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Delle sacre sante stimmate di San Francesco

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Antonio Cesari Indice:I Fioretti di San Francesco, A. Cesari, 1860.djvu cristianesimo Delle sacre sante stimmate di San Francesco Intestazione 30 giugno 2024 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Fioretti di San Francesco


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DELLE SACRE SANTE ISTIMATE

DI

SAN FRANCESCO

E DELLE LORO CONSIDERAZIONI.


In questa parte vedremo con divota considerazione delle gloriose, sacrate e sante Istimate del beato nostro Padre san Francesco, le quali egli ricevette da Cristo in sul Santo Monte della Vernia. E imperocchè le dette Istimate furono cinque, secondo le cinque Piaghe del nostro Signor Gesù Cristo, però questo trattato avrà cinque considerazioni.

La prima considerazione sarà del modo, come san Francesco pervenne al monte santo della Vernia.

La seconda considerazione sarà, della vita e conversazione, che egli ebbe, e tenne con i suoi compagni in su detto santo monte.

La terza considerazione sarà, dell’apparizione serafica, e impressione delle sacratissime Istimate.

La quarta considerazione sarà, come san Francesco iscese del Monte della Vernia, poich’egli ebbe ricevute le sacre Istimate, tornò a Santa Maria degli Angeli.

La quinta considerazione sarà, di certe apparizioni e rivelazionf divine, fatte dopo la morte di san Francesco a santi frati, e ad altre divote persone delle dette sacre e gloriose Istimate. [p. 125 modifica]

I. Della prima considerazione delle sacre
sante Istimate.

Quanto alla prima considerazione, è da sapere, che san Francesco essendo in età di quarantatre anni, nel mille dugento ventiquattro, ispirato da Dio, si mosse della Valle di Spuleto, per andare in Romagna con frate Lione suo compagno; e andando, passò a piè del Castello di Montefeltro; nel quale Castello si facea allora uno grande convito, e corteo per la cavalleria nuova d’uno di quelli Conti di Montefeltro. E udendo san Francesco questa solennitade, che vi si facea, e che ivi erano raunati molti gentili uomini di diversi paesi, disse a frate Lione: Andiamo quassù a questa festa, perocchè collo aiuto di Dio noi faremo alcuno buono frutto spirituale. Tra gli altri gentili uomini, che vi erano venuti di quella contrada a quello corteo, sì v’era uno grande e anche ricco gentiluomo di Toscana; il quale avea nome Orlando da Chiusi di Casentino; il quale per le maravigliose cose, ch’egli avea udito della santitade e de’ miracoli di san Francesco, gli portava grande divozione, e avea grandissima voglia di vederlo, e d’udirlo predicare. Giugne san Francesco a questo castello, ed entra dentro, e vassene in sulla piazza, dove era raunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno moricciuolo, e cominciò a predicare, proponendo per tema della sua predica queste parole in volgare: Tanto è il bene ch’io espetto, Ch’ogni pena m’è diletto: e sopra questo tema per dittamento dello Spirito Santo, predicò sì divotamente e sì profondamente, provandolo per diverse pene e martiri de’ Santi Apostoli e dei Santi Martiri, e per le dure penitenze de’ Santi Confessori, e per molte tribolazioni e tentazioni delle Sante Vergini e degli altri Santi, che ogni gente istava con gli occhi e con la mente sospesa verso lui, e attendevano, come se parlasse un Angiolo di Dio: tra li quali il detto [p. 126 modifica] Orlando, toccato nel cuore da Dio per la maravigliosa predicazione di san Francesco, si puose in cuore d’ordinare e ragionare con lui dopo la predica dei fatti dell’anima sua. Onde compiuta la predica, egli trasse san Francesco da parte, e dissegli: O padre, io vorrei ordinare teco della salute della anima mia. Rispuose san Francesco: Piacemi molto; ma va’ istamani, e onora gli amici tuoi, che t’hanno invitato alla festa, e desina con loro; e dopo desinare; parleremo insieme quanto ti piacerà. Vassene dunque Orlando a desinare: e dopo desinare torna a san Francesco, e si ordina e dispone con esso lui i fatti dell’anima sua pienamente. E in fine disse questo Orlando a san Francesco. Io ho in Toscana uno Monte divotissimo, il quale si chiama il Monte della Vernia, il quale è molto solitario, ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria: s’egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te, e a’ tuoi compagni per salute dell’anima mia. Udendo san Francesco cosi liberale profferta di quella cosa che egli disiderava molto, n’ebbe grandissima allegrezza; e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi Orlando, sì gli disse così: Orlando, quando voi sarete tornato a casa vostra, io manderò a voi dei miei compagni, e voi mostrerete loro quel Monte; e s’egli parrà loro atto a orazione e a fare penitenza, insino a ora io accetto la vostra profferta caritativa. E detto questo, san Francesco si parte: e compiuto, ch’egli ebbe il suo viaggio, si ritornò a Santa Maria degli Angeli: e Orlando similmente, compiuta ch’egli ebbe la solennitade di quello corteo, si ritornò al suo Castello, che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Vernia a uno miglio. Tornato dunque che san Francesco fu a Santa Maria. degli Angeli, egli mandò due de’ suoi compagni al detto Orlando; i quali giugnendo a lui, furono con grandissima allegrezza e caritade da lui ricevuti. E volendo egli mostrare loro il Monte della Vernia, si mandò con loro bene da cinquanta uomini armati, acciocchè gli [p. 127 modifica] difendessero dalle fiere selvatiche; e così accompagnati questi Frati, salirono in sul Monte, e cercarono diligentemente; e alla perfine vennero ad una parte del Monte, molto divota, e molto atta a contemplare; nella quale parte si era alcuna pianura; e quello luogo si scelsero per loro abitazione, e di san Francesco; e insieme coll’aiuto di quelli uomini armati che erano in loro compagnia fecero alcuna celluzza di rami d’arbori e cosi accettarono al nome di Dio e presero il Monte della Vernia, e il luogo de’ Frati in esso Monte, e partironsi, e tornarono a san Francesco. E giunti che furono a lui, si gli recitarono, come e in che modo eglino aveano preso il luogo in sul Monte della Vernia, attissimo alla orazione e a contemplazione. Udendo san Francesco questa novella, si rallegrò.molto, e laudando e ringraziando Iddio, parla a questi Frati con allegro viso, e dice così: Figliuoli miei, noi ci appressiamo alla nostra Quaresima di san Michele Arcangelo; io credo fermamente, che sia volontà di Dio, che noi facciamo questa Quaresima in sul monte della Vernia, il quale per divina dispensazione ci è stato apparecchiato, acciocchè a onore e gloria di Dio, e della sua Madre gloriosa Vergine Maria, e de’ Santi Angeli, noi con penitenza meritiamo da Cristo consolazione di consacrare quel Monte benedetto. E allora detto questo, san Francesco si prese seco frate Masseo da Marignano d’Assisi, il quale era uomo di grande senno e di grande eloquenza; e frate Angelo Tancredi da Rieti, il quale era molto gentile uomo, ed era stato cavaliere nel secolo; e frate Lione, il quale era uomo di grandissima semplicità e puritade, per la qual cosa san Francesco molto lo amava. E con questi tre frati san Francesco si puose in orazione; raccomandò sè e li predetti compagni alle orazioni de’ Frati che rimasero, e mossesi con quelli tre nel nome di Gesù Cristo Crocifisso, per andare al Monte della Vernia. E movendosi san Francesco, chiamò uno di quei tre compagni, ciò fu frate Masseo, e sì gli disse così: Tu, frate Masseo, sarai nostro Guardiano [p. 128 modifica] e nostro Prelato in questo viaggio, cioè mentre che noi andremo e staremo insieme; e sì osserveremo la nostra usanza, che, o noi diremo l’ufficio, o noi parleremo di Dio, o noi terremo silenzio, e non penseremo innanzi, nè di mangiare, nè di bere, nè di dormire: ma quando e’ sarà l’ora dello albergare, noi accatteremo un poco di pane, e sì ci ristaremo, e riposeremoci in quel luogo che Dio ci apparecchierà. Allora questi tre compagni inchinarono i capi, e facendosi il segno della croce, andarono oltre: e la prima sera giunsero ad un luogo di frati, e quivi albergaroņo. La seconda sera, tra per lo mal tempo, e perchè erano stanchi, non potendo giugnere a un luogo di Frati, nè a castello, nè a villa nessuna, sopraggiugnendo la notte col mal tempo, si ricoverarono ad albergo in una chiesa abbandonata e disabitata, e ivi si puosero a riposare. E dormendo li compagni, san Francesco si gittò in orazione; ed eccoti in su la prima vigilia della notte venire una grande moltitudine di Demoni ferocissimi, con rumore e stropiccio grandissimo, e cominciarono fortemente a dargli battaglia e noia; onde l’uno lo pigliava di qua, e l’altro di là; l’uno lo tirava in giù, e l’altro in su; l’uno il minacciava d’una cosa, e l’altro gliene rimproverava un’altra; e così in diversi modi si ingegnavano di sturbarlo della orazione; ma non poteano, perchè Iddio era con lui. Onde quando san Francesco ebbe assai sostenuto queste battaglie de’ Demoni, egli cominciò a gridare ad alta voce: O spiriti dannati, voi non potete niente, se non quanto la mano di Dio vi permette: e però dalla parte dello Onnipotente Iddio io vi dico, che voi facciate nel corpo mio ciò che vi è permesso da Dio; conciossiachè io lo sostenga volentieri, perchè io non ho maggiore nemico, che il corpo mio; e però se voi fate vendetta del mio nemico, voi mi fate troppo grande servigio. E allora i Demoni con grandissimo impeto e furia, si lo presero, e cominciaronlo a strascinare per la chiesa, e farli troppo maggior molestia e noia, che in prima. E san [p. 129 modifica] Francesco allora cominciò a. gridare, e dire: Signor mio Gesù Cristo, io ti ringrazio di tanto onore e carità, quanto tu mostri verso di me; che è segno di grande amore, quando il Signore punisce bene il servo suo di tutti i suoi difetti in questo mondo, acciocchè non ne sia punito nell’altro. E io sono apparecchiato a sostenere allegramente ogni pena, e ogni avversitade che tu, Iddio mio, mi vuoi mandare per li miei peccati. Allora li Demoni confusi e vinti dalla sua costanza e pazienza, si partirono. E san Francesco in fervore di spirito esce dalla chiesa, e entra in uno bosco ch’era ivi presso, e quivi si gitta in orazione; e con prieghi, e con lagrime, e con picchiare di petto, cerca di trovare Gesù Cristo sposo e diletto dell’anima sua. E finalmente trovandolo nel segreto della sua anima, ora gli parlava riverente, come a Signore; ora gli rispondea, come a suo giudice; ora il pregava come padre; ora gli ragionava, come ad amico. In quella notte, e in quel bosco i compagni suoi, poichè s’erano desti, e istavano ad ascoltare e considerare quello che facea, sì il viddono, e udirono con pianti e con voci, pregare divotamente la divina misericordia per li peccatori. Fu allora udito e veduto piangere ad alta voce la passione di Cristo, come s’egli la vedesse corporalmente. In questa notte medesima il viddono orare colle braccia raccolte in modo di croce, per grande ispazio sospeso e sollevato da terra, e attorniato da una nuvola splendente. E così in questi santi esercizi tutta quella notte passò senza dormire. E dipoi la mattina, conoscendo li compagni, che per la fatica della notte, che passò senza dormire, san Francesco era troppo debole del corpo, e male avrebbe potuto camminare a piede, si se ne andarono a uno povero lavoratore della contrada, e sì gli chiesero, per l’amore di Dio, il suo asinello in prestanza per frate Francesco loro padre, il quale non potea andare a piede. Udendo costui ricordare frate Francesco, sì gli domandò: Sete voi di quelli frati di quello frate d’Assisi, del quale si dice cotanto [p. 130 modifica] bene? Rispondono li frati, che sì; e che per lui veramente eglino addomandano il somiero. Allora questo buono uomo con grande divozione e sollecitudine, sì apparecchiò l’asinello, e menollo a san Francesco, e e con grande riverenza vel fece salire suso e camminarono oltre; e costui con loro, dietro al suo asinello. E poichè furono oltre un pezzo, disse il villano a san Francesco Dimmi, se’ tu frate Francesco di Assisi? Risponde san Francesco, che sì. Ora t’ingegna dunque, disse il villano, d’essere così buono, come tu se tenuto da ogni gente, perciocchè molti hanno grande fede in te; e però io ti ammonisco che in te non sia altro, che quello che la gente ne spera. Udendo san Francesco queste parole, non si sdegno d’essere ammonito da uno villano, e non disse tra sè medesimo: Che bestia è costui che m’ammonisce! siccome direbbono oggi molti superbi, che portano la cappa; ma immantinente si gittò in terra dello asino, e inginocchiossi dinanzi a costui, e baciolli i piedi; e sì lo ringraziò umilmente, perchè s’era degnato d’ammonirlo così caritativamente. Allora il villano, insieme con li compagni di san Francesco, con grande divozione lo levarono da terra, e ripuosonlo in su l’asino, e camminarono oltre. E giunti che furono forse a mezza la salita del monte, perch’era il caldo grandissimo e la salita faticosa, a questo villano gli venne gran sete, intanto che cominciò a gridare dopo san Francesco, dicendo: Ohime, che io mi muoio di sete; che se io non ho qualche cosa da bere, io trafelerò immantinente. Per la quale cosa san Francesco iscende dallo asino, e gittasi in orazione; e tanto si stette ginocchioni colle mani levate al cielo, che conobbe per revelazione, che Iddio l’avea esaudito. E allora disse san Francesco al villano: Corri: va’ tosto a quella pietra, e ivi troverai l’acqua viva, la quale Gesù Cristo in questa ora, per la sua misericordia, ha fatta uscire da quella pietra. Corre costui a quel luogo, che san Francesco gli avea mostrato, e trova una bella fonte, per virtù della ora[p. 131 modifica] zione di san Francesco prodotta dal sasso durissimo, e bevvene copiosamente, e fu confortato. E bene apparve, che quella fonte fosse da Dio prodotta miracoJosamente per gli prieghi di san Francesco, perocchè nè prima nè poi in quello luogo non si vide giammai fonte d’acqua, nè acqua viva presso a quello luogo a grande ispazio. Fatto questo san Francesco con li compagni e col villano ringraziarono Iddio del miracolo mostrato, e poi camminarono oltre. E appressandosi a piè del sasso proprio della Vernia, piacque a san Francesco di riposarsi un poco sotto la quercia, che era in sulla via, ed evvi ancora; e istando sotto ad essa san Francesco, cominciò a considerare la disposizione del luogo e del paese. E. istando in questa considerazione, eccoti venire una grande moltitudine d’uccelli di diverse regioni li quali con cantare e con batter d’ali, mostravano tutti grandissima festa e alle— grezza e attorniarono. san Francesco in tale modo, che alquanti se li puosero sul capo, alquanti in sulle spalle, e alquanti in sulle braccia, alquanti in grembo, e alquanti d’intorno a’ piè: Vedendo questo i suoi compagni ed il villano, e maravigliandosi san Francesco, tutto allegro in spirito disse così: Io credo, carissimi fratelli, che al nostro Signore Gesù Cristo piace che noi abitiamo in questo monte solitario, poichè tanta allegrezza ne mostrano della nostra venuta le nostre sirocchie e fratelli uccelli. E dette queste parole, si levarono suso, e camminarono oltre; e finalmente pervennero al luogo, ch’aveano in prima preso i suoi compagni. E questo è quanto alla prima considerazione, cioè come san Francesco pervenne al Monte Santo della Vernia.

