UNIVERSITA DEL TEMPO LIBERO
Lectio magistralis del 15 dicembre 2023
L’ESSENZA DELLA FESTA. CORNICE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA1
Jimmy Kwizera, PhD2
0. INTRODUZIONE
Una riflessione sulla festa dal punto di vista dell’antropologia filosofica può sembrare, a
prima vista, un compito semplice e circoscritto, quasi secondario rispetto a temi ben più
centrali quali, ad esempio, la libertà o l’affettività. Ma nell’affrontarlo ci si accorge
progressivamente della sua importanza e della sua ampiezza: ciò, in fondo, accade con quasi
tutte le questioni filosofiche, ma in questo caso l’ampiezza è accresciuta dal fatto che si tratta
di un argomento di confine. Infatti per la sua comprensione è necessario fare riferimento a
studi di tipo sociologico ed etnologico, da un lato, e di tipo teologico, dall’altro. Oltretutto,
se si prescindesse dai dati dell’antropologia culturale, non si riuscirebbe ad andare alla
radice del problema e si correrebbe il rischio di limitarsi ad un’interpretazione della
situazione odierna o di un’epoca trascorsa. Non si può sorvolare, poi, sul fatto che questo
argomento si presenta oggi con una particolare attualità, come cercherò di mettere in
evidenza.
In queste pagine intendo in primo luogo mettere in evidenza alcuni degli elementi
antropologici fondamentali nella nozione di festa; volutamente, l’esposizione sarà alquanto
sintetica. Gli elementi antropologici sui quali mi soffermerò sono i seguenti: il legame della
persona con le radici, la relazionalità, il desiderio di felicità e il rapporto temporalitàeternità. Sicuramente non sono gli unici che possono emergere nella riflessione, ma mi
sembra che siano quelli più evidenti e più rilevanti.
1. Il legame della persona con le radici
Fa molto riflettere la cronaca delle giornate della rivoluzione francese, in cui compare la
dettagliata descrizione della coreografia delle nuove feste che subito vennero instaurate.
Viene riferito quanto segue: «Si decretò che la chiesa metropolitana di Notre-Dame doveva
essere trasformata in edificio repubblicano, chiamato Tempio della Ragione; venne quindi
istituita una festa per i giorni di decade, che avrebbe sostituito le cerimonie cattoliche della
domenica». Lo storico narra come si svolsero le prime edizioni della “Festa della Ragione”
e della “Festa dell’Essere Supremo”, con personaggi in costume, arringhe contro i vecchi
“fanatismi” e osannante partecipazione di folla; ma non può esimersi da un commento
critico di disgusto dinanzi a queste scene prive di raccoglimento e di buona fede, in cui un
popolo mutava il proprio culto senza comprendere né il vecchio né il nuovo. Se la prende,
La Lectio è inspirata dai lavori del Professore Francesco Russo. Cf. RUSSO F., Antropologia della Festa in “Acta
Philosophica”, I, 15 (2006), pp. 67-76; RUSSO, F., La Festa. Una Riflessione antropologica, Giuliano Ladolfi Editore,
Novara 2013.
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Pontificia Università della Santa Croce
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quindi, aristocraticamente, con il “popolino”, senza mettere a fuoco l’operazione ideologica
in corso.
Questo è ciò che è sempre accaduto nei regimi totalitari, anche nella Germania nazista e
nell’Unione Sovietica, dove si cercò subito di istituire delle nuove feste, che potessero
contribuire a trasformare la cultura popolare. Perché viene fatto? La risposta è abbastanza
chiara: se si vuole veramente rifondare daccapo la società, in nome di un’ideologia, bisogna
troncarne le radici e la festa è uno dei principali fattori che garantiscono il legame della
persona con le proprie radici. Per comprendere quest’ultima affermazione non bisogna limitarsi
al senso più banale del termine festa, ma occorre pensare alla tendenza a “fare festa” insita in ogni
cultura: si festeggia per ciò che si considera importante e in modo tanto più solenne quanto più
elevati sono i valori implicati. Si festeggia per la nascita o per il matrimonio, per il raccolto dei campi
o per l’inizio dell’anno, per il raggiungimento della maggiore età o per l’arrivo della primavera: la
festa ha a che vedere con l’origine dell’uomo, con le verità fondamentali della sua esistenza, con ciò
che struttura la sua vita e la trascende.
Ecco perché la festa ha una particolare rilevanza e solennità quando sono implicati i valori
religiosi; essa è in stretto collegamento con la virtù della pietas, grazie alla quale rendiamo
onore a Dio, alla famiglia, alla patria e ci sentiamo legati al nostro passato e alla nostra storia,
in una parola alle origini, al “luogo” da cui veniamo e in cui siamo di fatto “impiantati”.
L’importanza di tale virtù, che perfeziona una tendenza insita in ogni individuo umano,
appare per contrasto se si pensa alle tragiche situazioni dello spaesamento o dello
sradicamento, dal punto di vista esistenziale e psicologico.
