Videos by Francesco Guerra
Lula è stato recentemente scagionato dalle accuse di corruzione che ne hanno impedito la candidat... more Lula è stato recentemente scagionato dalle accuse di corruzione che ne hanno impedito la candidatura negli ultimi anni. Questo evento giudiziario apre nuovi scenari per il Brasile, che potrebbe, l’anno prossimo, assistere a una sfida elettorale fra la destra di Bolsonaro ed il partito operaio di Lula. Ne discutiamo con Francesco Guerra, scrittore, giornalista e ricercatore universitario in Brasile. 3 views
La domanda a cui tenteremo di rispondere nel corso della nostra diretta di oggi è la seguente: pe... more La domanda a cui tenteremo di rispondere nel corso della nostra diretta di oggi è la seguente: perché Bolsonaro e il suo Governo resistono alla guida del Paese, malgrado gli scandali (l’ultimo, in ordine di tempo, i Pandora Papers), le indagini aperte riguardanti il Presidente (interferenze nella Polizia Federale, ecc.) o suoi stretti familiari (figli, moglie…) ed una gestione disastrosa e criminale della pandemia da Covid-19 (uso di trattamenti senza alcuna comprovazione scientifica, tangenti al Ministero della Salute, scandalo Prevent Senior, ecc.)? 3 views
Books by Francesco Guerra
Reality Book, Roma, 2023
Come scrive Alfredo Somoza, decano del giornalismo italiano sull'America Latina, nella prefazione... more Come scrive Alfredo Somoza, decano del giornalismo italiano sull'America Latina, nella prefazione al libro: "Il lavoro di Francesco Guerra si può leggere come un diario, appassionante e appassionato, sulla discesa agli inferi del Brasile". Ventotto articoli, pubblicati tra il novembre del 2018 e lo stesso mese del 2020 sul giornale online NeXt Quotidiano, i quali, idealmente, scandiscono il tempo di un progetto golpista avviato nel 2016 con l'impeachment della Presidente Dilma Rousseff, proseguito – al ritmo del giustizialismo populista della Lava Jato dell'ex giudice Sérgio Moro e del procuratore Deltan Dallagnol – con l'ingiusta detenzione dell'ex presidente Lula e conclusosi, di fatto, con l'elezione alla Presidenza della Repubblica dell'attuale leader di estrema destra Jair Bolsonaro. Una cronaca dal Brasile, arricchita dal rigore teorico di chi, prima che reporter, è storico, capace di confrontarsi con più temi di analisi (dal lawfare al narcotraffico, fino alla pandemia da Covid-19) e di soffermarsi, anche, su altri contesti latinoamericani, quali, per esempio, la Bolivia, la Colombia e l'Honduras, ogni volta restituendo la complessità delle realtà rappresentate, siano esse un discusso tentativo di golpe o una ramificata rete di relazioni tra attori istituzionali coinvolti nel narcotraffico internazionale. "Francesco Guerra – conclude Somoza – ci racconta queste cose in modo radicale, ma sempre rigoroso. Con taglio giornalistico, che svela però l'humus accademico dell'autore. E non potrebbe essere altrimenti perché il Brasile di oggi urla disperatamente il suo bisogno di solidarietà, non ideologica, ma sì radicale. Non si può essere moderati davanti allo spettacolo che la grande nazione brasiliana ci sta offrendo. Esserlo vorrebbe dire diventarne complici".
Edizioni Kindle, 2022
Il lavoro di Francesco Guerra riflette lo sguardo attento e preciso di un profondo conoscitore de... more Il lavoro di Francesco Guerra riflette lo sguardo attento e preciso di un profondo conoscitore del Brasile e delle sue dinamiche, incastonate all’interno del complesso puzzle latinoamericano.
L’esperienza vissuta a lungo sul campo, condizione indispensabile per carpire gli umori e le sfumature di un determinato contesto, ha permesso all’autore di raccontare in modo rigoroso le vicende legate, in primis, al tentacolare modus operandi delle organizzazioni criminali attive nel Paese verdeoro.
Una vasta geografia criminale al cui interno, come evidenziato nel libro, spicca il ruolo egemone acquisito dal Primeiro Comando da Capital (PCC), organizzazione ormai dominante anche in ambito continentale.
Con un taglio giornalistico arricchito dal rigore accademico dell’autore, storico di professione prima ancora che reporter, l’opera di Francesco Guerra si traduce in una dettagliata analisi di temi, dalle rotte del narcotraffico all’estrazione illegale dell’oro, che rappresentano il marchio di fabbrica delle dinamiche criminali radicate in Sud America.
Un contesto in cui il Brasile gioca inevitabilmente un ruolo primario, forte della propria condizione di potenza continentale a livello economico e politico, ma strettamente connesso ad altre realtà della regione in quanto a ramificazione dei fenomeni criminali analizzati nel libro.
Un lavoro, quindi, necessario e radicale, che ha il merito di portare all’attenzione dei lettori tematiche troppo spesso sottovalutate dai media mainstream, la cui comprensione risulta invece decisiva per coglierne a pieno l’importanza in un contesto sempre più globale come quello attuale, anche nell’ottica di uno scenario post-pandemico.
Mario Magarò
Giornalista investigativo
www.linkedin.com/in/mariomagarò
Conjunge et imperabis'. Einheit e Freiheit nel pensiero politico di Johann Gustav Droysen, 2016, ... more Conjunge et imperabis'. Einheit e Freiheit nel pensiero politico di Johann Gustav Droysen, 2016, pp. xviii-316. [isbn 978-88-15-26659-0]. € 35,00. I professori della Germania. Il caso degli storici politici -Quale prussianesimo? La concezione politica di Droysen fino ai primi anni Cinquanta -Per aspera ad astra? Il prussianesimo di Droysen nella seconda metà del secolo -Il liberalismo conservatore di Droysen nella Prussia di Bismarck e Guglielmo I -Appendice. All'interno di questo lavoro si è inteso analizzare il pensiero politico e storico di Johann Gustav Droysen a partire dagli anni di insegnamento all'Università di Kiel (dal 1840), precedenti alla sua partecipazione alla Nationalversammlung di Francoforte (1848-49), di qui all'Università di Jena (dal 1851) -il cui orientamento liberaleggiante fu fondamentale per l'avvio della Geschichte der preussischen Politik -per finire con il periodo di insegnamento all'Università di Berlino (dal 1859), che segnerà la sua lenta e tormentata adesione all'ideale politico bismarckiano. Entro questa cornice, si è cercato di restituire la complessità, come anche le discrepanze, del prussianesimo droyseniano, sempre sintomaticamente sospeso tra monarchismo e liberalismo, e dove un ruolo cospicuo fu svolto dalla declinazione politica della religione luterana. In particolare, il pensiero politico del professore pomerano è stato indagato a partire dai concetti di Einheit e Freiheit, individuando in essi i punti archimedei della sua riflessione e mostrandone, parimenti, le criticit à derivanti dall'affermazione dell'unità sulla libertà. Francesco Guerra (Pisa, 1979) ha conseguito nel 2010 il titolo di dottore di ricerca in Discipline filosofiche presso l'Università degli studi di Pisa con una tesi sul pensiero politico di Johann Gustav Droysen. Dal 2005 al 2008 è stato borsista presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Nel 2011 è stato borsista del DAAD, svolgendo attività di ricerca presso la Humboldt Universität di Berlino, e nel 2012 della Fondazione Luigi Salvatorelli di Marsciano. Attualmente è ricercatore di post-dottorato presso la Facoltà di storia della Universidade federal de Goiás (Goiânia, Brasile). I suoi interessi scientifici sono prevalentemente rivolti allo studio del pensiero politico e storico di Johann Gustav Droysen e a quello tedesco tra Otto e Novecento. Collabora con diverse riviste italiane e straniere.
