Il 26 marzo
1511 un tremendo terremoto colpiva la città facendo rovinare alcune
case e vacillare le due colonne di Piazzetta San Marco.
La
mattina seguente il patriarca Antonio Contarini, si presentava al
Collegio Ducale per affermare che quel terremoto era necessariamente
un castigo mandato dall'alto a Venezia per i tanti peccati che vi
venivano commessi, primo fra tutti quello della carne.
In
particolare il Patriarca volle ricordare un fatto avvenuto l'anno
prima, quando alcuni giovani patrizi osarono ballare tutta una notte
con le monache del convento della Celestia, al suono di pifferi e
trombe, ed essendosi recato lui stesso a rimproverarle, tutte si
misero alla porta rifiutando di farlo entrare.
Ma né il
terremoto, né tanto meno la sua predica, sortirono particolare
effetto, e tutto continuò come sempre.
Secondo
la testimonianza di Marin Sanudo, agli inizi del Cinquecento, le
meretrici in città sommavano ad 11.654, un numero impressionante se
si pensa che la popolazione totale era di circa 130.000 persone!
Facendo
un conto sommario, significa che circa una donna ogni cinque era
prostituta di professione.
Ma, essendo
così tante, non c'era abbastanza lavoro per tutte, così avvenne
quella che forse è la prima manifestazione sindacale di protesta nel
mondo: le meretrici scesero in Piazza San Marco per lamentarsi del
poco lavoro e chiedendo un intervento dello Stato.
Le loro
proteste furono ascoltate e il Maggior Consiglio dispose che ben
mille di queste si trasferissero al campo di Mestre, ove era allora
attendato l'esercito di terra veneziano. E si decise di licenziare
tutte quelle fra esse che essendo foreste, abitassero a Venezia da
meno di due anni.
Insomma lo
Stato ascoltava e, se possibile, aiutava tutte le categorie
professionali.
Ma ciò che
colpisce maggiormente è che le meretrici non erano soggette ad
alcuna tassazione!
Giordano
Bruno nella sua commedia il "Candellajo", parlando di
Venezia, dice: "Ivi le prostitute sono esenti da ogni aggravio.
Certo, se il Senato volesse umiliarsi un poco e fare come gli altri,
si farebbe un po' più ricco..." ma evidentemente la Repubblica
era già sufficientemente ricca!
Tale Cesare
Vecellio ci ha lasciato una descrizione minuta dei costumi delle
meretrici dell'epoca: "Le pubbliche meretrici non stanno solo
nei luoghi loro preposti, ma si trovano ovunque in città. Vestono, a
volte, come uomini, nondimeno l'inegualità della fortuna fa sì che
non tutte vadano vestite pompose allo stesso modo. Sulle carni
portano camicia accomodata di sottigliezza ciascuna in base alla
merce che ha da spendere. Molte di loro si trattengono per strada
cantando canzonette amorose con poca grazia.
Alcune
però, fra tante, oltreché colla bellezza del corpo, sollevavansi
sopra le loro pari colle doti dello spirito e coll'educazione onde
erano fornite. Esse erano più propriamente denominate "cortigiane".
Le cortigiane si dedicavano alla musica e non si mostravano ignare
alle lettere, e potevano paragonarsi in parte alla famose etére,
sospiro degli uomini più distinti della Grecia. Non è quindi da
stupirsi se la loro condizione destava l'invidia d'una tra le dame
galanti di Brantome, la quale, avrebbe voluto cangiar tutto il suo
avere in biglietti di banca e recarsi a Venezia per condurre colà
vita cortigianesca, piacevole e felice."
Le
cortigiane costituivano nella Venezia dei secoli d’oro una
categoria sociale e professionale distinta da quella delle comuni
meretrici.
Pur esercitando anch’esse la prostituzione, le
cortigiane si distinguevano non solo perché potevano contare su
lauti guadagni e protezioni influenti, ma anche in virtù della loro
classe sociale, della cultura e talvolta anche del talento artistico
e letterario, che erano libere di esercitare pubblicamente proprio
grazie alla loro particolare condizione.
Infatti,
nascere nobile o comunque di famiglia ricca, non era poi così
auspicabile, in quanto avevi solo due opzioni : andare in sposa
a qualcuno che manco conoscevi, o finire in convento.
Ecco
quindi che il mestiere di cortigiana appare come una via di fuga.
Una
fuga che tra l'altro comportava anche la possibilità di ottenere
un'indipendenza economica che ti slegava dagli obblighi famigliari.
Ecco
perché così tante donne scelgono questo mestiere che le rendeva
libere e al contempo ammirate e invidiate.
In
questo secolo venne pubblicato addirittura un catalogo delle
cortigiane con tanto di indirizzi, prezzi e nomi della relativa
matrona (che spesso era la madre...).
La
più celebre tra queste fu senz’altro Veronica
Franco.
Nata da famiglia benestante si sposò giovanissima
con un medico, ma abbandonò presto il letto coniugale per darsi alla
vita libera. Era anche poetessa e di buona cultura, aveva diverse
amicizie tra letterati e nobili, e venne anche ritratta da Tintoretto
che le donò poi il quadro.
Ecco,
il fatto in sé che un pittore come Tintoretto avesse ritratto la
Veronica Franco ci dà una misura della considerazione sociale che
avevano queste cortigiane.
La
sua fama era tale che quando Enrico III re di Francia venne in visita
a Venezia nel 1574 volle conoscerla e passò una notte con lei. A
ricordo dell’incontro, Veronica donò al re il proprio ritratto e
due sonetti.
Altrettanto celebre fu Angela del Moro, che per esser
figlia d'uno zaffo (cioè di uno sbirro), era soprannominata la
Zaffetta.
Il cardinale Ippolito de' Medici, venuto a Venezia nel
1532, scelse proprio la Zaffetta per la prima notte del suo arrivo in
città.
E Pietro Aretino ne faceva il più sfoggiato elogio,
invitandola in diverse occasioni a cena, unitamente al Tiziano e al
Sansovino.
Si può ben dire che in Pietro
Aretino fosse personificato il libertinaggio di Venezia, città
da lui abitata per moltissimo tempo e quivi sepolto.
Dedito, per pubblica fama, alla pederastia, si tenne in
casa, in epoche diverse, alcuni giovanotti, tra cui un certo Polo che
fece maritare con Pierina Riccia, facendosela però cedere ad uso
proprio ed amandola assai, non tanto però da non perseguitare in
tutti i modi Angela Tornimben, moglie di Gian Antonio Serena. Che
fece allora Gian Antonio per vendicarsi? Indusse Pierina a fuggire
dalla casa di Aretino insieme a Caterina Sandella, altra amica
dell'Aretino, dalla quale ebbe una figlia, Adria, il cui padrino di
battesimo era il tipografo Francesco Marcolini, la cui moglie
Isabella, intratteneva pur essa amorosa tresca collo scostumatissimo
Aretino!
Pietro
Aretino è conosciuto principalmente per alcuni
suoi scritti dal contenuto considerato licenzioso (almeno per
l'epoca), fra cui i conosciutissimi Sonetti
lussuriosi.
Ma
scrisse anche opere di contenuto religioso.Questa,
che oggi potrebbe apparire incoerenza, fu in realtà, per molti
versi, un modello dell'intellettuale rinascimentale.
In una sua
lettera scrisse: «Mi dicono ch'io
sia figlio di cortigiana; ciò non mi torna male; e tuttavia ho
l'anima di un re. Io vivo libero, mi diverto, e perciò posso
chiamarmi felice»
E dove avrebbe potuto vivere uno così, se non
a Venezia?