Academia.eduAcademia.edu

La musica nei Dissoi logoi

2022, «Philosophia. Yearbook of the Academy of Athens»

In questo articolo sono raccolti i passi relativi alla musica presenti nei Dissoi logoi, che non sono mai stati finora esaminati congiuntamente e in modo organico. L’articolo presenta la forma di una raccolta di testimonianze, delle quali si dà sempre il testo greco, corredato da una fascia di apparato, desunto dalle edizioni critiche nonché dagli studi moderni sull’operetta, e accompagnato da una traduzione italiana dei testi: ciascuna testimonianza è poi oggetto di un commento analitico. Il filo conduttore comune ai diversi riferimenti alla musica presenti nei Dissoi logoi è dato dalla visione della musica come di una τέχνη, fondata sul principio di competenza, la quale, come tutte le τέχναι, procede con metodo razionale verso un obiettivo produttivo, rappresentato in questo caso dal suono e dalla performance musicale. Essa è retta da una legge, νόμος, che deve essere nota al musico, senza la conoscenza della quale il musico stesso non sarebbe tale. In questa sua concezione l’autore dei Dissoi logoi è vicino sia a Protagora che a Ippia, ma non si identifica con le loro posizioni. L’indagine svolta consente di precisare le nostre conoscenze circa la presenza della musica nella cultura filosofica dell’età della Sofistica, permette di cogliere un significativo elemento di unità del trattato, e mette in luce un ulteriore tratto di originalità, in aggiunta a quelli già noti, della posizione teorica generale del suo autore.

Φιλοσοφία, 52, 2022, pp. 45-57 LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI I Dissoi logoi sono una raccolta di nove brevi dissertazioni, l’ultima delle quali è mutila e le prime quattro soltanto delle quali presentano chiara struttura antilogica1. Pubblicate per la prima volta nel 1570 dallo Stephanus con il titolo Διαλέξεις2, sensibile è in esse la traccia lasciata da sofisti quali Protagora e Ippia, nonché da Gorgia. Furono scritte dopo la fine della Guerra del Peloponneso, all’incirca tra il 403 e il 395, per un pubblico di lingua dorica, da un sofista forse di provenienza ionica, che parlava un dialettico attico-ionico, influenzato non solo dai sofisti ma anche dagli etnografi, e provvisto di una sua posizione teorica personale3. Nelle pagine che seguono mi propongo di raccogliere e studiare i passi relativi alla musica presenti in questo testo: 1. Per l’edizione critica con traduzione inglese e ampio commento dei Dissoi logoi si veda T. M. Robinson, Contrasting Arguments. An Edition of the Dissoi Logoi, New York, Arno Press, 1979, repr. Salem (New Hamphire), Ayer Company, 1979, che qui seguo anche per la datazione e lo studio della lingua dell’operetta (pp. 34-54). Il testo di Robinson è ora ripreso nella recente edizione compresa in Early Greek Philosophy, Edited and Translated by A. Laks & G. Most, Volume ix, Sophists, Part ii, Cambridge (Ma.) and London, Harvard University Press, 2016, pp. 164-207. Il testo greco con traduzione tedesca fu pubblicato a suo tempo in Die Fragmente der Vorsokratiker, griechisch und deutsch von H. DieLs, hrsg. von W. kRanz, 11. unveränderter Nachdruck der 6. verbesserten Auflage 1952, Zürich-Hildesheim, Weidmann, 1985, ii pp. 405-416. Il testo greco con traduzione italiana e note di commento si trova inoltre in Sofisti. Testimonianze e Frammenti, Fasc. iii, a cura di M. UnteRsteineR, Firenze, La Nuova Italia, 1954, pp. 148-191. Una nuova edizione è ora Dissoi Logoi. Zweierlei Ansichten, Ein sophistischer Traktat, Text, Übersetzung, Kommentar, hrsg. von A. beckeR u. P. schoLz, Berlin, Akademie Verlag, 2004. Sulla datazione dell’operetta esistono altre ipotesi, quali la datazione alta avanzata da S. MazzaRino, Il pensiero storico classico, Vol. 1, Bari, Laterza, 1966, p. 151, i cui presupposti sono stati dettagliatamente esaminati e smontati da T. M. Robinson, Contrasting arguments, cit., pp. 34-41, e quella bassa dovuta, da ultimo, a T. conLey, Dating the So-called Dissoi Logoi: A Cautionary Note, Ancient Philosophy, 5, 1985, pp. 59–65. Recentemente ha riaffermato in uno studio importante la datazione tradizionale D. C. WoLfsDoRf, On the Unity of the Dissoi Logoi, in Early Greek Ethics, ed. by D. C. WoLfsDoRf, Oxford, Oxford University Press, 2020, pp. 293-324. 2. Preferito ancora da W. nestLe, Vom Mythos zum Logos, Stuttgart, Kröner, 1940, p. 437 (repr. 1978, Arno Press). 3. Sul contenuto filosofico dell’operetta, oltre ai commenti riportati nelle edizioni già citate, mi limito a ricordare, tra gli studi meno recenti, A. Levi, Twofold Statements, The American Journal of Philology, 61, 1940, pp. 292-306; M. UnteRsteineR, I Sofisti, Seconda edizione riveduta, 2 voll., Milano, Lampugnani Nigri, 1967, rist. con Presentazione di F. DecLeva caizzi, Milano, Bruno Mondadori, 2008, pp. 463-474, con bibliografia. 