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Ebraismo e disabilità

vede persone con caratteristiche fisiche particolari, per esempio molto alte, molto basse, o albine, recita una particolare benedizione: Benedetto Colui che ha fatto le creature diverse l'una dall'altra. Se invece si vede una persona con un difetto fisico, ad esempio una persona con un arto mancante, uno zoppo, un cieco, uno con la testa appiattita, recita una benedizione differente: Benedetto il vero giudice. L'approccio di una società nei confronti della disabilità getta luce sulla natura della società stessa, in particolare considerando l'atteggiamento nei confronti dei disabili, se sono parte integrante della società o ne sono emarginati, se hanno possibilità di esprimersi, se la società, oltre a parlare in loro favore, è disposta ad investire per integrarli 2 . Nella celebrazione di Pesach 3 nella Haggadàh 4 si parla dall'approccio da tenere nei confronti di quattro tipi differenti di figli, il saggio, il malvagio, il semplice e quello che non sa porre domande. Quest'ultimo figlio è assimilabile al bambino afflitto da un ritardo mentale. L'indicazione che viene fornita è quella di fargli aprire la bocca: che questo bambino non abbia alcun potenziale è solamente una nostra impressione; con amore e perseveranza è possibile farlo esprimere secondo le proprie potenzialità, tramite l'impegno e la dedizione. Troviamo una storia istruttiva in merito nel Talmud 5 , dove si narra di Rabbì Freda, il quale aveva uno studente che necessitava che la lezione venisse ripetuta quattrocento volte per comprenderla. Un giorno il rabbino all'inizio della lezione disse che sarebbe dovuto andare via terminato lo studio per occuparsi di una questione importante. Terminata la lezione però lo studente disse di non aver compreso, distolto dal fatto che il rabbino sarebbe dovuto andare via. Sentito ciò il rabbino, dopo aver chiesto allo studente di stare attento ripeté la lezione per ulteriori quattrocento volte. L'ebraismo ha da sempre dedicato molta attenzione alla disabilità. Basti pensare, che a differenza di molte altre culture, nelle quali gli eroi sono caratterizzati dalla perfezione fisica, vari personaggi della Bibbia hanno una qualche disabilità: per esempio le matriarche sono sterili, Isacco e Giacobbe soffrono di cecità in vecchiaia, Mosè ha difficoltà nell'eloquio. Alcuni fra i maestri del Talmud (ad es. Rav Yoseph e Rav Sheshet) sono non vedenti. Anche l'approccio nei confronti dei bambini disabili è molto differente rispetto a quello di varie culture dell'antichità, nelle quali venivano messi a morte: secondo la tradizione ebraica l'uccisione di qualsiasi bambino costituisce un omicidio. Nel Levitico troviamo la prescrizione di non maledire il sordo e non mettere un inciampo davanti al cieco. Nel Talmud Babilonese (Ta'anit 19 b-20 a) troviamo una storia estremamente istruttiva sulla disabilità 6 : Rabbì Shim'on figlio di Elazar era di ritorno dalla casa del suo maestro, era in groppa ad un asino lungo la sponda di un fiume ed era molto felice, fiero di sé poiché aveva studiato molta Toràh. Si imbatté in un uomo estremamente brutto. Gli disse: la pace sia su di te, Rabbì. (Rabbì Shim'on) non rispose al saluto e disse: quanto è brutto quell'uomo! Tutti i tuoi concittadini sono brutti come te? Gli rispose: Non saprei, ma vai a dire all'artigiano che mi ha creato "quanto è brutto questo oggetto che hai fabbricato". Resosi conto di avere peccato, scese dall'asino, si inchinò dinnanzi a lui dicendo: ho peccato nei tuoi confronti! Perdonami! Gli rispose: non ti perdonerò sino a quando non

“Benedetto Colui che ha fatto le creature diverse l’una dall’altra” - Ebraismo e disabilità Nel Talmud 1 si afferma che chi vede persone con caratteristiche fisiche particolari, per esempio molto alte, molto basse, o albine, recita una particolare benedizione: Benedetto Colui che ha fatto le creature diverse l’una dall’altra. Se invece si vede una persona con un difetto fisico, ad esempio una persona con un arto mancante, uno zoppo, un cieco, uno con la testa appiattita, recita una benedizione differente: Benedetto il vero giudice. L’approccio di una società nei confronti della disabilità getta luce sulla natura della società stessa, in particolare considerando l’atteggiamento nei confronti dei disabili, se sono parte integrante della società o ne sono emarginati, se