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Il sofista nero. Muhammad Ali oratore e pugile, deriveapprodi, 2017

interno di copertina+indice+recensione di F. de Luca su il manifesto

sofista_nero.qxp_Layout 1 copia 6 12/04/17 17:32 Pagina 1 Marco Mazzeo Marco Mazzeo insegna Filosofia del linguaggio all’università della Calabria. È stato tra i fondatori della rivista «Forme di vita», collabora alle pagine culturali del quotidiano «il manifesto». Il suo ultimo libro: Il bambino e l’operaio. Wittgenstein filosofo dell’uso (Quodlibet, 2016). 13,00 euro “ Chi è Muhammad Ali? Per molti è il genio irripetibile, la più grandiosa tra le merci di fronte alla quale prostrarsi adoranti. Per noi è il sofista nero, l’effige ambivalente dei conflitti che dormono nelle mani e nelle parole dell’Homo sapiens. Marco Mazzeo Il sofista nero. Muhammad Ali oratore e pugile poesie aggressive e le predizioni su chi vincerà il match fanno nascere sul ring l’equivalente di un «sofista nero». Muhammad Ali anticipa così il mondo presente, nel quale il lavoro è legato allo sfruttamento della capacità umana di parlare. E il pugile diventa l’antesignano non solo della boxe spettacolo di Mike Tyson, ma anche dell’«economia della parola» di Amazon e dei callcenter. “ Il sofista nero Muhammad Ali oratore e pugile OPERAVIVA Muhammad Ali è il più grande peso massimo di tutti i tempi, ma anche la fotografia del mondo contemporaneo e delle sue ambivalenze. Per un verso, il pugile è icona della società di mercato e delle sue luminose pubblicità. Per un altro, è simbolo del movimento della contestazione degli anni Sessanta e Settanta: dà la scossa al movimento contro la guerra in Vietnam e la segregazione dei neri. Il libro è una biografia filosofica capace di rendere conto di questi aspetti, attraverso un’indagine accurata sulla vita del pugile. Ali porta la parola dentro la boxe, sport del pugno silente, attività nella quale fino a quel momento parlare era «roba da deboli». Il boxeur di Louisville, viceversa, fa dell’eloquio un’arma formidabile: i suoi insulti, le sue culture martedì 6 giugno 2017 FESTA DEI POPOLI L’8 giugno, alla Biblioteca San Giovanni (Pesaro), ci sarà per la Festa dei Popoli, la serata «Narrazioni migranti», dedicata alla letteratura delle migrazioni. Dopo il laboratorio per bambini «Abbasso i muri» (di Giuliano Ferri), alle 18 la tavola rotonda «Narrazioni migranti» a cura di Francesca Giommi, con Pap Khouma, Raffaele Taddeo, saggista, Adrian Bravi, Anna Belozorovitch (tutti per la rivista online El-Ghibli). Poi, danze dal mondo a cura di Giuly Shahla e la sua compagnia e, alle 21, «Regina di fiori e di perle» di e con Gabriella Ghermandi. SABRINA RAGUCCI II Ogni artista agisce spinto da alcune domande ossessive che attraversano tutta la propria opera, e quindi la propria vita. Quelle di Marina Ballo Charmet potrebbero sintetizzarsi in: Quando e dove nasce l’immagine? Con quale meccanismo si coniuga l’inconscio personale con l’inconscio fotografico? Per focalizzare meglio il proprio lavoro, l’artista ha da poco pubblicato una raccolta di testi e immagini, Con la coda dell’occhio (Quodlibet, pp. 184, euro 20, con in appendice una conversazione con Jean-François Chevrier e un testo di Stefano Chiodi, già curatore di Sguardo terrestre, la personale dell’artista al Macro, nel 2013). Il libro sarà presentato oggi, ore 18, al Castello Sforzesco, nell’ambito di Milano Photo Week. MARINA BALLO CHARMET ha lavorato per più di trent’anni come psicoterapeuta nei servizi territoriali pubblici milanesi, soprattutto con l’infanzia. È un’artista che attraverso fotografia e video, fluttua nell’esperienza del mondo, cercando di svelare quel qualcosa annidato al margine dello spazio e della coscienza privata e collettiva. Questa attenzione sociale non si è risolta tanto nei temi e nei soggetti del suo fotografare, quanto nel ragionamento che si manifesta nel suo stile; l’esperienza del vedere è sempre la sintesi