GLI ESULI ROMENI AL CONGRESSO DELL’EUROPA
DELL’AJA (MAGGIO 1948)
Lector univ. dr. Giordano ALTAROZZI
Universitatea „Petru Maior” , Târgu-Mure
Abstract
In 1944, it’s expressed for the first time the idea that only a federal union can ensure the preservation
of freedom and civilization in Europe. In 1947, within the federalist movement, it establishes a committee that
promotes the first Congress of Europe, held in The Hague in May, 7-11, 1948, where also partecipates a group of
Romanian exilates, led by the former Minister of Foreign Affairs, Grigore Gafencu. His speech seeks to provide
freedom of expression to his Country and entire Eastern part of the Continent.
Dal punto di vista istituzionale, l’Unione europea sorge alla fine della seconda guerra
mondiale dalla diffusa volontà di evitare lo scoppio di un nuovo conflitto continentale. I
progetti per la realizzazione dell’Europa unita fanno parte invece di una tradizione culturale
più antica, e in qualche modo hanno costituito il retroterra culturale su cui successivamente si
è fondata la costruzione comunitaria. Limitando l’analisi ai soli ultimi tre secoli va precisato
che, mentre alcuni progetti rivestono un’enorme importanza da un punto di vista filosofico,
culturale e morale, estremamente ridotta risulta la loro effettiva capacità di tradursi in
qualcosa di concreto1.
La nascita delle nuove ideologie nazionalista e marxista nel corso della prima metà del XIX
secolo pongono nuovi, insormontabili limiti ai progetti europeisti; anche un adepto della
collaborazione internazionale come Giuseppe Mazzini, seppur fondata su base nazionale,
deve constatare il fallimento della Giovine Europa, organizzazione da lui fondata a Berna nel
1834 con lo scopo di riunire sotto un’unica guida tutti i popoli che aspirano all’emancipazione
dal dominio straniero e a garantire in un secondo momento la convivenza pacifica dei diversi
popoli2. Il simbolo più chiaro di tale fallimento è la Grande Guerra, allorché l’idea europeista
cede il passo di fronte all’affermazione del nazionalismo3. Il bisogno profondo di unire le
diverse nazioni europee ottiene un nuovo slancio soltanto dopo la fine della prima guerra
1
Cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Roma – Bari, Laterza, 1998; G. Altarozzi, Ideea despre Europa
între Evul mediu i epoca integr rii, in “Revista Bistri ei”, XXI/2, pp. 223-233.
2
Cfr. . Delureanu, Mazzini i români în Risorgimento, Bucure ti, Paideia, 2006; R. Sarti, Giuseppe Mazzini. La
politica come religione civile, Roma – Bari, Laterza, 2005; S. Mastellone, Mazzini e Linton. Una democrazia
europea. 1845-1855, Firenze, Olschki, 2007.
3
Cfr. E. J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 2002; S.
Nicoar , Na iunea modern . Mituri, simboluri, ideologii, Cluj-Napoca, Accent, 2002; E. Gentile, Le religioni
della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma – Bari, Laterza, 2007.
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mondiale. Lo shock provocato dal conflitto e la riconfigurazione del sistema internazionale
che ne segue, con la crescita di potenze non europee (Unione Sovietica, Stati Uniti e
Giappone) e il contestuale declino delle ormai ex grandi potenze (Gran Bretagna e Francia su
tutte), fanno sì che in Europa si cominci a pensare a nuove forme di unione pan-europea che
consentano al Vecchio Continente di assumere una posizione di equidistanza e di autonomia
all’interno dei nuovi equilibri4. In tal senso va, per esempio, l’iniziativa promossa nel corso
degli anni Venti dal conte Richard Coudenhove-Kalergi e fondata sull’idea di una
collaborazione franco-tedesca5, successivamente ripresa da Aristide Briand nel 1929, allorché
presenta davanti all’Assemblea della Società delle Nazioni il primo progetto politico di
Unione europea6.