Della seconda considerazione delle sacre
sante Istimate.

La seconda considerazione si è, della conversazione di san Francesco con li compagni in sul detto monte della Vernia. E quanto a questa, è da sapere; che udendo [p. 132 modifica] Orlando, che san Francesco con tre compagni era salito per abitare in sul Monte della Vernia, ebbene grandissima allegrezza, e il dì seguente si mosse egli con molti del suo castello, e vennero a visitare san Francesco, portando del pane e del vino, e dell’altre cose da vivere, per lui e per li suoi compagni; e giugnendo lassù sì gli trovò istare in orazione; e appressandosi a loro, sì gli salutò. Allora san Francesco si drizzò, e con grandissima caritade e allegrezza ricevette Orlando colla sua compagnia; e fatto questo, sì si puose a ragionare insieme. E dopo ch’ebbero ragionato insieme, e san Francesco l’ebbe ringraziato del divoto monte, che egli gli avea donato, e della sua venuta, ed egli sì lo pregò, che gli facesse fare una celluzza povera a piede d’un faggio bellissimo, il quale era di lunge dal luogo de’ frati per una gittata di pietra, perocchè quello gli parea luogo molto atto, e divoto alla orazione. E Orlando immantinente la fece fare; è fatto questo, perocchè si appressava alla sera, ed era tempo di partire, san Francesco, innanzi che si partissero, predicò loro un poco; e poi predicato ch’egli ebbe, e dato loro la benedizione, Orlando dovendosi partire egli chiamò da parte san Francesco e gli compagni, e disse loro: frati miei carissimi, e’ non è mia intenzione, che in questo Monte selvatico voi sostegnate nessuna necessitade corporale, per la quale voi possiate meno attendere alle cose spirituali: e però io voglio, è questo vi dico per tutte le volte, che a casa mia voi mandiate sicuramente per ogni vostro bisogno, e se voi faceste il contrario, io l’avrei da voi molto per male: e detto questo, si partì colla sua compagnia, e tornossi al Castello. Allora san Francesco fece sedere i suoi cumpagni, e sì gli ammaestrò del modo e della vita, che doveano tenere eglino e chiunque religiosamente vuole vivere ne’ romitori. E tra l’altre cose, singularmente impuose loro la osservanza della santa povertà, dicendo: Non ragguardate tanto la caritatevole profferta di Orlando, che voi in cosa nessuna offendiate la no[p. 133 modifica] stra Donna e Madonna santa povertade. Abbiate di certo, che quanto noi più ischiferemo la povertade, tanto più il mondo ischiferà noi, e più necessitade patiremo: ma se noi abbracceremo bene stretta la santa povertà, il mondo ci verrà dietro, e nutricheracci copiosamente. Iddio ci ha chiamati in questa santa Religione per la salute del mondo, ed ha posto questo patto tra noi e ’l mondo, che noi diamo al mondo buono esempio, e ’l mondo ci provvegga nelle nostre necessitadi. Perseveriamo dunque nella santa povertade, perocch’ella è via di perfezione, ed è arra e pegno delle ricchezze eterne. E dopo molte e belle e divote parole, e ammaestramenti di questa materia, si conchiuse dicendo: Questo è il modo del vivere il quale io impongo a me, e a voi; e perocchè io mi veggio appressare alla morte, io m’intendo di stare solitario, e ricogliermi con Dio, e dinanzi a lui piagnere i miei peccati: e frate Lione, quando gli parrà, mi recherà un poco di pane e un poco d’acqua; e per nessuna cagione non lasciate venire a me nessuno secolare; ma voi rispondete loro per me. E dette queste parole, diede loro la benedizione, e andossene alla cella del faggio, e gli compagni si rimasero nel luogo, con fermo proponimento d’osservare gli comandamenti di san Francesco. Ivi a pochi dì, istandosi san Francesco allato alla detta cella, considerando la disposizione del Monte, e maravigliandosi delle grandissime fessure ed aperture di sassi grandissimi, si puose in orazione: e allora gli fu rivelato da Dio che quelle fessure cosi maravigliose erano istate fatte miracolosamente, nell’ora della Passione di Cristo, quando, secondo che dice il Vangelista, le pietre si spezzarono. E questo volle Iddio, che singolarmente apparisse in su quel monte della Vernia, perche quivi si dovea rinnovare la Passione del nostro Signor Gesù Cristo nell’anima sua, per amore e compassione, e nel corpo suo per impressione delle sacre sante Istimate. Avuta che ebbe san Francesco quella rivelazione, immantinente si rinchiude in cella, e tutto si ricoglie in [p. 134 modifica] sè medesimo, e si dispone ad attendere al mistero di questa rivelazione. E d’allora innanzi san Francesco, per la continova orazione, cominciò ad assaggiare più spesso la dolcezza della divina contemplazione, per la quale egli ispesse volte era sì ratto in Dio, che corporalmente egli era veduto da’ compagni elevato di terra, e ratto fuori di sè. In questi cotali ratti contemplativi, gli erano rivelate da Dio, non solamente le cose presenti e le future, ma eziandio gli segreti pensieri e gli appetiti de’ frati; siccome in sè medesimo provỏ frate Lione suo compagno in quel dì. Il quale frate Lione sostenendo dal Demonio una grandissima tentazione, non carnale ma ispirituale, sì gli venne grande voglia d’avere qualche cosa divota, iscritta di mano di san Francesco; e pensavasi, che se l’avesse, quella tentazione si partirebbe, o in tutto, o in parte. Avendo questo desiderio, per vergogna e per reverenza non avea avuto ardire di dirlo a san Francesco; ma a cui nol disse frate Lione, sì lo rivelò lo Spirito Santo. Di che san Francesco il chiamo a sè, e fecesi recare il calamaio, e la penna, e la carta; e con la sua mano iscrisse una lauda di Cristo, secondo il desiderio del frate; e nel fine fece il segno del Tau, e diedegliela dicendogli: Te’, carissimo frate, questa carta, e insino alla morte tua la guarda diligentemente. Iddio ti benedica, e guarditi contra a ogni tentazione. Perchè tu abbi delle tentazioni, non ti sgomentare; perocchè allora ti reputo io amico e più servo di Dio, e più ti amo, quanto più se’ combattuto dalle tentazioni. Veramente io ti dico, che nessuno si dee reputare perfetto amico di Dio, insino a tanto che non è passato per moite tentazioni e tribulazioni. Ricevendo frate Lione questa scritta con somma divozione e fede, subitamente ogni tentazione si partì; e tornandosi al luogo, narrò alli compagni con grande allegrezza, quanta grazia Iddio gli avea fatta nel ricevere quella scritta di san Francesco; e riponendola, e serbandola diligentemente, con essa fecero poi li frati molti miracoli. E da quel[p. 135 modifica] l’ora innanzi, il detto frate Lione con grande puritade e buona intenzione, cominciò ad iscrutare, e considerare la vita di san Francesco: e per la sua puritade, egli si meritò di vedere più e più volte san Francesco ratto in Dio, e sospeso da terra, alcuna volta in ispazio d’altezza di tre braccia, alcuna volta di quattro, alcuna volta insino all’altezza del faggio; e alcuna volta lo vide levato in aria tanto alto, e attorniato di tanto isplendore, che egli appena il potea vedere. E che facea questo semplice frate, quando san Francesco era sì poco elevato da terra, ch’egli il potea aggiugnere? Andava costui pianamente, e abbracciavagli i piedi, baciavagli, e con lagrime dicea; Dio mio, abbi misericordia di me peccatore, e per li meriti di questo Santo uomo, fammi trovare la grazia tua. E una volta tra l’altre, istando egli così sotto i piedi di san Francesco, quando egli era tanto levato da terra, che non lo potea toccare, egli vide una cedola, scritta di lettere d’oro, discendere di Cielo, e porsi in sul capo di san Francesco, nella quale cedola erano iscritte queste parole: Qui è la grazia di Dio; e poi che l’ebbe letta, sì la vide ritornare in Cielo. Per lo dono di questa grazia di Dio, ch’era in lui, san Francesco non solamente era ratto in Dio per contemplazione estatica, ma eziandio alcuna volta era confortato da visitazione angelica. Onde istandosi un dì san Francesco, e pensando della morte sua, e dello stato della sua Religione dopo la vita sua, e dicendo: Signore Iddio, che sarà dopo la mia morte della tua famiglia poverella, la quale per la tua benignità hai commessa a me peccatore? chi li conforterà? chi gli correggerà? chi ti pregherà per loro? e simiglianti parole dicendo, sì gli apparve l’Angelo mandato da Dio, e confortandolo disse così: Io ti dico dalla parte di Dio, che la professione dell’Ordine tuo non mancherà insino al dì del giudizio, e non sarà nessuno sì grande peccatore, che se egli amerà di cuore l’Ordine tuo, egli non truovi misericordia da Dio; e nessuno, che per malizia per[p. 136 modifica] seguiti l’Ordine tuo, potrà lungamente