La collezione ospita i risultati delle ricerche di alcuni tra i borsisti della Fondazione Salvato... more La collezione ospita i risultati delle ricerche di alcuni tra i borsisti della Fondazione Salvatorelli, presentate da studiosi di chiara fama. Nello Statuto della Fondazione -che non ha fini di lucro -, sono individuati gli scopi della stessa che sono: la promozione, con criteri strettamente scientifici, di studi e ricerche attinenti l'opera di Luigi Salvatorelli, in particolare negli ambiti specifici che rinviano alla molteplice attività dello storico del Cristianesimo, ma anche dello studioso del pensiero politico, della storia d'Italia e d'Europa; la formazione di giovani studiosi interessati alle discipline storiche, in relazione alle finalità della Fondazione stessa, fornendo loro, nei limiti delle sue possibilità, sussidi e strumenti di lavoro. In tale prospettiva si inserisce anche la collana dei « Quaderni della Fondazione ». La Fondazione favorisce inoltre ogni iniziativa utile al miglioramento della conoscenza dei percorsi storici e filosofici della democrazia in Italia e nel mondo, e alla crescita dei diritti di cittadinanza e di partecipazione alla cosa pubblica.
Papers by Francesco Guerra
Il Zibaldone , 2024
La criminalizzazione della povertà in Brasile
ha radici profonde, risalenti al periodo
colonial... more La criminalizzazione della povertà in Brasile
ha radici profonde, risalenti al periodo
coloniale e al sistema schiavista. Il sistema
carcerario brasiliano perpetua la
marginalizzazione sociale e rafforza la
criminalizzazione della povertà. La criminalità
organizzata diventa una forma di “alternativa
sociale”, creando un circolo vizioso tra povertà,
violenza e mancanza di diritti.
Ronen Steinke's essay is characterised by the journalistic style the author chose for his work, w... more Ronen Steinke's essay is characterised by the journalistic style the author chose for his work, which however is supported by a wide array of documents as evidence of his reading of Fritz Bauer's life and work. The subtitle of the book is quite a different matter, though, as it sounds restrictive compared with the contents and in fact with the Attorney General himself.
Silvia Caianiello e Pesquisadora Senior do Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scien... more Silvia Caianiello e Pesquisadora Senior do Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno (ISPF), uma instituicao de pesquisa do Consiglio Nazionale delle Ricerche . Foi Professora Visitante no Max-Planck-Institut fur Wissenschaftsgeschichte , em Berlim, e na Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales , em Paris. Atualmente trabalha com temas relacionados a Historia e Epistemologia das Ciencias Naturais, Historia da Filosofia, Filosofia e Epistemologia da Historia e as interacoes entre Ciencias Humanas e Ciencias da Natureza. A entrevista deu-se em ocasiao de sua primeira visita ao Brasil, durante o final do mes de setembro de 2016, enquanto participava do Ciclo de Conferencias: Historia da Historiografia, organizado pelo PPGH-UFG. Foi concedida em italiano, transcrita, traduzida e editada. Os temas foram diversos e abrangentes e servem sobretudo como invitacao para o conhecimento da obra da autora (livros e dezenas de artigos), ainda nao traduzida para o por...
Revista de Teoria da História, Jul 31, 2020
Resumo: Através do método da micro-história, este artigo faz uma reconstrução histórica dos event... more Resumo: Através do método da micro-história, este artigo faz uma reconstrução histórica dos eventos ocorridos na Itália, sobretudo na Sicília, nos anos de 1992 e 1993, levantando uma hipótese interpretativa sobre os "massacres da máfia" que conduz à ideia de que o poder judiciário operou como um poder suplente, ao promover processos políticos na operação Mãos Limpas. Nesse contexto, são abordadas especialmente as relações entre os juízes Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e a investigação denominada Máfia e Contratos Públicos, em uma tentativa de compreensão do contexto social palermitano da época, no que diz respeito aos principais atores envolvidos: empresários, juízes, mafiosos e políticos. Palavras-chave: contratos públicos; máfia; judiciário. JUDICIALIZATION OF POLITICS IN ITALY BETWEEN THE FIRST REPUBLIC AND THE OPERATION CLEAN HANDS Abstract: From the perspective of microhistory, this article conducts a historical reconstruction of the events that occurred in 1992 and 1993 in Sicily, Italy, considering these facts through the premise that the judiciary operated as an alternate power by conducting judicial processes with political intentions in the context of the operation Clean Hands. In this context, I analyse the relations between both Judges Giovani Falcone and Paolo Borsellino and the investigation entitled Mafia and Public Contracts, trying to understand the social context in Palermo in those years, concerning the main social actors involved in the judicial and political scandals: business owners, judges, mobsters and politicians.
latinoamericando, 2021
Si presenta qui la seconda parte del reportage riguardante la tesi del Marco Temporale attualment... more Si presenta qui la seconda parte del reportage riguardante la tesi del Marco Temporale attualmente in discussione presso il Supremo Tribunale Federale di Brasilia. La prima parte è disponibile al seguente link: https://latinoamericando.info/marco-temporale-e-questione-indigena-in-brasile.
La stessa contrapposizione tra il settore agricolo e quello dell’allevamento brasiliani, da un lato, e i popoli indigeni, dall’altro, sembra, dati alla mano, affondare le proprie radici più in una questione di potere, a tutto svantaggio delle comunità originarie, che non rispondere alla realtà dei fatti. Nonostante la presenza di terre ricche dal punto di vista minerario, dove sono all’ordine del giorno gli attacchi contro le aldeias indigene, ampliando lo sguardo, emerge una situazione nella quale quasi il 14% del territorio brasiliano fa oggi parte delle terre indigene, ma dove più del 98% dell’estensione di queste aree appartiene alla cosiddetta Amazzonia Legale, trovandosi in regioni senza alcuna vocazione produttiva, né sotto il profilo agricolo, né per quanto concerne l’allevamento di bovini.
Le terre indigene che “confliggono” con interessi rurali, al di fuori dell’Amazzonia, occupano appena lo 0,6% del territorio. Di contro a questo dato, vi è che il 41% delle terre brasiliane è occupato da insediamenti agricoli e di allevamento privati, secondo i dati dello IBGE del 2017. Percentuali, le quali, più che ispirare contorte e spesso in malafede analisi sulla titolarità o meno delle terre da parte degli indigeni, dovrebbero far riflettere sulle ragioni alla base della mai realizzata riforma agraria. Riforma, di cui il Brasile avrebbe bisogno come il pane, anche in un’ottica di risoluzione dei molti conflitti armati da sempre esistenti nella maggioranza degli Stati dell’Unione.
La verità, difficile da accettare in questi tristi tropici, è che i primi esclusi e i primi ad essere colpiti da politiche governative, federali o statuali che siano, sono sempre i popoli originari. Come ha rimarcato recentemente Luciano Mariz Maia, salito agli onori delle cronache per essere stato il procuratore della prima condanna emessa da un tribunale brasiliano per genocidio, è in atto una politica di sterminio nei confronti degli indigeni, costruita passo a passo nel corso dei decenni, i cui elementi sono il costante tentativo di impedire la demarcazione delle terre – ciò che, in parte incidentalmente, ha finito per plasmare la stravagante teoria del Marco temporale – e ultima in ordine di tempo la gestione della pandemia, tanto nelle aldeias come tra gli indigeni “urbanizzati”, per mezzo dell’invio di casse piene di clorochina, anziché procedere ad una tempestiva vaccinazione di una categoria di soggetti considerati vulnerabili.
latinoamericando.info, 2021
Il presente articolo, considerata la complessità e densità del tema presentato, verrà pubblicato ... more Il presente articolo, considerata la complessità e densità del tema presentato, verrà pubblicato in due parti. La seconda parte sarà pubblicata su questo blog nei prossimi giorni.
