Il Bullismo fra realtà e media
Gaetano Gucciardo
Quando si denuncia il bullismo di oggi bisognerebbe tenere costantemente d’occhio il passato
per non confondere la accresciuta intolleranza media nei confronti della violenza con la sua effettiva
diffusione
«Picchiai e fui picchiato. Il mio povero cugino mi aiutava come meglio poteva, ma era debole,
con un pugno lo gettavano a terra. Allora diventavo furioso... Con la mia collera ribelle aggravai la
cosa a tal punto che non osavamo più uscire se non nelle ore in cui erano in classe». Così scrive
Rousseau a proposito della sua infanzia (anni venti del Settecento) ne Le confessioni (p. 78). Ariès in
Padri e figli ci informa che le cronache scolastiche inglesi del Settecento parlano di brutalità e
vessazioni fra gli studenti (373). Nel Quattrocento i novizi passavano attraverso un rito iniziatico che
prevedeva che venissero loro inferti violenti colpi con una padella sul sedere (ad Aix, a Vienna, ivi,
277) oppure venivano sottoposti "ad atti vietati e inimmaginabili” (ad Avignone, ivi, 278).
Nei tempi passati, le relazioni sociali erano improntate a una violenza che per noi oggi è
inimmaginabile e la violenza tramava le relazioni sociali anche fra i più piccoli i quali non ne erano
solo le vittime da parte degli adulti ma pure gli agenti fra coetanei. Quando si denuncia il bullismo di
oggi bisognerebbe tenere costantemente d’occhio il passato per non confondere la accresciuta
intolleranza media nei confronti della violenza con la sua effettiva diffusione. Probabilmente chi
appartiene alla mia generazione (quella di chi è nato negli anni sessanta in Sicilia) e anche chi è più
in là con gli anni, ha cognizione non solo della violenza che era presente nelle relazioni fra coetanei
minori ma pure di quanto questa passasse sostanzialmente inosservata, non suscitasse più di tanto
scandalo e fosse sostanzialmente invisibile ai docenti. I malandrini in classe minacciavano le vittime,
organizzavano agguati nei bagni, davano minacciosi appuntamenti fuori dalla scuola (Ni videmu a
nisciuta da scola). E, fuori dalla scuola, laddove la supervisione degli insegnanti non arrivava, né era
così nutrita come oggi la rappresentanza di genitori venuti a prelevare i figli, accadeva scoppiassero
zuffe e si menassero le mani. Se si provava a denunciare minacce e violenze agli insegnanti si finiva
tacciati di epiteti quali spia (mpami) mentre se si cercava aiuto nei genitori la replica era: “Sii uomo
e cioè usa le mani pure tu”. Se chiediamo a genitori o nonni nati prima della seconda guerra mondiale
se e quanto era presente la violenza nelle loro relazioni non solo con altri ma anche con i fratelli e le
sorelle, ci sentiremo rispondere, con poche eccezioni, che i grandi menavano i piccoli e se la vittima
era femminuccia questa non esitava a ripagare i maschi maneschi con la delazione ai genitori.
Adesso i giornali e il web ci inondano di notizie e di filmati che documenterebbero quanto stia
dilagando la violenza fra minori e ai danni di chi fra di loro è più vulnerabile.
Il 12 aprile su “Repubblica” è apparso un servizio il cui sommarietto recitava: Allarme della
Polizia: prepotenze e soprusi in aumento fra le studentesse da Nord a Sud. Ma se si legge l’articolo
a firma di Corrado Zunino, non si trova da nessuna parte il dato che documenta l’aumento. Si parla
di una indagine di Skuola.net per la Polizia di Stato da cui emergerebbe che un terzo di ragazzi e
ragazze fra i 14 e i 17 anni ha subito qualche forma di bullismo. Di queste forme, solo il 5% è costituito
dal cyberbullismo che però sarebbe in crescita. Il punto è però che non viene riportato alcun dato a
conforto. Le ragazze che subiscono bullismo da altre ragazze o prevalentemente da ragazze sono il
32%, mentre i ragazzi che subiscono solo o prevalentemente da ragazzi il 68%. Dunque il bullismo è
maschio, ma quello che attira l’attenzione dei media è che in un terzo dai casi il bullo è femmina.
