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Il Miracolo in Superotto

Storia e immaginario del Miracolo economico attraverso i film di famiglia sui matrimoni nel biennio 1963-1964

Pietro Cavallo Pasquale Iaccio Penso che un sogno così non ritorni mai più L’Italia del miracolo tra storia, cinema, musica e televisione Liguori Editore Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Salerno Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione analogica o digitale, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La riproduzione di questa opera, anche se parziale o in copia digitale, fatte salve le eccezioni di legge, è vietata senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa editrice Liguori è disponibile all’indirizzo http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche Liguori Editore Via Posillipo 394 – I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2016 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Maggio 2016 Stampato in Italia da Liguori Editore, Napoli Cavallo, Pietro : Penso che un sogno così non ritorni mai più/Pietro Cavallo, Pasquale Iaccio Collana di storia contemporanea Napoli: Liguori, 2016 ISBN 978 – 88 – 207 – 6660 – 3 (a stampa) eISBN 978 – 88 – 207 – 6661 – 0 (eBook) 1. Italia 2. Miracolo economico I. Titolo II. Collana III. Serie Ristampe: 24 23 22 21 20 19 18 17 16 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 La carta utilizzata per la stampa di questo volume è inalterabile, priva di acidi , a PH neutro, conforme alle norme UNI EN ISO 9706 ∝, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS) INDICE 1 Premessa L’esperienza di FILMIDEA. La storia la musica il cinema la televisione 5 La commedia morale di Mario Monicelli di Gino Frezza 11 Colloquio di Mario Monicelli con gli studenti dell’Università di Salerno (23 gennaio 2007) 25 I sogni nel cassetto. Inizia la pandemia “Lascia o raddoppia?” di Pietro Cavallo 57 Il cinema e la storia negli anni del miracolo economico di Pasquale Iaccio 81 Il corpo misura del mondo di Margherita Platania 99 Luci e ombre del miracolo. Le trasformazioni dell’Italia nei documentari dell’Agip e dell’Eni di Elio Frescani 121 “Non essere geloso se con gli altri ballo il twist”. Divertimento e trasgressione nelle canzoni degli anni Sessanta di Paolo Mattera 135 Il rock nell’Italia della “guerra fredda culturale” di Marilisa Merolla 153 L’altra faccia del miracolo. Il boom nei filmati di propaganda del PCI di Mariangela Palmieri 169 Mostrare il “miracolo”? L’Italia alla Mostra del cinema di Venezia fra modernizzazione, coscienza storica e denuncia sociale di Stefano Pisu 185 Il Miracolo in Superotto di Marcello Ravveduto  INDICE 201 Da Signore a Donne: la rappresentazione dell’universo femminile nella RAI del boom 1957-1961 di Vanessa Roghi 217 Rappresentare il benessere. Gli italiani e le vacanze nel cinema del “miracolo” di Maurizio Zinni 235 Gli Autori 237 Indice dei nomi IL MIRACOLO IN SUPEROTTO di Marcello Ravveduto È possibile realizzare una Public History del Miracolo economico? O per meglio dire: è possibile realizzare una storia del Boom «in contatto diretto con l’evoluzione della mentalità e del senso delle appartenenze collettive delle diverse comunità che convivono all’interno dello spazio nazionale»1? La Public History è una disciplina che può aiutare lo storico a scendere sul terreno concreto della “gente” attraverso le testimonianze dirette. Testimonianze sempre più rintracciabili su diversi supporti mediatici, oltre quelli tradizionali, tra i quali la Rete è entrata con prepotenza diffondendo, ad un vasto pubblico di non addetti ai lavori, documenti che possono cambiare l’interpretazione storiografica di eventi del passato recente. Public History è discesa della storia nell’arena pubblica, confronto con pubblici diversi, ed uso sistematico, per farlo, dei media di comunicazione di massa: la radio, la televisione, la rete per fare storia. Inoltre, la Public History porta anche la storia ed i problemi storici nella società intesa con le sue variegate sfaccettature… È una pratica scientifica della storia e dei metodi storici, è soprattutto la capacità di offrire una profondità analitica agli eventi da contestualizzare e da documentare con le fonti: si tratta con il metodo storico di rendere più problematica l’analisi degli eventi… di investire sulla memoria non soltanto usando le tecniche di conservazione delle fonti della contemporaneità, ma anche costruendole in ambiti virtuali (radio, televisione, fotografia, rete) o “fisici” (quando si pianificano parchi storici, musei e monumenti commemorativi), che immettono la storia nel quotidiano e introducono nella vita pubblica delle società la ricerca delle loro identità passate2. 1 S. Noiret, “Public History” e “Storia pubblica” nella rete, «Ricerche Storiche», 39, 2009, p. 275. 2 Ivi, pp. 277-278.  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ La scientificità di questo tipo di narrazione è nella capacità di effettuare un “rito di passaggio” tra la conoscenza storiografica alta e un vasto pubblico che chiede di sapere del passato, impedendo alla memoria di manipolare la storia nella ricerca dell’identità collettiva. È fondamentale, allora, integrare le fonti del ricordo memoriale con la complessità delle fonti storiche e storiografiche e confrontarle con le memorie “altre”. Infatti, nella Public History la ricerca sul passato non discende solo dalle fonti storiche accreditate ma include anche l’interpretazione di spazi fisici nel territorio urbano e rurale, di oggetti materiali, appartenuti ad un’epoca o celebranti la memoria, e delle “metafonti” digitali. Ed proprio in quest’ultimo caso che le infrastrutture cibernetiche del web 2.0 assumono un valore strategico. La “metafonte”, secondo