“LA NOSTRA STORIA NON COMINCIA NEL 1988”
Non tutto il male vien per nuocere, verrebbe da dire. È quello che è successo alla COP-26 sul clima in quel di Glasgow (Scozia), dove la sostanziale assenza di esponenti del disastroso Governo di Jair Bolsonaro ha indirettamente lasciato spazio alle voci e alle rivendicazioni delle popolazioni indigene brasiliane dell’Amazzonia, le quali hanno visto riconosciuto, sul piano internazionale e anche mediante lo stanziamento di un finanziamento, il loro impegno a difesa del polmone verde del pianeta quali autentici guardiani delle foreste e più in generale di ogni bioma presente in Brasile.
La notizia potrebbe sembrare avere un’importanza relativa, ciononostante un tale riconoscimento si inserisce all’interno di un contesto interno, entro il quale i diritti costituzionalmente garantiti alle popolazioni originarie (305 popoli, che parlano 274 lingue differenti) sono una volta di più posti sotto attacco dai vari jagunços ossessionati dal desiderio di sottrarre quante più terre possibili a chi in queste terre vive da molto prima che qualsivoglia europeo vi mettesse piede. Il riconoscimento alle comunità indigene durante la COP-26 potrebbe, dunque, portare molta acqua al mulino della loro causa in un momento assai particolare, segnato dalla spada di Damocle della decisione che il Supremo Tribunale Federale di Brasilia dovrà assumere nel corso dei prossimi mesi sul cosiddetto Marco temporale (Marco temporal).
latinoamericando.info, 2021
Come sanno e scrivono coloro che studiano i fenomeni criminali brasiliani, questa è la terra dell... more Come sanno e scrivono coloro che studiano i fenomeni criminali brasiliani, questa è la terra delle cosiddette “fazioni (facções)”. All’interno di un Paese di dimensioni continentali, nel corso del tempo sono venute a crearsi alcune organizzazioni predominanti e interstatuali, quali il Primeiro Comando da Capital, il Comando Vermelho e la Família do Norte, affiancate da altre di carattere maggiormente o esclusivamente locale, come, per esempio, il Sindicato do Crime nello Stato nordestino del Rio Grande do Norte, i Guardiões do Estado (GDE) nel Ceará o, ancora, la facção Bonde do Maluco (BDM) nello Stato di Bahia.
latinoamericando.info, 2021
La storia della Prevent Senior è figlia legittima della strutturale situazione di carenza sanitar... more La storia della Prevent Senior è figlia legittima della strutturale situazione di carenza sanitaria, che da sempre affligge il Brasile, nonostante la presenza del Sistema di Salute Universale (SUS), idea senz’altro grandiosa, ma la cui effettività in molte parti del Paese è ancora insufficiente. Le deficienze del sistema pubblico di salute sono state, almeno in teoria, supplite dai cosiddetti ‘piani di salute’ privati, costosi, non sempre funzionali alle esigenze dei clienti e difesi da potentissime lobbies, che all’interno del Congresso fanno da freno ad ogni serio tentativo di rafforzamento del SUS, condannando una buona fetta della popolazione brasiliana a non poter ricevere un’adeguata assistenza sanitaria.
latinoamericando.info, 2021
La domanda, che imperversa da diverse settimane in questo splendido e contraddittorio Paese conos... more La domanda, che imperversa da diverse settimane in questo splendido e contraddittorio Paese conosciuto col nome di Brasile, è sempre la stessa: che cosa accadrà, grosso modo, da qui a un anno e mezzo? Il Governo Bolsonaro sembra tirare a campare più di quanto non abbia fatto sin dal primo momento del suo insediamento, mostrandosi come una collezione di obbrobri politici, militari di pigiama in pensione, che sembrano galleggiare da uno stato confusionale all’altro, mescolando una mai realizzata grandeur con la prepotenza di chi, nel 2021, non ha ancora compreso che la vergogna della dittatura ha avuto termine ormai da decenni e che la società brasiliana di oggi, malgrado i molti salti all’indietro, si è abituata all’aria fresca e pulita della democrazia e non ne vuole più sapere, almeno la maggioranza, di scantinati e torture, tra scariche elettriche nelle parti genitali e ratti infilati vivi nella vagina della giovane donna di turno.
latinoamericando.info, 2021
Cosa sta succedendo alla frontiera tra il Brasile e il Paraguay, nella fattispecie tra Ponta Porã... more Cosa sta succedendo alla frontiera tra il Brasile e il Paraguay, nella fattispecie tra Ponta Porã, a sud dello Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, e Pedro Juan Caballero, città situata dall'altro lato del con!ne in territorio paraguaiano? La polizia del Brasile e quella del Paraguay stanno tentando di capire se, sulla frontiera tra i due Paesi, si sia formato uno squadrone della morte o se l'ondata di omicidi, ben sei a partire dal 26 di luglio...
latinoamericando.info, 2021
Chi conosce, anche solo minimamente, la geografia criminale di Rio de Janeiro, sa che negli ultim... more Chi conosce, anche solo minimamente, la geografia criminale di Rio de Janeiro, sa che negli ultimi anni questa è venuta modificandosi in maniera sensibile mediante l’affermazione di nuovi attori. Fino ai primi anni del 2000, chi dominava, in maniera quasi incontrastata, i morros carioca era il Comando Vermelho, la facção più antica dell’intera America Latina con i suoi quarantadue anni di attività criminale.
Da allora, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti della cidade maravilhosa e a vecchie figure, arrestate o uccise, se ne sono sostituite di nuove, che, presto o tardi, saranno anch’esse arrestate o giustiziate da qualche altro rivale, smanioso di assumere un potere sempre troppo labile per restare molto tempo nelle mani di un’unica persona o anche solo di un’unica organizzazione.
Una dinamica di questo tipo è alla base della lenta erosione del potere esercitato dal Comando Vermelho nelle favelas di Rio, cui ha fatto riscontro l’emergere di altre organizzazioni, dal Terceiro Comando Puro al Primeiro Comando da Capital, ma, più di tutto, le milizie paramilitari. Come è opinione diffusa tra gli studiosi, a cominciare dai lavori di Bruno Paes Manso, le milizie sono oggi la più consistente minaccia criminale che incombe sul Brasile.
Questo perché, al contrario delle altre organizzazioni malavitose, le milizie non hanno alcuna pretesa di porsi come alternative al potere dello Stato, preferendo esserne una sorta di surrogato criminale, in tutte quelle regioni di Rio de Janeiro, dove lo Stato da sempre è assente.
Il pericolo maggiore, rappresentato oggi dalle milizie paramilitari, è legato al fatto di essere un tipo di organizzazione con addentellati profondi (e in parte sconosciuti) con la politica, locale e nazionale, e le forze di pubblica sicurezza.
A quanto osservato va aggiunto che, al contrario delle fazioni criminali classiche, il potere delle milizie non è direttamente legato alle comunità, su cui questo si esercita. In maniera assai simile a ciò che avviene in Messico con i Los Zetas (anche in quel caso elementi della forza pubblica passati dall’altro lato della barricata), le milizie, in virtù delle relazioni con la politica e con le forze di polizia, non hanno bisogno di stabilire alcun legame con le comunità che tiranneggiano, potendo, in tal modo, tiranneggiarle, di più e peggio, di quanto farebbe una qualsiasi organizzazione criminale.
In luoghi come Rio das Pedras o Muzema, situate nella zona ovest della cidade maravilhosa, il potere delle milizie è esercitato su ogni ambito della vita sociale delle persone che vi abitano. Palazzi tirati su dalla sera alla mattina e venduti a peso d’oro ad una turma di disperati con il sogno di comprarsi una casa e che, spesso, finiscono per morire sotto le macerie di quel loro sogno “realizzato”.
