EPICO ED IPERMODERNO IN MISTERO
NAPOLETANO
Mirko Mondillo
Università di Siena - Katholieke Universiteit Leuven
Riassunto: Obiettivi di questo articolo sono la discussione della presenza epica a livello strutturale nel diario narrativo Mistero napoletano (1995) di Ermanno Rea e l’individuazione delle sue
particolarità e delle sue caratteristiche. A tal fine, nella prima parte del contributo si rileverà sia
come il tempo costituisca uno dei temi centrale del testo sia in che modo Mistero napoletano rappresenti qualcosa di ulteriore rispetto alle forme del diario-journal e del diary novel, pervenendo
alla definizione di diario narrativo. Nella parte centrale del contributo la presenza del tratto epico di
Mistero napoletano verrà discussa assumendo alcuni elementi, quali il preterito epico di Hamburger, la riformulazione di determinati moduli epici (il dissidio tra “vecchio” e “nuovo”, la dismisura,
l’Evento in grado di trascendere sé stesso, il rapporto tra singolo e comunità, il senso della morte
nel sistema valoriale di quest’ultima, l’ipoindividualità dell’autore, ecc.), la lettura politica di La
Capria, il quale designa in termini negativi il portato epico presente nel testo, spiegandolo solo
come ideologico. Nell’ultima parte del contributo l’osservazione dell’epico in Mistero napoletano
sarà accompagnata a una lettura globale del testo secondo la teoria letteraria dell’ipermoderno e si
osserverà come la struttura epica del testo ben si confaccia a quanto descritto da Donnarumma.
Parole chiave: Mistero napoletano, Ermanno Rea, diario, ipermoderno, epico, Napoli
Abstract: Discussing the presence of epic in the structure of Ermanno Rea’s narrative diary
Mistero napoletano (1995) and identifying its epic features are main goals for this paper. In order
to do this, in the first section time will be considered as one of main themes in Mistero napoletano;
moreover, I will illustrate how this text as a form represents something different to diary-journal
and diary novel, arriving at the definition of narrative diary. In the central section the presence of
epic in Mistero napoletano will be discussed through certain elements, such as Hamburger’s epic
preterite, the reformulation of some traditional epic schemes (the contrast between Old and New,
AOQU – Forme e modi dell’epica2, IV, 1 (2023)
https://riviste.unimi.it/aoqu - ISBN 9788855269711 - DOI: 10.54103/2724-3346/20504
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the sense of disproportion, the relationship between the individual and its community, the sense
of death in the latter’s value system, the author’s hypoindividuality, etc.), the “political” reading of
Mistero napoletano by La Capria, who refers to the presence of epic in Rea’s text in negative terms
as something motivated only ideologically. In the last section the discussion on epic in Mistero
napoletano will be accompanied by a reading of this text within the hypermodern literary theory;
moreover, it will observed how the epic structure of Mistero napoletano fits well with what Donnarumma describes.
Key-words: Mistero napoletano, Ermanno Rea, Diary, Hypermodern, Epic, Naples
***
1. La centralità del tempo e l’etica della reazione
Nella produzione di Rea appaiono centrali «il conflitto tra temporalità diverse, l’ombra
del passato, l’incapacità di liberarsene e insieme la sua identità labile e molteplice, […] l’immobilizzarsi e il dilatarsi paradossale del presente».1 Il tempo è una coordinata che l’autore
osserva per interpretarne i contenuti: è per tale pratica che nella narrativa “napoletana” di
Rea si hanno un’assenza dell’onniscienza2 e un allargamento delle voci disposte al dialogo
o alla risposta.3 Mistero napoletano (d’ora in poi MN), La dismissione (LD) e Napoli Ferrovia (NF) sono stati riuniti nella raccolta Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii.
Questo titolo sottolinea sia la centralità della città di Napoli come cronotopo narrativo di
Rea sia il collegamento politico tra i testi. Se MN è il testo nel quale il “rosso” del comunismo (inter)nazionale viene descritto in una fase apicale in cui si manifestano già i segni del
declino (soprattutto morale), in quelli successivi si ha un cambiamento “cromatico”. Ne
LD il “rosso” di MN scolorisce per uno sbandamento ideologico che porta Buonocore, al
vertice della propria carriera, a dirigere lo smontaggio dell’Ilva di Bagnoli e a ritrovarsi al
centro di una nevrosi collettiva e individuale.4 In NF lo scolorimento è compiuto: l’ideale
1
Meneghelli 2012: 264.
L’assenza di un narratore onnisciente può essere intesa come scelta estetica dovuta a esternazione di una
coscienza etico-politica, cfr. Giorgio 2007: 234.
3
Tale ampiezza dialettica permette al narratore di sottrarsi al gesto sia dell’intrusione nella mente dei vari
personaggi sia di presentarsi come pienamente al corrente di fatti ed eventi.
4
Cfr. Marmo 2001: 156.
2
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Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
che in MN era di pertinenza comunista è ora incarnato da un personaggio antitetico come
Caracas, naziskin convertito all’Islam. In questo «unico fluviale romanzo»5 se MN ha
una certa preminenza non è solo per precedenza di composizione, ma è perché presenta
dei temi che verranno in seguito ripresi e approfonditi.
In MN il contesto sociale è quello dal quale l’autore si allontana nel 1957, più di
tre anni dopo la morte di Stalin. È un contesto che conosce molto bene e dai cui membri
è ben conosciuto. Ciò che Rea realizza in MN è innanzitutto un appello di quanti dovrebbero essere informati del fatto “semplice” che ispira la scrittura: la morte dell’amica e
“compagna” Francesca Spada. A tali individui, nella Napoli dei quali ritorna dopo tante
peregrinazioni e dopo tanti anni di lontananza, Rea fa opera di auto-agnizione e illustra il
motivo della propria sorprendente presenza:
Da quanti anni non rivedevo Franco Grassi? Quando ieri l’altro, al telefono, ho pronunciato il mio nome c’è stato un lungo silenzio. Poi, finalmente, ho sentito la sua voce un po’
incespicante: «Ma va’!». Il tono era quello dell’incredulità beffarda, venato forse da un
filo di emozione. Ha giocato d’anticipo: «Scommetto che vuoi incontrarmi per parlare di
Francesca». «Già. Chi ti ha informato?» «Nessuno».6
Come nel palinsesto omerico del ritorno di Odisseo a Itaca e della raccolta dei propri fedeli
contro i Proci che innerva sotterraneamente MN, Rea riunisce quella società a cui un
tempo è appartenuto e che ora gli appare dispersa. Eppure, per dispersa che sia, questa
“società” gli è indispensabile affinché la sua interpretazione di quegli anni non sia caratterizzata dall’insufficienza. A dare un ordine al gran numero di voci convocate, distinguendosene,7 vi è quella dell’autore, che, pur facendo tanti nomi e tanti cognomi, si fa responsabile delle loro affermazioni accogliendole nel proprio discorso. Nella convocazione di
uomini e donne e nella rievocazione della loro passata unità vi è un’etica della reazione che,
5
Rea, Rosso Napoli: 37.
