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Bollettino d'Arte, Preview fascc. 55-56, s. VII, luglio–dicembre 2022

Bollettino d'Arte del Ministero della cultura

GIANLUCA AMATO Lupo di Francesco in Empoli and Tino di Camaino in Pisa and Siena: New proposals LORENZO BOFFADOSSI The Lelio Orsi frescoes brought to the Galleria Estense from the Rocca di Novellara MATTEO CERIANA An Emperor and a Cardinal, two restored busts in the Museo Nazionale del Bargello DAMIANO IACOBONE Gio Ponti and Alberto Alpago–Novello (with Mario Sironi): The initial stages of the 1930 IV International Exhibition of Modern Decorative and Industrial Arts in Monza ANTONELLA CLEMENTONI Alfonso Bartoli and the restoration of the Temple of Venus and Rome: Tension and rivalry between the Excavations Office of the Palatine and Roman Forum and the X Division for Antiquities and Fine Arts of the Governorate BEATRICE ALAI Unveiling Italian miniature art in Frankfurt am Main: The collection of cuttings from the Historisches Museum (13th–16th centuries) ALESSANDRO BROGI – DAVIDE BUSSOLARI – MANUELA MATTIOLI A ‘refound’ work by Ludovico Carracci for the Pinacoteca Nazionale di Bologna STEFANIA DI MARCELLO Balancing tradition and innovation in the work of the Regio Istituto Centrale del Restauro between 1939 and 1943

MINISTERO DELLA CULTURA BOLLETTINO D’ARTE 55-56 Editore MINISTERO DELL A CULTURA DIREZIONE GENERALE ARCHEOLOGIA BELLE ARTI E PAESAGGIO BOLLET TINO D’ARTE Direttore responsabile LUIGI L A ROCCA Coordinatore scientifico ANNA MELOGRANI Consiglio di redazione LUCIANO ARCANGELI – CARLO BERTELLI – MARIA LUISA CATONI – MATTEO CERIANA – LUCILLA DE LACHENAL CARLO GASPARRI – DIETER MERTENS – MASSIMO OSANNA – CRISTINA QUATTRINI MAURIZIO RICCI – MARIA ANTONIETTA RIZZO – VALERIO TESI Redazione tecnico–scientifica CAMILLA CAPITANI – GIORGIO MARINI – FEDERICA PITZALIS – SIMONA SANCHIRICO Grafici DONATO LUNETTI e BHAGYA WEERASINGHE Sito web ANGELA CIMINO Traduzioni JAMES MANNING–PRESS Via di San Michele, 22 – 00153 ROMA tel. 06 67234329 e-mail: bollettinodarte@cultura.gov.it sito web: http://bollettinodarte.cultura.gov.it Stampa e diffusione De Luca Editori d’Arte s.r.l. Via Giuseppe Andreoli, 1, 00195 Roma tel. 06 3265 0712 sito web: www.delucaeditori.com © Copyright by Ministero della cultura. 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In copertina: BOLOGNA, PINACOTECA NAZIONALE – LUDOVICO CARRACCI: SACRA FAMIGLIA COI SANTI ORSOLA, GIOVANNINO E MATTIA (DOPO IL RESTAURO), PARTICOLARE DELLA VERGINE (foto Museo di Marco degli Esposti) B O L L E T T I N O D’ A R T E FONDATO NEL 1907 MINISTERO DELL A CULTURA 55-56 LUGLIO–DICEMBRE 2022 ANNO CVII SERIE VII SOMMARIO In memoria di Giovanni Carbonara (1942–2023) SABINA CARBONARA, Un ricordo di mio padre DAMIANO IACOBONE, Giovanni Carbonara: una biografia scientifica 1 3 GIANLUCA AMATO, Lupo di Francesco a Empoli e Tino di Camaino a Pisa e Siena: nuove proposte 9 LORENZO BOFFADOSSI, Gli affreschi di Lelio Orsi portati alla Galleria Estense dalla Rocca di Novellara 27 MATTEO CERIANA, Un imperatore e un cardinale, due busti del Museo Nazionale del Bargello restaurati 41 DAMIANO IACOBONE, Gio Ponti e Alberto Alpago–Novello (con Mario Sironi): le fasi preparatorie 53 ANTONELLA CLEMENTONI, Alfonso Bartoli e il restauro del Tempio di Venere e Roma. Attriti e 67 della IV Esposizione internazionale delle arti decorative ed industriali moderne di Monza del 1930 rivalità tra l’Ufficio Scavi del Palatino e Foro romano e la Ripartizione X Antichità e Belle Arti del Governatorato COLLEZIONI E COLLEZIONISTI BEATRICE ALAI, Per la riscoperta della miniatura italiana a Francoforte sul Meno: 101 la collezione di ritagli dell’Historisches Museum (secc. XIII–XVI) ACQUISIZIONI ALESSANDRO BROGI, Un Ludovico Carracci ‘ritrovato’ per la Pinacoteca Nazionale di Bologna con DAVIDE BUSSOLARI, Analisi diagnostiche, e MANUELA MATTIOLI, Il restauro LA MEMORIA ISTITUZIONALE STEFANIA DI MARCELLO, Tradizione e innovazione nell’attività del Regio Istituto Centrale del Restauro negli anni 1939–1943 129 155 LIBRI MICHELE FUNGHI, recensione a SABINA CARBONARA, MARCO PISTOLESI, Pratica e decoro nella Roma del Settecento. Tommaso De Marchis architetto, Roma 2022 MARCELLO MOSCONE, recensione a Medioevo tra due mondi. San Nicolò a San Gemini e le alienazioni monumentali nella prima metà del Novecento, a cura di FRANCESCO GANGEMI, TANJA MICHALSKY, BRUNO TOSCANO, Roma 2022 Abstracts Contatti degli Autori 173 176 185 188 In memoria di Giovanni Carbonara (1942–2023) Un ricordo di mio padre GIOVANNI CARBONARA CON LA FIGLIA SABINA (2015) (foto di Dimitri Ticconi) Una delle regole che mio padre mi ha insegnato quando, da giovane studiosa, mi accingevo a impostare i miei primi articoli scientifici è stata quella di non scrivere mai in prima persona. Secondo il suo parere bisognava sempre esprimere il proprio pensiero critico in forma impersonale. Ho seguito questa preziosa indicazione — rivelatrice della grande umiltà che lo caratterizzava — per circa trent’anni. Oggi invece voglio parlare in prima persona per ricordarlo come padre amorevole, uomo e studioso. La sua è stata una produzione scientifica molto intensa, poliedrica e formativa per gli architetti di più generazioni. All’attività professionale ha sempre affiancato, in continua connessione intellettiva, quella accademica. Anzi, mi sento di affermare che quest’ultima è stata per lui l’occupazione prioritaria. Non si è mai risparmiato o tirato indietro, anche di fronte alle difficoltà che, di volta in volta, si presentavano in ambito universitario. Ha tenuto moltissimi corsi, diretto per quasi vent’anni la Scuola di Specializzazione per lo Studio e il Restauro dei Monumenti dell’Università “La Sapienza” di Roma (oggi Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio) ed è stato coordinatore del Dottorato di Ricerca. Per lui gli studenti, gli specializzandi o i dottorandi erano tutti egualmente importanti e meritevoli di considerazione. Con alcuni di loro ha poi instaurato, nel corso degli anni, un rapporto più profondo e, in certi casi, di proficua e stimolante collaborazione. Mio padre aveva la capacità di entrare, grazie alla sua pacatezza, gentilezza e intelligenza emotiva, in un’autentica relazione con le persone che incontrava. Anche e soprattutto con quelle che non avevano avuto la sua stessa fortuna. Il suo valore umano ed etico era senz’altro la parte più significativa della sua persona e si rifletteva nell’insegnamento come nella professione di architetto. Per lui esisteva sempre, sia nella vita che nel lavoro, un ampio margine di miglioramento. Non si è mai sentito “arrivato” ma, al contrario, ha continuato a studiare e a leggere fino all’ultimo istante, guidato dalla sua innata modestia e dalla inguaribile curiosità per il bello. Nella sua lunga carriera si è occupato del restauro di numerose chiese e edifici del nostro ricco patrimonio artistico e architettonico. La sua prolungata attività, sia teorica che pratica, anche al di fuori dell’Italia, l’ha reso protagonista nel panorama culturale italiano e internazionale, tanto da essere ritenuto, a oggi, il capofila della cosiddetta “Scuola romana del restauro critico–conservativo”. 