conferenze by Ariel Di Porto
La proposta di affrontare, per la XXXIV Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo ... more La proposta di affrontare, per la XXXIV Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, lo studio del capitolo 40 del libro di Isaia, è stata accolta dal mondo ebraico con un certo stupore, poiché questo brano, come vedremo, ha un suo ruolo ben preciso all'interno della tradizione liturgica ebraica, ed è vissuto con un trasporto particolare. Non si pensava che un brano del genere potesse stimolare un pubblico cristiano.
I dilemmi etici imposti dalla guerra postmoderna Ariel Di Porto La guerra, a differenza di quanto... more I dilemmi etici imposti dalla guerra postmoderna Ariel Di Porto La guerra, a differenza di quanto è avvenuto nel mondo occidentale e arabo, non ha rivestito un ruolo particolare nella formazione della coscienza del popolo ebraico (vedi Sharir 2010, 198-213). L'evento formativo della coscienza nazionale ebraica è l'uscita degli ebrei dall'Egitto. Gli ebrei non hanno parte attiva nelle dieci piaghe e nell'annegamento degli egiziani nel Mar Rosso. Per lungo tempo, in diaspora, le espressioni bibliche che lodavano l'eroismo militare venivano interpretate allegoricamente e riferite allo studio della Toràh (Di Porto 2016). Una delle principali sfide che la generazione del ritorno alla vita nazionale in Israele, era la necessità di formare un esercito capace di confrontarsi autonomamente con i pericoli esterni. Le questioni sollevate non erano solo di natura pratica, ma anche teoretiche ed etiche. Anche il mondo rabbinico si è naturalmente confrontato con la questione, dando l'impressione di sentire di muoversi in un settore halakhico totalmente nuovo (
Le declinazioni del male nella tradizione ebraica Ariel di Porto 1. Tanti mali Amaramente Heschel... more Le declinazioni del male nella tradizione ebraica Ariel di Porto 1. Tanti mali Amaramente Heschel (1969, 398) scriveva alcuni decenni fa: "Si può definire l'uomo moderno come un essere che si abitua alle catastrofi. Soggetto ad un abbrutimento forzato, egli è diventato sempre meno sensibile; il suo senso dell'orrore sta via via scomparendo. Si affievolisce il suo senso di distinzione tra il bene e il male. Tutto quello che ci rimane è di sentirci inorriditi per la perdita del nostro senso dell'orrore". Alcune località e date hanno ricevuto un posto d'onore nella storia del male, basti pensare a Lisbona, Auschwitz a Hiroshima o all'11 settembre. Più recentemente la questione si è posta nuovamente con il Coronavirus e con la guerra in Ucraina. Se il terremoto di Lisbona del 1755 aveva sollecitato le grandi menti d'Europa a interrogarsi su quanto avvenuto, Auschwitz aveva invitato i pensatori, almeno inizialmente, ad assumere una certa reticenza. Per questo la riflessione filosofica, con l'eccezione di Hanna Arendt, ha tardato a farsi strada. Per almeno due decenni, la convinzione che con il secondo conflitto mondiale avesse superato i limiti andava più sotto il nome di Hiroshima che di Auschwitz. La considerazione differente di questi fenomeni, e la distinzione fra male naturale e male morale, che ora ci appare scontata, nasce proprio in seguito al terremoto di Lisbona (vedi Neiman 2013, 3-5; 238). Secondo Rav Sacks il tema è estremamente complesso, e proprio per via della sua complessità, qualsiasi tentativo di affrontarlo così come è trattato nella filosofia occidentale è destinato al fallimento. Ciò fra l'altro è quanto avviene nel libro biblico di Giobbe, nel quale gli amici cercano di convincerlo di aver fatto qualcosa di male per meritarsi la punizione, mentre Giobbe nega questa eventualità e cerca piuttosto un confronto con il Signore. Ciò che è incredibile in questa storia è che il Signore in ultima analisi dà ragione a Giobbe e torto ai suoi amici (vedi Sacks 2000).
Libertà e responsabilità individuali e collettive. Riflessioni bibliche e teologiche Ariel di Por... more Libertà e responsabilità individuali e collettive. Riflessioni bibliche e teologiche Ariel di Porto Rav Riccardo Di Segni (2002), in un intervento intitolato "Legge e libertà nell'ebraismo", ricordava una scena dei Dieci Comandamenti, in cui Charlton Heston, nei panni di Moshè, scendendo dal monte Sinai ed avendo scoperto il vitello d'oro disse: "non c'è libertà senza legge". Questa battuta riflette un'idea che ha avuto una lunga storia nella speculazione rabbinica, che ci riporta agli albori dell'esperienza storica del popolo ebraico e che ha esercitato un'influenza notevole sullo sviluppo storico della civiltà occidentale in generale. In modo particolare ha ispirato i rivoluzionari di ogni tempo, come Michael Walzer ha evidenziato magistralmente in Esodo e rivoluzione. Solo per ricordarne alcuni, i contadini tedeschi, Oliver Cromwell, i coloni americani e Martin Luther King si sono richiamati all'esodo. L'immaginario biblico è talmente tanto fondante nella storia americana che nella Campana della libertà a Filadelfia, che intende simboleggiare la liberazione americana dalla Gran Bretagna, è inciso il versetto del Levitico (25,10) relativo al Giubileo "... proclamerete libertà (deror) nella terra per tutti i suoi abitanti" (vedi Seeskin 2019, 1). Lasciatemi passare la battuta, ma la libertà pesa... 950 kg di bronzo! Nel Ghetto di Roma gli anziani ripetevano in questo periodo dell'anno il motto "Pesach pesa", riferendosi alle fatiche comportate dalle meticolose pulizie e dai numerosi preparativi che la festa richiede, ma si potrebbe riferire questa espressione al tema che vogliamo affrontare oggi, quello del legame fra libertà e responsabilità.
Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all'uscita di Tu-Bishvat, ne... more Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all'uscita di Tu-Bishvat, nel quale il tema del piantare è tanto centrale, sia azzeccata. Come vedremo infatti nel capitolo 29 del libro di Geremia, tema di questa serata, si parla di piantagione. Se durante Tu Bishvat però ci siamo concentrati sui frutti di Israele, questa sera dovremo concentrarci sui frutti, concreti e metaforici, ma sempre indirizzati in qualche modo alla terra di Israele, della Diaspora.
nei pressi di Brindisi, pensatore, rabbino, medico e astrologo-astronomo, è stata oggetto di una ... more nei pressi di Brindisi, pensatore, rabbino, medico e astrologo-astronomo, è stata oggetto di una discreta attenzione da parte degli studiosi, principalmente italiani, negli ultimi anni, sebbene non sia mai stato dimenticato negli ambienti ebraici (Mancuso 2009, 1-2). Sarebbe sufficiente ricordare che già nel 1880 lo studioso italiano David Castelli curò un'edizione tradotta dell'opera principale di Donnolo, il Sefer Chakhmoni, corredata da un'introduzione ancora valida (Mancuso 2009, 1). Donnolo è una figura importante, perché è stato fra i primi, nell'Europa medievale, a usare l'ebraico per scrivere opere secolari (Mancuso 2009, 1). Anche il settore dello studio della storia ebraica nell'impero bizantino, a lungo trascurata, inizia a interessare gli studiosi, dal momento che nell'Italia meridionale sorsero, nei secoli fra l'VIII e l'XI, delle comunità molto importanti, sedi di rinomate accademie, che fornirono poi notevoli impulsi alle comunità dell'Europa settentrionale. Le fonti ebraiche e quelle cristiane descrivono riguardo a quelle terre dei rapporti non particolarmente conflittuali, sia negli strati medio-bassi della popolazione, sia presso i ceti più elitari; non mancarono tuttavia dei momenti di tensione, che sfociarono in conversioni forzate di massa (Cuscito 2018, 29). Il mondo bizantino ha svolto un ruolo fondamentale nella trasmissione di testi, in greco, deuterocanonici e apocrifi; ad esempio possiamo notare come nel Sefer Chakhmoni di Donnolo siano citati il Libro della Sapienza o le aggiunte greche al Libro di Daniele, che dovevano essergli giunti attraverso la versione greca dei LXX, mostrando degli scambi culturali fra i cristiani di lingua greca e gli ebrei, per Donnolo anche in ambito astronomico e medico (Cuscito 2018, 29-30; 38).
Adon 'olam è un componimento poetico che è entrato a far parte della liturgia, quotidiana e dello... more Adon 'olam è un componimento poetico che è entrato a far parte della liturgia, quotidiana e dello Shabbat, probabilmente non prima del XV sec. È possibile sostenere ciò partendo dalla sua omissione nell'Abudarham (che risale circa al 1340). Tuttavia è opportuno segnalare come, pur essendo stato rinvenuto in testi della ghenizà, non ci siano elementi che consentano di individuarne la provenienza o la datazione. La prima apparizione certa del brano è nell'Etz chayim, di Ya'aqov ben Yehudà di Londra, che risale circa al 1286, alla fine della tefillà di Shachrit di Tishà beAv.
Nel suo ultimo volume Rav Sacks intende rivolgersi alla società nel suo complesso, per questo sce... more Nel suo ultimo volume Rav Sacks intende rivolgersi alla società nel suo complesso, per questo sceglie di attingere a un bacino di fonti meno indirizzato alla tradizione ebraica rispetto ai volumi precedenti. Nella prefazione (pp.12-15) Rav Sacks ricorda alcuni momenti dei suoi ultimi anni di vita, il conferimento del Templetone Prize del 2016, la conferenza TED tenuta a Vancouver nel 2017, la lunghissima collaborazione con la BBC in radio e in TV. Possiamo comprendere così il peso eccezionale di Rav Sacks nel mondo e nella cultura anglosassone. In questo testo Rav Sacks torna al suo primo amore, la filosofia morale. In modo particolare intende restituire dignità a questo bistrattato comparto della filosofia. Il titolo dell'opera riprende quello che Bernard Williams, maestro di Rav Sacks, scrisse nel 1971. Nella prefazione Rav Sacks condivide la sua ammirazione per Alasdair MacIntyre, che in Dopo la virtù scrive che, anche se continuiamo a utilizzare un linguaggio morale, abbiamo, ampiamente se non completamente, perso la comprensione, sia teorica che pratica, della moralità. Tuttavia Rav Sacks sottolinea una differenza fondamentale con MacIntyre, la cui opera è permeata di un soffuso pessimismo. In Sacks invece c'è la predisposizione tipicamente ebraica alla speranza. La speranza, nota giustamente Rav Sacks è inscritta nella natura, che comprende una gamma sorprendente di entità che guariscono quanto è stato danneggiato. Queste forze sono inglobate nella vita, e questa è la base empirica della speranza (p.38). In un passaggio molto affascinante (pp. 239-240) viene citato Jack Miles, che in D., una biografia, opera una distinzione fra la tragedia greca e quella shakespeariana; nella tragedia greca il fato è determinato da fattori esterni a colui che agisce, al di fuori del suo controllo, mentre nella tragedia shakespeariana questi fattori sono interni. Senso di colpa, pentimento e responsabilità originano una cultura della speranza. Abbiamo sempre la facoltà di scegliere, non c'è un destino predeterminato. La nostra società, così come le nostre comunità, devono intraprendere un serio esame di coscienza e indirizzarsi verso un recupero della moralità. Rav Sacks incastona una serie di riferimenti biblici a considerazioni di ordine generale in un passo molto bello nella prefazione del libro: Ama il tuo prossimo. Ama lo straniero. Ascolta il grido di chi altrimenti è inascoltato. Affranca il povero dalla povertà. Abbi a cuore la dignità di tutti. Fa' che coloro che hanno più di quanto abbiano necessità condividano le loro benedizioni con coloro che hanno meno. Dai da mangiare agli affamati, dai una casa a chi non ce l'ha e cura i malati nel corpo e nell'anima. Combatti l'ingiustizia, da chiunque sia praticata e contro chiunque sia perpetrata. E fai queste cose perché, essendo umani, siamo moralmente obbligati da un patto di solidarietà umana, indipendentemente dal colore della pelle o dalla cultura, dal ceto o dal credo religioso (pp. 10-11). e poi: Quando ci spostiamo dalla politica dell'«Io» a quella del «Noi», riscopriamo quelle verità contro-intuitive che trasformano la vita: che un paese è forte quando si prende
