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Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano

2023, AOQU (Achilles Orlando Quixote Ulysses). Rivista Di Epica

https://doi.org/10.54103/2724-3346/20504

Obiettivi di questo articolo sono la discussione della presenza epica a livello strutturale nel diario narrativo Mistero napoletano (1995) di Ermanno Rea e l’individuazione delle sue particolarità e delle sue caratteristiche. A tal fine, nella prima parte del contributo si rileverà sia come il tempo costituisca uno dei temi centrale del testo sia in che modo Mistero napoletano rappresenti qualcosa di ulteriore rispetto alle forme del diario-journal e del diary novel, pervenendo alla definizione di diario narrativo. Nella parte centrale del contributo la presenza del tratto epico di Mistero napoletano verrà discussa assumendo alcuni elementi, quali il preterito epico di Hamburger, la riformulazione di determinati moduli epici (il dissidio tra “vecchio” e “nuovo”, la dismisura, l’Evento in grado di trascendere sé stesso, il rapporto tra singolo e comunità, il senso della morte nel sistema valoriale di quest’ultima, l’ipoindividualità dell’autore, ecc.), la lettura politica di La Capria, il quale designa in termini negativi il portato epico presente nel testo, spiegandolo solo come ideologico. Nell’ultima parte del contributo l’osservazione dell’epico in Mistero napoletano sarà accompagnata a una lettura globale del testo secondo la teoria letteraria dell’ipermoderno e si osserverà come la struttura epica del testo ben si confaccia a quanto descritto da Donnarumma.

EPICO ED IPERMODERNO IN MISTERO NAPOLETANO Mirko Mondillo Università di Siena - Katholieke Universiteit Leuven Riassunto: Obiettivi di questo articolo sono la discussione della presenza epica a livello strutturale nel diario narrativo Mistero napoletano (1995) di Ermanno Rea e l’individuazione delle sue particolarità e delle sue caratteristiche. A tal fine, nella prima parte del contributo si rileverà sia come il tempo costituisca uno dei temi centrale del testo sia in che modo Mistero napoletano rappresenti qualcosa di ulteriore rispetto alle forme del diario-journal e del diary novel, pervenendo alla definizione di diario narrativo. Nella parte centrale del contributo la presenza del tratto epico di Mistero napoletano verrà discussa assumendo alcuni elementi, quali il preterito epico di Hamburger, la riformulazione di determinati moduli epici (il dissidio tra “vecchio” e “nuovo”, la dismisura, l’Evento in grado di trascendere sé stesso, il rapporto tra singolo e comunità, il senso della morte nel sistema valoriale di quest’ultima, l’ipoindividualità dell’autore, ecc.), la lettura politica di La Capria, il quale designa in termini negativi il portato epico presente nel testo, spiegandolo solo come ideologico. Nell’ultima parte del contributo l’osservazione dell’epico in Mistero napoletano sarà accompagnata a una lettura globale del testo secondo la teoria letteraria dell’ipermoderno e si osserverà come la struttura epica del testo ben si confaccia a quanto descritto da Donnarumma. Parole chiave: Mistero napoletano, Ermanno Rea, diario, ipermoderno, epico, Napoli Abstract: Discussing the presence of epic in the structure of Ermanno Rea’s narrative diary Mistero napoletano (1995) and identifying its epic features are main goals for this paper. In order to do this, in the first section time will be considered as one of main themes in Mistero napoletano; moreover, I will illustrate how this text as a form represents something different to diary-journal and diary novel, arriving at the definition of narrative diary. In the central section the presence of epic in Mistero napoletano will be discussed through certain elements, such as Hamburger’s epic preterite, the reformulation of some traditional epic schemes (the contrast between Old and New, AOQU – Forme e modi dell’epica2, IV, 1 (2023) https://riviste.unimi.it/aoqu - ISBN 9788855269711 - DOI: 10.54103/2724-3346/20504 Mirko Mondillo the sense of disproportion, the relationship between the individual and its community, the sense of death in the latter’s value system, the author’s hypoindividuality, etc.), the “political” reading of Mistero napoletano by La Capria, who refers to the presence of epic in Rea’s text in negative terms as something motivated only ideologically. In the last section the discussion on epic in Mistero napoletano will be accompanied by a reading of this text within the hypermodern literary theory; moreover, it will observed how the epic structure of Mistero napoletano fits well with what Donnarumma describes. Key-words: Mistero napoletano, Ermanno Rea, Diary, Hypermodern, Epic, Naples *** 1. La centralità del tempo e l’etica della reazione Nella produzione di Rea appaiono centrali «il conflitto tra temporalità diverse, l’ombra del passato, l’incapacità di liberarsene e insieme la sua identità labile e molteplice, […] l’immobilizzarsi e il dilatarsi paradossale del presente».1 Il tempo è una coordinata che l’autore osserva per interpretarne i contenuti: è per tale pratica che nella narrativa “napoletana” di Rea si hanno un’assenza dell’onniscienza2 e un allargamento delle voci disposte al dialogo o alla risposta.3 Mistero napoletano (d’ora in poi MN), La dismissione (LD) e Napoli Ferrovia (NF) sono stati riuniti nella raccolta Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii. Questo titolo sottolinea sia la centralità della città di Napoli come cronotopo narrativo di Rea sia il collegamento politico tra i testi. Se MN è il testo nel quale il “rosso” del comunismo (inter)nazionale viene descritto in una fase apicale in cui si manifestano già i segni del declino (soprattutto morale), in quelli successivi si ha un cambiamento “cromatico”. Ne LD il “rosso” di MN scolorisce per uno sbandamento ideologico che porta Buonocore, al vertice della propria carriera, a dirigere lo smontaggio dell’Ilva di Bagnoli e a ritrovarsi al centro di una nevrosi collettiva e individuale.4 In NF lo scolorimento è compiuto: l’ideale 1 Meneghelli 2012: 264. L’assenza di un narratore onnisciente può essere intesa come scelta estetica dovuta a esternazione di una coscienza etico-politica, cfr. Giorgio 2007: 234. 3 Tale ampiezza dialettica permette al narratore di sottrarsi al gesto sia dell’intrusione nella mente dei vari personaggi sia di presentarsi come pienamente al corrente di fatti ed eventi. 4 Cfr. Marmo 2001: 156. 