Id., Mistero napoletano: 14.
7
Cfr. Perrella 2016: 388: «Rea dimentica la paura e interroga il passato. È anzi assetato di passato e si stupisce di come i suoi interlocutori possano vivere nella dimenticanza e nella rimozione».
6
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limitando l’invenzione letteraria,8 intende additare attraverso un ordine da (ri)stabilire9 i
colpevoli dello sfacelo sociale, morale e politico della comunità. La fedeltà a questo tipo
di etica si presenta come atto imprescindibile per chi, come Rea, «non riesce a perdonarsi
che il passato sia andato come è andato».10 Tale doloroso risentimento etico è ciò che spinge Rea a impedire che l’ignavia del passato ricada anche sul futuro: «ho paura d’essermi
imbarcato in un’impresa disperata dalla quale non potrò uscirne che a pezzi».11
2. I “tre libri” in Mistero napoletano
Nella premessa al testo Rea parla di MN come di «libro di fantascienza» e «libro giallo
– giallo esistenziale», ma soprattutto come «libro di viaggio in forma di diario».12 La
fantascienza di MN viene collegata alle tematiche specifiche del «tempo pietrificato» e
delle «coscienze espropriate dal loro diritto al cambiamento».13 La loro discussione fantascientifica avviene in un «teorema», la cui formulazione è stata possibile solo a distanza:
tale posizione di «lontananza» rispetto ai fatti descritti è avvertita come necessaria perché è solo attraverso la registrazione di quanto è accaduto che la «banalità» d’un tempo
mostra di essere sempre stata nient’altro che un’«evidenza».14 Il teorema «dell’acquario»,
istituito sullo squilibrio tra “evidenza” e “banalità”,15 intende illustrare la condizione di
ambiguità in cui il comunismo napoletano ha agito: per quanti sforzi siano stati fatti,
8
Cfr. Rea, Mistero napoletano: 9.
Cfr. Pezzella 2019: 95: «La rievocazione dei possibili dimenticati non è un vano esercizio della nostalgia,
ma scoperta di una tradizione alternativa, che sorregga una lotta ancora presente, un’“altra Napoli”, che si
affianca come un doppio insistente a quella dominata e sconfitta».
10
Giglioli 2016: 204.
11
Rea, Mistero napoletano: 315.
12
Ivi: 7-8.
13
Ivi: 7.
14
Ivi: 33.
15
Cfr. ivi: 107-108: «Non fummo in grado di distinguere che la superficie delle cose. […] Ripeto: eravamo
pesci rossi in un acquario. Avevamo l’impressione che la realtà, intorno a noi, fosse sconfinata; avevamo l’impressione di essere dentro a un oceano: non ci rendevamo conto che a mezzo metro dal nostro naso c’era una
parete trasparente, un invalicabile muro invisibile. L’ampiezza dell’orizzonte era soltanto illusione, inganno
visivo».
9
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Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
nessuna azione è riuscita ad essere efficace. Il nuoto del pesce rosso (l’azione comunista) ha
smosso solo le acque nelle quali ha operato: all’esterno (Napoli, l’Italia, l’Europa) tutto è
rimasto, invece, immobile. È a questo proposito che il teorema può essere considerato nel
contesto della fantascienza politica: ciò che sembrava impossibile (l’inefficacia del comunismo) si è effettivamente verificato. Lo stupore di Rea nel raccontare tali sviluppi mostra
quanto gli eventi accaduti a Napoli si siano prodotti nell’intercapedine tra reale e illusione: il tempo pietrificato della città non è stato dovuto a «una fatalità soprannaturale»,
ma a «un intreccio di circostanze molto terrene, concrete, politiche. E strategiche».16 Il
libro è giallo perché intende risolvere uno degli aspetti di cui si compone il “mistero” del
titolo: «scoprire, a distanza di oltre trent’anni, perché si uccise Francesca, la sera di Venerdì
Santo 1961, perché per lei non ci fu salvezza possibile».17 Il “mistero” su Francesca risulta
essere sfaccettato: alla domanda principale, infatti, se ne aggiungono altre. Rea accumula
materiali e notizie non solo per inquadrare in determinati ruoli i suoi intervistati, e per
soppesarne eventuali mancanze in relazione al caso principale, ma anche per fare chiarezza
sul contesto generale nel quale tanto loro quanto Francesca hanno vissuto e agito.
Fantascientifico (politico) e giallo sono i poli sui quali Rea ha costruito MN come
diario. Benché il diario rimandi a un’idea di semplicità e di poca formalizzazione, per la
vicinanza tra fatto e suo riferimento sulla pagina, va riconosciuto il tratto pregiudiziale
di tale considerazione. MN, che dà corpo al ritorno in città dopo la fuga “napoletana”
del 1957, sembra contraddire – per gli argomenti politici assunti e trattati – la polemica
avviata dall’autore durante la de-stalinizzazione. In realtà, questa contraddizione è solo
apparente. La discussione dell’autore sull’illiberalità del comunismo stalinista può essere
letta come una denuncia sic et simpliciter dell’intera esperienza comunista: è in questo
modo che i suoi detrattori, come l’autore ricostruisce nel racconto La comunista, hanno
letto MN. La legittimità di questo punto di vista è dovuta alla natura contraddittoria della
forma a cui MN stesso fa riferimento. Il diarista non produce qualcosa che ha con la realtà
un legame diretto perché, «detta e quindi ripensata, l’esperienza si trasforma […] nell’esperienza seconda del dire, del ripensare, coi suoi ritmi, le sue esigenze, le sue retoriche peculiari e costantemente asintotiche e […] con l’eteronomia dei suoi livelli di verisimiglianza».