il concetto introdotto da Jean-Philippe Genet, è quella inserita negli archivi digitali provenendo da un preesistente archivio analogico ovvero: «l’immagine di una fonte che esiste in altri formati, non la fonte stessa, o addirittura nuove fonti con caratteristiche diverse dagli originali»3. Per il fatto di essere resi accessibili in forme diverse da quelle originali, di essere spesso associati ad altri materiali di varia natura e posti all’interno di una rete di relazioni ipertestuali che li collegano con risorse affini, i documenti digitalizzati subiscono un «processo di ricontestualizzazione che ne condiziona inevitabilmente la comprensione e l’interpretazione, alternativamente, impoverendone, o al contrario, arricchendone i significati»4. Come ha rilevato Andrea Zorzi: «Quelli con cui abbiamo a che fare non sono solo riproduzione delle fonti, ma documenti a sé stanti metafonti […] che dagli originali ormai si differenziano profondamente». Dunque le metafonti sono gli «archivi consultabili online, vale a dire […] quella nuova tipologia di documentazione immateriale che viene crescendo tra le mani degli storici che alla riproduzione in formato digitale dei documenti accompagna trascrizioni o edizioni critiche, strumenti informativi (regesti, descrizioni e inventari archivistici etc.), banche dati, bibliografie, saggi e altri materiali miscellanei, come anche strumenti di ricerca sempre più raffinati (motori, e software dedicati)»5. Questo è il caso dei film di famiglia in 8 millimetri (e dal 1965, vista l’espansione 3 S. Noiret, Storia contemporanea digitale, in R. Minuti (cur.), Il web e gli studi storici. Guida all’uso della rete, Roma, Carocci, 2015, p. 271. 4 S. Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 106. 5 http://www.archiviodistato.firenze.it/nuovosito/fileadmin/template/allegati_media/materiali_studio/convegni/medici/convegni_medici_zorzi.pdf IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  del mercato, nel formato superotto realizzato dalla Kodak) digitalizzati e lanciati nella Rete. Per comprendere il valore documentale della fonte, è sufficiente ricordare che in questa categoria rientra il filmato con cui Abraham Zapruder riprese l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas. Inoltre, basta dare un’occhiata al patrimonio dell’Archivio Nazionale del Film di Famiglia a Bologna per comprendere il rilievo storico del medium: L’Archivio custodisce a oggi circa 20.000 elementi, quasi tutti su supporti originali costituiti da pellicole in formato ridotto (8mm, super8, 16mm, 9,5mm Pathè Baby) girati tra gli anni ’20 e gli anni ’80 del Novecento. A ciò si aggiunge un’esigua quantità di pellicole 35mm e, in misura crescente, di audiovisivi su supporti magnetici video e audio. Si tratta di circa 5.000 ore di materiale audiovisivo proveniente da tutta Italia. Materiali che le famiglie, ma non solo, hanno conservato per anni nei cassetti, negli armadi, nelle soffitte e nelle cantine e che racchiudono invece un patrimonio documentale di enorme interesse storico e sociale: dalla celebrazione della vita familiare in tutti i suoi aspetti più rituali alla documentazione del tempo libero e delle attività lavorative, dagli eventi pubblici alla trasformazione del paesaggio6. La ricaduta concreta del lavoro di archiviazione è stata la realizzazione di un portale web7 in cui i filmini digitalizzati sono stati rimontati per ricostruire l’immagine di Bologna attraverso la creazione di percorsi tematici suddivisi in «Persone e famiglie; Luoghi; Enti e istituzioni; Eventi». La prima sezione è sicuramente la più corposa poiché il film di famiglia (come conferma di per sé la definizione coniata) nasce come “evoluzione motoria” della foto di famiglia. La cinepresa, come la macchina fotografica, rimanda l’immagine che la famiglia vuole dare di sé stessa e del contesto in cui vive con la doppia ambizione di rivolgersi alla ristretta schiera di parenti e conoscenti ma anche ad un pubblico di potenziali estranei accuratamente selezionati. «Una scelta che prevede quindi una studiata autopromozione della 6 http://www.homemovies.it/patrimonio.html. Anche la Rai nel 1983 lancia una simile iniziativa chiamata LA NOSTRA VITA “FILMATA”: «un progetto che invitava i telespettatori a inviare i propri filmati amatoriali, che li ritraessero nel quotidiano e nei piccoli e grandi eventi della vita privata. A quasi trent’anni di distanza, Rai Storia ha preso in consegna dalle Teche Rai di Milano quei filmati, ricchi di frammenti di storie, luoghi e personaggi, e li ha mescolati alla storia collettiva del Paese, attraverso le immagini del repertorio RAI». Il sito di Rai Storia propone di far rivivere i ricordi degli italiani, gli avvenimenti importanti della loro vita, girati in superotto e riversati in formato digitale. http://www.raistoria.rai.it/ categorie/super-otto/318/1/default.aspx 7 http://www.cittadegliarchivi.it  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ propria famiglia ma nello stesso tempo anche una sincera autobiografia ad uso dei posteri»8. L’obiettivo della cinepresa è lo strumento di selezione della realtà. Se cerchiamo sul vocabolario il significato della parola troveremo la seguente definizione: «equanime, imparziale, spassionato, non alterato (o esente) da pregiudizi, da preferenze, da idee, sentimenti personali e interessi soggettivi»9. Insomma, la tecnologia ottica sarebbe garanzia di oggettività. In realtà, come è facilmente intuibile, la macchina da presa è una protesi meccanica che si muove seguendo lo sguardo dell’operatore. L’obiettivo, come l’occhio umano, inquadra la realtà muovendosi in base ad un pensiero influenzato da una particolare visione del mondo, dentro cui agisce la memoria sociale. Il filmino di