2 344 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano che in MN era di pertinenza comunista è ora incarnato da un personaggio antitetico come Caracas, naziskin convertito all’Islam. In questo «unico fluviale romanzo»5 se MN ha una certa preminenza non è solo per precedenza di composizione, ma è perché presenta dei temi che verranno in seguito ripresi e approfonditi. In MN il contesto sociale è quello dal quale l’autore si allontana nel 1957, più di tre anni dopo la morte di Stalin. È un contesto che conosce molto bene e dai cui membri è ben conosciuto. Ciò che Rea realizza in MN è innanzitutto un appello di quanti dovrebbero essere informati del fatto “semplice” che ispira la scrittura: la morte dell’amica e “compagna” Francesca Spada. A tali individui, nella Napoli dei quali ritorna dopo tante peregrinazioni e dopo tanti anni di lontananza, Rea fa opera di auto-agnizione e illustra il motivo della propria sorprendente presenza: Da quanti anni non rivedevo Franco Grassi? Quando ieri l’altro, al telefono, ho pronunciato il mio nome c’è stato un lungo silenzio. Poi, finalmente, ho sentito la sua voce un po’ incespicante: «Ma va’!». Il tono era quello dell’incredulità beffarda, venato forse da un filo di emozione. Ha giocato d’anticipo: «Scommetto che vuoi incontrarmi per parlare di Francesca». «Già. Chi ti ha informato?» «Nessuno».6 Come nel palinsesto omerico del ritorno di Odisseo a Itaca e della raccolta dei propri fedeli contro i Proci che innerva sotterraneamente MN, Rea riunisce quella società a cui un tempo è appartenuto e che ora gli appare dispersa. Eppure, per dispersa che sia, questa “società” gli è indispensabile affinché la sua interpretazione di quegli anni non sia caratterizzata dall’insufficienza. A dare un ordine al gran numero di voci convocate, distinguendosene,7 vi è quella dell’autore, che, pur facendo tanti nomi e tanti cognomi, si fa responsabile delle loro affermazioni accogliendole nel proprio discorso. Nella convocazione di uomini e donne e nella rievocazione della loro passata unità vi è un’etica della reazione che, 5 Rea, Rosso Napoli: 37. Id., Mistero napoletano: 14. 7 Cfr. Perrella 2016: 388: «Rea dimentica la paura e interroga il passato. È anzi assetato di passato e si stupisce di come i suoi interlocutori possano vivere nella dimenticanza e nella rimozione». 6 345 Mirko Mondillo limitando l’invenzione letteraria,8 intende additare attraverso un ordine da (ri)stabilire9 i colpevoli dello sfacelo sociale, morale e politico della comunità. La fedeltà a questo tipo di etica si presenta come atto imprescindibile per chi, come Rea, «non riesce a perdonarsi che il passato sia andato come è andato».10 Tale doloroso risentimento etico è ciò che spinge Rea a impedire che l’ignavia del passato ricada anche sul futuro: «ho paura d’essermi imbarcato in un’impresa disperata dalla quale non potrò uscirne che a pezzi».11 2. I “tre libri” in Mistero napoletano Nella premessa al testo Rea parla di MN come di «libro di fantascienza» e «libro giallo – giallo esistenziale», ma soprattutto come «libro di viaggio in forma di diario».12 La fantascienza di MN viene collegata alle tematiche specifiche del «tempo pietrificato» e delle «coscienze espropriate dal loro diritto al cambiamento».13 La loro discussione fantascientifica avviene in un «teorema», la cui formulazione è stata possibile solo a distanza: tale posizione di «lontananza» rispetto ai fatti descritti è avvertita come necessaria perché è solo attraverso la registrazione di quanto è accaduto che la «banalità» d’un tempo mostra di essere sempre stata nient’altro che un’«evidenza».14 Il teorema «dell’acquario», istituito sullo squilibrio tra “evidenza” e “banalità”,15 intende illustrare la condizione di ambiguità in cui il comunismo napoletano ha agito: per quanti sforzi siano stati fatti, 8 Cfr. Rea, Mistero napoletano: 9. Cfr. Pezzella 2019: 95: «La rievocazione dei possibili dimenticati non è un vano esercizio della nostalgia, ma scoperta di una tradizione alternativa, che sorregga una lotta ancora presente, un’“altra Napoli”, che si affianca come un doppio insistente a quella dominata e sconfitta». 10 Giglioli 2016: 204. 11 Rea, Mistero napoletano: 315. 12 Ivi: 7-8. 13 Ivi: 7. 14 Ivi: 33. 15 Cfr. ivi: 107-108: «Non fummo in grado di distinguere che la superficie delle cose. […] Ripeto: eravamo pesci rossi in un acquario. Avevamo l’impressione che la realtà, intorno a noi, fosse sconfinata; avevamo l’impressione di essere dentro a un oceano: non ci rendevamo conto che a mezzo metro dal nostro naso c’era una parete trasparente, un invalicabile muro invisibile. L’ampiezza dell’orizzonte era soltanto illusione, inganno visivo». 9 346 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano nessuna azione è riuscita ad essere efficace. Il nuoto del pesce rosso (l’azione comunista) ha smosso solo le acque nelle quali ha operato: all’esterno (Napoli, l’Italia, l’Europa) tutto è rimasto, invece, immobile. È a questo proposito che il teorema può essere considerato nel contesto della fantascienza politica: ciò che sembrava impossibile (l’inefficacia del comunismo) si è effettivamente verificato. Lo stupore di Rea nel raccontare tali sviluppi mostra quanto gli eventi accaduti a Napoli si siano prodotti nell’intercapedine tra reale e illusione: il tempo pietrificato della città non è stato dovuto a «una fatalità soprannaturale», ma a «un intreccio di circostanze molto terrene, concrete, politiche. E strategiche».16 Il libro è giallo perché intende risolvere uno degli aspetti di cui si compone il “mistero” del titolo: «scoprire, a distanza di oltre trent’anni, perché si uccise Francesca, la sera di Venerdì Santo 1961, perché per lei non ci fu salvezza possibile».17 Il “mistero” su Francesca risulta essere sfaccettato: alla domanda principale, infatti, se ne aggiungono altre. Rea accumula materiali e notizie non solo per inquadrare in determinati ruoli i suoi intervistati, e per soppesarne eventuali mancanze in relazione al caso principale, ma anche per fare chiarezza sul contesto generale nel quale tanto loro quanto Francesca hanno vissuto e agito. Fantascientifico (politico) e giallo sono i poli sui quali Rea ha costruito MN come diario. Benché il diario rimandi a un’idea di semplicità e di poca formalizzazione, per la vicinanza tra fatto e suo riferimento sulla pagina, va riconosciuto il tratto pregiudiziale di tale considerazione. MN, che dà corpo al ritorno in città dopo la fuga “napoletana” del 1957, sembra contraddire – per gli argomenti politici assunti e trattati – la polemica avviata dall’autore durante la de-stalinizzazione. In realtà, questa contraddizione è solo apparente. La discussione dell’autore sull’illiberalità del comunismo stalinista può essere letta come una denuncia sic et simpliciter dell’intera esperienza comunista: è in questo modo che i suoi detrattori, come l’autore ricostruisce nel racconto La comunista, hanno letto MN. La legittimità di questo punto di vista è dovuta alla natura contraddittoria della forma a cui MN stesso fa riferimento. Il diarista non produce qualcosa che ha con la realtà un legame diretto perché, «detta e quindi ripensata, l’esperienza si trasforma […] nell’esperienza seconda del dire, del ripensare, coi suoi ritmi, le sue esigenze, le sue retoriche peculiari e costantemente asintotiche e […] con l’eteronomia dei suoi livelli di verisimiglianza». 