Le ideologie storiche continuano però a far sentire il loro peso, anche a causa delle deficienze
del cosiddetto “sistema di Versailles”, che a causa della volontà eccessivamente punitiva dei
trattati di pace ha lasciato molte ferite aperte nella società europea7. Tale realtà si traduce
nella moltiplicazione di movimenti e regimi politici fondati su visioni scioviniste, che si
diffondono in diversi Paesi europei, non sempre usciti sconfitti dalla guerra, come
testimoniano i casi italiano, polacco, jugoslavo e romeno8. Nel contesto della radicalizzazione
politica degli anni Trenta9, dunque, movimenti come quello di Coudenhove-Kalergi sono
condannati alla scomparsa o a continuare la loro azione oltreoceano. Tali idee però non
scompaiono completamente; benché colpite duramente dalla violenza nazista, esse continuano
a circolare tra intellettuali e uomini politici di diversi Paesi, e proprio tra le fila della
4
Sulla ristrutturazione del sistema internazionale alla fine della prima guerra mondiale cfr. E. H. Carr,
International Relations between the two World Wars: 1919-1939, London – Basingstoke, Macmillan, 1979; E.
Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma – Bari, Laterza, 1994, pp. 5-112; G. Cip ianu –
V. Vesa (coord.), La fin de la Première Guerre Mondiale et la nouvelle architecture géopolitique européenne,
Cluj-Napoca, Presses Universitaires de Cluj, 2000. Sul dibattito intorno all’idea di un’unione continentale cfr. J.L. Chabot, L’idée d’Europe unie de 1919 à 1939, Grenoble, PUG, 1978; A.-M. Saint-Gille, La «Pan-Europe».
Un débat d’idées dans l’entre-deux-guerres, Paris, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 2003.
5
Cfr. R. N. Coudenhove-Kalergi, Paneurope, Paris – Wien, Éditions Paneuropéennes, 1927; sul pensiero di
Coudenhove-Kalergi cfr. M. Pons, La pensée et l’action de Coudenhove-Kalergi, Lausanne, Fondation
Coudenhove-Kalergi, 1979.
6
Cfr. A. Tarantino, La Paneuropa di Aristide Briand, Napoli, L’economia italiana, 1930; J. Hermans,
L’evolution de la pensée européenne d’Aristide Briand, Nancy, Saint Nicolas de Port, 1965; A. Fleury – L. Jílek
(éds.), Le Plan Briand d’Union fédérale européenne: perspectives nationales et transnationales, avec
documents. Actes du colloque international tenu à Genève du 19 au 21 septembre 1991, Berne, Peter Lang,
1998; S. Giustibelli, Europa, paneuropa, antieuropa: il dialogo tra Francia democratica e Italia fascista
nell’epoca del memorandum Briand, 1929-1934, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.
7
Cfr. F. D’Amoja, Declino e prima crisi dell’Europa di Versailles. Studio sulla diplomazia italiana ed europea,
1931-1933, Milano, Giuffré, 1967; G. Altarozzi – A. Vagnini (a cura di), Versailles. Il Sistema degli Stati
nazionali, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008.
8
Cfr. M. Ambri, I falsi fascismi, Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, Roma, Jouvence, 1980; G. Corni,
Fascismo e fascismi, Roma, Editori riuniti, 1989; E. Collotti, Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1990.
9
Cfr. K. D. Bracher, Il Novecento. Secolo delle ideologie, Roma – Bari, Laterza, 2006; E. Nolte, La guerra civile
europea 1917-1945: nazionalsocialismo e bolscevismo, Milano, BUR, 2008.
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resistenza al nazi-fascismo, nelle prigioni e nella clandestinità, l’idea di un’Europa unita
fondata sui principi di uguaglianza tra Stati, giustizia e libertà torna a nuova vita.
La comune esperienza del carcere e della clandestinità, l’avvicinamento tra i popoli d’Europa
– e non solo – generato dalla lotta al fascismo internazionale che inizia in Spagna e si
conclude con la tragedia della seconda guerra mondiale, operano una serie di cambiamenti di
grande portata anche nei progetti europeistici. Tali mutazioni “genetiche” nell’idea e nei
progetti di Europa unita si ritrovano egregiamente espressi nel manifesto programmatico Per
un’Europa libera e unita – meglio noto come Manifesto di Ventotene – che vede la luce nel
1941 grazie all’azione di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, per essere poi completato nel 1944
da un’introduzione di Eugenio Colorni10. La differenza fondamentale tra questo documento e
i tanti progetti proposti in passato sta nella sua natura squisitamente politica; ovviamente gli
estensori hanno alle proprie spalle un retroterra culturale da cui attingono, ma il loro progetto
oltrepassa i limiti di una semplice speculazione filosofica per trasformarsi in proposta
concreta. Il valore del Manifesto risiede nel fatto di individuare in maniera chiara la necessità
di creare una forza politica nuova, diversa per obiettivi e struttura dai partiti tradizionali legati
alla competizione politica nazionale e dunque incapaci di affrontare in maniera efficace le
problematiche aperte dalla sempre crescente internazionalizzazione.