vivere. Appresso nessuno molto reo nell’Ordine tuo, il quale non corregga la sua vita, non potrà molto perseverare nell’Ordine. E però non ti contristare, se nella tua Religione tu vedi alcuni frati non buoni, li quali non osservano la Regola come debbero, e non pensare però, che questa Religione venga meno; imperocchè sempre ve ne saranno molti, e molti, li quali serveranno perfettamente la vita del Vangelo di Cristo, e la puritade della Regola; e quelli cotali immantenente dopo la vita corporale, se ne andranno a vita eterna, senza passare punto per Purgatorio; alquanti la serveranno, ma non perfettamente, e quelli anzi che vadano al Paradiso, saranno in Purgatorio, ma il tempò della loro purgazione ti sară commesso da Dio. Ma di coloro, che non osservano punto della Regola, non te ne curare, dice Iddio, perocchè non se ne cura egli; e dette queste parole l’Angelo si partì, e san Francesco rimase confortato e consolato. Appressandosi poi alla festa della Assunzione della nostra Donna, e san Francesco cerca opportunità di luogo più solitario e segreto, nel quale egli possa più solitario fare la Quaresima di san Michele Arcangelo, la quale comincia per detta festa della Assunzione. Ond’egli chiama frate Lione, e dicegli così: Va’, e ista’ in sulla porta dell’Oratorio del luogo de’ frati, e quando io ti chiamerò, e tu torna a me. Va frate Lione; e istà in sulla porta; e san Francesco si dilungỏ un pezzo, e chiama forte. Udendosi frate Lione chiamare, torna a lui; e san Francesco gli dice: figliuolo cerchiamo altro luogo più segreto, onde tu non mi possa udire così quando io ti chiamerò. E cercando, ebbero veduto dalla parte del Monte dal lato dalla parte del meriggio uno luogo segreto, e troppo bene atto, secondo la sua intenzione; ma non vi si potea andare; perocchè dinanzi vi era una orribile e paurosa apritura di sasso molto grande; di che con grande fatica e’ vi puosero suso uno legno a modo di ponte, e passarono di là. Allora san Francesco mandò per gli altri frati, e dice loro; come [p. 137 modifica] egli intende di fare la Quaresima di san Michele in quello luogo solitario; e però li priega, che eglino vi facciano una celluzza, sicchè per nessuno suo gridare e’ potesse essere udito da loro. E fatta che fu la celluzza di san Francesco, dice a loro: Andatene al luogo vostro, e me lasciate qui solitario, perocchè con l’aiuto di Dio, intendo di fare qui questa Quaresima, senza istropiccio, o perturbazione di mente, e però nessuno di voi venga a me, nè nessuno secolare non lasciate venire a me. Ma tu frate Lione solamente, una sola volta il dì, verrai a me con un poco di pane e d’acqua, e la notte un’altra volta nell’ora del mattutino; e allora verrai a me con silenzio: e quando sei in capo del ponte, e tu mi dirai: Domine, labia mea aperies; e se io ti rispondo, vieni e passa alla cella, e diremo insieme il Mattutino; e se io non ti rispondo, partiti immantinente. E questo dicea san Francesco, perocchè alcuna volta era si ratto in Dio, che non udiva, nè sentiva niente con sentimenti del corpo. E detto questo, san Francesco diede loro la benedizione; ed eglino si ritornarono al luogo. Vegnendo adunque la festa dell’Assunzione, san Francesco cominciò adunque la santa Queresima, con grandissima astinenza ed asprezza, macerando il corpo, e confortando lo spirito con ferventi orazioni; vigilie e discipline, ed in queste orazioni sempre crescendo di virtù in virtude, disponea l’anima sua a ricevere li divini misteri, e li divini isplendori, e ’l corpo a sostenere le battaglie crudeli delli Demoni, con i quali ispesse volte combattea sensibilmente; e fra le altre fu una volta in quella Quaresima, che uscendo un dì san Francesco della cella in fervore di spirito, e andando ivi assai appresso a stare in orazione in una tomba di uno sasso cavato, dalla quale insino giù a terra è una grandissima altezza, e orribile e pauroso precipizio; subitamente viene il Demonio con tempesta, e con rovinio grandissimo in forma terribile, e percuotelo per sospignerlo quindi giuso. Di che san Francesco, non avendo dove fug[p. 138 modifica] gire, e non potendo sofferire l’aspetto crudelissimo del Demonio, di subito si rivolse con le mani e col viso e con tutto il corpo al sasso, e raccomandandosi a Dio, brancolando colle mani, se a cosa nessuna si potesse appigliare. Ma come piacque a Dio, il quale non lascia mai tentare li servi suoi più che possono portare, subitamente per miracolo, il sasso al quale egli s’accostò, si cavò e secondo la forma del corpo suo, e sì lo ricevette in se, e a modo, come se egli avesse messe le mani e ’l viso in una cera liquida, così nel detto sasso s’improntò la forma del viso e delle mani di san Francesco; e così aiutato da Dio iscampò dinanzi dal Demonio. Ma quello, che il Demonio non potè fare allora a san Francesco, di sospignerlo quindi giuso, sì fece poi a buon tempo dopo la morte di san Francesco, a uno suo caro e divoto frate, il quale in quello medesimo luogo acconciando alcuni legni, acciocchè senza pericolo vi si potesse andare per divozione di san Francesco, e dello miracolo ivi fatto; un dì il Demonio lo sospinse, quando egli avea in capo un legno grande, il quale egli volea acconciare ivj, e sì lo fece cadere quivi giù con quello legno in capo. Ma Iddio, che avea scampato e preservato san Francesco dal cadere, per li suoi meriti campò e preservò il devoto frate suo del pericolo della caduta: onde cadendo il frate, con grandissima divozione, ad alta voce si raccomandò a san Francesco; ed egli subitamente gli apparve, e prendendole, sì lo poso giuso in su li sassi, senza fargli avere nessuna percossa, o lesione. Onde avendo udito gli altri frati il grido di costui, quando cadde, e credendo che fosse morto, e minuzzato per l’alta caduta in su gli sassi taglienti, con grande dolore e pianto, presero il cataletto, e andavano dall’altra parte del Monte per ricercarne li pezzi del corpo suo, e sotterrargli. Essendo già discesi dal Monte, questo frate che era caduto, gli scontrò con quello legno in capo, con il quale egli era caduto, e cantava il Te [p. 139 modifica] Deum laudamus ad alta voce. E maravigliandosi li frati fortemente, egli innarrò loro per ordine tutto il modo del suo cadere, e come san Francesco l’avea campato da ogni pericolo. Allora tutti gli frati insieme con lui ne vennero al luogo, cantando divotissimante il predetto salmo, Te deum laudamus, e laudando e ringraziando Iddio con san Francesco del miracolo, che avea adoperato nel frate suo. Proseguendo dunque san Francesco, come detto è, la detta Quaresima, benchè molte battaglie sostenesse dal Demonio, nientedimeno molte consolazioni riceveva da Dio, non solamente per visitazioni angeliche, ma eziandio per uccelli selvatichi. Imperocchè in tutto quello tempo della Quaresima un falcone, il quale nidificava ivi presso alla sua cella, ogni notte un poco innanzi Mattutino, col suo canto, e col suo isbattersi alla cella sua sì lo destava, e non si partia, insino che egli non si levava suso a dire il Mattutino; e quando san Francesco fosse più lasso una volta che l’altra, o debile o infermo, questo falcone, a modo e come persona discreta e compassionevole, sì cantava più tardi. E così di questo oriuolo san Francesco prendea grande piacere; perocchè la grande sollecitudine del falcone scacciava da lui ogni pigrizia, e sollecitavalo ad orare; ed oltra questo, di dì si stava alcuna volta dimesticamente con lui. Finalmente, quanto a questa seconda considerazione, essendo san Francesco molto indebolito del corpo, tra per l’astinenza grande, e per le battaglie del Demonio, volendo egli col cibo spirituale della anima confortare il corpo, cominciò a pensare della ismisurata gloria e gaudio de’ Beati di vita eterna; e sopra a ciò incominciò a pregare Iddio, che gli concedesse grazia d’assaggiare un poco di quello gaudio. E istandosi in questo pensiero, subito gli apparve un Angelo con grandissimo isplendore, il quale avea una viola nella mano sinistra, e lo archetto nella man destra; e stando san Francesco tutto istupefatto nello aspetto di questo Angelo, esso menò una volta l’archetto in su sopra la viola; e [p. 140 modifica] subito sentì tanta soavitade di melodia, che indolcì l’anima di san Francesco, e sospesela da ogni sentimento corporale; che, secondo che e’ recitò poi alli compagni, egli dubitava, se lo Angelo avesse tirato l’archetto in giuso, che per intollerabile dolcezza l’anima si sarebbe partita del corpo. E questo è, quanto alla seconda considerazione.

Della terza considerazione delle sacre sante Istimale.