di un concetto. Nella serie intitolata Primo campo, Ballo Charmet ha fotografato il campo visivo di un bambino appollaiato sulle braccia di un adulto. «È un’esperienza che non appartiene al codice comune del vedere ma in qualche modo lo precede». In effetti è come se - guardando le pieghe dell’epidermide, le rughe del collo, il bottone di una camicetta, il modo in cui la pelle scompare sotto il tessuto di una maglietta - il bambino riuscisse a decifrare per intero l’identità apparente della persona, associando la visione alla «esperien- JUAN GOYTISOLO È morto a Marrakech lo scrittore spagnolo Juan Goytisolo Aveva 86 anni. Romanziere e saggista, ha vinto nel 2014, il Premio Cervantes. Nato a Barcellona, ha pubblicato il primo libro a 25 anni, a Parigi, dove ha risieduto per molti anni dopo che il regime franchista lo aveva messo al bando. Tra le opere più note, «Juegos de manos» e «Duelo en Paraíso» sulla guerra civile spagnola.Tra i suoi titoli tradotti in italiano: «Oltre il sipario» (l'ancora del mediterraneo, 2004), «Karl Marx Show», «La Spagna e gli spagnoli». gombra la scena. Qui, consci del fatto di essere condotti da mani altrui, gli stessi occhi del bambino-artista sono costretti a guardare ciò che la guida adulta permette, la parte di mondo concessa, e allora è come se i palazzi galleggiassero, risaliti in superficie dal rimosso. NARRATIVA NONOSTANTE Marina Ballo Charmet, da «Con la coda dell’occhio» MarinaBalloCharmet, l’obiettivopuntato suciòcheèperiferico «Con la coda dell’occhio», per Quodlibet. Il libro verrà presentato oggi al festival Milano Photo Week za di un’intimità tattile e olfattiva». In questo lavoro, così come negli altri, Ballo Charmet ha sempre usato un obiettivo «normale», per avvicinarsi il più possibile a ciò che vede l’occhio umano; ha evitato di distorcere l’immagine, e preferito il «fuori fuoco», per restituire lo sguardo mobile della visione, «la per- cezione del periferico», e suggerire che le immagini si originano poco prima della coscienza e «ricordano ciò che vediamo a occhi socchiusi»; gli occhi vedono molte più cose di quanto la mente riesca a decifrare, viviamo immersi nell’infinito ci ricordava Cartesio, un assoluto che non ci abbandona mai. Nella serie Rumore di fondo, l’artista riprende dal basso le facciate di alcuni palazzi, a Milano, inquadrandoli sempre dal punto di vista di un bambino, che guarda dal passeggino, seduto o addirittura sdraiato. Nascono così porzioni senza un centro conclamato né la monumentalità del soggetto che in- pesante, ossia l’essere guidati, qualcosa di inusuale appare, Ballo Charmet focalizza l’inconscio, la soglia tra il percepibile e ciò che invece ancora non è possibile definire. Non a caso ha spesso fotografato il paesaggio - piazze, marciapiedi, spiagge, litorali, limiti tra sabbia e mare e cielo - in due momenti precisi, contrapposti: all’alba e al tramonto, quando la luce si crea e si disfa, «in quei momenti di luce incerta», come scrive Chiodi, quando «in questa luce priva di contrasti, le cose appaiono abbandonate, definitive, inservibili. Sono tutte lì». Insomma, fotografare arbusti, dune, un pezzo di marciapiede, di erbacce infilate in una frattura di cemento e asfalto, come fossero parti del volto di una donna, i suoi capelli visti dal bambino. Abbassarsi al livello del terreno, quasi strisciare sul selciato umido. Così, da questa visione, è più facile avvicinarsi a «qualcosa presente da sempre, sospeso»; «essere una cosa sola con il mondo», prossimo a deperire, certo, a morire, come uno scarto, che è al tempo stesso origine di qualcosa d’altro; o un urlo che, direbbe Maria Zambrano, «consuma il tempo integralmente, lo riempie», prima di trasformarsi, forse, adattandosi alle pause, in parola; o, nel caso di Marina Ballo Charmet, un suono sommesso, divenuto immagine. Gli inediti punti di vista del bambino, ma anche un filo d’erba sul selciato e le luci incerte MuhammadAli,ilsovranodelringche«ammanettavaifulmini» II