1 Giovanni Carbonara: una biografia scientifica Giovanni Carbonara si laurea in architettura nel 1967; dopo aver sperimentato l’ambito delle soprintendenze preposte alla tutela dei beni culturali, frequenta la Scuola di Specializzazione per lo Studio e il Restauro dei Monumenti dell’Università “La Sapienza” di Roma allora diretta da Guglielmo De Angelis D’Ossat, sino al diploma nel 1971. Collabora già da qualche anno ai corsi tenuti da Renato Bonelli di Storia dell’architettura, materia che insegnerà anche lui, insieme a quella del restauro, dal 1975 sino al 1980, quando consegue l’ordinariato in Restauro architettonico. Due figure sono importanti per la sua formazione: quelle del padre Pasquale (1910–1998) e del professore Bonelli (1911–2004). Il primo, architetto e studioso, collaborò alla stesura del Manuale dell’architetto (1946) e pubblicò nel 1954 un’opera in 5 volumi intitolata Architettura pratica. Docente di Caratteri degli edifici presso la Facoltà di Architettura di Roma tra il 1946 e il 1985, introdusse nell’insegnamento la lettura tipologica che contrassegnava in quel periodo l’analisi architettonica. Giovanni Carbonara parte, quindi, da un livello culturale elevato, in un contesto di studio definito, con una grande disponibilità di testi e fonti relative all'architettura, che lo porteranno a scegliere questa disciplina come proprio ambito profes- sionale. L’autonomia avviene grazie al suo secondo interlocutore, sul quale Carbonara scrive in più occasioni: nel 2001, in uno dei saggi sulla Facoltà di Architettura di Roma;1) nel 2004, nella circostanza della sua morte, con un articolato necrologio2) e, nel 2005, redigendone un profilo nel volume Che cos’è il restauro? Nove studiosi a confronto.3) Riflette pienamente, a mio avviso, il percorso professionale e di studio di Carbonara questa sua considerazione: «Elemento unificante in tutta l’attività di Bonelli, sia in quella di studioso di storia dell’architettura, sia di teorico del restauro, sia di professore, è stata una costante riflessione sul metodo, la qualità e quantità del processo critico».4) Ciò che Carbonara, in primo luogo, riconosce al suo maestro è «un adeguamento della critica architettonica a livello più alto e maturo di quella artistica»;5) difatti, egli ricorda come nel saggio Teoria e metodo nella Storia dell’Architettura del 1945, «Bonelli si schierava contro una storiografia dell’architettura tipologica, evoluzionistica, contro quella storia dell’architettura in forma d’immenso catalogo», per sostenere, crocianamente, che «l’arte è forma universalizzata dell’individuale, […] per cui compito della storiografia è di considerare soltanto le vere 3 GIANLUCA AMATO LUPO DI FRANCESCO A EMPOLI E TINO DI CAMAINO A PISA E SIENA: NUOVE PROPOSTE La Collegiata di Sant’Andrea a Empoli ospita al suo interno un antico e venerato Crocifisso ligneo, reso celebre alla devozione dei fedeli per aver liberato la città da una terribile pestilenza.1) Non conosciamo la data esatta del miracolo. La tradizione afferma che un corteo processionale, con alla testa il simulacro, ebbe luogo il 24 agosto 1399; la marcia era capeggiata dai confratelli della Compagnia del Santissimo Crocifisso detto «delle Grazie», una congrega istituita quello stesso anno e sciolta nel 1460. Nei nove giorni successivi al 24 agosto — vale a dire fino al primo settembre 1399 — la processione attraversò la Val di Marina e il Mugello, fino a raggiungere Fiesole e Firenze. Da un opuscolo settecentesco, opera del canonico di Empoli Biagio Costante Del Vivo, apprendiamo di come, in un giorno non meglio precisato della peregrinazione, i fedeli, estenuati dal viaggio, decisero di rifocillarsi sostando in aperta campagna.2) Giunti in un luogo appropriato, accostarono la sacra immagine al fusto di un mandorlo appassito. Era infatti agosto, e la fioritura dei mandorli, che abitualmente coincide con l’inizio della primavera, era ancora di là da venire. Eppure, al contatto con l’effigie l’albero fiorì prodigiosamente, preannunciando agli occhi dei fedeli l’agognata fine della pestilenza. In ricordo di quell’evento furono commissionate le tre tavolette raffiguranti le Storie del Crocifisso miracoloso esposte oggi nel Museo della Collegiata di Sant’Andrea (fig. 1): preziosi documenti figurativi provenienti dal gradino dell’antico altare del Crocifisso ricordato nell’inventario dei beni dell’omonima Compagnia laicale a partire dal 1417.3) 1 Il Cristo «delle Grazie» — così denominato dal sentimento popolare — divenne oggetto di un culto appassionato fin dai primi anni del Quattrocento:4) una devozione nata probabilmente a monte dei fatti del 13995) e destinata a mantenersi viva fino ai giorni nostri, come confermano le solenni celebrazioni che, ogni quarto di secolo, vedono protagonista la scultura.6) Come nel caso di altre effigi miracolose, l’aura di misticismo soprannaturale che accompagna la storia dell’intaglio, unitamente alle alterazioni subite nel corso dei secoli, ha favorito il prolungato e persistente silenzio da parte della storiografia.7) Se si escludono le menzioni nella letteratura di carattere devozionale e topografico,8) infatti, l’opera è stata oggetto di un interesse storico–artistico solo a partire 1970, quando figura menzionata nell’importante volume sui Crocifissi lignei fiorentini e toscani dal Trecento agli inizi del Cinquecento pubblicato da Margrit Lisner.9) La studiosa tedesca, fine conoscitrice e madrina di numerose scoperte, riservò al Prozession–kruzifixus di Empoli poche, mirate osservazioni, nel tentativo di argomentarne la datazione trecentesca e il rapporto di dipendenza dai più illustri modelli di Giovanni Pisano. In seguito, la chiave di lettura proposta dalla Lisner è stata accolta con favore dalla storiografia, che ha ragionato, tutt’al più, sulla possibile datazione dell’opera.10) Sottoposto a un restauro nel 1984, il Cristo di Empoli si mostrava allora in uno stato di conservazione tutt’altro che ottimale (fig. 2). L’azione di tutela intrapresa ha riportato alla luce una policromia antica, caratterizzata dal tono tenue dell’incarnato (costellato di piaghe dipinte, a similitudine dei bubboni – EMPOLI, MUSEO DELLA COLLEGIATA DI SANT’ANDREA – PITTORE FIORENTINO DELL’INIZIO DEL XV SECOLO: IL CROCIFISSO DELLE GRAZIE PORTATO IN PROCESSIONE (foto di Alena Fialová) 9 LORENZO BOFFADOSSI GLI AFFRESCHI DI LELIO ORSI PORTATI ALLA GALLERIA ESTENSE DALLA ROCCA DI NOVELLARA La Rocca ospita attualmente gli uffici del Comune, il Museo Civico e altri istituti culturali, ma per secoli è stata la residenza principale di un ramo cadetto della famiglia Gonzaga: quello che resse le città di Novellara e Bagnolo a partire dal fondatore Feltrino (morto nel 1374) fino a Filippo Alfonso (1700–1728) cui subentrò, per mancanza di eredi, il duca Rinaldo d’Este (1655–1737).1) Gli Este vendettero la Rocca alla comunità cittadina, che promosse cospicui rima- Nella Galleria Estense di Modena sono esposti alcuni affreschi di Lelio Orsi (1511 circa – 1587) staccati dalla Rocca di Novellara durante il governo dei Duchi di Modena e Reggio su quella città. Il loro stato frammentario ne ha reso difficile la lettura, così che ancora oggi non si è stabilita con certezza la loro collocazione originaria né la loro cronologia. Questo contributo vuol proporre qualche nuova osservazione, riconducendo tutti i frammenti a due insiemi distinti. 