16 17 Rea, Rosso Napoli: 29. Id., Mistero napoletano: 7. 347 Mirko Mondillo La scrittura dell’esperienza del “fatto” operata dal diarista, invece che produrre una corrispondenza tra quanto è scritto e quanto è stato vissuto, comporta «un allontanamento più o meno tangibile da essa».18 È per questo motivo che nella lettura del diario di MN lo stalinista che Rea vorrebbe porre dinanzi ai suoi stessi errori può legittimamente pensare che l’autore del libro abbia descritto qualcosa che non è: non per mancanza di sincerità da parte dell’autore, ma per la non condivisione sia del «modus dicendi» del testo sia del ragionamento che presenta. L’ulteriore definizione di MN come «libro di viaggio in forma di diario» serve a specificare come il testo – pur riferendosi a coordinate molto precise (la Napoli del 1993) – riesca a trattare le oscillazioni di un passato in cui non vi è stata “perdita” e quindi possibilità di salvezza, né per la città né per i suoi abitanti. 3. Il diario narrativo in Mistero napoletano Al limitare tra il diary-novel e il diario-journal vi è un tipo di diario diverso. Un simile testo di confine potrebbe essere definito come diario narrativo. La distanza dal primo è data dal riferimento a «a world which is already existent». Se la realtà descritta dal romanziere ha un suo proprio significato e le sue descrizioni possono incontrare o meno il gusto del lettore, quella del diarista narrativo difficilmente può essere oggetto di una simile critica. Ciò che si esime da tale critica è l’evento stesso che il diarista narrativo intende interpretare: «the diarist is shaped by events that befall him».19 La distanza dal secondo risulta da due fenomeni: la mancanza della necessità di deprivatizzare il testo per entrare in un «public realm», da un lato, e la particolare applicazione di un ordo di tipo aristotelico. L’incontro tra lettore di diario e suo scrittore avverrebbe solo con un “salto” dall’esperienza del privato al «public realm of speaking and telling»; operazione che rientra in un processo definito come «“deprivatization” of the diary».20 Pur facendo a meno dei procedimenti della 18 Secchieri 2008: 79. Prince 1974: 167. 20 Kuhn-Osius 1981: 172. 19 348 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano deprivatizzazione,21 nel diario narrativo non mancano i mezzi atti alla sua raccontabilità.22 Mentre è diaristica la sua macro-struttura,23 sono narrative la progressione e la costruzione del discorso intorno a una trama, la quale a sua volta può anche diramarsi in e contenere sotto-storie collegate al punto centrale. La raccontabilità del diario non è data solo da elementi come la Streben, la suspense, l’accelerazione, la caratterizzazione degli individui, ecc., ma è assicurata anche dall’uso del tempo passato e dalla gestione della fine. Lejeune ha definito il diario come «antifiction» perché l’uso del presente in questa forma sarebbe in opposizione rispetto alla fiction. Nella sua lettura il presente diaristico – verbale e contenutistico – sarebbe incompatibile con la fiction: se il futuro è imprevedibile ed indicibile e il passato non si presta facilmente alla contraddizione, il presente «oppose un démenti immédiat à tout ce qui serait de l’ordre de l’invention».24 In realtà, poiché la questione del diario non va intesa in termini di verità e menzogna, ma in termini di modus dicendi e di sua condivisione da parte del lettore, la ricostruzione immaginaria del presente o di tutto ciò che, pur appartenendo al passato, l’autore tratta con urgenza nel presente è possibile. Proprio come nella fiction, quel passato epico di cui parla Hamburger è possibile anche nel diario – in particolar modo in quello narrativo – se l’autore affronta gli aspetti di un’anteriorità in connessione con un senso e un significato da afferrare nel presente. In MN la possibilità narrativa è assicurata da tale uso del passato epico, che non è in contrasto né con il presente della sua scrittura né con il futuro della sua lettura. Collegata alla questione del passato epico è quella della particolare applicazione che nel diario narrativo si ha di un ordo di tipo aristotelico.25 In linea generale il diario-journal e la scrittura diaristica del diary-novel non conoscono la propria fine. Hanno un inizio 21 Presenza di «well-known story lines, especially travel and historical events», finzionalizzazione del contenuto diaristico, esaltazione del commento come principio di coerenza testuale, presenza di blanks. 22 Cfr. Giovannetti 2012: 106: «La raccontabilità di una storia corrisponde cioè alla possibilità, alla virtualità, che essa manifesta, di essere narrata con successo». 23 «Schema di sviluppo cronologico relativamente esterno e predeterminato», tendenza allo “zibaldonismo” in funzione di un’«elevata eterogeneità contenutistica dell’annotato», «intermittenza dovuta all’imprevedibile manifestarsi delle occasioni scatenanti» (Secchieri 2008: 83-84), affermazione di prima persona in esenzione sia dalle marche onomastiche sia dal riferimento a un destinatario esplicito (cfr. Lejeune 2009). 24 Lejeune 2007: 4. 25 Cfr. Meneghelli 2013: 183: «il diario è una forma narrativa molto problematica, perché chi racconta non sa cosa accadrà il giorno dopo, e perché manca spesso di una conclusione». 