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Il «Tasso a Sant’Anna» di Nelo Risi

«Sinestesieonline», XIII, 44, 2024 (speciale Summer School "Dalla modernità a Gesualdo. Percorsi internazionali di studi letterari, storici e artistici", VI edizione)

SINESTESIEONLINE SUPPLEMENTO DELLA RIVISTA «SINESTESIE» ISSN 2280-6849 a. XIII, n. 44, 2024 – Speciale Dalla modernità a Gesualdo Il «Tasso a Sant’Anna» di Nelo Risi Nelo Risi's «Il Tasso a Sant'Anna» MATTEO NAVONE ABSTRACT L’articolo analizza la poesia Il Tasso a Sant’Anna di Nelo Risi, pubblicata per la prima volta nella raccolta Amica mia nemica (1976) e poi riproposta, con qualche variante, in I fabbricanti del «bello» (1983). Incentrata sul periodo della prigionia di Tasso nell’ospedale di Sant’Anna a Ferrara (1579-1586), questa poesia si distingue da altri testi dedicati da poeti italiani del Novecento all’autore della Gerusalemme liberata per il massiccio riutilizzo di passi provenienti dall’epistolario tassiano, e precisamente dalle lettere scritte durante la reclusione, che Risi potrebbe aver letto in un’edizione del 1960, curata da F. Costabile. L’analisi del testo si propone anzitutto di individuare i singoli passi tassiani riutilizzati da Risi, interrogandosi anche sul valore che il poeta milanese ha voluto assegnare alla figura di Tasso e alla drammatica esperienza del suo internamento: un’interpretazione alla quale non è estraneo il ricordo di Montaigne e del racconto del suo incontro con Tasso, contenuto nel secondo libro degli Essais. The article analyses the poem Il Tasso a Sant’Anna by Nelo Risi, first published in the collection Amica mia nemica (1976) and later republished, with some variations, in I fabbricanti del «bello» (1983). Focusing on the period of Tasso’s imprisonment in the hospital of Sant’Anna in Ferrara (1579-1586), this poem differs from other dedicated by 20th-century Italian poets to the author of Gerusalemme liberata due to the massive re-use of passages from Tasso’s epistolary, specifically from the letters written during his imprisonment, which Risi may have read in a 1960 edition edited by F. Costabile. The analysis of the text aims first of all to identify the passages reused by Risi, also questioning the value that the Milanese poet wished to assign to the figure of Tasso and to the dramatic experience of his internment: an interpretation to which the memory of Montaigne and the account of his meeting with Tasso, contained in the second book of the Essais, is not extraneous. PAROLE CHIAVE: letteratura italiana contemporanea; Torquato Tasso; Montaigne; citazioni KEYWORDS: contemporary Italian literature; Torquato Tasso; Montaigne; quotations AUTORE IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI Matteo Navone è professore associato di Letteratura italiana presso l’Università di Genova. La sua attività di ricerca si concentra prevalentemente sui secoli XVI-XVIII e in particolare sull’epica cavalleresca e la poesia comica del Cinquecento, l’epistolografia del Sei-Settecento, la poesia di argomento politico dell’epoca della Rivoluzione francese. In ambito novecentesco, ha condotto studi su Mario Novaro, Camillo Sbarbaro, Corrado Govoni, Francesco Biamonti. matteo.navone@unige.it SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 2 MATTEO NAVONE Sono stati molteplici, e talvolta inaspettati, gli incontri che i poeti italiani del Novecento hanno avuto con la figura e l’opera di Torquato Tasso.1 In questo contributo, vorrei soffermarmi su un episodio poco noto e frequentato, ma non privo di motivi d’interesse: la poesia Il Tasso a Sant’Anna di Nelo Risi, pubblicata per la prima volta nella raccolta Amica mia nemica, composta tra il 1972 e il 1975 ed edita presso Mondadori nel 1976. 2 Più precisamente, questo lungo componimento compare nella prima sezione della silloge, Con ciglio asciutto, che contiene una serie di meditazioni su vari aspetti del presente o della condizione umana, affrontati, come suggerisce il titolo di questa parte del libro, «senza commozioni né patetismi»;3 in alcuni testi, tali riflessioni sono sviluppate intorno alla rievocazione di personaggi storici più o meno noti, tra i quali figurano, oltre a Tasso, Gilles de Rais (Il consumatore di orgasmi), Lev Tolstoj (Homo ludens homo faber), Eugène Poubelle (Monsieur Poubelle) e addirittura Cristo, in una poesia dall’esplicito titolo Il maestro frainteso. Con ciglio asciutto introduce così un’idea che Risi svilupperà ulteriormente nella successiva raccolta, I fabbricanti del «bello» (Mondadori, 