1 – MODENA, GALLERIA ESTENSE, INV. 51 – LELIO ORSI: IL RATTO DI GANIMEDE (foto Museo) 27 MATTEO CERIANA UN IMPERATORE E UN CARDINALE DUE BUSTI DEL MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO RESTAURATI Nel deposito del Museo Nazionale del Bargello, a Firenze, sono conservati due busti, entrambi degni — per motivi diversi — delle sale d’esposizione. In previsione di una loro nuova collocazione nel percorso 1 museale sono stati restaurati e, naturalmente, nel medesimo tempo fatti oggetto di un nuovo studio. In entrambi i casi il risultato degli interventi si è rivelato superiore alle aspettative.1) – FIRENZE, MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO – GIOVANNI BANDINI (QUI ATTRIBUITO): BUSTO DI ANTONINO PIO (foto Museo) 41 DAMIANO IACOBONE GIO PONTI E ALBERTO ALPAGO–NOVELLO (CON MARIO SIRONI): LE FASI PREPARATORIE DELLA IV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE DELLE ARTI DECORATIVE ED INDUSTRIALI MODERNE DI MONZA DEL 1930 Le caratteristiche principali della mostra, tenutasi nella Villa Reale di Monza tra maggio e ottobre del 1930 (fig. 1), sono descritte e illustrate, con dovizia di immagini, nel saggio dell’architetto Ferdinando Reggiori, pubblicato sulla rivista Architettura e arti decorative dello stesso anno.1) L’autore parte dal confronto con l’esposizione precedente, la III Biennale delle arti decorative, presentata nel 1927, sempre a Monza nello stesso periodo, e da lui “ripercorsa” nella medesima rivista, nel fascicolo pubblicato a marzo del 1928.2) Secondo l’architetto, la Biennale aveva posto le premesse e costruito le basi per un rinnovamento della mostra, a partire dalla sua stessa concezione e con la riforma del Consiglio direttivo. Difatti, nel 1927, oltre al Direttore generale Guido Marangoni, ideatore dell’esposizione, e al segretario generale Carlo Alberto Felice, il Consiglio artistico era costituito da Margherita Sarfatti, Carlo Carrà, l’ingegnere Cesare Chiodi, gli architetti Giovanni Greppi e Gio Ponti, Alessandro Mazzucotelli e altri ancora.3) Le aspirazioni erano alte, come testimoniato dallo stesso Marangoni: «Dalla terza mostra deve iniziarsi quel crescente rigore di scelta che segni di mostra in mostra un progresso effettivo degli artisti ed una elevazione continua dei prodotti […]. Così la III Biennale potè avviarsi a diventare quel che si proponeva di essere: il raduno di un’élite dei produttori italiani opportunamente selezionati, passati al vaglio di rigidi e rigorosi criteri di indirizzo estetico».4) Nonostante le premesse, l’esposizione del 1927 non ebbe un riscontro positivo, per le più volte avanzate dimissioni di Marangoni, non gradito al Regime fascista, e per l’egemonia della Sarfatti nelle decisioni del Consiglio, la quale aveva condizionato alcune scelte del segretario generale. A fronte di queste vicende, l’ente committente, il Consorzio autonomo Milano–Monza–Umanitaria, designò per l’edizione successiva, appunto quella del 1930, un commissario straordinario nella persona del senatore Giuseppe Bevione — già direttore de Il Secolo (1923–1926) e, successivamente, presidente dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (1929–1940) — confermando come segretario generale l’artista e scrittore Carlo Alberto Felice.5) La vera rivoluzione in questa IV Esposizione si attua nella scelta del Comitato direttivo: non più quindici membri, ma solamente tre, con la conferma di Gio 1 – MILANO, FONDAZIONE LA TRIENNALE, ARCHIVIO FOTOGRAFICO (D’ORA IN POI TRIENNALE AF), IV TRIENNALE DI MONZA 1930, TRN_IV_01_0001 – MARCELLO NIZZOLI, MICHELE CASCELLA: MANIFESTO DELLA IV ESPOSIZIONE TRIENNALE (1930) Cartellone definitivo della mostra che si sarebbe dovuta svolgere nel 1929 e che segnò la cadenza triennale delle esposizioni internazionali delle arti decorative ed industriali moderne. (foto Archivio Triennale) Ponti,6) affiancato dall’architetto Alberto Alpago– Novello7) e dal pittore Mario Sironi,8) al fine di evitare inutili dispersioni nelle fasi decisionali. Prima ancora di passare alle descrizioni specifiche, Reggiori ci informa di elementi di primaria importanza relativi alla mostra: in primo luogo, lo slittamento di un anno dell’esposizione che, anziché tenersi nel 53 ANTONELLA CLEMENTONI ALFONSO BARTOLI E IL RESTAURO DEL TEMPIO DI VENERE E ROMA. ATTRITI E RIVALITÀ TRA L’UFFICIO SCAVI DEL PALATINO E FORO ROMANO E LA RIPARTIZIONE X ANTICHITÀ E BELLE ARTI DEL GOVERNATORATO Alfonso Bartoli nasce a Foligno il 1° gennaio 1874. Il padre Cherubino, anche lui nato nella cittadina umbra, apparteneva a una famiglia papalina. Sotto lo Stato Pontificio era stato giudice e governatore in alcune località delle Marche e dell’Umbria, ottenendo per la sua dedizione al lavoro la Croce di Cavaliere dell’Ordine dello Speron d’oro. Dopo la presa di Roma non accettò dal Governo Italiano un impiego di pari grado e, nel 1877, si trasferì con tutta la famiglia a Roma. Qui, Alfonso, grazie al sostegno economico dei fratelli maggiori già impiegati, ebbe l’opportunità di frequentare una scuola privata in piazza Sant’Apollinare, dove fu avviato alla ricerca storica e all’archeologia. Successivamente, si iscrisse alla Facoltà di Lettere, divenendo allievo di Rodolfo Lanciani, con cui si laureò nel 1899 discutendo una tesi in Topografia romana.1) Nel 1904, già trentenne, entrò, tramite concorso, nell’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione con la qualifica di sovrastante nei Musei, nelle Gallerie e negli Scavi di Antichità, per poi passare, nel 1911, alle dipendenze dell’Ufficio Scavi del Palatino e Foro Romano.2) Nel 1913, per un breve periodo, fu assegnato a Castel Sant’Angelo per sistemare definitamente il materiale della Mostra di topografia romana della quale, nel 1911, si era occupato in occasione dei festeggiamenti per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia.3) Nel 1919, rientrato in servizio all’Ufficio Scavi, si troverà a lavorare con il direttore dell’epoca, Giacomo Boni che, a causa della sua nota personalità preminente, gli avrebbe limitato l’attività al punto da imporgli delle sanzioni disciplinari, ipotizzando anche un suo eventuale trasferimento.4) Veniva rimproverato al giovane funzionario, incaricato di ricomporre i frammenti augustei della Basilica Emilia e di compilarne gli inventari, una scarsa costanza nel lavoro, pur ammettendo l’aggravio di altri incarichi. Solo l’intervento della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti pose fine alla diatriba tra i due studiosi, ordinando a Boni di affidare al collega incarichi pertinenti al suo ruolo di ispettore.5) Ciononostante, Bartoli riuscì a conseguire importanti risultati con i suoi studi sul Tempio di Antonino e Faustina, sugli Horrea Agrippiana, sull’area della Basilica Emilia e su alcune memorie medievali, come la chiesa di San Giovanni in Campo e la Turris Chartularia.6) La sua predilezione per la Roma antica lo portò a studiare i monumenti del passato nei disegni rinascimentali custoditi nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. Un interesse maturato nel corso del 1911, durante la preparazione dell’opera Cento vedute di Roma Antica raccolte e illustrate.7) Un lavoro lungo e difficoltoso che lo terrà impegnato per diversi anni e con svariati soggiorni nel capoluogo toscano.8) Lo studio darà luogo a un’edizione composta da sei volumi corredati da oltre 500 tavole, divulgati, tra il 1914 e il 1922, dagli editori Bontempelli di Roma e, successivamente, dai Fratelli