Giunto alla terza considerazione, cioè della apparizione serafica, e impressione delle sacre sante Istimate, è da considerare che appressandosi alla festa della Santissima Croce del mese di Settembre, andò una notte frate Lione al luogo e all’ora usata, per dire il Mattutino con san Francesco; e dicendo da capo del ponte come egli era usato Domine, labia mea aperies, e san Francesco non rispondendo, frate Lione non si tornò a dietro, come san Francesco gli avea comandato; ma con buona e santa intenzione, passò il ponte, ed entrò pianamente in cella sua; e non trovandolo, si pensò ch’e’ fosse per la selva in qualche luogo in orazione; di che egli esce fuori, e al lume della luna il va cercando pianamente per la selva: e finalmente egli udi la voce di san Francesco, e appressandosi, il vide stare ginocchioni in orazione colla faccia e colle mani levate al Cielo; ed in fervore di spirito si dicea: Chi se’ tu, dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo? E queste parole medesime pure ripetea, e non dicea nessuna altra cosa. Per la qual cosa frate Lione maravigliandosi di ciò, levò gli occhi, e guatò in cielo; e guatando, vide venire dal Cielo una fiaccola di fuoco bellissima ed isplendidissima, la quale discendendo si posò in capo di san Francesco; e della detta fiamma udiva uscire una voce, la quale parlava con san Francesco; ma esso frate Lione non intendea le parole. Udendo questo, e ripu[p. 141 modifica] tandosi indegno di stare così presso a quello luogo santo, dov’era quella mirabile apparizione, e temendo ancora di offendere san Francesco, o di turbarlo dalla sua considerazione, se egli da lui fosse sentito, si tirò pianamente addietro, e istando da lunge, aspettava di vedere il fine; e guardando fiso, vide san Francesco stendere tre volte le mani alla fiamma; e finalmente dopo grande ispazio di tempo, e’ vide la fiamma ritornarsi in Cielo. Di che egli si muove sicuro e allegro della visione e tornavasi alla cella sua. E andandosene egli sicuramente, san Francesco lo ebbe sentito allo istropiccio de’ piedi sopra le foglie, e comandogli che lo aspettasse, e non si movesse. Allora frate Lione obbediente stette fermo e aspettollo con tanta paura, che secondo che egli poscia recitò a’ compagni, in quel punto egli avrebbe piuttosto voluto, che la terra il tranghiottisse, che aspettare san Francesco, il quale egli pensava essere contro di lui turbato; imperocchè con somma diligenza egli si guardava d’offendere la sua Paternità, acciocchè, per sua colpa, san Francesco non lo privasse della sua compagnia. Giugnendo a lui dunque san Francesco, domandolio: Chi se’ tu? e frate Lione tutto tremando rispose: Io sono frate Lione, padre mio; e san Francesco gli disse: Perchè venisti tu qua, frate pecorella? non t’ho io detto, che tu non mi vada osservando? Dimmi per santa obbedienza, se tu vedesti, o udisti nulla. Rispuose frate Lione: Padre, io t’udii parlare, e dire più volte: Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? che sono io, vermine vilissimo, e disutile servo tuo? E allora inginocchiandosi frate Lione dinanzi a san Francesco, si rende in colpa della disobbedienza, che egli avea fatto contra il suo comandamento, e chiesegli perdonanza con molte lagrime. E appresso il prega divotamente, che egli esponga quelle parole che avea udite, e dicessegli quelle, che elli non avea intese. Allora veggendo san Francesco che Dio all’umile frate Lione, per la sua semplicità e puritade, avea rivelato, ovvero conceduto d’udire e [p. 142 modifica] di vedere alcune cose, sì gli condiscese a rivelargli, ed isporgli quello che egli gli domandava; e disse così: Sappi, frate pecorella di Gesù Cristo, che quando io dicea quelle parole che tu udisti, allora mi erano mostrati all’anima due lumi; l’uno della notizia e conoscimento di me medesimo, l’altro della notizia e conoscimento del Creatore. Quando io dicea: Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? allora ero in un lume di contemplazione, nel quale io vedea l’abisso della infinita bontà e sapienza e potenza di Dio, e quando io dicea: Che sono io, etc., io era in lume di contemplazione, nel quale io vedea il profondo lagrimoso della mia viltade e miseria; e però dicea: Chi se’ tu, Signore di infinita bontà e sapienza, che degni di visitare me, che sono vile vermine e abbominevole? E in quella fiamma che tu vedesti, era Iddio; il quale in quella ispezie mi parlava, siccome avea anticamente parlato a Moisè. E tra l’altre cose, che mi disse, sì mi chiese, che io gli facessi tre doni; ed io gli rispondea: Signore mio, io sono tutto tuo; tu sai bene, che io non ho altro che la tonica, e la corda e li panni di gamba, ed anche queste tre cose sono tue; che posso dunque io offrire o donare alla tua Maestà? Allora Iddio mi disse: Cercati in grembo, e offerami quello che tu vi trovi. Jo vi cercai e trovai una palla di oro; e sì l’offersi a Dio; e così tre volte, secondo che Dio tre volte mel comandò: e poi m’inginocchiai tre volte, e benedissi e ringraziai Iddio, il quale m’avea dato che offerire. E immantinente mi fu dato ad intendere, che quelle tre offerte significavano la santa obbedienza, l’altissima povertade, e la splendidissima castità; le quali Iddio, per la sua grazia, m’ha conceduto d’osservare sì perfettamente, che di nulla mi riprende la coscienza. E siccome tu mi vedevi mettere le mani in grembo, e offerire a Dio queste tre virtù, significate per quelle tre palle d’oro, le quali Iddio m’avea posto in grembo; così m’ha Iddio donato virtù nell’anima mia, che di tutti i beni e di tutte le grazie, che [p. 143 modifica] m’ha concedute per la sua santissima bontà, io sempre col cuore e colla bocca ne lo lodo e magnifico. Queste sono le parole, le quali tu udisti al levare tre volte le mani, che tu vedesti. Ma guardati, frate pecorella, che tu non mi vadi osservando; e tornati alla tua cella con la benedizione di Dio, e abbi di me sollecita cura imperocchè di qui a pochi dì, Iddio farà sì grandi e sì maravigliose cose in su questo Monte che tutto il mondo se ne maraviglierà; perocchè e’ farà alcune cose nuove, le quali egli non fece mai a veruna creatura in questo mondo. E dette queste parole, egli si fece recare il libro de’ Vangeli; perocchè Dio gli aveva messo nell’animo, che nello aprire tre volte il libro de’ Vangeli, gli sarebbe dimostrato quello, che a Dio piacea di fare di lui: E recato che gli fu il libro, san Francesco si gettò in orazione: compiuta l’orazione, si fece tre volte aprire il libro per mano di frate Lione, nel nome della Santissima Trinità; e come piacque alla divina disposizione, in quelle tre volte sempre gli si parò dinanzi la passione di Cristo. Per la qual cosa li fu dato ad intendere, che così come egli avea seguitato Cristo negli atti della sua vita, così il dovea seguitare, e a lui conformarsi nelle afflizioni, e dolori e nella passione, prima che passasse di questa vita. E da quel punto innanzi, san Francesco cominciò a gustare e sentire più abbondantemente la dolcezza della divina contemplazione, e delle divine visitazioni. Tra le quali n’ebbe una immediata, e preparativa alla impressione delle sacre sante Istimate, in questa forma. Il dì, che va innanzi alla festa della Santissima Croce del mese di Settembre, istandosi san Francesco in orazione segretamente in cella sua, gli apparve l’Angelo di Dio, e dissegli dalla parte di Dio: Io ti conforto e ammonisco, che tu ti apparecchi e disponghi umilmente con ogni pazienza a ricevere ciò che Iddio ti vorrà dare, ed in te fare. Risponde san Francesco: Io sono apparecchiato a sostenere pazientemente ogni cosa, che il mio Signore mi vuole fare: e detto questo, [p. 144 modifica] l’Angelo si partì. Viene il dì seguente, cioè il dì della Santissima Croce; e san Francesco la mattina per tempo innanzi dì, si gitta in orazione dinanzi all’uscio della sua cella, e volgendo la faccia inverso l’Oriente, ôra in questa forma: O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che mi facci, innanzi che io muoia, la prima, che in vita mia io senta nella anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore, che tu, dolce Signore, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione; la seconda si è, ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore, del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori. E stando lungamente in cotesto priego, sì intese che Dio lo esaudirebbe e che, quanto e’ fosse possibile a pura creatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose. Avendo san Francesco questa promessa, cominciò a contemplare divotissimamente la passione di Cristo, e la sua infinita carità: e cresceva tanto in lui il fervore della divozione, che tutto si trasformava in Gesù per amore e per compassione. E istando così infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina e’ vide venire dal Cielo uno Serafino con sei ali risplendenti e affocate; il quale Serafino con veloce volare appressandosi a san Francesco, sicchè egli potea discernere, e conobbe chiaramente, che avea in se l’immagine d’uomo crocifisso e le sue ali erano così disposte, che due ali si distendeano sopra il capo, due se ne distendeano a volare e l’altre due copriano tutto il corpo. Veggendo questo san Francesco, fu fortemente ispaventato, e insieme fu pieno d’allegrezza e di dolore con ammirazione. Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli apparia così dimesticamente, e guatavalo così graziosamente: ma dall’altra parte, veggendolo crocifisso in croce, avea ismisurato dolore di compassione. Appresso, si maravigliava molto di così istupenda e disusata visione, sappiendo bene, che la infermità della [p. 145 modifica] passione non si confà colla immortalidate dello spirito Serafico. E istando in questa ammirazione, gli fu rilevato da colui che gli apparia: che per divina provvidenza quella visione gli era mostrata in cotal forma, acciocchè egli intendesse, che non per martirio corporale, ma per incendio mentale, egli dovea esser tutto trasformato nella espressa similitudine di Cristo Crocifisso, in questa apparizione mirabile. Allora tutto il Monte della Vernia parea, che ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva, e illuminava tutti li mon-" ti e le valli d’intorno, come se fosse il sole sopra la terra; onde li Pastori, che vegliavano in quelle contrade, veggendo il Monte infiammato e tanta luce d’intorno, ebbero grandissima paura, secondo ch’eglino poi narrarono ai frati, affermando, che quella fiamma era durata sopra il Monte della Vernia per ispazio d’un’ora e più. Similmente allo splendore di questo lume, il quale risplendeva negli alberghi della contrada per le finestre, certi mulattieri, che andavano in Romagna, si levarono suso, credendo che fosse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro: e camminando, videro il detto lume cessare, e levarsi il sole materiale. Nella detta apparizione serafica, Cristo, il quale apparia, parlò a san Francesco certe cose secrete e alte, le quali san Francesco in vita sua non volle rivelare a persona: ma dopo la sua vita il rivelò, secondo che si dimostra più giù; e le parole furono queste: Sai tu, disse Cristo, quello ch’io t’ho fatto? io t’ho donato le Istimate, che sono i segnali della mia passione, acciocchè tu sia mio Gonfaloniere. E siccome io il dì della morte mia discesi al Limbo, e tutte l’anime ch’io vi trovai, ne trassi in virtude di queste mie Istimate: così a te concedo, che ogni anno il dì della morte tua, tu vadi al Purgatorio, e tutte le anime dei tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, ed eziandio gli altri, i quali saranno stati a te molto divoti, quali tu vi troverai, tu ne tragghi in virtù delle tue Istimate, e menile alla gloria del Paradiso, acciocchè [p. 146 modifica] tu sia a me conforme nella morte siccome tu se’ nella vita. Disparendo dunque questa visione mirabile, dopo grande ispazio e segreto parlare, lasciò nel cuore di san Francesco un ardore eccessivo e fiamma d’amore divino e nella sua carne lasciò una maravigliosa immagine, ed orma delle passioni di Cristo. Onde immantenente nelle mani e ne’ piedi di san Francesco, cominciarono ad apparire li segnali degli chiovi, in quel modo ch’egli avea allora veduto nel corpo di Gesù Cristo Crocifisso, il quale gli era apparito in specie di Serafino: e così parevano le mani, e’ piedi chiovellati nel mezzo con chiovi, i cui capi erano nelle palme delle mani e nelle piante de’ piedi fuori delle carni, e le loro punte riuscivano in su ’l dosso delle mani e de’ piedi, in tanto che pareano ritorti e ribaditi per modo, che infra la ribaditura e ritorcitura loro, la quale riusciva tutta sopra la carne, agevolmente si sarebbe potuto mettere il dito della mano, a modo che in uno anello: e li capi de’ chiovi erano tondi e neri. Similmente nel costato ritto apparve una immagine d’una ferita di lancia non saldata, rossa e sanguinosa: la quale poi ispesse volte gittava sangue del santo petto di san Francesco, e insanguinavali la tonica e li panni di gamba. Onde li compagni suoi, innanzi che da lui il sapessero, avvedendosi nientedimeno che egli non iscopria le mani nè li piedi, e che le piante de’ piedi egli non potea porre in terra; appresso trovando sanguinosa la tonica e i panni di gamba, quando gliele lavavano, certamente compresero, che egli nelle mani e ne’ piedi e simigliantemente nel costato avea espressamente impressa la immagine e similitudine del nostro Signor Gesù Cristo Crocifisso. E bene che assai s’ingegnasse di nascondere e di celare quelle sacre sante Istimate gloriose, così chiaramente impresse nella carne sua; e dall’altra parte veggendo, che male le potea celare ai compagni suoi famigliari; nientedimeno, temendo di pubblicare i segreti di Dio, fu posto in grande dubbio, s’e’ dovesse rivelare la vi[p. 147 modifica] sione serafica, e la impressione delle sacre sante Istimate. Finalmente per istimolo di coscienza, chiamò, a se alquanti frati più suoi dimestichi; e poponendo loro il dubbio sotto parole generali, non esprimendo loro il fatto, si chiese loro consiglio, tra quali frati ve n’era uno di grande santità, il quale avea nome frate Inluminato. Costui veramente inluminato da Dio, comprendendo, che san Francesco dovesse aver vedute cose maravigliose, sì gli rispose: frate Francesco, sappi, che non per te solo, ma eziandio per gli altri, Iddio ti mostra alcuna volta i suoi sacramenti: e però tu hai ragionevolmente da temere, che se tu tieni celato quello, che Iddio t’ha dimostrato per utilità altrui, tu non sia degno di riprensione. Allora san Francesco mosso per questa parola, con grandissimo timore riferì loro tutto il modo e la forma della sopraddetta visione; aggiugnendo, che Cristo il quale gli era apparito gli avea detto certe cose, le quali egli non direbbe mai, mentre ch’egli vivesse. E benchè quelle piaghe santissime, in quanto gli erano impresse da Cristo, gli dessero al cuore grandissima allegrezza; nientedimeno alla carne sua, e alli sentimenti corporali gli davano intollerabile dolore. Di che, costretto per necessità, egli elesse frate Lione, infra gli altri più semplici e più puro, al quale egli rivelò in tutto; e quelle sante piaghe gli lasciava vedere e toccare e fasciare con alcune pezzuole, e mitigare il dolore, e a ricevere il sangue, che delle dette piaghe usciva e colava; le quali fasciule a tempo d’infermitade egli si lasciava mutare ispesso, eziandio ognidì, eccetto che dal Giovedì sera insino al Sabato mattina; imperocchè in quel tempo egli non volea, che per veruno umano rimedio o medicina, gli fosse punto mitigato il dolore della passione di Cristo, la quale portava nel suo corpo; nel qual tempo il nostro salvator Gesù Cristo era stato per noi preso e crocifisso e morto e seppellito. Addivenne alcuna volta che quando frate Lione gli mutava la fascia della piaga del costato, san France[p. 148 modifica] sco per lo dolore, che sentia in quello spiccare della fascia sanguinosa, puose la mano al petto di frate Lione; per lo qual toccare di quelle sacrate mani, frate Lione sentia tanta dolcezza di divozione nel cuore suo, che poco meno e’ cadea in terra tramortito. E finalmente, quanto a questa terza considerazione, avendo san Francesco compiuta la Quaresima di san Michele Arcangelo, si dispuose per divina rivelazione, di tornare a Santa Maria degli Angeli. Onde egli chiamò a sè frate Masseo e frate Angelo; e dopo molte parole e santi ammaestramenti, si raccomandò loro con ogni efficacia che e’ potè quello Monte Santo, dicendo; come a lui convenia, insieme con frate Lione, tornare a Santa Maria degli Angeli. E detto questo, accomiatandosi da loro e benedicendoli nel nome di Gesù Crocifisso, condescendendo a’ loro prieghi, porse loro le sue santissime mani, adornate di quelle gloriose e șacre sante Istimate, a vedere, toccare e baciare: e così lasciandoli consolati, si partì da loro ed iscese del Santo Monte.