16
17
Rea, Rosso Napoli: 29.
Id., Mistero napoletano: 7.
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La scrittura dell’esperienza del “fatto” operata dal diarista, invece che produrre una corrispondenza tra quanto è scritto e quanto è stato vissuto, comporta «un allontanamento
più o meno tangibile da essa».18 È per questo motivo che nella lettura del diario di MN lo
stalinista che Rea vorrebbe porre dinanzi ai suoi stessi errori può legittimamente pensare
che l’autore del libro abbia descritto qualcosa che non è: non per mancanza di sincerità da
parte dell’autore, ma per la non condivisione sia del «modus dicendi» del testo sia del ragionamento che presenta. L’ulteriore definizione di MN come «libro di viaggio in forma
di diario» serve a specificare come il testo – pur riferendosi a coordinate molto precise (la
Napoli del 1993) – riesca a trattare le oscillazioni di un passato in cui non vi è stata “perdita” e quindi possibilità di salvezza, né per la città né per i suoi abitanti.
3. Il diario narrativo in Mistero napoletano
Al limitare tra il diary-novel e il diario-journal vi è un tipo di diario diverso. Un simile testo
di confine potrebbe essere definito come diario narrativo. La distanza dal primo è data dal
riferimento a «a world which is already existent». Se la realtà descritta dal romanziere ha
un suo proprio significato e le sue descrizioni possono incontrare o meno il gusto del lettore, quella del diarista narrativo difficilmente può essere oggetto di una simile critica. Ciò
che si esime da tale critica è l’evento stesso che il diarista narrativo intende interpretare:
«the diarist is shaped by events that befall him».19 La distanza dal secondo risulta da due
fenomeni: la mancanza della necessità di deprivatizzare il testo per entrare in un «public
realm», da un lato, e la particolare applicazione di un ordo di tipo aristotelico. L’incontro
tra lettore di diario e suo scrittore avverrebbe solo con un “salto” dall’esperienza del privato al «public realm of speaking and telling»; operazione che rientra in un processo definito come «“deprivatization” of the diary».20 Pur facendo a meno dei procedimenti della
18
Secchieri 2008: 79.
Prince 1974: 167.
20
Kuhn-Osius 1981: 172.
19
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Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
deprivatizzazione,21 nel diario narrativo non mancano i mezzi atti alla sua raccontabilità.22
Mentre è diaristica la sua macro-struttura,23 sono narrative la progressione e la costruzione
del discorso intorno a una trama, la quale a sua volta può anche diramarsi in e contenere
sotto-storie collegate al punto centrale. La raccontabilità del diario non è data solo da elementi come la Streben, la suspense, l’accelerazione, la caratterizzazione degli individui, ecc.,
ma è assicurata anche dall’uso del tempo passato e dalla gestione della fine.
Lejeune ha definito il diario come «antifiction» perché l’uso del presente in questa forma sarebbe in opposizione rispetto alla fiction. Nella sua lettura il presente diaristico
– verbale e contenutistico – sarebbe incompatibile con la fiction: se il futuro è imprevedibile ed indicibile e il passato non si presta facilmente alla contraddizione, il presente
«oppose un démenti immédiat à tout ce qui serait de l’ordre de l’invention».24 In realtà,
poiché la questione del diario non va intesa in termini di verità e menzogna, ma in termini
di modus dicendi e di sua condivisione da parte del lettore, la ricostruzione immaginaria
del presente o di tutto ciò che, pur appartenendo al passato, l’autore tratta con urgenza nel
presente è possibile. Proprio come nella fiction, quel passato epico di cui parla Hamburger
è possibile anche nel diario – in particolar modo in quello narrativo – se l’autore affronta
gli aspetti di un’anteriorità in connessione con un senso e un significato da afferrare nel
presente. In MN la possibilità narrativa è assicurata da tale uso del passato epico, che non
è in contrasto né con il presente della sua scrittura né con il futuro della sua lettura.
Collegata alla questione del passato epico è quella della particolare applicazione
che nel diario narrativo si ha di un ordo di tipo aristotelico.25 In linea generale il diario-journal e la scrittura diaristica del diary-novel non conoscono la propria fine. Hanno un inizio
21
Presenza di «well-known story lines, especially travel and historical events», finzionalizzazione del contenuto diaristico, esaltazione del commento come principio di coerenza testuale, presenza di blanks.
22
Cfr. Giovannetti 2012: 106: «La raccontabilità di una storia corrisponde cioè alla possibilità, alla virtualità, che essa manifesta, di essere narrata con successo».
23
«Schema di sviluppo cronologico relativamente esterno e predeterminato», tendenza allo “zibaldonismo”
in funzione di un’«elevata eterogeneità contenutistica dell’annotato», «intermittenza dovuta all’imprevedibile manifestarsi delle occasioni scatenanti» (Secchieri 2008: 83-84), affermazione di prima persona in
esenzione sia dalle marche onomastiche sia dal riferimento a un destinatario esplicito (cfr. Lejeune 2009).
24
Lejeune 2007: 4.
25
Cfr. Meneghelli 2013: 183: «il diario è una forma narrativa molto problematica, perché chi racconta
non sa cosa accadrà il giorno dopo, e perché manca spesso di una conclusione».
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che di solito è contingente all’occasione per cui una certa data diventa memorabile, hanno
una parte centrale dedicata al suo sviluppo, hanno un termine. Il loro termine, tuttavia,
non è scioglimento, non è risoluzione, non è in rapporto con nulla che possa dirsi “interno” al discorso. Il termine di queste scritture deriva, infatti, da qualcosa di “esterno”:
mancanza di interesse, morte dell’estensore o dell’autore sulla cui scrittura si svolge il romanzo, smarrimento del supporto, delusione nei confronti dell’attività, ecc. È, quindi, un
rapporto tra esterno ed interno che determina il loro termine. Quella che è una consuetudine nel diario-journal e nel diario del diary-novel non è presente nel diario narrativo. Lo
scrittore di questo testo non conosce la fine della propria scrittura, ma sa che vi è: opera
in un regime di consapevolezza sconosciuto alle altre due forme. Se nell’ordo aristotelico
del racconto la fine segue il mezzo, che a sua volta segue il principio, ed è quindi ciò che dà
coerenza e soddisfazione all’intero discorso, la particolarità della fine nel diario narrativo
deriva dal fatto che – a fronte del principio di coerenza – la soddisfazione ottenibile nel
punto finale può anche essere delusa. Se la coerenza del suo discorso è data dal rispetto
dell’ordo, la sua delusione può essere riconosciuta nell’atto mancato da parte dell’autore
di sviluppare la fase del mezzo. Nell’utilizzo della macro-struttura diaristica, questo testo
si comporta come una scrittura minuscola che ambisce ad essere maiuscola: la sua argomentazione si dirige verso un punto finale che lo concluda, e anche se questo non accade
la tensione che la sorregge è finalizzata in ogni caso a trovare una risoluzione del discorso
e, quindi, a ritornare alla questione posta nel principio aristotelico. In questa tensione
il movimento dell’argomentazione non si comporta diversamente da quello in atto, ad
esempio, in un’opera di fiction.
