)
  • In loro [i pittori impressionisti] l'autonomia dell'arte era dedizione alla realtà, all"altro da noi", dedizione attraverso cui si ritrova il senso della vita, il nostro più profondo io.
    Ed ecco perché questa pittura – s'intende, nei suoi prodotti più alti – ci appare classica. Essa ci dà un'impressione di organicità, di assolutezza, di necessità. L'Olympia di Manet, col suo corpo nudo qualunque e la sua faccia inespressiva, fa tutt'uno col guanciale, il lenzuolo, la domestica negra, il fondo scuro. È così, e non può essere differentemente. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 188)
  • Verdi aveva interpretato con la forza del sentimento immediato i drammi eterni della vita individuale e le aspirazioni dei popoli. Wagner si era contrapposto e sovrapposto alla vita sociale del suo tempo, alle leggi tradizionali, e si era rifugiato in un mondo mitico-fantastico, attraverso il quale aveva creduto di giungere – analogamente al tentativo di Nietzsche, ma per vie diverse – alla instaurazione di una nuova umanità, di una nuova arte popolare, mentre c'era in lui lo sfogo di una sensualità insaziata, di una personalità senza freno. L'uno interpretava il mondo morale del sentimento, l'altro il mondo naturalistico della sensazione. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 190)
  • Nella raccolta dei Discorsi politici del Corradini, il primo, del febbraio 1902, è dedicato a "Le opinioni degli uomini e i fatti dell'uomo"; e sospirando per una dozzina di pagine sulla molteplicità disparata delle opinioni contemporanee, facendo qualche fiacca puntata contro internazionalismo, socialismo, umanitarismo, e in favore del sentimento nazionale, non abbozza, neanche per semplici accenni una dottrina. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 216)
  • Il nome di Ratzel – grande geografo [...] – ci richiama alla teoria scientifico-politica che era al principio, e rimase al fondo del movimento pangermanistico, passando poi al nazionalsocialismo. È la teoria del rapporto fra geografia e politica, fra territorio geograficamente condizionato e popolo: la teoria, insomma, dello "spazio vitale", anche se allora non c'era questo termine consacrato. (vol. I, parte prima, cap. II, p. 220)
  • Dotato di grande capacità di lavoro, esperto di tutti i meccanismi amministrativi, Körber sorpassava il livello medio del buon burocrate austriaco, raggiungendo apertura di mente e ampiezza di vedute politiche. Senza poter essere chiamato propriamente un liberale, nel senso occidentale della parola, Körber era sinceramente costituzionale, contrario alle leggi eccezionali e alle coercizioni poliziesche. Durante il suo ministero la stampa godette di una grande libertà. (vol. I, parte seconda, cap. III, pp. 374-375)
  • Alice di Hessen, figlia del granduca d'Assia e del Reno, divenuta Alessandra Feodorovna, aveva compensato l'abiura della confessione nativa protestante con lo zelo religioso ortodosso spinto al fanatismo e alla superstizione. Pietà monacale e ciarlatanesimo visionario trovarono ugualmente adito nella sua intelligenza ristretta e nella sua psiche squilibrata. (vol. I, parte seconda, cap. III, p 404)
  • Dalla metà di gennaio si sviluppò a Pietroburgo una intensa agitazione operaia negli stabilimenti industriali della capitale: il numero degli scioperanti raggiunse i 150.000. A capo del movimento era un pope, Gapon, il quale, partecipando alla zubatovcina era diventato un organizzatore di "unioni operaie", ed aveva acquistato un grande ascendente sulla massa dei lavoratori, di cui condivideva sinceramente dolori e speranze. Fu sua l'idea di organizzare la domenica 9 (vecchio stile: 22 secondo il nostro) gennaio 1905 un corteo colossale per portare una petizione allo zar, al Palazzo d'inverno. (vol. I, parte seconda, cap. III, p 410)
  • Invano varie personalità intellettuali si adoperarono presso il governo perché lo scontro fosse evitato. Le colonne di dimostranti disarmati, mosse a metà del giorno dai sobborghi [di San Pietroburgo, nella "domenica di sangue" del 9 gennaio 1905] recando icone sacre e ritratti imperiali, furono accolte e inseguite a fucilate. Un migliaio di morti rimase sul terreno. (vol. I, parte seconda, cap. III, p 410)
  • Avviandosi quell'irrozzimento degli spiriti che toccherà il culmine nei venti anni fra le due guerre [mondiali], il superuomo nietzschiano, che aveva in sé un profondo (anche se confuso e aberrante) afflato morale, decisamente si materializza. Superuomo appare colui che si fa largo a gomitate, che sale sui corpi atterrati degli altri, che asservisce al suo comodo e al suo piacere la plebaglia vile. Il superuomo è anche, e si proclama innanzi tutto, superpatriota: ma la patria è per lui, consciamente o inconsciamente, terreno delle sue prodezze, piedistallo della sua statua, materia plasmata dalle sue mani di creatore, occasione e sfogo della sua sensualità. (vol. I, parte seconda, cap. III, pp 429-430)
  • Cesare De Lollis, filologo insigne, spirito arguto, coscienza morale superiore, ribattezzò la guerra libica chiamandola "lirica". Si ebbe infatti nella stampa, nei discorsi, nei cortei, uno straripamento di patriottismo bellicistico e di esaltazione colonialistica e imperialistica, il quale, ingrandendo enormemente le proporzioni dell'impresa, riempì i cervelli di fumo, quando invece la situazione estera e interna più avrebbe richiesto giudizio equilibrato e veduta limpida della realtà. (vol. I, parte seconda, cap. IV, p. 545)