Leggere le Lettere per la prossima generazione poche settimane dopo la scomparsa di Lord Rav Jona... more Leggere le Lettere per la prossima generazione poche settimane dopo la scomparsa di Lord Rav Jonathan Sacks, o meglio HaRav Ya'akov Zvi ben David Arieh zt"l è senza dubbio un'esperienza forte. Le sue parole sono familiari a molti ebrei italiani, perché alcuni anni fa questo libretto delizioso fu tradotto in italiano e inviato a tutte le famiglie ebraiche di Roma e Milano. Al suo interno sono raccolte delle riflessioni, riportate sotto forma di lettere scritte da un padre ai propri figli, appena diventati genitori. Queste lettere, nella finzione letteraria, rappresentano un "testamento spirituale", dedicato ad alcuni ideali fondamentali della tradizione ebraica, che trovano un posto privilegiato nel pensiero di Rav Sacks. Fra questi non può mancare il tema dell'educazione ebraica. Le scuole ebraiche sono l'orgoglio delle nostre comunità e il migliore investimento per un futuro ebraico. Se prima erano una scelta di ripiego, oggi rappresentano la prima opzione 1 . Secondo Rav Sacks la chiave della sopravvivenza ebraica risiede nell'educazione 2 . Indipendentemente dagli enormi successi ottenuti in molti ambiti, tali da renderlo una voce ascoltata a livello globale, il fulcro del pensiero e dell'opera di Rav Sacks è rappresentato dalla centralità dell'educazione, nel mondo ebraico e nella società in generale, nel continuo confronto fra particolare e universale, che è uno dei marchi di fabbrica della sua riflessione, che gli ha permesso di divenire un interlocutore ascoltato e apprezzato nella società civile, uscendo dal contesto squisitamente ebraico. L'educazione è ciò che permette a livello globale di costruire una società sulla libertà e sulla dignità dell'individuo, tema che verrà sviluppata ne La dignità della differenza.
Le situazioni ingenerate dalla pandemia hanno messo in difficoltà l'organizzazione halakhica dell... more Le situazioni ingenerate dalla pandemia hanno messo in difficoltà l'organizzazione halakhica della vita ebraica: durante i duri mesi del lockdown, per fare qualche esempio, le donne hanno avuto non poche difficoltà nel raggiungere un miqvè, mettendo a dura prova la vita di coppia, le persone in lutto non hanno avuto la possibilità di ricevere visite durante la Shiv'à e di recitare il qaddish per i propri cari. Molte persone, non potendo pregare quotidianamente in pubblico o anche solo durante lo Shabbat, si sono sentite senz'aria. Pensando alla vita delle nostre comunità, non potere fare il Seder di Pesach assieme ai propri cari, o non prendere parte ai sedarim pubblici, è stato un prezzo molto alto da pagare. Come tutti ricorderanno, in quei giorni si sviluppò una discussione halakhica, che appassionò il pubblico, circa la liceità o meno di seguire il seder di Pesach su Zoom. Questa discussione peraltro a livello teorico ha i suoi punti di interesse 1 . In altri momenti probabilmente una discussione di questo tipo non sarebbe mai arrivata al grande pubblico, e non avrebbe di certo richiesto dei pronunciamenti da parte del rabbinato di Israele, com'è invece avvenuto. Analogamente in Israele è pervenuta una richiesta alla Corte Suprema, non accolta, affinché il Rabbinato dichiarasse un anno bisestile per dare modo all'economia israeliana di affrontare Pesach nelle nuove condizioni. Più in generale, ragionando sul lungo periodo, il perpetuarsi dello stato di emergenza in tutto il mondo e anche ovviamente nel mondo ebraico, ha presentato alle leadership, religiose e comunitarie, varie sfide, considerato che la vita ebraica è in buona parte fondata su incontri comunitari e preghiere comuni. Nei mesi nel mondo ebraico hanno visto la luce tanti progetti e nuovi approcci, che certamente potranno influenzare in modo duraturo i nostri atteggiamenti anche nei prossimi anni, quando le cose torneranno alla normalità. È innegabile che il mondo dello studio della Torà abbia assistito in questi mesi ad uno scatto epocale. C'è voluta una pandemia per comprendere a pieno quanto sia provvidenziale l'esistenza di internet 2 . Le comunità della diaspora nel loro complesso, a dispetto delle enormi difficoltà, hanno dato nel mondo prova di vitalità, sensibilità e complessità, fornendo delle risposte diversificate nei vari settori della vita ebraica. Una domanda che molti si sono posti nelle primissime fasi della pandemia riguardava l'approccio che i rabbini nel mondo avrebbero adottato in ambito halakhico, e se eventuali cambiamenti nelle decisioni avrebbero attecchito, provocando un cambiamento di paradigma nell'approccio alla halakhà. In via preliminare, sebbene ci troviamo ancora in piena crisi, è possibile senz'altro iniziare a registrare alcuni dati e tendenze di ordine generale: -quella che stiamo vivendo non è la prima né l'ultima crisi che il popolo ebraico ha affrontato; nessuno oggi si sognerebbe di usare la letteratura elaborata durante la Shoà per giustificare delle scelte di oggi, sebbene quegli stessi testi quando furono scritti avessero pieno valore, e lo stesso avverrà per quanto si è deciso e fatto durante questa crisi; -la portata delle decisioni rabbiniche elaborate in questi mesi, sebbene in determinati casi colpiscano per il loro coraggio, non toccano, come poteva essere prevedibile, le strutture fondamentali della halakhà, ma si muovono lungo binari ampiamente tradizionali; le misure emergenziali (horaat sha'à) delle quali abbiamo sentito in modo particolare durante la prima fase della pandemia rientrano pienamente nella tradizione giuridica ebraica.
Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici, prende il nome dalle sue parole iniziali. A livello lette... more Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici, prende il nome dalle sue parole iniziali. A livello letterale il testo si presenta secondo alcuni come un racconto coerente, per altri come una raccolta di canti d'amore (Cherlow 2012) Nel primo verso troviamo l'attribuzione al re Salomone, accolta dalla tradizione rabbinica, che nel Talmud (TB Bavà Batrà 15a) però attribuisce la stesura definitiva al re Chizqihau e alla sua cerchia. Nel canone ebraico il Cantico dei cantici fa parte delle cinque meghillot, che sono nei Ketuvim, in quello protestante e cattolico romano segue i Proverbi e l'Ecclesiaste, gli altri libri attribuiti dalla tradizione ebraica a Salomone, che li compose nelle diverse fasi della sua vita, il Cantico a vent'anni, i Proverbi a quaranta e l'Ecclesiaste a sessanta. Il libro consta di otto capitoli e 117 versetti. Dante Lattes lo considera uno dei libri biblici più originali e più poetici (Lattes 1965, 5). L'amore cantato è, "nonostante la sua libera manifestazione, casto e puro, realistico e umano, spontaneo e naturale" (Lattes 1965, 6). Il Cantico dei Cantici si distingue dagli altri libri biblici, dal momento che non contiene alcuna menzione del Nome divino, caratteristica condivisa con il libro di Ester, e più in generale, almeno attenendosi al significato letterale del testo, alcun sentimento religioso o tematica teologica. La distanza rispetto alla meghillà di Ester è ancora più spiccata, dal momento che in Shir ha-shirim non viene menzionato neppure il popolo ebraico. Abbondano le descrizioni della natura, più che in ogni altro libro del Tanakh. Le atmosfere descritte forniscono al lettore una sensazione di tranquillità, propria di un periodo di prosperità economica e di assenza di minacce esterne. Circa la canonizzazione del testo, non si deve pensare semplicisticamente che si svoglia sdoganare per mezzo di esso il tema della sessualità, dal momento che varie storie bibliche, come quelle delle figlie di Lot, Tamar e Rut mostrano come questo argomento sia già ampiamente legittimato nell'orizzonte biblico (vedi Giuliani 2008, 10-11). Il testo presenta notevoli difficoltà. S. D. Luzzatto, che riconosce ampiamente le zone grige del Cantico, sottolineandone le difficoltà di traduzione e resa tematica, per via delle allusioni ignote e di bellezze "non per i nostri tempi", si diceva atterrito; non si spiegava che razza d'amore fosse quello che descrive e canta, né di che condizione fossero gli amanti e in quale stadio fosse il loro amore, tanto da affermare: "non ne capisco niente", e di fatto non occuparsene in modo particolare, riconoscendo l'impossibilità di eliminare varie incognite, cosicché "questo astrusissimo canto possa dirsi appianato" (vedi Lattes 1965 ,12). Gli interpreti del Cantico si dividono un due grossi schieramenti: i mistici e i razionalisti. Se i primi vengono accusati di individuare nel testo qualcosa che non c'è, i secondi, spesso e volentieri costruiscono degli intrecci non meno fantasiosi (Chouraqui 1980,25). La varietà e l'intensità dei sentimenti che si manifestano attraverso l'amore fra l'uomo e la donna sono apparsi ai Maestri d' Israele come l'immagine più pregnante del legame tra il popolo ebraico e 1
Spesso, semplicisticamente, si è portati a contrapporre Rambam e Ramban come i rappresentanti mag... more Spesso, semplicisticamente, si è portati a contrapporre Rambam e Ramban come i rappresentanti maggiormente significativi di due mondi contrapposti, la filosofia e la qabalah. Forse, sostiene Septimus, può esserci anche la tentazione di una paranomasia contrarium: trasformando una mem in una nun, ci troviamo catapultati in un universo completamente diverso! L'indagine dell'atteggiamento di Ramban nei confronti di Rambam mostrerà che la contrapposizione è molto meno acuta di quanto si possa immaginare. Piuttosto, in via preliminare, è possibile affermare che Ramban sintetizzi nelle proprie opere le tre principali visioni del mondo che sino ad allora erano rimaste separate nell'esposizione talmudica, in quella filosofica e in quella mistica. Negli ultimi decenni gli studiosi hanno investigato a fondo il pensiero nahmanideo, presentando