Della quarta considerazione delle sacre
sante Istimate.

. Quanto alla quarta considerazione, è da sapere, che da poichè il vero amore di Cristo ebbe perfettamente trasformato san Francesco in Dio, e nella vera immagine di Cristo Crocifisso, avendo compiuto la Quaresima di quaranta dì, a onore di san Michele Arcangelo in sul Santo Monte della Vernia; dopo la solennitade di san Michele, discese dal Monte l’Angelico uomo san Francesco, con frate Lione, e con uno divoto villano: in sul cui asino egli sedea, per cagione che per li chiovi dei piedi, e’ non potea bene andare a piede. Essendo adunque disceso del monte san Francesco, imperocchè la fama della sua santità era già divulgata per lo paese, e da’ pastori s’era sparto, come avevano veduto tutto infiammato il monte della Vernia, e che egli era se[p. 149 modifica] gnale di qualche grande miracolo, che Iddio avea fatto a san Francesco; udendo la gente della contrada che egli passava, tutti traevano a vederlo, e uomini e femmine, e piccoli e grandi; i quali tutti con grande divozione e disiderio, s’ingegnavano di toccarlo e di baciargli le mani e non potendole egli negare alla divozione delle genti, bench’egli avesse fasciate le palme, nientedimeno per occultare più le sacre sante Istimate, sì le fasciava ancora e coprivale colle maniche, e solamente le dita iscoperte porgea loro a baciare. Ma contuttochè egli studiasse di celare e nascondere il sacramento delle sacre sante Istimate, per fuggire ogni occasione di gloria mondana, a Dio piacque per gloria sua mostrare molti miracoli, per virtù delle dette sacre sante Istimate; e singolarmente in quello viaggio dalla Vernia a Santa Maria degli Angeli, e poi moltissimi in diverse parti del mondo, in vita sua, e dopo la sua gloriosa morte: acciocchè la loro occulta e maravigliosa virtude, e la eccessiva caritade e misericordia di Cristo inverso lui, a cui egli l’avea maravigliosamente donate, si manifestasse al mondo, per chiari ed evidenti miracoli; de’ quali ne porremo qui alquanti. Onde appressandosi allora san Francesco a una villa, ch’ era su li confini del contado d’Arezzo, se gli parò dinanzi con grande pianto una donna con un suo figliulo in braccio, il quale avea otto anni, che li quattro era stato ritropico; ed era sì sconciamente enfiato nel ventre, che stando ritto non si potea riguardare a’ piedi: e ponendogli questa donna questo figliuolo dinanzi, e pregandolo che pregasse Iddio per lui; e san Francesco si pose prima in orazione, e poi fatta l’orazione, pose le sue sante mani sopra il ventre del fanciullo, e subitamente fu risoluta ogni enfiatura, e fu perfettamente sanato, e rendello alla sua madre, la quale ricevendolo con grandissima allegrezza, e menandoselo a casa, ringraziò Iddio e san Francesco, e ’l figliuolo guarito mostrava volentieri a tutti quelli della contrada, che venivano a casa sua per vederlo. Il dì medesimo passò [p. 150 modifica] san Francesco per lo borgo a san Sepolcro; ed innanzi che s’appressasse al Castello, le turbe del Castello e delle ville gli si fecero incontro, e molti di loro gli andavano innanzi co’ rami d’ulivi in mano gridando forte: Ecco il santo, ecco il santo; e per divozione e voglia, che le genti aveano di toccarlo, faceano grande calca e pressa sopra lui: ma egli andando colla mente elevata e ratta in Dio per contemplazione, quantunque e’ fosse dalla gente toccato, o tenuto e tirato; a modo che persona insensibile, non ne sentì niente di cosa che intorno a se fosse fatta, o detta; nè eziandio s’avvide, che e’ passasse per quello Castello, nè per quella contrada. Onde passato il borgo, e tornatesi le turbe a casa loro, giugnendo egli ad una casa di lebbrosi, di là dal borgo bene uno miglio, e ritornando in sè, a modo come se venisse dallo altro mondo, il celestiale contemplatore domandò il compagno: Quando saremo noi presso al borgo? Veramente l’anima sua, fissa e ratta in contemplazione delle cose celestiali, non avea sentita cosa terrena, nè varietà di luoghi, nè di tempi, nè di persone occorrenti. E questo più altre volte addivenne, secondo che per chiara esperienza provarono i compagni suoi. Giugne in quella sera san Francesco al luogo de’ frati di Monte Casale, nel quale luogo si era un frate sì crudelmente infermo, e sì orribilmente tormentato della infermità che ’l suo male parea piuttosto tribolazione e tormento di Demonio, che infermità naturale; imperocchè alcuna volta egli si gittava tutto in terra con tremore grandissimo, e con ischiuma alla bocca; or quivi gli si attrappavano tutti gli nerbi del corpo: or si stendevano, or si piegavano, or si storcevano, or si raggiugneva la collottola colle calcagna; e gittavasi in alto, e immantinente ricadea supino. Ed essendo san Francesco a tavola, e udendo da’ Frati di questo Frate così miserabilmente infermo e senza rimedio, ebbegli compassione; è presa una fetta del pane che egli mangiava, fecevi suso il segno della santissima Croce con le sue sante [p. 151 modifica] mani istimatizzate, e mandolla al frate infermo: il quale come l’ebbe mangiata, fu perfettamente guarito, e mai più non sentì di quella infermità. Viene la mattina seguente, e san Francesco manda, due di quelli frati che erano in quello luogo, a stare alla Vernia, e rimanda con loro il villano, che era venuto con lui dietro allo asino, lo quale gli avea prestato, volendo che con essi si ritorni a casa sua. San Francesco, poichè fu stato alquanti dì nel detto luogo, si partì e andò alla Città di Castello. Ed eccoti molti cittadini, che li menavano innanzi una femmina indemoniata per lungo tempo, e sì lo pregavano umilmente per la sua liberazione; imperciocchè ella, or con urli dolorosi, or con crudeli strida, or con latrare canino, tutta la contrada turbava. Allora san Francesco, fatta prima orazione, e fatto sopra di lei il segno della santissima Croce, comandò al Demonio che si partisse da lei: e subitamente si partì, e lasciolla sana del corpo e dello intelletto. E divolgandosi questo miracolo nel popolo, una altra donna con grande fede gli portò un suo fanciullo infermo grave d’una crudele piaga, e pregollo divotamente, che li piacesse di segnarlo colle sue mani. Allora san Francesco, accettando la sua divozione, prende questo fanciullo e lieva la fascia della piaga e benedicelo, facendo tre volte il segno della santissima Croce sopra la piaga, e poi colle sue mani si lo rifascia, e rendelo alla sua madre: e perocchè era sera, ella se lo mise immantenente nel letto a dormire. Va poi costei la mattina, per trarre il figliuolo del letto, e trovalo sfasciato e guarda, e trovalo sì perfettamente guarito, come se mai non avesse avuto male nessuno; eccetto che nello luogo della piaga v’era sopra cresciuta la carne, in modo d’una rosa vermiglia; e questo piuttosto in testimonio del miracolo, che in segno della piaga imperocchè la detta rosa istando in tutto il tempo della vita sua, spesse volte lo inducea a divozione di san Francesco, il qual l’avea guarito. In quella Città dimorò allora san Francesco un mese, a’ prieghi [p. 152 modifica] de’ devoti cittadini, nel qual tempo egli fece assai altri miracoli; e poi si partì di quivi, per andare a Santa Maria degli Angeli con frate Lione, e con uno buono uomo, il quale gli prestava il suo asinello, in sul quale san Francesco andava. Addivenne che, tra per le male vie, e per lo freddo grande, camminando tutto il dì, e’ non poterono giugnere a luogo veruno, dove potessero albergare: per la qual cosa costretti dalla notte e dal mal tempo, eglino si ricoverarono sotto la ripa d’uno sasso cavato, per cessare la neve e la notte, che sopravveniva. E standosi così sconciamente, e anche male coperto il buono uomo di cui era l’asino, e non potendo dormire per lo freddo; e modo non vi era di fare punto di foco: s’incominciò a rammaricare pianamante fra se medesimo e piagnere, e quasi mormorava di san Francesco, che in tale luogo l’avea condotto. Allora san Francesco sentendo questo, sì gli ebbe compassione; e in fervore di spirito istende la mano sua addosso di costui, e toccalo. Mirabile cosa! di subito ch’egli l’ebbe toccato colla mano incesa e forata dal fuoco del Serafino, si partì ogni freddo; e tanto caldo entrò in costui dentro e di fuori, che li parea essere presso alla bocca d’una fornace ardente, onde egli immantinente confortato nell’anima e nel corpo, s’addormentò: e più soavemente, secondo il suo dire, egli dormì quella notte tra’ sassi e tra la neve insino alla mattina, che non avea mai dormito nel proprio letto. Camminarono poi l’altro dì, e giunsero a Santa Maria degli Angeli: e quando e’ v’erano presso, frate Lione lievo alto gli occhi, e guatava inverso il detto luogo di Santa Maria degli Angeli, e vide una Croce bellissima, nella quale era la figura del Crocifisso, andare dinanzi a san Francesco, il quale gli andava innanzi: e così conformemente andava la detta Croce dinanzi alla faccia di san Francesco, che quando egli restava, ed ella restava, e quando egli andava, ed ella andava ed era di tanto splendore quella Croce, che non solamente risplendea nella faccia di [p. 153 modifica] san Francesco, ma eziandio tutta la via d’intorno era alluminata; e bastò insino che san Francesco entrò nel luogo di santa Maria degli Angeli. Giugnendo dunque san Francesco con Frate Lione, furono ricevuti da’ frati con somma allegrezza e carità. E d’allora innanzi san Francesco dimorò il più del tempo in quello luogo di Santa Maria degli Angeli, insino alla morte. E continuamente si spandea più e più per l’Ordine, e per lo mondo la fama della sua santità, e de’ suoi miracoli, quantunque egli per la sua profondissima unità celasse, quanto potea, i doni e le grazie di Dio; ed appellassesi grandissimo peccatore. Di che maravigliandosi una volta frate Lione, e pensando iscioccamente fra se medesimo: Ecco, costui si chiama grandissimo peccatore in pubblico; e’ venne grande all’Ordine; e tanto è onorato da Dio; e nientedimeno in occulto e’ non si confessa mai del peccato carnale: sarebbe mai egli vergine? e sopra a ciò gli cominciò a venire grandissima volontà di saperne la verità, ma non era ardito di domandarne san Francesco. Donde egli ne ricorse a Dio; e pregandolo istantemente, che lo certificasse di quello che desiderava di sapere, per la molta orazione e merito di san Francesco fu esaudito, e certificato che san Francesco era vergine veramente del corpo, per tale visione. Imperocchè egli vide in visione san Francesco istare in un luogo alto e eccellente, al quale veruno potè andare, nè ad esso aggiugnere; e fugli detto in ispirito, che quello luogo così alto e eccellente significava in san Francesco la eccellenza della castità verginale, la quale ragionevolmente si confaceva alla carne, che dovea essere adornata delle sacre sante Istimate di Cristo. Veggendosi san Francesco, per cagione delle Istimate di Cristo appoco appoco venire meno la forza del corpo, e non potere avere più cura del reggimento dell’Ordine, affrettò il Capitolo generale: il quale essendo tutto ragunato, ed egli umilmente si scusò alli Frati della impotenza, per la quale egli non potea più attendere alla [p. 154 modifica] cura dell’Ordine, quanto alla esecuzione del generalato; benchè l’ufficio del generalato non renunziasse, perocchè non potea, dappoichè fatto era Generale dal Papa, e però e’ non potea lasciare l’ufficio, nè sostituire successore senza espressa licenza del Papa: ma istituì suo Vicario frate Pietro Cattani, raccomandando a