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SCIENZE DELL’ANTICHITÀ
18 – 2012
EDIZIONI QUASAR
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SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ
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DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ
Direttore
Enzo Lippolis
Comitato di Direzione
Maria Giovanna Biga, Savino Di Lernia, Eugenia Equini Schneider,
Giovanna Maria Forni, Gian Luca Gregori, Laura Maria Michetti, Frances Pinnock,
Loredana Sist, Maurizio Sonnino, Eleonora Tagliaferro
Comitato scientifico
Rosa Maria Albanese (Catania), Graeme Barker (Cambridge),
Corinne Bonnet (Toulouse), Alain Bresson (Chicago), Jean-Marie Durand (Paris),
Alessandro Garcea (Lyon), Andrea Giardina (Firenze), Michel Gras (Roma),
Henner von Hesberg (Roma-DAI), Tonio Hölscher (Heidelberg), Mario Liverani
(Roma), Paolo Matthiae (Roma), Athanasios Rizakis (Atene), Guido Vannini
(Firenze), Alan Walmsley (Copenhagen)
Redazione
Laura Maria Michetti
SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
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ALESSIA AMENTA
IL CONTRIBUTO DEL VATICANO ALLO SCAVO DI SONQI TINO*
Digitus Dei est hic!
(P. Giovanni Vantini)
I Musei Vaticani conservano il ricordo di quella fortunata vicenda archeologica che ha
permesso di conservare le pitture murali della chiesa nubiana di Sonqi Tino1. Al di là della
cronaca più strettamente legata all’aspetto archeologico, si intende recuperare il sentimento
che avrebbe ispirato la Santa Sede a partecipare al salvataggio, promosso dall’UNESCO, della
Nubia sudanese, in cui rientra anche il sito di Sonqi Tino2.
L’importante missione di questa organizzazione mondiale, ratificata nel 1946 in difesa
dei diritti umani e della promozione della cultura, coinvolse presto anche la Santa Sede. Dopo
qualche anno, l’11 luglio 1952, sotto il papato di Pio XII, fu accreditato presso l’UNESCO il
suo primo rappresentante come osservatore permanente, che portava il nome di Mons. Angelo
Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, allora nunzio a Parigi.
La Santa Sede ha poi negli anni sempre confermato il suo sostegno all’organizzazione. Il 26
agosto 1965 papa Paolo VI volle rivolgere direttamente le proprie parole al direttore dell’UNESCO, per sottolineare l’importanza della sua funzione nel mondo3. Seguendo le sue orme, Giovanni Paolo II visitò personalmente la sede di Parigi il 2 giugno 1980: «Cercherò di portare la
mia modesta pietra all’edificio dell’UNESCO», perché «L’avvenire dell’uomo dipende dalla cultura!». Il suo celebre discorso è di fatto considerato il Secondo Atto Costitutivo dell’UNESCO.
Nel ricordo di quella memorabile giornata, nel suo 25° anniversario, il 2 giugno 2005, Benedetto
XVI ha ribadito quanto sia necessario mobilitare le energie dell’intelligenza, affinché sia garantito, specie nei paesi più poveri, il diritto all’educazione e alla cultura: «La Chiesa rinnova la fiducia
negli intellettuali impegnati nella sfida esaltante della ricerca della verità».
* Si ringrazia Anna Maria De Strobel, curatore
del Reparto per l’Arte Bizantino-Mediovale dei Musei
Vaticani, per avermi concesso di studiare la pittura da
Sonqi-Tino conservata nei Musei Vaticani (inv. 42323)
e per il prezioso aiuto nella relativa ricerca di archivio. Il contributo presenta in fondo i primi risultati
delle indagini scientifiche per immagini eseguite sulla
pittura dal Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro dei Musei Vaticani, diretto da
Ulderico Santamaria.
1
VOLBACH 1979.
2
GODLEWSKI 1995.
3
Nel 1974 Paolo VI riceve il premio UNESCO
per la pace “John XXIII”.
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Il Preambolo dell’Atto costitutivo dell’UNESCO, redatto nel 1945, è alla base del sentimento che ha messo in moto il salvataggio della Nubia sudanese, e allo stesso tempo è la chiave
di lettura per comprendere la mobilitazione della Santa Sede a questo evento:
(I Governi degli Stati aderenti alla presente convenzione, a nome dei loro popoli dichiarano:)
Le guerre hanno origine nello spirito degli uomini ed è nello spirito degli uomini che si
debbono innalzare le difese della pace;
L’incomprensione reciproca dei popoli è sempre stata, nel corso della storia, all’origine del
sospetto e della sfiducia tra le nazioni;
La dignità dell’uomo esige la diffusione della cultura e l’educazione di tutti per il raggiungimento della giustizia, della libertà e della pace;
La pace dei governi deve essere stabilita sulla base della solidarietà intellettuale e morale
dell’umanità;
Si auspica la pace internazionale e la prosperità per tutti i popoli attraverso la cooperazione delle nazioni del mondo nei settori dell’educazione, della scienza e della cultura.