4. L’epico in Mistero napoletano
Se si leggesse MN saltando la premessa autoriale si perderebbe il chiarimento dell’occasione della sua scrittura. MN è stato scritto come soddisfazione di una richiesta e di un appello ultraterreni: «Ho letto questi diari […] come una sua tardiva richiesta di giustizia, il suo
estremo appello all’amico di tanto tempo fa: sii il mio testimone, spiega tu al mondo sino a
che punto fui innocente. Fui vittima. Fui ingenua. Fui strumento inconsapevole di trame
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Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
tessute da perfide volontà».26 La devozione ieratica che motiva la scrittura non si concretizza in una semplice celebrazione del ruolo avuto dagli individui in un dato tempo. In
questo senso, il senso della morte tracciato in MN non è meramente metonimico. Benché
il suicidio di Francesca rispecchi quello compiuto da un’intera comunità, il suo racconto
non è geremiade: il consorzio sociale che l’evento dovrebbe rinforzare è già al di fuori della
storia, come si evince dalla moderazione e dal sospetto con cui l’ancòra comunista Rea
riferisce dell’elezione del socialista-ex operaista Bassolino a sindaco di Napoli (1993). La
morte di Francesca richiamata per descrivere un mondo-che-è-stato vissuto da molti non
produce una «iscrizione del senso del vivere di ciascuno in un disegno superiore», ma
offre – attraverso il ricordo proposto al lettore – una «trasmissione di valori socialmente
condivisi».27 La ricostruzione del contesto e la congettura circa i suoi risvolti fanno sì che
la morte di Francesca diventi epica sia perché essa si smarca dal pericolo della rimozione
collettiva da parte della comunità sia perché viene (ri)presentata agli individui della società
“dispersa” come atto tragico che deborda dalla sua natura singolare. Il suicidio di Francesca rientra quindi in quegli eventi che «sembrano poter vivere oltre se stessi, trasferendosi
in uno spazio alternativo, […] che trascende la singolarità della vita e garantisce una sorta
di eternità».28 Da questo punto di vista, l’attenzione riservata al contesto ha un duplice
ruolo: da un lato, favorisce il racconto fondativo dell’amicizia Rea/Francesca, dal momento che è in precise coordinate che essa prima si fonda (gli anni Cinquanta) e poi si rinsalda (gli anni Novanta del diario); dall’altro, costituisce un precedente da richiamare nel
giudizio delle condotte negative e divergenti rispetto all’idea originaria. Questi elementi
vengono raccontati dall’autore volgendoli nel mythos, ovvero attraverso una gestione dei
contenuti che agisce sulla realtà a cui questi stessi contenuti appartengono per mezzo di
un distanziamento (da qui la necessità della lontananza avvertita da Rea). Tale realtà viene raccontata «sotto forma di leggi»,29 ovvero in modo da trarre dalla sua esposizione
un vero, perché è attraverso un simile tipo di ordinamento che l’autore può giungere alla
chiarezza. È proprio nell’attitudine nei confronti della Legge, distorta dal comportamento
26
Rea, Mistero napoletano: 12-13.
Li Vigni 2021: 9.
28
Tirinanzi De Medici 2017: 61.
29
Condello - Torraca 2021: 215.
27
351
Mirko Mondillo
di Francesca, prima, e risarcita dalla scrittura diaristica di Rea,30 dopo, che la ricostruzione
del “mistero” e del contesto diventa epica, dal momento che è nella sua resa letteraria che
la fondazione tanto di un’etica quanto di una comunità viene tracciata nelle sue strutture
più profonde.
Il tratto epico che l’autore riconosce alla morte di Francesca – nervo della narrazione circostanziale e specola dell’elucubrazione su Guerra Fredda, PCI e stalinismo – è
riconoscibile nella sua stessa dismisura: quella per cui Francesca lascia come messaggio al
suo compagno Renzo solo una poesia da interpretare, quella per cui essa avviene in un
momento insospettabile e incredibile,31 quella per cui essa può essere messa in relazione
sia a quella di amici vicini sia a quella di figure tanto lontane da essere quasi archetipiche.32
L’ostinazione di Rea nel ricostruire ciò che non è possibile (le ragioni profonde di un gesto compiuto da altri) non tende a silenziare per sempre un evento: non rientra cioè nelle
pratiche di gestione del lutto demartiniano. Anzi, è finalizzata ad illustrare la vitalità della
sua stessa eco nel presente e a sottolinearne il carattere di vera e propria prodezza eroica:
di fronte al disgusto per il circostante, Francesca riscatta la propria umanità negandosela
e rifiutando, per la sua degradazione, quell’etica del comunismo stalinista che aveva da
sempre rispettato.
Poiché rassegnazione e smemoratezza prodotta da rimozione non si sono verificati, MN riesce a compiere ciò che Rea si era ripromesso di fare. Il successo della “fine” di
MN va inteso alla luce della sua gestione del tempo: propostosi di verificare quanto è accaduto nel passato da un punto di osservazione “presente”, l’autore costruisce un rapporto
temporale molto particolare, nel complesso elastico.33 L’elasticità del rapporto tra passato
indagato, presente da cui parte l’indagine e futuro al quale lasciarla in eredità non implica
per le diverse temporalità una mancanza di caratterizzazione. Se il futuro è sia il tempo nel
30
Sugli usi pubblico-politici della scrittura diaristica, cfr. Hellbeck 2006.
Quando il trasferimento a Roma imposto a Renzo potrebbe assicurare alla coppia una relativa tranquillità
“politica”.