Qui viene colto un importante aspetto antropologico della festa, cioè quello di mostrare
che l’uomo è un essere “situato”, come hanno sottolineato tanti filosofi esistenzialisti e
personalisti. Tale caratteristica costitutiva della persona può essere vista anche da un’altra
prospettiva: possiamo considerare, infatti, che, affinché ci sia un’autentica festa, occorre un
rapporto adeguato con la realtà circostante, un consenso verso il mondo, senza il quale ci
sarebbe solo il rumore superficiale dello spettacolo; questo consenso indica che siamo e ci
sentiamo radicati in una realtà ben precisa. Il consenso interiore verso la realtà permette di
moltiplicare le occasioni per cui festeggiare, fosse pure per il primo dente che spunta al
bambino. Diversamente, un atteggiamento negativo, pieno di risentimento o di
disperazione, rende impossibile la vera festa. Lo si comprende anche se si pensa quanto
spalanchi il cuore al senso festivo il perdono ricevuto o donato, come descrive in modo
magistrale la parabola evangelica del padre misericordioso, del figlio prodigo e del fratello
maggiore pieno di rancore.
2. La relazionalità
Il secondo elemento menzionato è l’intrinseca relazionalità della festa: si fa festa in unione,
almeno spirituale, con gli altri, giacché la persona umana è ed esiste in relazione. Questo
secondo aspetto, com’è evidente, non è affatto slegato da quello del legame del singolo con
le proprie radici e del consenso interiore verso il mondo in cui ognuno si trova, poiché il
radicamento dell’individuo implica un tessuto di relazioni e l’accettazione della realtà è
vincolata all’apertura benevolente verso gli altri. In effetti, fa parte dell’essere radicati il
sentirsi legati ai parenti, agli amici, al prossimo e accettare la realtà significa accettare gli
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altri che ne fanno parte. È per questo che la festa svolge un fondamentale ruolo integratore
nella società, grazie ai suoi “momenti comuni”, che facilitano l’aggregazione, la
frequentazione di parenti e vicini, con un compito importante riguardo allo sviluppo
dell’interazione del singolo con i suoi simili. La sociologa Franca Alacevich osserva che se
la festa si riducesse ad un “tempo privato”, da gestire individualisticamente, ne risentirebbe
la vitalità della società. E si badi bene che la gestione individualistica del “tempo privato”
in occasione della festa non significa di per sé isolamento dagli altri, giacché si può coltivare
tale atteggiamento anche in una spiaggia gremita o in una discoteca strapiena di gente,
situazioni in cui la contiguità fisica non significa necessariamente condivisione.
La valorizzazione della relazionalità della festa, in effetti, ha una particolare efficacia per
modificare il modo di vivere il tempo libero e persino il tempo in generale. Su questo
argomento bisognerebbe soffermarsi più a lungo, ma mi limito a rilevare che il tempo festivo
si presenta di per sé connotato da rapporti significativi, dall’inserimento in una tradizione
e in una comunità, da una pienezza di senso che illumina anche la ferialità: ai ritmi dei tempi
lavorativi, che possono essere in quanto tali anonimi e livellanti, si sostituisce la ricorrenza
della festa, che indica la necessità di riappropriarsi di una libertà vissuta in relazione, ovvero
di relazioni consapevolmente e liberamente vissute.
3. Il desiderio di felicità
Un terzo elemento antropologico che spicca nella nozione di festa è il desiderio di felicità
insito in ogni persona umana. È vero che tale desiderio soggiace a tutta l’esistenza, ma esso
si manifesta in modo particolarmente evidente nell’ambito che stiamo esaminando. Il giorno
festivo e i riti che lo accompagnano esprimono la ricerca di una felicità che in tali occasioni
viene appena percepita, intravista, colta in modo solo passeggero. Forse questo è l’elemento
antropologico più palese, perciò può bastare un rapido accenno.
Va però precisato che tale desiderio di felicità coinvolge corpo e spirito, quindi si manifesta
sul piano del piacere sensibile e di quello spirituale, del divertimento e del godimento
interiore. Non per nulla, secondo Hegel, la filosofia che si apre all’infinito è una domenica
della vita, in cui si elevi al di sopra delle faccende feriali, sicché dalla teoria sarebbe
inseparabile il senso festivo. Ne deriva che la componente rituale (fatta di gesti, di parole,
di vestiti, e così via) pur non essendo preponderante in modo assoluto, è imprescindibile; a
loro volta, la comprensione e la condivisione dei motivi che stanno alla base della festa ne
sono la spinta fondamentale. Si può anche rilevare che la giocondità non è di per sé
l’elemento caratterizzante della festività: la malinconia e la serietà possono farne parte,
anche se non del tutto separate da una giocondità più profonda 11 e quindi più spirituale.