Tale nuova forza politica vede la luce nell’agosto 1943, quando viene fondato a Milano il
Movimento Federalista Europeo11. Esso si basa sull’idea-cardine del Manifesto di Ventotene
secondo cui lo Stato nazionale ha esaurito la sua missione storica – come dimostrano le due
guerre mondiali che esso ha generato – e che soltanto il superamento della sovranità assoluta
degli Stati e la fondazione di una federazione europea potranno garantire al continente e al
mondo un futuro di pace e collaborazione e il mantenimento della libertà e della civiltà. Il
movimento federalista si diffonde nell’immediato dopoguerra in diversi Paesi europei, sia
occidentali che orientali, e ciò porta alla nascita, nel 1947, dell’Unione Europea dei federalisti
(UEF) e del Movimento federalista mondiale (WFM, World Federalist Movement). Il
federalismo si pone dunque come forza rivoluzionaria e innovativa rispetto alle ideologie
tradizionali; mentre infatti liberalismo, nazionalismo e socialismo sono accomunate –
nonostante le enormi differenze – dalla volontà di mantenere l’Europa divisa in Stati nazionali
sovrani, il federalismo si propone come prioritaria la nascita di uno Stato continentale.
Nonostante il successo che riscuote tra gli intellettuali, però, il Movimento federalista rimane
marginale dal punto di vista politico, anche perché il sistema internazionale postbellico si va
10
A. Spinelli – E. Rossi, Il manifesto di Ventotene, Milano, Arnoldo Mondadori, 2006.
Movimento Federalista Europeo, Origini scopi caratteri e statuto del Movimento federalista europeo, Milano,
s.n., 1947; S. Aronica, Il gruppo di Ventotene, ossia le origini clandestine del Movimento Federalista Europeo,
s.l., s.n., 1957.
11
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riorganizzando secondo una logica di contrapposizione bipolare. Gli Stati Uniti, come
sottolinea Winston Churchill nel suo famoso Discorso alla gioventù accademica tenuto il 19
settembre 1946 all’Università di Zurigo12, guardano con simpatia al progetto di Unione
Europea. Costretta ad accettare la logica della divisione del mondo in zone di influenza
contrapposte, infatti, l’amministrazione americana si convince che l’unione degli Stati europei
possa costituire un elemento di forza sia politico che ideologico e culturale; per essere
funzionale, però, essa deve vedere la luce quanto prima, e la via federalista, con le resistenze
che incontra in Europa, non sembra adatta allo scopo, soprattutto se confrontata con
l’orientamento funzionalista promosso in quegli anni da un altro illustre personaggio di
origine romena, David Mitrany13.
In questo clima si costituisce, all’interno del movimento federalista, un comitato che
promuove il primo Congresso dell’Europa, convocato per il 7-11 maggio 1948 all’Aja e
finalizzato a riunire tutti i gruppi che si pongono come obiettivo la costituzione dell’Unione
dell’Europa. Al Congresso prendono parte delegati di diciassette Stati europei – tutti
appartenenti al blocco occidentale – cui si aggiungono cinque delegati della regione della
Saar14. Accanto ai delegati, poi, prendono parte ai lavori anche gli osservatori di Canada (2
osservatori), Spagna (4 osservatori), Stati Uniti (4 osservatori) e di sette Stati dell’Europa
orientale caduti nel frattempo sotto l’influenza sovietica15. Tra i tanti delegati si trovano anche
personalità di primissimo piano nella vita politica e intellettuale europea: Paul van Zeeland
per il Belgio, Raymond Aron, Coudenhove-Kalergi, Edouard Daladier, André FrançoisPoncet, François Mitterand e Paul Ramadier per la Francia, Konrad Adenauer per la
Germania, Peter Calvocoressi, Winston Churchill, Anthony Eden, Harold Macmillan e
Bertrand Russell per la Gran Bretagna, Nicolò Carandini, Aldo Garosci, Adriano Olivetti,
Salvatore Quasimodo, Ernesto Rossi, Ignazio Silone, Altiero Spinelli e Giuseppe Ungaretti
per l’Italia, Hendrik Brugmans per i Paesi Bassi, Denis De Rougemont ed Ernest Von Schenk
per la Svizzera. Personalità di rilievo si trovano però anche tra gli osservatori; tra queste si
12
Cfr. W. Churchill, Speech to the academic Youth, Zurich, 19.9.1946, disponibile on-line all’indirizzo internet
http://www.jef.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=88&Itemid=52.