Alinari.9) Nel 1915 Bartoli conseguì la libera docenza in Topografia romana occupando dal 1929, come incaricato, la cattedra che era stata di Rodolfo Lanciani. Lasciò l’insegnamento nel 1933 a seguito dell’esito del concorso per professore straordinario nella Regia Università di Roma, vinto dall’archeologo Giuseppe Lugli. Per la Commissione — composta da Corrado Ricci (Presidente), Giulio Quirino Giglioli, Roberto Paribeni, Amedeo Maiuri e Carlo Anti — l’archeologo documentava nella sua produzione scientifica «precisa e minuta informazione su ogni argomento, consumata conoscenza dei disegni antichi e delle notizie medievali, sicurezza di metodo, limpida stringatezza di esposizione [...]; senza dubbio [era] un valoroso e benemerito cultore di topografia romana, degno allievo dei grandi fondatori di questa disciplina, che ha portato ad essa contributi che rimarranno, ma la sua opera si è limitata a un’area troppo circoscritta dell’urbe e appare quasi mortificata da un soverchio spirito di autocritica».10) Il suo metodo di studio sulla topografia romana era differente da quello dei suoi maestri: anziché comprendere la conformazione della città tramite la disposizione di strade e monumenti, essa veniva percepita in rapporto agli avvenimenti politici e religiosi; la sua dimensione spirituale e morale era intesa attraverso la correlazione tra bellezze e memorie. E proprio questa sua partecipazione emotiva lo porterà a rifiutare per tre volte l’incarico di soprintendente, come aveva fatto anni prima Giacomo Boni, suo antesignano; era per lui inaccettabile abbandonare il Foro Romano e il Palatino. Che la responsabilità di una soprintendenza fosse paragonabile a quella di una direzione di 1° livello sarebbe in seguito risultato nell’ordinamento amministrativo del Ministero della Pubblica Istruzione, che riterrà la Direzione dell’Ufficio Scavi del Palatino e Foro Romano un incarico 67 COLLEZIONI E COLLEZIONISTI BEATRICE ALAI PER LA RISCOPERTA DELLA MINIATURA ITALIANA A FRANCOFORTE SUL MENO: LA COLLEZIONE DI RITAGLI DELL’HISTORISCHES MUSEUM (SECC. XIII–XVI) Questo contributo ha per oggetto la collezione di pagine e iniziali miniate ritagliate, di origine italiana (secoli XIII–XVI), che si conservano presso l’Historisches Museum di Francoforte. A distanza di cento anni dalla pubblicazione del catalogo Die illuminier- ten Handschriften und Einzelminiaturen des Mittelalters und der Renaissance in Frankfurter Besitz (1929), fatica esemplare di Georg Swarzenski e Rosy Schilling,1) è necessario un riesame della situazione delle raccolte di miniature pubbliche e private in città: nel monumentale volume gli autori indagarono con rigore filologico manoscritti e frammenti illustrati custoditi presso lo Stadtarchiv, la Stadtbibliothek, la Städliche Kunstgewerbebibliothek, la Carl von Rothschild Bibliothek, il Domschatz Museum, il Julius Heyman Museum, l’Historisches Museum, il Kunstgewerbe Museum, lo Städel Museum e in una quindicina di collezioni private, tra cui anche quelle personali di Swarzenski e Schilling. Tale panorama risulta oggi ampiamente mutato: molte raccolte private e biblioteche sono state smembrate, confluendo nei maggiori musei cittadini come, ad esempio, la Linel Sammlung destinata al Museum Angewandte Kunst (MAK); oppure sono andate disperse e ne sopravvive solo qualche rarissima traccia: è il caso di quelle di Harry Fuld e di Julius Heyman. Le sedi in cui le miniature erano custodite sono quasi sempre cambiate, le opere hanno subìto più di un trasloco e in certi casi hanno perso la visibilità che avevano all’interno delle abitazioni borghesi dei loro proprietari, finendo nei dipartimenti di grafica dei musei moderni. Francoforte rimane tuttora un repositorio fondamentale e di primissimo livello per chi vuole dedicarsi all’analisi delle miniature, non solo italiane ma anche tedesche, francesi e via dicendo. Lasciamo da parte i manoscritti e gli incunaboli, che si trovano nelle biblioteche e che a differenza dei cuttings non hanno mai cessato di essere oggetto di interesse per i ricercatori, e concentriamoci sui ritagli. Questi ultimi, infatti, dopo la menzionata pubblicazione del 1929 sono stati a malapena presi in considerazione dagli studi critici. Oggi sono conservati in tre musei celebri, ovvero lo Städel Museum, il Museum Angewandte Kunst e l’Historisches Museum.2) Se le miniature dello Städel Museum sono state in parte rese note,3) diverso è il caso delle altre due collezioni. Fatta eccezione per pochi frammenti, infatti, quelli del MAK e dell’Historisches Museum non sono più stati considerati dopo il catalogo del 1929. Va ricordato che quest’ultimo è comunque parziale, poiché non contempla numerosi pezzi che verosimilmente a quell’epoca non erano ancora presenti. Rimandando ad altra sede la disamina dei cuttings del MAK,4) viene qui presentata la collezione dell’Historisches Museum. Fondato nel 1878, il museo mirava a documentare la storia della città e i vari aspetti della vita sociale, culturale, politica e militare di Francoforte attraverso un’ampia varietà di media (disegni, incisioni, stampe, fotografie, etc.) mettendo in mostra sia le collezioni appartenute alle famiglie alto–borghesi e nobiliari di Francoforte, sia le opere degli artisti locali.5) Il materiale, organizzato per epoche dall’antichità fino all’età contemporanea, comprendeva anche opere di grafica, tra cui disegni, stampe, incisioni, giornali, cartoline, poster, fotografie oltre a un centinaio di miniature ritagliate. Di queste, un nutrito gruppo è di origine tedesca, mentre una cinquantina di pezzi sono italiani. Gli inventari della Graphische Sammlung sono generalmente parchi di informazioni sulle provenienze dei ritagli e l’anno del loro ingresso in collezione; tali notizie sono a volte riportate a matita sui passepartout delle miniature, spesso incollate in modo tale da rendere difficoltosa l’analisi degli indizi contenuti sui rovesci, quali tracce di testo, timbri e annotazioni. A uno sguardo complessivo emerge il ruolo predominante che ebbe la Verein für das Historische Museum nell’acquistare miniature per il museo, seguita dalla stessa Kommission del museo responsabile degli ingressi di numerosi pezzi. L’altro grande canale attraverso cui giunsero i ritagli fu, come si è già detto, quello delle collezioni private cittadine: tra queste in particolare quella dell’artista Peter Becker (1828–1904). Conosciuto principalmente come vedutista e collezionista di disegni, dipinti moderni, oltre che bibliofilo, non è mai stato studiato in quanto appassionato di cuttings:6) ne possedeva una sessantina, tra cui un gruppo di lettere decorate, ritagliate da un corale di scuola renana del XII secolo (invv. C06408–C06423),7) una pagina di un libro d’ore borgognone (inv. C06433)8) oltre a cinque pezzi italiani che vedremo successivamente (Schede nn. 12–16). Le miniature di Becker erano, da un lato, testimonianze preziose di 101 ACQUISIZIONI ALESSANDRO BROGI UN LUDOVICO CARRACCI ‘RITROVATO’ PER LA PINACOTECA NAZIONALE DI BOLOGNA È sempre emozionante ritrovare un’opera antica che si riteneva dispersa o addirittura perduta, soprattutto se di un autore di rango. Il piacere è maggiore se l’opera, per un fortunato concatenarsi di eventi, viene assicurata allo Stato. Proprio questo è il caso di un dipinto a soggetto sacro e di dimensioni importanti (figg. 