hanno possibilità di esprimersi, se la società, oltre a parlare in loro favore, è disposta ad investire per integrarli2. Nella celebrazione di Pesach3 nella Haggadàh4 si parla dall’approccio da tenere nei confronti di quattro tipi differenti di figli, il saggio, il malvagio, il semplice e quello che non sa porre domande. Quest’ultimo figlio è assimilabile al bambino afflitto da un ritardo mentale. L’indicazione che viene fornita è quella di fargli aprire la bocca: che questo bambino non abbia alcun potenziale è solamente una nostra impressione; con amore e perseveranza è possibile farlo esprimere secondo le proprie potenzialità, tramite l’impegno e la dedizione. Troviamo una storia istruttiva in merito nel Talmud 5, dove si narra di Rabbì Freda, il quale aveva uno studente che necessitava che la lezione venisse ripetuta quattrocento volte per comprenderla. Un giorno il rabbino all’inizio della lezione disse che sarebbe dovuto andare via terminato lo studio per occuparsi di una questione importante. Terminata la lezione però lo studente disse di non aver compreso, distolto dal fatto che il rabbino sarebbe dovuto andare via. Sentito ciò il rabbino, dopo aver chiesto allo studente di stare attento ripeté la lezione per ulteriori quattrocento volte. L’ebraismo ha da sempre dedicato molta attenzione alla disabilità. Basti pensare, che a differenza di molte altre culture, nelle quali gli eroi sono caratterizzati dalla perfezione fisica, vari personaggi della Bibbia hanno una qualche disabilità: per esempio le matriarche sono sterili, Isacco e Giacobbe soffrono di cecità in vecchiaia, Mosè ha difficoltà nell’eloquio. Alcuni fra i maestri del Talmud (ad es. Rav Yoseph e Rav Sheshet) sono non vedenti. Anche l’approccio nei confronti dei bambini disabili è molto differente rispetto a quello di varie culture dell’antichità, nelle quali venivano messi a morte: secondo la tradizione ebraica l’uccisione di qualsiasi bambino costituisce un omicidio. Nel Levitico troviamo la prescrizione di non maledire il sordo e non mettere un inciampo davanti al cieco. Nel Talmud Babilonese (Ta’anit 19 b-20 a) troviamo una storia estremamente istruttiva sulla disabilità6: Rabbì Shim’on figlio di Elazar era di ritorno dalla casa del suo maestro, era in groppa ad un asino lungo la sponda di un fiume ed era molto felice, fiero di sé poiché aveva studiato molta Toràh. Si imbatté in un uomo estremamente brutto. Gli disse: la pace sia su di te, Rabbì. (Rabbì Shim’on) non rispose al saluto e disse: quanto è brutto quell’uomo! Tutti i tuoi concittadini sono brutti come te? Gli rispose: Non saprei, ma vai a dire all’artigiano che mi ha creato “quanto è brutto questo oggetto che hai fabbricato”. Resosi conto di avere peccato, scese dall’asino, si inchinò dinnanzi a lui dicendo: ho peccato nei tuoi confronti! Perdonami! Gli rispose: non ti perdonerò sino a quando non 1 Talmud Babilonese, Berakhot 58 b. 2 Aviad ha-kohen, la condizione dei disabili nella Toràh di Israele (in ebraico), p.51. 3 La Pasqua ebraica. 4 Letteralmente Narrazione, è una serie di brani che viene letta la prima sera di Pesach (le prime due in diaspora), dove viene narrata la storia dell’uscita del popolo ebraico dall’Egitto. 5 Talmud Babilonese, Eruvin 54 b. 6 Questa stessa storia è presente in Massechet derekh eretz 2,1, Avot derabbì Natan cap. 41. 1 sarai andato dall’artigiano che mi ha fatto e gli avrai detto “quanto è brutto questo oggetto che hai fatto!” Commentando questo brano Rav Byniamin Lau7 nota come lo studio della Toràh non abbia affinato il carattere del Maestro, ma la sua aspirazione alla perfezione angelica. Il Salmista 8 afferma che l’uomo è leggermente inferiore a Dio, tutti quanti in qualche modo abbiamo una qualche disabilità. Come è risaputo, l’uomo è creato ad immagine e somiglianza divina, e a Lui vanno riferite anche quelle creature le quali in base alle categorie umane sarebbero brutte. Tale concetto viene affermato nelle Massime dei Padri (Caro è l’uomo, che è stato creato ad immagine divina). Nella successiva elaborazione rabbinica questo concetto viene tradotto come kavod ha-beriot (onore delle creature), la cui importanza è tale da respingere i divieti imposti dalla Toràh9. Nelle Massime dei Padri (4, 3) Ben Azai afferma che non si deve disprezzare alcun individuo, perché “non c’è alcun individuo che non ha il proprio momento, o il proprio spazio”. Vi è