Da una parte dunque la necessità di diffondere ogni diversa cultura, perché conoscersi
significa rispettarsi, dall’altra l’attenzione del Vaticano all’Africa Orientale, in special modo in
Sudan, che Paolo VI appellava «il luogo delle antiche glorie dell’Africa cristiana». Riscoprire
quelle vestigia acquistava dunque il valore di mantenere in vita il seme del Cristianesimo in
quelle terre sconvolte dalla guerra civile e religiosa.
Quello di Paolo VI fu anche il primo viaggio di un papa in Sudan, nel 1969, seguito da
quello di Giovanni Paolo II, il 10 febbraio 1993. Una visita veloce, solo nove ore, ma voluta
fermamente: «…Qui a Khartum, desidero esprimere quella stessa speranza riguardo al Sudan. Questo è un paese con molti popoli, lingue e costumi diversi. Oltre alla religione africana tradizionale, due grandi tradizioni religiose, l’Islam e il Cristianesimo, sono coesistite
in questo territorio per secoli. Oggi è essenziale recuperare il senso del rispetto reciproco e
della cooperazione al servizio del bene comune, nel quadro di una ricerca sincera e onesta
per trovare una giusta soluzione al conflitto che continua a mietere una messe così terribile
di violenze…»4.
Per la prima volta un papa celebrava l’Eucarestia in un paese arabo, fondamentalista,
in una pubblica piazza, rivolgendosi ai cristiani come a dei martiri: «Vedo in voi il mistero
del Calvario»5. Giovanni Paolo fu accolto dal presidente sudanese, il generale musulmano
Omar Hasan Ahmad al-Bashir. Dalle sue mani ricevette personalmente un dono altamente
simbolico, a riconoscimento delle profonde radici cristiane del Sudan. Una riproduzione a
grandezza naturale di una Madonna ritrovata negli scavi della cattedrale di Faras6: «… La sua
4
Devo levare la mia voce a chiedere giustizia…,
da L’Osservatore Romano, 11 febbraio 1993, p. 11.
Queste parole sono parte del discorso di Giovanni
Paolo pronunciato subito dopo essere sceso dall’aereo
a Khartum.
5
Da L’Osservatore Romano, 11 febbraio 1993,
p. 12.
6
Allo stato attuale della ricerca non è stato ancora possibile rintracciare tale dono.
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gradita visita, Santità, rappresenta
un dono di Dio per entrambi, e ci
permette di confrontare le nostre
vedute su queste importanti problematiche, così come una rara
opportunità per Vostra Santità di
vedere i fatti con i suoi occhi, e di
vedere come il Sudan, società multireligiosa, multirazziale e multiculturale, abbia ideato strumenti
e comportamenti tramite i quali
tutti possano vivere serenamente
in armonia, fratellanza e tranquillità»7. Un dono che si ricollega Fig. 1 – La pittura da Sonqi Tino conservata nei Musei Vaticani
inevitabilmente a quella pittura (inv. MV 42323).
ricevuta dalla Santa Sede per aver
partecipato al salvataggio della chiesa di Sonqi, laddove si andava proprio recuperando la
conferma di quelle profonde radici cristiane: «L’avvento dell’Islam in Sudan ha sì sepolto
sotto spesse coltri di sabbia le vestigia gloriose di antiche chiese cristiane, ma l’odierna comunità cristiana di Khartum può dire che quel seme non è sepolto ancora»8 (Fig. 1).
È dunque nostra intenzione affiancare i due impulsi che hanno mosso i fili della vicenda
vaticana a Sonqi.
Il primo, l’appello del Direttore Generale dell’UNESCO, Vittorino Veronese, il giorno 8
marzo 1960: «Les travaux du grand barrage d’Assouan ont commencé. … Que les peuples s’unissent pour empêcher le Nil, source accrue de fécondité et d’énergie, de devenir le tombeau liquide
d’une partie des merveilles que les hommes d’aujourd’hui ont reçues des hommes de jadis».
Il secondo, il messaggio Africae Terrarum, che papa Montini Paolo VI, il 29 ottobre 1967,
rivolse alla gerarchia e a tutti i popoli dell’Africa, nella speranza che imboccassero un fiorente
cammino di libertà e di fede: «Nel rivolgere il Nostro saluto all’Africa, non possiamo fare a
meno di richiamare alla mente le sue antiche glorie cristiane. Pensiamo alle Chiese cristiane
d’Africa, l’origine delle quali risale ai tempi apostolici ed è legata, secondo la tradizione, al
nome e all’insegnamento dell’evangelista Marco. … In realtà, dal secolo II al secolo IV la vita
cristiana nelle regioni settentrionali dell’Africa fu intensissima e all’avanguardia tanto nello
studio teologico quanto nella espressione letteraria. … (§ 3) Noi Ci siamo sempre compiaciuti
del fiorire degli studi sull’Africa, e vediamo con soddisfazione il diffondersi della conoscenza
della sua storia e delle sue tradizioni. Ciò, se fatto in modo onesto e oggettivo, non può non
portare ad una più esatta valutazione del suo passato e del suo presente. … (§7)».