46 A. BRANCACCI essi sono numerosi, sono poco o affatto noti, risultano sempre interessanti, e non sono mai stati esaminati congiuntamente e in modo organico. Il loro studio permette di progredire nella ricostruzione della presenza della musica nella cultura filosofica dell’età della sofistica, tema di ricerca al quale mi dedico ormai da anni con la pubblicazione di articoli dedicati a singoli autori4. In questo caso, data la natura episodica, avente quasi sempre la natura di exempla, dei riferimenti alla musica presenti nelle dissertazioni, ho preferito presentare il mio contributo in forma analitica, sotto forma di una raccolta di testimonianze. Di queste si dà sempre il testo greco, corredato di regola da una fascia di apparato, desunto dalle edizioni critiche nonché dagli studi moderni sull’operetta, e accompagnato da una traduzione italiana dei testi. Ciascuna testimonianza è poi oggetto di un commento analitico. L’intenzione delle note di commento è di offrire un contributo personale al corretto intendimento dei testi, ma debito risalto è sempre prestato ai rilievi che su questo o quel punto particolare sono stati offerti da altri studiosi dei Dissoi logoi. Il punto di partenza di questa indagine credo debba essere costituito da una dichiarazione d’ordine generale contenuta nella terza dissertazione, la quale si presta molto bene a introdurre la ricognizione di testi che qui di seguito si presenta. Si legga il passo: T 1 iii 17 (90, 3 Dk = p. 120,13-14 Robinson). τέχνας δὲ ἐπάγονται ἐν αἷς οὐκ ἔστι τὸ δίκαιον καὶ τὸ ἄδικον. Adducono poi l’esempio delle arti, in cui non esistono il giusto e l’ingiusto. Nei Dissoi logoi è assai avanzata la costituzione di un concetto unitario di arte comprendente τέχναι, poesia, tragedia e arti figurative, queste tre ultime intese al lume del concetto gorgiano di ἀπάτη, in una prospettiva estetica affrancata da ogni preoccupazione morale e volta in direzione decisamente edonistica. Emblematica è la dichiarazione espressa nello scritto Περὶ δικαίου καὶ ἀδίκου: «Passiamo ora alle arti e alle opere dei poeti. Nella composizione di tragedie e nella pittura perfetto è colui che inganna di più, creando immagini simili a quelle reali» (iii 10 p. 118, 9-11 Robinson: ἐπὶ δὲ τὰς τέχνας τρέψομαι καὶ τὰ τῶν ποιητῶν. ἐν γὰρ τραγῳδοποιίᾳ καὶ ζωγραφίᾳ ὅστις πλεῖστα ἐξαπατῇ ὅμοια τοῖς ἀληθινοῖς ποιέων, οὗτος ἄριστος). Su questo passo, da confrontare con Gorgia, Helena, 18 (= 82 A 11 DK), cf. E. DUpRéeL, Les Sophistes. Protagoras, Gorgias, Prodicus, Hippias, Neuchâtel, Éditions du Griffon, 1948, pp. 90-91; J. De RoMiLLy, Gorgias et le pouvoir de la poésie, Journal of Hellenic Studies, 93, 1973, pp. 155-162: p. 160; A. bRancacci, Ethos e pathos nella teoria delle arti. Una poetica socratica della pittura e della scul- 4. Mi sia consentito rinviare ai miei saggi relativi a Damone, a Protagora, e a PHibeh 13 de musica, da me attribuito ad Alcidamante, raccolti ora in A. bRancacci, Musica e Filosofia da Damone a Filodemo, Firenze, Olschki, 2008. LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI 47 tura, Elenchos, 16, 1995, pp. 101-127: 107 e n. 13. A questa dichiarazione corrisponde perfettamente un’altra, che la precisa e la completa, e che costituisce il seguito di T 1; in essa coloro che sostengono l’identità di δίκαιον e ἄδικον precisano: «Perché i poeti non compongono mai le loro opere in vista della verità, ma in vista del piacere degli uomini» (iii 17 p. 120, 13-16 Robinson: τέχνας δὲ ἐπάγονται ἐν αἷς οὐκ ἔστι τὸ δίκαιον καὶ τὸ ἄδικον. καὶ τοὶ ποιηταὶ οὔτοι ποτ᾽ ἀλάθειαν ἀλλὰ ποτὶ τὰς ἁδονὰς τῶν ἀνθρώπων τὰ ποιήματα ποιέοντι). Su questo passo cf. G. Lanata, Poetica pre-platonica. Testimonianze e frammenti, Firenze, La Nuova Italia, 1963, p. 225. Le citazioni relative alla musica presenti nella raccolta non rientrano però in questo contesto estetico, e neppure mirano a sostenerlo. La musica si inserisce, in forza del principio di competenza che la definisce, ma anche per la sua specifica natura di arte dei suoni, non immediatamente assimilabile alla poesia, al teatro tragico e alla pittura, in un ordine problematico ed esemplificativo suo particolare, che è quello della riflessione sulle τέχναι, intese come forme specializzate del sapere, in una prospettiva che collega l’autore dei Dissoi logoi per un verso a Protagora e ad alcuni temi caratteristici del suo pensiero, e per un altro verso ad alcuni interessi di Ippia. T 2 i 6-7 (90, 1 DK = p. 100,6-13 Robinson). ἐν τοίνυν τοῖς ἀγῶσι τοῖς γυμνικοῖς καὶ τοῖς μωσικοῖς καὶ τοῖς πολεμικοῖς, αὐτίκα ἐν τῷ γυμνικῷ τῷ σταδιοδρόμῳ, ἁ νίκα τῷ μὲν νικῶντι ἀγαθὸν, τοῖς δὲ ἡσσαμένοις κακόν. καττωὐτὸ δὲ καὶ τοὶ παλαισταὶ καὶ πύκται καὶ τοὶ ἄλλοι πάντες μωσικοί· αὐτίκα ἁ κιθαρωδία τῷ μὲν νικῶντι ἀγαθὸν, τοῖς δὲ ἡσσαμένοις κακόν. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1 γυμνικοῖς bLass: γυμναστικοῖς O 2 αὐτίκα – σταδιοδρόμῳ post κακόν transp. WiLaMoWitz 4 ἁ κιθαρῳδία DieLs: < ἁ νίκα > ἁ κιθαρῳδία kRanz: ἁ κιθαρῳδία τῷ κιθαρῳδῷ WiLaMoWitz E così pure nelle gare ginniche, musicali e belliche. Per esempio, nella gara della corsa allo stadio la vittoria è un bene per chi vince, per chi perde è un male. Lo stesso vale per i lottatori, i pugilatori e tutti i partecipanti alle gare musicali. Ad esempio, la vittoria riportata nella citarodia per chi vince è un bene, ma per chi perde è un male. È interessante notare come l’esempio delle arti sia usato nella raccolta per porre in discussione le tre antitesi etiche fondamentali, considerate nella loro assolutezza, –giusto-ingiusto (T 1), bene-male (T 2), bello-brutto (T 3)– e per piegarle invece a significato relativistico. Su queste tre antitesi cf. D. C. WoLfsDoRf, On the Unity of the Dissoi Logoi, cit., pp. 305-309. Altrettanto significativo è che la musica sia implicata solo negli ultimi due casi, e che solo questi riflettano la personale posizione dell’autore dei Dissoi logoi. T 2 è compreso nel Περὶ ἀγαθῶ καὶ κακῶ. Il passo ricorre, con valore di exemplum, nella sezione dello scritto in cui si cerca di mostrare che «bene» e «male» sono una stessa cosa, che per alcuni è bene e per altri è male, e per 48 A. BRANCACCI lo stesso individuo ora è bene e ora è male. Non si tratta dunque di «inganno», come in T 1, ove lo ἐξαπατᾶν è interno alle arti di cui si sta parlando, ma di relativistica comparazione di situazioni, che, comunque, presuppongono l’opposizione di due stati contrari, tra i quali tertium non datur. Il relativismo non investe dunque qui il singolo dato di fatto – il vincere nella citarodia è perfettamente oggettivo, il perdere è perfettamente oggettivo – né il singolo individuo, ma emerge dalla considerazione che uno stesso fatto dà luogo a una antitesi tra i due individui, o gruppi, coinvolti. Il relativismo dei Dissoi logoi è quindi, almeno in partenza, allineabile a quello di marca etnografica che ha i suoi antecedenti nella logografia ionica, in Erodoto, in alcuni scritti del Corpus Hippocraticum, e di cui la sofistica presto si impossessò, ma piega poi all’antilogia, all’antitesi e all’opposizione. T 3 ii 10 (90, 2 DK = p. 108,1-2 Robinson). καὶ τὼς παῖδας μὴ μανθάνειν μωσικὰ καὶ γράμματα καλόν, Ἴωσι δ᾽ αἰσχρὸν μὴ ἐπίστασθαι ταῦτα πάντα. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1 καὶ <τήνοις> τὼς παῖδας WiLaMoWitz: καὶ <τοῖς μὲν> τὼς παῖδας DieLs μοσικὸν P2: μωσικὰ WebeR 2 [πάντα] beRgk E per [gli Spartani] è bello che i fanciulli non apprendano la musica e le lettere, mentre per gli Ioni è brutto non conoscere tutte queste cose. Il passo è tratto dallo scritto Περὶ καλοῦ καὶ αἰσχροῦ e fa parte della sezione in cui, ricorrendo a una serrata elencazione e contrapposizione di leggi e costumi di vari popoli, che in alcuni luoghi presenta innegabili echi erodotei (cf. heRoD. iii 38 e vii 152), si cerca di mostrare che «bello» e «brutto» designano la stessa cosa, solo mutandone, in luoghi diversi, la valutazione. Come nota M. isnaRDi paRente, Il pensiero politico greco dalle origini alla Sofistica, in Storia delle idee politiche economiche sociali, diretta da L. fiRpo, Volume Primo, L’antichità classica, Torino, Utet, 1982, p. 179, «la trattazione dei Discorsi duplici riguarda nell’insieme piuttosto costumi, consuetudini, opinioni, che non leggi; è un’applicazione del metodo sofistico dell’alternativa piuttosto ai nomoi come costumi che non ai nomoi come leggi». La contrapposizione tra i popoli ionici e Sparta, riguardo all’educazione dei ragazzi, ha valore topico, ma, per quanto riguarda la musica, il riferimento alla città lacedemone ha senso solo se riferito all’epoca in cui scrive l’autore. In ogni caso, prescindendo dall’esempio delle arti dell’illusione e dell’inganno, l’esempio si fonda, ancora una volta con atteggiamento di lucido realismo, su quello di discipline socialmente codificate, quali, appunto, la musica e la scrittura-lettura. T 4 v 11-12 (90, 5 DK = p. 128,10-18 Robinson). ἐγὼ δὲ οὐ πράγματος τοσούτω ποτιτεθέντος ἀλλοιοῦσθαι δοκῶ τὰ πράγματα, ἀλλ᾽ ἁρμονίας διαλλαγείσας· ὥσπερ Γλαῦκος καὶ γλαυκός καὶ Ξάνθος καὶ LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI 49 ξανθός καὶ Ξοῦθος καὶ ξουθός. ταῦτα μὲν τὴν ἁρμονίαν ἀλλάξαντα διήνεικαν, τὰ δὲ μακρῶς καὶ βραχυτέρως ῥηθέντα, Τύρος καὶ τυρός, σάκος καὶ σακός, ἅτερα δὲ γράμματα διαλλάξαντα, κάρτος καὶ κρατός, ὄνος καὶ νόος. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1 δὲ O: μὰν WiLaMoWitz – οὐ πράγματος O: οὐχ ὅτι bLass – τοσοῦτον WiLaMoWitz – ποτιτεθέντος P3: προστεθέντος rel. – πράγματα O: ὀνύματα tRiebeR 3 τὰν stephanUs: τὴν O: [τὰν] oReLLi – διήνεγκαν fabRiciUs 4 τύρος καὶ τῦρος WiLaMoWitz – σάκος καὶ σακός WebeR: σάκκος καὶ σάκος Z: rel.: σάκος καὶ σᾶκος WiLaMoWitz 5 κρατός WiLaMoWitz: κράτος O Quanto a me, io credo che le cose cangino non per l’aggiunta di tali determinazioni, ma per una variazione dell’accentuazione: ad esempio Γλαῦκος (Glauco) e γλαυκός (bianco), Ξάνθος (Xanthos) e ξανθός (biondo), Ξοῦθος (Xuthos) e ξουθός (fulvo). Queste cose differirono per il variare dell’accentuazione; altre invece perché pronunciate con quantità lunga o breve, come Τύρος (Tiro) e τυρός (formaggio), σάκος (scudo) e σακός (sacello); altre ancora per variazione delle lettere, come κάρτος (forza) e κρατός (del capo), ὄνος (asino) e νόος (intelletto). Il contesto della dichiarazione è costituito dal tentativo dell’autore di confutare la tesi di coloro i quali sostengono che «tanto i pazzi quanto i savi, tanto i dotti quanto gli indotti, dicono e fanno le medesime cose», tesi enunciata all’inizio del capitolo. Tra le varie obiezioni