13
Cfr. D. Mitrany, A Working Peace System. An Argument for the Functional Development of International
Organization, Chicago, Quadrangle Book, 1966; G. Mammarella, Europa-Stati Uniti. Un’alleanza difficile:
1945-1985, Roma – Bari, Laterza, 1996; G. Mammarella – P. Cacace, Storia e politica dell’Unione europea
1926-2001, Roma – Bari, Laterza, 2001; B. Olivi, L’Europa difficile. Storia politica dell’integrazione europea,
1948-2000, Bologna, il Mulino, 2001.
14
Gli Stati rappresentati sono: Austria (12 delegati), Belgio (68 delegati), Danimarca (32 delegati), Eire (5
delegati), Francia (185 delegati), Germania (51 delegati), Gran Bretagna (157 delegati), Islanda (1 delegato),
Italia (57 delegati), Liechtenstein (3 delegati), Lussemburgo (8 delegati), Paesi Bassi (59 delegati), Norvegia (12
delegati), Svezia (19 delegati), Svizzera (39 delegati), Turchia (1 delegato) e Grecia (18 delegati).
15
Questi sono: Bulgaria (3 osservatori), Cecoslovacchia (10 osservatori), Finlandia (1 osservatore), Ungheria (4
osservatori), Polonia (5 osservatori), Romania (5 osservatori) e Jugoslavia (3 osservatori).
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segnalano György Apponyi per l’Ungheria, Salvador de Madariaga e Indalecio Prieto per la
Spagna, Grigore Gafencu per la Romania.
Le personalità riunite all’Aja in occasione del Congresso, benché ugualmente prestigiose,
presentano origini culturali ed esperienze assolutamente diverse; è dunque impensabile che
l’incontro possa produrre risultati concreti. Nonostante le grandi aspettative generate, il
Congresso si conclude con una risoluzione finale che rende evidente il proprio carattere di
difficile soluzione di compromesso tra i federalisti, che vorrebbero un’Assemblea europea
direttamente eletta dai cittadini e dotata di poteri costituenti, e i confederati o unionisti,
secondo i quali tale Assemblea – i cui membri devono essere designati dai Parlamenti
nazionali – deve limitarsi a raccomandare le misure necessarie per la graduale realizzazione
dell’unità economica e politica del continente, rimandando a un secondo momento la scelta
della forma – federale o confederale – da dare alla nuova struttura comunitaria16. Il
movimento federalista è però spaccato anche al suo interno; lungi dal costituire un blocco
monolitico, infatti, esso è diviso tra un’ala internazionalista favorevole a una federazione tra
Stati e un settore più integralista che guarda con simpatia alla regionalizzazione di questi
ultimi quale tappa intermedia obbligatoria lungo la strada che porta alla federazione.
Ben più importante per i risvolti futuri è però la divisione che si registra tra le posizioni
francesi, apertamente europeiste e spesso federaliste, e quelle britanniche, più articolate.
Mentre i conservatori vorrebbero che la Gran Bretagna assumesse la guida del movimento
europeista per controllarlo e contenerlo, i laburisti si mostrano apertamente scettici e
diffidenti, subordinando la politica europea ai rapporti privilegiati che Londra mantiene da
una parte con gli Stati Uniti e dall’altra con i Paesi membri del Commonwealth britannico. Da
questo confronto emergeranno negli anni immediatamente successivi le posizioni dei due
Paesi: a una Francia decisa a portare avanti una politica europeista si contrapporrà una Gran
Bretagna sempre più orientata verso l’isolamento dal resto del continente e la tutela delle
relazioni preferenziali con altre realtà extraeuropee17.