Segno, n. 365-6, 2015
Quello che invece voglio sottolineare qui è la distanza fra il contenuto dell’articolo e il titolo.
Nel titolo si parla di un bullismo femminile in aumento di cui non c’è traccia fra i dati offerti nel
servizio. Ma certi titoli sono facili da scrivere in ossequio allo stereotipo di una società sempre più
violenta e anche, o forse soprattutto, in obbedienza a un must mediatico per cui la cattiva notizia attrae
di più l’attenzione (e caccia quella buona).
Violenza in declino sensibilità in aumento
I media stanno costruendo attorno a noi un mondo pieno di insidie e di minacce reali o virtuali,
effettive o immaginarie. Sollecitano il nostro lato debole, quello più esposto alle rappresentazioni
angoscianti senza alcun impegno rispetto ai dati che dovrebbero suffragare la rappresentazione.
Eppure tutti i dati disponibili dovrebbero indurre maggiore cautela rispetto a conclusioni quali
quelle secondo cui il bullismo è in aumento. La violenza nelle relazioni personali è in declino da
tempo e non si vede perché non dovrebbe essere in declino anche fra le giovani generazioni mentre
ciò che aumenta è la sensibilità agli atti di violenza. Un tempo prendersi a pugni rientrava fra le cose
che capitavano con una certa regolarità di fare e le risse erano persino un divertimento. Nelle scuole
erano previste le pene corporali e la bacchetta era uno degli strumenti di correzione in mano a
insegnanti e genitori (e pure al marito nei confronti della moglie). Ad inizio Ottocento i governi
dovettero bandire il ricorso al duello come modalità di risoluzioni di controversie fra uomini in cui
era in ballo l’onore ma per secoli quello era stato un modo riconosciuto di regolare i conflitti. La
memoria e la conoscenza di questo passato, (documentato magistralmente da Norbert Elias e ripreso
da Steven Pinker) dovrebbero farci riflettere sullo statuto della violenza oggi e farci sospettare che
quello che scambiamo per dilagare della violenza potrebbe essere invece una accresciuta sensibilità
ad essa che ci consente di rilevarla quando un tempo non la definivamo neanche tale e comunque non
costituiva problema. Se aumenta la sensibilità e la reattività rispetto a certi comportamenti può
accadere che le rilevazioni registrino un loro aumento che però è l’effetto di una più precisa
definizione e di una più mirata presa di coscienza.
Studi e dati sul bullismo
Gli studi sul bullismo erano del tutto assenti prima degli anni settanta e non certo perché non
esistesse. Il violento e il prepotente erano una presenza costante degli ambienti scolastici, si pensi al
Franti del libro Cuore di de Amicis. Ma il fenomeno ha acquistato crescente centralità negli studi e
presso l’opinione pubblica a partire dal caso tragico di due suicidi in Norvegia di studenti ridotti a
questo dalle continue vessazioni subite dai compagni.
I rapporti biennali americani su Indicators of School Crime and Safety documentano qualcosa
che merita attenzione. Si registra un costante declino lungo gli anni novanta e duemila degli scontri
fisici fra ragazzi delle secondarie che passano dal 41,8 del 1993 al 32,8 del 2011 (percentuale di
studenti che dichiarano di essere stati coinvolti negli ultimi dodici mesi) mentre quelli che si svolgono
all’interno delle strutture scolastiche passano dal 16,2% del 1993 al 12% del 2011, le violenze e i
furti sono passati dal 9,5 del 1995 al 3,5 del 2011.