proposte a questa tesi una è quella che «i savi parlano a proposito, e i pazzi a sproposito». A chi mostri di considerare cosa da nulla l’aggiunta «a proposito» e «a sproposito» occorre ribadire che proprio in forza di queste aggiunte essi non sono più la stessa cosa. Il passo successivo, presentato con forte accento personale (ἐγὼ δὲ οὐ [...] δοκῶ [...] ἀλλὰ κτλ), consiste nel rilevare, incalzando in questa direzione, che non solo siffatte determinazioni linguistiche aggiuntive, ma già le semplici variazioni fonetiche e ritmico-musicali insite nel linguaggio verbale producono una distinzione tra i πράγματα, cioè tra gli «stati di cose» corrispondenti a quei termini e denominazioni. La dottrina morfologico-fonetica qui ricordata è, molto evidentemente, una delle più recenti e brillanti acquisizioni della coeva μουσική, storicamente legata al nome di Ippia di Taso: cf. aRist. Poet. 25. 1461 a 21 (= 86 B 20 DK), e su questa testimonianza si veda la nota di commento di M. UnteRsteineR, Sofisti, Fasc. iii, cit., pp. 96-98. Questa dottrina è utilizzata dall’anonimo sofista per confortare la sua personale posizione teorica, che condurrà poi alla conclusione finale, secondo cui «tutte queste cose in un certo modo sono» (v 15 p. 130,6 Robinson: ταῦτα πάντα ὦν πῃ ἔστι, «The conclusion is that all these things exist in some way»). In questi passi πράγματα ha il suo significato fondamentale di «fatti», «cose», «stati di cose», ma, insieme, supplisce alla mancanza di un termine specifico per la nozione non ancora esistente di “significato”, conforme all’uso proprio della logica arcaica in cui “parola” e “cosa” si identificano o, meglio, sono strettamente embricate tra loro: si veda per questo punto G. caLogeRo, Storia della logica antica, Volume primo, L’età arcaica, Bari, Laterza, 1967; e cf. anche A. bRan- 50 A. BRANCACCI cacci, Oikeios logos. La filosofia del linguaggio di Antistene, Napoli, Bibliopolis, 1990, pp. 43-44 n. 2. Per il contesto logico di tutte queste argomentazioni cf. W. caLveRt kneaLe e M. kneaLe, The Development of Logic, Oxford, Clarendon Press, 1962, trad. it. Storia della logica, a cura e con una premessa di A. G. conte, Torino, Einaudi, 1972, pp. 23-24. Questo testo è stato attribuito pressoché unanimamente a Ippia, cf. ad es. C. tRiebeR, Die Dialexeis, Hermes, 27, 1892, pp. 210-248: 237; H. goMpeRz, Sophistik und Rhetorik, Leipzig, Teubner, 1912, p. 71 n. 148; W. nestLe, Vom Mythos zum Logos, Stuttgart, Kröner, 1940, pp. 366 n. 24, 445 n. 72; G. Lanata, Poetica pre-platonica, cit., p. 209; M. UnteRsteineR, Sofisti, cit., ii p. 163, e la sua «Hippian origin» è riconosciuta anche da T. M. Robinson, Contrasting arguments, cit., p. 205, programmaticamente molto restio ad ammettere l’influsso di questo o quel sofista determinato sui Dissoi logoi. Problema diverso, e forse insolubile, è decidere se la terminologia impiegata in questo passo sia fedele a quella del sofista di Elide. Il testo è, in ogni caso, importante, e costituisce una testimonianza poco o affatto nota sugli studi metrico-ritmici (e grammaticali) nell’età della sofistica. Anche la terminologia impiegata merita attenta considerazione. Il termine ἁρμονία, che viene in questo caso tradotto con «accento», significa, più precisamente, «Tonverhältnis», come vide W. kRanz, Vorsokratisches iv: Die sogenannten Dissoi logoi, Hermes, 72, 1937, pp. 223-232: 229. In italiano si può ricorrere a: «accentuazione». Quanto all’espressione τὰ δὲ μακρῶς καὶ βραχυτέρως ῥηθέντα, essa indica qui le vocali lunghe e brevi: cf. aRist. Poet. 58 a 11 (τὰ ἀεὶ μακρά), 58 a 14-15 (φωνῆεν βραχύ). È interessante notare che la formulazione linguistica utilizzata dall’anonimo sofista pone l’accento sull’elemento della pronuncia, τὰ ῥηθέντα, per cui la nozione di quantità è espressa in forma avverbiale, μακρῶς καὶ βραχυτέρως. Infine, l’espressione γράμματα διαλλάξειν designa il cosiddetto fenomeno della metatesi. T 5 vi 3; 7-8 (90, 6 DK = p. 130,12-13; p. 32,2-9 Robinson). ἄλλα δὲ ὡς, αἱ διδακτὸν ἦν, διδάσκαλοί κα ἀποδεδεγμένοι ἦν, ὡς τᾶς μωσικᾶς […] ἐγὼ δὲ κάρτα εὐήθη νομίζω τόνδε τὀν λόγον· γινώσκω γὰρ τὼς διδασκάλως γράμματα διδάσκοντας ἃ καὶ αὐτὸς ἐπιστάμενος τυγχάνει, καὶ κιθαριστὰς κιθαρίζειν. πρὸς δὲ τὰν δευτέραν άπόδειξιν, ὡς ἄρα οὐκ ἐντὶ διδάσκαλοι άποδεδεγμένοι, τί μὰν τοὶ σοφισταὶ διδάσκοντι ἄλλ᾽ ἢ σοφίην καὶ ἀρετάν; [ἢ] τί δὲ Ἀναξαγόρειοι καὶ Πυθαγόρειοι ἦεν; –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1 διδασκαλίαν stephanUs – ἀποδεδογμένην stephanUs: ἀποδεδεγμένην MeiboM 3 διδάσκοντας ἃ O: διδάσκεν τά κα DieLs 5 [ἣ] WiLaMoWitz In secondo luogo, se sapienza e virtù fossero insegnabili, ce ne sarebbero maestri dichiarati, come per la musica. [...] Ma io giudico questo ragionamento del tutto semplicistico: perché so che i maestri insegnano le lettere, ciascuno quelle di cui ha appunto conoscenza, e che i citaristi insegnano a suonare la cetra. E quanto alla seconda prova, che cioè non ce ne siano maestri dichiara- LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI 51 ti, che altro mai insegnano i sofisti, se non sapienza e virtù? E che cosa furono gli Anassagorei e i