Il risultato concreto più importante del Congresso dell’Europa del 1948 è senza dubbio
costituito dalla nascita, l’anno successivo, del Consiglio d’Europa, di cui inizialmente fanno
parte Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia,
Olanda e Svezia, con l’importante esclusione della Germania, che costituisce il tema più
scottante del dibattito politico interno al blocco occidentale, oltre che ovviamente all’intera
parte orientale del continente. Il nuovo organismo europeo dimostra però ben presto di non
16
Council of Europe, Congress of Europe / Congrès de l’Europe. The Hague, 7-11 May 1948 / La Haye, 7-11
mai 1948, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 1999, p. 412.
17
A. Varsori, Il Congresso dell’Europa dell’Aja (7-10 maggio 1948), in “Storia contemporanea”, (3), 1990, pp.
463-493.
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essere altro che una concessione simbolica alle aspirazioni dei federalisti; il Consiglio
d’Europa, così come elaborato dai Paesi firmatari del Trattato di Londra, è un organo
consultivo che ha: «lo scopo d’attuare un’unione più stretta fra i Membri per tutelare e
promuovere gli ideali e i principi che sono loro comune patrimonio e per favorire il loro
progresso economico e sociale»18, da perseguire attraverso: «l’esame delle questioni
d’interesse comune, la conclusione di accordi e lo stabilimento di un’opera comune nel campo
economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo»19. Escluse dal campo
d’azione del nuovo organismo comune rimangono invece le questioni attinenti la difesa e la
sicurezza nazionali. Il Trattato istitutivo del Consiglio d’Europa segna dunque la sconfitta
definitiva del progetto federalista, determinata in gran parte dalle resistenze inglesi all’idea di
un’autorità sovranazionale e alla prospettiva di un movimento europeista capace di sfuggire al
controllo dei governi.
Tale risultato non giunge però inatteso; nei mesi che intercorrono tra il Congresso dell’Europa
dell’Aja e la costituzione del Consiglio d’Europa il confronto tra le diverse posizioni si
precisa e si approfondisce, e la questione della sovranità emerge come il principale argomento
di dissenso. I federalisti, che sulle orme di Spinelli considerano lo Stato nazionale e sovrano
come unico responsabile di tutti i mali della società europea, chiedono a quest’ultimo di
rinunciare alla sua sovranità in favore di un ente sovranazionale, a una sorta di governo
europeo legittimato dalla rappresentatività popolare con cui gli Stati nazionali accettino di
federarsi. All’interno del movimento federalista, gli integralisti ritengono tale federazione
europea un primo passo verso un futuro governo mondiale; altri, invece, considerano che il
nuovo Stato federale debba essere costituito sulla base di comunità regionali piuttosto che su
quella degli Stati nazionali, di cui presuppongono la dissoluzione. I fautori dell’idea
confederativa, da parte loro, sostengono la necessità della sopravvivenza dello Stato nazionale
e della sua sovranità, invocando inoltre il principio dell’unanimità quale fattore decisionale.
Nonostante ciò, il Congresso che si svolge all’Aja ha un’enorme importanza; esso rappresenta
infatti il primo forum internazionale in cui personalità di diversa estrazione e origine si
incontrano per dibattere sull’effettivo futuro organizzativo del continente. A tale assise prende
dunque parte anche una delegazione romena, guidata da Gafencu e composta, oltre che dall’ex
ministro degli Esteri, Nicolae G. Caranfil, Mihail F rc anu, Emil Ghilezan e Iancu Zissu.
Tutte queste personalità fanno parte, insieme ad altri nomi celebri come Jean Constantinescu,
George Cior nescu, Mircea Eliade, Emil Cioran, Eugen Ionescu, di una generazione di
18
Statuto del Consiglio d’Europa, Londra, 5 maggio 1949; disponibile on-line all’indirizzo internet
http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/001.htm.
19
Ibidem.