349 Mirko Mondillo che di solito è contingente all’occasione per cui una certa data diventa memorabile, hanno una parte centrale dedicata al suo sviluppo, hanno un termine. Il loro termine, tuttavia, non è scioglimento, non è risoluzione, non è in rapporto con nulla che possa dirsi “interno” al discorso. Il termine di queste scritture deriva, infatti, da qualcosa di “esterno”: mancanza di interesse, morte dell’estensore o dell’autore sulla cui scrittura si svolge il romanzo, smarrimento del supporto, delusione nei confronti dell’attività, ecc. È, quindi, un rapporto tra esterno ed interno che determina il loro termine. Quella che è una consuetudine nel diario-journal e nel diario del diary-novel non è presente nel diario narrativo. Lo scrittore di questo testo non conosce la fine della propria scrittura, ma sa che vi è: opera in un regime di consapevolezza sconosciuto alle altre due forme. Se nell’ordo aristotelico del racconto la fine segue il mezzo, che a sua volta segue il principio, ed è quindi ciò che dà coerenza e soddisfazione all’intero discorso, la particolarità della fine nel diario narrativo deriva dal fatto che – a fronte del principio di coerenza – la soddisfazione ottenibile nel punto finale può anche essere delusa. Se la coerenza del suo discorso è data dal rispetto dell’ordo, la sua delusione può essere riconosciuta nell’atto mancato da parte dell’autore di sviluppare la fase del mezzo. Nell’utilizzo della macro-struttura diaristica, questo testo si comporta come una scrittura minuscola che ambisce ad essere maiuscola: la sua argomentazione si dirige verso un punto finale che lo concluda, e anche se questo non accade la tensione che la sorregge è finalizzata in ogni caso a trovare una risoluzione del discorso e, quindi, a ritornare alla questione posta nel principio aristotelico. In questa tensione il movimento dell’argomentazione non si comporta diversamente da quello in atto, ad esempio, in un’opera di fiction. 4. L’epico in Mistero napoletano Se si leggesse MN saltando la premessa autoriale si perderebbe il chiarimento dell’occasione della sua scrittura. MN è stato scritto come soddisfazione di una richiesta e di un appello ultraterreni: «Ho letto questi diari […] come una sua tardiva richiesta di giustizia, il suo estremo appello all’amico di tanto tempo fa: sii il mio testimone, spiega tu al mondo sino a che punto fui innocente. Fui vittima. Fui ingenua. Fui strumento inconsapevole di trame 350 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano tessute da perfide volontà».26 La devozione ieratica che motiva la scrittura non si concretizza in una semplice celebrazione del ruolo avuto dagli individui in un dato tempo. In questo senso, il senso della morte tracciato in MN non è meramente metonimico. Benché il suicidio di Francesca rispecchi quello compiuto da un’intera comunità, il suo racconto non è geremiade: il consorzio sociale che l’evento dovrebbe rinforzare è già al di fuori della storia, come si evince dalla moderazione e dal sospetto con cui l’ancòra comunista Rea riferisce dell’elezione del socialista-ex operaista Bassolino a sindaco di Napoli (1993). La morte di Francesca richiamata per descrivere un mondo-che-è-stato vissuto da molti non produce una «iscrizione del senso del vivere di ciascuno in un disegno superiore», ma offre – attraverso il ricordo proposto al lettore – una «trasmissione di valori socialmente condivisi».27 La ricostruzione del contesto e la congettura circa i suoi risvolti fanno sì che la morte di Francesca diventi epica sia perché essa si smarca dal pericolo della rimozione collettiva da parte della comunità sia perché viene (ri)presentata agli individui della società “dispersa” come atto tragico che deborda dalla sua natura singolare. Il suicidio di Francesca rientra quindi in quegli eventi che «sembrano poter vivere oltre se stessi, trasferendosi in uno spazio alternativo, […] che trascende la singolarità della vita e garantisce una sorta di eternità».28 Da questo punto di vista, l’attenzione riservata al contesto ha un duplice ruolo: da un lato, favorisce il racconto fondativo dell’amicizia Rea/Francesca, dal momento che è in precise coordinate che essa prima si fonda (gli anni Cinquanta) e poi si rinsalda (gli anni Novanta del diario); dall’altro, costituisce un precedente da richiamare nel giudizio delle condotte negative e divergenti rispetto all’idea originaria. Questi elementi vengono raccontati dall’autore volgendoli nel mythos, ovvero attraverso una gestione dei contenuti che agisce sulla realtà a cui questi stessi contenuti appartengono per mezzo di un distanziamento (da qui la necessità della lontananza avvertita da Rea). Tale realtà viene raccontata «sotto forma di leggi»,29 ovvero in modo da trarre dalla sua esposizione un vero, perché è attraverso un simile tipo di ordinamento che l’autore può giungere alla chiarezza. È proprio nell’attitudine nei confronti della Legge, distorta dal comportamento 26 Rea, Mistero napoletano: 12-13. Li Vigni 2021: 9. 28 Tirinanzi De Medici 2017: 61. 29 Condello - Torraca 2021: 215. 27 351 Mirko Mondillo di Francesca, prima, e risarcita dalla scrittura diaristica di Rea,30 dopo, che la ricostruzione del “mistero” e del contesto diventa epica, dal momento che è nella sua resa letteraria che la fondazione tanto di un’etica quanto di una comunità viene tracciata nelle sue strutture più profonde. Il tratto epico che l’autore riconosce alla morte di Francesca – nervo della narrazione circostanziale e specola dell’elucubrazione su Guerra Fredda, PCI e stalinismo – è riconoscibile nella sua stessa dismisura: quella per cui Francesca lascia come messaggio al suo compagno Renzo solo una poesia da interpretare, quella per cui essa avviene in un momento insospettabile e incredibile,31 quella per cui essa può essere messa in relazione sia a quella di amici vicini sia a quella di figure tanto lontane da essere quasi archetipiche.32 L’ostinazione di Rea nel ricostruire ciò che non è possibile (le ragioni profonde di un gesto compiuto da altri) non tende a silenziare per sempre un evento: non rientra cioè nelle pratiche di gestione del lutto demartiniano. Anzi, è finalizzata ad illustrare la vitalità della sua stessa eco nel presente e a sottolinearne il carattere di vera e propria prodezza eroica: di fronte al disgusto per il circostante, Francesca riscatta la propria umanità negandosela e rifiutando, per la sua degradazione, quell’etica del comunismo stalinista che aveva da sempre rispettato. Poiché rassegnazione e smemoratezza prodotta da rimozione non si sono verificati, MN riesce a compiere ciò che Rea si era ripromesso di fare. Il successo della “fine” di MN va inteso alla luce della sua gestione del tempo: propostosi di verificare quanto è accaduto nel passato da un punto di osservazione “presente”, l’autore costruisce un rapporto temporale molto particolare, nel complesso elastico.33 L’elasticità del rapporto tra passato indagato, presente da cui parte l’indagine e futuro al quale lasciarla in eredità non implica per le diverse temporalità una mancanza di caratterizzazione. Se il futuro è sia il tempo nel 30 Sugli usi pubblico-politici della scrittura diaristica, cfr. Hellbeck 2006. Quando il trasferimento a Roma imposto a Renzo potrebbe assicurare alla coppia una relativa tranquillità “politica”. 