Ve ne sarebbe abbastanza per una riflessione di taglio sociologico, tesa a mostrare la nientificazione della vita a cui, a queste latitudini, si va incontro per il solo fatto di essere poveri. Perché essere poveri in Brasile non è una condizione economica, ma uno stigma sociale, una condizione che ti trasforma in un paria senza voce o con appena un filo. Fermiamoci qui, dunque, perché questa non è in prima battuta una storia a sfondo sociale, bensì una storia fatta di molte ramificazioni, soldi, morte, milizie e domande ancora in cerca di una risposta.
latinoamericando.info, 2021
Tra gli indubbi meriti da ascrivere a questa Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla pandemia... more Tra gli indubbi meriti da ascrivere a questa Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla pandemia, che si sta svolgendo al Senato brasiliano, vi è quello di avere portato a galla i vari schemi di corruzione, attualmente tre (Covaxin, AstraZeneca, Convidecia), che, nel pieno della diffusione del Covid-19 in Brasile, funzionavano a pieno vapore presso il Ministero della Salute con riferimento all’acquisto dei possibili vaccini da somministrare alla popolazione.
Un autentico mercato delle vacche, popolato da oscuri faccendieri e figliocci di politici, i quali, mentre il popolo soffocava, in casa o in un letto di terapia intensiva, “lavoravano” alacremente per riempirsi le tasche. Ciò che emerge da alcuni messaggi divulgati nelle ultime settimane sulla stampa brasiliana è un’armata delle tenebre da far impallidire i più cinici personaggi di Charles Dickens.
Civili e militari lanciati in un assalto alla diligenza, a danno della popolazione, probabilmente senza precedenti nella storia di questo povero Paese, cui si aggiungevano improvvisati affaristi senza nessuna credibilità dal punto di vista sanitario, i quali, tuttavia, riuscivano ad arrivare fino al numero 2 del Ministero della Salute, il Colonnello della riserva dell’Esercito Antônio Elcio Franco, mentre la Pfizer, che il vaccino lo avrebbe venduto ad un prezzo ben più vantaggioso, inviava più di cento email a vuoto, facendo anticamera per ore, senza che i suoi rappresentanti fossero ricevuti da chicchessia di questo governo.
Peraltro, alla luce dei tre schemi di corruzione menzionati, appare anche più comprensibile il netto rifiuto opposto da Bolsonaro al vaccino della Pfizer, che avrebbe trasformato, secondo il Presidente, i brasiliani in jacaré (rettile brasiliano che appartiene alla famiglia degli Alligatoridae), ribadito, in termini meno idioti ma non meno gravi, dall’allora Ministro della Salute, Eduardo Pazuello, quando definì leonine le condizioni di acquisto del vaccino proposte dalla Pfizer.
Uploads
Videos by Francesco Guerra
Books by Francesco Guerra
L’esperienza vissuta a lungo sul campo, condizione indispensabile per carpire gli umori e le sfumature di un determinato contesto, ha permesso all’autore di raccontare in modo rigoroso le vicende legate, in primis, al tentacolare modus operandi delle organizzazioni criminali attive nel Paese verdeoro.
Una vasta geografia criminale al cui interno, come evidenziato nel libro, spicca il ruolo egemone acquisito dal Primeiro Comando da Capital (PCC), organizzazione ormai dominante anche in ambito continentale.
Con un taglio giornalistico arricchito dal rigore accademico dell’autore, storico di professione prima ancora che reporter, l’opera di Francesco Guerra si traduce in una dettagliata analisi di temi, dalle rotte del narcotraffico all’estrazione illegale dell’oro, che rappresentano il marchio di fabbrica delle dinamiche criminali radicate in Sud America.
Un contesto in cui il Brasile gioca inevitabilmente un ruolo primario, forte della propria condizione di potenza continentale a livello economico e politico, ma strettamente connesso ad altre realtà della regione in quanto a ramificazione dei fenomeni criminali analizzati nel libro.
Un lavoro, quindi, necessario e radicale, che ha il merito di portare all’attenzione dei lettori tematiche troppo spesso sottovalutate dai media mainstream, la cui comprensione risulta invece decisiva per coglierne a pieno l’importanza in un contesto sempre più globale come quello attuale, anche nell’ottica di uno scenario post-pandemico.
Mario Magarò
Giornalista investigativo
www.linkedin.com/in/mariomagarò
Papers by Francesco Guerra
ha radici profonde, risalenti al periodo
coloniale e al sistema schiavista. Il sistema
carcerario brasiliano perpetua la
marginalizzazione sociale e rafforza la
criminalizzazione della povertà. La criminalità
organizzata diventa una forma di “alternativa
sociale”, creando un circolo vizioso tra povertà,
violenza e mancanza di diritti.
La stessa contrapposizione tra il settore agricolo e quello dell’allevamento brasiliani, da un lato, e i popoli indigeni, dall’altro, sembra, dati alla mano, affondare le proprie radici più in una questione di potere, a tutto svantaggio delle comunità originarie, che non rispondere alla realtà dei fatti. Nonostante la presenza di terre ricche dal punto di vista minerario, dove sono all’ordine del giorno gli attacchi contro le aldeias indigene, ampliando lo sguardo, emerge una situazione nella quale quasi il 14% del territorio brasiliano fa oggi parte delle terre indigene, ma dove più del 98% dell’estensione di queste aree appartiene alla cosiddetta Amazzonia Legale, trovandosi in regioni senza alcuna vocazione produttiva, né sotto il profilo agricolo, né per quanto concerne l’allevamento di bovini.
Le terre indigene che “confliggono” con interessi rurali, al di fuori dell’Amazzonia, occupano appena lo 0,6% del territorio. Di contro a questo dato, vi è che il 41% delle terre brasiliane è occupato da insediamenti agricoli e di allevamento privati, secondo i dati dello IBGE del 2017. Percentuali, le quali, più che ispirare contorte e spesso in malafede analisi sulla titolarità o meno delle terre da parte degli indigeni, dovrebbero far riflettere sulle ragioni alla base della mai realizzata riforma agraria. Riforma, di cui il Brasile avrebbe bisogno come il pane, anche in un’ottica di risoluzione dei molti conflitti armati da sempre esistenti nella maggioranza degli Stati dell’Unione.
La verità, difficile da accettare in questi tristi tropici, è che i primi esclusi e i primi ad essere colpiti da politiche governative, federali o statuali che siano, sono sempre i popoli originari. Come ha rimarcato recentemente Luciano Mariz Maia, salito agli onori delle cronache per essere stato il procuratore della prima condanna emessa da un tribunale brasiliano per genocidio, è in atto una politica di sterminio nei confronti degli indigeni, costruita passo a passo nel corso dei decenni, i cui elementi sono il costante tentativo di impedire la demarcazione delle terre – ciò che, in parte incidentalmente, ha finito per plasmare la stravagante teoria del Marco temporale – e ultima in ordine di tempo la gestione della pandemia, tanto nelle aldeias come tra gli indigeni “urbanizzati”, per mezzo dell’invio di casse piene di clorochina, anziché procedere ad una tempestiva vaccinazione di una categoria di soggetti considerati vulnerabili.
“LA NOSTRA STORIA NON COMINCIA NEL 1988”
Non tutto il male vien per nuocere, verrebbe da dire. È quello che è successo alla COP-26 sul clima in quel di Glasgow (Scozia), dove la sostanziale assenza di esponenti del disastroso Governo di Jair Bolsonaro ha indirettamente lasciato spazio alle voci e alle rivendicazioni delle popolazioni indigene brasiliane dell’Amazzonia, le quali hanno visto riconosciuto, sul piano internazionale e anche mediante lo stanziamento di un finanziamento, il loro impegno a difesa del polmone verde del pianeta quali autentici guardiani delle foreste e più in generale di ogni bioma presente in Brasile.