Pitagorici? Il passo è tratto dal sesto scritto, privo di titolo, in cui è prima esposta poi criticamente esaminata la tesi, fondata su una serie di cinque prove, secondo cui sapienza e virtù non si possono né insegnare né imparare. La prima proposizione riproduce la seconda prova, che reca come esempio emblematico di «maestri dichiarati» il caso dei maestri di musica. L’autore, quando procede a criticare la tesi negativa generale enunciata ad apertura di capitolo, replica riproponendo l’esempio dei maestri e dei citarodi: egli lo tratta con estrema precisione, conferendogli una curvatura particolare. Ognuno dei maestri, come è vero anche per Protagora (cf. pLat. Prot. 327 e-328 a; e cf. Dissoi logoi vi 12), insegna, ma, si badi, quel che è l’oggetto specifico del suo insegnamento, «le lettere», insegna cioè per quella parte che sa. Analogamente i citaristi, di nuovo accumunati ai διδάσκαλοι, e poi nel seguito del passo accostati ai sofisti, insegnano in quanto forniti di una specifica σοφίη, che non è, si badi, la musica in generale, ma proprio la citaristica, per cui essi «insegnano a suonare la cetra». La menzione dei σοφισταί, come maestri dichiarati di σοφίη e di ἀρετά, menzione che ricorre anche altre volte nei Dissoi logoi, è una delle tante prove che mostrano come sia infondata la datazione alta, precedente la Sofistica, dell’operetta. Significativa, in sé, e anche ai fini della determinazione del mondo filosofico e culturale dell’anonimo autore, è poi la menzione degli Anassagorei (ricordati anche da pLat. Cratyl. 409 b 6) e dei Pitagorici: tale menzione implica indubbiamente una certa conoscenza di questi orientamenti di pensiero. Secondo una tradizione ben consolidata nella sofistica, ma ovviamente costituita per noi soprattutto dai dialoghi platonici, la musica rappresenta in modo esemplare lo status delle τέχναι, e questo per tre ragioni: si fonda su conoscenze e abilità ben definite, implica un sapere trasmissibile, possiede διδάσκαλοι. Ciò spiega perché l’exemplum musicale sia utilizzato, con funzione dimostrativa, in una grande varietà di contesti nei Dissoi logoi, e che l’autore lo utilizzi per rappresentare la sua personale posizione. T 6 vii 4 (90, 7 DK = p. 136, 2-4 Robinson). τωὐτὸν δὲ καὶ ἐν ἀγῶνι τᾶς μωσικᾶς διακλαρῶσαι τὼς ἀγωνιστὰς καὶ ὅ τι χ᾽ ἕκαστος κα λάχῃ ἀγωνίζεσθαι· αὐλητὰς κιθαριεῖται τυχὸν καὶ κιθαρῳδὸς αὐλήσει. Egualmente, nelle gare musicali, sorteggiamo i concorrenti, e ciascuno si produca in ciò che gli è toccato in sorte: l’auleta, se gli tocca, suonerà la cetra, e il citarodo l’aulo. È questa una testimonianza parallela a T 5: insiste sullo stesso punto, ma è ancora più precisa della precedente. Essa è compresa nel settimo scritto, privo di titolo, e l’autore vi critica il sistema, proprio della democrazia, 52 A. BRANCACCI ma che a lui non sembra affatto democratico, di assegnare le cariche tramite sorteggio. Il principio del sorteggio mette in luce l’esito paradossale che comporta e l’autore lo utilizza allo scopo di stabilire per contrasto il valore del principio della competenza. A questo livello, il punto fondamentale è che nell’ambito delle τέχναι le competenze non sono generiche, ma specifiche: sono cioè determinate e precise. Così, appunto, avviene nell’ambito della musica, dove l’auleta sa suonare l’aulo, ma non la cetra, e il citarodo sa suonare la cetra, ma non l’aulo. Per la posizione di stampo democratico, che poggia su un diverso quadro teorico, e si articola, quindi, diversamente, è da ricordare il modo in cui Protagora tratta l’analogo exemplum in pLat. Protag. 327 a 4-b 1; b 5-c 4: «Se una città potesse esistere solo a condizione che tutti fossimo auleti, ognuno secondo la propria capacità, e ognuno a tutti insegnasse in pubblico e in privato l’arte dell’aulo, e si colpisse chi non suona bene l’aulo, e non si rifiutasse di insegnarne la tecnica proprio come ora nessuno rifiuta né nasconde l’insegnamento della giustizia e delle leggi […] credi tu, Socrate, che insigni auleti diverrebbero i figli di insigni auleti piuttosto che i figli dei mediocri? Io credo di no. Un figlio nato con spiccate disposizioni naturali a suonare l’aulo diverrebbe illustre, di chiunque fosse figlio; chi nascesse invece privo di doti naturali resterebbe privo di fama. E spesso da un insigne auleta potrebbe nascerne uno inetto, e spesso da uno inetto uno insigne. Ma in ogni caso tutti sarebbero auleti capaci, almeno in confronto ai profani e a quelli che non se ne intendono affatto di arte dell’aulo». Ciò che distingue la posizione di Protagora da quella dell’anonimo autore dei Dissoi logoi è che, per il primo, ciascuno insegna nella misura in cui è capace di esercitare quella abilità (ὁποῖός τις ἐδύνατο ἕκαστος), ad esempio l’auletica; per il secondo il maestro insegna quelle precise cose di cui ha conoscenza (ἃ καὶ αὐτὸς ἐπιστάμενος τυγχάνει), e così i citaristi: cf. T 5. La distinzione tra ἐπίστασθαι e δύνασθαι sarà rilevata e valorizzata in T 7. L’esempio dell’αὔλησις, inteso come emblematico di una τέχνη, la quale implica μάθησις, onde il τεχνικὸς non riceve la sua arte da un dio, ma la apprende da sé, è per la