famiglia, perciò, è il prodotto di una selezione, avvenuta già a monte, che riproduce un meccanismo analogo a quello della nostra mente: tende a ricordare solo le eccezioni nel flusso della quotidianità familiare. Registra, il più delle volte, un cambiamento che vale la pena di commemorare e quindi filmare. Così, grazie all’autopromozione familiare, diventano visibili tutti i passaggi di condizione sociale: la nascita di un bambino, le vacanze, l’ingresso nel mondo del lavoro, il trasferimento in città, le feste popolari e ovviamente la formazione di una nuova coppia. Grazie al suo magico realismo l’obiettivo «è in grado di svolgere nel contesto familiare diverse funzioni, strettamente legate tra di loro: permettere il riconoscimento dei propri consanguinei (memoria biologica), verificare l’accettazione o la rimozione degli individui della comunità (legami parentali) e, principalmente, veicolare senza ambiguità un’immagine autorizzata della famiglia. Nel proprio passato la famiglia trova la conferma della propria unità presente e nello stesso tempo promuove se stessa per le generazioni future»10. La rappresentazione del matrimonio, in particolare, è un modo per rendere accettabile la propria unione sentimentale conformandosi ai costumi della comunità in cui si vive. Infatti, i filmini ricalcano la teatralità delle pose fotografiche: gli sposi, le loro abitazioni, i quattro genitori, la celebrazione religiosa, i parenti e gli amici davanti alla chiesa e al ricevimento nuziale. Da questo punto di vista il film di famiglia è uno strumento di memoria collettiva, un racconto costruito secondo i canoni di autorappresentazione della decorosa famiglia 8 G. D’Autilia, Interpretare se stessi, in G. D’Autilia, L. Cusano, M. Pacella, Familia. Fotografie e filmini di famiglia nella Regione Lazio, Roma, Gangemi, 2009, p. 24. 9 www.treccani.it 10 D’Autilia, Interpretare se stessi, cit., p. 25. IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  borghese (incorporati nel tempo anche da altre classi sociali), investita dalla trasformazione del Miracolo economico. Attraverso le immagini dei matrimoni è possibile provare a ricostruire i mutamenti sociali, culturali e civili negli anni di piena maturazione, e contemporanea paura di arresto, dello sviluppo economico? Cioè è possibile verificare se, confrontando i filmini “girati” nel biennio 1963-1964 in comunità locali diverse (urbane e rurali), si è già messo in moto «un processo di “imborghesimento di massa” del paese» che «“gonfia” il ceto medio, omologato dagli stili di vita e da alcuni valori di fondo (sicurezza, lavoro protetto, dimensione casalinga)?»11. Giuseppe De Rita lo paragona a «Una vera e propria esplosione, che risucchia dall’alto e dal basso tutti i settori della società»12. A questo punto rientra in gioco la metafonte. L’unico modo per comparare le “scene da un matrimonio” è averle a disposizione in formato digitale, ma i due principali archivi in rete non sono utili allo scopo della ricerca13. La soluzione, in verità, è più semplice del previsto: su Youtube sono «visualizzabili» decine di filmini nuziali digitalizzati dagli utenti per un pubblico familiare a distanza (per esempio i parenti siciliani che caricano il filmino dei nonni per i cugini americani) che, grazie alla portata del mezzo, si amplia a dismisura diventando “preda” per internauti generalisti, ricercatori di storia, appassionati dei film di famiglia o semplici curiosi arrivati a quel risultato navigando tra i video suggeriti dalla piattaforma per argomenti simili. Gli storici che intendono avvalersi delle metafonti digitali audiovisive non possono sottovalutare il potenziale di Youtube: il più grande archivio digitale spontaneo dei mass media esistente al mondo e in particolare del loro sviluppo nel corso del Novecento. Sebbene la sua natura commerciale sia vista come un limite, si deve considerare, al contrario, che sia proprio questa missione ad averne decretato il successo: è grazie alla raccolta pubblicitaria se la fruizione rimane gratuita, consentendo l’intersecazione tra utenti attivi (quelli che caricano materiali digitali o digitalizzati) e passivi (quelli che lo usano come svago o consultazione). Una fruizione di massa, notevolmente superiore a qualsiasi 11 G. De Rita, A. Galdo, L’eclissi della borghesia, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 8. Ibid. 13 L’Archivio Nazionale del Film di Famiglia ha digitalizzato e messo in rete solo i materiali riguardanti la città di Bologna. Inoltre la consultazione delle bobine originali presenta delle difficoltà logistiche che sono state ovviate affidando a una società l’estrazione delle immagini in formato digitale, scaricando sull’utente interessato il costo del servizio. La Rai, invece, più banalmente nel patrimonio digitalizzato non presenta filmini relativi al biennio considerato. 12  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ canale televisivo, in cui si mescolano generazioni e competenze in cui, a differenza dei media broadcast, il filmato amatoriale (anche nel formato di montaggio digitale) ha prevalenza sulla produzione professionale. Effettuata la ricerca si ottiene una lista di risultati (una per il 1963 e una per il 1964) dalla quale è possibile estrarre alcune clip le cui immagini possono essere analizzate e confrontate in una duplice prospettiva: rilevare i cambiamenti avvenuti nella vita quotidiana all’interno della Grande Trasformazione nazionale. Enrico e Margherita si sposano il 12 giugno 1963 a Uboldo, in provincia di Varese, che oggi conta poco più di diecimila abitanti. Le immagini sono a colori. La sposa è in abito lungo, bordato di merletti, con strascico. Esce di casa, un’abitazione monofamiliare, sotto il braccio del padre che indossa un