7
Un impegno comune per fare del Sudan una
terra di pace, da L’Osservatore Romano, 11 febbraio
1993, p. 11. Queste parole sono del presidente sudanese nel suo discorso di benvenuto al Santo Padre.
8
Queste le parole di Padre Giovanni Vantini,
che partecipò agli scavi di Sonqi come inviato dalla
Santa Sede.
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Sono questi gli anni che seguono l’espulsione, secondo l’ordine del governo sudanese del
27 febbraio 1964, di tutti i missionari cattolici dal Sudan meridionale, perché avrebbero abusato
dell’ospitalità loro concessa e interferito negli affari sudanesi. Non è una casualità il fatto che, proprio in quello stesso anno, Paolo VI, il 2 agosto, in occasione del suo viaggio in Uganda, inaugurasse
a Namugongo il santuario dedicato ai Santi Martiri dell’Uganda, nel luogo in cui Carlo Lwanga
con i suoi ventuno giovani compagni cattolici furono martirizzati alla fine dell’800. I primi santi
cattolici in terra africana9. Con quella espulsione il governo musulmano sudanese aveva confidato
nel crollo della cristianità nel Sud del paese, ma il numero dei battezzati raddoppiò letteralmente
nei successivi quattro anni. Si era tentato poi di costringere i cattolici sudanesi a creare una sorta di
Chiesa "patriottica" sul modello cinese. L’operazione non riuscì e i cattolici andarono così subendo
la persecuzione del governo centrale, che non si è mai del tutto arrestata neanche oggi.
La missione di Sonqi Tino dell’Università di Roma, in collaborazione con il CNR e la Santa
Sede, si colloca temporalmente in questo momento di contrazione del Sudan nei confronti della
chiesa cattolica. Non potendo essere presente “fisicamente”, perché i missionari cattolici erano stati
espulsi, la Santa Sede intendeva conservare un contatto reale con il territorio. Rintracciare e provare
l’antichità della presenza del Cristianesimo in Sudan avrebbe automaticamente significato il rispetto di quella realtà e l’ideale condanna della persecuzione contro i cattolici da parte del governo centrale10. Questo sentimento, sotteso alla partecipazione della Santa Sede al convegno dell’UNESCO
a Venezia nel 1966, per concordare i diversi interventi di salvataggio nella Nubia sudanese, è di fatto
lo stesso che ispirò l’Atto costitutivo dell’UNESCO e la sua mobilitazione nel mondo: la pace e
l’unione dei popoli attraverso la conoscenza e il rispetto delle reciproche culture.
La Santa Sede partecipò a Venezia nelle persone di Filippo Magi, direttore dell’Ufficio
scavi dei Musei Vaticani, e del Rev. Felice Domenico Darsy, direttore del Pontificio Istituto
di Archeologia Cristiana. Per l’Italia era presente il prof. Sergio Donadoni dell’Università di
Roma “La Sapienza”, cui venne affidato lo scavo a Sonqi Tino.
Magi e Darsy avevano fatto sperare al Sovrintendente delle Antichità del Sudan, Thabit Hassan Thabit che, non avendo possibilità di inviare nel Sudan personale, vista la situazione, avrebbero
comunque inviato aiuti finanziari. In data 23 gennaio 1967, il Segretario di Stato, Card. Amleto G.
Cicognani, scrisse così direttamente al Magi che la Santa Sede avrebbe partecipato alla Missione
Archeologica Italiana diretta dal Donadoni, stanziando $10.000 e inviando come rappresentante,
per tutta la durata degli scavi, Padre Giovanni Vantini, missionario comboniano e studioso apprezzato del territorio. Queste le sue parole espresse al riguardo: «Ed entro, così, nel ristretto circolo
degli addetti ai lavori. Ma il mio scopo non è “archeologico”: io sono ben piantato nel presente.
Intendo mostrare che i sudanesi che battezzo non sono “fuori luogo”. Il governo di Khartum vorrebbe imporre la legge islamica (shari’a) su tutto il paese e presenta l’apparizione e ascesa del Mahdi
(“l’inviato”) e dei suoi immediati successori negli anni 1880 come fondamento storico per una tale
decisione. La fede cristiana ha qui radici molto più antiche dello stesso islam».
9
Dichiarato beato il 6 giugno 1920 da papa Benedetto XV, Carlo Lwanga (1865-1886) fu canonizzato l’8 ottobre 1964 a Roma da Paolo VI.
10
I documenti di archivio per la ricostruzione
dei fatti, dove non diversamente citato, sono tutti da
ASMV (Archivio Storico Musei Vaticani), Carte Magi,
Attività Scientifica.