La notizia potrebbe sembrare avere un’importanza relativa, ciononostante un tale riconoscimento si inserisce all’interno di un contesto interno, entro il quale i diritti costituzionalmente garantiti alle popolazioni originarie (305 popoli, che parlano 274 lingue differenti) sono una volta di più posti sotto attacco dai vari jagunços ossessionati dal desiderio di sottrarre quante più terre possibili a chi in queste terre vive da molto prima che qualsivoglia europeo vi mettesse piede. Il riconoscimento alle comunità indigene durante la COP-26 potrebbe, dunque, portare molta acqua al mulino della loro causa in un momento assai particolare, segnato dalla spada di Damocle della decisione che il Supremo Tribunale Federale di Brasilia dovrà assumere nel corso dei prossimi mesi sul cosiddetto Marco temporale (Marco temporal).
Da allora, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti della cidade maravilhosa e a vecchie figure, arrestate o uccise, se ne sono sostituite di nuove, che, presto o tardi, saranno anch’esse arrestate o giustiziate da qualche altro rivale, smanioso di assumere un potere sempre troppo labile per restare molto tempo nelle mani di un’unica persona o anche solo di un’unica organizzazione.
Una dinamica di questo tipo è alla base della lenta erosione del potere esercitato dal Comando Vermelho nelle favelas di Rio, cui ha fatto riscontro l’emergere di altre organizzazioni, dal Terceiro Comando Puro al Primeiro Comando da Capital, ma, più di tutto, le milizie paramilitari. Come è opinione diffusa tra gli studiosi, a cominciare dai lavori di Bruno Paes Manso, le milizie sono oggi la più consistente minaccia criminale che incombe sul Brasile.
Questo perché, al contrario delle altre organizzazioni malavitose, le milizie non hanno alcuna pretesa di porsi come alternative al potere dello Stato, preferendo esserne una sorta di surrogato criminale, in tutte quelle regioni di Rio de Janeiro, dove lo Stato da sempre è assente.
Il pericolo maggiore, rappresentato oggi dalle milizie paramilitari, è legato al fatto di essere un tipo di organizzazione con addentellati profondi (e in parte sconosciuti) con la politica, locale e nazionale, e le forze di pubblica sicurezza.
A quanto osservato va aggiunto che, al contrario delle fazioni criminali classiche, il potere delle milizie non è direttamente legato alle comunità, su cui questo si esercita. In maniera assai simile a ciò che avviene in Messico con i Los Zetas (anche in quel caso elementi della forza pubblica passati dall’altro lato della barricata), le milizie, in virtù delle relazioni con la politica e con le forze di polizia, non hanno bisogno di stabilire alcun legame con le comunità che tiranneggiano, potendo, in tal modo, tiranneggiarle, di più e peggio, di quanto farebbe una qualsiasi organizzazione criminale.
In luoghi come Rio das Pedras o Muzema, situate nella zona ovest della cidade maravilhosa, il potere delle milizie è esercitato su ogni ambito della vita sociale delle persone che vi abitano. Palazzi tirati su dalla sera alla mattina e venduti a peso d’oro ad una turma di disperati con il sogno di comprarsi una casa e che, spesso, finiscono per morire sotto le macerie di quel loro sogno “realizzato”.
Ve ne sarebbe abbastanza per una riflessione di taglio sociologico, tesa a mostrare la nientificazione della vita a cui, a queste latitudini, si va incontro per il solo fatto di essere poveri. Perché essere poveri in Brasile non è una condizione economica, ma uno stigma sociale, una condizione che ti trasforma in un paria senza voce o con appena un filo. Fermiamoci qui, dunque, perché questa non è in prima battuta una storia a sfondo sociale, bensì una storia fatta di molte ramificazioni, soldi, morte, milizie e domande ancora in cerca di una risposta.
Un autentico mercato delle vacche, popolato da oscuri faccendieri e figliocci di politici, i quali, mentre il popolo soffocava, in casa o in un letto di terapia intensiva, “lavoravano” alacremente per riempirsi le tasche. Ciò che emerge da alcuni messaggi divulgati nelle ultime settimane sulla stampa brasiliana è un’armata delle tenebre da far impallidire i più cinici personaggi di Charles Dickens.
Civili e militari lanciati in un assalto alla diligenza, a danno della popolazione, probabilmente senza precedenti nella storia di questo povero Paese, cui si aggiungevano improvvisati affaristi senza nessuna credibilità dal punto di vista sanitario, i quali, tuttavia, riuscivano ad arrivare fino al numero 2 del Ministero della Salute, il Colonnello della riserva dell’Esercito Antônio Elcio Franco, mentre la Pfizer, che il vaccino lo avrebbe venduto ad un prezzo ben più vantaggioso, inviava più di cento email a vuoto, facendo anticamera per ore, senza che i suoi rappresentanti fossero ricevuti da chicchessia di questo governo.
Peraltro, alla luce dei tre schemi di corruzione menzionati, appare anche più comprensibile il netto rifiuto opposto da Bolsonaro al vaccino della Pfizer, che avrebbe trasformato, secondo il Presidente, i brasiliani in jacaré (rettile brasiliano che appartiene alla famiglia degli Alligatoridae), ribadito, in termini meno idioti ma non meno gravi, dall’allora Ministro della Salute, Eduardo Pazuello, quando definì leonine le condizioni di acquisto del vaccino proposte dalla Pfizer.
L’esperienza vissuta a lungo sul campo, condizione indispensabile per carpire gli umori e le sfumature di un determinato contesto, ha permesso all’autore di raccontare in modo rigoroso le vicende legate, in primis, al tentacolare modus operandi delle organizzazioni criminali attive nel Paese verdeoro.
Una vasta geografia criminale al cui interno, come evidenziato nel libro, spicca il ruolo egemone acquisito dal Primeiro Comando da Capital (PCC), organizzazione ormai dominante anche in ambito continentale.
Con un taglio giornalistico arricchito dal rigore accademico dell’autore, storico di professione prima ancora che reporter, l’opera di Francesco Guerra si traduce in una dettagliata analisi di temi, dalle rotte del narcotraffico all’estrazione illegale dell’oro, che rappresentano il marchio di fabbrica delle dinamiche criminali radicate in Sud America.
Un contesto in cui il Brasile gioca inevitabilmente un ruolo primario, forte della propria condizione di potenza continentale a livello economico e politico, ma strettamente connesso ad altre realtà della regione in quanto a ramificazione dei fenomeni criminali analizzati nel libro.
Un lavoro, quindi, necessario e radicale, che ha il merito di portare all’attenzione dei lettori tematiche troppo spesso sottovalutate dai media mainstream, la cui comprensione risulta invece decisiva per coglierne a pieno l’importanza in un contesto sempre più globale come quello attuale, anche nell’ottica di uno scenario post-pandemico.
Mario Magarò
Giornalista investigativo
www.linkedin.com/in/mariomagarò
ha radici profonde, risalenti al periodo
coloniale e al sistema schiavista. Il sistema
carcerario brasiliano perpetua la
marginalizzazione sociale e rafforza la
criminalizzazione della povertà. La criminalità
organizzata diventa una forma di “alternativa
sociale”, creando un circolo vizioso tra povertà,
violenza e mancanza di diritti.