completo scuro. Due paggetti precedono la coppia conducendo un cesto di fiori, mentre una damigella la segue reggendo il velo. Una volta in strada si forma il corteo di parenti che si dispongono in fila per due dietro il padre e la figlia. Avanti ci sono le donne, dietro gli uomini. Le prime sono vestite per la maggior parte in tailleur dai colori seriosi (una donna giovane spicca nel gruppo per il suo vestito color arancio), con capelli corti o raccolti, truccate sommariamente. Le più anziane indossano un cappello. I secondi hanno abiti scuri, cravatte chiare e il fazzoletto nel taschino. Camminano sul bordo della strada mentre alla loro sinistra passano due automobili e un camion. Raggiungono la chiesa a passo lento sotto lo sguardo dei paesani, fermi ad attendere il passaggio della sposa. L’unica immagine interna alla chiesa è la ripresa della firma dei registri. Davanti al portone dell’edificio religioso, la cui facciata disadorna e i pilastri in cemento grezzo indicano la contemporaneità del manufatto, gli sposi si mettono in posa con i familiari per la foto di gruppo. Marito e moglie non sono, come è tradizione, al centro ma occupano il lato sinistro. Inoltre, la chiesa, essendo allo stesso livello della strada, costringe gli invitati a stare sullo stesso piano cosicché alcuni scompaiono dietro l’ombra dei pilastri. Si ricompone il corteo, questa volta guidato dai novelli coniugi, per dirigersi verso il luogo del ricevimento. Escono dal paese e si inerpicano per una strada di campagna. Gli ospiti che li seguono, alla vista della cinepresa, si sbracciano per salutare. Davanti al locale, un palazzetto di due piani con scale esterne e persiane avvolgibili, ci sono due auto Fiat parcheggiate: una 1100 blu e una 600 bianca. La struttura affaccia su una via di passaggio, molto probabilmente una strada provinciale. L’operatore, dall’interno, riprende il panorama da una finestra della sala nuziale. La IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  cinepresa indugia sulla pianura sottostante per riprendere il passaggio di un treno composto da cinque vetture; poi l’obiettivo si sposta per filmare un trattore che trascina un covone di paglia. Stacco ed ecco gli ospiti seduti a tavola al termine del pranzo. Gli uomini hanno tolto la giacca e sono in panciotto. Gli sposi, seduti in fondo, guardano gli invitati in maniera inespressiva: lui è in camicia e cravatta, lei ha tolto il velo. Un anziano signore, con tanto di mustacci, agita le braccia. Sembra che stia raccontando una storia. Si è seduto al desco senza togliere il cappello. Una coppia di fidanzati parla fitto fitto sotto voce. Le donne più anziane si sono riunite e discutono tra loro, fingendo di non notare la cinepresa. I visi sono rugosi e cotti dal sole. Gli uomini più giovani vanno in giro per i tavoli, poi piombano sullo sposo per canzonarlo14. Se non fosse per alcuni elementi dissonanti, avremmo potuto considerarlo un matrimonio contadino tradizionale: il corteo, i paesani curiosi, la foto di gruppo, il percorso a piedi fino al ristorante, gli anziani che raccontano storie, le donne che solidarizzano, gli sposi che assistono impassibili e i pochi invitati fermi ai loro posti in attesa dei confetti prima di rientrare a casa. Invece, ecco spuntare una chiesa di cemento armato, un alberghetto di provincia figlio del miracolo economico, un treno elettrico che taglia in due la campagna, il trattore che ha meccanizzato la trebbiatura e le immancabili Fiat. Anche la tradizionale fotografia collettiva di ambientazione rurale appare disarmonica: non c’è al suo interno nessun ordine di priorità. Gli anziani sono posizionati in maniera sparsa e i bambini non occupano il centro dell’obiettivo. Gli sposi sono periferici rispetto al fotografo, né sono contornati dai parenti più stretti. La modernità si presenta come annullamento delle gerarchie sociali che spazzano via secoli di cultura contadina. Si procede, ora, verso Sud arrivando a Bari. Questa volta non si conosce il nome degli sposi. La didascalia introduttiva recita: «Un matrimonio negli anni ’60 a Bari. Chiesa S. Giuseppe in corso Sonnino. Carovana di auto sul lungomare. Al minuto 1.03 si vede lo stabilimento balneare lido Marzulli. La sala ricevimenti è “il Transatlantico”… abbattuto negli anni ’70». La ripresa comincia alla fine della funzione religiosa. La sposa ha l’abito lungo con guarnizioni di pizzo e il velo corto. Lo sposo un abito scuro e la cravatta bianca. Si mettono in posa per la foto di gruppo sulla scalinata della chiesa. I coniugi sono al centro in basso, circondati dai bambini. Subito dietro, impettiti, i 14 http://www.youtube.com/watch?v=PCxZonpmSzU  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ genitori e così via formando una piramide rovesciata. La cinepresa si muove da destra a sinistra per inquadrare tutti gli invitati. Salgono su una Lancia Appia per dirigersi al ristorante. Il corteo di auto si muove contemporaneamente. L’operatore, entrato in auto, continua a filmare. Sembra la scena di un inseguimento all’americana se non fosse per le continue e repentine frenate imposte dal traffico. Imboccato il lungomare, prima segue una Fiat 1000 Familiare, riconoscibile dai fari allungati e dal maniglione del bagagliaio, poi è la volta di una Lancia Fulvia. In direzione opposta si vedono sfrecciare un paio di Lambrette e diverse 500. Dopodiché l’auto dell’operatore azzarda il sorpasso lasciandosi alla spalle una 600. Il fotografo deve correre per arrivare al locale prima degli sposi. Infatti, nella scena successiva, si vedono marito e moglie scendere dall’auto. Il ristorante è tutto in legno costruito sulla spiaggia. Gli invitati sono numerosi e molto giovani. Le donne indossano vestiti scollati e portano vistose