1–3), comparso nella primavera del 2022 presso una casa d’aste periferica in Alto Lazio. Proposto sotto la depistante attribuzione, seppur ipotetica, a un artista di pieno Sei- 1 – BOLOGNA, PINACOTECA NAZIONALE – LUDOVICO CARRACCI: SACRA FAMIGLIA COI SANTI ORSOLA, GIOVANNINO E MATTIA (CON LA CORNICE ORIGINALE), DOPO IL RESTAURO (foto Museo di Marco degli Esposti) 129 APPENDICE Analisi diagnostiche La Sacra Famiglia con i Santi Orsola, Giovannino e Mattia è stata sottoposta a un preliminare esame in luce visibile al fine di documentarne le caratteristiche morfologiche (fig. 3). Dall’analisi si è riscontrata una pellicola pittorica di spessore omogeneo, percorsa da una crettatura molto fine di geometria variabile in base al tipo di pigmento impiegato. L’assenza di danni evidenti ha permesso di apprezzare la raffigurazione nella sua interezza. Tuttavia, il progressivo invecchiamento dei materiali, il contatto con gli agenti atmosferici e il depositarsi di polveri sottili hanno determinato un ingiallimento dello strato più superfi- 11 – BOLOGNA, PINACOTECA NAZIONALE – LUDOVICO CARRACCI: SACRA FAMIGLIA CON SANTI RADIOGRAFIA TOTALE DELL’OPERA COSTITUITA DA NOVE RIPRESE RICOMPOSTE A MOSAICO (radiografie e ricomposizione dell’Autore) 144 Il restauro Le analisi diagnostiche presentate da Davide Bussolari nelle pagine precedenti a proposito della Sacra Famiglia con i Santi Orsola, Giovannino e Mattia hanno evidenziato attraverso la radiografia che non c’erano rilevanti lacune di colore o variazioni sostanziali della composizione, ma solo minimi pentimenti, e le caratteristiche della tela di supporto. Diversamente, la riflettografia infrarosso ci ha rivelato il disegno preparatorio, i pochissimi pentimenti e le minime correzioni durante la stesura pittorica, le rare abrasioni della pellicola pittorica, gli altrettanto esigui ritocchi. Infine, l’infrarosso, cosiddetto in “falso colore”, ci ha fornito qualche informazione sui pigmenti usati, essenzialmente i rossi e i blu, sebbene questa indagine non sia di per sé sufficiente a determinare con certezza quali essi siano perché dipende dalla purezza e dalla concentrazione degli stessi. I pigmenti blu tendono quasi tutti ad apparire, nella immagine in “falso colore”, con varie tonalità di rosso o vinaccia, mentre a luce visibile il manto della Vergine è virato in blu–verde, in particolare sulla spalla destra, e risulta molto scuro sul resto del corpo. Tale elemento porta a pensare si tratti di azzurrite mescolata a bruni e nero. Abbiamo invece due tipi di rosso: per il manto del San Mattia, un cinabro non puro dove la componente gialla del cinabro è attenuata dalla presenza di terre e, per la veste della Madonna, una lacca cremisi sopra a cinabro e terre. La Sacra Famiglia di Ludovico Carracci si presentava, prima dell’intervento di pulitura, scarsamente leggibile a causa di uno spesso strato di vernice di restauro, in origine probabilmente pigmentata ed enormemente scurita dal tempo in quanto ossidata (figg. 23–26). Nonostante tutto, del dipinto si percepiva l’alta qualità. Osservandone il verso, si nota il telaio originale, riparato in passato rinforzandone gli angoli con assicelle inchiodate: in alto è stato ingrandito aggiungendo un righello a forma di cuneo, che pensiamo sia servito per correggere una deformazione della tela e per meglio inserire l’opera all’interno della cornice. Purtroppo il telaio è stato interessato dall’attacco di tarli. La tela di supporto si è invece conservata perfettamente planare e mostra un intervento di foderatura risalente alla prima parte del XIX secolo. Lo si è determinato dal tipo di tessuto e soprattutto dai chiodi, identici a quelli usati per riparare il telaio, motivo per cui gli interventi al telaio sono coevi alla foderatura. Fortunatamente, la superfice pittorica non risulta schiacciata e non si sono create tensioni o deformazioni. La tela originale è a trama diagonale, tipica della fine del XVI secolo, e usata altre volte dal pittore: essa è stata preparata con una mestica rossastra che a tratti trapela in alcune zone del dipinto (particolare che si notava anche prima della pulitura). Osservando la superfice pittorica a luce radente, notiamo come lo strato pittorico sia ricco di materia, di grumi di colore e di lumeggiature corpose. Le rarissime, piccole, lacune di colore sono più che altro marginali: la maggiore è vicina al perimetro, nella parte centrale in alto, ed è stata provoca- 152 23 24 25 23–25 – SAGGI DI PULITURA (foto dell’Autrice) LA MEMORIA ISTITUZIONALE STEFANIA DI MARCELLO TRADIZIONE E INNOVAZIONE NELL’ATTIVITÀ DEL REGIO ISTITUTO CENTRALE DEL RESTAURO NEGLI ANNI 1939–1943 Il 9 maggio del 1969 usciva sul Corriere della Sera un articolo di Dino Buzzati intitolato A Martina con il Professore, dedicato al racconto dell’incontro a Martina Franca tra lo scrittore e Cesare Brandi. L’invito rivolto da Brandi a Buzzati di visitare insieme la città era legato all’imminente presentazione del volume su Martina Franca, scritto da Brandi.1) Buzzati si presentava all’appuntamento con un discreto bagaglio di pregiudizi rispetto a quello che sarebbe stato, a suo avviso, un incontro noiosamente accademico. Con una punta di soggezione nei confronti del professore, il giornalista veniva guidato alla scoperta dell’architettura rococò della Lecce minore, delle sue vie, delle masserie fuori dal centro abitato. Incredibilmente, con il procedere del percorso, il racconto si rivelava piacevole e garbato e, il suo ospite, un delizioso compagno di viaggio. L’articolo colpisce, perché Buzzati riesce a descrivere in poche righe l’essenza dello studioso e della persona, rendendone riconoscibili quei tratti e lo stile tipici dei suoi scritti. Leggendolo, sorge un immediato parallelismo con i manoscritti autografi conservati all’interno dell’Archivio dell’Istituto Centrale del Restauro (AICR), nei quali si ritrova quella capacità di Brandi di accompagnare il lettore all’interno di una narrazione complessa in modo scorrevole e allo stesso tempo umano, così che la lettura avvenga tutta d’un fiato. Con la sua calligrafia ordinata, grazie alla quale possiamo oggi decifrare nomi e termini ormai desueti, Brandi riporta la storia e le vicende che hanno caratterizzato la nascita dell’Istituto e i suoi venti anni di direzione, descrivendone aspetti teorici e materiali. La possibilità di ascoltare dalla sua voce l’intreccio di successi e difficoltà che lo hanno indirizzato verso alcuni percorsi restituisce all’età dell’oro un piano più realistico utile da raccontare (figg. 1–2). Sulla fondazione dell’Istituto è stato detto quasi tutto e il suo esordio ampiamente documentato.2) Ma non si può prescindere dal ricordare brevemente gli scopi fondativi sui quali si è modellato, poiché in essi è contenuta la genesi di quel taglio metodologico alla base dell’innovazione assoluta del nuovo Istituto. Il Regio Istituto Centrale del Restauro nasce con la Legge n. 1240 del 22 luglio del 19393) e riporta tra i suoi scopi principali, all’ art. 1: «di eseguire e controllare il restauro delle opere di antichità e di arte e di svolgere ricerche scientifiche dirette a perfezionare e unificare i metodi; di studiare i mezzi tecnici per la migliore conservazione del patrimonio storico–artistico nazionale, di esprimere pareri per qualunque lavoro di restauro e conservazione e d’impartire