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Padre Vantini restò però sempre prima un missionario che un archeologo, raccogliendo
accanto ad ogni testimonianza della storia antica del Sudan ogni singolo documento della storia
dei Padri missionari Comboniani in questo territorio11.
Donadoni aveva ben compreso il sentimento che aveva mosso la Santa Sede e, nella lettera
del 27 febbraio 1967, con cui ringraziava ufficialmente il Segretario di Stato, si augurava che
l’impresa potesse portare «tali frutti di conoscenza alla storia del Cristianesimo nubiano da
giustificare l’impegno che l’ha originata».
Per tutta la durata della prima campagna di scavo, iniziata nel marzo 1967, e poi anche
in tutte le altre, Donadoni restò in contatto con il Segretario di Stato, cui scrisse regolarmente
per rendicontare delle scoperte avvenute. Il Santo Padre ne veniva costantemente informato.
Riecheggiano le parole di papa Montini: «L’Africa ha bisogno di voi, dei vostri studi, delle
vostre indagini, della vostra arte, del vostro insegnamento; non solo perché sia apprezzata nel
suo passato, ma perché la sua nuova cultura maturi sul ceppo antico e si attui nella ricerca feconda della verità»12. Subito dopo la prima campagna, come era stato espressamente richiesto
dalla Segreteria di Stato vaticana, uscì una prima pubblicazione sugli scavi ad opera dello stesso
Vantini con l’introduzione del Donadoni13.
Alla prima missione avevano partecipato anche i noti restauratori Leonetto Tintori di
Prato e Silvestro Castellani da Urbino, con l’incarico di “staccare” le pitture della chiesa. Trasportate a Firenze, si stabilì di consolidarle e di montarle su un supporto leggero in tela fina.
Si decise alfine di far stazionare per breve periodo le pitture a Roma, prima del loro ritorno a Khartum, come suggerito dal Donadoni: «È parso opportuno che gli studiosi italiani
potessero avere una diretta visione di questo materiale, che all’infuori di quello di Faras, conservato a Varsavia, non è frequentemente visibile nei musei europei». Le pitture furono così
esposte in mostra presso l’Aula Magna del CNR, dal 9 al 15 febbraio 196814. Il Sostituto del
Segretario di Stato, Mons. Giovanni Benelli, scrisse in quell’occasione all’allora direttore dei
Musei Vaticani, Paolo Dalla Torre, in data 19 gennaio 1968, augurandosi che proprio la mostra
romana potesse essere l’occasione per conoscere quanto dei ritrovamenti di Sonqi sarebbe stato
donato alla Santa Sede15. Sfortunatamente Sayed Thabit Hassan Thabir, Sovrintendente alle
Antichità del Sudan, che avrebbe dovuto stabilire la divisione dei reperti tra Italia e Vaticano,
non poté presenziare per un infortunio.
L’Osservatore Romano riportò notizia delle scoperte di Sonqi più volte in quello stesso
anno, sottolineando l’attenzione della Santa Sede a questa vicenda archeologica16. Anche Sa11
È autore di alcune importanti monografie sulla Nubia cristiana, cfr. VANTINI 1972, 1975, 1985. Ma
la sua più grande fatica è dedicata alla ricostruzione
della storia missionaria in Sudan e al suo ruolo nell’indipendenza del Sud Sudan, cfr. VANTINI 2005. Pochi
mesi prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2009,
pubblica ancora, sulla Nubia cristiana, con lo scopo
di aggiornare tutte le ultime scoperte archeologiche
cristiane in territorio sudanese, cfr. VANTINI 2009.
12
Papa Paolo VI agli intellettuali, in Africae Terrarum, §32.
13
VANTINI - DONADONI 1967-68. Il diff, che si trova a ca. 3 km sud dalla chiesa, fu interamente ripulito,
fotografato e rilevato nella prima campagna del 1967.
14
DONADONI - CURTO 1968.
15
A quei tempi veniva donato il 50% dei ritrovamenti.
16
L’11 febbraio l’Osservatore Romano titola
“Esposte eccezionali pitture sacre recuperate nella
Nubia sudanese” e il 24 febbraio “Pitture sacre sudanesi”. L’11 aprile Cirillo Tescaroli, missionario espulso dal suolo sudanese nel 1964, scrive “Nuove luci sul
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batino Moscati scrisse riguardo alla mostra, in data 1 luglio 1968, sottolineando quanto fosse
importante la ricerca delle radici cristiane per affermare il diritto dei cattolici nel territorio
sudanese moderno: «Così l’antico regno della Nubia, che conservò per secoli la fede cristiana e
fronteggiò validamente la potenza dell’Egitto islamico, riemerge nella viva luce dei suoi monumenti artistici. La ricchezza di questi spiega come la tradizione del Cristianesimo abbia potuto
sopravvivere anche oltre la conquista del Saladino prima e del Sultano poi»17.
