Satire di Tito Petronio Arbitro/8
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CAPITOLO OTTAVO
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inviolabilità de’ misteri violata.
feste in onore di priapo.
Allora veramente storditi noi perdemmo ogni costanza, e cominciammo tapini a guardar come certa la morte. Il perchè io dissi: signora, se tu ci prepari qualche malanno, adempilo al più presto, giacchè non abbiam commesso sì gran delitto da farci morir tormentati.
Dopo ciò la damigella, che chiamavasi Psiche, disteso attentamente sul pavimento un tappeto, venne a bezzicarmi nell’anguinaglia già per mille morti gelata.
Ascilto si coprì la testa, avvisandosi esser cosa pericolosa lo star osservando gli altrui segreti. Intanto la cameriera levatisi dalle gambe i legacci, coll’uno ci annodò i piedi, e coll’altro le mani.
Così legato, diss’io, la tua padrona non potrà appagar le sue brame. Lo veggo, disse la giovine: ma io ho pronto un altro e più sicuro rimedio; e portò subito un vaso pien di filtro; e in mezzo a molti scherzi e chiacchere agitandolo, fe’ sì che io bevetti quasi tutto il liquore, e perchè poco prima Ascilto avea disprezzati i suoi vezzi, gittogliene addosso l’avanzo, ch’ei non se ne avvide.
Quando Ascilto udì che eran cessate le chiacchere, disse: non son io dunque degno di berne? la cameriera, da un mio sorriso tradita, battè le mani, e disse: io te ne ho dato, o ragazzo, l’hai tu forse bevuto tutto?
E Quartilla disse: è egli vero che Encolpo abbia bevuto il filtro, quanto ve n’era? E un gentil riso le sommovea i fianchi. Insomma persin Gitone non potè trattenersi del ridere, massimamente dopo che la fanciulla lo ebbe abbracciato al collo, e dati innumerabili baci a lui, che non vi si opponea.
Noi volevam gridare, meschini, ma non era chi potesse aiutarci, e da un lato Psiche con uno spillon da capegli pungeva le guance a me desideroso di gridare accorr’uomo, e dall’altro la ragazza inquietava Ascilto con un pennello intinto nel filtro. Finalmente sopravvenne un bardassa vestito di un gabbanello color di mirto, legato a mezzo da un cintolino, il quale or le natiche rilevando ci dava un colpo, or c’imbrattava di sporchi baci, fino a che Quartilla stringendo un nervo di balena, e colle gonne assai rialzate, comandò che a noi malavventurati si dasse commiato. Ciascuno di noi giurò colle più sacre parole, che quell'orribil segreto sarebbe rimasto sepolto con noi.
Entraron dipoi molte gladiatrici, le quali, ungendoci con olio che tenean nell’orciuolo, ci ristorarono. Comunque la cosa fosse, la stanchezza cessò, e ripresa la veste da cena ci portammo nella stanza vicina, nella quale eran distesi tre letti intorno a lauta mensa1 magnificamente disposta. Così comandati ci stesimo, e cominciando per un egregio antipasto, ci empiemmo di vin falerno. Gustammo poi tant’altre vivande, che divenimmo dormigliosi. Cos’è, cos’è? disse Quartilla, pensate voi di dormir nuovamente, quando sapete che si ha a vegliare in onor di Priapo?2
Ma Ascilto da tanti fastidj abbattuto cadde addormentato, e la damigella ch’egli avea con disprezzo respinta, gli imbrattò tutto il viso di fuligine polverizzata e, poichè nulla sentiva, gli dipinse con carboni spenti le labbra e le spalle.