1983), costituita da trentacinque ritratti in versi di altrettanti artisti, per lo più musicisti e scrittori,4 i quali, con la loro capacità di sublimare le proprie esistenze tormentate nella creazione estetica, rappresentano per Risi una radicale alternativa alla «bassa cucina» della contemporaneità, in cui, come recita la poesia che chiude la raccolta, «il troppo tempo libero / rende l’arte facile» e «si lavora per l’uomo / ordinario».5 Significativamente, nella nota dell’autore a Fabbricanti del «bello», la genesi di «questa serie di […] ritratti e variazioni sull’arte» viene identificata proprio con la composizione del Tasso a Sant’Anna, che è anche l’unica poesia precedentemente pubblicata che viene qui riproposta «con Cfr. S. VERDINO, Da Slataper a Fortini. La critica dei poeti, in Per una storia della critica tassiana. Aspetti e problemi, a cura di L. Bani, C. Cappelletti e M. Castellozzi, Lubrina Bramani, Bergamo 2023, pp. 289310. 2 Il periodo di stesura è precisato nella nota d’autore che accompagna la prima edizione: «Questi versi di ricerca del vivere e del vissuto abbracciano il triennio fine ’72-’75». Si cita da N. RISI, Tutte le poesie, a cura di M. Cucchi, con un’intervista a E. Bruck, Mondadori, Milano 2020, p. 249; nello stesso volume, si rinvia all’Introduzione del curatore (pp. V-XIX) per un inquadramento critico della produzione poetica di Risi. 3 M. L. VECCHI, Nelo Risi, in «Belfagor», XXXVIII, 4, 1983, pp. 415-432: 427. 4 Tra i quali, seguendo l’ordine dei testi nella raccolta, Saffo, Virgilio, Giovenale, Federico II, Villon, Rabelais, Tasso, Goya, Hölderlin, Beethoven, Paganini, Leopardi, Büchner, Clara Schumann, Flaubert, Lewis Carroll, Gaudí, Hašek, Marina Cvetaeva, Brâncuși, Majakovskij, Vallejo, Céline, Pound, Chagall, Jouve (di cui Risi era stato anche traduttore), Gadda, Francis Bacon, Kubrick. Inoltre, le prime due poesie (Precorritori dei tempi / Predestinati al ricordo e Scenario) evocano collettivamente i protagonisti dell’arte classica, mentre Aria di Provenza è dedicata ai poeti provenzali ed È da salvare a Venezia. 5 Cito i vv. 5-8 della poesia, intitolata appunto Bassa cucina: cfr. N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 295. 1 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 3 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI poche varianti»:6 una conferma della sua rilevanza in questa fase della produzione di Risi. Prima di procedere all’analisi di questo testo, va precisato che esso non rappresenta il primo incontro tra l’opera di Tasso e i versi di Nelo Risi. Già nella poesia n. 8 della raccolta Pensieri elementari (Mondadori, 1961), impostata come una sorta di lettera a Giacomo Leopardi, la coppia eroica più tragica della Gerusalemme liberata veniva evocata come metafora della complessità dell’esistenza: La vita non è poi tanto male caro Leopardi, credi, la vita è lotta soprattutto d’amore senza esclusione di colpi, quindi aggressività non sempre franca ma anche leale contesa, è Tancredi e Clorinda con un po’ meno di pietà cristiana […]7 Non va sottovalutato il fatto che questo riferimento compaia in una poesia idealmente indirizzata a Leopardi, altro classico italiano molto caro a Risi, che lo frequentò sia nella sua produzione poetica (inclusa la galleria dei Fabbricanti del «bello», dove il poeta di Recanati è protagonista di «Solo e senza stella / In un mare infinito»)8 sia in quella cinematografica (il film del 1980 Idillio, incentrato sulla composizione dell’Infinito): 9 ricordando infatti la nota ammirazione di Leopardi per Tasso, non è da escludere che l’interesse di Risi per il poeta sorrentino possa essere stato influenzato, almeno in parte, dalle pagine leopardiane a lui dedicate. Nel Tasso a Sant’Anna, Risi si confronta non solo con l’opera ma con la figura stessa di Tasso, ritratta nella sua stagione più nota e drammatica, quella della prigionia nell’ospedale ferrarese di Sant’Anna, iniziata nel marzo 1579 e durata fino al luglio del 1586.10 Com’è noto, questa drammatica parentesi biografica ispirò nei secoli molti scrittori, a partire dal Montaigne degli Essais che, come vedremo, riveste un ruolo importante anche nella poesia di Risi: questa tradizione, interpretata, tra gli altri, dal Leopardi del Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, aveva 6 Ivi, p. 296. Ivi, p. 55. 8 Cfr. ivi, pp. 270-272. 