32
Francesca è «donna troppo piena di fremiti romantici», ammiratrice di Seneca (il cui gesto estremo rivede
in quello replicato da Caccioppoli) e con una profonda cultura classica: su queste basi, Rea motiva il gesto di
Francesca con la sua lealtà nei confronti di un ideale in cui si intrecciano una linea estetica e una linea etica. Se
Francesca si suicida è per affermare sulla propria esistenza, nel momento in cui se ne priva definitivamente, la
propria volontà, sull’esempio romantico e sull’esempio stoico di Seneca via Caccioppoli.
33
L’elasticità è inoltre tratto associato anche alla scrittura diaristica, cfr. Cottam 2001: 267-268.
31
352
Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
quale i “debiti” del presente con il passato sono più vicini a una risoluzione sia il tempo
dell’utopia e dell’auspicio, mentre il presente è quello della consapevolezza, il passato è il
punto zero. Quest’ultimo rappresenta sì la dimensione della dismisura dell’etica da seguire
rispetto all’esistenza vissuta, ma anche la temporalità che permette attraverso la sua stessa
rievocazione e ricostruzione letteraria di comprendere il presente e di preservare sul nascere il futuro. Il sentimento del tempo passato di Rea è epico, come filologico è quello del
presente e poetico quello del futuro.
Anche La Capria ha discusso del tratto epico di MN. L’autore di Ferito a morte
reputa elementi d’interesse del testo il suo essere «uno dei pochi libri scritti da un autore
napoletano su Napoli che ci parla veramente di storie della borghesia napoletana» e la
presentazione di «personaggi [che] pensano, ragionano e sono in tutto e per tutto all’altezza di chi li racconta». L’epico di MN sarebbe dovuto essenzialmente al carattere elitario
della società rappresentata (i quadri del Partito, le sue figure decisionali e di spicco) e alla
“grandezza” dei suoi stessi individui:
questi personaggi strappati dalla vita che li tratteneva sono nel libro fin troppo mitizzati.
Ma forse una certa mitomania apparteneva anche a loro, ed era necessaria all’autore, per
tirarli fuori dall’oblio cui erano probabilmente destinati. Quel Caccioppoli e quella Francesca che suonano il piano a quattro mani e s’innalzano di colpo nella sfera del sublime, quei
paroloni, quella devozione al Partito, alla propria “missione”, insomma, vien da pensare:
chi credevano di essere?34
L’epico di fondo di MN sarebbe osservabile anche da un punto di vista stilistico. È interessante notare come La Capria, nel proprio discorso sull’epico di MN, non citi quello
che Rea costituisce come una sorta di stile formulare. Il Grande Silenzio (quanto occorse
nel comunismo napoletano nei confronti degli eterodossi), il “milione di milioni” come
contesto impossibile entro il quale supporre di fare un gesto, il Teorema dell’acquario,
la figura di Alcesti, il “rapimento del mare”, la Grande Necessità (la consegna di Napoli
agli Alleati in nome della democrazia): termini o espressioni che ricorrono nel testo per
sintetizzare o riferire concetti di più ampia portata. Che l’azione di Rea determini certe
34
La Capria 1998: 145.
353
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reazioni nei suoi interlocutori non è sufficiente a classificarla nel dominio della “forza”.
Infatti, è quello della leggerezza che meglio la caratterizza: la verbalità, ovvero la disposizione a farsi aedo, è il tratto principale che Rea assume sia quando riferisce ricordi altrui
sia quando interpreta le confidenze che raccoglie. L’assenza di un’azione propriamente
detta serve in MN proprio a comprendere eventi e fatti di cui non è stato pienamente
protagonista: se l’autore, infatti, riporta i commenti degli amici, lo fa solamente perché
è attraverso il discorso e la parola che riesce a esercitare l’intelligenza sulle cose. Associato
alla leggerezza in funzione del ragionamento, lo stile formulare di MN non costituisce per
La Capria un elemento propriamente epico della sua scrittura. A proposito della lingua
di MN La Capria sostiene che, nonostante un certo astio dell’autore nei confronti degli
sviluppi del comunismo, è proprio a partire da essa che è possibile motivare il ricorso al
tono «enfatico-epico», spesso adoperato incongruentemente (come nel caso dello sciopero dei tranvieri, descritto come l’«assalto al Palazzo d’Inverno» o l’ammutinamento del
«Potëmkin»). Benché la posizione critica di Rea verso lo stalinismo non presupponga la
nobilitazione che certi toni assicurano, l’epico a cui l’autore ricorre viene motivato da La
Capria con l’intenzione di riferire della guerra interna al Partito in termini di contrasto
catastrofico tra un “vecchio” mondo ideologico e una città privati della possibilità di salvezza, da un lato, e un “nuovo” pensiero politico che avrebbe potuto concretizzare questa
salvezza, dall’altro. L’inconsueto modo epico utilizzato da Rea ben si confà al contesto
sociale rappresentato. Lungi dall’essere quel consorzio umano coeso e tendente verso il
medesimo fine, adoperando i medesimi mezzi, che reputa di essere (da qui la “grandezza”
di La Capria), la società comunista di MN reca in sé i tratti di una differenziazione che
comporta per le azioni dei suoi componenti una impersonalità tale che i loro rapporti di
casualità vanno minuziosamente indagati e ricostruiti. Le digressioni sul contesto, i riferimenti di Rea al proprio lavoro di ricerca, la ricostruzione dell’intimo delle persone, la
contestualizzazione calendariale degli eventi (il passato viene presentificato in pagine diaristiche che recano luogo e data di composizione), la stessa gestione ritardante del tempo
e della “fine” non mirano a una distensione del racconto, ma a una concentrazione epica
della sua stessa tensione.35 La storia maiuscola, in questo senso, non appare come un insieme di eventi e fatti slegati tra loro: la centralità dell’io dell’autore convalida il trattamento
35
Cfr. Auerbach 2000.