La stessa contrapposizione tra il settore agricolo e quello dell’allevamento brasiliani, da un lato, e i popoli indigeni, dall’altro, sembra, dati alla mano, affondare le proprie radici più in una questione di potere, a tutto svantaggio delle comunità originarie, che non rispondere alla realtà dei fatti. Nonostante la presenza di terre ricche dal punto di vista minerario, dove sono all’ordine del giorno gli attacchi contro le aldeias indigene, ampliando lo sguardo, emerge una situazione nella quale quasi il 14% del territorio brasiliano fa oggi parte delle terre indigene, ma dove più del 98% dell’estensione di queste aree appartiene alla cosiddetta Amazzonia Legale, trovandosi in regioni senza alcuna vocazione produttiva, né sotto il profilo agricolo, né per quanto concerne l’allevamento di bovini.
Le terre indigene che “confliggono” con interessi rurali, al di fuori dell’Amazzonia, occupano appena lo 0,6% del territorio. Di contro a questo dato, vi è che il 41% delle terre brasiliane è occupato da insediamenti agricoli e di allevamento privati, secondo i dati dello IBGE del 2017. Percentuali, le quali, più che ispirare contorte e spesso in malafede analisi sulla titolarità o meno delle terre da parte degli indigeni, dovrebbero far riflettere sulle ragioni alla base della mai realizzata riforma agraria. Riforma, di cui il Brasile avrebbe bisogno come il pane, anche in un’ottica di risoluzione dei molti conflitti armati da sempre esistenti nella maggioranza degli Stati dell’Unione.
La verità, difficile da accettare in questi tristi tropici, è che i primi esclusi e i primi ad essere colpiti da politiche governative, federali o statuali che siano, sono sempre i popoli originari. Come ha rimarcato recentemente Luciano Mariz Maia, salito agli onori delle cronache per essere stato il procuratore della prima condanna emessa da un tribunale brasiliano per genocidio, è in atto una politica di sterminio nei confronti degli indigeni, costruita passo a passo nel corso dei decenni, i cui elementi sono il costante tentativo di impedire la demarcazione delle terre – ciò che, in parte incidentalmente, ha finito per plasmare la stravagante teoria del Marco temporale – e ultima in ordine di tempo la gestione della pandemia, tanto nelle aldeias come tra gli indigeni “urbanizzati”, per mezzo dell’invio di casse piene di clorochina, anziché procedere ad una tempestiva vaccinazione di una categoria di soggetti considerati vulnerabili.
“LA NOSTRA STORIA NON COMINCIA NEL 1988”
Non tutto il male vien per nuocere, verrebbe da dire. È quello che è successo alla COP-26 sul clima in quel di Glasgow (Scozia), dove la sostanziale assenza di esponenti del disastroso Governo di Jair Bolsonaro ha indirettamente lasciato spazio alle voci e alle rivendicazioni delle popolazioni indigene brasiliane dell’Amazzonia, le quali hanno visto riconosciuto, sul piano internazionale e anche mediante lo stanziamento di un finanziamento, il loro impegno a difesa del polmone verde del pianeta quali autentici guardiani delle foreste e più in generale di ogni bioma presente in Brasile.
La notizia potrebbe sembrare avere un’importanza relativa, ciononostante un tale riconoscimento si inserisce all’interno di un contesto interno, entro il quale i diritti costituzionalmente garantiti alle popolazioni originarie (305 popoli, che parlano 274 lingue differenti) sono una volta di più posti sotto attacco dai vari jagunços ossessionati dal desiderio di sottrarre quante più terre possibili a chi in queste terre vive da molto prima che qualsivoglia europeo vi mettesse piede. Il riconoscimento alle comunità indigene durante la COP-26 potrebbe, dunque, portare molta acqua al mulino della loro causa in un momento assai particolare, segnato dalla spada di Damocle della decisione che il Supremo Tribunale Federale di Brasilia dovrà assumere nel corso dei prossimi mesi sul cosiddetto Marco temporale (Marco temporal).
Da allora, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti della cidade maravilhosa e a vecchie figure, arrestate o uccise, se ne sono sostituite di nuove, che, presto o tardi, saranno anch’esse arrestate o giustiziate da qualche altro rivale, smanioso di assumere un potere sempre troppo labile per restare molto tempo nelle mani di un’unica persona o anche solo di un’unica organizzazione.
Una dinamica di questo tipo è alla base della lenta erosione del potere esercitato dal Comando Vermelho nelle favelas di Rio, cui ha fatto riscontro l’emergere di altre organizzazioni, dal Terceiro Comando Puro al Primeiro Comando da Capital, ma, più di tutto, le milizie paramilitari. Come è opinione diffusa tra gli studiosi, a cominciare dai lavori di Bruno Paes Manso, le milizie sono oggi la più consistente minaccia criminale che incombe sul Brasile.
Questo perché, al contrario delle altre organizzazioni malavitose, le milizie non hanno alcuna pretesa di porsi come alternative al potere dello Stato, preferendo esserne una sorta di surrogato criminale, in tutte quelle regioni di Rio de Janeiro, dove lo Stato da sempre è assente.
Il pericolo maggiore, rappresentato oggi dalle milizie paramilitari, è legato al fatto di essere un tipo di organizzazione con addentellati profondi (e in parte sconosciuti) con la politica, locale e nazionale, e le forze di pubblica sicurezza.
A quanto osservato va aggiunto che, al contrario delle fazioni criminali classiche, il potere delle milizie non è direttamente legato alle comunità, su cui questo si esercita. In maniera assai simile a ciò che avviene in Messico con i Los Zetas (anche in quel caso elementi della forza pubblica passati dall’altro lato della barricata), le milizie, in virtù delle relazioni con la politica e con le forze di polizia, non hanno bisogno di stabilire alcun legame con le comunità che tiranneggiano, potendo, in tal modo, tiranneggiarle, di più e peggio, di quanto farebbe una qualsiasi organizzazione criminale.
In luoghi come Rio das Pedras o Muzema, situate nella zona ovest della cidade maravilhosa, il potere delle milizie è esercitato su ogni ambito della vita sociale delle persone che vi abitano. Palazzi tirati su dalla sera alla mattina e venduti a peso d’oro ad una turma di disperati con il sogno di comprarsi una casa e che, spesso, finiscono per morire sotto le macerie di quel loro sogno “realizzato”.
Ve ne sarebbe abbastanza per una riflessione di taglio sociologico, tesa a mostrare la nientificazione della vita a cui, a queste latitudini, si va incontro per il solo fatto di essere poveri. Perché essere poveri in Brasile non è una condizione economica, ma uno stigma sociale, una condizione che ti trasforma in un paria senza voce o con appena un filo. Fermiamoci qui, dunque, perché questa non è in prima battuta una storia a sfondo sociale, bensì una storia fatta di molte ramificazioni, soldi, morte, milizie e domande ancora in cerca di una risposta.
Un autentico mercato delle vacche, popolato da oscuri faccendieri e figliocci di politici, i quali, mentre il popolo soffocava, in casa o in un letto di terapia intensiva, “lavoravano” alacremente per riempirsi le tasche. Ciò che emerge da alcuni messaggi divulgati nelle ultime settimane sulla stampa brasiliana è un’armata delle tenebre da far impallidire i più cinici personaggi di Charles Dickens.
Civili e militari lanciati in un assalto alla diligenza, a danno della popolazione, probabilmente senza precedenti nella storia di questo povero Paese, cui si aggiungevano improvvisati affaristi senza nessuna credibilità dal punto di vista sanitario, i quali, tuttavia, riuscivano ad arrivare fino al numero 2 del Ministero della Salute, il Colonnello della riserva dell’Esercito Antônio Elcio Franco, mentre la Pfizer, che il vaccino lo avrebbe venduto ad un prezzo ben più vantaggioso, inviava più di cento email a vuoto, facendo anticamera per ore, senza che i suoi rappresentanti fossero ricevuti da chicchessia di questo governo.