9 Per l’importanza della poesia e del pensiero di Leopardi nell’opera di Risi cfr. A. BRANCACCIO, I versi, le immagini. Il Leopardi di Nelo Risi, in Leopardi e la cultura del Novecento. Modi e forme di una presenza, Atti del XIV Convegno Internazionale di studi leopardiani (Recanati, 27-30 settembre 2017), a cura di M. V. Dominioni e L. Chiurchiù, Olschki, Firenze 2020, pp. 511-526. 10 Una recente sistemazione della biografia tassiana si legge in C. GIGANTE, Tasso, Salerno editrice, Roma 2007, pp. 13-51 (per la prigionia a Sant’Anna, pp. 39-43). 7 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 4 MATTEO NAVONE incontrato una discreta fortuna anche tra i poeti italiani del secondo Novecento, come dimostrano, oltre al caso di Risi, il Monologo del Tasso a Sant’Anna di Franco Fortini (in Paesaggio con serpente del 1984)11 e la raccolta di Giovanni Giudici Fortezza (1990), in cui il prigioniero protagonista, alter ego dell’autore, presenta tratti anche tassiani.12 Né in Fortini né in Giudici, tuttavia, si osserva un “corpo a corpo” con la scrittura tassiana paragonabile a quello sostenuto da Risi, che sceglie però di misurarsi non già con i capolavori poetici del sorrentino, bensì con la diretta testimonianza del suo epistolario. Basta poco, infatti, per accorgersi che Il Tasso a Sant’Anna è costruita attraverso un abile “montaggio” di citazioni tratte dalle lettere scritte da Tasso durante la prigionia, in alcuni casi esplicite (ovvero virgolettate) e letterali, in altri invece non dichiarate o rielaborate: detto in altro modo, la maggior parte di questi versi sono coniati da Risi riassemblando segmenti testuali prelevati dalle lettere tassiane, che peraltro si inseriscono senza sforzi in una poesia naturalmente tendente alla prosa come quella dell’autore milanese. All’origine di questo componimento vi fu dunque un’attenta lettura dell’epistolario tassiano, che credo Risi abbia condotto non sulla celebre edizione in cinque volumi curata a metà Ottocento da Cesare Guasti,13 ma su una più recente selezione, limitata proprio alle lettere risalenti al periodo dell’internamento nell’ospedale ferrarese, pubblicata nel 1960 per le cure di Franco Costabile. 14 Questo libretto comprende 134 lettere, tratte principalmente dall’edizione Guasti, con qualche taglio qua e là e qualche aggiunta dalle missive inedite incluse nel 1895 da Angelo Solerti nella sua monumentale biografia di Tasso:15 che proprio questa sia la fonte compulsata da Risi inducono a ritenerlo la sua prossimità cronologica con la stesura del Tasso a Sant’Anna e il fatto che tutte le lettere in essa citate siano incluse nell’edi- Citando Fortini, non si può non ricordare il suo impegno critico sull’opera di Tasso, per cui cfr. F. FORTINI, Dialoghi col Tasso, a cura di P. V. Mengaldo e D. Santarone, Bollati Boringhieri, Torino 1999. 12 Le presenze tassiane nella produzione di Giudici (attestate, oltre che in Fortezza, anche in altre raccolte, tra cui Il ristorante dei morti, Prove del teatro ed Empie stelle) sono argomento meritevole di approfondimento. Intanto si può fare riferimento ai riscontri di Rodolfo Zucco in G. GIUDICI, I versi della vita, a cura di R. Zucco, con un saggio introduttivo di C. Ossola, cronologia a cura di C. Di Alesio, Mondadori, Milano 2000, in particolare pp. 1527, 1530, 1593, 1651, 1668, 1679, 1683, 1687, 1696, 1723. 13 Cfr. T. TASSO, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da C. Guasti, Le Monnier, Firenze 1852-1855, 5 voll. 14 Cfr. T. TASSO, Lettere da Sant’Anna, a cura di F. Costabile, Cappelli, Bologna 1960. 15 Cfr. A. SOLERTI, Vita di Torquato Tasso, Loescher, Torino-Roma 1895, 3 voll., II, Lettere inedite e disperse di T. Tasso. Alle edizioni di Guasti e Solerti si fa esplicitamente riferimento in una nota del curatore in T. TASSO, Lettere da Sant’Anna cit., p. [16]. 11 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 5 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI zione Costabile, che ebbe verosimilmente il merito di rendere le lettere della prigionia tassiana più facilmente accessibili rispetto alla poderosa raccolta di Guasti, risvegliando l’interesse per questi testi in vari lettori, inclusi, forse, alcuni poeti.16 La successione cronologica delle lettere tassiane guida, in parte, la disposizione della materia all’interno della poesia di Risi, soprattutto nella sezione iniziale. Il Tasso a Sant’Anna si apre infatti con una brevissima strofa della misura di un distico («Ha perso la quiete / quasi la vita stessa»)17 che riscrive un passaggio contenuto in una delle primissime lettere della prigionia (la seconda dell’edizione Costabile), indirizzata a Scipione Gonzaga, amico del poeta e già