Cosa accade invece per gli atti di bullismo? Il fenomeno sembra registrare un improvviso e
marcato incremento a metà degli duemila per cui si passa dal 7,2 del 2003 di studenti fra i dodici e i
diciotto anni che dichiarano di essere stati vittima di atti di bullismo a un sorprendente 28,1% del
2005. Da allora la percentuale si è mantenuta sostanzialmente costante. Ci si potrebbe chiedere cosa
può essere mai successo giusto in quegli anni (fra il 2003 e il 2005) che possa spiegare questo
repentino dilagare del bullismo. È semplicemente successa una cosa che i sociologi conoscono bene:
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è cambiato il mezzo di rilevazione. Una formulazione diversa della domanda ha fatto sì che venissero
incluse fra gli atti di bullismo cose che prima gli studenti subivano ma che non derubricavano come
bullismo. La domanda posta agli studenti, prima del 2005, era: “Durante gli ultimi sei mesi sei stato
vittima di atti di bullismo? Cioè qualche altro studente se l’è presa molto con te o ha provato a farti
cose che tu non volevi fare come dargli del denaro?”. La laconicità della esemplificazione di “atti di
bullismo” lascia sorpresi ma non sorprende che le percentuali fossero così basse rispetto a quelle
registrate quando la domanda è cambiata ed è diventata:
“Ora ho alcune domande su ciò che gli studenti fanno a scuola che ti fanno stare male o sono
dannose per te. Spesso ci riferiamo a ciò come essere vittima di bullismo. Nel corso degli ultimi 6
mesi, qualche studente ti ha fatto oggetto di atti di bullismo? Cioè, qualche studente ... si è preso
gioco di te, ti ha dato qualche nomignolo, o insultato/diffuso voci su di te/minacciato di farti male/ti
ha strattonato, spinto per le scale, sgambettato, sputato/cercato di farti fare cose che non volevi fare,
per esempio, dargli denaro o altre cose/escluso apposta da attività/distrutto di proposito cose tue?”
Questa maggiore analiticità della domanda ha consentito di fare emergere condotte subite che
prima non venivano catalogate come bullismo il quale dunque veniva sostanzialmente sottostimato
persino dalle vittime. È l’aver dato un nome ai generici atti di violenza, prevaricazione, vessazione,
soperchieria spesso frequenti fra coetanei a scuola che ha permesso e sta permettendo di farli uscire
dall’ombra e di combatterli. Prima che la parola “bullismo” entrasse nel vocabolario comune quegli
atti erano sistematicamente sottostimati sia in termini quantitativi sia sul piano delle loro ricadute sul
benessere degli studenti nell’ambiente in cui passano quotidianamente più tempo dopo la casa di
famiglia.
Un breve sguardo ai dati ci restituisce un quadro ampiamente insufficiente per trarre delle
conclusioni certe sulla estensione del fenomeno e sulla sua dinamica nel tempo in Italia. Da una
rassegna delle rilevazioni sul bullismo condotta dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e
l’adolescenza (Rapporto 2006) è emerso che la diffusione del fenomeno è maggiore nelle scuole del
ciclo primario rispetto alle medie e si va, per le prima, da un massimo stimato del 42% di vittime al
38%, mentre per le scuole medie, la forbice va da un 28% al 20%. Dunque, secondo le rilevazioni,
circa un terzo dei ragazzi delle scuole elementari e un quinto di quelli delle medie è vittima di una
qualche forma di bullismo (botte, furti, offese, minacce, calunnie, emarginazione). Sono percentuali
particolarmente elevate ma si tratta di valori non confrontabili con quelli statunitensi perché non è
indicato l’arco temporale di riferimento e dunque le percentuali italiane sono superiori proprio perché
presumibilmente la domanda non indicava un periodo di tempo delimitato entro il quale si sarebbero
subiti gli atti di bullismo (ricordo che la rilevazione statunitense chiede quante volte nel corso degli
ultimi dodici mesi si sono subiti atti di bullismo). Dati però significativi sono forniti dalla Rapporto
dell’Osservatorio del 2010-11 a proposito degli autori degli atti di bullismo. Tra il 2002 e il 2010 si
registra una massiccia diminuzione: la percentuale di undicenni che ha fatto atti di bullismo è passata
dall’11% al7%, fra le undicenni dal 7% al 2%; fra i quindicenni dal 20% all’8% e fra le quindicenni
dal 7% al 3%. È l’unico dato di tendenza offerto da fonti ufficiali. Va preso con molta cautela perché
potrebbe rispecchiare una crescente riluttanza ad ammettere di avere fatto atti che hanno subito una
crescente condanna, tuttavia, per come appare, smentisce la vulgata di un dilagare del bullismo.