4. Il rapporto temporalità-eternità
L’ultimo elemento antropologico cui desidero accennare è quello del peculiare rapporto
della persona con il tempo. Infatti, la festa da una parte permette all’individuo di uscire dal
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banale e dal quotidiano; dall’altra, però, favorisce anche l’inveramento o l’illuminazione
dell’ordinario, del feriale, poiché lo fa apparire nella luce e nella prospettiva giuste. Questo
argomento rinvia al problema del cosiddetto “tempo libero” e di come si afferma questa
nozione: la nozione di festa non coincide con quella di tempo libero e quest’ultimo assume
spesso una connotazione solo negativa.
Nella tendenza a fare festa si può cogliere quella proprietà costitutiva dell’essere umano
che possiamo esprimere con l’immagine dello “squilibrio”: noi siamo “squilibrati”, cioè
protesi al di là del presente, al di là dei confini del tempo. Nella festa non avviene un
semplice ricordo, ma una riattualizzazione di un evento significativo, di cui si vuole
prolungare nel presente la portata e trarne slancio per ciò che ci attende nel futuro. In tal
senso, il legame con il passato non solo non è un ostacolo per la progettazione del futuro,
ma ne costituisce la base. Si pensi al ruolo delle ricorrenze lungo l’anno: le prepariamo e le
aspettiamo, sicché la loro attesa e la loro celebrazione sono uno stimolo per lo svolgimento
delle occupazioni abituali. Solo se il rito festivo si riducesse al mero folklore, tenuto in vita
da moventi commerciali o economici, resterebbe come una sovrastruttura inerte e pesante.
Il peculiare rapporto con la temporalità si ricollega al desiderio di felicità: i
festeggiamenti vissuti nel presente ci offrono uno spiraglio sulla perenne beatitudine cui
ogni individuo tende; infatti, come osserva Sant’Agostino, una felicità che non fosse perenne
sarebbe falsa e ingannevole, poiché aspiriamo a una tranquillità che sempre si deve
conservare e mai interrompere. Al riguardo, è importante quanto osserva Platone nel
Simposio sul desiderio degli uomini non solo di possedere il bene, ma altresì di esserne in
possesso per sempre. L’amore è tendenza a essere in possesso del bene per sempre. Quindi
si può dire che nella festa ci affacciamo, in un certo senso, sull’eternità. Al riguardo,
osserviamo che la festa ci sottrae al peso di ciò che incombe “qui e adesso”, ci fa uscire dalle
barriere della storia e, in particolare la festa cristiana, agisce come una premonizione e un
anticipo dell’eternità. Ecco perché soprattutto lo studio di quest’ultimo elemento
antropologico (ma anche del primo e del terzo sopra presentati) condurrebbe per mano a
riflettere sul rapporto tra la persona e la Trascendenza, però non lo prenderemo in esame
esplicitamente.
CONCLUSIONE
All’essenza della festa appartiene una quiete che si oppone all’irrequietezza
dell’operosa vita quotidiana. Una quiete che unisce in sé intensità vitale e contemplazione,
ed è capace di unirle anche quando l’intensità vitale cresce fino alla sfrenatezza. La festa
rivela il senso dell’esistenza quotidiana, l’essenza delle cose che circondano l’uomo e delle
forze che agiscono nella sua vita. La festa quale realtà del mondo degli uomini – così
possiamo definirla riunendo l’elemento soggettivo e quello oggettivo presenti in essa –
significa che l’umanità è capace di darsi alla contemplazione in tempi ritmicamente
ricorrenti, e in tale stato sa incontrare direttamente le realtà più elevate su cui si fonda la sua
intera esistenza.
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Tra gli elementi essenziali della festa non possono mancare, sulla base del consenso
verso la realtà nel suo insieme, l’apertura alla contemplazione, l’oltre-passamento della
piatta quotidianità verso un’eternità che vi si rispecchia, il legame con una comunità.
Uno sforzo puramente umano, l’adempimento abituale del dovere non sono festa, e
partendo da qualcosa che non è festivo non si potrà né celebrare né capire una festa. Occorre
che sopraggiunga qualcosa di divino, grazie a cui diviene possibile ciò che altrimenti
sarebbe impossibile. Si è innalzati su di un piano dove tutto è “come il primo giorno”,
splendente, nuovo e “primigenio”; dove si sta con gli dei, dove anzi si diviene dei; dove
spira l’alito della creazione e si partecipa ad essa. Questa è l’essenza della festa. E ciò non
esclude la ripetizione. Al contrario. Non appena i segni della natura, la tradizione e la
consuetudine, lo rammemorano all’uomo, egli sa partecipare, ogni volta di nuovo, a un
essere e a un creare fuori dall’ordinario. Tempo e uomo divengono festivi.
Si può dire in definitiva che ogni civiltà riversa soffusamente, nei giorni festivi, la
propria idea di educazione e che nel modo di vivere la festa si rispecchia la visione
antropologica dominante in un’epoca.
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