prima volta, e con particolare evidenza, in Epicarmo: cf. Diog. LaeRt. iii 14 (= 23 B 3 DK). Su questo passo, e sulla laicizzazione del concetto di τέχνη che esso attesta, vanno ricordati R. schaeReR, Episteme et Techne. Étude sur les notions de connaissance et d’art d’Homère à Platon, Diss. Lausanne, Mâcon, Protat frères, 1930, pp. 4-6; M. gigante, Epicarmo, Pseudo-Epicarmo e Platone, La Parola del Passato, 8, 1953, pp. 161-175; G. Lanata, Poetica pre-platonica, cit., pp. 124-127. È ben possibile che l’autore dei Dissoi logoi, il quale cita i Πυθαγόρειοι (cf. T 5), conosca il passo di Epicarmo. T 7 viii 7-8 (= 90 DK, 8). εἰδὼς δὲ ταῦτα εἰδήσει καὶ τὰ ἅτερα τούτων· πάντα γὰρ ἐπιστασεῖται· ἔστι γὰρ ταῦτα τῶν πάντων τῆνα, <ὁ> δὲ ποτὶ τωὐτὸν τὰ δέοντα πράξει, αἰ χρή. καὶ μὲν έπίσταται αὐλέν, ἀὶ δυνασεῖται αὐλέν, αἴ κα δέηι τοῦτο πράσσεν. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI 53 1 ταῦτα DieLs, Robinson: γεαυτὰ O 2 ταυτὰ DieLs: ταῦτα Robinson – τῆνα, <ὁ> δὲ DieLs: τῆνα δὲ Robinson: τῆνα P3, κεῖνα rel. 3 πράξει DieLs, παράξεται Robinson, παρασσεῖται vel πρασσεῖται codd. – καὶ μὲν DieLs; μὴ O, Robinson Se conoscerà queste cose, conoscerà anche le altre da queste: egli sarà infatti esperto di tutte, dal momento che queste cose equivalgono a tutte; al momento opportuno, poi, farà quel che è da fare, se occorre. E se sa suonare l’aulo, sempre potrà suonarlo, ove occorra far ciò. È uno dei passi più tormentati di tutta la raccolta. Robinson, dalla cui edizione mi sono in questo caso distaccato, lo riconosce onestamente: «emendation and interpretation is more than usually speculative» (p. 231). Ho scelto di citare il frammento secondo il testo di Diels, riportando in apparato le principali differenze rispetto all’edizione di Robinson, in modo che il lettore possa facilmente ricostruire il testo edito da quest’ultimo. Se ne veda intanto la traduzione: «In knowing these things he will also know the things that differ from them – since he will know everything. For <these objects of knowledge> are part of all <objects of knowledge>, and the exigency of the situation will, if need be, provide him with those <other objects>, so as to achieve the same end. Even if he does not know how to play the flute, he will always prove able to play the flute should the situation ever call for his doing this». Come si vede, Robinson mantiene il μή dei codd. alla l. 3 (che invece Diels corregge in καὶ μὲν), ottenendo un significato paradossale, sebbene interessante, per il paragrafo 7 (è il paragrafo musicale), ma deve poi, per dare un senso complessivo coerente al ragionamento che ricostruisce, ricorrere per tutto il periodo precedente a una traduzione piena di integrazioni testuali e alquanto sforzata. In realtà, credo che in questo caso sia necessario correggere, e che l’emendamento di Diels restituisca il significato che ci si attende. La controprova è data dal fatto che l’autore ben difficilmente avrebbe potuto dire che chi non sa suonare il flauto, pure sarà capace di suonarlo, smentendo con ciò in modo clamoroso tutto quello che ha finora osservato sulla musica come τέχνη e sulla specificità delle competenze in ambito musicale come di quelle che riguardano le lettere: si ricordi in proposito l’esempio per assurdo di T 6. Questo concetto è ribadito in questo passo, e sarà di nuovo riformulato, con ancora maggiore forza, tra poche righe (cf. T 8). Credo inoltre che in questo passo sia di nuovo operante il concetto di τέχνη come attività che procede con metodo razionale verso uno specifico fine produttivo, ma che, in questo orizzonte, l’autore voglia valorizzare la distinzione tra ἐπίστασθαι e δύνασθαι, osservando che chi sa è anche in grado di fare, e di fare sempre ciò che sa, onde, per chi si trovi in questa condizione, la varietà dei momenti e delle situazioni, tutta la sfera del καιρός insomma, è ininfluente – o, meglio, è solo occasione favorevole all’espletamento della sua abilità. 54 A. BRANCACCI T 8 viii 11 (90, 8 DK = p. 140,4-6 Robinson). τὸν γὰρ ἐν μωσικᾷ νόμον τίς ἐπίσταται; ὅσπερ καὶ μωσικάν· ὃς δὲ μὴ μωσικάν, οὐδὲ τὸν νόμον. –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1 τὶς Y2 stephanUs: [τίς] WiLaMoWitz: ὡυτὸς DieLs – ἐπίσταται, ὅσπερ O, praeter ἐπίσταται, ὥσπερ E Y1 Y2, ἐπίσταται; ὅσπερ Robinson Infatti, chi è colui che conosce la legge che governa la musica? Colui, appunto, che conosca anche la musica. Ma chi non sappia di musica non ne conosce neppure la legge. Anche questo passo fa parte dell’ottavo scritto, privo di titolo, che è certo il più importante della raccolta per ricostruire la posizione teorica personale dell’anonimo sofista. Il suo intento è conciliare due diverse esigenze: la capacità di parlare su tutto, intesa come conoscenza delle risorse della parola, dell’arte dei discorsi (cf. viii 1: καὶ λόγων τέχνας ἐπίστασθαι; ibid. 3: τὰς τέχνας τῶν λόγων; ibid. 5: πάντων [...] τῶν λόγων τὰς τέχνας), e la conoscenza obiettiva di tutte le cose e le realtà soggiacenti ai diversi discorsi (cf. ibid. 1: ἀλάθειαν τῶν πραγμάτων: cf. ibid. 12: τὰν ἀλάθειαν τῶν πραγμάτων). Si tratta di due esigenze, ben distinte tra loro, che