un’unica radice, e tutti gli individui godono di medesimi diritti. La Toràh tiene in massima considerazione l’onore degli individui che soffrono di limitazioni: leggiamo ad esempio nel Levitico (19,14) “Non maledire un sordo, e davanti ad un cieco non porre intoppo; ma temi del tuo Iddio. Son io, il Signore”. Nel Sefer Chassidim il rapporto fra la collettività ed i disabili viene paragonato a quello fra la madre ed un neonato, che, non essendo i grado di camminare, vede i suoi bisogni soddisfatti per mezzo della madre; allo stesso modo il Signore provvede a fornire ai disabili qualcuno che si occupi delle loro necessità. A proposito è notevole l’assenza della congiunzione fra i versi 9 e 10 del cap. 29 del Deutoronomio, nei quali, enumerando la composizione delle parti del popolo ebraico, tutti i membri del popolo d’Israele (fine v. 9), viene accostata alla figliolanza (inizio del v.10), ad indicare che ciascun membro del popolo ebraico deve essere assimilato ai propri figli. Per via della propria condizione i disabili sono esentati da alcuni obblighi religiosi (in relazione alla propria disabilità): la prima espressione di questa esenzione traspare nelle norme sacerdotali (Levitico 21, 17-23), che impedivano a sacerdoti con difetti fisici di offrire sacrifici nel Santuario. Un segnale ulteriore lo troviamo negli scritti rabbinici circa la consegna della Toràh, dove viene narrato come in quell’occasione gli infermi fossero guariti 10, e da qui si può dedurre come l’infermità fosse un impedimento per il dono della Legge. Tuttavia proprio in base all’approccio della legge religiosa ebraica è possibile dedurre un fatto importante: come abbiamo visto per via della propria condizione ai disabili è precluso l’esercizio di taluni uffici, fra cui quello sacerdotale. Ma nelle regole relative all’esercizio sacerdotale, trattando le regole della benedizione sacerdotale (15,3) Maimonide segnala come alcuni difetti, se non considerati tali dalla società circostante, non costituiscano un impedimento ad impartire la benedizione. In questo caso è possibile vedere come la normativa religiosa sia in talune occasioni assoggettata al punto di vista della collettività, e pertanto se il difetto fisico non è visto come una fonte di stupore, è possibile reintegrare il disabile nelle proprie funzioni. Un approccio simile è individuabile nella discussione se un disabile possa fungere da officiante nelle preghiere pubbliche. In merito il Maharshal11 scrive che un disabile non solamente è autorizzato a svolgere questa funzione, ma che sarebbe persino preferibile che la svolgesse, in quanto la logica divina è 7 Rav B. Lau, Disability and Judaism: Society’s Influence on Halacha (tradotto in inglese dall’originale ebraico, pubblicato in Bema’agalèh Tzedeq 11, 1995). Il Rabbino Lau, Rabbino della Sinagoga Ramban di Gerusalemme, dirige il Bet Morashàh di Gerusalemme, accademia di studi ebraici per la giustizia sociale. 8 Salmi 8, 6. 9 Talmud Babilonese, Berakhot 19 b. 10 Midrash Tanchuma, Esodo 19,8. 11 Yam Shel Shelomò, Chullin, 1,48, citando il Maharam (cap.249, Cremona). 2 profondamente diversa da quella umana, secondo la quale i re in carne ed ossa affidano certi incarichi solamente a uomini con determinate caratteristiche. Anche il rabbino contemporaneo Ezra Bazri, in un suo articolo12 si occupa della possibilità di officiare per un uomo in sedia a rotelle, concludendo che la cosa è certamente permessa qualora il pubblico non sollevi delle obiezioni; se la cosa però dovesse scatenare delle discussioni, è bene evitare dei litigi, anche se chi obietta certamente non si comporta adeguatamente, mostrando rigore su un aspetto non fondamentale, e facendo imbarazzare un individuo, cosa che viene considerata più grave di un omicidio. Un altro interessante fenomeno riguarda i sordomuti: anticamente non era possibile fornire loro un’istruzione, e pertanto la legge li esentava dagli obblighi religiosi, non essendo possibili indottrinarli. Nel XIX secolo vi fu un balzo nella possibilità di trasmettere loro delle informazioni, con la conseguente nascita di scuole dedicate alla loro istruzione. Ciò comportò grosse discussioni nel mondo rabbinico, se la mutata condizione modificasse l’approccio nei loro confronti. Molto importante fu l’apporto del rabbino tedesco Azriel Eldesehimer, che in uno dei suoi responsa13 scrisse14 che la decisione in merito dipendeva