354
Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
epico della materia, dal momento che è attraverso la significatività personale dell’episodio della morte dell’amica che si giunge a sottolineare quella collettiva del contesto in cui
esso si è attestato. Anche quando Rea si dilunga, riferendo i propri dubbi sulla lettura dei
diari personali dell’amica o sulla legittimità del proprio operato, non si è nell’ordine della
cattiva infinità hegeliana, ma nel regime epico in cui nulla deve essere lasciato non detto e nella «tendenza a rappresentare estensivamente la realtà».36 Lo sfruttamento di tale
fenomeno consente sia di dare a un evento frattale come la morte di Francesca una reale
consistenza (sono Alcesti, Admeto e Thanatos a consustanziarsi in lei, Renzo e il Partito
e non quest’ultimi a rimandare alle figure del mito) sia di far sì che una certa speranza di
rimozione non si verifichi37 e che quindi il fatto singolare attualizzi anche nel presente
la pluralità del passato.38 Nell’aggiornare i moduli dell’epica su fatti che testimoniano la
resistenza di un “vecchio” mondo nei confronti di un nuovo ordine etico e sociale Rea
costruisce un racconto concreto. In tale costruzione il punto di vista di Rea non è soggetto
a una «sistematica restrizione del campo visivo, percettivo e conoscitivo» perché – per
mezzo dell’interpretazione e della congettura – il narratore di MN elude il vincolo della
«limitazione».39 Il racconto concreto di MN progredisce avvalendosi di una molteplicità
di osservazioni che riesce a dissimulare il proprio carattere plurale. Questo insieme viene
trasmesso sia attraverso un punto di vista passato e ricordato nel presente sia attraverso
un punto di vista presente con cui il passato viene soppesato. Ma il punto di vista finale,
che deriva dalla correlazione dei due appena nominati, consta però anche di quelli degli
individui interpellati. In questo modo la struttura di MN giace su più piani: sul punto
di vista del Rea-di-allora e su quello del Rea-di-ora, sul punto di vista degli interlocutori,
i quali a loro volta espongono la loro vecchia Weltanschauung e ciò che a tale riguardo è
cambiato; infine, sulla sovrapposizione e anche sul contrasto tra tutti questi punti di vista.
In una simile architettura multi-piano, la questione della trasmissione riguarda il modo in
36
Tirinanzi De Medici 2017: 67.
Cfr. Rea, Mistero napoletano: 189-190: «uno degli ospiti mi ha chiesto perché mai avessi deciso di occuparmi di Francesca: in fondo, ha detto, non ha contato molto a Napoli. […] Anche un’altra persona, […] giorni
orsono mi ha rivolto una domanda analoga, riferendola però a Renzo Lapiccirella. […] avrei fatto meglio a
concentrare la mia attenzione su altri nomi: […] insomma su un vincitore, un uomo di successo. Non uno
sconfitto».
38
Cfr. ivi: 72.
39
Meneghelli 1998: XIV-XV.
37
355
Mirko Mondillo
cui l’autore ha risolto la complessità derivante dal riferirsi a due periodi storici distinti, a
due “personalità” diverse (stalinista pura vs. comunista critica), a due ordini della società
diversi;40 di conseguenza, riguarda il modo in cui tutto ciò è stato trasmesso all’interno di
un atto comunicativo. Se Rea segue le «orme» dei suoi “personaggi”,41 questo accade per
discutere del rapporto di casualità tra le loro azioni e la “verità” sul mistero di Francesca.
La supposizione di tale rapporto è ciò che dà senso allo specifico evento sul quale l’autore
si concentra: mentre la sua costruzione dipende dalla relazione tra diversi punti di vista,
oltre che da elementi verificabili/verificatisi, la sua espressione non può che essere quella
del dubbio e della congettura, dal momento che l’addizione di varie certezze non comporta automaticamente una verità al quadrato. L’epico di MN può essere riconosciuto, ma
facendo a meno della lettura politica di La Capria. È di ascendenza epica il contatto con
il campo avversario che Rea, che possiede un proprio “accampamento” di riferimento, e
in nome del quale parla, ha con la capitaneria americana di Bagnoli per chiedere informazioni sull’installazione della base NATO a Napoli e sul “sequestro” del porto cittadino. È
omerica la scena in cui la parte offesa va da chi in quel momento gli è avversario, nell’enclave creatasi in un territorio che gli è proprio, a chiedere ragione della possibilità non concessa di riscattare il corpo morto.42 Ha la dismisura tipica dell’epica quel dissidio tra volontà
di democrazia e democrazia “impedita” alla fine della Seconda guerra mondiale, tra Blocco
Occidentale e Orientale, tra comunisti ortodossi ed eterodossi. Battaglie, lotte in campo
aperto, tradimenti segreti, macchinazioni nell’ombra, martiri e glorificazioni: i personaggi di Rea, ciascuno ascrivibile a un preciso “campo”, e quindi a precisi accampamenti e
quartieri, agiscono e discutono comprendendo tali dissidi all’interno delle proprie personali prospettive, facendosi cioè portatori di quelle che Ryan definisce come «embedded
narratives».43 Eppure, quella dell’epico in MN non è solo una questione contenutistica.
40
MN è stato scritto in un ordine della realtà (sociale, culturale, politico, ecc.) nettamente diverso rispetto a
quello in cui si colloca cronologicamente: cioè nel post-1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo la fine
della contrapposizione dei blocchi occidentale e orientale, dopo la fine della Guerra Fredda.
41
Rea, Mistero napoletano: 191-192.
42
Il riferimento è al discorso tra Priamo e Achille circa la restituzione del cadavere di Ettore in Iliade, XXIV.
43
Cfr. Ryan 1991: 156: «Embedded narratives […] are the story-like constructs contained in the private worlds of characters. These constructs include not only the dreams, fictions, and fantasies conceived or
told by characters, but any kind of representation concerning past or future states and events: plans, passive
projections, desires, beliefs concerning the history of TAW [Textual Actual World, ndr.]. Among these em356
Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
La rievocazione di un passato reale, esperito da soggetti reali in ambienti reali,
invaliderebbe quanto sostenuto da Hamburger circa il preterito epico. Il tempo verbale
passato che viene utilizzato nelle narrazioni come l’epica non indicherebbe la collocazione
cronologica del fatto esposto, ma solamente la sua finzionalità:44 la lettura di MN alla luce
del preterito epico non sarebbe quindi possibile a causa dell’assenza di personaggi finzionali. Tuttavia, tra le definizioni di MN vi è anche quella di libro di fantascienza. Uno degli
ambiti di pertinenza di MN è quindi individuato nella fiction: questo collegamento riferisce dell’incredibilità degli anni Cinquanta e Sessanta napoletani, italiani e “occidentali”
percepita da quanti li hanno vissuti. Se le persone ascoltate e il loro passato sono reali, è lo
statuto di ciò che hanno vissuto ad essere, paradossalmente, simile a quello della finzione:
il “fatto” è reale, è il suo “sviluppo” ad apparire fantasioso; d’altra parte, è lo stesso autore a
rispondere allo sviluppo fantasioso dei fatti reali con lo strumento della congettura come
prodotto equidistante tanto dall’immaginazione quanto dalla realtà. Il preterito epico di
MN permette all’autore, nonostante la lontananza dalla finzione, di narrare – e non semplicemente di esporre – una posteriorità e di effettuare quel cambiamento tra origo-io e
origines-io utile sia alla costruzione della congettura sia ad esprimere diverse embedded
narratives. L’evocazione del mondo-che-è-stato avviene al condizionale passato, quindi,
non perché MN si serva esclusivamente di questo modo verbale e del suo tempo. Anzi, il
modo verbale più frequentemente utilizzato è quello dell’indicativo, di cui viene utilizzata
la gamma dei tempi passati. Il suo uso, però, non è quello consueto.