La mostra fu poi trasportata a Torino e inaugurata presso il Museo Egizio il 7 aprile 1969,
in occasione dell’XI Settimana dei Musei Italiani, con il titolo Pitture dell’anno 1000 tratte dalla chiesa di Sonki nel Sudan. Le parole dell’allora direttore, Silvio Curto, pronunciate nel suo
discorso inaugurale, sottolinearono ancora una volta il significato della partecipazione della
Santa Sede alla missione sudanese: «… Queste reliquie cristiane dell’Alta Nubia sono venute
alla luce in un particolare momento ecumenico, in cui le varie comunità cristiane si stringono
sempre più fra loro con rapporti intensi e cordiali. La partecipazione della Santa Sede dimostra
la volontà della chiesa cattolica di intrattenere un colloquio con ogni forma di civiltà; la partecipazione di un rappresentante della Santa Sede testimonia la sollecitudine con cui il Santo Padre
segue e coglie l’affiorare di qualunque occasione per riaffermare la continuità del vincolo che
lega tutti i cristiani, al passato, nel presente, per il futuro».
A seguito della seconda campagna di scavo del 1968, il Segretario di Stato scrisse al Donadoni, in data 12 agosto, per comunicare che la Santa Sede era intenzionata ad estendere la
collaborazione con un ulteriore contributo di $5000. Di fatto la Santa Sede partecipò a tutte e
quattro le campagne di Sonqi Tino, dal 1967 al 197018.
Non è stato possibile recuperare documenti di archivio sulla modalità di spartizione delle
pitture tra i diversi partecipanti alla missione archeologica di Sonqi a chiusura dei lavori. Di
fatto, le Autorità Sudanesi ne donarono una sola al Vaticano e diciotto alla Sapienza Università
di Roma. Altre diciotto pitture restarono invece a Khartum e sono oggi esposte presso il Museo Archeologico19: «Curo con amore la creazione di questa sezione del museo. E lì, lungo gli
anni, conduco migliaia di persone: cristiani, catecumeni, alunni, studenti, universitari. Devono
vedere con i propri occhi la verità: per dieci secoli, il Dio di Gesù Cristo è stato annunciato e
creduto in Sudan. È necessario che percepiscano la continuità di questa presenza di Cristo, in
modo tale da non soccombere alla tentazione di accettare che, con l’avvento dell’Islam, tutto
sia andato perduto. E dico loro che sono gli eredi di questa presenza, anche se sepolta e nascosta, e che bisogna farne continua memoria». Con queste parole, che si riferiscono al neonato
Cristianesimo della Nubia”. Il calibro della sua penna
sottolinea il valore evangelizzante sotteso alla missione di Sonqi. Padre Tescaroli dedicò infatti la seconda
parte della sua vita allo sfruttamento dei mass-media
come supporto fondamentale all’evangelizzazione,
scrivendo più di duecento libri, lavorando attivamente per la stampa, la radio e la televisione, e creando
un importante centro di documentazione con dati e
notizie da tutto il mondo missionario.
17
“L’arte della Nubia svela una remota civiltà
cristiana”, in Il Messaggero, 1 luglio 1968.
18
Donadoni 1970a, 1970b, 1971, 1978; Fanfoni
1979.
19
«Il resto delle pitture di eguale provenienza è
depositato al Museo di Khartoum, per quanto è degno
di esposizione, e al Museo dell’Università di Roma,
per quanto dalle autorità archeologiche sudanesi fu
ritenuto non degno di pubblica visione», da un appunto di Donadoni nella scheda di restauro n. 281/71
dei Laboratori dei Musei Vaticani.
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allestimento dedicato a Sonqi a Khartum, Padre Vantini ha saputo racchiudere con forza e sentimento lo spirito evangelizzante sotteso alla sua incessante ricerca storico-archeologica.
Il 2 febbraio 1971, «dopo aver compiuto il periplo dell’Africa», arrivò dal Sudan la cassa
contenente le pitture donate per la missione di Sonqi. La cassa fu ritirata presso il Museo del
Vicino Oriente dell’Università di Roma, a spese della Santa Sede, e trasportata ai Musei Vaticani. Per procedere alla divisione delle opere tra le due istituzioni, si ritenne necessario realizzare
adeguati supporti per ogni singola pittura, al fine di evitare ogni eventuale danneggiamento. Tale
interevento sarebbe stato realizzato nei laboratori dei Musei Vaticani20. L’apertura della cassa nei
Musei avvenne l’8 marzo alla presenza di Sergio Donadoni, per l’Università di Roma, e Redig
de Campos, Roncalli e Nati per i Musei Vaticani21. I reperti entrarono nel Laboratorio Restauro
Pitture il 19 aprile e l’intervento durò poco più di un mese. Il lavoro fu eseguito da Luigi Brandi
con la collaborazione di Enrico Guidi. Le pitture, già fissate su tela fine dal Tintori a seguito del
distacco, furono rinforzate con un fondo di cadorite, leggero, indeformabile e di lunga durata22.