lui ed alli Ministri Provinciali l’Ordine affettuosamente, quanto egli potea più. E fatto questo, san Francesco confortato in ispirito, levando gli occhi e lè mani al Cielo, disse così: A te, Signore Iddio mio, a te raccomando la tua famiglia, la quale insino a ora tu mi hai commessa, e ora per le infermitadi mie, le quali tu sai, dolcissimo Signor mio, io non ne posso più aver cura. Anche la raccomando a’ Ministri Provinciali: sieno tenuti eglino a rendertene ragione il dì del giudicio, se veruno frate, per loro negligenza, per loro malo esemplo, o per loro troppo aspra correzione perirà. Ed in queste parole, come a Dio piacque, tutti li frati del Capitolo intesero che parlasse delle sacre sante Istimate, in quel ch ’ egli si iscusava per infermitade; e per divozione nessuno di loro innanzi non si potè tenere di non piagnere. E d’allora innanzi lasciò tutta la cura e ’ l reggimento dell’Ordine nella mano del suo Vicario, e delli Ministri Provinciali; e dicea: Ora dappoich’io ho lasciata la cura dell’Ordine per le mie infermità, io non sono tenuto oggimai, se non a pregare Iddio per la nostra Religione, e di dare buono esemplo alli Frati. E ben so di veritade, che se la infermità mi lasciasse, il maggiore aiuto ch’io potessi fare alla Religione, sarebbe di pregare continuamente Iddio per lei, che egli la difenda e governi e conservi. Ora, come detto è di sopra, avvegnachè san Francesco s’ingegnasse quanto potea di nascondere le sacre sante Istimate, e- dappoichè le ebbe ricevute, andasse sempre, o stesse colle mani fasciate e co ’ piedi calzati, non potè però fare che molti frati in diversi modi non le vedessero e toccassero, e quella spezialmente del costato, la quale egli [p. 155 modifica] con maggiore diligenza si sforzava di celare. Onde uno frate che lo serviva, una volta lo indusse con divota cautela a trarsi la tonica, per iscuoterla dalla polvere: e traendosela in sua presenza, quel frate vide chiaramente la piaga del costato; e mettendogli la mano in seno velocemente, sì la toccò con tre dita, e comprese la sua quantità e grandezza: e per simile modo di quel tempo la vide il Vicario suo. Ma più chiaramente ne fu certificato frate Ruffino, il quale era uomo di grandissima contemplazione; del quale disse alcuna volta san Francesco, che nel mondo non era più santo uomo di lui, e per la sua santità egli intimamente l’amava, e compiacevagli in ciò che e’ volea. Questo frate Ruffino in tre modi sè ed altrui certificò delle dette sacre sante Istimate, e spezialmente di quella del costato. Il primo si fu: che dovendo lavare i panni di gamba, li quali san Francesco portava sì grandi, che tirandogli ben su, con essi copriva la piaga del lato ritto; il detto frate Ruffino li riguardava e considerava diligentemente, e ogni volta gli trovava sanguinosi dal lato ritto; per la qual cosa egli si avvedea certamente, che quello era sangue che gli usciva della detta piaga: di che san Francesco lo riprendea, quando vedea ch’egli spiegasse i panni che egli si traesse, per vedere il detto segnale. Il secondo modo si fu, che il detto frate Ruffino una volta in vero studio mise le dita nella piaga del costato; di che san Francesco, per lo dolore che sentì gridò forte: Iddio tel perdoni, o frate Ruffino, perchè hai fatto cosi. Il terzo modo si fu, che una volta egli con grande istanza chiese a san Francesco, per grandissima grazia, che egli gli desse la sua cappa, e prendesse la sua per amore della carità; alla cui petizione, benchè malagevolmente condescendendo il caritativo Padre, si trasse la cappa e diegliela, e prese la sua; e allora nel trarre e rimettere, frate Ruffino chiaramente vide la detta piaga. Frate Lione similmente, e molti altri frati, viddero le dette sacre sante Istimate di san Fran[p. 156 modifica] cesco, mentre che vivea: li quali frati, benchè per la loro santitade fossero uomini degni di fede, e da credere loro alla semplice parola, nientedimeno, per torre via ogni dubbio da’ cuori, giurarono in sul santo Libro, che eglino le aveano vedute chiaramente. Viderle eziandio alquanti Cardinali, li quali aveano con lui grande famigliaritade, e in riverenza delle dette sacre sante Istimate di san Francesco, composero e fecero belli e divoti Inni, ed Antifone, e Prose. Il sommo Pontefice Alessandro Papa, predicando al popolo, dove erano tutti li Cardinali, tralli quali era il Santo frate Buonaventura, che era Cardinale, disse e affermò, che egli avea veduto co’ suoi occhi le sacre sante Istimate di san Francesco, quando egli era vivo. E madonna Jacopa di Settensoli da Roma, la quale era la maggiore donna di Roma, al suo tempo, ed era divotissima di san Francesco, prima che egli morisse, e poi morto che fu, le vide le baciò più volte con molta riverenza, perocch’ella venne da Roma ad Assisi per la morte di san Francesco, per divina revelazione, fu in questo modo. San Francesco, alquanti dì innanzi alla morte sua istette infermo in Assisi nel Palagio del Vescovo con alquanti dei suoi compagni, e con tutta la sua infermità egli ispesse volte cantava certe laudi di Cristo. Un dì gli disse uno de’ suoi compagni: Padre, tu sai che questi cittadini hanno grande fede in te; e reputanti un santo uomo; e perciò e’ possono pensare, che se tu se’ quello che elli credono, tu doveresti in questa tua infermità pensare della morte, e innanzi piagnere che cantare, poichè tu se’ così gravemente infermo; e intendi, che ’l tuo cantare e ’l nostro, che tu ci fai fare, s’ode da molti e del Palagio e di fuori; imperocchè questo Palagio si guarda per te da molti uomini armati, i quali forse ne potrebbero avere malo esemplo. Onde io credo, disse cotesto frate, che tu faresti bene a partirti di quinci, e che noi ci tornassimo tutti a Santa maria degli Agnoli, perocchè noi non istiamo bene qui tra li secolari. Li risponde san Francesco: [p. 157 modifica] Carissimo frate, tu sai, che ora fa due anni, quando noi istavamo in Fuligno, Iddio ti rivelò il termine della vita mia, e così la rivelò ancora a me, che di qui a pochi di, in questa infermità, il detto termine si finirà: e in quella rivelazione Iddio mi fece certo della remissione di tutti i miei peccati, e della beatitudine del Paradiso. Insino a quella rivelazione, io piansi della morte, e delli miei peccati: ma poich’io ebbi quella rivelazione, io sono sì pieno d’allegrezza, ch’io non posso più piagnere; e però io canto e canterò a Dio, il quale m’ha dato il bene della grazia sua, ed hammi fatto certo de’ beni della gloria di Paradiso. Del nostro partire di quinci, io acconsento e piacemi; ma trovate modo di portarmi, imperocchè io per la infermità non posso andare. Allora i frati lo presero a braccia, si ’l portarono, accompagnati cioè da molti cittadini. E giugnendo ad uno spedale che era nella via, san Francesco disse a quelli che il portavano: ponetemi in terra, e rivolgetemi inverso la Cittade, e posto che fu colla faccia inverso Assisi, egli benedisse la Cittade di molte benedizioni, dicendo: Benedetta sia tu da Dio, Città santa, imperocchè per te molte anime si salveranno, e in te molti servi di Dio abiteranno; e di te molti ne saranno eletti al reame di vita eterna. E dette queste parole, si fece portare oltre a Santa Maria degli Angeli. E giunti che furono a Santa Maria degli Angeli, sì lo portarono alla infermeria, e ivi il puosero a riposare. Allora san Francesco chiamò a sè uno de’ compagni, e sì gli disse: Carissimo frate, Iddio m’ha rivelato, che di questa infermità, insino a cotal dì, io passerò di questa vita: e tu sai, che madonna Jacopa di Settensoli divota carissima dell’Ordine nostro, s’ella sapessè la morte mia, e non ci fusse presente, ella si contristerebbe troppo, e però significale, che se ella mi vuole vedere vivo, immantenente venga qui. Risponde il frate: Troppo di’ bene, Padre; che veramente per la grande divozione che ella ti porta, e’ sarebbe molto isconvenevole, che ella non fusse alla morte [p. 158 modifica] tua. Va’ dunque, disse san Francesco, e recami il calamaio, e’ fogli, e la penna, e iscrivi com’io ti dico. E recato ch’egli l’ebbe san Francesco detta la lettera in questa forma: a madonna Jacopa serva di Dio, frate Francesco poverello di Cristo, salute e compagnia dello Spirito Santo nel nostro Signore Gesù Cristo. Sappi, carissima, che Cristo benedetto per la sua grazia m❜ ha rivelato il fine della vita mia, il quale sarà in brieve. E però, se tu mi vuoi trovar vivo, veduta questa lettera, ti muoverai, e vieni a Santa Maria degli Angeli; imperocchè, se per infino a cotale dì non sarai venuta, non mi potrai trovare vivo: ed arreca teco panno di cilicio, nel quale si rivolga il corpo mio, e la cera che bisogna per la sepoltura. Pregoti ancora, che tu mi solevi dare, quando io era infermo a Roma. E mentre che questa lettera si scriveva, fu da Dio rivelato a san Francesco, che madonna Jacopa venia a lui, ed era presso al luogo, e recava seco tutte quelle cose, ch’egli mandava chiedendo per la lettera. Di che, avuta questa rivelazione, disse san Francesco al frate che scriveva la lettera, che non iscrivesse più oltre, poichè non bisognava, ma riponesse la lettera; della qual cosa molto si maravigliarono i frati, perchè non compiva la lettera, e non volea che ella si mandasse. E istandosi così un pezzo, la porta del luogo fu picchiata forte, e san Francesco mandò il portinaio ad aprire: ed aprendo la porta, quivi si era madonna Jacopa nobilissima donna di Roma, con due suoi figliuoli Senatori di Roma, e con grande compagnia di uomini a cavallo, ed entrarono dentro: e madonna Jacopa se ne va diritto all’infermeria, e giugne a san Francesco. Della cui venuta san Francesco ebbe grande allegrezza e consolazione, ed ella similmente, veggendo lui vivo e parlandogli. Allora ella gli spuose, come Iddio le avea rivelato a Roma, istando ella in orazione, il termine brieve deila sua vita, e come egli dovea mandare per lei e chiedere quelle cose, le quali tutte ella disse che le avea arrecate; e sì le fece arrecare a san Francesco, [p. 159 modifica] e diegliene a mangiare. E mangiato che egli ebbe, e molto confortatosi, questa madonna Jacopa s’inginocchiò a’ piedi di san Francesco, e prendè quei santissimi piedi segnati e ornati delle piaghe di Cristo; e con sì grande eccesso di divozione gli baciava e bagnava di lagrime i piedi, che a’ frati che stavano dintorno, parea vedere propriamente la Maddalena a’ piedi di Gesù Cristo; e per nessun modo la ne poteano spiccare. E finalmente dopo grande ispazio, la levarono d’indi e trassonla da parte: e domandaronla, come ella era venuta così ordinatamente e così provveduta di tutte quelle cose che erano di mestieri alla vita e alla sepoltura di san Francesco. Rispuose madonna Jacopa, che orando ella a Roma una notte, ed ella udì una voce di Cielo che disse: Se tu vuoi trovare san Francesco vivo, senza indugio va’ ad Assisi, e porta teco quelle cose, che tu li suoli dare quando è infermo, e quelle cose le quali saranno bisogno alla sepoltura; ed io, disse ella, così ho fatto. Stette adunque ivi la detta madonna Jacopa insino a tanto, che san Francesco passò di questa vita, e che fu seppellito; ed alla sua sepultura fece grandissimo onore ella con tutta la sua compagnia, e fece tutta la spesa di ciò che fu di bisogno. E poi ritornandosi a Roma, ivi a poco tempo questa gentile donna si morì santamente; e per divozione di san Francesco si giudicò, e volle essere portata e seppellita a santa Maria degli Angeli, e così fu.