Volume II

[modifica]
  • Per provvedere alle condizioni di pace e al riordinamento dell'Europa [al termine della prima guerra mondiale] si riunì il 18 gennaio (stesso giorno della proclamazione a Versailles nel 1871 dell'impero tedesco) 1919 la Conferenza di Parigi, in cui furono rappresentati tutti gli stati vittoriosi (trentadue), ma la cui direzione fu assunta dai capi di governo dei quattro maggiori Stati (i Big Four, come dicevano gli Anglosassoni), Wilson, LLoyd George, Clemenceau, Orlando. Si scatenò, com'era inevitabile, una ridda di tendenze e di appetiti contraddittori: nazionalismi esasperati l'uno contro l'altro e speranze messianiche di trasformazione universale lottarono e si mescolarono insieme. (vol. II, parte terza, cap. V, p. 644)
  • Il trattato di Versailles non fu quel monumento di iniquità di cui parlarono gli estremisti del neutralismo e del pacifismo, a rinforzo del revanscismo tedesco. Ciò che gli dette agli occhi dei Tedeschi – ma non di essi soltanto – la fisionomia di "pace cartaginese" fu, più ancora delle clausole specifiche, il carattere esteriore ostentato d'imposizione. Ogni pace tra vincitori e vinti è per natura pace imposta. Ma si può risparmiare la dignità del vinto con una discussione e redazione in comune, intorno a un tavolo di conferenza, a parità formale di situazione tra i plenipotenziari. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 669)
  • Su tutta la nuova situazione internazionale [creata dai trattati di pace che chiudevano la prima guerra mondiale] avrebbe dovuto vegliare la Società delle nazioni, rimediando (secondo l'idea di Wilson) alle imperfezioni dei trattati e promuovendo l'attuazione degli ideali intesisti[4] e wilsoniani. La Società (League, nel testo inglese) era stata costituita il 10 gennaio 1920; la prima riunione del Consiglio a Parigi avvenne il 16 gennaio, quella dell'Assemblea a Ginevra il 15 novembre. La sua costituzione avvenne in base alla prima parte del trattato di Versailles, e degli altri trattati di pace. Wilson aveva inteso così sottolineare l'autorità primaria: di fatto aveva creato un primo ostacolo. Venendo edificata sul fondamento dei trattati di pace imposti dai vincitori ai vinti, La Società assumeva agli occhi dei secondi l'aspetto di una lega di beati possidentes, di uno strumento con cui i più forti avrebbero cercato di mantenere e assodare il loro predominio, mentre forniva un terreno propizio alla coltivazione e manifestazione di recriminazioni e rancori non capaci dii ottenere soddisfazione. (vol. II, parte terza, cap. VI, pp. 672-673)
  • I rappresentanti dei singoli stati all'Assemblea [della Società delle Nazioni] non erano nominati dai popoli o dai parlamentari, ma dai governi, dal potere esecutivo; erano quindi in sostanza funzionari di questi. L'unanimità o la quasi unanimità era richiesta per le deliberazioni della Lega. Mancava qualsiasi organo di esecuzione forzata delle deliberazioni della Lega, le quali rimanevano abbandonate alla buona volontà dei singoli Stati membri. Queste tre circostanze toglievano alla Società delle nazioni qualsiasi carattere di Superstato: essa sarebbe risultata in pratica quel che i singoli componenti avrebbero voluto e saputo farne. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 678)
  • La questione capitale ai tempi nostri, per la relazione fra la Chiesa e il mondo, non è dommatico-teologica, o di diritto canonico e politica ecclesiastica, bensì morale. Essa non è ben compresa da tutti neanche oggi. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 875)