32 Francesca è «donna troppo piena di fremiti romantici», ammiratrice di Seneca (il cui gesto estremo rivede in quello replicato da Caccioppoli) e con una profonda cultura classica: su queste basi, Rea motiva il gesto di Francesca con la sua lealtà nei confronti di un ideale in cui si intrecciano una linea estetica e una linea etica. Se Francesca si suicida è per affermare sulla propria esistenza, nel momento in cui se ne priva definitivamente, la propria volontà, sull’esempio romantico e sull’esempio stoico di Seneca via Caccioppoli. 33 L’elasticità è inoltre tratto associato anche alla scrittura diaristica, cfr. Cottam 2001: 267-268. 31 352 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano quale i “debiti” del presente con il passato sono più vicini a una risoluzione sia il tempo dell’utopia e dell’auspicio, mentre il presente è quello della consapevolezza, il passato è il punto zero. Quest’ultimo rappresenta sì la dimensione della dismisura dell’etica da seguire rispetto all’esistenza vissuta, ma anche la temporalità che permette attraverso la sua stessa rievocazione e ricostruzione letteraria di comprendere il presente e di preservare sul nascere il futuro. Il sentimento del tempo passato di Rea è epico, come filologico è quello del presente e poetico quello del futuro. Anche La Capria ha discusso del tratto epico di MN. L’autore di Ferito a morte reputa elementi d’interesse del testo il suo essere «uno dei pochi libri scritti da un autore napoletano su Napoli che ci parla veramente di storie della borghesia napoletana» e la presentazione di «personaggi [che] pensano, ragionano e sono in tutto e per tutto all’altezza di chi li racconta». L’epico di MN sarebbe dovuto essenzialmente al carattere elitario della società rappresentata (i quadri del Partito, le sue figure decisionali e di spicco) e alla “grandezza” dei suoi stessi individui: questi personaggi strappati dalla vita che li tratteneva sono nel libro fin troppo mitizzati. Ma forse una certa mitomania apparteneva anche a loro, ed era necessaria all’autore, per tirarli fuori dall’oblio cui erano probabilmente destinati. Quel Caccioppoli e quella Francesca che suonano il piano a quattro mani e s’innalzano di colpo nella sfera del sublime, quei paroloni, quella devozione al Partito, alla propria “missione”, insomma, vien da pensare: chi credevano di essere?34 L’epico di fondo di MN sarebbe osservabile anche da un punto di vista stilistico. È interessante notare come La Capria, nel proprio discorso sull’epico di MN, non citi quello che Rea costituisce come una sorta di stile formulare. Il Grande Silenzio (quanto occorse nel comunismo napoletano nei confronti degli eterodossi), il “milione di milioni” come contesto impossibile entro il quale supporre di fare un gesto, il Teorema dell’acquario, la figura di Alcesti, il “rapimento del mare”, la Grande Necessità (la consegna di Napoli agli Alleati in nome della democrazia): termini o espressioni che ricorrono nel testo per sintetizzare o riferire concetti di più ampia portata. Che l’azione di Rea determini certe 34 La Capria 1998: 145. 353 Mirko Mondillo reazioni nei suoi interlocutori non è sufficiente a classificarla nel dominio della “forza”. Infatti, è quello della leggerezza che meglio la caratterizza: la verbalità, ovvero la disposizione a farsi aedo, è il tratto principale che Rea assume sia quando riferisce ricordi altrui sia quando interpreta le confidenze che raccoglie. L’assenza di un’azione propriamente detta serve in MN proprio a comprendere eventi e fatti di cui non è stato pienamente protagonista: se l’autore, infatti, riporta i commenti degli amici, lo fa solamente perché è attraverso il discorso e la parola che riesce a esercitare l’intelligenza sulle cose. Associato alla leggerezza in funzione del ragionamento, lo stile formulare di MN non costituisce per La Capria un elemento propriamente epico della sua scrittura. A proposito della lingua di MN La Capria sostiene che, nonostante un certo astio dell’autore nei confronti degli sviluppi del comunismo, è proprio a partire da essa che è possibile motivare il ricorso al tono «enfatico-epico», spesso adoperato incongruentemente (come nel caso dello sciopero dei tranvieri, descritto come l’«assalto al Palazzo d’Inverno» o l’ammutinamento del «Potëmkin»). Benché la posizione critica di Rea verso lo stalinismo non presupponga la nobilitazione che certi toni assicurano, l’epico a cui l’autore ricorre viene motivato da La Capria con l’intenzione di riferire della guerra interna al Partito in termini di contrasto catastrofico tra un “vecchio” mondo ideologico e una città privati della possibilità di salvezza, da un lato, e un “nuovo” pensiero politico che avrebbe potuto concretizzare questa salvezza, dall’altro. L’inconsueto modo epico utilizzato da Rea ben si confà al contesto sociale rappresentato. Lungi dall’essere quel consorzio umano coeso e tendente verso il medesimo fine, adoperando i medesimi mezzi, che reputa di essere (da qui la “grandezza” di La Capria), la società comunista di MN reca in sé i tratti di una differenziazione che comporta per le azioni dei suoi componenti una impersonalità tale che i loro rapporti di casualità vanno minuziosamente indagati e ricostruiti. Le digressioni sul contesto, i riferimenti di Rea al proprio lavoro di ricerca, la ricostruzione dell’intimo delle persone, la contestualizzazione calendariale degli eventi (il passato viene presentificato in pagine diaristiche che recano luogo e data di composizione), la stessa gestione ritardante del tempo e della “fine” non mirano a una distensione del racconto, ma a una concentrazione epica della sua stessa tensione.35 La storia maiuscola, in questo senso, non appare come un insieme di eventi e fatti slegati tra loro: la centralità dell’io dell’autore convalida il trattamento 35 Cfr. Auerbach 2000. 