l’insegnamento del restauro [...] (lettere a,b,c,d)». Sotto la guida illuminata di Cesare Brandi come primo direttore, il nuovo ente che, esegue e controlla il restauro di opere di Antichità e Arte, assume da subito una connotazione scientifica e persegue lo scopo di eliminare per sempre l’approccio empirico dato alla materia nel corso del secolo precedente. Nell’operare su tutto il territorio nazionale, è privo di competenza territoriale, già attribuita alle locali Soprintendenze, all’azione delle quali si affianca senza sovrapposizioni, come esplicitato da Brandi stesso: «Gli scopi dell’Istituto, essendo stati esplicitamente dichiarati nell’art.1 della legge precitata, non richiedono altra delucidazione se non questa: l’Istituto non veniva creato come una superstruttura delle Soprintendenze, ma come organo fiancheggiatore delle Soprintendenze stesse, atto a risolvere in un’unità di metodo la disparità empirica dei procedimenti di restauro invalsi presso i singoli restauratori. I quali restauratori, essendo per lo più autodidatti e presunti detentori di miracolistici segreti, contribuiscono a mantenere il restauro su un piano di dannoso empirismo, che sta a una moderna prassi come la vecchia alchimia alla chimica scientifica. I danni provocati da questi dulcamara, spacciantisi per salvatori, essendo tristemente noti a tutti gli storici e amatori d’arte, si rendeva imperiosamente necessario che lo Stato agevolasse la formazione di una classe di tecnici preparati e coscienti con una scuola che, come avviene con le scuole di medicina e chirurgia, ne unificasse scientificamente la prassi, offrendo quindi un piano generale di controllo e di intesa».4) Di qui la necessità imprescindibile di creare insieme con l’Istituto anche una scuola di restauro unigenita con esso, in grado di formare il restauratore attraverso la pratica e lo studio della chimica, della fisica e della storia dell’arte, sostituendo definitivamente alla figura del restauratore–pittore quella di un tecnico specializzato.5) La legge istitutiva sopra citata proibiva inoltre, all’art. 12, l’istituzione di scuole di restauro senza l’autorizzazione del Ministro dell’Educazione Nazionale, al cui controllo era sottoposto l’insegnamento del restauro nel Regno, affermando da quell’istante in poi la didattica dell’ICR come punto di riferimento futuro nella formazione della professione. 155 LIBRI* SABINA CARBONARA, MARCO PISTOLESI, Pratica e decoro nella Roma del Settecento. Tommaso De Marchis architetto, Roma 2022, Ginevra Bentivoglio EditoriA, 302 pp., 109 ill. b/n. Il volume dedicato alla figura professionale dell’architetto romano Tommaso De Marchis (1693–1759) — l’“allievo prediletto” di Carlo Francesco Bizzaccheri (1655–1721), come il maestro era solito chiamarlo — convoglia, in una trattazione di più ampio respiro, le parziali conoscenze che se ne avevano finora. Sin dal primo capitolo, Sabina Carbonara presenta al lettore un professionista poliedrico, che con la sua opera attraversa metà del XVIII secolo, a cominciare dalla formazione, dal suo stato di “accademico di merito” dell’Accademia di San Luca, sino ai primi incarichi di rilievo. In seguito, sono entrambi gli Autori ad approfondirne l’attività peritale svolta al servizio di nobili e congregazioni religiose; mentre è nuovamente l’Autrice a trattare il periodo della sua maturità professionale quando, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, De Marchis ricoprì diverse mansioni pubbliche in qualità di architetto, sia presso il Tribunale delle Strade, dove mantenne l’incarico a vita, sia dell’Annona, sia ancora nella veste di deputato della Reverenda Camera Apostolica. L’argomento è documentato con note inedite che, nel caso della Magistratura delle Acque e delle Strade — cui erano demandati il controllo e la manutenzione dell’esistente, nonché la gestione di nuove opere inerenti proprietà pubbliche — chiariscono, anzitutto, la funzione avuta come giovane praticante di Sebastiano Cipriani nel ruolo di sottomaestro delle Strade e, ormai maturo, quale responsabile della viabilità urbana, con le porte d’accesso alla città e le strade consolari e suburbane, e di perito specializzato in ricognizioni e redazioni di capitolati dei lavori, rilevando e stimando anche selciati e siti sterrati nei diversi rioni. In un’epoca attenta all’ornato, e quindi provvida d’interventi di decoro e riconfigurazioni dello spazio urbano, la sua posizione di architetto–sottomaestro gli diede modo di moltiplicare le consulenze di natura estimativa per illustri personaggi, facendolo diventare ben presto un apprezzato professionista. In proposito, Pistolesi approfondisce le commissioni peritali svolte per il cardinale Nicolò Maria Lercari che, a partire dal 1727, se ne avvalse per accrescere il suo Casino in Albano, fabbricandovi, previa acquisizione dei terreni attigui, una residenza degna del suo accresciuto status durante il pontificato di Benedetto XIII Orsini. Se ai nobili si sommano le congregazioni religiose, l’attività tecnico–estimativa di De Marchis costituisce uno degli aspetti centrali del capitolo e forse del volume, documentando gli scandagli che, definiti già nel Settecento «esattissimi» (p. 22), gli garantirono guadagno e prestigio. Questa prima parte del saggio — in cui si osserva la compresenza di un numero forse troppo elevato di argomentazioni — si conclude con una serie di attribuzioni indicate, sempre da Pistolesi, nella Provincia di Roma che, aprendo a futuri studi mirati, consentiranno un’ulteriore ampliamento del corpus architettonico finora assegnato a De Marchis. Tra il secondo e il quinto capitolo, il volume prosegue con un focus aggiornato sulle opere note e di cui è certa la paternità, a cominciare dal palazzo che Mario Mellini acquistò nel 1737 dai conti Borromeo e già appartenuto ai Salviati e Cesi, sito lungo la via del Corso. Nella ricostruzione del processo storico precedente agli interventi settecenteschi, Sabina Carbonara ipotizza che il prelato sia entrato in contatto con l’architetto attraverso i Muti Papazzurri, imparentati con i Mellini. L’abbattimento del fabbricato cominciò dalla parte della chiesa e piazzetta di San Marcello al Corso ed ebbe inizio nel 1740, secondo quanto riportato dal Diario di Roma del Valesio, dello stesso anno. Come documentato dall’Autrice, per l’intero decennio successivo, De Marchis fu impegnato nell’impresa al fine di rappresentare l’accresciuto status del Mellini che, nel 1747, era stato nominato cardinale da Benedetto XIV Lambertini. Successivamente, viene analizzato l’intervento dell’architetto sull’impianto della fabbrica dove, annettendo preesistenti strutture, ideò una complessa distribuzione interna finalizzata a ricavare più alloggi su uno stesso piano. La sua attività per il porporato si protrasse sino ai primi anni Cinquanta, quando, stando alle “carte Mellini” — facenti parte dell’omonimo archivio conservato presso l’Archivio Storico Capitolino — gli subentrarono altri architetti. Infine, sono descritte le due trasformazioni apportate nel corso del Novecento, sino al recente intervento con il quale il palazzo è stato riadattato a struttura ricettiva di lusso. Sempre Sabina Carbonara illustra, poi, il restauro condotto nella basilica romana dei Santi Bonifacio e Alessio sull’Aventino che, negli anni Quaranta del Settecento, presentava ancora un impianto risalente al rifacimento avvenuto in età romanica. In primis l’Autrice ricostruisce il finanziamento e la prima fase dei lavori voluti da papa Lambertini per l’Anno Santo del 1750 e diretti dall’abate Girolamino Diego Revillas e dall’ingegnere–architetto Giovanni Battista Nolli. In seguito, chiarisce le scelte di un ormai maturo De Marchis di inglobare, a partire dal 1748, l’antica fabbrica in quella nuova, secondo un intervento definito di «totale ristrutturazione e modernizzazione» (p. 94) che, pur mantenendo l’impianto planimetrico, mutò parzialmente lo schema statico al fine di creare una diversa spazialità interna. * Referenze fotografiche: ove non diversamente indicato le immagini sono tratte dal testo recensito. 