revisore della Liberata: Ma perché io ho conosciuto per prova che il tacer non m’è stato più giovevole che il ragionare, non vo’ che mi paia né fatica né pericolo, dopo la perdita de’ comodi, de la quiete, de la sodisfazione, de la riputazione, de l’onore, de la libertà e quasi de la vita stessa, che si può dir mal viva, arrischiar le parole, tentando alcuna parte de le cose perdute ricuperare.18 Con la seconda strofa, Risi comincia a mettere a fuoco il suo ritratto, soffermandosi inizialmente sulle suppliche con cui Tasso, all’inizio della reclusione, cercò di appellarsi alla clemenza del duca Alfonso II d’Este, che aveva ordinato la sua incarcerazione, e di altri personaggi che potevano avere un ascendente su di lui: I primi mesi più duri si raccomanda a cavalieri gentildonne abati bacia con ogni affetto le mani supplica la grazia al clemente signor duca eccellentissimo per gli errori trascorsi illustrissimo d’Este baciando umilissimamente le mani scusandosi che non ha la forza di piangere in versi sempre pronto a servire 16 Penso non solo a Risi, ma anche al già citato Giudici: credo infatti che si faccia riferimento proprio all’edizione Costabile in questi versi di Stalinista, da Prove del teatro: «Morivo e non volevo non morire / Ero là come sono / Qui adesso coi miei nervi-ragnatela / Il mio Tasso-a-sant’Anna le ossa rotte» (vv. 16-19; si cita da G. GIUDICI, I versi della vita cit., p. 827). 17 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 260. Questa e tutte le successive citazioni dal Tasso a Sant’Anna riproducono la seconda redazione, quella contenuta nei Fabbricanti del «bello», con indicazione in nota delle varianti rispetto alla prima redazione di Amica mia nemica. 18 T. TASSO, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da C. Guasti cit. (d’ora in poi semplicemente G), vol. II, n° 123, p. 8. La lezione di Guasti è sempre fedelmente riprodotta nell'edizione Costabile, per cui cfr. T. TASSO, Lettere da Sant’Anna cit. (d’ora in poi C), p. 19. Qui e in tutte le successive citazioni dall’epistolario, sempre miei i corsivi. SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 6 MATTEO NAVONE basta che lo comandi19 Per ricostruire questa immagine, che chiama in causa anche la condizione cortigiana di Tasso, Risi allude anzitutto, nel quarto verso, alla prima lettera inviata da Sant’Anna al duca Alfonso,20 riecheggiando poi le formule di deferenza tipiche della scrittura epistolare cinquecentesca («bacia con ogni affetto le mani») e infine ricalcando più da vicino, negli ultimi quattro versi, un passo di una lettera al predicatore Francesco Panigarola, in cui Tasso raccomanda al destinatario di portare i suoi omaggi all’inferma Eleonora d’Este, sorella del duca e, secondo la tradizione, amore segreto del poeta: «Se madama Leonora migliorerà, […] Vostra Paternità molto reverenda le baci umilissimamente le mani in mio nome, facendole sapere che m’è molto incresciuto del suo male, il quale non ho pianto in versi […]. Ma s’in altro posso servirla, mi comandi, ché son pronto».21 Le due strofe successive sono invece incentrate sulla misera condizione del prigioniero, prostrato fisicamente e soprattutto mentalmente. Ecco la terza e il primo verso della quarta: Tiene conto dei giorni una lunga miseria un poco di paglia catena alle caviglie coi topi indemoniati perché affamati perché diabolici e voci e voci («e risa piene di scherni»22 La citazione esplicita che chiude la strofa ne svela il palinsesto, ovvero la lettera del 18 ottobre 1581 in cui Tasso confida a Maurizio Cataneo i «disturbi […] umani e diabolici» che lo tormentano nella sua cella, quasi impedendogli di studiare e scrivere: tra i primi annovera, appunto, «risa piene di scherni» e «varie voci di animali», mentre tra i secondi, presentati come «incanti e malìe», menziona «i topi, de’ quali è piena la camera», che gli sembrano «indemoniati».23 Risi lascia da parte le più note N. RISI, Tutte le poesie cit., pp. 260-261. Leggermente diversa la lezione di Amica mia nemica, dove in quinta posizione si legge «il serenissimo» in luogo di «eccellentissimo» (ivi, p. 211). 20 Cfr. G, vol. II, n° 125, pp. 62-67 e C, pp. 47-48. 21 G, vol. II, n° 143, p. 103 e C, pp. 63-64. 22 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 261. Qui e nelle successive citazioni dal Tasso a Sant’Anna i corsivi sono dell’autore. 23 Cfr. G, vol. II, n° 190, pp. 161-162 e C, p. 91. 