354 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano epico della materia, dal momento che è attraverso la significatività personale dell’episodio della morte dell’amica che si giunge a sottolineare quella collettiva del contesto in cui esso si è attestato. Anche quando Rea si dilunga, riferendo i propri dubbi sulla lettura dei diari personali dell’amica o sulla legittimità del proprio operato, non si è nell’ordine della cattiva infinità hegeliana, ma nel regime epico in cui nulla deve essere lasciato non detto e nella «tendenza a rappresentare estensivamente la realtà».36 Lo sfruttamento di tale fenomeno consente sia di dare a un evento frattale come la morte di Francesca una reale consistenza (sono Alcesti, Admeto e Thanatos a consustanziarsi in lei, Renzo e il Partito e non quest’ultimi a rimandare alle figure del mito) sia di far sì che una certa speranza di rimozione non si verifichi37 e che quindi il fatto singolare attualizzi anche nel presente la pluralità del passato.38 Nell’aggiornare i moduli dell’epica su fatti che testimoniano la resistenza di un “vecchio” mondo nei confronti di un nuovo ordine etico e sociale Rea costruisce un racconto concreto. In tale costruzione il punto di vista di Rea non è soggetto a una «sistematica restrizione del campo visivo, percettivo e conoscitivo» perché – per mezzo dell’interpretazione e della congettura – il narratore di MN elude il vincolo della «limitazione».39 Il racconto concreto di MN progredisce avvalendosi di una molteplicità di osservazioni che riesce a dissimulare il proprio carattere plurale. Questo insieme viene trasmesso sia attraverso un punto di vista passato e ricordato nel presente sia attraverso un punto di vista presente con cui il passato viene soppesato. Ma il punto di vista finale, che deriva dalla correlazione dei due appena nominati, consta però anche di quelli degli individui interpellati. In questo modo la struttura di MN giace su più piani: sul punto di vista del Rea-di-allora e su quello del Rea-di-ora, sul punto di vista degli interlocutori, i quali a loro volta espongono la loro vecchia Weltanschauung e ciò che a tale riguardo è cambiato; infine, sulla sovrapposizione e anche sul contrasto tra tutti questi punti di vista. In una simile architettura multi-piano, la questione della trasmissione riguarda il modo in 36 Tirinanzi De Medici 2017: 67. Cfr. Rea, Mistero napoletano: 189-190: «uno degli ospiti mi ha chiesto perché mai avessi deciso di occuparmi di Francesca: in fondo, ha detto, non ha contato molto a Napoli. […] Anche un’altra persona, […] giorni orsono mi ha rivolto una domanda analoga, riferendola però a Renzo Lapiccirella. […] avrei fatto meglio a concentrare la mia attenzione su altri nomi: […] insomma su un vincitore, un uomo di successo. Non uno sconfitto». 38 Cfr. ivi: 72. 39 Meneghelli 1998: XIV-XV. 37 355 Mirko Mondillo cui l’autore ha risolto la complessità derivante dal riferirsi a due periodi storici distinti, a due “personalità” diverse (stalinista pura vs. comunista critica), a due ordini della società diversi;40 di conseguenza, riguarda il modo in cui tutto ciò è stato trasmesso all’interno di un atto comunicativo. Se Rea segue le «orme» dei suoi “personaggi”,41 questo accade per discutere del rapporto di casualità tra le loro azioni e la “verità” sul mistero di Francesca. La supposizione di tale rapporto è ciò che dà senso allo specifico evento sul quale l’autore si concentra: mentre la sua costruzione dipende dalla relazione tra diversi punti di vista, oltre che da elementi verificabili/verificatisi, la sua espressione non può che essere quella del dubbio e della congettura, dal momento che l’addizione di varie certezze non comporta automaticamente una verità al quadrato. L’epico di MN può essere riconosciuto, ma facendo a meno della lettura politica di La Capria. È di ascendenza epica il contatto con il campo avversario che Rea, che possiede un proprio “accampamento” di riferimento, e in nome del quale parla, ha con la capitaneria americana di Bagnoli per chiedere informazioni sull’installazione della base NATO a Napoli e sul “sequestro” del porto cittadino. È omerica la scena in cui la parte offesa va da chi in quel momento gli è avversario, nell’enclave creatasi in un territorio che gli è proprio, a chiedere ragione della possibilità non concessa di riscattare il corpo morto.42 Ha la dismisura tipica dell’epica quel dissidio tra volontà di democrazia e democrazia “impedita” alla fine della Seconda guerra mondiale, tra Blocco Occidentale e Orientale, tra comunisti ortodossi ed eterodossi. Battaglie, lotte in campo aperto, tradimenti segreti, macchinazioni nell’ombra, martiri e glorificazioni: i personaggi di Rea, ciascuno ascrivibile a un preciso “campo”, e quindi a precisi accampamenti e quartieri, agiscono e discutono comprendendo tali dissidi all’interno delle proprie personali prospettive, facendosi cioè portatori di quelle che Ryan definisce come «embedded narratives».43 Eppure, quella dell’epico in MN non è solo una questione contenutistica. 40 MN è stato scritto in un ordine della realtà (sociale, culturale, politico, ecc.) nettamente diverso rispetto a quello in cui si colloca cronologicamente: cioè nel post-1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo la fine della contrapposizione dei blocchi occidentale e orientale, dopo la fine della Guerra Fredda. 41 Rea, Mistero napoletano: 191-192. 42 Il riferimento è al discorso tra Priamo e Achille circa la restituzione del cadavere di Ettore in Iliade, XXIV. 43 Cfr. Ryan 1991: 156: «Embedded narratives […] are the story-like constructs contained in the private worlds of characters. These constructs include not only the dreams, fictions, and fantasies conceived or told by characters, but any kind of representation concerning past or future states and events: plans, passive projections, desires, beliefs concerning the history of TAW [Textual Actual World, ndr.]