collane. Al centro della sala, in mezzo ai tavoli, si balla. Gli anziani restano seduti, i giovani si buttano nella mischia. In un angolo del ristorante la cinepresa inquadra una donna che canta in un microfono quadrato. Alle sue spalle un uomo sta suonando il pianoforte. Dopo aver indugiato sulle coppie che ballano i lenti, l’operatore si sposta all’esterno dove un gruppo di ragazzi, di ambo i sessi, si è riunito per improvvisare un vorticoso girotondo. Gli adulti e gli anziani rimangono ai loro posti e guardano con imbarazzo verso l’obiettivo. Si passa al taglio della torta, seguito dal brindisi a braccia incrociate. Mentre si scattano le foto con i parenti, il filmato mostra le facce annoiate dei bambini, seduti accanto a genitori “ragazzini”. Infine, si sofferma su un tavolo di sole donne (probabilmente sono le amiche o le colleghe della sposa ancora “signorine”). Vestono abiti a tubino sbracciati, portano orecchini e collane, sorridono guardando l’obiettivo e bevono spumante. Una di loro si alza in piedi e leva la coppa verso la cinepresa15. I giovani sono i protagonisti assoluti del filmino. Gli adulti sembrano statici, immobili di fronte alla dinamicità della nuova generazione. Le donne si mescolano agli uomini condividendo insieme i momenti di convivialità. Non c’è separazione, anzi, anche quando sono sole, mostrano di essere emancipate e si sentono a loro agio di fronte all’obiettivo. Le auto e il traffico sono entrati prepotentemente nel contesto urbano spezzando, con rombi e gas di scarico, la quiete del paesaggio marino. Il ristorante, poi abbattuto, è una tipica costruzione 15 http://www.youtube.com/watch?v=hs8R_IYoWFo IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  della selvaggia speculazione edilizia che sta deturpando il profilo della costa a Bari come nelle altre città di mare. Si respira un’atmosfera di fiducia. Al contrario del matrimonio di Uboldo, l’unica concessione alla tradizione è proprio la fotografia di gruppo. Un momento di ordine e calma in un mondo che marcia freneticamente verso il futuro. Manoppello, invece, è in provincia di Pescara. Un comune montano di circa settemila abitanti nel Parco nazionale della Maiella. Nel giorno della festa della Repubblica del 1963 si sposano Ettore e Teresa. La giornata è piovosa. La sposa attende l’auto, circondata dai parenti, sull’uscio di casa. L’abito lungo a campana e il velo corto la rendono un po’ goffa, anche perché il viso è incorniciato da due pesanti occhiali da vista. Dopo uno stacco, l’operatore compie una panoramica sugli invitati che attendono fuori dalla chiesa. Gli uomini anziani hanno tutti il cappello e vestono con camicia, panciotto e giacca senza cravatta. La camicia è abbottonata fino al colletto. Gli adulti indossano abiti scuri con cravatte strette e molti giovani sono in maniche di camicia. La madre della sposa si è messa un tailleur nero e ha infilato un paio di guanti bianchi. All’uscita dalla parrocchia del Volto Santo volano riso e confetti. Nella sequenza successiva gli uomini corrono verso le vetture per disporsi in corteo dietro l’auto degli sposi. Si forma una lunga fila in cui è possibile notare una Topolino, una Bianchina, alcune 500 e 600, anche in versione multipla, una 1100, un’Appia e qualche Giardinetta. Le auto sfilano davanti all’obiettivo mentre si allontanano. Sembra la partenza di una gara automobilistica. Una dietro l’altra percorrono i tornanti della collina scendendo verso la valle. Davanti al ristorante si ripete la stessa scena: le auto arrivano una ad una come se stessero tagliando un traguardo, quasi a simboleggiare la partenza e l’arrivo della corsa verso il benessere. Gli sposi scendono da una Lancia e si piazzano sulla porta di ingresso del ristorante, “Il Grottino” nel vicino paese di Scafa, per ricevere i regali: grandi pacchi e piccoli fagotti consegnati nella mani della sposa. Intanto, la cinepresa passa ad inquadrare gruppi di invitati: gli uomini fumano e gesticolano; le donne parlano a bassa voce in disparte16. Il filmato restituisce una sensazione di estremo pragmatismo: non ci sono immagini relative al ricevimento, né all’interno della chiesa. Tutto si riduce ad una ripresa esterna in cui sono protagoniste le auto. La lunga fila del corteo testimonia che tutti hanno raggiunto il colle dove ha sede la chiesa con un’autovettura. È facile supporre che il cineoperatore si sia soffermato 16 http://www.youtube.com/watch?v=etj1lNEygK8  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ su questa scena per rimarcare la distanza con i matrimoni del passato: al Volto Santo si arrivava esclusivamente a piedi o a dorso di un asino. Negli ultimi due filmini analizzati viene evidenziato il fascino delle macchine in movimento. Una dimostrazione del rapporto morboso che si stabilisce tra l’uomo e la sua auto: da necessario mezzo di locomozione si trasforma in protesi artificiale, capace di potenziare l’abilità motoria individuale e familiare. Senza dimenticare le implicazioni simboliche, relative alla fruizione e alla collocazione sociale, che si scatenano a seconda del modello di auto posseduto. Le automobili, divenute oggetto d’uso quotidiano, facilmente accessibili anche alle classi subalterne, entrano immediatamente nella categoria del kitsch. Almeno è quanto sembrano voler sottolineare la pittrice Eva Fischer e lo scrittore Alberto Baumann che, dopo il matrimonio in Campidoglio, hanno voluto, invece dei soliti fotografi, posare per alcuni pittori ai quali spetta il compito di tramandare ai posteri anche un’altra novità: «Dal loro primo viaggio nuziale – proclama la voice off dell’Istituto Luce – Eva e Alberto hanno cancellato la rumorosa automobile per la più silenziosa, più discreta, insomma più adeguata bicicletta. Il fatto è