19 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 7 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI tra queste testimonianze – quelle in cui Tasso parla del misterioso «folletto» che fruga tra le sue cose, sottraendogli monete e lettere – pur riportate da Costabile,24 mentre recupera il dettaglio della «catena» cui, nei primi tempi, il poeta sarebbe stato legato, almeno secondo il racconto di un contemporaneo.25 Nei versi successivi, si insiste ancora sulla sintomatologia tassiana: Ammaliato da fantasmi gli occorre il medico o il confessore? purghe sciroppi pillole di lapislazzuli a rimediare i fumi della testa i rodimenti d’intestino una grande debolezza flussi di sangue scosso da altri strepiti («tintinni ne gli orecchi ’sì forti che mi pare di averci uno di questi orioli da corda»26 La prima parte ricalca la lettera del 28 giugno 1583, una sorta di richiesta di consulto indirizzata al celebre medico Girolamo Mercuriale, cui Tasso descrive gli «effetti» del suo «male»: da queste pagine provengono, oltre al lungo virgolettato in corsivo, i «fumi della testa», i «rodimenti d’intestino» e i «flussi di sangue». 27 Non sappiamo quale sia stata la cura raccomandata da Mercuriale a Tasso, ma è probabile che abbia incluso almeno uno tra i rimedi ricordati da Risi («purghe sciroppi pillole»), tutti peraltro menzionati in altre epistole tassiane, sia coeve sia posteriori alla prigionia. Va aggiunto anche che, sempre nella lettera al Mercuriale, Tasso sostiene che, pur ignorando le ragioni della sua malattia, sospetta fortemente di «essere stato ammaliato», passaggio che ha forse ispirato il bel verso incipitario di Risi («Ammaliato da fantasmi»). Cfr. G, vol. II, ni 448, 454, 456, pp. 468, 475, 477 e C, pp. 172-173, 176-177. Sull’interpretazione di questi passaggi come «un parlar coverto» di Tasso, cfr. C. GIGANTE, Tasso cit., p. 42. 25 Mi riferisco alla lettera del 14 marzo 1579 con cui Antonio Maria de’ Peppi, detto Marin, informa il cardinale Luigi d’Este della reclusione appena comminata a Tasso: «ll Mercori di notte il povero Tasso furioso [...] fu tornato alla catena di Sant’Anna» (A. SOLERTI, Vita di Torquato Tasso cit., II, p. 143). 26 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 261. I versi «Ammaliato da fantasmi» e «i rodimenti d’intestino» mancano nella prima redazione (cfr. ivi, p. 212). 27 Scrive Tasso: «Ma qualunque sia stata la cagione del mio male, gli effetti sono questi: rodimento d’intestino, con un poco di flusso di sangue: tintinni ne gli orecchi e ne la testa, alcuna volta sì forti che mi pare di averci un di questi orioli da corda […] Oltra di ciò, sempre dopo il mangiare la testa mi fuma fuor di modo, e si riscalda grandemente» (G, vol. II, n° 244, p. 237 e C, p. 99). 24 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 8 MATTEO NAVONE C’è poi quella curiosa domanda («gli occorre il medico o il confessore?») che ancora si collega a questa lettera,28 nel punto in cui Tasso, parlando dei sogni e delle «imaginazioni» che lo tormentano, afferma di aver riferito «alcune cose» che gli sembra di aver ascoltato (allucinazioni uditive?) a vari «padri e laici», tra cui il padre Marco da Ferrara.29 Proprio con quest’ultimo va identificato il «padre cappuccino» nominato poco più avanti, all’inizio della seconda parte della quarta strofa: al padre cappuccino manda la lista dei peccati teme le trombe dei premi e delle pene che nell’immaginazione suonano orribili la Chiesa romana è quella che comanda – lui miscredente? la sua Gerusalemme? tra tanti dubbi è il dominante30 La «lista di peccati» è quella contenuta nella lettera del 12 marzo 1585, indirizzata proprio al suddetto padre Marco: «E se credete che mi possa esser giovevole l’aiuto vostro, non ricuso di mandarvi una lista de’ miei peccati, ne’ quali potrete considerare ottimamente qual sia la mia natura».31 Questo riferimento, oltre a restituire l’immagine di un Tasso che si rivolge ai confessori come se fossero medici (la lista dei peccati quasi come l’elenco dei sintomi), introduce il tema dei dubbi religiosi e morali del poeta sulla propria fede32 e sull’ortodossia della Gerusalemme.33 Per trattarlo, Risi torna a servirsi della citata lettera a Scipione Gonzaga, dimostrando di averne ben colto la rilevanza: scritta il 15 aprile 1579, mercoledì santo, a un mese dall’inizio della prigionia, è infatti una lettera lunghissima e a tratti commovente, in cui, a un certo punto, Tasso comincia a rivolgersi non più al destinatario ma direttamente a Dio, al quale confessa i propri dubbi di fede, cercando al contempo di spiegarne le ragioni. Quando Risi allude ai timori di Tasso sulle «trombe» dei «premi» e dei castighi ultraterreni e alla sua soggezione verso «la Chiesa romana», segue da vicino uno dei passaggi più interessanti di questa lettera, in cui l’autore della Liberata confessa di aver a lungo creduto nel magistero della Chiesa cattolica per timore, più che per autentica convinzione: Ma cfr. anche, infra, la nota 48. Cfr. G, vol. II, n° 244, p. 237 e C, pp. 99-100. 