Il processo di programmazione dei fondi europei 2014-20 è in via di conclusione; esso vede coinvolti tutti i livelli istituzionali – l’Europa, gli Stati membri, le Regioni - in un processo interattivo e iterativo. Dopo la definizione di...
moreIl processo di programmazione dei fondi europei 2014-20 è in via di conclusione; esso vede coinvolti tutti i livelli istituzionali – l’Europa, gli Stati membri, le Regioni - in un processo interattivo e iterativo. Dopo la definizione di linee guida programmatiche, regolamenti, suggerimenti applicativi della Commissione Europea indirizzati a ciascun Paese, il negoziato sulle risorse finanziarie, la definizione nazionale del processo di programmazione, alcune Regioni hanno già chiuso i loro programmi che sono stati anche approvati dalla Commissione Europea, altre sono in attesa di avere le osservazioni della Commissione per poter procedere alla stesura definitiva propedeutica alla chiusura del negoziato.
Una delle peculiarità di questo ciclo programmatorio, è che esso è sostanzialmente concomitante con la riforma Delrio, che implica cambiamenti importanti: nuove forme istituzionali quali le Unioni dei Comuni, e, elemento non secondario, la costituzione delle Aree metropolitane attorno ai principali Comuni italiani.
In questo quadro, l’Accordo di partenariato nazionale ha definito un programma territoriale rivolto alle Aree interne del Paese, per il rilancio delle aree a bassa densità demografica, interessate da fenomeni di spopolamento e invecchiamento, con scarsi servizi di base (sanità, istruzione, mobilità). Intorno ad esse saranno mobilitate risorse nazionali ordinarie per il potenziamento dei servizi primari (sanità, istruzione, mobilità) nonchè alcune progettualità legate perlopiù ai programmi finanziati con fondi comunitari.
La programmazione 2014-20, inoltre, sembrava definire alcuni elementi innovativi rispetto alle due programmazioni precedenti (cioè i cicli 2000-2006 e 2007-2013).
Innanzitutto il processo programmatico e attuativo si è configurato come caratterizzato da un forte presidio nazionale. Ciò ha rappresentato una parziale novità, dato che anche nel ciclo di programmazione 2007-2013, attraverso il Piano di Azione Coesione, sono, in realtà, già state sperimentate forme che potremmo definire di “coprogrammazione” e di “coattuazione” degli interventi tra Stato e Regione.
In secondo luogo, è stato richiesto, inizialmente, che i programmi fossero fortemente orientati ai risultati e non dovessero limitarsi ad individuare soltanto obiettivi. I programmi precedenti, infatti, presentavano la tradizionale articolazione per assi e obiettivi; le azioni erano definite una volta approvati i programmi, in fase attuativa. Gli indicatori di risultato si riferivano sempre ad obiettivi generali, situazione che ha determinato grandi difficoltà successive nella fase di popolamento.
La scelta tra programmi “generalisti” o dettagliati è un dilemma antico nella storia delle programmazioni dei fondi europei. Nel passato si preferivano programmi ampi e non dettagliati, perché potevano essere declinati in corso di attuazione, e consentivano di essere meno vincolanti nel casi di cambiamenti in corso d’opera. In questo ciclo è stato richiesto, inizialmente, di redigere programmi dettagliati; nei fatti, in seguito, c’è stato un parziale ritorno ad un maggiore generalismo.