Ed io pure stanco di tante molestie sentivami consumare dalla svenevol dolcezza del sonno: lo stesso accadea al resto della famiglia, sì fuor della stanza, che dentro; ed altri giacevan qua e là a' piedi de’ commensali, altri appoggiati alle pareti, alcuni colle teste dell’un sull’altro russavan sull’uscio; persin le lucerne mancanti di umore mandavano lume leggiero e moribondo, quando due schiavi siriani con disegno di carpire una bottiglia entrarono nel triclinio, e mentre disputavansela con calore in mezzo ai coperti, la bottiglia si ruppe, cadde la mensa e il vasellame, e un bicchiero lanciatosi d’alto tagliò il capo a una fantesca che dormia sur un letto. Perlocchè ella gridò, e ad un tempo stesso scoperse i ladri, e alcuni degli ubriachi svegliò. I ladroncelli vedutisi attrappati si distesero parimenti lungo un letto, che sarebbesi creduto esservi stati e giacervi da lungo tempo.
Lo scalco ridestatosi avea già rifuso l’olio nelle agonizzanti lucerne, ed i valletti, fregatisi così un poco gli occhi, rimetteansi in servizio, quando una sonatrice di cembalo avanzatasi e facendo strepitar lo stromento, risvegliò tutti gli altri. Ricominciò allora il convito, Quartilla spinse a bever di nuovo, e la sonatrice accrescea l’allegria de’ commensali.
Intanto entrò un altro bardassa, uomo fra tutti insipidissimo, e ben degno di quella casa, il quale, com’ebbe battendo le mani schiamazzato, cantò questi versi:
Su venite adesso qui,
Su danzate, o bagascioni,
3Carolate, saltate, o mignoni,
Qui la coscia ed il fianco vibrate,
Con la mano ritrosi non siate,
6Sbarbatelli, castratelli.
Divertitevi così.
Finita la cantilena costui sputacchiommi con un bacio schifoso, di poi sul letto si stese, e contro il voler nostro ci discoprì. Un pezzo e in molte guise inutilmente mi macinò l’anguinaglia. Colavagli per la fronte insieme al sudore il belletto, ed avea tanto empiastro tra le rughe delle guance, che l’avresti detto un muro dilavato dalla pioggia.
Io non potei trattener più oltre le lagrime: ma al colmo della tristezza vedendomi, deh! signora, sclamai, foste voi certamente, che siffatto baciucchiator mi mandaste.
Ed ella con maggior gentilezza battendo le mani, oh, disse, il furbo che tu sei, oh il grazioso motteggiatore! e non ti sovviene, che al bardassa pur si dice baciucchiatore? allora io, affinchè il mio collega non stasse meglio di me, perdio, sclamai, il solo Ascilto rimarrassene ozioso in questo triclinio?3
Sì? rispose Quartilla; vadasi a baciucchiar anche Ascilto. A quest’ordine il ragazzo cambiò cavallo, e fatto passaggio sul mio compagno, di natiche e di baci l’affogava.
Gitone, che era fra noi, tenevasi i fianchi pel gran ridere; onde Quartilla guardandolo cercò con la più precisa richiesta cui quel donzello appartenesse. E dicend’io ch’egli era mio famigliare, perchè dunque, soggiunse, non mi baciò egli? e chiamatolo a sè gli appiccò un bacio sul viso: indi messagli sotto la mano, e trattone un cotal piuolo non anco esperto, con questo, replicò, dimani farà battaglia, per antipasto alla mia libidine, giacchè oggi dop’essermi ben pasciuta altro piatto non curo.
Quando ebbe così parlato, Psiche ridendo le si accostò all'orecchio, e dettole non so cosa, brava, brava, disse Quartilla, bene hai pensato, perchè non si sverginerà ella, or che bellissima n’è l'occasione, la nostra Pannichina? E fu tosto condotta questa fanciulla, assai bella, che non mostrava aver più di sett’anni, ed era quella medesima, che insieme a Quartilla venne la prima volta in camera nostra. E come tutti applaudivano e sollecitavano, si stabiliron le nozze.