Era l’alba quando i tranvieri del deposito di San Giovanni a Teduccio incrociarono per primi le braccia riunendosi in assemblea. L’astensione dal lavoro si protrasse dalle quattro e
trenta del mattino sino alle sette e mezza, cioè sino al momento in cui subentrò il personale
viaggiante e quello addetto alle officine del secondo turno, che dichiarò a sua volta uno
sciopero di alcune ore. […] vicoli e strade venivano battuti da pattuglie in assetto di guerra.
La parola “pace” non doveva risuonare per nessuno motivo al mondo: gli ordini da Roma
erano tassativi.45
bedded narratives, some reflect the events of the factual domain, while others delineate unactualized possibilities».
44
Cfr. Hamburger 1973: 68-96.
45
Rea, Mistero napoletano: 255.
357
Mirko Mondillo
Questo passo è stato aspramente criticato da La Capria per il kitsch prodotto dal tono
epico impiegato e per la contraddizione “linguistica” dell’autore, che, pur volendo giudicare lo stalinismo, «ritrova il linguaggio di allora» e diventa «vittima delle stesse illusioni
dei suoi personaggi», dando l’impressione di «condividerle ancora».46 In realtà, in questo
passo il ricorso ai tempi passati non serve a preparare una scena narrativa perché gli elementi discussi (lo sciopero, l’assetto da guerra, l’ordine da Roma, ecc.) sono essi stessi sviluppi di una più ampia riflessione (il pacifismo nel PCI) che si riferisce al rapporto tra gli
oggetti intellettuali assunti da Rea. I tempi con i quali questi elementi vengono raffigurati
non concretizzano una mitizzazione sotterranea di ciò che in superficie si sostiene di voler
giudicare, ma rappresentano solamente il modo logico di trasmettere gli elementi ritenuti
necessari a un’evocazione del mondo-che-è-stato. Il processo evocativo avviene al condizionale passato perché il suo mondo di riferimento appartiene a un tempo anteriore, ma
soprattutto perché il regime entro il quale viene assunto è quello dell’invece-avrebbe-dovuto e dell’invece-avrebbe-potuto: Napoli avrebbe potuto essere cosa diversa, invece di
essere ciò che è stata; il comunismo avrebbe potuto e dovuto essere cosa diversa, invece di
essere stato ciò che è stato; Francesca avrebbe dovuto e potuto vivere, invece di suicidarsi.
5. L’ipermoderno e Mistero napoletano
In MN l’autore non viene mai riconosciuto per nome. La mancanza del nome si attesta
nonostante l’autore si fregi della marca pronominale e grammaticale “io”. Nell’eliminare
il dato che più può individuarlo, rende le proprie congetture e le proprie supposizioni
oggetto di una vera e propria condivisione. Queste vengono condivise affinché anche gli
altri interpreti degli anni del comunismo napoletano possano comprendere il proprio
ruolo nel mistero del titolo. In tal senso, la mancanza in MN del nome dell’autore va
collegata all’intenzione di rendere quanto più agile possibile il processo di immedesimazione del lettore nella ricostruzione. Questo fenomeno, facilitato da Rea, non va inteso
come un’ammissione di insignificanza rispetto al lavoro compiuto, ma come un’esaltazione dell’avvicinamento alla verità, che risulterà tanto più rilevante quanto meno invadente
46
La Capria 1998: 146.
358
Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
sarà la presenza autoriale. L’ipoindividualità di Rea, di cui non vengono forniti dettagli
caratterizzanti, è da questo punto di vista più in debito con i moduli dell’epica che non
con quelli del romanzo: per mezzo della possibilità diaristica di fare a meno di riferirsi a
sé stesso come attante e della “leggerezza” aedica, l’autore “presta” la propria voce a una
comunità di cui ha fatto parte e della cui origine è stato membro attivo. La voce di Rea,
benché sia presente lungo tutto il testo, accoglie in sé quella di tante altre personalità, ma
senza mai minimizzarle (persino il factotum della redazione de «l’Unità» di Napoli ha diritto alla parola, anche di ingiuria).47 La mancanza del nome non è, quindi, indice dell’uso
della forma diaristica per illustrare la relazione dell’autore con il proprio io. Da un lato, l’uso dell’io in assenza della marca onomastica testimonia l’insufficienza di una conoscenza di
tipo oggettivo, dal momento che «la semplice ricognizione dei dati […] non può spiegare
nulla».48 Questa insufficienza riguarda solamente il paradigma positivista, tant’è vero che
in MN a essere esaltata è la posizione “interna” dell’autore come unica prospettiva praticabile. Assunta tale posizione, diventa automatico che a essere oggetto del racconto sia
anche lo stesso Rea, in un doppio movimento in cui si hanno un allontanamento da sé per
dire di Francesca e degli anni napoletani e un avvicinamento a sé per dire delle reazioni che
quest’operazione suscita: «dire ciò che di una storia parla e risuona nella propria, significa
in realtà non dire né la storia dell’uno, né la storia dell’altro, né una individualità, né l’altra,
ma l’una e l’altra: significa dire “ciò” che avviene nell’andare dall’una all’altra».49 Dall’altro,
il dubbio e il sospetto di Rea e il suo essere personaggio interrogativo50 sono gli elementi
che favoriscono l’immedesimazione del lettore. La definizione della scrittura come incubo
e peso51 relativizza lo sforzo autoriale nell’esercizio del suo essere interrogativo. È in questo
atto che il lettore può immedesimarsi, affinando sull’ansia di Rea di avvicinarsi il più possibile alla verità del “fatto” la propria ansia di scoprire le molte chiavi possibili del mistero.