30 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 261. 31 G, vol. II, n° 266, p. 260 e C, pp. 109-110. 32 I dubbi religiosi di Tasso, su cui agirono probabilmente anche suggestioni luterane, riguardavano questioni teologiche centrali quali l’«immortalità dell’anima, la creazione del mondo, l’autorità del papa» e il ruolo della grazia divina nella salvezza: cfr. C. GIGANTE, Tasso cit., p. 36. 33 Preoccupazioni, queste ultime, alimentate anche da alcuni revisori del poema: cfr. ivi, pp. 155-163. 28 29 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 9 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI E volentieri l’avrei acchetato [l’intelletto] a credere senza ripugnanza quanto di te crede e predica la santa Chiesa cattolica romana. Ma ciò non desiderava io, Signore, per amore che a te portassi e a la tua infinita bontà, quanto per una certa servil temenza che aveva de le pene de l’inferno; e spesso mi suonavano orribilmente ne l’imaginazione l’angeliche trombe del gran giorno de’ premi e de le pene; […] e vinto da questo timore, mi confessava e mi comunicava ne’ tempi e col modo che comanda la tua Chiesa romana.34 Sono sempre numerose le riprese verbatim della fonte epistolare tassiana, che in quest’ultimo caso permettono a Risi di affrontare, senza scadere nella banalizzazione, l’immagine inaggirabile del Tasso vittima della religiosità controriformista. Il medesimo tema è al centro anche della quinta strofa, ancora profondamente debitrice della lettera al Gonzaga, come si può constatare nel seguente confronto: In sospetto di sé vuole un inquisitore assolto si tormenta esige il supremo tribunale della curia non luterano o eretico («nomi aborriti abominati pestiferi» anche se attratto e subito irridendo dei dubbi passati non che li sapesse sciogliere ma perché IO CONOSCEVA CHE TU ERI INCONOSCIBILE primo motore principe dell’universo vederlo faccia a faccia come Mosè lo vide la grande macchina le sue mani onnipotenti l’infinito non ha gradi né termini («giusto misuratore de le deboli forze del mio intelletto»35 34 G, vol. II, n° 123, p. 16 e C, p. 27. Si confronti anche la prima interrogativa contenuta nel finale della strofa di Risi («lui miscredente?») con quest’altro passo della lettera al Gonzaga: «e fra gli altri dubbi che io aveva, questo era il principale, che non mi sapeva risolvere se la mia fosse miscredenza o no» (G, vol. II, n° 123, p. 16 e C, p. 28). 35 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 262 (corsivi e maiuscoletto sono dell’autore). SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 10 MATTEO NAVONE E sai che il nome di luterano e d’eretico era da me, come cosa pestifera, abborrito e abominato; […] E già in gran parte rideva de’ miei dubbi passati, non perché io sapessi scioglierli, […] ma perché io conosceva che tu eri inconoscibile, e ch’era follìa il pensar di raccoglier te, che sei infinito, dentro a’ piccioli confini del nostro umano intelletto; […] E sebbene io conosceva che questo non era conoscere Iddio ne la sua essenza divina, o almeno vederlo a faccia a faccia, come vide Mosè; ma era un vedere i vestigi […] de le sue mani onnipotenti, con la quale ha fabbricata questa gran macchina de l’universo; nondimeno, per umiltà, di questa cognizion m’appagava […]. Divenuto io, dunque, omai giusto misuratore de le deboli forze del mio intelletto, così fra me stesso ragionava36 L’incipit della strofa richiama circostanze precedenti la prigionia, quando Tasso aveva chiesto e ottenuto di essere interrogato dall’Inquisizione, prima a Ferrara e poi a Bologna, spinto probabilmente non solo dai suoi scrupoli religiosi, ma anche dal timore di essere denunciato da altri per alcune incaute dichiarazioni sui propri dubbi di fede.37 Ma al di là delle riprese puntuali, è importante rilevare come Risi, dopo aver rappresentato sin qui Tasso come un uomo “in scacco”, supplice dei potenti e preda di una profonda prostrazione psichica, riconosca ora al suo protagonista la capacità di un riscatto intellettuale. Seguendo la lettera a Gonzaga, Risi ci mostra infatti un Tasso che, proprio nel momento dell’internamento, quando a tutti appare come “folle”, conserva la lucidità mentale per elaborare l’errore da cui era nata la sua crisi spirituale, ovvero la pretesa di acquisire una comprensione pienamente razionale di Dio e della materia religiosa. Questa, si potrebbe dire, è stata la sua vera pazzia, sulla scorta ancora della lettera al Gonzaga, quando Tasso si chiede retoricamente, in un passo non ripreso da Risi, se non sia «follia» il «voler cercare esquisita ragione de’ secreti d’Iddio e de la fede di Cristo».38 Su questi aspetti Risi tornerà poco più avanti, non prima però di aver dedicato la parte finale della quinta strofa alla quotidianità più materiale del poeta recluso, in netto contrasto con i temi speculativi esposti subito prima: «Intanto chiede camicie con le crespe / una coperta azzurra / un berrettino buono per la notte / calze acco- 36 G, vol. II, n° 123, pp. 16-20 e C, pp. 28-31. Ricostruisce bene questa vicenda C. GIGANTE, Tasso cit., pp. 34-37. 38 G, vol. II, n° 123, p. 14 e C, p. 26. Per quanto Risi non ne avesse probabilmente piena contezza, un testo come la lettera al Gonzaga testimonia la genesi di quella teologia negativa elaborata da Tasso durante la prigionia, attraverso approfondite letture patristiche e teologiche, e destinata a divenire centrale nell’ultima fase della sua produzione poetica. Sull’evoluzione del pensiero religioso di Tasso cfr. E. ARDISSINO, Tasso e il sacro, in Tasso, a cura di E. Russo e F. Tomasi, Carocci, Roma 2023, pp. 251269. 37 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 11 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI modate in valigia / e che il velluto sia di Modena o di Reggio / (“quantunque i ferraresi siano migliori”». 39 La sesta e ultima strofa si apre invece sull’immagine degli studi tenacemente portati avanti da Tasso, per poi proseguire con il ricordo della più famosa visita che il poeta avrebbe ricevuto durante la prigionia, quella di Montaigne, con tanto di citazione dagli Essais: Nella concordia dei vocaboli discordi non può che lamentarsi della fortuna avversa in tanta infermità la memoria è indebolita – a malapena si ricorda d’un sonetto la mente che ritenne tre/quattrocento stanze – chiede un De Monarchia di cui ha gran bisogno malgrado tutto non è inetto al comporre ottiene tre camere uno smeraldo in dono riceve amici da cortigiano di mondo Montaigne lo va a trovare pensoso del confine tra follia e saggezza («J’eus plus de despit encore que de la compassion, de le voir en si piteux estat, survivant à soy-mesmes, mesconnoissant et soy et ses ouvrages»40 Al netto delle molte citazioni presenti anche in questi versi, 41 vale la pena concentrarsi sul passo degli Essais, in cui Montaigne, mentre discetta sulla connessione tra follia e saggezza («De quoi se fait la plus subtile folie que de la plus subtile sagesse?»),42 cita come esempio il caso di Tasso, che pure non nomina esplicitamente, N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 262. Tornano anche in questo passo vari prelievi dall’epistolario, per cui cfr. G, vol. II, ni 321 e 377, pp. 308 e 373 e C, pp. 132 e 150. La «coperta azzurra» è nominata in un documento dell’amministrazione di Sant’Anna citato da Costabile (ivi, p. 11). 40 N. RISI, Tutte le poesie cit., pp. 262-263. I vv. 4-5 sono assenti in Amica mia nemica, dove sono anche leggermente diverse le lezioni del terzo («in questa infermità la memoria è indebolita») e sesto verso («chiede un De Monarchia ne ha gran bisogno»). Per la citazione dagli Essais (II, XII), che riprende il testo di Montaigne con un piccolo taglio, questa la traduzione di F. Garavini: «Io provai ancor più dispetto che compassione vedendolo in uno stato così pietoso, sopravvivere a sé stesso, disconoscere e sé e le sue opere»: cfr. M. DE MONTAIGNE, Saggi, a cura di F. Garavini e A. Tournon, Bompiani, Milano 2012, pp. 888-889. 41 L’espressione «concordia dei vocaboli discordi» rielabora quella usata da Tasso nella lettera a Giacomo Boncompagni del 17 maggio 1580 («la concordia de le mie parole discordi»; cfr. G, vol. II, n° 133, p. 92 e C, p. 61) per riferirsi all’apparente incoerenza tra la sua negazione dell’aver abbracciato idee luterane e i dubbi di fede confessati all’inquisitore di Bologna. Per i prelievi contenuti nei versi successivi, cfr. (in quest’ordine) G, vol. II, ni 258, 227, 244, 282-285, pp. 247, 222, 238, 271-275, corrispondenti a C, pp. 105-106, 96, 100, 115-119. 42 «Da che cosa nasce la più sottile follia se non dalla più sottile saggezza?»: M. DE MONTAIGNE, Saggi cit., pp. 886-887. 