Peraltro, alla luce dei tre schemi di corruzione menzionati, appare anche più comprensibile il netto rifiuto opposto da Bolsonaro al vaccino della Pfizer, che avrebbe trasformato, secondo il Presidente, i brasiliani in jacaré (rettile brasiliano che appartiene alla famiglia degli Alligatoridae), ribadito, in termini meno idioti ma non meno gravi, dall’allora Ministro della Salute, Eduardo Pazuello, quando definì leonine le condizioni di acquisto del vaccino proposte dalla Pfizer.
Più interessante ancora è il dato relativo alla quantità di incidenze per tipologia penale. Su un totale di 717.322 detenuti, il 54.01% sta scontando una pena detentiva per traffico di sostanze stupefacenti e il 6.64% è condannata per reati associabili a questo tipo di crimine. In altre parole, più della metà dei detenuti (il 60.65%) rinchiusi nelle carceri brasiliane è costituito da persone, che si trovano lì per reati concernenti attività correlate al traffico di sostanze stupefacenti.
Pur in un Paese largamente proibizionista e punitivista, si pone, in maniera legittima, l’interrogativo riguardo a quali possibili benefiche conseguenze avrebbe una politica di non criminalizzazione relazionata almeno alle droghe leggere e, per altro verso, quanto la guerra alla droga non costituisca l’ennesimo capitolo di una guerra sociale condotta contro le fasce più povere della popolazione.
A riprova di quanto detto si ha la sostanziale stabilità di una organizzazione come il Comando Vermelho, addirittura l’organizzazione criminale più longeva del Cono Sur con i suoi quarantadue anni di attività, e il poderoso sviluppo del PCC, il Primeiro Comando da Capital, in quasi tutti gli Stati brasiliani e all’estero, dentro e fuori il Sudamerica.
La repressione, pertanto, sembra battere duro sugli strati della popolazione coinvolti nel traffico di stupefacenti al dettaglio, nel varejo delle varie sostanze stupefacenti, su tutte cocaina, crack e marijuana. Le tanto sbandierate operazioni del BOPE o della CORE, corpi speciali della Polizia Militare e di quella Civile, in particolare nelle favelas di Rio de Janeiro, servono soltanto a confondere il già confuso cittadino brasiliano riguardo al fatto che la guerra alla droga starebbe dando un qualche risultato, scambiandosi la rinnovata apartheid razziale e sociale con azioni affermative condotte da parte dello Stato in aree da sempre abbandonate e per questo autoregolantesi.
I grandi signori del narcotraffico brasiliano, d’altronde, vivono in residenze milionarie, lato a lato con quegli stessi “cittadini di bene”, che chiedono pene sempre più repressive, ripetendo ossessivamente il mantra del “bandido bom é bandido morto”.
La carcerazione di massa si nutre in massima parte di pesci piccoli e disperati assortiti, i quali, stritolati dalla miseria e dalla mancanza di qualsivoglia concreta possibilità di sbarcare il lunario per mezzo di una vita onesta, finiscono per cadere nella rete della criminalità organizzata.
Giovani e giovanissimi, come il precedente dato rivela, la maggior parte dei quali fa parte della comunità negra, che, assieme a quella indigena, rappresenta la parte più debole ed esposta della società brasiliana:
«“La sfida del XXI secolo – scrive Angela Davis citata da Luís Carlos Valois in O direito penal da guerra às drogas – non è rivendicare possibilità uguali al fine di partecipare alla macchina dell’oppressione, bensì identificare e smantellare quelle strutture nelle quali il razzismo continua ad essere praticato”. La guerra alla droga è una di queste», osserva, a ragione, Valois.
L’unico risultato tangibile di decenni di carcerazione di massa in Brasile è il formarsi, all’interno degli stessi istituti penitenziari, di ognuna delle organizzazioni malavitose che oggi riempiono le strade, le favelas e le quebradas di questo Paese, da Rio de Janeiro a San Paolo. Su tutte: il PCC e il Comando Vermelho.
In ambito militare, con il termine ‘positivo’ si intende un successo raggiunto nel corso di una missione, pertanto, l’aggiunta dell’aggettivo ‘falso’ viene a caratterizzare un simile obiettivo raggiunto trasformandolo, per così dire, in un non-obiettivo, che è stato raggiunto. L’obiettivo, nel nostro caso, era una persona, la quale, pur non avendo niente a che fare con l’universo della guerriglia – trattandosi, piuttosto, di studenti, contadini o disoccupati – veniva fatta passare dall’esercito come appartenente ad uno dei vari gruppi terroristi attivi in Colombia, in particolare FARC e ELN.
Il fenomeno dei falsi positivi, malgrado punteggi la storia colombiana almeno dal 1978, stando ai dati presentati dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, ha raggiunto la sua acme tra il 2002 e il 2008, all’epoca della presidenza di Álvaro Uribe Velez, politico, le cui azioni e frequentazioni sono più che chiacchierate da moltissimo tempo. Da quando, in qualità di Direttore dell’Aviazione Civile, aveva permesso al Cartello di Medellin (in particolare a Pablo Escobar e a Gonzalo Rodriguez Gacha, alias El Mexicano) di riempire la Colombia di piste, da dove atterravano e decollavano aerei pieni di cocaina diretti sulle coste della Florida.
A Don Raúl, però, non interessava finire dentro la storia colombiana degli ultimi cinquanta anni, ritrovandocisi, suo malgrado, l’8 ottobre del 2006, quando da Tarra, Norte del Santander, il “glorioso esercito”, come lui sarcasticamente definiva quello colombiano, gli comunicò che suo figlio, soldato, era rimasto vittima di una imboscata tesagli dalle FARC in unione con l’ELN. “Giorni più tardi – racconta – me lo consegnarono all’interno di una cassa avvolta in una bandiera della Colombia, dicendomi di non aprirla”.
Quello che il “glorioso esercito”, tuttavia, non sapeva, era che alcuni giorni prima, il 18 settembre 2006, il caporale Raúl Antonio Carvajal, suo figlio, aveva chiamato il padre, dicendogli che avrebbe lasciato l’esercito, perché gli avevano impartito l’ordine di creare dei falsi positivi, uccidendo alcuni ragazzi da far passare come guerriglieri morti in combattimento: “Yo me voy a retirar porque a mí me mandaron a matar a unos muchachos para hacerlos pasar por guerrilleros muertos en combate”.
Da sponda iraniana nulla trapela, ciononostante, occorre registrare la sempre più forte presenza navale di Teheran in questa parte dell’Atlantico, da un lato, mentre, dall’altro, la sua rinnovata capacità di sussidio militare nei confronti di un Paese come il Venezuela, il quale sta vivendo una realtà schizofrenica, tra la crisi umanitaria, che stritola ogni giorno di più la sua popolazione, e la costante ricerca, da parte delle sue autorità, di un’affermazione di tipo militare nella regione, nel tentativo, non peregrino, di non essere rovesciate e sostituite tramite un colpo di Stato, ad oggi altamente improbabile, tanto per cause esterne che interne.
La sinergia tra il regime iraniano e quello di Caracas sembra essere una sorta di quadratura del cerchio per entrambi i Paesi. Mentre, infatti, Maduro guadagna tempo, alleati, mezzi di sussistenza, pur in uno scenario dove il caudillismo degli inizi sembra avere lasciato il posto ad una specie di satrapia orientale in salsa sudamericana, per il governo iraniano il guadagno è in termini meramente geopolitici, venendo ad essere, la sua amicizia col Venezuela, un’autentica spina nel fianco per Washington, malgrado gli alleati statunitensi presenti nella regione (su tutti: Colombia a nord e Paraguay a sud).