La ripulsa della violenza e la rappresentazione mediatica
Quello che è certo è che la grande attenzione che genitori, insegnanti, media, opinione
pubblica prestano alle vessazioni, alle violenze e soprattutto alle loro vittime spesso inermi ha
permesso che il fenomeno, non solo venisse e venga denunciato, ma anche studiato e combattuto con
interventi ad hoc. Questa attenzione nasce proprio da un sostrato fatto di costante e crescente ripulsa
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della violenza, una ripulsa che si è andata espandendo per secoli (gli studi e le statistiche di Eisner
sono eloquenti ma si veda anche Roser).
Intanto, però, i media insistono in questa strategia di rappresentazione della realtà che ci
circonda ispirata all’allarmismo, alla denuncia di degenerazioni, al degrado umano, al dilagare della
violenza come se si stessero avverando le distopie di cui è piena certa letteratura e certa
cinematografia. Certo, sono in atto tensioni estreme che stanno tragicamente lacerando il tessuto
connettivo sociale di interi stati e di vaste aree di più continenti (si pensi al Medioriente e alla fascia
subsahariana). Assistiamo quasi inermi agli annegamenti nel canale di Sicilia di centinaia e migliaia
di profughi finiti nelle mani di trafficanti senza scrupoli, il terrorismo di matrice religiosa tortura e
uccide barbaramente e usa proprio i media per amplificare al parossismo l’effetto di orrore che simili
atti provocano. Le diseguaglianze e le ingiustizie globali scatenano rabbia e disperazione foriere di
distruzione e violenza. Ma ci sono ambiti specifici dove la rappresentazione a tinte fosche è gratuita
e in una certa misura irresponsabile.
L’idea che le scuole siano luoghi pericolosi in cui i ragazzi sono esposti con crescente
probabilità a violenze e vessazioni non ha alcun fondamento nei dati disponibili e quelli che si hanno
inducono a ritenere che sia vero il contrario. Certe cose bisognerebbe dirsele più spesso e dovremmo
sviluppare una maggiore capacità di difesa dai veleni immessi dai media la cui logica non è quella
della rappresentazione analitica e documentata della realtà sociale ma della costruzione più funzionale
a indurre lo spettatore a stare davanti allo schermo o a cliccare su una notizia. E, come si sa,
l’attenzione è più attratta dal fracasso di un albero che cade che dalla silente crescita della foresta.
Testi citati
Ariès P., Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Roma-Bari, Laterza, 1968;
Eisner M, Modernization, Self-control and Lethal Violence. The Long Term Dynamics of European
Homicide Rates in Theoretical Perspective in «British Journal of Criminology», 41, 2001;
Elias N., Il processo di civilizzazione, Bologna, il Mulino, 1988;
Osservatorio nazionale per l’infanzia, Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in
Italia, 2006, 2008-09, 2010-11;
Pinker S., Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più
pacifica della storia, Milano, Mondadori, 2013;
Roser M., Homicides, 2014 pubblicato on line su “OurWorldInData.org” consultabile in:
http://ourworldindata.org/data/violence-rights/homicides/;
Rousseau J. J., Le confessioni, Milano, Mondadori, 1990;
Zunino C., Allarme della Polizia: prepotenze e soprusi in aumento fra le studentesse da Nord a
Sud. Su su “la Repubblica”, 12 aprile 2015.
Segno, n. 365-6, 2015