nella sofistica si erano espresse in forma emblematica, ma separatamente, l’una in Gorgia, l’altra in Ippia. Questo passo è anche il più importante della raccolta relativamente alla musica. Non abbiamo qui solo un exemplum musicale ma un riferimento di carattere epistemologico alla musica. Esso serve a sua volta la tesi che l’uomo sapiente, il sofista, dovrà conoscere tutte le leggi, in quanto egli deve conoscere tutte le cose, e conduce alla conclusione che chi conosce l’essenza reale delle cose conosce tutto. La conoscenza della legge della musica è designata con lo stesso termine, ἐπίστασθαι, che è operativo in tutta la dimostrazione sviluppata nello scritto. Ne emerge di nuovo, dopo l’accenno di T 5, un parallelismo tra il sofista e il musico, in quanto entrambi debbono possedere conoscenze obiettive e assolute nel campo di loro spettanza. La superiorità del sofista consiste tuttavia nel suo ἐπίστασθαι περὶ πάντων. Su questo passo cf. anche A. E. tayLoR, Varia Socratica. First Series, Oxford, Parker & Co., 1911, p. 126 n. 2; E. DUpRéeL, Les Sophistes, cit., pp. 214-216; T. M. Robinson, Contrasting arguments, cit., pp. 235-236. Dal punto di vista retorico-formale, il passo contiene forse un esempio di quello che, in termini moderni, si suole chiamare “doppio messaggio”: procedimento, basato su una forma tenue di anfibologia, consistente nel suggerire, sullo sfondo del termine di cui si tratta, un secondo significato, che, utilizzato in sede retorica, ha valore aggiuntivo ai fini del raggiungimento della persuasione. È questo un procedimento che si ha ragione di considerare tipico della comunicazione orale/aurale. In questo caso il significato secondo è costituito dall’accezione musicale qui attribuita a νόμος, che rende automatica, proprio a livello di percezione uditiva, la tesi per cui solo chi è musico ha conoscenza della legge (νόμον) che governa la musica. LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI 55 Per il significato musicale di νόμος/νόμοι si vedano C. DeL gRanDe, Espressione musicale dei poeti greci, Napoli, Ricciardi, 1932, pp. 23-35, e H. gRieseR, Nomos, ein Beitrag zur griechischen Musikgeschichte, Heidelberg, Bilabel, 1937. Anche nel suo significato musicale e poetico-musicale νόμος è termine polivoco: cf. M. West, Ancient Greek Music, Oxford, Oxford University Press, 1992, p. 217. Il suo significato musicale più consueto è «canto», «linea melodica», «tema musicale singolo e distinto». Come nota C. DeL gRanDe, Espressione musicale, cit., p. 24, «se la parola che significava legge indicò pure determinati canti, fu proprio per essere stati tali canti imposti dagli artisti come leggi non violabili». Questo significato è, del resto, ricavabile per intensificazione dal terzo significato musicale generale sopra ricordato. Il significato musicale di νόμος come «legge» è antico: esso è conosciuto da Platone («per noi i canti sono divenuti leggi. Anzi, pare che così gli antichi chiamassero i canti che si accompagnano alla cetra […]», pLat. Leg. vii 799 e) e da Aristotele (Problemata, xix 28: «Perché i canti detti nomoi sono chiamati così? Forse perché, prima di conoscere la scrittura, gli uomini cantavano le leggi per non dimenticarle […]), e si ricordi per questo anche Aristide Quintiliano (de musica p. 59 W.-I.: «[…] alcune melodie tradizionali, che denominavano anche nomoi, ritenendo che il rito sacro fosse un mezzo per garantirne la stabilità, e con la denominazione espressero l’auspicio che rimanessero inviolate», trad. Moretti). Ma qui il significato di νόμος è tutt’altro: il νόμος ἐν μωσικᾷ di cui qui si parla è, io credo, la norma o il principio razionale, ed eventualmente matematico, che determina le varie realtà musicali: ad esempio la distinzione tra acuto e grave nell’ambito dei suoni, la disposizione relativa dei suoni nell’ambito del tetracordo, i diversi rapporti costitutivi di ciascun intervallo. Per il parallelismo tra τρόποι τῆς μουσικῆς e νόμοι (in senso politico) è importante ricordare la dichiarazione celebre di Damone: «occorre guardarsi dall›introdurre un nuovo genere di musica come da un pericolo completo: perché in nessun luogo mai si mutano i modi della musica senza mutare le più importanti leggi della città, come dice Damone e come anch’io sono persuaso» (ap. pLat. resp. iv 424 c (= 37 b 10 Dk): εἶδος γὰρ καινὸν μουσικῆς μεταβάλλειν εὐλαβητέον ὡς ἐν ὅλῳ κινδυνεύοντα· οὐδαμοῦ γὰρ κινοῦνται μουσικῆς τρόποι ἄνευ πολιτικῶν νόμων τῶν μεγίστων, ὥς φησί τε Δάμων καὶ ἐγὼ πείθομαι). Il riferimento alla «legge che è nella musica» ha indubbiamente una risonanza pitagorica, (si ricordi l’espressa menzione dei Πυθαγόρειοι di T 3), anche se, naturalmente, ciò non significa che l’autore dei Dissoi logoi sia egli stesso un pitagorico. I passi che abbiamo esaminato mostrano una notevole organicità tra loro e, inoltre, una coerenza, a tutta prima forse non sospettabile, circa lo status della musica. I riferimenti alla musica sono presenti in tutta l’operetta, segnatamente nei capitoli 1, 2, 5, 6, 7, 8. Questa organicità e questa coerenza non parlano a favore di una rottura tra i primi quattro capitoli (eventualmente cinque) e quelli successivi, anzi la smentiscono, e confermano 56 A. BRANCACCI l’unità dell’operetta anche se i suoi capitoli sono strutturati, formalmente, in modo diverso5. Il filo conduttore comune ai diversi riferimenti alla musica presenti nei Dissoi logoi è dato dalla visione della musica come di una τέχνη, fondata sul principio di competenza, la quale, come tutte le τέχναι, procede con metodo razionale verso un obiettivo produttivo, rappresentato in questo caso dal suono e dalla performance musicale. Essa è retta da una legge, νόμος, che deve essere nota al musico, senza la conoscenza della quale il musico stesso non sarebbe tale. Sotto questo profilo, ma solo sotto questo, il musico non è diverso, in sé, dal sofista: con la differenza, capitale, che quest’ultimo possiede una conoscenza totale in contrapposizione alla conoscenza parziale posseduta dai detentori delle singole τέχναι. Tale conoscenza totale è designata dalla formula ἐπίστασθαι περὶ πάντων. L’anonimo autore dei Dissoi logoi è anche su questo punto vicino a Protagora, ma non si identifica con la sua posizione, dal momento che a fondamento della tesi protagorea sta il fatto che la sofistica si determina come τέχνη non limitata come le altre a produzione di oggetto e a risultato specifico, bensì come arte superiore e direttiva, perché generale, e in questo senso politica. Neppure egli è lontano da Ippia, con la differenza, anch’essa importante, che questi ancorava il proprio magistero a una concezione della παιδεία come istruzione, cultura, impartimento di conoscenze, in definitiva enciclopedia, tutte idee e posizioni lontane dall’ἀντιλογία e dal fondamentale relativismo dei Dissoi logoi, e che comunque non si ritrovano in essi. Come si vede, l’indagine su un tema determinato ma rilevante come quello della musica presenta, oltre l’interesse che gli è proprio, anche quello di permettere di cogliere un elemento di unità del trattato, e, inoltre, di mettere in luce un ulteriore tratto di originalità, in aggiunta a quelli già noti, della posizione teorica generale del suo anonimo autore. Aldo bRancacci (Roma) 5. Il problema dell’unità dei Dissoi logoi (al cui autore secondo alcuni si dovrebbero solo i primi quattro capitoli, forse anche il quinto, mentre il seguito apparterrebbe a vari altri autori) è stato impostato in modo corretto da W. kRanz, Vorsokratisches iv, cit., pp. 225227, il quale considera quella pervenuta un’opera unitaria, posto che il punto di vista positivo dell’autore, che emerge negli ultimi capitoli, è già rintracciabile nei primi quattro, ove lo svolgimento della tesi non relativistica è sempre quello più ampio. Sulla stessa linea M. UnteRsteineR, Sofisti, Fasc. iii, cit., pp. 148-159. Il problema è stato ripreso con osservazioni pertinenti e contrarie alla negazione dell’unità dell’opera da T. M. Robinson, Contrasting arguments, cit., pp. 77-81. In tempi più recenti ha riproposto il problema dell’unità G. Lachance, Sur l’unité des Dissoi Logoi, Phoenix, 70, 2016, pp. 290-301, senza però negarla. Osservazioni interessanti e puntuali circa l’unità dei Dissoi logoi e le ragioni per le quali essi presentano la struttura formale, differenziata, che hanno, sono in D. C. WoLfsDoRf, On the Unity of the Dissoi Logoi, cit., in particolare pp. 309-320. Cf. anche M. gaRDeLLa hUeso, Antilogía y relativismo en Dissoì Lógoi §§1-3, Éndoxa, 40, 2017, pp. 31-48. 57 LA MUSICA NEI DISSOI LOGOI Η ΜΟΥΣΙΚΗ ΣΤΟΥΣ ΔΙΣΣΟΥΣ ΛΟΓΟΥΣ Περίληψη Στο άρθρο αυτό βρίσκονται συγκεντρωμένα τα χωρία από τους Δισσοὺς Λόγους που σχετίζονται με τη μουσική, τα οποία συνολικά ουδέποτε έχουν μελετηθεί μέχρι στιγμής συστηματικά. Το άρθρο παρουσιάζει τη μορφή μιας συλλογής μαρτυριών, για τις οποίες δίνεται κάθε φορά το αρχαίο ελληνικό κείμενο, μαζί με το σχετικό κριτικό υπόμνημα, όπως συνάγεται από τις κριτικές εκδόσεις αλλά και από τις σύγχρονες μελέτες σχετικά με το εν λόγω έργο, ενώ τα κείμενα συνοδεύονται από μετάφραση στα ιταλικά: καθεμιά μαρτυρία γίνεται εν συνεχεία αντικείμενο αναλυτικού σχολιασμού. Το νήμα που συνδέει τις ποικίλες αναφορές στη μουσική που υπάρχουν στους Δισσοὺς Λόγους αποκαλύπτει μία οπτική για τη μουσική ως τέχνη, που βασίζεται στην αρχή της δεξιοτεχνίας, και η οποία, όπως όλες οι τέχναι, ακολουθεί μια λογική μέθοδο προς έναν δημιουργικό στόχο, που εκφράζεται εν προκειμένω με τον ήχο και τη μουσική παρουσίαση (performance). Διέπεται από έναν νόμον, που πρέπει να γνωρίζει ο μουσικός, καθότι αν στερείται της εν λόγω γνώσης δεν θα είναι αυτός καθαυτός μουσικός. Υπό αυτή την οπτική ο συγγραφέας των Δισσῶν Λόγων προσεγγίζει τόσο τον Πρωταγόρα όσο και τον Ιππία, χωρίς να ταυτίζεται με τις δικές τους θέσεις. Η έρευνα που πραγματοποιήθηκε μας δίνει τη δυνατότητα να οριοθετήσουμε τις γνώσεις που διαθέτουμε σχετικά με την παρουσία της μουσικής στη φιλοσοφική παιδεία της εποχής των αρχαίων Σοφιστών, μας επιτρέπει να συλλάβουμε ένα σημαντικό ενοποιητικό στοιχείο της εν λόγω πραγματείας, και τέλος φέρνει στο φως ακόμη ένα στοιχείο πρωτοτυπίας, πλάι σε όσα έχουν ήδη επισημανθεί, σχετικά με την εν γένει θεωρητική στάση του ανώνυμου συγγραφέα της. Aldo bRancacci (Μτφρ. Άννα ΤάΤση)