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Idilli (Teocrito - Romagnoli)/IV - Di palo in frasca

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IV - Di palo in frasca

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1925)
IV - Di palo in frasca
III - La serenata V - La sfida
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IV

DI PALO IN FRASCA

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PERSONAGGI

Batto
Lodola


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batto
Lodola, quelle giovenche di chi sono mai? Di Filonda?
lodola
No, son d’Egóne: affidate me l’ha perché io le pascessi.
batto
E di nascosto tu verso sera, una ad una le mungi?
lodola
Chè! Mi spia sempre il vecchio che porta i vitelli a la poppa.
batto
E in che paese è andato, che a un tratto è sparito, il bifolco?
lodola
Non l’hai saputo? Con sé l’ha condotto Milone a l’Alfèo.

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batto
Oh l’olio degli atleti, l’ha mai pur veduto, l’amico?
lodola
Supera in forza e in valore, a quello che dicono, Alcíde.
batto
Ed anche me, mi faceva da piú di Polluce, la mamma.
lodola
Bene, è partito: e con sé venti pecore ha prese, e la vanga.
batto
Ah, quel Milone! Ai lupi saprebbe insegnare la rabbia.
lodola
Ora lo chiamano queste vitelle coi lunghi muggiti.
batto
Povere, povere bestie, che tristo bifolco han trovato!
lodola
Povere bestie davvero! Non vogliono piú pasturare.
batto
Ve’, non ci son rimaste che l’ossa, di quella giovenca.
Fa come le cicale: si nutre di sola rugiada.

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lodola
Noh! Ché talvolta, per Giove, su l’Èsaro a pascer la guido,
dove le porgo fasci di tenera erbetta: talvolta
sotto le fitte ombrie saltella di Monte Latimno.
batto
È magro anche quel toro bruciato. Potrebbe servire
ai paesani del figlio di Làmpria uno simile, quando
fan sacrifizio ad Era: ché quelli hanno il granchio alle mani.
lodola
Pure, al Malímna sempre lo spingo, e ai poderi di Fusco,
e su le rive del Neto, ove nasce ogni pianta piú bella,
la calcatréppola, la pulicaria, la menta fragrante.
batto
Misero Egóne, ahi ahi!, le giovenche pur esse ne l’Orco
giú scenderanno, mentre tu agogni la trista vittoria;
e la sampogna che tu fabbricasti, si copre di muffa.
lodola
No, quella no, per le Ninfe! Egóne, partendo per Pisa,
a me ne fece dono: ed io son qualcuno nel canto.
Bene so io di Glauco suonare e di Pirra i preludi.
«Canto Crotóne, canto la bella città di Zacinto,
e il promontorio Lacinio, esposto a Levante, ove Egóne
pugilatore, da solo mangiò ben ottanta pagnotte,
e dalla forra stanò, ghermito allo zoccolo, il toro,

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e dono ad Amarilli ne fece. Levarono un urlo
alto le femmine tutte: scoppiava il pastor da le risa».
batto
Oh grazïosa Amarilli, di te neppure or che sei spenta
mi scorderò. Che cordoglio per me la tua morte! Non amo
tanto le capre. Ahi, come colpito m’hai, dèmone crudo!
lodola
Coraggio, Batto mio! Domani t’andrà forse meglio.
Chi vive speri! I morti soltanto non hanno speranza.
Il cielo, anch’esso piove talvolta, talvolta è sereno.
batto
Coraggio me ne dò! Ma scaccia di giú quei vitelli:
rodono il ceppo all’ulivo, birboni!
lodola
                                                                   Psí, sfratta, Bianchino!
Psí! Qui, Cinèta, al poggio! Ci senti, o sei sorda? A momenti
càpito lí, per Pane, se tu non ti smuovi, e la storia
finisce male. E quella ci torna daccapo. Oh se avessi
quel mio randello curvo da lepri! Ne avresti a toccare!
batto
Lodola, guardami un po’, qui, sotto al calcagno: uno spino
or ora mi ci s’è confitto. Ma come son folti,
questi cardoni! Il malanno che pigli alla vacca! Per stare
imbambolato a guardarla, mi sono bucato. L’hai vista?

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lodola
Sí, sí, la sto pigliando con l’unghie... L’ho presa... La vedi?
batto
Una puntura da nulla. E abbatte un omone mio pari!
lodola
Non ti scordare, Batto, le scarpe, se bazzichi il monte:
hanno le chiome loro d’avornio e di giúggiolo, i monti.
batto
Lodola, di’, la ragazza dagli occhi azzurrini, il vecchietto
che tempo fa ne moriva di voglia, la macina ancora?
lodola
Povero diavolo! È in pieno bollore. Io medesimo, entrando
ier l’altro ne la stalla, l’ho còlto che stava in funzione.
batto
E bravo il porcaccione! Dev’essere stretto parente
dei satirelli, oppure di quegli sciancati dei Pani!


Nota

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IV

DI PALO IN FRASCA

Del piú e del meno. È tutto un saltar di palo in frasca, un innocuo pettegolezzo su le poche vicende della vita pastorale: sul bifolco Egone, che, messo su dai malfidi consigli d’un certo Milone, s’è improvvisato atleta, ha piantate le sue greggi, e se n’è andato in Olimpia, a prender parte alle gare; su una bella ragazza dagli occhi azzurrini; su un vecchiotto che n’è follemente invaghito.

Batto è caratterizzato con gran finezza. Ha la lingua lunga, e s’impaccia troppo dei fatti altrui; però, sia nell’intenerimento per le povere greggi, che languono pel desiderio del loro signore, sia negli accenti, sobrii, ma sinceri, onde rievoca la perduta Amarilli — dimostra un profondo sentimento — direi quasi moderno.

La cornice vegetale è molto ricca; e il carattere alessandrino è segnato, ma qui con effetto veramente artistico, dall’episodio della spina. Tutti ricordano il famoso «Spinario». Certo l’opera di scultura e l’opera di poesia non furono indipendenti l’una dall’altra. E secondo ogni probabilità, dovremo credere che questa sia una musicale traduzione di quella. [p. 237 modifica]

L’idillio è chiarissimo. La vanga che Egone porta con sé (verso 10) bisogna intendere che gli servisse per allenarsi; e le pecore, per nutrirsi durante la sua permanenza lontano dalla patria.