Nell’Encomio di Elena, classico della sofistica greca, il filosofo Gorgia produce forti rovesciamenti di senso sostenendo che la più bella fra le donne non è causa della guerra ma vittima degli uomini, la sua bellezza non è colpa ma virtù. Il testo è un prototipo del genere epidittico, discorso retorico basato sull’elogio, che viene utilizzato ampiamente (nella variante dell’autoelogio) da Cassius Clay /Muhammad Ali, lo sportivo più famoso del XX secolo, sovrano del ring e della parola, performer atletico che ha già intuito l’esplodere della società dello spettacolo, con una suprema capacità di sovvertimento verbale della realtà. Così argomenta Marco Mazzeo, filosofo del linguaggio, nel suo libro Il sofista nero (edito da DeriveApprodi, pp.130, euro 13) dove il pugile e oratore afroamericano viene ritenuto alla stregua del sofista mercenario (che corrompe il mondo dell’antica Atene), uno showman capace di trasformare le parole in soldi, di puntare su previsioni autoconfermative e su un’opera di biasimo (dei rivali) molto aggressiva, di mettere in scena il conflitto sociale e l’urto della violenza. CON UN’ANALISI PUNTUALE di incontri e filmati, rime musicali e reportage giornalistici, si tratteggia l’ambivalenza del pluricampione dei pesi massimi, potenzialmente sovversivo, fattivamente subalterno (secondo Mazzeo). Da un lato fenomeno globale, personaggio dello star system, presagio del rapporto tra Islam e occidente, dall’altro simbolo che rievoca forze antiche come lo schiavo, il sofista e il pancrazio (la dura forma di combattimento, a metà tra lotta e pugilato d’epoca greco-romana). «Egli rappresenta l’apogeo precoce di quel che sarà l’esperienza nel mondo del tardo ca- pitale: un susseguirsi caleidoscopico di choc, urti tattili che, secondo la ricostruzione di Benjamin, trovano incarnazione esemplare nella catena di montaggio, nella folla, nello scatto fotografico come nelle puntate disperate del giocatore d’azzardo». Ecco le sue liriche spiazzanti, da quella brevissima Me, We (lucidata e utilizzata spesso nella narrazione da Obama) a «Ho lottato con un alligatore, ho fatto unarissaconuna balena,ho ammanettato i fulmini/ e messo in galera i tuoni. Lo sai sono davvero cattivo». Il suo assalto poetico, quasi un presagio del potere allaparoladeirapper (enon acaso the greatest sarà nume supre- La cifra sovversiva fu l’infiltrazione linguistica in un lavoro manuale e spesso ripetitivo mo delle crew afroamericane, come delle poetesse Toni Morrison e Marianne Moore, che scriverà la nota introduttiva del suo unico disco), può essere visto con le stesse caratteristiche di una boxe fulminea, efficace e potente (con tutte le inevitabili polemiche sulle combine e i colpi «non visti») col suo Ali shuffle, la danza delle gambe a forbice, il suo ballo intorno alle corde del quadrato. TUTTAVIA LA CIFRA sovversiva della sua forma di vita è la parola, l’infiltrazione linguistica in un lavoro solo manuale e ripetitivo. Il labbro di Louisville in anticipo sperimenta autopromozione e formazione permanente, forme di sfruttamento del lavoro odierno, le forme produttive più avanzate, quella degli operai della parola, l’operatore di call center o il tecnico informatico di Mumbai. Mazzeo cita la centralità del marxiano general intellect, quel sapere sociale generale, una contraddizione del capitalismo che governa le «Il dio dell’I-Ching», storiedisangue fragliesagrammi SIMONE PIERANNI L’INTROMISSIONE «IL SOFISTA NERO» DI MARCO MAZZEO, PER DERIVEAPPRODI FLAVIANO DE LUCA 11 condizioni del processo vitale, superata dall’operaismo che individua nella quantificazione del lavoro linguistico-cognitivo un rafforzamento del dominio del capitale. COME LA FILOSOFIA operaista abbraccia ogni fenomeno del mondo contemporaneo (non per interpretarlo ma per trasformarlo), così il filosofo boxeur ha fatto entrare la sua nobile arte nel mondo della guerra e della segregazione, accettando il confronto con la realtà