Come Jeronimo toccò, e vide le sacre sante Istimate
di san Francesco, che prima non le credea.

Nella morte di san Francesco, non solamente la detta madonna Jacopa, e li figliuoli colla sua compagnia videro e baciarono le gloriose sacrate Istimate sue, ma eziandio molti cittadini d’Assisi; fra’ quali uno Cavaliere molto nominato e grande uomo, che aveva nome Jeronimo il quale ne dubitava molto ed erane iscredente, come san Tommaso Apostolo di quelle di [p. 160 modifica] Cristo; e per certificarne sè e gli altri, arditamente innanzi alli Frati ed alli secolari, movea li chiovi delle mani e de’ piedi, e trassinava la piaga del costato evidentemente. Per la qual cosa egli poi n’era costante testimonio di quella verità, giurando in sul Libro, che così era, e così avea veduto e toccato. Videnle ancora, e baciaronle le gloriose sante Istimate di san Francesco santa Chiara colle sue Monache, le quali furono presenti alla sua sepultura.

Del dì, e dell’anno della morte di san Francesco.

Passò di questa vita il glorioso Confessore di Cristo, san Francesco, l’anno del nostro Signore mille dugento ventisei a di quattro d’Ottobre il Sabato, e fu seppellito la Domenica. In quello anno era l’anno vigesimo della sua conversione, cioè quando avea cominciato a fare penitenza, ed era il secondo anno dopo la impressione delle sacre sante Istimate, ed era negli anni quarantacinque della sua nativitade.

Della Canonizzazione di san Francesco.

Poi fu canonizzato san Francesco, nel mille dugento venti otto, da Papa Gregorio Nono; il quale venne personalmente ad Assisi a canonizzarlo. E questo basti alla quarta Considerazione.

Della quinta ed ultima considerazione delle
sacre sante Istimate.

La quinta e ultima considerazione si è, di certe apparizioni e rivelazioni e miracoli, i quali Iddio fece e dimostrò dopo la morte di san Francesco, a confermazione delle sacre sante Istimate sue, e a notificazione del dì e dell’ora che Cristo gliele diede. E quanto a questo, è da pensare, che nelli anni Domini mille [p. 161 modifica] dugento ottantadue, a dì... del mese d’Ottobre, Frate Filippo Ministro di Toscana, per comandamento di Frate Giovanni Buonagrazia Generale Ministro, richiese per santa obbedienza Frate Matteo da Castiglione Aretino, uomo di grande divozione e santità che gli dicesse quello che sapea del dì e dell’ora, nella quale le sacre sante Istimate furono da Cristo impresse nel corpo di san Francesco; imperocchè sentiva, che di ciò egli ne avea avuto rivelazione. Il quale frate Matteo costretto dalla santa obbedienza, gli rispose cosi: Istando io di famiglia alla Vernia, questo anno passato del mese di Maggio, io mi posi uno di in orazione nella cella, che è nel luogo, dove si crede che fu quella apparizione serafica. Ed in nella mia orazione io pregai Iddio divotissimamente, che gli piacesse di rivelare a qualche persona il dì e l’ora e ’l luogo, nel quale le sacre sante Istimate furono impresse nel corpo di san Francesco. E perseverando io in orazione ed in questo priego più oltre che il primo sonno, e’ m’apparve san Francesco con grandissimo lume, e sì mi disse: Figliuolo, di che prieghi tu Iddio? Ed io gli dissi: Padre, priego di cotale cosa. Ed egli a me disse: Io sono il tuo Padre Francesco: conoscimi tu bene? Padre, diss’io, sì. Allora egli mi mostrò le sacre sante Istimate delle mani e de’ piedi e del costato, e disse: Egli è venuto tempo, che Iddio vuole che si manifesti a gloria sua quello, che i Frati per addietro non si sono curati di sapere. Sappi, che colui che mi apparve non fu Angelo, ma fu Gesù Cristo in ispezie di Serafino; il quale colle sue mani m’impresse nel corpo mio queste piaghe, siccome egli le ricevette nel corpo suo in sulla Croce; e fu in questo modo: che il dì innanzi alla Esaltazione della Santa Croce, venne a me un Angelo, e dissemi dalla parte di Dio ch’io m’apparecchiassi a pazienza e a ricevere ciò, che Iddio mi volesse mandare. Ed io rispuosi, ch’io era apparecchiato a ricevere a sostenere ogni cosa, che fosse a piacere di Dio. Poi la mattina seguente, cioè la mattina di Santa Croce, [p. 162 modifica] la quale era quello anno in Venerdi, all’aurora io usii dalla cella in fervore di spirito grandissimo, e andai a stare in orazione in questo luogo, ove tu se’ ora, nel quale luogo ispesse volte orava. E orando io, ecco per l’aria discendea da Cielo uno giovane crocifisso, in forma di Serafino con sei ali, e con grande empito: al cui maraviglioso aspetto io m’inginocchiai umilmente, e cominciai a contemplare divotamente, dello ismisurato amore di Gesù Cristo Crocifisso, e dello ismisurato dolore della passione sua: e l’aspetto suo generò in me tanta compassione, che a me pareva propriamente di sentire essa passione nel mio corpo; ed alla presenza sua tutto questo Monte risplendeva come Sole; e così discendendo venne presso a me. E stando dinanzi a me mi disse certe parole segrete, le quali io non ho ancora rivelate a persona; ma e’ s’appressa il tempo, che elle si riveleranno. Poi dopo alcuno ispazio, Cristo si partì e ritornò in Cielo; ed io mi trovai così segnato di queste piaghe. Va’ dunque, disse san Francesco, e queste cose dì sicuramente al tuo Ministro; imperocchè questa si è operazione di Dio, e non di uomo. E dette queste parole, san Francesco mi benedisse, e ritornossi in Cielo con grande moltitudine di giovani isplendentissimi. Tutte queste cose il detto frate Matteo disse, sè avere vedute e udite non dormendo, ma vegghiando. E così giurò corporalmente avere detto al detto ministro a Firenze nella cella sua, quando egli lo richiese di ciò per obbedienza..

Come un santo frate, leggendo la leggenda di san Francesco nel capitolo delle sacre sante Istimate, delle segrete parole, le quali disse il Serafino a san Francesco quando gli apparve, pregò tanto Iddio, che san Francesco gliele rivelò.

Un’altra volta uno frate divoto e santo, leggendo la leggenda di san Francesco nel capitolo delle sacre sante Istimate, cominciò con grande ansietà di spirito a pen[p. 163 modifica] sare; che parole potessero essere istate quelle così segrete le quali san Francesco disse che non rivelerebbe a persona, mentre che egli vivesse; le quali il Serafino gli avea dette, quando gli apparve. E dicea questo frate fra sè medesimo: Quelle parole non volle san Francesco dire a persona in vita sua: ma ora dopo la morte sua corporale forse le direbbe, se egli ne fosse pregato divolamente. E d’allora innanzi, cominciò il divoto frate a pregare Iddio e san Francesco; che quelle parole piacesse loro di rivelare; e perseverando questo frate otto anni in questo priego, l’ottavo anno meritò d’essere esaudito in questo modo. Che un dì dopo mangiare, rendute le grazie in chiesa, istandosi costui in orazione in alcune parte della chiesa, e pregando di questo Iddio e san Francesco più divotamente che non solea, e con molte lagrime, egli è chiamato da un altro Frate, ed egli comandato da parte del Guardiano, ch’egli l’accompagnasse alla Terra per utilità del luogo. Per la qual cosa egli, non dubitando che l’obbedienza è più meritoria che l’orazione, immantinente ch’egli udì lo comandamento del Prelato, lascia l’orazione umilmente, e va con quello frate che lo chiamava. E come piacque a Dio, costui in quello atto della pronta ubbidienza meritò quello, che per lungo tempo d’orazione non avea meritato. Onde così tosto come fuori della porta del luogo e’ furono, è’ si scontrarono in due Frati forestieri, li quali pareano che venissero di lunghi paesi, e l’uno di loro li parea giovane, e l’altro antico e magro, e per lo mal tempo erano tutti fangosi e molli. Di che quello ubbidiente frate, avendo loro grande compassione, disse al compagno con cui egli andava: fratello mio carissimo, se ’l fatto per lo quale noi andiamo si può un poco indugiare; imperocchè cotesti frati forestieri hanno gran bisogno d’essere ricevuti caritevolmente: io ti priego tu mi lasci in prima andare a lavare loro li piedi, e spezialmente a questo frate antico che n’ha maggiore bisogno, e voi potrete lavarli [p. 164 modifica] a questo più giovane; e poi andremo per li fatti del Convento. Allora condiscendendo questo Frate alla carità del compagno, ritornarono dentro; e ricevendo questi frati forestieri molto caritevolmente, sì gli menarono in cucina al fuoco a scaldarsi e a rasciugarsi; al quale fuoco si riscaldavano otto altri frati del luogo. E istati che furono un poco al fuoco, li trassero da parte per lavare loro li piedi, secondo che aveano insieme composto. E lavando quello Frate obbediente e divoto li piedi a quel frate più antico, e levandone il fango, perocchè erano molto fangosi, e ragguardando, e’ vide li suoi piedi segnati delle sacre sante Istimate; e subitamente per allegrezza e stupore abbracciandolo istretto, cominciò a gridare: O tu se’ Cristo, o tu se’ san Francesco. A questa voce e a queste parole, levansi suso i Frati che erano al fuoco, e traggono là a vedere con grande tremore e reverenza quelle gloriose Istimate. E allora questo Frate antico a’ loro prieghi permette, che eglino chiaramente le veggano, tocchino e bacino. E ancora più maravigliandosi eglino per la allegrezza, e’ disse loro: Non dubitate e non temete, Frati carissimi e figliuoli; io sono il vostro padre frate Francesco, il quale secondo la volontà di Dio, fondai tre Ordini. E conciossiacosach’io sia istato pregato, già otto anni è, da questo Frate il quale mi Java piedi, e oggi più ferventemente che mai altre volte, che io gli riveli quelle parole segrete, che mi disse il Serafino quando mi diede le Istimate; le quali parole io non volli rivelare mai in vita mia: oggi per comandamento di Dio, per la sua perseveranza, e per la sua pronta obbedienza, per la quale egli lasciò la sua dolcezza della contemplazione, io sono mandato da Dio a rivelargli dinanzi a voi quello ch’egli addomanda. E allora volgendosi san Francesco verso quello Frate, disse così: Sappi, carissimo Frate, che essendo io in sul Monte della Vernia, tutto assorto nella memoria della Passione di Cristo in questa apparizione serafica, io fui da Cristo cosi istimatizzato nel corpo mio, e [p. 165 modifica] allora mi disse Cristo: sai tu quello ch’io t’ho fatto? io t’ho dato i segnali della mia passione, acciocchè tu sia mio gonfaloniere. E come io il dì della morte mia discesi al Limbo, e tutte l’anime le quali io vi trovai, in virtù delle mie Istimate ne trassi, e menaile a Paradiso; così concedo a te insino a ora, acciocchè tu mi sia conforme così nella morte, come mi se’ stato nella vita, che tu poichè sarai passato di questa vita, ogni anno il dì della tua morte vada al Purgatorio, e tutte le anime degli tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore, e Continenti, e oltre a questo, quelle de’ tuoi divoti le quali tu vi troverai, ne tragghi in virtù delle tue Istimate le quali io t’ho date, e menile a Paradiso. E queste parole io non dissi mai, mentre che io vissi nel mondo. E dette queste parole, san Francesco e il compagno subito isparirono. Molti frati poi udirono questo da quelli otto frati, che furono presenti a questa visione e parole di san Francesco.