Dal 2015 ad oggi il regime di Teheran ha intensificato la sua presenza nell’Atlantico meridionale, proprio con l’intento di fare pressione sugli Stati Uniti, come dichiarato a suo tempo dall’ammiraglio Afshin Rezayee Haddad, quando ci tenne a ricordare che l’avvicinamento della flotta iraniana agli Stati Uniti era finalizzato a mandare un messaggio specifico, una sorta di memorandum per Washington, teso a mostrare l’anacronismo sotteso ad una, più o meno velata, dottrina Monroe riferita ad un contesto ormai multipolare.
Una storia paradossale, che, una volta di più, rivela il lato dilettantesco del governo Bolsonaro, come, parimenti, lo stretto legame che unisce Edir Macedo e il Presidente della Repubblica. Uno dei grandi nodi problematici della democrazia brasiliana è questo perverso legame tra manipolatori dell’opinione pubblica, come sono oggi le Chiese evangeliche, in particolare quelle neopentecostali, ed una politica, la quale, tranne poche isole felici, vive in Brasile un lungo periodo di discredito.
Di qui, la presa che soggetti come Macedo e la sua Chiesa Universale hanno su quelle ampie fette della popolazione poco scolarizzate, non scolarizzate o vittime di quello che oggi si chiama ‘analfabetismo di ritorno’, fungendo, di fatto, da influencer religiosi e da cinghia di trasmissione tra gli elettori e il mondo politico. Per questo, chiunque conosca, pur minimamente, la geografia elettorale brasiliana è consapevole del fatto che nessun candidato può eleggersi senza l’appoggio della vasta e variegata galassia evangelica, più ancora, forse, senza l’appoggio di alcune chiese neopentecostali, le quali, come è il caso della IURD, contano un esercito di fedeli che segue ciecamente ogni orientamento impartito dal proprio pastore.
Si tratta di una vera distribuzione di oppio sotto forma di confusi o volutamente travisati precetti religiosi, che ha come convitato di pietra una pressoché assente formazione scolastica pubblica, che, pur a macchia di leopardo, interessa tutti gli Stati brasiliani e che richiederebbe una riforma radicale tesa ad invertire i rapporti di forza, capovolti all’epoca della dittatura militare, tra scuola pubblica e le sempre più care e classiste scuole private.
Cruz si sofferma sui nemici interni, che non esistono, ma che l’attuale presidente in carica utilizza come strumento per costruire la propria narrazione al fine di personalizzare ogni singola questione, che possa sorgere nell’agone politico, e svuotare la già fragile democrazia salvadoregna di qualsiasi contenuto pluralista e rappresentativo. Qual è l’obiettivo di dare vita ad uno Stato autoritario su questa sponda dell’Atlantico, nel 2021, sembra domandarsi José Miguel Cruz?
La domanda, lungi dall’essere peregrina, fa rilucere in un instante, non solo il piano autoritario di Bukele, ma, parimenti, anche quello di Bolsonaro in Brasile. La tesi esposta da Cruz nel suo articolo è – almeno in parte – trasponibile anche al caso brasiliano. Spesso, in questi anni, ci siamo domandati quale fosse e per quali vie potesse realizzarsi il piano di potere del bolsonarismo. Fuori dai denti: uno Stato autoritario, punteggiato di parvenze di democrazia (per certi versi anche la dittatura lo era), ma per fare cosa? Anche a questo proposito il parallelo con la situazione salvadoregna può aiutare a dare una prima risposta.
Questo è il caso che concerne la cosiddetta Triplice Frontiera, la terra di mezzo, che collega in una maniera geograficamente assai suggestiva Brasile, Paraguay e Argentina. Una terra di mezzo, che è punto di incontro di moltissimi traffici, alcuni legali, altri che soltanto sembrano legali, altri, infine, che cominciano e finiscono di forma illegale. Dal lato brasiliano, ma con significative propaggini nel Paraguay, la Triplice Frontiera, da anni, sta passando per una ristrutturazione delle sue complesse articolazioni criminali mediante un processo di globalizzazione segnato dalla repentina crescita di un nuovo attore criminale, il Primeiro Comando da Capital, dai più conosciuto con la sigla PCC.
A figura de Frederico, o Grande, é apresentada por Droysen, em detalhes, especialmente a partir do primeiro volume da quinta parte da Geschichte der preußischen Politik, dedicado ao rei da Prússia. A partir da tomada de posse do trono, Frederico II começa uma nova época, porque ele soube entender antes de seus contemporâneos a direção da corrente da história, encarnando pensamentos
67 | P á g i n a
Sociedade Brasileira de
Teoria e História da Historiografia
que até então careciam de um intérprete (Cfr. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, G. Bonacina e L. Sichirollo (organizado por), Roma‐Bari 2003, p. 358). A importância de Frederico da Prússia é tal que ele representou um ponto de virada não só para seu país, mas de forma geral para a deutsche Frage. Em ideal assonância com quanto afirmado sobre Alexandre, o Grande, na Geschichte Alexanders des Großen no 1833 Droysen confere às ações do rei um caráter universal que transcende a Prússia e a Alemanha, como também as condições gerais de poder e o sistema de Estados. A articulação interna do Estado prussiano segundo as intenções de Frederico, o Grande, é um tema considerado por Droysen no Vorwort do quinto volume da Geschichte der preußischen Politik. No ensaio sobre as formas de governo, o monarca tinha estabelecido as bases de uma visão política que encontrava, no príncipe e no povo, os principais elementos da dialética política de um Estado. O príncipe e o povo formavam um corpo; o príncipe representaria para a sociedade, que governa, o que a cabeça é para o corpo. Ele deve ver, pensar e agir para a comunidade. O príncipe deve sempre se posicionar como se estivesse em um posto avançado, para prestar atenção aos inimigos do Estado; ele tem que governar com justiça, sabedoria e abnegação, como se a qualquer momento tivesse que prestar conta aos seus concidadãos de seu governo. Finalmente, o príncipe é responsável pelas leis, pelos bons costumes do povo e pela educação nacional (J.G. Droysen, Vorwort, em Friedrich der Große, em Geschichte der preu?ischen Politik (1855‐1886), 15 voll., V/III, Leipzig 1881, p. 38). A última parte do meu trabalho será dedicada ao conceito de Friedenstaat. Nas reflexões de Droysen este conceito constituía o último apêndice de uma idéia, que surgira a partir dos estudos sobre a Altertumswissenschaft, por conseguinte, permeando o seu pensamento histórico e político. A Prússia, entendida como aquele Estado que teria preservado a Europa de novos conflitos, encontra‐se no último volume da Geschichte der preussischen Politik, em um artigo de 1879 dedicado às relações entre Inglaterra e Prússia entre os anos de 1740‐1746 e anteriormente em três ensaios do período de Kiel. O que parece unir esses escritos, é a convicção profunda de Droysen que a paz da Europa precisaria de uma política prussiana conduzida com mão firme, sobretudo para chegar à unidade da Alemanha. Em contrapartida, a Alemanha, para unificar‐se, por sua vez, precisava de um período de paz duradoura no âmbito da política europeia.
Palavras chave: Droysen; prussianismo; Frederico, o Grande; política; Friedenstaat
❖ Ha conseguito il dottorato di ricerca in "Discipline Filosofiche" (2010) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa con una tesi dal titolo "Conjunge et imperabis. Einheit, Freiheit e Machtstaat nel pensiero politico di Johann Gustav Droysen". Questo titolo è stato riconosciuto nel 2017 come dottorato in Storia presso la Facoltà di Storia dell'Università Federale del Goiás (Goiânia-Brasile). Dal mese di agosto 2015 fino al mese di agosto 2020 ha svolto attività didattica e di ricerca in qualità di post-dottorando (PNPD-Capes) presso la stessa Facoltà di Storia dell'Università Federale del Goiás.