che il velocipede in un’occasione del genere dà più nell’occhio di una lussuosa fuoriserie»17. L’uso della bicicletta assume il tono della trovata propagandistica per attirare l’attenzione della stampa (gli sposi compiono in bici il tragitto dal Capidoglio al Colosseo inseguiti dai fotografi dei rotocalchi). Se la massa ha avuto accesso all’acquisto dell’auto si rischia un’omologazione a svantaggio delle classi agiate, perciò convertire la bicicletta in un mezzo di locomozione elitario può ribaltare la situazione salvaguardando una posizione di privilegio sociale volutamente minoritaria. I Superotto nuziali del 1964 non differiscono molto da quelli del ’63. In qualche caso abbiamo, in luogo della cerimonia a ristorante, un rinfresco in casa con camerieri che servono agli invitati – seduti stretti stretti su sedie e poltrone posizionate intorno al divano dove sono sprofondati gli sposi – pizzette, rustici e pasticcini. Il filmato si conclude con il taglio della torta e lo spumante18. Oppure è una vera e propria festa da ballo paesana in cui è coinvolta tutta la comunità di un piccolissimo comune montano, Petrella Tifernina in provincia di Campobasso19. O ancora il matrimonio borghese nella capitale di Umberto e Rosanna 17 18 19 http://www.youtube.com/watch?v=InjLXtu1F3I http://www.youtube.com/watch?v=IKLc_kW5bo8 http://www.youtube.com/watch?v=4kLmnTmH654 IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  ripresi all’uscita dalla chiesa. Le signore hanno grandi cappelli di panno o di pelliccia. La sposa, sopra all’abito, ha un giacchino che le arriva alla vita. Ha tra le mani un bouquet di orchidee e lo sposo un fiore simile nell’occhiello della giacca. Si rinuncia alla foto di gruppo per scattare singoli ritratti insieme a parenti e amici. Rosanna si intrattiene a parlare con una giovane signora in abito scuro che indossa un doppio filo di perle. Tra un saluto e l’altro gli sposi si avvicinano all’auto che li porterà via, una Mercedes coupé20. Infine c’è anche chi, a Venezia, festeggia, il 21 novembre del 1964, i cinquant’anni di matrimonio. Il «nonno Bepi e la nonna Pina» dopo la funzione religiosa offrono a figli e nipoti un pranzo al ristorante “Paganelli” del quale rimane anche il menù: «Aperitivo. Pasticcio di lasagne verdi o Ravioli in brodo. Arrosto di vitello, Pollo, Roastbeef, Patate al forno e insalata verde. Formaggio e frutta di stagione. Torta nuziale. Chianti Sammontana. Carpenè Malvolti. Liquore - Caffè». Dentro la chiesa le immagini sono indecifrabili a causa dell’oscurità. All’uscita, invece, possiamo vedere gli anziani sposi intabarrati nei loro cappotti. Al ristorante tutti gli invitati sono riuniti intorno ai nonni e si voltano, di tanto in tanto, a favore della cinepresa. In primo piano ci sono i nipoti che sorridono imbarazzati all’operatore. La coppia di festeggiati osserva i movimenti degli adolescenti con distacco. Le femminucce hanno camicetta e gonna con un fermaglio nei capelli. I maschietti indossano la giacca o maglioni con collo a V e la cravatta. Le ragazze più grandi tengono per mano i bambini che fanno confusione spingendosi l’un l’altro. Poi i nonni si alzano, visibilmente stanchi, e tagliano una piccola torta nuziale, tenendosi per mano. Mentre i camerieri servono il dolce, una donna, seduta a tavola insieme a due bambini, accende una sigaretta. Terminato il pranzo si va a rendere omaggio alla Madonna della Salute della quale, proprio in quel giorno, ricorre la celebrazione. I bambini festeggiano il passaggio del barcone con la statua consacrata agitando nell’aria stelle filanti21. Nessun filmato, nel biennio preso in considerazione, ha un montaggio logico delle immagini. L’idea non è realizzare un film del matrimonio ma associare agli scatti il movimento della pellicola. Tra l’inizio e la fine non c’è una narrazione ma solo un assemblaggio di scene con stacchi netti. Le sequenze scorrono come se fosse un backstage del lavoro fotografico: l’ottica del cineoperatore è quasi sempre la stessa del fotografo. Inoltre, la qualità delle immagini, anche a causa dell’imperizia di pro20 21 http://www.youtube.com/watch?v=zclO6-CICIo http://www.youtube.com/watch?v=WpZc4sZ_ekM  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ fessionisti o amatori alle prime armi, è spesso scadente: scene traballanti o sfocate, sovraesposizione o sottoesposizione della luce, staticità della ripresa. Certo non bisogna sottovalutare l’assenza del sonoro e di accessori come lo zoom che impediscono di captare i dialoghi e di effettuare i primi piani. Tuttavia, l’occhio meccanico ci mostra un Italia che cambia. L’elemento che spicca è la motorizzazione di massa che spinge alla mobilità. Ci sono auto dappertutto: davanti all’albergo di campagna, sul lungomare di Bari, sul piazzale di una chiesa di montagna, in uno sperduto paese del Molise, nel centro storico di Roma. Del resto la stessa curiosità suscitata dagli sposi ciclisti è dovuta alla rinuncia di partire in auto. Ovunque il mezzo a quattro ruote domina la scena, simbolo reale del «sogno italiano». La 600 è il modello più diffuso, l’utilitaria che ha conquistato un posto speciale nel cuore degli italiani. Facciamoci idealmente largo tra la folla che gremisce una concessionaria Fiat del tempo… La 600 ci appare un oggetto scintillante dalle morbide linee arrotondate, bianca, con sottili profili di metallo, ampi finestrini. Per le sue dimensioni contenute (alta 140 cm, larga 138, lunga 320) ci appare spaziosa all’interno, con quattro comodi posti; il motore è posteriore… mentre nel cofano c’è (poco) spazio per i bagagli vicino alla ruota di scorta… Questa macchina è la risposta a un sogno, perché è la prima vera auto pensata per tutti… Tutt’intorno osserviamo varie fotografie: in una vediamo