173 Medioevo tra due mondi. San Nicolò a San Gemini e le alienazioni monumentali nella prima metà del Novecento, a cura di FRANCESCO GANGEMI, TANJA MICHALSKY, BRUNO TOSCANO, Roma 2022, Campisano Editore (Quaderni della Bibliotheca Hertziana, 10), 316 pp., ill. a colori e in b/n. Il volume, pubblicato nel dicembre 2022, raccoglie le ricerche presentate al convegno internazionale — dal titolo leggermente diverso: Un’abbazia tra due mondi. San Nicolò a San Gemini e le alienazioni monumentali nella prima metà del Novecento — organizzato presso l’abbazia di San Nicolò a San Gemini nel giugno 2018, in occasione del cinquantesimo anniversario del restauro del monumento.1) Come evidenziato da Francesco Gangemi nel saggio introduttivo (Monumenti transatlantici, pp. 7–27), il caso del portale medievale di San Nicolò, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York e sostituito in situ da una copia novecentesca, costituisce l’occasione per indagare il fenomeno delle alienazioni monumentali nella prima metà del XX secolo. Si tratta, infatti, di «una vicenda paradigmatica delle sorti del patrimonio artistico italiano al crocevia tra espansione del mercato antiquario e affermazione di una coscienza patrimoniale, in un’epoca di transizione che ha visto un inedito movimento transatlantico di opere monumentali» (p. 7); vicenda che peraltro conduce a indagare altri aspetti del fenomeno delle vendite di beni del patrimonio artistico, quali: «l’ambiguità delle esportazioni regolarmente autorizzate, pur in presenza di leggi di tutela; le grandi dimensioni e l’apparente inamovibilità delle opere prese in considerazione; il rapporto tra istituzioni, intellettuali e mercato e la responsabilità del giudizio culturale sui 1 – SAN GEMINI, CHIESA DI SAN NICOLÒ: IL PORTALE CON LE INDICAZIONI PER LO SMONTAGGIO PRIMA DEL TRASFERIMENTO AL METROPOLITAN MUSEUM OF ART DI NEW YORK (1936?) 176 Abstracts GIANLUCA AMATO Lupo di Francesco in Empoli and Tino di Camaino in Pisa and Siena: New proposals A polychromatic ancient processional wooden Crucifix is housed in the Collegiate Church of Sant’Andrea in Empoli. Revered for its role in freeing the city from the devastating plague of 1399, the icon came to be known as “Our Lord of Graces”, and a passionate cult immediately grew up around it. The paper not only looks into the historical background of the Crucifix, but also attempts to identify its maker. Lupo di Francesco, a pupil of the renowned Giovanni Pisano, is seen as the likely artist. Alongside Tino di Camaino and Giovanni di Balduccio, Lupo played a significant part in the formation of Gothic sculpture in Tuscany during the early decades of the fourteenth century, and beyond. As well as the analysis of the Crucifix “of Graces”, the writer attributes several overlooked, or previously otherwise interpreted, works to Tino di Camaino. These include four pieces: a wooden Crucifix from the Capuchin convent of Pisa; a marble relief featuring the Christ of Mercy recently exhibited at the Museo dell’Opera del Duomo in Pisa; three panels decoratively adorned with plant motifs, encased in the walls of the Palazzo dell’Opera del Duomo and in Via San Giuseppe in Pisa; and the Head of the Madonna fixed to the wooden statue of The Virgin Mary receiving the Annunciation, in the Church of the Santissima Annunciata, Siena. LORENZO BOFFADOSSI The Lelio Orsi frescoes brought to the Galleria Estense from the Rocca di Novellara Modena’s Estense Gallery houses a series of frescoes by Lelio Orsi. During Dukes Francesco III and Francesco IV d’Este’s rule over Modena and Reggio, these would originally have been found in the Rocca di Novellara. Given their fragmentary state, it has been difficult to decipher the frescoes and impossible to identify with any certainty their original location or chronology. The paper places them in two distinct categories, classifying the monochrome friezes and the depiction of the Rape of Ganymede as part of a single cycle. This is thought to have been commissioned by Countess Costanza da Correggio and was probably dedicated to the constellation Aquarius. Fresh light is shed on the other frescoes, which portray narratives from the first book of Ovid’s Metamorphoses. These once formed a single piece, possibly from a dressing room of Alfonso Gonzaga, Count of Novellara and Bagnolo, and the son of Countess Costanza. MATTEO CERIANA An Emperor and a Cardinal, two restored busts in the Museo Nazionale del Bargello Two busts, in the backrooms of the Bargello National Museum in Florence, one bronze, the other clay, have recently been restored. Their restoration was essential to their conservation. Apart from guaranteeing their preservation, it provided a chance to study them in detail, offering valuable technical insights. Though both are by anonymous artists, they had been meticulously documented in the detailed Medici records. Their history can be traced back through inventories made in various Medici and Lorraine abodes. The bronze one, given its style, the fact that it came from Urbino and the seals found inside it, was attributed to Giovanni Bandini. This prominent Florentine sculptor was active in Urbino for about a decade, from 1582. The clay bust, registered in early inventories as a Medici family cardinal, may be 185 Cardinal Giovan Carlo, portrayed with a slightly rudimentary, natural authenticity. Striking for the distinctive plasticity of the artist’s technique, the work is ascribed to Giovanni Gonnelli, known as the blind man of Gambassi. In his day, the sculptor rose to fame for his talent, in spite of his disability. For far too long Gonnelli’s work has been overlooked by contemporary critics. DAMIANO IACOBONE Gio Ponti and Alberto Alpago–Novello (with Mario Sironi): The initial stages of the 1930 IV International Exhibition of Modern Decorative and Industrial Arts in Monza Documentation from the 1930 IV Triennial Exhibition of Decorative and Industrial Arts, in Monza, is housed in the Alpago–Novello Archive in the Communication Studies and Archive Centre of the University of Parma and tracks the exhibition’s early stages. Ferdinando Reggiori’s piece, and images from the Triennale di Milano Archive were the touchpad for a reconstruction of the exhibition’s early days, including its delayed inauguration, originally set for 1929. The minutes from the Directory meetings, composed of Alberto Alpago–Novello, Gio Ponti, Mario Sironi, and Carlo Alberto Felice, shed light on their respective roles and areas of responsibility. Gio Ponti emerges as the predominant figure. It was his the decision, in October 1928, to