un quadro estremamente composito. Si rimanda in merito alla bibliografia curata da E. Kanarfogel, che sebbene risalga ormai a venticinque anni fa, mostra gli indirizzi degli studiosi sull'opera di Ramban nei diversi ambiti. Rambam era il figlio dell'età dell'oro del pensiero andaluso, Ramban invece fiorisce nel clima culturale dell'Europa cristiana. Sebbene abbia sviluppato una serie di dottrine significative, non sarebbe corretto rapportarsi a Nahmanide come a un filosofo, dal momento che non si è mai cimentato nella scrittura di un'opera filosofica sistematica. Il genere letterario in cui ha eccelso è infatti il commento, e dai suoi commenti è possibile ricostruire il suo pensiero, senza tuttavia pretenderne di ricavarne delle teorie globali. Probabilmente questa apparente difficoltà è parte integrante del modo di procedere di Ramban, che affronta un problema alla volta, senza dare mai l'impressione di voler costruire un quadro completo e coerente. Considerare il suo pensiero come una reazione al pensiero di Rambam, con la conseguente costruzione di un modello alternativo sarebbe un approccio semplicistico, che non renderebbe giustizia al valore di Nahmanide, e non terrebbe conto dell'eclettismo costitutivo che caratterizza la sua opera. Con il lavoro di Ramban sotto molti punti di vista viene aperta la strada alla modernità e vengono fissate le categorie che avrebbero fatto da sfondo allo sviluppo del pensiero ebraico nei cinque secoli successivi. Il contesto storico in cui vive Ramban Il giudaismo spagnolo aveva affrontato un periodo molto difficile, dopo avere raggiunto il massimo splendore nel contesto culturale arabo, per via della Reconquista cristiana e dell'invasione delle tribù berbere provenienti dall'Africa settentrionale. Verso la metà del XII sec. gli Almohadi avevano invaso tutta la Spagna musulmana. Le comunità giudaiche furono costrette, per far fronte a questa nuova situazione, a emigrare verso oriente o tentare di ricostituirsi nella Spagna cristiana, tornando a fiorire all'inizio del XIII sec. La principali comunità della Catalogna, Barcellona e Girona, svilupparono una relazione molto stretta e feconda con la Provenza. E' probabile che il Raavad, il massimo rappresentante dell'ebraismo provenzale del XII sec., abbia visitato Barcellona. In un secondo momento gli spagnoli sarebbero entrati in contatto con la scuola della Francia del Nord e con la cultura derivante dall'opera di Rashì e dei tosafisti. In tal modo in Spagna gli studi religiosi fiorirono nuovamente, mentre in Francia molti accolsero favorevolmente il razionalismo filosofico 1
Nel pensiero ebraico medievale il problema etico viene articolato in una prima fase, nel tentativ... more Nel pensiero ebraico medievale il problema etico viene articolato in una prima fase, nel tentativo di conferirgli una configurazione sistematica, da tre pensatori in particolare, Sa'adià Gaon, Ibn Gabirol e Bahjà ibn Paquda (Sierra 1983/2, 457). Nell'introduzione a I doveri dei cuori (Al Hidaya 'ila fara'id al qulub) Bahjà ibn Paquda ammette di non conoscere una elaborazione sistematica della dottrina etica ebraica (Sierra 1983/2, 457). Il suo obiettivo polemico, quando afferma ciò, è Sa'dià Gaon e il suo Sefer Emunot we-de'ot (Mansoor 1973, 81). E' possibile considerare I doveri dei cuori una delle opere fondamentali nella storia della letteratura morale ebraica (Sierra 1983,16), assieme ad altri testi come il Sefer Chassidim e Mesillat Yesharim (Halbertal 2016). Sarebbe fuorviante tuttavia parlare di Bahjà ibn Paquda, indipendentemente dall'influenza che ha esercitato sul pensiero successivo, come di un vero e proprio filosofo in senso stretto, dal momento che solo i primi due capitoli della sua opera hanno a che fare con la filosofia propriamente detta (Schweid 2008, 46). L'opera di Bahjà è stata scritta in un periodo storico particolare, un momento di profondo riassetto che stava interessando le varie concezioni religiose per via dell'impatto esercitato dalla cultura araba, fondata in buona parte su concezioni filosofiche greche. Nei circoli intellettuali si sviluppava così un processo di volgarizzazione dei concetti filosofici, dando vita a un pensiero che riprendeva sincretisticamente elementi del pensiero platonico e aristotelico (Sierra 1983,16).
Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta al... more Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta all'interno del ciclo di incontri Religioni e Sviluppo sostenibile Ariel Di Porto Potrebbe sembrare superfluo parlare della responsabilità ebraica per il benessere della società, dal momento che gli storici hanno già da tempo convenuto che le idee ebraiche hanno rappresentato un elemento formativo della civiltà occidentale, e che numerosi ebrei individualmente, specie in tempi moderni, hanno ricoperto un ruolo centrale nel suo sviluppo (Blidstein 1995, 5). Nel celeberrimo saggio Confrontation Rav Soloveitchik delineava il duplice compito del popolo ebraico, da una parte quello di esseri umani che condividono il destino di Adamo nel suo incontro con la natura, e quello di membri di una comunità che ha mantenuto la propria identità in condizioni avverse (Soloveitchik 1964, 17). In un saggio, significativamente intitolato Straniero e residente, espressione che riprende le parole di Abramo in Gn. 23,4, Rav Soloveitchik riassume il suo pensiero su questo punto: "Il nostro approccio al mondo esterno è sempre stato ambivalente: collaboriamo con persone appartenenti ad altre fedi in tutti i campi dello sforzo umano, ma nello stesso tempo cerchiamo di preservare la nostra distinta identità, che inevitabilmente comprende aspetti di separazione. Questa è una situazione paradossale. Tuttavia, parafrasando le parole del nostro primo antenato Abramo, noi siamo molto presenti nella più vasta società ed al tempo stesso ci manteniamo stranieri ed esterni nel nostro persistente sforzo di preservare la nostra identità storico-religiosa (Solovetchik 1998, 185). Rav Sacks analizza i primi versi del cap. XII della Genesi, nei quali viene descritto l'inizio del viaggio di Abramo. D. promette (Gn. 12 ,3) che per mezzo di lui tutte le famiglie della terra saranno benedette (citato in Sacks 1997). Una parte importante della missione di Abramo concerne la sua missione all'interno della società. In Confrontation, che ha come tema principale quello del rapporto con la fede cristiana, poco prima che vedesse la luce la dichiarazione Nostra Aetate, Rav Soloveitchik pone alcuni punti fermi, che sono tutt'oggi pienamente validi, come l'impegno per il benessere generale e il progresso del genere umano, per la lotta alle malattie e all'alleviamento della sofferenza umana, per la protezione dei diritti umani, per l'aiuto dei bisognosi, ecc. (Soloveitchik 1964, 20-21). Come è noto Rav Soloveitchik non era un sostenitore del dialogo di ordine teologico, ma credeva tuttavia che vi fossero delle aree di azione comune che dovrebbero essere indirizzate verso l'esterno: "come combattere il secolarismo, il materialismo, la negazione ateistica della religione e dei valori trascendenti che minacciano l'esistenza di parametri morali all'interno della nostra società (Solovetchik 1998, 185). Tutto oggi è tremendamente complicato, e non si può pretendere che le religioni, che sono sorte migliaia di anni fa, molto prima della nascita della modernità, possano fornire una risposta puntuale ai problemi attuali; le religioni tuttavia hanno molto da dire circa dove stiamo andando o dove dovremmo andare (Sacks 2004,21). Ad esempio, su larga scala, è possibile indicare il chesed, nella sua accezione fisica e materiale, come un obiettivo concretizzabile su una scala universale (Blidstein 1995, 13). La necessità di un impegno in questo senso oggi è quanto mai pressante. La politica da sola non è in grado di fornire delle risposte soddisfacenti alle persistenti domande che attanagliano buona parte dell'umanità. Fame, malattia, assenza di libertà fondamentali sono condizioni quantomai diffuse nel
Fratellanza. Intervento nella tavola rotonda "Frattura e ricomposizione: una lettura interconfess... more Fratellanza. Intervento nella tavola rotonda "Frattura e ricomposizione: una lettura interconfessionale del principio di fraternità" Ariel Di Porto Shalom. Mi sembra giusto salutare con questa espressione, ricordando che Shalom è un Nome divino. Mi perdonerete se molte delle idee che presenterò quest'oggi sono tratte principalmente dal pensiero e dalle opere di Rav Jonathan Sacks, che considero, fra i rabbini ortodossi, quello che più e meglio si è speso per investigare, in modo tutt'altro che banale, con uno stile alto, ma al contempo comprensibile e coinvolgente, i temi che oggi vogliamo affrontare. Credo che i principali destinatari delle sue fondamentali opere, probabilmente un unicum nella riflessione religiosa contemporanea, siano i non ebrei. Purtroppo, visto il tempo a disposizione, sarà possibile solamente accennare alcuni punti che considero più importanti. Per chi volesse approfondire rimando alle due opere di Rav Sacks tradotte in italiano, La dignità della differenza (Sacks 2004) e Non nel nome di D. (Sacks 2017), testi impegnativi e stimolanti. Il mondo attuale Viviamo in un'epoca rivoluzionaria. Internet ha imposto tanti cambiamenti, producendo notevoli vantaggi, ma al contempo modificando, in modo apparentemente incontrastabile, il nostro modo di vivere e vedere il mondo. Immagino che non serva spiegare come il mondo attuale sia sempre più concentrato sulla tecnica e che ciascuna disciplina tenda a fornire risposte sempre più specializzate ai vari problemi: "I sistemi economici creano dei problemi che non possono essere risolti tramite la sola economia. La politica solleva delle domande a cui non è possibile rispondere con il solo calcolo politico". Il nostro modo di esprimerci è cambiato sensibilmente, con "la scomparsa dell'«io devo» a favore dell'«io voglio», «io scelgo», «io sento»" (Sacks 2004, 11). E' richiesto invece un approccio sempre più globale. Ciò vale sia per il singolo individuo, sia per la società. La tendenza è quella di parlare esclusivamente con interlocutori che condividono le nostre idee. I social network, che ci danno la falsa impressione di essere cittadini del mondo sempre connessi con terre sconosciute, ci mettono sempre in contatto con altri vicini a noi per idee politiche e orientamenti: "Troppo spesso nel mondo d'oggi i gruppi parlano al loro interno e non gli uni con gli altri: ebrei con ebrei, cristiani con cristiani, musulmani con musulmani, business leader, economisti e contestatori globali con i loro rispettivi sostenitori" (Sacks 2004, 10). Sempre di più è necessario cercare di creare i presupposti per la rinascita della piazza come luogo di incontro: "La conversazione, il cuore pulsante della politica democratica, sta morendo e con essa la possibilità di una pace civile" (Sacks 2004, 11). Il fatto che oggi assistiamo al ritorno di ideologie che immaginavamo sepolte è tutt'altro che casuale: "La politica contemporanea ha poco da dire sulla condizione umana" (Sacks 2004, 21). Sempre più entriamo in contatto con chi è diverso e lontano da noi, e forse non siamo adeguatamente preparati all'incontro: "Da una parte la globalizzazione ci avvicina come non era mai accaduto in passato e intreccia le nostre vite-a livello nazionale e internazionale-in modi complessi e inestricabili. Dall'altro, un nuovo tribalismo-una regressione a lealtà più antiche e contrastanti-ci sta allontanando in modo sempre più rabbioso (Sacks 2004, 15-16).
