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[1275-1278] | Povertà, ricchezza | 431 |
cune strofe di Piron pubblicate dalla Société des Bibliophiles nel vol. V dei suoi Mélanges.
Non v’ha dubbio che colui che sa contentarsi, può trovare qualche conforto anche nella povertà, se non altro quello di ridersela dei ladri! È cosa ormai vecchia che:
1275. Cantabit vacuus coram latrone viator.1
(Giovenale, Satira X, v. 22).
Perciò la povertà era levata a cielo e professata dai filosofi, a cominciare da colui che soleva dire:
1276. Omnia mea mecum porto.2
dettato che Cicerone (Paradoxa, I, 1) attribuisce a Biante di Priene, uno dei sette savi della Grecia: ma Fedro (Fab., IV, 21) lo assegna a Simonide di Ceo, e Seneca (epist. 9) e Valerio Massimo (VII, 2) all’epicureo Stilpone.
Le privazioni e la povertà sono sopportate coraggiosamente, direi quasi lietamente, quando si hanno le forze e la fede che dà la gioventù:
1277. Dans un grenier qu’on est bien à vingt ans!3
ritornello della canzone di P. J. de Béranger intitolata appunto Le Grenier. Tutto sta nel contentarsi: ed è certamente più invidiabile la condizione della zingara Azucena che canta nel Trovatore (parole di Salv. Cammarano, musica di Verdi, a. III. sc. 4):
1278. Ivi povera vivea,
Sol contenta del mio stato.
E della condizione di chi, pur essendo ricco, non trova le sue ricchezze sufficienti a soddisfare i suoi desideri: ovvero di chi non sa fare buon uso del danaro, ed essendo ormai stanco di tutte le voluttà materiali che il danaro può procurargli, non trova nell’abbondanza che la sazietà e la infelicità. Egli può ben dire con Ovidio: