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Patrimonio culturale e Mediterraneo, verso una definizione?

Parlando di patrimonio, di siti naturali e culturali da preservare, da salvaguardare, da proteggere, ci si trova spesso di fronte all'idea – senza dubbio preconcetta - dell'esistenza di un mitico ed immutabile “luogo tecnico neutro” che includerebbe l’eredità culturale globale. Questa visione, diffusa con la migliore delle intenzioni, si scontra con una realtà assai più complessa, realtà che ci mette di fronte ad un'evidenza: uno spazio tecnico assoluto, obiettivo, super partes, non esiste né nel governo delle Nazioni né in quello del patrimonio culturale. Si tratta di luoghi inscindibili dal loro riferimento politico. I processi di patrimonializzazione e i sistemi di protezione del patrimonio sono espressione di un corpus sociale (quello che attribuisce un valore culturale ad un oggetto materico, sufficiente ad ultrapassare il suo valore funzionale e renderlo dunque degno d’essere volontariamente conservato e tramandato) e del potere politico in carica nello stesso momento (che assicura la gestione dei beni). Le nozioni di patrimonio culturale e di salvaguardia dell'eredità – indipendenti tra loro ma estremamente interconnesse - prendono vita, nelle loro configurazioni moderne, nell'Europa del XIX secolo e sono impregnate di positivismo che si risente anche nei loro sviluppi .

Patrimonio culturale e Mediterraneo, verso una definizione? Romeo Carabelli et Laura Verdelli, « Patrimonio culturale e Mediterraneo, verso una definizione? », Alternative, no 4/2005, 2005, p. 124/130. Parlando di patrimonio, di siti naturali e culturali da preservare, da salvaguardare, da proteggere, ci si trova spesso di fronte all'idea – senza dubbio preconcetta - dell'esistenza di un mitico ed immutabile “luogo tecnico neutro” che includerebbe l’eredità culturale globale. Questa visione, diffusa con la migliore delle intenzioni, si scontra con una realtà assai più complessa, realtà che ci mette di fronte ad un'evidenza: uno spazio tecnico assoluto, obiettivo, super partes, non esiste né nel governo delle Nazioni né in quello del patrimonio culturale. Si tratta di luoghi inscindibili dal loro riferimento politico. I processi di patrimonializzazione e i sistemi di protezione del patrimonio sono espressione di un corpus sociale (quello che attribuisce un valore culturale ad un oggetto materico, sufficiente ad ultrapassare il suo valore funzionale e renderlo dunque degno d’essere volontariamente conservato e tramandato) e del potere politico in carica nello stesso momento (che assicura la gestione dei beni). Le nozioni di patrimonio culturale e di salvaguardia dell'eredità – indipendenti tra loro ma estremamente interconnesse - prendono vita, nelle loro configurazioni moderne, nell'Europa del XIX secolo e sono impregnate di positivismo che si risente anche nei loro sviluppi Anche il concetto di patrimonio architettonico si modifica e passa, in un secolo e mezzo circa, da monumentale a culturale lungo un percorso evolutivo che gli fa attraversare una fase strettamente archeologica ed una storicistica. . Le due differenti nozioni sono spesso utilizzate come parti di un'unica entità, allorché l’assimilazione di “protezione” a “patrimonio” può essere considerata valida unicamente se corpus sociale patrimonializzante e potere politico gerente coincidono perfettamente e sono sostenuti da un'amministrazione capace di mettere in opera le indicazioni ricevute. In ambito mediterraneo, l'attenzione patrimoniale nei confronti dell'eredità inizia con le missioni europee, spesso connesse con spedizioni militari di conquista. Le spedizioni di Champollion innescano un precoce interesse per l'antichità egizia, tanto che, già nel 1824 Carlo Felice di Savoia acquista la collezione archeologica del piemontese Bernardino Drovetti, console di Francia ad Alessandria tra il 1803 ed il 1830. Questi acquisti permisero l'arricchimento della collezione di famiglia che divenne il primo nucleo dell'attuale museo egizio di Torino. In Algeria, Napoleone III fu il primo a parlare di protezione del patrimonio, in occasione della sua visita alla colonia ancora gestita da militari. Nella sua epoca tardiva l'impero ottomano non sviluppa particolari attenzioni rispetto al patrimonio cosicché sono le autorità mandatarie che se ne occupano. Nel corso del XX secolo, la nozione di patrimonio culturale si sviluppa lungo un percorso che viene marcato dalle due dichiarazioni dei primi Congressi Internazionali degli Architetti e Tecnici dei Monumenti Storici Atene, 1931 e Venezia, 1964, per raggiungere la sua attuale maturità con la Convenzione adottata dalla Conferenza generale dell’UNESCO nel 1972. La nozione diviene sempre più inclusiva, e spinge – di conseguenza – sempre più in avanti anche l’idea di protezione che integra anche la conservazione di un ruolo funzionale e sociale "Les États parties à la présente Convention s'efforceront dans la mesure du possible d'adopter une politique générale visant à assigner une fonction au patrimoine culturel et naturel dans la vie collective, et de prendre les mesures juridiques, scientifiques, techniques, administratives et financières adéquates pour l'identification, la protection, la conservation, la mise en valeur et la réanimation de ce patrimoine." Convenzione per la Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale, Parigi, UNESCO, 1972, art. 5. L'ampliamento è così ampio che arriva a permeare il campo dei diritti dell'uomo Declaration of ICOMOS marking the 50TH ANNIVERSARY of the UNIVERSAL DECLARATION OF HUMAN RIGHTS “In addition to the importance of specific conventions or legislation relating to cultural heritage and its preservation, ICOMOS affirms that the right to cultural heritage is an integral part of human rights considering the irreplaceable nature of the tangible and intangible legacy it constitutes, and that it is threatened to in a world which is in constant transformation. To protect this right today is to preserve the rights of future generations” Stockholm, September 11th, 1998 ed a sottolineare il legame tra salvaguardia del patrimonio e sviluppo. Le legislazioni nazionali registrano ed hanno registrato le modificazioni nelle percezioni sia del patrimonio che della sua difesa, e prendono parte nel dibattito politico che diviene storico e d'appartenenza. L'esempio della Grecia è più che significativo: al raggiungimento della sua indipendenza (1830) inizia una pratica di definizione della propria identità, che include le dinamiche patrimoniali. La prima legge organica di protezione data del 1834 e stabilisce le linee di demarcazione tra un'antichità propria, un periodo denominato bizantino e post bizantino e la Grecia moderna, che nasce nel 1830. L'estensione dell'attenzione ai campi culturali tende ad inglobare l'intero pianeta, che viene pervasivamente individuato come luogo dell'eredità patrimoniale culturale. Il procedimento è estremamente corretto ma, sfortunatamente, innesca un fenomeno inflattivo "En effet, nos sources majeures (…) se sont faites patrimoine. Voilà une notion envahissante, devenue une composante majeure de la culture. Le concept s’est élargi, englobant des catégories, toujours nouvelles d’objets et de pratiques. (…) Les caractéristiques actuelles du patrimoine, (…) sont la prévalence de la notion d’inventaire (4e précepte du cartésianisme), une définition souple qui élargit sans cesse les limites de la notion (impérialisme du concept), et un lien étroit avec la recherche scientifique et surtout scientiste." Chouquer 2000 : 120. Questo fenomeno si caratterizza con il riconoscimento del valore culturale incluso nelle memorie materiali ed immateriali. Queste sono, per definizione, parte della nostra eredità culturale e quindi rappresentano implicitamente una componente patrimoniale che, nella sua vastità, diviene indifferenziata, tendenzialmente banalizzabile. L'estensione a macchia d'olio di questo processo - incrociata alla volontà di proteggere il patrimonio congelandolo ed astraendolo dallo sviluppo storico contemporaneo "Mais le risque est grand d’en faire un lieu de mémoire, une sorte de musée définitivement fixé comme il en existe tant, où il est certes agréable de se promener, mais le patrimoine est alors ramené à un simple décor, muet, endormi, support de rêves et de revendication stériles." Audrerie 2003 : 9 ed immettendolo in un mercato turistico dalle variabili altre rispetto a quelle dello sviluppo locale che l'ha prodotto "A partir du moment où les sites commencent à faire partie du monde touristique global, leur évolution historique cesse. La place Saint-Marc à Venise ou la Place de la Signoria à Florence interrompent ainsi leur évolution en tant que lieu de l'histoire, alors même qu'elles deviennent partie intégrante du mythe global et globalisant de l'histoire." Ingersoll 1996 : 118 - 127 – induce all'omologazione dei processi di identificazione con quelli di protezione. I due processi sono necessariamente differenti, prevedono azioni e impegni differenti e non possono essere considerati come intercambiabili. La totalizzazione patrimoniale (il tutto considerato come patrimonio culturale) induce una riduzione delle attività e capacità di discernimento, con un'ulteriore perdita di valore patrimoniale che deriva dalla diminuita facoltà di scegliere, di gerarchizzare. L'interpretazione estensiva della patrimonialità, e l’attuale tendenza alla sua “onnipresenza”, tendono a far germinare una ridondanza che necessita la creazione di confini per poter definire dei “bordi logici” entro i quali creare un campo di esistenza: sorgono i problemi legati alle dinamiche di perimetrazione. Stati come l'Italia furono pionieri nel passaggio dalla concezione singolare e monumentale del patrimonio a quella più ampia che ci pare oggi più appropriata. L'abbandono dell'ottocentesca visione strettamente archeologica avviene – formalmente e legislativamente – con la legge del 1902 che introduce la nozione di “cosa patrimoniale”. Nel 1922 i beni artistici e le bellezze naturali sono assimilati alle “cose patrimoniali” e già nel 1939 abbiamo la definizione di patrimonio culturale. Il ciclo si completa tre anni più tardi, con la legge urbanistica del 1942, che introduce quegli strumenti urbanistici che si rivelano indispensabili alla messa in pratica dei processi di protezione del patrimonio culturale. La differenza tra protezione di tipo monumentale e quella di tipo territoriale è primordiale, anche se – di primo acchito – questa importanza può non sembrare così cruciale. Infatti la prima considera l'eccezionalità di un “evento” - che può essere particolarmente vasto e non ridursi ad un unico oggetto – mentre la seconda affronta le tematiche dei flussi culturali. L'una e l'altra sono processi di protezione e salvaguardia atti ed adattabili a diversi tipi d'azione e possono produrre dei risultati similari. L’evoluzione della nozione di patrimonio, che è a mano a mano passata dall’individuazione di un punto corrispondente all’eccezione monumentale al settore, pone sempre più la questione della definizione dei margini, di dove posizionare le estremità del patrimonio e del suo contesto, che è oggi considerato parte integrante del suo valore A questo proposito l'unesco ha iscritto nella Lista del patrimonio in pericolo la Cattedrale di Colonia, Germania, con la seguente motivazione: "The Cologne cathedral and its urban landscape are the city's only outstanding cultural heritage elements to have survived the Second World War. Several high-rise buildings have been constructed on the bank of the Rhine River opposite the Cathedral. While the authenticity of the cathedral itself is not endangered by new constructions, the structures have a harmful impact on the visual integrity of this World Heritage property." In: The world heritage newsletter, n.45 June-July-August 2004 - p.3 "List of World Heritage in Danger: sites inscribed, sites removed". Gradatamente il passaggio dalla protezione puntuale a quella di superficie – che per essere completa deve integrare le variabili culturali - si estende alla quasi totalità dei paesi del bacino mediterraneo. In aiuto alla modificazione della concezione ufficiale di bene patrimoniale sono intervenute le volontà di segnalare e proteggere alcune memorie nazionali originate da fatti molto recenti. Il percorso verso l'integrazione della componente culturale è stato guidato da eccezioni. Ne sono chiari esempi la sede della radio di Damasco, edificio dal quale fu comunicata, nel 1946, l'indipendenza del Paese ed in seguito dichiarato monumento nazionale così come l'iscrizione all'inventario dei beni protetti della modestissima casa natale di Habib Bourguiba, primo presidente tunisino. Il caso delle rovine della cittadina siriana di Al-Wunaytera è ancora più significativo: distrutta durante la guerra del 1967 è rimasta sotto occupazione israeliana sino al 1973. L'intera città è stata dichiarata monumento nazionale e rimane conservata in stato di macerie a monito dell'occupazione, imponendo così, di fatto, un vincolo culturale e territoriale per proteggere un elemento monumentale non artistico o archeologico, in deroga alla normativa che ancora non prevede questi casi. Questa “rivoluzione” patrimoniale fornisce gli strumenti per una lettura che può ora tendere alla costruzione di territori patrimoniali pertinenti, anche a grande scala. La dimensione macro-territoriale cerca dei parametri definitori assoluti che, se applicati ad un contesto come quello cosiddetto mediterraneo, si rivelano insufficienti se non inesistenti. La sovrapposizione, non coincidente, di confini geografici, storici, culturali, religiosi rende impossibile la definizione di un unico spazio patrimoniale mediterraneo. Numerosi sono gli esempi di confini culturali riconosciuti e condivisi, corrispondenti a spazi che sono, in qualche misura, geograficamente mediterranei, dall’Egitto antico, ai mondi greco e romano, allo spazio culturale delle religioni abramitiche, all'impero ottomano, fino agli spazi coloniali. Questi riferimenti, come molti altri, sono contemporaneamente limitati e limitanti. Tutti questi esempi mostrano l'inesistenza di un criterio univoco capace di definire e contenere in maniera esaustiva il Mediterraneo, nel tempo e nello spazio (forse solo l'impero romano arrivò a imporne una visione unitaria). Eminenti storici si sono cimentati con i tentativi di definizione, da Fernand Braudel a Pedrag Matvejevic, senza peraltro riuscire a limitare organicamente un territorio, a farne uno spazio definito e monolitico. L’esperire mediterraneo muta in funzione di una serie di variabili quasi riconducibili all’esperienza personale, individuale "Il lettore che vorrà affrontare questo libro [Civiltà e imperi del mediterraneo nell’età di Filippo II] come io mi auguro farà bene quindi ad apportare i propri ricordi, le precise visioni del Mare Interno e a colorirne a sua volta il mio testo, ad aiutarmi attivamente a ricreare quella vasta presenza…" Braudel edizione 1986 : XXIII, che, per quanto possa arrivare ad identificarsi con un intero gruppo sociale, permane un contesto estremamente limitato. Un patrimonio mediterraneo dovrebbe coincidere con un'idea comune e condivisa di uno spazio unitario, identificabile più o meno chiaramente da tutti; ma come far combaciare le innumerevoli interpretazioni culturali senza snaturarle, senza appiattirle ad una definizione burocratico amministrativa come, per esempio, la lista di quelli che sono classificati come paesi del Mediterraneo da parte dell’Unione Europea? Ricordiamo, a titolo d'esempio, che i Balcani non rientrano nello spazio mediterraneo per l'UE. La serenissima Dalmazia, quindi, non è Mediterranea, con buona pace di città come Ragusa/Dubrovnik ... Ci si ritrova, sostanzialmente, a lavorare su di una proiezione culturale immateriale che si basa su di una serie di scompaginate, eterogenee presenze materiali, a volte patrimoniali. Ci si confronta all’insorgenza di limiti, di frontiere, mentali ancor prima che amministrative, politiche, storiche, istituzionali. Confini patrimoniali hanno senso solo ed unicamente se definiti per periodi e gruppi sociali unitari e omogenei che discernono tra eredità e patrimonio, perché spesso ci si trova di fronte ad un patrimonio senza pater L'etimologia del termine patrimonio fa riferimento ad un valore riconosciuto (lat. Moenia ) ed a un gruppo umano “familiare”, identificato (lat. Pater).. Come chiedere e pretendere di riconoscere il patrimonio comunitario altrui, che non ha pater? Come avallare i criteri di selezione? In area mediterranea il riconoscimento del patrimonio altrui obbliga ad una maturità storica che, per il