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intellettuali e uomini politici di diversa matrice politica costretti dalla comunistizzazione in
corso ad abbandonare il Paese e a trovare rifugio all’estero20. Qui, essi non abbandonano la
lotta politica, ma tentano di mantenere in vita le tradizioni di libertà e democrazia del Paese
d’origine. Al contempo, inoltre, alcuni di loro si fanno promotori di progetti inerenti la
costruzione di una struttura politica continentale. Gafencu è uno dei primi a comprendere che
la tutela più efficace degli interessi della Romania, ormai sul punto di cadere completamente
sotto il controllo sovietico, può venire soltanto da un patto associativo con gli altri popoli
europei. Isolati, i romeni sono condannati a cadere sotto il controllo di Mosca; collegati con il
resto del continente, essi hanno una seppur piccola possibilità di resistere alla sovietizzazione
del Paese e al suo destino di satellite dell’Unione Sovietica. Per questo motivo l’ex ministro
degli Esteri romeno condanna senza mezzi termini, dal suo esilio svizzero, la complicità
occidentale con i sovietici e denuncia le formule puramente propagandistiche di “coesistenza
pacifica” e “distensione” che, di fatto, condannano i popoli dell’Europa orientale alla
sottomissione al potere sovietico21.
Tale visione porta Gafencu ad avvicinarsi al movimento federalista europeo e a condannare in
maniera recisa la divisione del continente in due zone di influenza uscita dalle Conferenze
interalleate della seconda guerra mondiale. Nonostante ciò, però, egli non aderisce in pieno
agli ideali federalisti, prediligendo piuttosto una soluzione confederale. In un volume
pubblicato a Friburgo e Parigi nel 1944, egli propone dunque, per la riorganizzazione
dell’Europa postbellica, una serie di confederazioni macro-regionali: la Confederazione
settentrionale, la Confederazione scandinava, comprendente la Finlandia, la Confederazione
orientale, la Confederazione centrale – comprendente Polonia e Cecoslovacchia – e la
Confederazione sud-orientale mirante a raggruppare gli Stati dell’Intesa balcanica – Romania,
Turchia, Grecia e Jugoslavia – con l’aggiunta della Bulgaria22.
La visione di Gafencu circa le motivazioni che suggeriscono l’opportunità di un’unione degli
Stati europei in una struttura comune si collega a quella degli altri europeisti suoi
contemporanei. L’Europa, uscita distrutta da due guerre che sostanzialmente sono una la
continuazione dell’altra, ha bisogno di pace per riprendere il suo cammino verso la civiltà;
come già sottolineato da Spinelli, però, anche secondo Gafencu ciò non sarà possibile
fintantoché il continente rimarrà diviso, né tale bisogno di pace e di sicurezza sarà soddisfatto
20
Cfr. M. Toader, “Exila ii români i construc ia european ”, in I. Bolovan – S. P. Bolovan (coord.), Schimbare
i devenire în istoria României. Lucr rile Conferin ei Interna ionale „Modernizarea în România în secolele
XIX-XXI, Cluj-Napoca, 21-24 mai 2007, Cluj-Napoca, Academia Român – Centrul de Studii Transilvane, 2008,
pp. 705-713.
21
C. Chinezu (ed. de), Provocarea Europei. Exilul elve ian al lui Grigore Gafencu 1941-1957, Bucure ti, Pro
Historia, 2004, p. 105.
22
Citato in M. Toader, op. cit., p. 706.
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se soltanto una parte dell’Europa parteciperà allo sforzo comune. L’integrazione dei Paesi
dell’Est europeo nelle future strutture comunitarie è secondo lui tanto più necessario perché
soltanto così sarà possibile resistere all’aggressività del totalitarismo sovietico. Partendo da
queste premesse, Gafencu prende parte fin dai primi momenti alle attività promosse dai vari
movimenti europeisti nel corso degli anni Quaranta.
Come rappresentante di spicco della comunità non solo romena, ma dell’intera Europa
orientale, egli è invitato a prendere la parola nella sessione inaugurale del Congresso
dell’Europa23. Lo spessore europeo di Gafencu è testimoniato dalla grandezza delle
personalità che lo affiancano; prima di lui prendono infatti la parola Churchill, Ramadier,
Coudenhove-Kalergi, Carandini e Brugmans, mentre subito dopo è il turno di Van Zeeland.