postmoderna, anche nella sua fase crepuscolare (fermato dal Parkinson, degenerazione probabilmente aiutata dai 29mila colpi alla testa presi in carriera). La boxe è un’attività che porta al consumo di sé, alla straordinaria dissipazione di Ali, dotato di altruismo sorprendente (che dona le proprie ricchezze e s ’impegna in attività filantropiche), eppure genio irripetibile, un brand assoluto bruciato nel consumo della nostra società dello spettacolo. II Il romanzo di Isaia Iannaccone Il dio dell’I-Ching (Orientalia editrice, pp. 344, euro 23) si snoda attraverso due linee narrative: una prima ambientata nella Bruxelles dei giorni nostri (con tanto di delitto efferato); la seconda nella Cina sconquassata dalle invasioni mongole. Nella capitale belga il sinologo napoletano Matteo D’Ortica si ritrova a che fare con l’assassinio del direttore della Europe International School. Il crimine conduce D’Ortica attraverso un vortice di eventi nei quali il sinologo coglie strambi collegamenti con l’oggetto dei suoi studi, attraverso il ritrovamento di una insolita creatura – «l’ectoplasma» - proveniente da una misteriosa libreria di Pechino. L’INIZIO DELLA PARTE «storica» fornisce già le prime indicazioni sul peso del passato: «Fu al tramonto che arrivò l’orda dei barbari del Nord». Proprio questa divisione tra «barbari» e no costituisce una bussola per orientarsi nello specchio contemporaneo imbastito da Iannaccone: sarà chi condivide la passione per la Cina a salvarsi e a distinguersi da personaggi, quasi tutti professori della prestigiosa scuola, che animano la storia con bassezze, straordinarie ambiguità fino al millantare presunte conoscenze sinologiche, ridicolizzate non senza un certo compiacimento dall’autore. DA UN PUNTO DI VISTA dell’impianto narrativo, Iannaccone si avventura poi in un territorio «sacro». I capitoli del libro sono 64, ognuno dei quali dedicato al relativo esagramma del Libro dei Mutamenti: dopo Philip K. Dick e la sua Svastica sul Sole e le poesie di Jorge Luis Borges («Per una versione dell’I-King» nella raccolta del 1976, La moneta di ferro), forse solo un sinologo poteva osare un’operazione del genere, senza rischiare di pagare il dazio del confronto con due grandi. Iannaccone – chimico e sinologo napoletano – utilizza gli esagrammi con disinvoltura, trattando bene tanto l’argomento specialistico (chi ha studiato mandarino troverà chiavi di lettura nascoste al lettore non avvezzo a caratteri, toni e pronunce della lingua cinese) quanto quello legato al delitto. La parte di indagine viene movimentata da Iannaccone (già autore de L’amico di Galileo per Rizzoli) con misteri e momenti di pura commedia. Nell’interpretazione degli esagrammi, poi, il protagonista del libro utilizza le parole di Wang Bi, mentre Il romanzo dei tre regni, custodito in molteplici edizioni in una libreria monotematica di Pechino, fornisce un’ulteriore chiave di lettura sull’omicidio di Bruxelles. Un caotico viaggio di andata e ritorno nella storia che ricorda le parole di Borges quando scrive: «Chi si allontana dalla propria casa, vi è già tornato». sofista_nero.qxp_grammatica moltitudine 2 10/04/17 16:45 Pagina 129 Indice Introduzione Botte da orbi. Dal postmoderno al preantico 1. Il sofista nero. L’assalto poetico in Muhammad Ali 1. Cassio a Roma: schiavitù e retorica del nome 2. Knock-down argument: l’assalto poetico 3. Veridizione e prova 4. Il sofista nero: la predizione autoavverante 5. Biasimo e boxe: ambivalenza della prassi 2. Eredità di un pugile. Biasimo, uso, choc 1. Urto della parola 1. La poetessa e il boxeur 2. Uso e violenza: i giocattoli di Winnicott 3. L’allievo di Baudelaire: esperienza e conflitto 4. Il pugile operaio 5 13 16 20 25 31 39 51 51 59 63 72 84 sofista_nero.qxp_grammatica moltitudine 2 10/04/17 16:45 Pagina 130 3. Il filosofo boxeur. Muhammad Ali e l’operaismo 99 1. Il filosofo: commentatore o pugile? 2. L’animale politico non è socievole 99 108 Bibliografia 115