Il 25 maggio 1971 i reperti sudanesi furono riconsegnati a Donadoni23: «Con questo gesto
si conclude qui a Roma la collaborazione che già era stata sperimentata sul cantiere sudanese;
e mi auguro che di questa attività – per quanto essa è stata comune – resti buono il ricordo»24.
Le pitture del’Università di Roma furono poi esposte nel Museo del Vicino Oriente. Quella
vaticana ricevette il n. inv. 42323, fu conferita al Reparto di Arte Bizantino-Medioevale per la
sua datazione al X secolo e subito esposta nel “neonato” Museo Pio Cristiano. Fu collocata
proprio accanto ai grandi sarcofagi paleocristiani, in cui si ritrova frequente l’iconografia dei
Tre fanciulli nella fornace della nostra pittura25.
Si tratta di un episodio biblico relativo alle vicende della cattività babilonese di Israele
(Daniele 3, 1-100). Tre fanciulli, Anania, Azaria e Misaele, si erano rifiutati di adorare un
idolo d’oro con le sembianze del re Nabucodonosor e furono quindi condannati a bruciare
vivi in una fornace. Invocarono allora l’Altissimo, «Benedetto sei tu Signore, Dio dei nostri
padri; degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre […]» (Daniele 3, 26-45), perché li
salvasse dalle fiamme, «Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria al tuo nome, Signore» (Daniele 3, 42-43). Ecco
allora che «l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace,
allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace e ne rese l’interno della fornace come
se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece
loro alcun male, non diede loro alcuna molestia» (Daniele 3, 49-50). I tre giovani tornarono
a lodare Dio. Fu così che Nabucodonosor, impressionato dal prodigio della loro salvezza, li
fece liberare e ordinò che chiunque avesse proferito «offesa contro il Dio di Sadrac, Mesac e
20
1971.
ASMV, b. 102, Doni e Scambi 1966-1974, anno
21
ASMV, b. 102, Doni e Scambi 1966-1974, anno
1971, Prot. 267/2/71.
22
Scheda di restauro n. 280/71 per le 18 pitture
che torneranno all’Università; scheda di restauro n.
281/71 per quella che resta in Vaticano.
23
ASMV, b. 102, Doni e Scambi 1966-1974, anno
1971, Prot. 279/2/71.
24
ASMV, b. 102, Doni e Scambi 1966-1974, anno
1971, Prot. 914/13.
25
Attività della Santa Sede 1971, p. 885. La pittura
fu esposta per soli tre anni. La datazione alta, X secolo,
fece però riconsiderare la sua collocazione, inappropriata in una collezione di monumenti di arte paleocristiana. Il reperto fu quindi spostato in magazzino.
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Abdenego26, sia fatto a pezzi e la sua casa sia ridotta a letamaio, poiché non c’è nessun altro
dio che possa liberare allo stesso modo» (Daniele 3, 96).
Nell’arte cristiana antica questo episodio si presenta in due diverse figurazioni, che rappresentano i due momenti chiave del racconto di Daniele: il rifiuto dell’adorazione dell’idolo
e il supplizio nella fornace.
Nella pittura da Sonqi Tino l’angelo del Signore si identifica con l’Arcangelo Michele, a
cui era anche dedicata la chiesa27. Michele indossa una lunga veste bianca a strisce verticali rosse
e una corona con perle e pietre preziose; sulla testa l’aureola marrone e le ali con piume di pavone; nella mano tiene un lungo bastone con cui protegge i tre fanciulli (Fig. 2). Essi indossano
un tipico costume orientale, con pantaloni scuri, tunica corta e mantello chiaro con bordo; i
due personaggi sulla destra portano sulla testa un copricapo rotondo, rosso e marrone, mentre
quello di destra è mutilo della parte superiore.
Non è questa la sede per approfondire gli aspetti storico-artistici e simbolici dell’iconografia dei Tre fanciulli nella fornace, ben attestata come paradigma della salvezza nel repertorio
iconografico dell’orbis christianus antiquus28. I Tre fanciulli sono un motivo presente anche
nella letteratura copta, in cui si rintraccia una complessa tradizione letteraria, recentemente
recuperata da Orlandi29. Interessanti le riflessioni per quanto riguarda sia l’Egitto sia la Nubia
cristiana, laddove compare all’interno di impianti chiesastici, più comunemente sulla parete
occidentale dell’ingresso meridionale (riservato agli uomini)30.
Fig. 2 – Particolare
MV 42323).
26
dell’Arcangelo
Michele
Questo il nome che i tre fanciulli ricevono durante la loro cattività a Babilonia: «… dovevano essere
educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re. Fra loro vi erano alcuni Giudei:
Daniele, Anania, Misaele e Azaria; però il capo dei
funzionari di corte diede loro altri nomi, chiamando
Daniele Baltassàr, Anania Sadrac, Misaele Mesac e
Azaria Abdènego» (Daniele 1, 5-7).