dalla considerazione dell’intelligenza dei sordomuti, se questa dovesse essere considerata come compromessa in maniera definitiva, o si trattasse piuttosto di un “tesoro nascosto”. Questa affermazione estremamente coraggiosa per quei tempi portò ad una riconsiderazione globale della questione, tale da condurre i sordomuti ad una quasi totale reintegrazione agli obblighi religiosi. Come si può intendere da questi esempi, la collettività ha un ruolo centrale nella definizione della posizione dei disabili all’interno della società. Il nostro atteggiamento nei confronti dei disabili non è decretato dal Cielo. Ponendo i disabili nel cuore della comunità, consentiremo ad ogni singolo individuo di prendere parte alla riparazione del mondo attraverso la luce della Toràh15. Obblighi religiosi dei disabili16 La legge religiosa ebraica riconosce che alcuni individui hanno dei limiti, fisici e/o psicologici, che impediscono loro di osservare a pieno la normativa religiosa. In generale i disabili vengono esentati dai precetti che non sono in grado di mettere in pratica, evitando loro qualsiasi senso di colpa, ma esortandoli a sfruttare al massimo le proprie potenzialità, anche incitando la società a rendere loro possibile l’osservanza religiosa. E’ significativo segnalare alcune normative che riguardano i disabili nella pratica religiosa: a) In non vedenti recitano la benedizione che precede lo Shemà per la creazione della luce17, poiché, anche se non sono in grado di vedere la luce del giorno, tuttavia ne beneficiano, poiché gli altri beneficiandone, evitano loro degli incidenti; b) Allo stesso modo, anche se il terzo brano dello Shemà (Numeri 15:39) ci comanda di indossare delle frange affinché possiamo vederle e pertanto ricordare i comandamenti divini, i non vedenti sono obbligati a indossarle18 perché gli altri le possono vedere; 12 Ezra Bazri, l’officiante in carrozzina (in ebraico), Tchumin 4, p. 455. 13 Responsa, parte II, Even ha-‘ezer, Choshen Mishpat umiluim, cap. 58. 14 Per noi oggi è molto difficile comprendere questa affermazione, che all’epoca invece era segnale di una grande apertura di pensiero. 15 Rav B. Lau, Disability and Judaism: Society’s Influence on Halacha. 16 Questa sezione è basata principalmente sull’articolo del Rabbino Moshè D. Tendler e del Dr. Fred Rosner, The Physically and Mentally Disabled Insights Based on the Teachings of Rav Moshe Feinstein, Journal of Halacha and Contemporary Society - No. XXII – 1991. 17 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 69,2. 18 Maimonide, Mishnèh Toràh, Hilkhot Tzitzit (regole sulle frange) 3,7. 3 c) Nello stesso modo, sebbene lo Shemà inizi con le parole “ascolta Israele”, una persona sorda, che non può ascoltare la propria voce mentre prega, può recitare questa preghiera 19, perché altri possono ascoltare; d) I non vedenti non possono leggere pubblicamente la Toràh20, perché la lettura deve essere effettuata da un testo e non a memoria, ma possono essere chiamati a recitare le benedizioni sulla Toràh e possono leggere la Haftaràh21 recitandola da un testo in Braille o persino a memoria; e) Un sordomuto non può leggere pubblicamente il rotolo di Ester nella festività di Purim22; f) Un cieco può svolgere la funzione di officiante nelle preghiere pubbliche23; g) Un cieco non può effettuare la Shechitàh24, perché e necessario vedere distintamente per ridurre al minimo il dolore dell’animale. Un sordomuto invece può effettuarla sotto supervisione25; h) I sordomuti sono esentati dall’ascoltare il suono dello Shofar26 di Rosh ha-shanàh27, e pertanto non possono suonare lo Shofar per fare uscire d’obbligo altri28. Se tuttavia hanno recuperato l’udito per mezzo degli ultimi ritrovati tecnologici, come gli impianti cocleari, hanno l’obbligo di ascoltare lo Shofar al pari degli altri. 19 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 62,3. 20 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 53,14; 139,4. 21 Brano profetico che si legge dopo la lettura settimanale dalla Toràh. 22 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 689,2. 23 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 53,14. 24 Macellazione rituale. 25 Maimonide, Mishnèh Toràh, Hilkhot Shechitàh 4,5. 26 Corno che viene suonato nel capodanno ebraico, in ricordo della legatura di Isacco. 27 Capodanno ebraico. 28 Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 589,1-2. 4