In terzo luogo, nel ciclo 2014-20 è stato suggerito un approccio plurifondo, anche parziale. La programmazione 2007-2013, com’è noto, si è caratterizzata per l’approccio monofondo: tre programmi, uno per ciascun fondo, tre approcci differenziati. Il programma a valere sulle risorse del Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), indirizzato al settore agricolo, è stato maggiormente vincolato ai fabbisogni territoriali e ad indicatori dettagliati per azioni; il programma a valere sulle risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), orientato alle infrastrutture materiali e immateriali, finanziariamente più impegnativo, ha conservato un approccio per obiettivi; il programma a valere sulle risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE) è rimasto vincolato ad obiettivi specifici molto ampi, ad obiettivi operativi sovrapposti e numerosi, ad azioni definite con ritardo e con difficoltà di associazione e di popolamento degli indicatori di realizzazione e risultato. Di fatto, la scelta di programmi monofondo nel 2007-2013 richiede il potenziamento del coordinamento in sede programmatica e valutativa, e se rende più difficile valutare cosa realmente si è realizzato con i fondi europei.
La scelta di un approccio plurifondo può forse consentire la realizzazione di politiche più integrate ed intersettoriali, con evidenti effetti di maggiore efficacia ed efficienza delle politiche. Ma anche un approccio monofondo può trarre vantaggi grazie ad un approccio programmatico e valutativo unitario, attuato in maniera sinergica ed energica.
Quarto elemento riflessione è rappresentato da un’ulteriore novità: sono state introdotte, infatti, condizioni minime da rispettare per l’accesso ai fondi, le cosiddette “condizionalità”. Il non rispetto di tali condizioni – che riguarderanno tutti i settori, dall’ambiente alle politiche energetiche, dall’inclusione sociale agli aiuti alle imprese, dall’istruzione alla capacità amministrativa con particolare riferimento alla giustizia, alla sanità, alla scuola - potrebbe comportare blocchi nei trasferimenti delle risorse europee alle Regioni. Molte di queste condizionalità richiedono sforzi in direzione di una riforma soprattutto a livello nazionale. Tali elementi che pure apparivano stringenti in una prima fase programmatica, poi sembrano avere acquisito una veste meno rilevante.
Quinto elemento è rappresentato dal tema ricorrente della territorializzazione delle politiche: nei nuovi regolamenti comunitari è prevista l’opzione strategica di politiche territoriali, grazie agli strumenti relativi agli investimenti territoriali integrati o ai programmi per le città, che dovranno coinvolgere nella progettazione e attuazione degli interventi i partenariati locali. Una delle strategie chiave del 2014-20 è rappresentata dalla cosiddetta “smart specialization”, slogan che dovrebbe tradursi in una strategia di riconoscimento delle potenzialità dei territori, nei contesti globali, per elaborare politiche che consentano loro di diventare più competitivi.
Ulteriore punto di dibattito è relativo al principio di addizionalità, uno dei principi chiave della politica di coesione: i Fondi strutturali dell’UE dovrebbero essere concepiti come fondi aggiuntivi rispetto ai fondi nazionali e alla spesa pubblica degli Stati membri. A seguito della crisi del debito sovrano nell’eurozona, il governo italiano ha adottato misure consistenti di consolidamento dei conti pubblici, misure che si sono tradotte in tagli nella spesa e nei trasferimenti alle amministrazioni locali. I fondi europei si sono spesso trasformati, così, da fondi aggiuntivi a fondi sostitutivi, con gravi ripercussioni sull’efficacia delle politiche.
Purtroppo anche il negoziato europeo sulle risorse finanziarie ha subito molti scossoni e ripensamenti, con conseguenti lungaggini, circostanza che ha reso a lungo ancora più incerto il processo di programmazione. Esso, inoltre, si è svolto in concomitanza alla chiusura dei programmi 2007-2013, chiusura molto impegnativa per le Regioni, ancor di più per quelle impegnate in misure di accelerazione di una spesa a causa dei ritardi accumulati e dei vincoli del patto di stabilità.
Come si sta configurando la programmazione regionale tra i fenomeni di cambiamento e quelli di conservazione dello status quo? Si è tenuto conto, nei programmi attualmente in negoziato, delle lezioni che si possono apprendere dai cicli di programmazione precedenti? Quali sono i meccanismi che ostacolano l’apprendimento dall’esperienza passata?
Queste domande ispirano le riflessioni del presente lavoro.