Io mi maravigliai, e sostenni che nè Gitone, ragazzo verecondissimo, era capace di tale sfrontatezza, nè era la fanciulla per l’età sua al caso di poter accoglier lo scettro cui son le donne soggette. Oh! disse Quartilla, è fors’ ella più giovane di quel che foss’io, quando la prima volta mi sottoposi ad un uomo? Che Giunon mi punisca se io pur mi ricordo d’essere stata vergine. Perchè fanciulla con fanciulli mi abbarbicai, poi, crescendo gli anni, attesi a garzoni maggiori di me, fin ch’io giunsi alla età presente: quinci nacque forse il proverbio
Chi un vitel portato ha già,
Anche un toro porterà.
Laonde perchè il ragazzo non avesse mio malgrado a soffrir maggior male, mi alzai per assistere alla nuzial cerimonia.
Già Psiche avvolgea il capo della fanciulla nel velo, già il baciucchiatore portava innanzi la fiaccola, già le donne ubbriache seguiano in lungo ordine con gran baldoria, e aveano della nuzial veste ornato il talamo, quando Quartilla dalla libidine de’ trastullanti commossa, si alzò, e afferrato Gitone il condusse in camera. Il Garzoncello veramente non rifiutò, e neppur la fanciulla ebbe molto spavento al nome delle nozze. Allor dunque che chiusi in camera insiem giaceano, noi ci sedemmo sull’uscio, e fu Quartilla la prima, che avvicinò il curioso occhio ad una fessura maliziosamente dispostavi, ed osservò con lasciva attenzione quei puerili trastulli. Me pur dolcemente ella trasse a quello spettacolo, e perchè i volti nostri allor si toccavano, ella ogni volta, che dal guardar si traea, porgea di traverso le labbra, e quasi furtivamente andavami ribaciando.
Ma sì infastidito era io della frega di Quartilla, che pensai alla via di sottrarmene, e comunicai il mio pensiero ad Ascilto, cui molto piacque, desiderando egli pure di liberarsi dalle molestie di Psiche. Questo non ci era difficile, quando Gitone stato non fosse in camera chiuso, perchè lui pure volevam condur via, togliendolo dalla ingordigia di quelle sgualdrine. Intanto che noi volgevam nella mente così spinoso disegno, Pannichina cadde giù del letto, e strascinò seco Gitone, il qual non si fece alcun male, ma ella restò leggermente ferita nel capo, di che alzò tante grida, che Quartilla spaventatasi accorse precipitosamente al rumore, e così ci diè campo di andarcene; diffatto senza fermarci giammai volammo al nostro albergo, dove adagiatici in letto passammo il rimanente della notte senza disturbo.
Uscendo il giorno dopo incontrammo due di coloro, che ci avevan rapiti, ed Ascilto vedendoli, coraggiosamente ne assaltò uno, e vintolo e gravemente feritolo venne in mio soccorso contro l’altro investito da me; ma costui si portò con tanto valore, che noi due leggiermente ferì e illeso fuggissene.
Note
- ↑ [p. 291 modifica]Ognun sa che i Romani usavan mangiare distesi sopra letti presso a poco della forma dei moderni sofà, tenendosi rialzati sul gomito sinistro, onde servirsi liberamente della mano destra. Svetonio nella vita d’Augusto fa osservare che tre di tai letti intorno ad una tavola, e non più di tre persone per ciascun letto formavano il più compiuto e civil convito di que’ tempi, ed erano, per così dire, il sommo dell’etichetta. Vedremo [p. 292 modifica]più innanzi, che le mense presso i grandi erano di legni finissimi, e principalmente di cedro, d’ebano, e simili, per lo più di lastre d’argento contornati o coperti.
- ↑ [p. 292 modifica]Era nel culto di molte divinità de’ gentili l’onorarle con vigilie, o veglie, le quali duravano tutta una notte, e consistevane per lo più in sì enormi prostituzioni, che bisognò finalmente proibirle. Credo che tutta questa scena di Quartilla altro non sia che un divolgamento de’ misteri delle Baccanti.
- ↑ [p. 292 modifica]Così detto dai tre letti che stavano intorno alla tavola.