Il popolo dei libri Come è noto, il Corano definisce gli ebrei il "popolo del libro". Rav Sacks n... more Il popolo dei libri Come è noto, il Corano definisce gli ebrei il "popolo del libro". Rav Sacks non esita a considerarla una grande affermazione. L'intera storia del giudaismo può essere considerata la storia d'amore fra un popolo e un libro, che ogni anno, durante Simchàt Torà, viene concluso e immediatamente iniziato di nuovo. L'ultima lettera della Torà è una lamed, la prima una bet, che assieme formano la parola lev (cuore): sino a che il popolo ebraico continuerà a studiare la Torà, il suo cuore non smetterà di battere (Sacks 2012). Rav Soloveitchik (Soloveitchik 1989, 154) scrive che la Torà conduce la Presenza Divina «nell'arena mondana di spazio e tempo, nel mezzo della vita terrena». La Torà non rimane in un iperuranio mondo, ma fa discendere, anche se imperfettamente, il mondo eterno nelle nostre vite, svolgendo un ruolo fondamentale e dirimente. Il re Shelomò nei Mishlè (Pv 3, 18) la definisce «etz chayìm», l'albero della vita. Nota è l'affermazione di Ben Bag Bag nei Pirqè Avot (5,21): «voltala e rivoltala, perché tutto è in essa». E' noto quanto Rambàn scrive nell'introduzione al suo commento alla Torà: il testo biblico è formato da infinite combinazioni del Nome divino. La vita ebraica è pertanto una vita piena di letture, e una casa ebraica è solitamente piena di libri. Rav Steinsaltz in un video non esita a definire l'ebreo colui che bacia i libri (Chighel 2016). Mosè, con un tocco di poesia, tiene per ultimo il comandamento in base al quale ciascuno è tenuto a scrivere per sé il rotolo della Torà; non è sufficiente dire di aver ereditato la Torà da Moshè, ciascuno è tenuto a renderla nuova e trasmetterla alle generazioni successive (Sacks 2012). Gli studiosi di religioni comparate hanno molta dimestichezza con la definizione del popolo ebraico come popolo del libro, ma non si tratta di una definizione esclusiva, dal momento che è condivisa con varie altre religioni, come il cristianesimo e l'Islam (Halbertal 1997, 2). Preliminarmente è opportuno far notare che è più giusto definire il popolo ebraico come popolo dei libri, dal momento che il suo canone autoritativo è composito e non si riduce al solo Tanàkh, ma comprende altri testi come la Mishnà e il Talmùd, il Midràsh, gli altri testi della letteratura rabbinica e la letteratura mistica. Il Rabbino Capo di Francia R. S. Sirat diceva che la Bibbia accompagna l'ebreo dalla nascita alla morte, e dalla morte all'eternità (citato in Attias 2015, 28). Non è possibile immaginare un ebraismo che prescinda dai libri neppure nell'aldilà: Halbertal, introducendo People of the Book, racconta di un suo insegnante che lo aveva introdotto ad un nuovo concetto di paradiso e inferno: nessuna pena o punizione, ma tutti racchiusi in una sala con l'ordine di studiare il Talmùd; per alcuni si sarebbe rivelato un paradiso, per altri un inferno (Halbertal 1997, 1).