27
Nella pittura nubiana cristiana l’angelo salvatore dei tre fanciulli è sempre rappresentato con le
(inv.
Fig. 3 – I tre fanciulli nella fornace dalla catacomba
di Priscilla, cubicolo della Velata (metà III sec.) (da
CARLETTI 1981, p. 19, fig. 3).
sembianze dell’Arcangelo Michele. Nel passo di Daniele, invece, l’inviato del Signore non ha nome. Per
quanto riguarda la funzione degli Arcangeli come
protettori nell’arte nubiana, cfr. LAPTAś 2010.
28
RASSART-DEBERGH 1978; van ESBROECK 1991.
29
ORLANDI 2011.
30
VANTINI 2009, p. 151 e INNEMÉE 1995; si rimanda inoltre al contributo di Mario Cappozzo in questo
volume.
31
WILPERT 1903, tav. 16; NESTORI 1993, p. 27, n.
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Fig. 4 – I tre fanciulli nella fornace sul sarcofago del Museo Pio Cristiano inv. MV 31471 (IV sec. d.C.).
A Roma, in particolare, il motivo del supplizio nella fornace è il più antico e si ritrova per
la prima volta nella catacomba di Priscilla, nel cosiddetto cubicolo della Velata (metà III sec.)31
(Fig. 3). In questa pittura discende sui fanciulli dal cielo una colomba con ramoscello di ulivo, e
non l’angelo, un’evidente commistione tra l’iconografia del diluvio e quella dei tre fanciulli. È
nel IV secolo che compare invece la figura dell’angelo inviato dal Signore, che nell’arte paleocristiana è rappresentato sempre come una figura virile, senza ali, in tunica e pallio. Nella stessa
catacomba di Priscilla, nella cosiddetta Cappella greca (metà III sec.), si ritrova una’altra scena
dei Tre fanciulli che bruciano nella fornace. L’iconografia compare successivamente anche sui
rilievi figurati dei sarcofagi, a partire dalla seconda metà del III secolo. Nel Museo Pio Cristiano se ne conservano diversi esempi32 (Fig. 4).
Il motivo del rifiuto di adorare l’idolo si ritrova invece dalla fine del III secolo. Il volto
dell’idolo riporta le fattezze del re Nabucodonosor, a voler esprimere l’atteggiamento polemico delle prime comunità cristiane contro il culto imperiale33. Una bella pittura raffigurante il rifiuto compare su di un arcosolio della catacomba di Marco, Marcelliano e Damaso (IV sec.)34.
La pittura da Sonqi conservata in Vaticano offre dunque numerosi spunti di riflessioni,
testimoniando quanto la creazione e l’accrescimento della collezione dei Musei Vaticani sia
osmosi con la Storia.
Alessia Amenta
Musei Vaticani, Reparto di Antichità Orientali
ao.musei@scv.va
39. Per l’iconografia dei tre fanciulli in età paleocristiana, cfr. MAZZEI 2000, pp. 177-178; CARLETTI 2007.
32
DEICHMANN 1967, passim.
33
34
35
CARLETTI 1975; GIORDANI 1978.
NESTORI 1993, p. 116, n. 5.
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ULDERICO SANTAMARIA – FABIO MORRESI – FABIO CASTRO
APPENDICE
PRIME NOTE SULLE ANALISI PER IMMAGINI ESEGUITE SULLA PITTURA VATICANA DA SONQI TINO35
La pittura è attualmente oggetto di studio per quanto riguarda la tecnica pittorica e sarà
successivamente restaurata. Le indagini, tuttora in corso, sono dirette da Anna Maria De Strobel, curatore del Reparto di competenza, in collaborazione con il responsabile del Laboratorio
di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro dei Musei Vaticani, Ulderico Santamaria.
Si intende presentare i primi risultati della prima fase, che si riferisce alle indagini non
distruttive multi spettrali (Fluorescenza UV indotta, IR - Falsi colori, Spettro colorimetria e
Fluorescenza X XRF), con lo scopo di acquisire informazioni sulla tecnica esecutiva e il suo
stato di conservazione.
Le indagini in fluorescenza UV indotta mostrano chiaramente la fluorescenza a forma di
pitting di colore giallo, imputabile a residui dei materiali di bendaggio impiegati nelle operazioni di stacco (Fig. 5). La fluorescenza UV e l’IR - Falsi colori mostrano chiaramente la natura
ocracea dei pigmenti del fondo, che vengono restituiti in colore scuro, così come avviene per
le decorazioni dei personaggi (Fig. 6). Appaiono in modo chiaro, con fluorescenza di tonalità
azzurra presente in corrispondenza di finiture pittoriche non più evidenti a luce visibile, tracce
di leganti, come residui di assorbimento nella preparazione. Inoltre, le immagini in IR - Falsi
colori evidenziano bene le lacune presenti nel dipinto. Dai risultati di emissione della fluorescenza si può ragionevolmente ritenere che si tratti di un dipinto a fresco con finiture a secco.