. Among these em356 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano La rievocazione di un passato reale, esperito da soggetti reali in ambienti reali, invaliderebbe quanto sostenuto da Hamburger circa il preterito epico. Il tempo verbale passato che viene utilizzato nelle narrazioni come l’epica non indicherebbe la collocazione cronologica del fatto esposto, ma solamente la sua finzionalità:44 la lettura di MN alla luce del preterito epico non sarebbe quindi possibile a causa dell’assenza di personaggi finzionali. Tuttavia, tra le definizioni di MN vi è anche quella di libro di fantascienza. Uno degli ambiti di pertinenza di MN è quindi individuato nella fiction: questo collegamento riferisce dell’incredibilità degli anni Cinquanta e Sessanta napoletani, italiani e “occidentali” percepita da quanti li hanno vissuti. Se le persone ascoltate e il loro passato sono reali, è lo statuto di ciò che hanno vissuto ad essere, paradossalmente, simile a quello della finzione: il “fatto” è reale, è il suo “sviluppo” ad apparire fantasioso; d’altra parte, è lo stesso autore a rispondere allo sviluppo fantasioso dei fatti reali con lo strumento della congettura come prodotto equidistante tanto dall’immaginazione quanto dalla realtà. Il preterito epico di MN permette all’autore, nonostante la lontananza dalla finzione, di narrare – e non semplicemente di esporre – una posteriorità e di effettuare quel cambiamento tra origo-io e origines-io utile sia alla costruzione della congettura sia ad esprimere diverse embedded narratives. L’evocazione del mondo-che-è-stato avviene al condizionale passato, quindi, non perché MN si serva esclusivamente di questo modo verbale e del suo tempo. Anzi, il modo verbale più frequentemente utilizzato è quello dell’indicativo, di cui viene utilizzata la gamma dei tempi passati. Il suo uso, però, non è quello consueto. Era l’alba quando i tranvieri del deposito di San Giovanni a Teduccio incrociarono per primi le braccia riunendosi in assemblea. L’astensione dal lavoro si protrasse dalle quattro e trenta del mattino sino alle sette e mezza, cioè sino al momento in cui subentrò il personale viaggiante e quello addetto alle officine del secondo turno, che dichiarò a sua volta uno sciopero di alcune ore. […] vicoli e strade venivano battuti da pattuglie in assetto di guerra. La parola “pace” non doveva risuonare per nessuno motivo al mondo: gli ordini da Roma erano tassativi.45 bedded narratives, some reflect the events of the factual domain, while others delineate unactualized possibilities». 44 Cfr. Hamburger 1973: 68-96. 45 Rea, Mistero napoletano: 255. 357 Mirko Mondillo Questo passo è stato aspramente criticato da La Capria per il kitsch prodotto dal tono epico impiegato e per la contraddizione “linguistica” dell’autore, che, pur volendo giudicare lo stalinismo, «ritrova il linguaggio di allora» e diventa «vittima delle stesse illusioni dei suoi personaggi», dando l’impressione di «condividerle ancora».46 In realtà, in questo passo il ricorso ai tempi passati non serve a preparare una scena narrativa perché gli elementi discussi (lo sciopero, l’assetto da guerra, l’ordine da Roma, ecc.) sono essi stessi sviluppi di una più ampia riflessione (il pacifismo nel PCI) che si riferisce al rapporto tra gli oggetti intellettuali assunti da Rea. I tempi con i quali questi elementi vengono raffigurati non concretizzano una mitizzazione sotterranea di ciò che in superficie si sostiene di voler giudicare, ma rappresentano solamente il modo logico di trasmettere gli elementi ritenuti necessari a un’evocazione del mondo-che-è-stato. Il processo evocativo avviene al condizionale passato perché il suo mondo di riferimento appartiene a un tempo anteriore, ma soprattutto perché il regime entro il quale viene assunto è quello dell’invece-avrebbe-dovuto e dell’invece-avrebbe-potuto: Napoli avrebbe potuto essere cosa diversa, invece di essere ciò che è stata; il comunismo avrebbe potuto e dovuto essere cosa diversa, invece di essere stato ciò che è stato; Francesca avrebbe dovuto e potuto vivere, invece di suicidarsi. 5. L’ipermoderno e Mistero napoletano In MN l’autore non viene mai riconosciuto per nome. La mancanza del nome si attesta nonostante l’autore si fregi della marca pronominale e grammaticale “io”. Nell’eliminare il dato che più può individuarlo, rende le proprie congetture e le proprie supposizioni oggetto di una vera e propria condivisione. Queste vengono condivise affinché anche gli altri interpreti degli anni del comunismo napoletano possano comprendere il proprio ruolo nel mistero del titolo. In tal senso, la mancanza in MN del nome dell’autore va collegata all’intenzione di rendere quanto più agile possibile il processo di immedesimazione del lettore nella ricostruzione. Questo fenomeno, facilitato da Rea, non va inteso come un’ammissione di insignificanza rispetto al lavoro compiuto, ma come un’esaltazione dell’avvicinamento alla verità, che risulterà tanto più rilevante quanto meno invadente 46 La Capria 1998: 146. 358 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano sarà la presenza autoriale. L’ipoindividualità di Rea, di cui non vengono forniti dettagli caratterizzanti, è da questo punto di vista più in debito con i moduli dell’epica che non con quelli del romanzo: per mezzo della possibilità diaristica di fare a meno di riferirsi a sé stesso come attante e della “leggerezza” aedica, l’autore “presta” la propria voce a una comunità di cui ha fatto parte e della cui origine è stato membro attivo. La voce di Rea, benché sia presente lungo tutto il testo, accoglie in sé quella di tante altre personalità, ma senza mai minimizzarle (persino il factotum della redazione de «l’Unità» di Napoli ha diritto alla parola, anche di ingiuria).47 La mancanza del nome non è, quindi, indice dell’uso della forma diaristica per illustrare la relazione dell’autore con il proprio io. Da un lato, l’uso dell’io in assenza della marca onomastica testimonia l’insufficienza di una conoscenza di tipo oggettivo, dal momento che «la semplice ricognizione dei dati […] non può spiegare nulla».48 Questa insufficienza riguarda solamente il paradigma positivista, tant’è vero che in MN a essere esaltata è la posizione “interna” dell’autore come unica prospettiva praticabile. Assunta tale posizione, diventa automatico che a essere oggetto del racconto sia anche lo stesso Rea, in un doppio movimento in cui si hanno un allontanamento da sé per dire di Francesca e degli anni napoletani e un avvicinamento a sé per dire delle reazioni che quest’operazione suscita: «dire ciò che di una storia parla e risuona nella propria, significa in realtà non dire né la storia dell’uno, né la storia dell’altro, né una individualità, né l’altra, ma l’una e l’altra: significa dire “ciò” che avviene nell’andare dall’una all’altra».49 Dall’altro, il dubbio e il sospetto di Rea e il suo essere personaggio interrogativo50 sono gli elementi che favoriscono l’immedesimazione del lettore. La definizione della scrittura come incubo e peso51 relativizza lo sforzo autoriale nell’esercizio del suo essere interrogativo. È in questo atto che il lettore può immedesimarsi, affinando sull’ansia di Rea di avvicinarsi il più possibile alla verità del “fatto” la propria ansia di scoprire le molte chiavi possibili del mistero. Pubblicato nel 1995, MN è stato scritto tra il 1993 e il 1994. Fa riferimento a eventi di quarant’anni prima, osservati da una prospettiva ad essi ulteriore, ma strizza 47 Cfr. Rea, Mistero napoletano: 31. Tamassia 2020: 7. 