Nel corso della storia nelle varie culture i sogni sono stati considerati un medium importante pe... more Nel corso della storia nelle varie culture i sogni sono stati considerati un medium importante per comprendere il funzionamento della psiche umana e uno dei principali mezzi di comunicazione con entità sovrannaturali, divinità, demoni e spiriti dei morti (Weiss 2013, 127). Filosoficamente la divisione fra sogno e realtà è tutt'altro che scontata, secondo molti non esiste un criterio univoco per sapere ciò che è sogno e ciò che è realtà. Non solo: non vi è alcuna maniera concreta per provare che tutta la nostra vita sia qualcosa di più di un sogno (Steinsaltz 2018, 118). Anticamente i sogni hanno influenzato le decisioni degli uomini in modo significativo. Ad esempio l'apparizione di Esculapio in sogno convinse il padre di Galeno di avviarlo allo studio della medicina. Una delle principali opere halakhiche ebraiche medievali, il Sèfer Mitzwòt Gadòl di Moshè di Coucy, venne ispirato da un sogno. Un esempio clamoroso del peso che veniva attribuito al sogno è il testo Teshuvot min ha-shamàyim, di Ya'aqov ha-Levy di Marvège (XIII sec.), dove vengono riportate le risposte ricevute in sogno alle domande ricevute. Questa opera si differenzia dalle altre opere halakhiche, in cui la riflessione razionale e la tradizione costituiscono gli strumenti principali dei decisori. Il fatto che questa metodologia, quantomeno singolare, venisse accettata, è un indicatore del peso che veniva attribuito al sogno nella cultura medievale. Nel mondo moderno l'interpretazione dei sogni è vista freudianamente come un processo terapeutico volto ad apportare un beneficio al sognatore. Nel mondo antico questa funzione, sebbene fosse presente, è secondaria, dal momento che la funzione primaria dell'interpretazione dei sogni era quella di prevedere il futuro (Weiss 2013). L'incontro fra un sognatore e un interprete di sogni è una situazione senza dubbio affascinante. Spesso l'interprete è un perfetto sconosciuto, e per il sognatore minimamente addentrato c'è la consapevolezza del fatto che il sogno è un riflesso della sua interiorità, e può provare orrore al pensiero dei desideri distruttivi, immorali o sovversivi insiti nel sogno. L'interprete da parte sua è investito di una grande responsabilità, perché il suo compito è quello di costruire un nuovo significato per il sogno, formando delle nuove connessioni fra significante e significato (Weiss 2013). I sogni non sono un criterio utile per fare una valutazione di ordine morale sugli individui, anzi una persona buona avrà tendenzialmente sogni cattivi per riflettere su delle possibili colpe, mentre il malvagio avrà sogni buoni, affinché possa godere in questo mondo e rimanga escluso dalle gioie del mondo a venire (Cohen 2000, 342, n. 5). I sogni nella Bibbia I sogni che compaiono nella letteratura biblica appartengono a due categorie principali, quelli rivelatori, o teofanie, e quelli allegorici. Nella teofania il sognatore ha una rivelazione da un'entità superiore, ricevendo un messaggio che generalmente non necessita di ulteriori interpretazioni. Il sogno allegorico contiene invece delle immagini enigmatiche (Weiss 2013, 127). Una caratteristica abbastanza comune che differenzia il sogno biblico e la riflessione rabbinica sul tema dalla ricerca moderna è che il sogno è proiettato verso il futuro, e non, come nella teoria freudiana, indirizzato 1
La scoperta dei vaccini ha permesso di salvare numerosissime vite umane. Secondo delle stime solo... more La scoperta dei vaccini ha permesso di salvare numerosissime vite umane. Secondo delle stime solo nel periodo 2000-2015, venti milioni di persone sono state salvate dai vaccini; secondo altri due milioni di persone l'anno (Cohen 2018). La maggior parte dei paesi industrializzati non ammette a scuola bambini che non siano vaccinati. Negli ultimi tempi tuttavia il numero dei genitori che mostrano delle perplessità e rifiutano di vaccinare i propri figli è in aumento, per via di disattenzione, sfiducia nei programmi governativi, o preoccupazione per la salute dei propri figli. Internet ha ingigantito il fenomeno, tramutandolo in un vero e proprio movimento; l'aspetto più preoccupante è la mancata correlazione fra le idee sostenute e il grado di istruzione di chi le professa. Anche i pronunciamenti della comunità scientifica, volti a ribadire l'efficacia e la sicurezza dei vaccini, non hanno raggiunto i risultati sperati, dal momento che ad esempio chi aveva indicato nei vaccini una causa dell'autismo è stato denunciato per frode internazionale ed è stato interdetto dalla pratica della medicina, ma la "scoperta" circola ancora ampiamente nei social media. Una delle conseguenze di queste tendenze è l'aumento sensibile e costante dei casi di morbillo. Lo Shulchan 'Arukh stabilisce, basandosi su varie fonti talmudiche, che la halakhà ci obbliga a fare in modo che non ci siano oggetti e animali pericolosi in mezzo a noi. Questo principio è un'estensione della norma che impone di porre una protezione al proprio tetto (Dt. 22,8), affinché le persone non cadano. Il comandamento non va inteso alla lettera e applicato solo a quella circostanza, ma a tutte le situazioni potenzialmente pericolose (Cherlow 2018). Il principio che vieta di mettersi in pericolo è tuttavia un'arma a doppio taglio: obbliga le persone a salvaguardare attivamente la propria salute, ma al contempo limita l'uso di rimedi medici pericolosi, esperimenti, e pratiche di non comprovata efficacia. E' permesso mettersi in una situazione di pericolo solo se il trattamento pericoloso ha un'efficacia apprezzabile, secondo Rav Moshè Feinstein il 50% dei casi (vedi Shafran 1991,5). Quando si parla di vaccini è fondamentale quindi quantificare il rischio, e se è ridotto, valutare se considerarlo trascurabile. Pressoché ogni azione, anche camminare per strada, presenta dei rischi, ma le persone non li prendono in considerazione. La valutazione del rischio va effettuata considerando il parere della maggioranza della comunità scientifica, così come emerge dallo Shulchan 'Arukh (Orach Chayim 618) e dai decisori successivi. Le prime reazioni nel mondo ebraico La prima forma di inoculazione era pensata per contrastare il vaiolo. La moralità della pratica venne messa in discussione a vari livelli, anche da personaggi del calibro di Immanuel Kant e di alcuni membri della comunità medica (Bleich 2015, 44).
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conferenze by Ariel Di Porto
This contribution shows how the Jewish people in its millenary history has faced the issues that globalization has raised, elaborating particular strategies on a juridical level and illustrating changes that have affected the rabbinical world following the development and affirmation of social media