un uomo alla guida e tre soddisfatte ragazze sedute all’interno della vettura; in altre c’è la 600 di vari colori in montagna, su una banchina del porto, al mare. Un poster ci colpisce, quello realizzato da Felice Casorati per il lancio dell’auto: una Torino notturna, geometrica, tutta blu, punteggiata di piccole luci, da cui spuntano la Mole Antonelliana e in fondo le montagne scure; spiccano lontano la luna, la striscia dorata del Po, in primo piano la 600, chiara, lucente, con i fari accesi, circondata da uomini, donne, bambini – un’immagine che pone l’auto in ideale sintonia con la tecnica (le luci elettriche, i fari, i lampioni) la natura (la luna, i monti, il fiume), l’umanità (la città, la gente, i passeggeri che si intravedono all’interno). Forse la 600 è tutto questo: il sogno di un mondo nuovo e anche quello di una libertà di movimento senza limiti (magari sull’onda del primo turismo di massa o per godere la “villeggiatura”) e di una libertà personale inusitata. Il linguaggio che parla questo oggetto… è quello di uno status symbol, di concreto miglioramento della propria vita, di un senso di appagamento che viene per la prima volta più dal consumo che dal lavoro, della soddisfazione che possono provare gli immigrati che tornano al paese d’estate con la prova del loro successo e della loro vita più ricca di “cose”22. 22 E. Scarpellini, L’Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 141-142. IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  Ben presto la 600 sarà affiancata dalla più piccola 500: suadente linea a guscio con un prezzo basso mai visto, 415mila lire. Le due vetture saranno il gancio di traino della motorizzazione di massa, le icone dell’industrializzazione e della urbanizzazione della seconda metà del Novecento. Esprimono mobilità spaziale e sociale, affermazione dell’individualità, segnalano modalità di lavoro e di consumo del tutto trasversali rispetto all’antica gerarchia di classe. È il bene più desiderato dagli italiani e come tale, in quanto associato alla diffusione del benessere, provoca obiezioni, critiche e dubbi morali. I sottufficiali dell’esercito non possono acquistarla fino al 1958, i preti e i monaci possono usarla solo dietro permesso del vescovo (maggiori le restrizioni per frati e ordini femminili), le donne sono considerate inette e disattente, i giovani non ancora maturi per assumersi la responsabilità della guida. Tutte le categorie sotto stretto controllo sociale subiscono pressioni affinché rinuncino all’auto. Inoltre, è considerata un oggetto pericoloso. Materializza la velocità: già vediamo migliaia di utilitarie sfrecciare a inaudita velocità sulle autostrade nuove di zecca (l’Autostrada del Sole, iniziata nel 1956, si inaugura nel 1964), esibendosi in manovre azzardate, incapaci di frenare la loro natura. La velocità urbana si contrappone alla lentezza contadina [ne sono una testimonianza lampante i cortei di pedoni ripresi nei filmini che avanzano lentamente sui bordi della strada invadendo uno spazio riservato alle automobili n.d.a]. È per questo, si sottolinea nel discorso pubblico, che crescono a dismisura gli incidenti… Fatalità e obsoleto assetto viario non sono mai citati, tutto deriva da una colpa morale degli automobilisti… senza parlare dello stress derivante dalle macchine e dal traffico cittadino»23. Come conferma Ernesto Calindri, seduto ad un tavolino nel bel mezzo di un incrocio, bevendo il suo aperitivo: «Cynar, contro il logorio della vita moderna24. La forte caratterizzazione di genere, legata all’uso dell’auto, consente anche una riaffermazione dell’identità maschile, messa in crisi dalla crescita dei consumi che hanno come principale protagonista la donna. Tutto ciò crea una diffusa ansietà sul proprio ruolo, alla quale si reagisce cercando nuovi ruoli maschili, ad esempio artisti anticonformisti, cow-boy dei film western, uomini d’azione, eroi dello sport, 23 24 Ivi, p. 144. http://www.youtube.com/watch?v=CQ2t_PrQtpU  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ playboy, giovani ribelli. È l’inizio di un processo che porterà a leggere nell’habitus fisico l’incorporazione della maschilità e quindi studiare specifiche posture, abbigliamento, discorsi. Ebbene in questo processo di ri-creazione della mascolinità non c’è dubbio che un posto importante sia rivestito da alcuni oggetti e in particolare dall’automobile. Basta pensare al film Il sorpasso di Dino Risi per comprendere come essa possa comunicare tratti identitari: sicurezza sociale, aggressività, esuberanza fisica, competenza tecnica e così via25. La vendita delle auto negli anni Sessanta segue le dinamiche specifiche dei beni di lusso: alla crescita costante del reddito corrisponde una maggiore spesa in beni di lusso. Ciò significa che le famiglie italiane ridistribuiscono le risorse a disposizione per inserire nel budget familiare l’acquisto di una macchina, magari limitando il consumo di altri beni ritenuti necessari. Ancora agli inizi del decennio solo il 13% degli operai possiede un’auto contro il 44% degli impiegati. In sostanza è il ceto medio a provocare la democratizzazione del lusso. Nei filmini dei matrimoni notiamo, però, anche una lenta ma inarrestabile emancipazione delle donne: vestono alla moda, indossano accessori vistosi, cominciano a truccarsi, bevono alcolici, fumano e non hanno remore a condividere momenti collettivi con l’altro sesso. La loro vita sta cambiando. Anche quando rimangono in casa hanno maggior tempo da dedicare a se stesse. … in questo periodo si verifica un piccolo boom delle spese relative all’igiene e alla bellezza personale, sintomo del valore attribuito alla socialità e urbanità… Così si moltiplicano saponi e saponette profumate… deodoranti, scatole di