Non si esclude la presenza di sostanze organiche nell’intonaco (latte, ecc.).
Fig. 5 – Ripresa UV della pittura inv. MV 42323.
Fig. 6 – Ripresa IR-Falsi Colori della pittura inv. MV
42323.
ti relativi saranno esaustivamente pubblicati, insieme con il restauro, in una futura pubblicazione.
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Punto01
L*
a*
b*
Purity%
Dom. Wav. nm
rosso
41.2226
20.1289
19.9505
43.23
595.29
Punto02
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
rosso
38.1114
18.0584
17.5481
40.57
595.29
Punto03
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
marrone
37.5143
8.9935
13.2589
30.11
588.5
Punto04
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
giallo
51.286
12.0084
30.2736
50.58
585.17
Punto05
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
bianco
73.7571
2.0207
15.598
19.52
579.39
Punto06
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
giallo
51.8434
8.9302
27.6626
45.86
583.58
Punto07
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
bianco
69.9022
2.3822
17.5778
22.98
579.55
Punto08
L*
a*
b*
Purity
Dom. Wav.
nero
44.5088
1.8978
9.3776
17.64
580.58
Tab. 1- Punti di misura colorimetrica (coordinate L*a*b*) e relativi valori di purezza e lunghezza d’onda dominante.
Le indagini colorimetriche hanno consentito la caratterizzazione puntuale dello stato cromatico e dei pigmenti presenti (Tab. 1). Le relative curve di riflettanza rilevano, in corrispondenza dei punti di misura della Tabella 1, i seguenti pigmenti:
= ematite (Fe2O3 nH2O. Fe2O3), magnetite (Fe3O4) con silicati argillosi.
= ocre gialle naturali: goetite FeO(OH), limonite 2Fe2O3 3H2O.
BIANCO = CaCO3.
NERO = carbone.
ROSSO
GIALLO
Curve spettrofotometriche dei punti di colore rosso, giallo, bianco e nero.
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I risultati colorimetrici sono stati poi confrontati con quelli dell’indagine in fluorescenza
X XRF, relativa alla composizione degli elementi chimici presenti nei pigmenti e strati sottostanti.
Al
Si
S
K
Ca
Ti
Cr
Mn
Fe
Zn
Sr
Punto 1 rosso
907
4359
1709
1163
32474
4345
18
353
47861
379
749
Punto2 rosso
664
3353
2743
902
33787
47349
1993 2116 4503 244
Punto 3 marrone
844
4511
1067
1061
17124
Punto 4 giallo
469
2313
1917
914
32767
Punto 5 bianco
451
3177
5883
831
48762
Punto 6 giallo
430
2229
1220
709
Punto 7 bianco
510
3446
4505
Punto 8 607
nero scritta
3694
5050
4861
125 4139 308000
657
713
560
109419 5120
452
942
141
10242
470
628
20294
2288
1446 183228
217
578
676
43660
2090
218
12168
272
540
1013
48043
3374
312
17837
479
1091
Ba
Mn
Cu
Pb
Mg
Cl
399 443
15
100
30
31
6982
441
Questa analisi ha confermano quanto evidenziato dalle indagini multispettrali per quanto
riguarda i pigmenti presenti (Fig. 7 a-h). Nel pigmento bianco si esclude la presenza di sostanze
caolinitiche e si rileva l’aumento del contenuto di zolfo, da associarsi a gesso. Sono stati determinati anche elementi quali Ba e Cr, da porre in relazione con l’uso di pigmenti industriali nel
corso del restauro degli anni settanta. In due casi (punto 3/marrone e punto 5/bianco) è stato
individuato il rame, dovuto alla presenza di pigmenti a base di rame ormai rimasti in tracce. Il
colore marrone si caratterizza per la presenza del ferro e anche del manganese (pirolusite).
Ulderico Santamaria, Fabio Morresi, Fabio Castro
Musei Vaticani,
Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro
grsmusei@scv.va
Nelle pagine seguenti: Fig. 7 – a-h. Gli otto punti sulla pittura inv. MV 42323 esaminati in fluorescenza X XRF.
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ABSTRACT
At the end of the successful archaeological season at Sonqi Tino (1967-1970) the Holy See, which had
been part of all the archaeological campaigns, received a splendid painting from the Sudanese archaeological authorities, a painting which can still be seen today in the Vatican Museums. The purpose of
the Holy See’s participation was to recover evidence of the roots of ancient Christianity in Sudanese
territory, an area already being destroyed by civil war and by the anti-Christian activities of the Islamic
regime. In Nubia, in fact, the roots of Christianity are very ancient, going back to the first centuries.
The task of recovering this evidence and heritage fell automatically on the presence of the local Catholic
community. Digitus Dei est hic!
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via Ajaccio 41/43 – 00198 Roma
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per informazioni e ordini
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ISBN 978-88-7140-535-3
Finito di stampare nel mese di ottobre 2013
presso Global Print – Gorgonzola (MI)