Fin dall’apertura del suo discorso, egli sottolinea la necessità di tornare a dare libertà di
espressione ai popoli dell’Europa orientale caduti sotto il dominio sovietico24. Ciò lo porta a
denunciare la disparità di trattamento riservato al Congresso a coloro: «la cui patria si trova,
loro malgrado, al di là della cortina di ferro» e a rifiutare il ruolo di osservatore; è infatti sua
convinzione che sia ormai passato il tempo delle differenziazioni, delle formule generatrici di
malintesi e conflittualità25. Ciò d’altra parte è dimostrato dai fatti; non esistono più, infatti,
diversi tipi di europei, ma un solo popolo che abita, con tutte le sue differenze, l’intero
continente, e questo popolo unico è stato forgiato dalle distruzioni e dalle sofferenze generate
dalle due guerre mondiali. Per questo non è soltanto ingiusto, ma dannoso per l’intera causa
europeista generare simili divisioni che non fanno altro che privare i popoli più bisognosi
della loro ultima speranza, rappresentata dall’idea di un’Europa unita26.
Egli denuncia anche, in tale assise, il sostanziale abbandono dei Paesi dell’Est da parte di
quelli occidentali. L’ex ministro degli Esteri romeno rammenta infatti come, in occasione di
diversi incontri europei e pan-europei, i rappresentanti degli Stati appartenenti alla parte
orientale del continente siano stati rassicurati che l’Occidente lascerà «la porta aperta per
permettere a tutti i Paesi di aderire alla Carta europea»; la risposta di Gafencu è secca: «non
basta – dice il Nostro all’Aja – lasciare la porta aperta; i Paesi dell’Est, qualsiasi sia la loro
volontà di rimanere europei, non potranno oltrepassare questa porta fin quando peserà su di
loro la terribile costrizione imposta da un regime totalitario», che persegue l’annientamento
dell’ideale europeo più che quello nazionale27.
23
G. Altarozzi – A. Carteny, “Modernizarea culturii politice dup al doilea r zboi mondial: federalismul
european printre români la Congresul Europei (mai 1948)”, in I. Bolovan – S. P. Bolovan, op. cit., pp. 693-703.
24
Council of Europe, op. cit., p. 23.
25
Ibidem.
26
Ibidem.
27
Ibidem, p. 26.
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Con grande lucidità egli identifica le tre motivazioni fondamentali che hanno favorito l’avvio
di un movimento europeista finalmente concreto. Esse sono di tre ordini, ossia economiche,
internazionali e di sicurezza. Da un punto di vista economico, egli sottolinea come la ripresa
post-bellica dei Paesi europei, indifferentemente dalla loro grandezza e dal loro potenziale,
non è possibile senza uno sforzo collettivo. Dal punto di vista internazionale, la crescita della
potenza sovietica costituisce una minaccia per tutti gli Stati del continente, a cui possono
sperare di resistere soltanto unendo le loro forze. Lo Stato nazionale tradizionale, infine, non è
più idoneo a garantire l’uso consapevole e responsabile delle nuove armi di distruzione di
massa, che possono essere gestite nel modo più sicuro soltanto da organismi politici sempre
più allargati e dai connotati universalistici. Ma, ancora una volta, il raggiungimento di tali
risultati non sarà perseguibile se rimarrà al di fuori del progetto comune la parte orientale del
continente28, né ciò sarà possibile seguendo una via diversa da quella proposta dai
federalisti29.
Come visto, le idee sostenute ad alta voce da Gafencu, la sua difesa del principio federalista e
dell’unità tra le parti occidentale e orientale del continente europeo, rimarranno lettera morta.
Il federalismo cederà il passo di fronte al funzionalismo di Jean Monnet, che propone di
mettere insieme quanto possibile anziché quanto auspicabile. Quello che rimane è
un’importante testimonianza storica, la visione europeista, lucida e appassionata, di un
esponente dell’Europa orientale in un momento in cui la cristallizzazione della divisione del
sistema internazionale in blocchi contrapposti annulla ogni effettiva possibilità di un
continente autonomo e indipendente.
28
29
Ibidem, p. 24.
Ibidem, p. 26.
996