postpone the exhibition by a year. He also provided guidance, suggestions and sketches covering various sides to, and locations for, the event. Every aspect of the preparations is recorded, from methodological to practical decisions, such as the commissioning of the poster, the establishment of an archive, and, upmost, the desire to generate a “truly modern” exhibition. ANTONELLA CLEMENTONI Alfonso Bartoli and the restoration of the Temple of Venus and Rome: Tension and rivalry between the Excavations Office of the Palatine and Roman Forum and the X Division for Antiquities and Fine Arts of the Governorate Examination of records housed in Rome’s archives has unravelled a series of conflicting events that unfolded in 1935 between the X Division for Antiquities and Fine Arts of the Governorate and the Ministry of Public Education’s Excavations Office for the Palatine and Roman Forum. These revolved around the restoration of the Temple of Venus and Rome in the Roman Forum. The paper focuses in particular on Alfonso Bartoli’s expert work. He was director of the Excavations Office at the time. Bartoli supervised the reassembly of the porphyry columns and flooring of the west facing cell of the temple, the one dedicated to the goddess Roma. An important part of the task, apart from projectual decisions to complete the restoration, was Bartoli’s decision to relinquish jurisdiction over a portion of the temple to the Governorate, without the formal drafting of a legal document. With a mix of humility and diplomatic skill, Bartoli wove his way through the intricate questions involved, successfully negotiating a compromise with the offices of X Division, for the wellbeing and preservation of the monument. BEATRICE ALAI Unveiling Italian miniature art in Frankfurt am Main: The collection of cuttings from the Historisches Museum (13th–16th centuries) The paper presents a series of Italian miniature cuttings currently housed in the Graphische Sammlung of the Historisches Museum in Frankfurt. Only some of this largely unpublished selection of fragments were included in Georg Swarzenski and Rosy Schilling’s 1929 museum catalogue. The collection was created in 1878 and its evolution since then has been mapped out. This has involved collaboration between the Museum’s Commission and private donors of cuttings. The paper examines any pieces of 186 significant historical and artistic value. Analysis has dated the cuttings and shown their liturgical content, stylistic attribution, provenance and how they ended up in the collection. They include late thirteenth– century fragments from the Basilica of San Francesco d’Assisi and illuminated fourteenth–century letters associated with the workshops of the Maestro dei Corali of Massa Maritima, the Maestro dei Corali di Pavia and Nicolò di Ser Sozzo. Fifteenth–century fragments are attributed to Cristoforo Cortese, Antonio Maria da Villafora, Girolamo dai Libri, Tomasino da Vimercate and Frate Nebridio. At the end of the article an Appendix catalogues all the Italian fragments housed in the museum, giving the codicological, palaeographic, liturgical and stylistic details of each piece. ALESSANDRO BROGI – DAVIDE BUSSOLARI – MANUELA MATTIOLI A ‘refound’ work by Ludovico Carracci for the Pinacoteca Nazionale di Bologna The paper draws attention to the Italian state acquisition of an important painting by Ludovico Carracci. The large canvas portrays The Holy Family with Saint Ursula, the Infant Saint John, and Saint Matthias. First put up for auction on the Italian antiques market in 2022, it had been ambiguously attributed to the seventeenth–century Bolognese painter Giovanni Andrea Sirani, a pupil and follower of Guido Reni. Alessandro Brogi later recognised the hand of Ludovico Carracci, a forerunner of modern Bolognese painting. He explains this reattribution through a series of comparisons, facilitated by a meticulous and vital cleaning of the surface of the canvas. This is analysed in the Appendix by Manuela Mattioli, following Davide Bussolari’s diagnostic evaluation. Restoration clarified when the work was painted, placing it in the early seventeenth–century. This was the period when Ludovico Carracci adapted his style to the emerging Classical Ideal. The paper looks into the painting’s early origins, which can be traced back to the mid– eighteenth century when it is recorded as being in the hands of the noble Bonfiglioli senatorial family from Bologna. The family’s coat of arms embellish its magnificent frame, probably the original one. STEFANIA DI MARCELLO Balancing tradition and innovation in the work of the Regio Istituto Centrale del Restauro between 1939 and 1943 The paper is the result of research into the activities of the Regio Istituto Centrale del Restauro (the Royal Central Institute of Restoration) from 1939 to 1943, reading from the surviving documents in the Intitute’s archive. Cesare Brandi’s personal records provide an insight into the challenging establishment of the Institute, whose earliest work was closely entwined with historical and political events of the time. Against a wartime backdrop, with a shortage of materials and manpower, work began in the search for a scientific innovation that could unify various methodical restoration procedures. Continuing the ongoing work on major national construction projects, the first experimentations at the Institute followed a more traditional approach, drawing inspiration from the restoration schools of Bergamo, Rome and Brescia. 187 SOMMARIO In memoria di Giovanni Carbonara (1942–2023) SABINA CARBONARA, Un ricordo di mio padre DAMIANO IACOBONE, Giovanni Carbonara: una biografia scientifica GIANLUCA AMATO, Lupo di Francesco a Empoli e Tino di Camaino a Pisa e Siena: nuove proposte LORENZO BOFFADOSSI, Gli affreschi di Lelio Orsi portati alla Galleria Estense dalla Rocca di Novellara MATTEO CERIANA, Un imperatore e un cardinale, due busti del Museo Nazionale del Bargello restaurati DAMIANO IACOBONE, Gio Ponti e Alberto Alpago–Novello (con Mario Sironi): le fasi preparatorie della IV Esposizione internazionale delle arti decorative ed industriali moderne di Monza del 1930 ANTONELLA CLEMENTONI, Alfonso Bartoli e il restauro del Tempio di Venere e Roma. Attriti e rivalità tra l’Ufficio Scavi del Palatino e Foro romano e la Ripartizione X Antichità e Belle Arti del Governatorato COLLEZIONI E COLLEZIONISTI BEATRICE ALAI, Per la riscoperta della miniatura italiana a Francoforte sul Meno: la collezione di ritagli dell’Historisches Museum (secc. XIII–XVI) ACQUISIZIONI ALESSANDRO BROGI, Un Ludovico Carracci ‘ritrovato’ per la Pinacoteca Nazionale di Bologna con DAVIDE BUSSOLARI, Analisi diagnostiche, e MANUELA MATTIOLI, Il restauro LA MEMORIA ISTITUZIONALE STEFANIA DI MARCELLO, Tradizione e innovazione nell’attività del Regio Istituto Centrale del Restauro negli anni 1939–1943 LIBRI MICHELE FUNGHI, recensione a SABINA CARBONARA, MARCO PISTOLESI, Pratica e decoro nella Roma del Settecento. Tommaso De Marchis architetto, Roma 2022 MARCELLO MOSCONE, recensione a Medioevo tra due mondi. San Nicolò a San Gemini e le alienazioni monumentali nella prima metà del Novecento, a cura di FRANCESCO GANGEMI, TANJA MICHALSKY, BRUNO TOSCANO, Roma 2022 Esemplare non cedibile ISSN: 0394-4573 ISBN 978-88-6557-605-2 STAMPA E DIFFUSIONE DE LUCA EDITORI D’ARTE