borotalco… bagnischiuma,… shampoo, brillantine,… dentifrici… Le agenzie pubblicitarie afferrano perfettamente l’accresciuto ruolo dell’igiene e della valorizzazione del corpo, che si riallaccia del resto all’antico ruolo “sociale” degli odori nel fissare le divisioni di classe. Ma il profumo rimanda a significati ben più profondi e a tradizioni ancestrali… simboleggia l’anima e la purezza contrapposte alla corruzione del corpo fisico… la stessa profumazione, si è sostenuto, aspira a una specie di trasfigurazione, risponde al desiderio di raggiungere una bellezza perfetta, in tutti gli aspetti della corporeità26. I giovani uomini comprano vestiti e camicie confezionate, hanno la patente e sono visibilmente più dinamici dei loro genitori. Qualcuno imita un non ben identificato divo americano visto al cinema e si 25 26 Scarpellini, L’Italia dei consumi, cit., pp. 145-146. Ivi, pp. 162-163. IL MIRACOLO IN SUPEROTTO  lasciano filmare in pose plastiche, mentre fumano l’ennesima sigaretta. Tutti, però, nell’occasione festiva hanno pantaloni classici, giacche e camicie bianche. Nessuno ha l’ardire di presentarsi come un “giovane bruciato”, al massimo si fantastica l’icona dei teddy boy. Appare evidente, nello scorrere delle immagini, che i giovani si riconoscono come generazione, esprimono un’identità collettiva che li porta a ritrovarsi uniti nei momenti di comunione (il girotondo dei ragazzi di Bari, le crocchie di fumatori a Manoppello, i ballerini di twist a Petrella Tifernina e persino i piccoli nipoti del Bepi e della Pina). Gli adulti sembrano impassibili, chiusi in un tradizionale riserbo, ammutoliti di fronte ad un mondo completamente stravolto nel volgere di un decennio. Provate ad immaginare i pensieri dei due nonni veneziani, coniugati nel 1914, davanti alle moine e ai capricci dei nipoti che improvvisano balli scomposti, rotolandosi sul pavimento sotto lo sguardo compiaciuto e benevolo dei genitori. Hanno affrontato la Prima guerra mondiale, sopportato gli anni del fascismo, sofferto durante il secondo conflitto, gioito per la liberazione e la Repubblica, sperato durante la ricostruzione ed ora sono lì, nel bel mezzo di un ristorante, a festeggiare mezzo secolo di vita insieme assaporando una torta di pan di spagna con crema e panna. Tutti i loro sacrifici si condensano in un ricco menù, con pasta, carne e spumante, che solo dieci anni prima non avrebbero potuto permettersi. Il Bepi e la Pina consegnano idealmente a Enrico e Margherita, ai consorti baresi, a Ettore e Teresa, ai coniugi di Petrella Tifernina, a Umberto e Rosanna e a tutta le nuova generazione di sposi “miracolati” il testimone di un’Italia contadina che si è sollevata sul piedistallo dell’industrializzazione. Come si afferma in un coevo documentario di propaganda della Democrazia cristiana: «Siamo cresciuti di numero, siamo più liberi, più ricchi; i mezzi di trasporto si moltiplicano. La ricerca scientifica, la televisione, i libri, i giornali, il cinema e il teatro ci riportano le immagini di un mondo che cambia. Quanto è stato fatto non deve andare perduto, bisogna costruire il futuro su solide fondamenta. È il nostro momento, è il momento dell’Italia»27. Confrontando le immagini dei filmini con quelle coeve proiettate al cinema, trasmesse alla televisione, raccontate alla radio, descritte nei romanzi, mostrate nelle riviste, riferite nei quotidiani e disegnate nei fumetti, ci si rende conto che, ovunque si girino, gli italiani sono circondati sempre dalle stesse icone: fabbriche, palazzi, automobili, 27 Gli anni felici, in http://www.archividc.it/ASF/B28_20040212095209.asf  PENSO CHE UN SOGNO COSÌ NON RITORNI MAI PIÙ elettrodomestici, self service, oggetti di plastica, distributori di benzina, autostrade, cibi surgelati, abiti confezionati e così via. Ognuno, leggendo o guardando, sente di essere uguale alla rappresentazione del «medio e piccolo borghese, completamente ripulito e rivestito, alla guida di un’utilitaria o di una macchina sportiva»28, liberatosi definitivamente dalla vergogna delle sue origini e dall’impaccio del dialetto, pronto ad entrare di slancio nella civiltà industriale. Si forma allora un vero e proprio glossario dell’immaginario collettivo che delinea una nuova identità nazionale in cui vige la regola della realtà dei fatti. Il benessere nella sua dimensione di cultura materiale spinge a coltivare grandi aspettative «figlie della combinazione tra un passato ingiusto e ormai dichiarato anche ufficialmente tale, la velocissima e irripetibile, ma considerata normale, crescita innescatasi alla fine degli anni Quaranta, e le straordinariamente felici, ma eccezionali, rendite derivanti dal predominio dell’Occidente, dalla posizione strategica del paese al suo interno e dalla composizione demografica della sua popolazione […] Molti italiani volevano quindi “tutto” anche perché avevano avuto in passato assai poco, avevano appena ricevuto molto, molto di più gli era stato promesso e sembrava che ci fossero tutte le condizioni perché quelle promesse, e altre ancora, fossero mantenute»29. Ma se i nonni di Venezia avevano la certezza di aver lasciato ai loro familiari una vita migliore, le giovani coppie di allora, dopo altri cinquant’anni, hanno la consapevolezza che i figli vivono in un Paese in declino perché la loro generazione non è stata in grado, a differenza dei padri, di trasferire le aspettative del Boom economico alla Globalizzazione. 28 G.P. Brunetta, Il cinema legge la società italiana, in F. Barbagallo (cur.), Storia dell’Italia repubblicana. La trasformazione dell’Italia. Sviluppo e squilibri, vol. 2, tomo II, Torino, Einaudi, 1995, p. 830. 29 G. Amato, A. Graziosi, Grandi illusioni. Ragionando sull’Italia, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 87-88.