  • L'impostazione più radicale per la lotta contro l'ordine presente delle cose non venne nei venti anni tra le due guerre [mondiali] dal comunismo, ma da un movimento ideologico-artistico: il surrealismo. E forse a codesta radicalità fu dovuta la sua larga e lunga fortuna, il suo fascino di propaganda, la sua fama persistente tuttora: quando pure avrebbero dovuto essere chiare a tutti l'inconsistenza teorica del movimento e la sua incapacità di qualsiasi concretamento effettivo. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 876)
  • L'importanza storica del surrealismo consiste nel suo valore rappresentativo delle condizioni mentali e morali di una parte cospicua della classe intellettuale di Occidente: confusione di idee, disseccamento di sentimenti, atrofizzazione, o addirittura perversione, della coscienza morale, perdita di senso della realtà. Il pensiero diviene gioco dilettantistico, la volontà reazione isterica. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 883)
  • Si discute e si discuterà un pezzo intorno alla pittura astratta, né tocca a noi qui pronunciare giudizi estetici. Considerando anche questa dal punto di vista delle relazioni con la vita contemporanea, noi diremmo che l'arte astratta è anch'essa (in opposizione più che mai alle idee surrealiste) una protesta contro le durezze umane o inumane della nostra epoca, e in particolare contro le tirannidi totalitarie e i relativi conformismi. Essa si crea, con le linee, i colori e i volumi puri, un mondo ideale di libertà: fino a che punto sia riuscita, sin adesso, a trarne grandezza d'arte, è un'altra questione. (vol. II, parte terza, cap. VI, pp. 884-885)
  • L'impressionismo del secolo XIX era stato dedizione alla vita, l'astrattismo del secolo XX è ritrazione dalla vita. E la vita è pur sempre il valore più certo e più vero. (vol. II, parte terza, cap. VI, p. 885)
  • Hitler rappresentò un miscuglio fino ad oggi insuperato – gli si avvicinò, tuttavia, Stalin, politico superiore a lui – di capacità politica e di pazzia criminale. Egli rappresentò la degenerazione ultima, ma altresì la manifestazione più potente, di quasi tutti i fenomeni che sotto nomi diversi abbiamo ritrovato nei ribollimenti attivistici, nazionalistici, bellicistici, criminaloidi del nostro tempo. Temperamento sadico, e al tempo stesso di morbidità androgina; esaltato dal mito del superuomo, combinato col razzismo più assurdo che in lui ripudiava a un certo punto anche il popolo tedesco, per sognare il dominio di una casta signorile internazionale; spregiatore di ogni sentimento di giustizia e di pietà; odiatore del cristianesimo, in nome di una religione naturalistica e sanguinaria: egli si presenta anche oggi, innanzi al nostro stupefatto ribrezzo, come un monstrum quasi indecifrabile. (vol. II, parte quarta, cap. VII, p. 953)
  • [...] il movimento antifascista inglese ed europeo era neutralizzato più o meno largamente da uno filofascista, ugualmente inglese ed europeo. Professioni filofasciste furono fatte non solo da Churchill, ma da LLoyd George: e in Inghilterra era sorta fin dal febbraio 1933 la British Union of Fascists di Oswald Mosley, che nell'aprile si recò a Roma. (vol. II, parte quarta, cap. VII, p. 993)
  • La guerra civile spagnuola assunse una importanza internazionale analoga a quella che un secolo prima aveva avuto la guerra carlista, e anzi più accentuata e pericolosa per la pace europea. Essa s'inserì nel conflitto ideologico già aperto e lo rese più acuto. Nazionalsocialismo, fascismo, conservatori e gran parte dei cattolici stettero per il governo di Franco, mentre democratici, socialisti e in generale i Fronti popolari parteggiarono per la Repubblica. (vol. II, parte quarta, cap. VII, pp. 1003-1004)