momento, non è completamente compiuta. Aldilà delle antiche rivalità geopolitiche che hanno prodotto guerre sanguinarie lungo il corso dei secoli - e delle quali non è possibile chiedere una rimozione dalla memoria, specie quando si affrontano tematiche di tipo patrimoniale e culturale – si presenta un'ulteriore difficoltà derivante dalla piuttosto misconosciuta storia recente, ancora impregnata di vivida politica. La storia dell'invenzione patrimoniale si interfaccia con quella della colonizzazione moderna, con tutto quanto ne consegue. Le nozioni moderne si sono sviluppate in Europa con un certo anticipo rispetto ai paesi del sud, questo ha fatto sì che le scoperte archeologiche ed i primi processi di patrimonializzazione fossero pilotati da europei in concomitanza, forse non solo casuale, con l'espansione coloniale. Le visioni espansionistiche dell'Europa ottocentesca si sono ben amalgamate con gli interessi scientifici delle missioni archeologiche che scoprivano siti monumentali provenienti dagli antichi mondi greco-romani e giudeo-cristiani. Le protezioni patrimoniali privilegiarono, in sintonia con il credo scientifico del periodo, l'eredità antica piuttosto che quella più recente, dando importanza patrimoniale prioritariamente a quell'eredità nella quale si poteva ritrovare piuttosto il “pater” degli archeologi che non quello degli abitanti locali. Neanche due anni dopo la presa di Tripoli, il Ministero delle Colonie apre una soprintendenza che comincia immediatamente gli scavi archeologici a Leptis Magna e a Cirene ed inizia la costituzione di un inventario del patrimonio libico che, costituito per la stragrande maggioranza da rovine romane, troverà consistenza giuridica nel Regio Decreto 1271 del 29 settembre 1914. Molto dopo l'Algeria, cui si è già accennato, la Tunisia sotto protettorato francese introduce la protezione del patrimonio archeologico a tutte le "antichità anteriori alla conquista araba" come denominate nel decreto beilicale dell'8 gennaio 1920. Durante il protettorato sui circa 900 monumenti vincolati, meno di 200 erano degli edifici musulmani religiosi. La stessa visione mirante soprattutto alle entità pre-islamiche si ritrova nel contemporaneo decreto delle autorità mandatarie in Siria. Questi legami della protezione del patrimonio culturale con la presenza coloniale hanno reso e rendono piuttosto difficoltoso lo svilupparsi delle azioni di protezione nei paesi mediterranei, dove il distacco dall'epoca coloniale non è ancora completamente effettuato. Bibliografia Audrerie Dominique, Questions sur le patrimoine, Paris, Liana Levi, 1994, 141 p. (collection opinion) Braudel Fernand, Civiltà e imperi del mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, edizione 1986 (1 edizione 1949), vol. 1, 692 p. (piccola biblioteca PBE 471*) Choay Françoise, L'allégorie du patrimoine, Paris, Seuil, 1992, 273 p. - (La couleur des idées) Chouquer Gerard, L'étude des Paysages - Essais sur leur formes et leur histoire, Paris, Errance, 2000, 208 p. Convention pour la Protection du Patrimoine Mondial, Culturel et Naturel, Paris, UNESCO, 23 novembre 1972. Declaration of ICOMOS marking the 50TH ANNIVERSARY of the UNIVERSAL DECLARATION OF HUMAN RIGHTS, Stockholm, September 11th, 1998, http//www.international.icomos.org/e_stocdec.htm Hartog François et Revel Jacques (sous la direction de), Les usages politiques du passé, Paris, EHESS, 2001, 206 p. Ingersoll Richard, "L'internazionale del turista" in: Casabella, 630-631 1996 : 118-127 Levy Jacques et Lussault Michel (sous la direction de), Dictionnaire de la géographie et de l’espace des sociétés, Paris, Belin, 2003, 1033 p. "List of World Heritage in Danger: sites inscribed, sites removed", in: The world heritage newsletter, n.45 June-July-August 2004, p.3 Pedersen Arthur, Managing Tourism at World Heritage Sites: a Practical Manual for World Heritage Site Managers, World Heritage Manuals n. 1, Paris, unesco World Heritage Centre, 2002, 96 p. Riegl Aloïs, (traduction française de Daniel Wieczorek, introduction de Françoise Choay), Le culte moderne des monuments. Son essence et sa genèse, Paris, Seuil, 1984 (1 edizione 1903), 122 p. (collection Espacements)