Come san Francesco essendo morto apparve a frate
Giovanni della Vernia, stando in orazione.

In sul Monte della Vernia apparve una volta san Francesco a frate Giovanni della Vernia, uomo di grande santitade, stando egli in orazione, e istette e parlò con lui per grandissimo spazio; e finalmente volendosi partire, disse così: Domandami ciò che tu vuogli. Disse frate Giovanni; Padre, io ti priego, che tu mi dichi quello che io ho lungo tempo desiderato di sapere, cioè quello che voi facevate, e ove voi eravate, quando v’apparve il Serafino. Risponde san Francesco: Io orava in quello luogo, dov’è ora la Cappella del Conte Simone da Battifolle, e chiedeva due grazie al mio Signore Gesù Cristo. La prima era, che mi concedesse in vita mia, che io sentissi nell’anima mia e nel corpo mio quanto fusse possibile, tutto quel dolore, il quale egli avea sentito in sè medesimo al tempo della sua acerbissima passione. La seconda grazia ch’io gli ad[p. 166 modifica] dimandai, si era similmente, ch’io sentissi nel cuore mio quello eccessivo amore, del quale egli s’accendea a sostenere tanta passione per noi peccatori. E allora Iddio mi mise nel cuore, che mi concederebbe di sentire l’uno e l’altro, quanto fusse possibile a pura creatura: la quale cosa bene mi fu adempiuta nell’impressione delle stimate. Allora frate Giovanni il domanda; se quelle parole segrete le quali gli avea dette il Serafino, erano istate in quello modo, che recitava quello santo Frate detto di sopra: lo quale affermava, che le avea udite da san Francesco in presenza d’otto Frati. Rispuose san Francesco, che così era il vero, come quello Frate avea detto. Allora frate Giovanni prende sicurtà di domandare, per la liberalità del con— ceditore, e dice così: O Padre, io ti priego istantissimamente, che tu mi lasci vedere e baciare le tue sacre sante gloriose Istimate, non perchè io ne dubiti niente, ma solo per mia consolazione: imperocchè io ho questo sempre desiderato. E san Francesco liberamente mostrandogliele e porgendogliele, frate Giovanni chiaramente le vide e toccò e baciò. E finalmente il domandò: Padre, quanta consolazione ebbe l’anima vostra, veggendo Cristo benedetto venire a voi, a donarvili segnali della sua santissima Passione? ora volesse Iddio, che io ne sentissi un poco di quella suavitade! Risponde allora san Francesco: Vedi tu questi chiovi? dice frate Giovanni: Padre sì. Tocca un’altra volta, dice san Francesco, questo chiovo ch’è nella mia mano. Allor frate Giovanni con grande riverenza e timore, tocca quello chiovo, e subitamente in quel toccare, tanto odore n’uscì, come una vergola di fummo, a modo che d’incenzo, ed entrando per lo naso di frate Giovanni, di tanta soavità empiè l’anima sua e il corpo, che immantenente egli fu ratto in Dio in estasi e divenuto insensibile; e così ratto istette da quella, ora che era l’ora di terza, insino a vespro. E questa visione e dimestico parlare con san Francesco frate Giovanni. non disse mai ad altri, che al confessore suo, se non [p. 167 modifica] quando venne a morte; ma essendo presso alla morte, la rivelò a più frati.

D’uno santo frate, che vide una mirabile visione
di uno suo compagno, essendo morto.

Nella provincia di Roma, uno Frate molto divoto e santo vide questa mirabile visione. Essendo morto una notte, e la mattina sotterrato dinanzi alla entrata del Capitolo, uno carissimo frate suo Compagno, il dì medesimo si ricolse quello Frate in uno canto del Capitolo dopo desinare, a pregare Iddio e san Francesco divotamente per l’anima di questo Frate morto suo compagno. E perseverando egli in orazione con prieghi e con lagrime, di meriggio quando tutti gli altri erano iti a dormire; ecco che sentì uno grande stracinio per lo chiostro. Di che subitamente con grande paura egli drizza gli occhi verso il sepolcro di questo suo compagno; e videvi stare in sulla entrata del Capitolo san Francesco, e dietro a lui una grande moltitudine di Frati dintorno al detto Sepolcro. Guarda più oltre, e vede nel mezzo del chiostro un fuoco di fiamma grandissima, e nel mezzo della fiamma istare l’anima di quello suo compagno morto. Guarda dintorno al chiostro, e vede Gesù Cristo andare dintorno al chiostro con grande compagnia d’Angeli e di Santi. Ragguardando queste cose con grande istupore, e’ vedè che quando Cristo passa dinanzi al Capitolo, san Francesco con tutti quelli Frati s’inginocchia e dice così: Io ti priego, carissimo mio Padre e Signore, per quella inestimabile carità la quale tu mostrasti alla umana generazione nella tua incarnazione, che tu abbi misericordia della anima di quello mio Frate, il quale arde in quello fuoco; e Cristo non rispondeva. niente, ma passa oltre. E ritornando la seconda volta e passando dinanzi al Capitolo, san Francesco, anche s’inginocchia coi suoi Frati come prima, e pregalo in questa forma: Io ti priego, pietoso Padre e Signore, per la ismisurata carità che tu mostrasti alla umana ge[p. 168 modifica] nerazione, quando moristi in sul legno della Croce, che tu abbi misericordia dell’anima di quello mio Frate; e Cristo similmente passava, e non lo esaudiva. E dando la volta intorno al chiostro, ritornava la terza volta, e passava dinanzi al Capitolo; ed allora san Francesco, inginocchiandosi come prima, li mostrò le mani e li piedi e ’l petto, e disse così: Io ti priego, pietoso Padre e Signore, per quello grande dolore e grande consolazione ch’io sostenni, quando tu imponesti queste Istimate nella carne mia, che tu abbi misericordia dell’anima di quello mio Frate, che è in quello fuoco di Purgatorio. Mirabile cosa! essendo pregato Cristo questa terza volta da san Francesco sotto il nome delle sue Istimate, immantinente ferma il passo e riguarda le Istimate; ed esaudisce il priego, e dice cosi: A te, Francesco, io concedo l’anima del frate tuo. Ed in questo, per certo volle onorare e confermare le gloriose Istimate di san Francesco, e apertamente significare, che l’anime dei suoi frati che vanno al Purgatorio, non più agevolmente che in virtù delle sue Istimate, sono liberate dalle pene, e menate alla gloria di Paradiso, secondo le parole, che Cristo imprimendogliele, disse a san Francesco. Onde subitamente dette queste parole, quel fuoco del chiostro isvani, e il Frate morto se ne venne a san Francesco; e insieme con lui e con Cristo, tutta quella beata compagnia col loro Re glorioso, se ne andò in Cielo. Della qual cosa questo suo compagno Frate ch’avea pregato per lui, veggendolo liberato dalle pene e menatolo a Paradiso, ebbe grandissima allegrezza; e poi narrò agli altri Frati per ordine tutta la visione, ed insieme con loro laudò è ringraziò Iddio.

Come uno nobile Cavaliere divoto di san Francesco fu certificato della morte, e delle sacre sante Istimate di san Francesco.

Un nobile Cavaliere da Massa di san Pietro, che avea [p. 169 modifica] nome Landolfo, il quale era divotissimo di san Francesco, e finalmente per le sue mani ricevette l’abito del terzo ordine, fu in questo modo certificato della morte di san Francesco, e delle sue sacre sante gloriose Istimate; che essendo san Francesco vicino alla morte, in quel tempo entrò il Demonio addosso a una femmina del detto Castello, e crudelmente la tormentava e con questo la faceva parlare per lettera sì sottilmente, che tutti li savi uomini e litterati, che veniano a disputare con lei, ella vincea. Avvenne, che partendosi da lei il Demonio, la lasciò libera due dì: ed il terzo di ritornando in lei l’affliggeva troppo più crudelmente che prima. La quale cosa udendo Landolfo, se ne va a questa femmina, e domanda il Demonio che abitava in lei, quale era la cagione, che s’era partito da lei due dì, e poi tornando la tormentava più aspramente che prima. Risponde il Demonio: Quando io la lasciai fu, ch’io con tutti li miei compagni che sono in queste parti, ci raccogliemmo insieme, e andammo molto forti alla morte del mendico Francesco, per disputare con lui e prendere l’anima sua ma essendo ella attorneata e difesa da maggiore moltitudine di Angeli che non eravamo noi, e da loro portata dirittamente in Cielo: e noi ci siamo partiti confusi, sicchè io ristoro e rendo a questa misera femmina quello, che in que’ due dì io ho lasciato. E allora Landolfo lo scongiurò dalla parte di Dio, che dovesse dire quello che era di verità della santità di san Francesco il quale diceva ch’era morto, e di santa Chiara ch’era viva. Risponde il Demonio: Dirottene, o voglia o no, quello che è vero. Egli era tanto indegnato Iddio Padre contra gli peccati del mondo, che in brieve parea che volesse dare contra gli uomini, e contra alle femmine la diffinitiva sentenza, e disterminargli dal mondo, se non si correggessero. Ma Cristo suo figliuolo, pregando per gli peccatori, promise di rinnovare la sua vita e la sua passione in uno uomo, cioè in Francesco poverello e mendico; per la cui vita [p. 170 modifica] e dottrina, ei riducerebbe di tutto il mondo molti alla via della verità, e molti ancora a penitenza. E ora per mostrare al mondo, ciò ch’egli avea fatto in san Francesco, ha voluto che le Istimate della sua passione, le quali egli gli avea impresse nel suo corpo in vita sua, sieno ora vedute da molti e toccate nella morte sua. Similmente e la Madre di Cristo promise di rinnovare la sua purità verginale, e la sua umiltadę in una femmina, cioè in suora Chiara per tale modo, che per lo suo esempio ella trarrebbe molte migliaia di femmine delle nostre mani. E così per queste promesse Iddio Padre mitigato, indugiò la sua diffinitiva sentenza. Allora Landolfo, volendo sapere di certo se ’l Demonio, ch’è camera e padre di bugia, in queste cose dicea vero, e spezialmente della morte di san Francesco, mandò uno suo fedele donzello ad Assisi a santa Maria degli Angeli, a sapere se san Francesco era vivo o morto il quale donzello giugnendo là, certamente trovò, e così ritornando riferiva al suo Signore, che appunto il dì e l’ora che il Demonio avea detto, san Francesco era passato di questa vita.

Come Papa Gregorio Nono, dubitando delle
Istimate di san Francesco, ne fu chiarito.

Lasciando tutti li miracoli delle sacre sante Istimate di san Francesco, li quali si leggono nella sua leggenda, per conclusione di questa quinta Considerazione, è da sapere; che a Papa Gregorio Nono, dubitando un poco della piaga del costato di san Francesco, secondo che poi egli recitò, apparve una notte san Francesco, e levando un poco alto il braccio ritto, iscoperse la ferita del costato e chiesegli una guastada, e egli la faceva recare; e san Francesco se la faceva porre sotto la ferita del costato; e parve veramente al Papa, ch’ella s’empiesse insino al sommo di sangue mescolato con acqua che usciva della detta ferita, e d’allora innanzi si partì da lui ogni dubitazione. E poi egli, di consi[p. 171 modifica] glio di tutti i Cardinali, approvò le sacre sante Istimate di san Francesco, e di ciò diede alli Frati privilegio ispeziale colla bolla pendente; e questo fece a Viterbo, lo undecimo anno del suo Papato: e poi l’anno duodecimo, ne diede un altro più copioso. Ancora Papa Niccolò Terzo, e papa Alessandro diedero di ciò copiosi privilegi, per li quali, chiunque negasse le sacre sante, Istimate di san Francesco, si potrebbe procedere contra di lui siccome contra eretico. E questo basti, quanto alla quinta considerazione delle gloriose sacre sante Istimate del nostro Padre san Francesco; la cui vita Iddio ci dia grazia sì di seguitare in questo mondo, che per virtù delle sue Istimate gloriose noi meritiamo di essere salvati con lui in paradiso. A laude di Gesù Cristo, e del poverello san Francesco Amen.