Pubblicato nel 1995, MN è stato scritto tra il 1993 e il 1994. Fa riferimento a
eventi di quarant’anni prima, osservati da una prospettiva ad essi ulteriore, ma strizza
47
Cfr. Rea, Mistero napoletano: 31.
Tamassia 2020: 7.
49
Ivi: 8.
50
Sull’essere “interrogativo” del narratore come punto privilegiato per l’opera di immedesimazione del lettore, cfr. Brugnolo 2020: 6-15.
51
Cfr. Rea, Mistero napoletano: 363-364.
48
359
Mirko Mondillo
l’occhio a un futuro che si spera migliore. Il suo autore si esprime in prima persona,
eppure questa figura resta innominata per tutto il testo e il simbolo grafico che più lo
rappresenta è il punto di domanda, non quello esclamativo. La certezza è avulsa da ogni
contesto e i documenti, quando raggiungibili, vanno interpretati e non hanno valore di
verità assoluta. Alla luce di tutti questi fenomeni, in apparente opposizione l’uno all’altro,
MN andrebbe letto come testo di una fase aurorale dell’ipermoderno italiano.
La parola per Rea è «incubo», ma è anche un’attività che va praticata con costanza. Per comprendere in che modo la parola autoriale si particolareggi bisogna tenere presente che il suo argomento di riferimento è soprattutto la Storia. La mediazione
dell’autore rispetto ai “fatti” di cui dà conto non è all’insegna di un gusto antiquario:
benché il “mondo” considerato sia ormai totalmente diverso da quello in cui scrive, l’operazione epica di MN tende a fare «controstoria degli sconfitti e dei marginali» dal
tempo presente di un individuo anch’esso sconfitto e marginale.52 Il disgusto che porta a
questo risultato non è motivato ideologicamente, ma ciò non vuol dire che Rea discuta
senza rifarsi a un’idea. La mediazione, quindi, si svolge nel contrasto tra un’ideologia che
ha fallito e un’idea che invece è sopravvissuta, tra comunismo come Partito e socialismo
democratico come idea. Nel porre sé stesso come ente mediatore tra passato e presente,
tra “fatto” e sua interpretazione, vi è la consapevolezza di Rea circa la produttività della
discussione della realtà anche in termini letterari. La sua parola, in questo senso, è già oltre il gesto postmoderno di rendere indipendenti l’uno dall’altro i poli della realtà e della
letterarietà.53 La sua concezione del racconto è, infatti, estremamente positiva, nonostante
sia conscio del fatto che, come mezzo, non potrà risolvere l’obiettivo prefissatosi. Eppure,
tra la formulazione di una congettura e la decisione di non tentare nulla è la prima strada
quella che viene percorsa. Per mezzo di un realismo balzachiano,54 in MN non si assiste
alla trasformazione degli eventi in finzione, e quando l’autore espone le proprie supposizioni, le dichiara sempre come tali. La stessa determinazione di Rea a non fare del testo un
«romanzetto»55 può essere messa in relazione con la «resistenza alla finzionalizzazione»
52
Cfr. Tirinanzi De Medici 2018: 82-95.
Cfr. Donnarumma 2014: 147.
54
Cfr. ivi: 70.
55
Rea, La comunista: 55.
53
360
Epico ed ipermoderno in Mistero napoletano
e alla «trasformazione in [fiction] degli elementi tratti dalla cronaca e dalla storia»56 che
si attestano nella letteratura italiana proprio negli anni di composizione e pubblicazione
di MN. Nel difendere la serietà del rapporto tra cronaca e storia, da un lato, e letteratura,
dall’altro, MN ha già in sé un’infiorescenza ipermoderna.57 L’autore non saprà mai come
siano andate effettivamente le cose: non c’è svelamento, ma al massimo ricostruzione e
collegamento tra sensi e sensazioni; la sua parola, mentre cerca di cogliere la portata di un
certo “male”, trattiene in sé il peso di una fatica, che è quella della restaurazione dei diritti
di una verità. Tali diritti vengono esercitati da Rea attraverso la decostruzione del modo in
cui i fatti storici del PCI napoletano sono stati tramandati e trasmessi. Per fare ciò, il gesto
principale che viene compiuto è quello di una contrapposizione che deriva da una presa
di posizione: un individuo che non viene chiamato per nome che, per riabilitare un’idea
e coloro che l’avevano fatta propria, si scontra con un insieme di personalità, debitamente
nominate, che invece hanno fatto di quell’idea – in nome dell’ideologia – un oggetto di
perversione e dei suoi sostenitori dei soggetti da silenziare. La vulgata relativa a un PCI dai
tratti democratici che in MN viene rovesciata diventa oggetto di una narrazione da parte
di un soggetto che afferma continuamente la propria posizione rispetto ad essa, che – per
il suo stesso gesto – occupa un ruolo di minorità e che – per storia personale rispetto al
Partito e a parte della propria comunità – è stato costretto alla marginalità. L’operazione
di Rea mira al beneficio della città e del paese, tanto da poter essere considerata come un
tentativo di (contro-)storia patria. Il tratto ipermoderno di MN consiste nell’insieme di
vari elementi: il confronto che l’autore, in prima persona e assumendosene la responsabilità, ha con gli eventi cittadini e nazionali; la sua posizione di mediazione nei confronti di
questi eventi e la consapevolezza che solo attraverso questo gesto è possibile confermare il
“diritto” della verità;58 la credibilità delle esperienze ricostruite a fronte dell’incredibilità
del tempo storico in cui si sono avute; la concezione positiva del racconto; l’esaltazione del
documento commentato e citato in completezza di dati, e la sua chiara circoscrizione nel
flusso narrativo.
56
Donnarumma 2014: 117.
Cfr. ivi: 118: «la letteratura ipermoderna combatte la finzionalizzazione universale, proprio perché ci fa i
conti. […] Ogni rappresentazione ha una forma, ogni racconto è costruito, ogni scrittura è […] un artefatto;
ma questo non significa che ogni rappresentazione, ogni racconto, ogni scrittura sia fiction, cioè invenzione».
58
Cfr. ivi: 208.
57
361
Mirko Mondillo
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