39 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 12 MATTEO NAVONE riferendo di avergli fatto visita a Sant’Anna e di aver provato (è proprio il passo riprodotto da Risi) più rabbia che pietà nel constatare lo stato di prostrazione in cui versava. Per quanto la verità di questa testimonianza sia stata più volte messa in discussione,43 essa rappresenta indiscutibilmente il momento fondativo, anche a livello iconografico,44 del “mito” di Tasso a Sant’Anna: non stupisce, pertanto, che anche il Tasso di Nelo Risi risulti in qualche misura filtrato attraverso lo sguardo di Montaigne. Tanto in Amica mia nemica quanto nei Fabbricanti del «bello», la figura di Tasso incarna infatti il paradosso del genio, sintesi di lucidità e follia, illuminazione e infelicità. Ma c’è forse anche qualcosa di più, che si può cogliere ricordando che il racconto dell’incontro con Tasso appartiene al dodicesimo saggio del secondo libro degli Essais, la lunga Apologie de Raymond Sebond, in cui Montaigne riflette sui limiti della conoscenza umana, contestando la pretesa del sapere umanistico di spiegare tutto in termini razionali, persino Dio e la fede:45 il pensatore di Bordeaux riconduce anche la follia di Tasso a questa dinamica, ovvero alla sua «curieuse et laborieuse quête des sciences, qui l’a conduit à la bêtise»,46 ed è una conclusione che, significativamente, consuona con quella formulata da Tasso stesso nella sua letteraconfessione al Gonzaga. Facile che questa affinità sia saltata agli occhi di Risi, che a sua volta sembra assumere l’esperienza di Tasso come emblema del dramma dell’uomo di genio che, in virtù della forza del suo intelletto e della profondità del suo spirito, tenta di giungere a una conoscenza inattingibile per la ragione umana, restando poi vittima del suo vano sforzo intellettuale. Il nesso tra ragione e follia è riaffermato nei versi che immediatamente seguono la citazione dagli Essais e che concludono la poesia: allucinato lucido nell’infinita malinconia che lo tormenta l’intero giorno («e sia detto con riverenza» con le natiche in mano potrà mai respirare sotto il cielo aperto senza vedersi sempre un uscio serrato davanti? 43 La visita di Montaigne a Ferrara avrebbe avuto luogo nel novembre 1580: ma sulle discussioni circa la sua storicità cfr. M. MAGNIEN, Montaigne spettatore (e attore) dell’autunno del Rinascimento, in La fine del Rinascimento nelle letterature europee, a cura di A. Gargano, Pacini, Pisa 2016, pp. 75-102: 78 e 88-89. 44 Ivi, p. 77. 45 Ivi, pp. 90-94. 46 La «curiosa e laboriosa indagine delle scienze che l’ha condotto alla stupidità» (M. DE MONTAIGNE, Saggi cit., pp. 888-889). SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 13 IL «TASSO A SANT’ANNA» DI NELO RISI con la vecchiaia anzitempo a quarant’anni con nessun altro desiderio che di finire l’opera che di correggerla perché il già fatto dato alle stampe è pieno di molti errori47 La definizione di «allucinato lucido» ribadisce ancora una volta l’ossimoro rappresentato dal Tasso a Sant’Anna, mentalmente alterato ma ancora capace di lucidità speculativa e pensiero critico, che gli consentono di comprendere i suoi errori passati. Gli ultimi versi aggiungono poi un altro grande cruccio del Tasso recluso, la volontà di emendare la sua Gerusalemme, o meglio la versione non definitiva che vari editori, senza il suo consenso, stavano dando alle stampe mentre a lui era impossibile intervenire. Anche nel finale, Risi non rinuncia alla tecnica citazionista applicata in tutta la poesia: l’angosciata domanda sul futuro del poeta («potrà mai respirare […]?») proviene da una lettera al Cataneo («O signor Maurizio, quando sarà quel giorno ch’io possa respirare sotto il cielo aperto, e ch’io non mi veda sempre un uscio serrato davanti, quando mi pare d’aver bisogno del medico o del confessore?»),48 mentre l’ultimo virgolettato è prelevato dall’ultima missiva compresa nella raccolta di Costabile, indirizzata ad Alfonso II, al quale Tasso descrive, senza giri di parole, le sue condizioni di salute: «Tutto oggi sono stato (e sia detto con riverenza) con le natiche in mano».49 Una citazione che riporta al tema della cortigiania di Tasso, ma con una nota leggera e persino ironica che, come altrove nel testo, cerca forse di tenere sotto controllo la drammaticità che permea la poesia, sulla scorta della testimonianza autobiografica che essa rielabora. 47 N. RISI, Tutte le poesie cit., p. 263. G, vol. II, n° 429, p. 432 e C, p. 168. 49 G, vol. II, n° 554, p. 579 e C, p. 198. 48 SINESTESIEONLINE, 44 | 2024 14