49 Ivi: 8. 50 Sull’essere “interrogativo” del narratore come punto privilegiato per l’opera di immedesimazione del lettore, cfr. Brugnolo 2020: 6-15. 51 Cfr. Rea, Mistero napoletano: 363-364. 48 359 Mirko Mondillo l’occhio a un futuro che si spera migliore. Il suo autore si esprime in prima persona, eppure questa figura resta innominata per tutto il testo e il simbolo grafico che più lo rappresenta è il punto di domanda, non quello esclamativo. La certezza è avulsa da ogni contesto e i documenti, quando raggiungibili, vanno interpretati e non hanno valore di verità assoluta. Alla luce di tutti questi fenomeni, in apparente opposizione l’uno all’altro, MN andrebbe letto come testo di una fase aurorale dell’ipermoderno italiano. La parola per Rea è «incubo», ma è anche un’attività che va praticata con costanza. Per comprendere in che modo la parola autoriale si particolareggi bisogna tenere presente che il suo argomento di riferimento è soprattutto la Storia. La mediazione dell’autore rispetto ai “fatti” di cui dà conto non è all’insegna di un gusto antiquario: benché il “mondo” considerato sia ormai totalmente diverso da quello in cui scrive, l’operazione epica di MN tende a fare «controstoria degli sconfitti e dei marginali» dal tempo presente di un individuo anch’esso sconfitto e marginale.52 Il disgusto che porta a questo risultato non è motivato ideologicamente, ma ciò non vuol dire che Rea discuta senza rifarsi a un’idea. La mediazione, quindi, si svolge nel contrasto tra un’ideologia che ha fallito e un’idea che invece è sopravvissuta, tra comunismo come Partito e socialismo democratico come idea. Nel porre sé stesso come ente mediatore tra passato e presente, tra “fatto” e sua interpretazione, vi è la consapevolezza di Rea circa la produttività della discussione della realtà anche in termini letterari. La sua parola, in questo senso, è già oltre il gesto postmoderno di rendere indipendenti l’uno dall’altro i poli della realtà e della letterarietà.53 La sua concezione del racconto è, infatti, estremamente positiva, nonostante sia conscio del fatto che, come mezzo, non potrà risolvere l’obiettivo prefissatosi. Eppure, tra la formulazione di una congettura e la decisione di non tentare nulla è la prima strada quella che viene percorsa. Per mezzo di un realismo balzachiano,54 in MN non si assiste alla trasformazione degli eventi in finzione, e quando l’autore espone le proprie supposizioni, le dichiara sempre come tali. La stessa determinazione di Rea a non fare del testo un «romanzetto»55 può essere messa in relazione con la «resistenza alla finzionalizzazione» 52 Cfr. Tirinanzi De Medici 2018: 82-95. Cfr. Donnarumma 2014: 147. 54 Cfr. ivi: 70. 55 Rea, La comunista: 55. 53 360 Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano e alla «trasformazione in [fiction] degli elementi tratti dalla cronaca e dalla storia»56 che si attestano nella letteratura italiana proprio negli anni di composizione e pubblicazione di MN. Nel difendere la serietà del rapporto tra cronaca e storia, da un lato, e letteratura, dall’altro, MN ha già in sé un’infiorescenza ipermoderna.57 L’autore non saprà mai come siano andate effettivamente le cose: non c’è svelamento, ma al massimo ricostruzione e collegamento tra sensi e sensazioni; la sua parola, mentre cerca di cogliere la portata di un certo “male”, trattiene in sé il peso di una fatica, che è quella della restaurazione dei diritti di una verità. Tali diritti vengono esercitati da Rea attraverso la decostruzione del modo in cui i fatti storici del PCI napoletano sono stati tramandati e trasmessi. Per fare ciò, il gesto principale che viene compiuto è quello di una contrapposizione che deriva da una presa di posizione: un individuo che non viene chiamato per nome che, per riabilitare un’idea e coloro che l’avevano fatta propria, si scontra con un insieme di personalità, debitamente nominate, che invece hanno fatto di quell’idea – in nome dell’ideologia – un oggetto di perversione e dei suoi sostenitori dei soggetti da silenziare. La vulgata relativa a un PCI dai tratti democratici che in MN viene rovesciata diventa oggetto di una narrazione da parte di un soggetto che afferma continuamente la propria posizione rispetto ad essa, che – per il suo stesso gesto – occupa un ruolo di minorità e che – per storia personale rispetto al Partito e a parte della propria comunità – è stato costretto alla marginalità. L’operazione di Rea mira al beneficio della città e del paese, tanto da poter essere considerata come un tentativo di (contro-)storia patria. Il tratto ipermoderno di MN consiste nell’insieme di vari elementi: il confronto che l’autore, in prima persona e assumendosene la responsabilità, ha con gli eventi cittadini e nazionali; la sua posizione di mediazione nei confronti di questi eventi e la consapevolezza che solo attraverso questo gesto è possibile confermare il “diritto” della verità;58 la credibilità delle esperienze ricostruite a fronte dell’incredibilità del tempo storico in cui si sono avute; la concezione positiva del racconto; l’esaltazione del documento commentato e citato in completezza di dati, e la sua chiara circoscrizione nel flusso narrativo. 56 Donnarumma 2014: 117. Cfr. ivi: 118: «la letteratura ipermoderna combatte la finzionalizzazione universale, proprio perché ci fa i conti. […] Ogni rappresentazione ha una forma, ogni racconto è costruito, ogni scrittura è […] un artefatto; ma questo non significa che ogni rappresentazione, ogni racconto, ogni scrittura sia fiction, cioè invenzione». 58 Cfr. ivi: 208. 57 361 Mirko Mondillo BIBLIOGRAFIA Bibliografia primaria Rea, Mistero napoletano = Ermanno Rea, Mistero napoletano, Milano, Feltrinelli, 2016 [I ed. 1995]. Rea, Rosso Napoli = Ermanno Rea, Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii. Mistero napoletano, La dismissione, Napoli Ferrovia, prefazione di Giulio Ferroni, nota introduttiva di Ermanno Rea, Milano, BUR, 2009. Rea, La comunista = Ermanno Rea, La comunista. Due storie napoletane, Milano, Giunti, 2012. Bibliografia secondaria Auerbach 2000 = Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, a cura di Aurelio Roncaglia, vol. I, Torino, Einaudi, 2000. 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