  • Stalin in questi anni [delle grandi purghe] rassodò definitivamente e integralmente la sua dittatura attraverso i processi a tutti gli elementi maggiori del vecchio partito comunista sotto l'accusa di trotzkismo e di alto tradimento (cioè d'intesa con la Germania nazista). Nell'agosto 1936 si ebbe l'esecuzione di Zinoviev e di Kamenev; nel gennaio 1937 un altro processo portò alla condanna a dieci anni di Radek, mentre Piatakov e dodici altri furono giustiziati; nel giugno fu messo a morte il maresciallo Tuchačevskij insieme con altri sette generali russi, sempre sotto l'accusa di alto tradimento. Nel marzo 1938 vi furono ancora le esecuzioni capitali di Bukharin e Yagoda. Questi furono contraddistinti dal fenomeno senza precedenti di confessioni amplissime, in buona parte fantastiche, degli accusati, ottenute attraverso torture morali e fisiche. L'eliminazione dei maggiorenti bolscevichi fu accompagnata da una serie sterminata di fucilazioni, condanne, deportazioni di gregari. Risultati di questa colossale, inumana "epurazione", furono di eliminare la quasi totalità del vecchio Stato maggiore bolscevico, che aveva fatto la rivoluzione e instaurato il nuovo regime, e di accentuare il carattere russo-nazionale dell'organizzazione sovietico-comunista. (vol. II, parte quarta, cap. VII, pp. 1028-1029)
  • Il 13 [marzo 1938] il nuovo governo austriaco proclamò una legge di annessione dell'Austria al Reich, e una legge analoga fu emanata contemporaneamente a Berlino. Il 10 aprile un plebiscito nel territorio del Reich vecchio e nuovo approvò l'annessione. Mussolini, informato all'ultimo momento, non solo accettò il fatto senza recriminazioni, ma ne fece l'apologia riavvicinandolo alle annessioni che avevano preceduto la proclamazione del Regno d'Italia, Si iniziava il pericolo di asservimento dell'Italia alla Germania nazista. (vol. II, parte quarta, cap. VII, p. 1034)
  • Il 22 maggio [1939] fu firmato a Berlino "il patto d'acciaio" italo-tedesco, dichiaratamente fondato sull'affinità dei due regimi, e per cui i due governi s'impegnavano a sostenersi con tutte le proprie forze militari, ove una delle parti fosse implicata in una guerra, senza distinzione fra guerra offensiva e difensiva. (vol. II, parte quarta, cap. VII, p. 1047)
  • Le trattative confuse e diffidenti portarono alla firma (3 settembre [1943]) dell'"armistizio corto" di Cassibile (Siracusa), praticamente una resa incondizionata. All'armistizio fu associato un piano d'intervento militare alleato nella penisola, fra cui uno sbarco aereo nelle immediate vicinanze di Roma. Nuovi dispareri ed equivoci e una generale insufficienza di direttive fecero mancare questo intervento aereo, e fecero sì che quando l'8 sera l'armistizio fu pubblicato dagli alleati, nulla si trovò disposto per la difesa italiana di fronte alla reazione tedesca. (vol. II, parte quarta, cap. VII, p. 1064)

Note

[modifica]
  1. Da Tre momenti, in La Stampa, 7 febbraio 1952, p. 1.
  2. Dal discorso al convegno della «Terza forza» a Milano, riportato in La Rassegna d'Italia, maggio 1948; citato in Aldo Capitini, Italia nonviolenta, in Le ragioni della nonviolenza: Antologia degli scritti, Edizioni ETS, Pisa, 2004, p. 101. ISBN 88-467-0983-7
  3. Della rovina di una monarchia, Utet, Torino, 1901.
  4. Riferiti alle potenze dell'Intesa, vincitrici del conflitto.

Bibliografia

[modifica]
  • Luigi Salvatorelli, La Chiesa e il mondo, Editrice «Faro», Roma, 1948.
  • Luigi Salvatorelli, Storia del Novecento, voll. 2, Edizione Club degli Editori su licenza della Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1979.

Altri progetti

[modifica]