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Lo Stradivari che ha per nome Milanollo

«Il Saviglianese», 2 maggio 2012

La storia del violino realizzato nel 1728 da Antonio Stradivari e dai figli Francesco ed Omobono, in uso a Giovanni Battista Viotti e poi ceduto nel 1794 a Domenico Dragonetti (che lo lascia in prestito anche a Niccolò Paganini) e da quest'ultimo legato alla sua morte, avvenuta nel 1846, alla violinista diciannovenne Teresa Milanollo. Il violino porta il nome di «Dragonetti-Milanollo» dai suoli due principali proprietari.

10 mercoledì 2 maggio 2012 L o scrive Diwo: tenere in mano lo Stradivari «Dragonetti Milanollo» è una grandissima emozione.Anche per chi scrive, che senza merito musicale alcuno si è trovato, nell’ottobre del 2004, ad impugnare, anche se solo per un attimo, un così importante strumento musicale. Lo ha fatto nell’occasione delle celebrazioni saviglianesi organizzate dagli «Amici della Musica» di Ubaldo Rosso per il centenario della morte di Teresa Milanollo. Presenti interpreti del calibro di Corey Cerovsek, Sonig Tehakerian, Lorenza Bollani e Rrok Jakaj, studiosi e tecnici del livello di Claude Lebet, Claudio Amighetti e Francesca Peterlongo. Grazie alla lungimiranza di Pascal Nicod e Antonio Scalettaris, proprietari degli Stradivari «Dragonetti Milanollo» ed «Hembert Milanollo». Una grandissima emozione! l’approfondimento Un noto novelliere francese, Jean Diwo, guarda con gli occhi dello stupendo strumento musicale che Domenico Dragonetti regalò aTeresa Milanollo e racconta, col fascino discreto del non visto, la storia del violino e dei diversi passaggi di proprietà mento a corde subisce in buona parte del Settecento. È certo che per alcuni anni, nell’ultimo ventennio del secolo, il violino è in uso al piemontese Giovanni Battista Viotti, che lo utilizza sul finire della carriera, prima di dedicarsi alla composizione. Nel 1794 lo Stradivari viene ceduto al trentunenne Domenico Dragonetti, contrabbassista di grande prestigio, che proprio in quell’anno si stabilisce a Londra dopo essersi conquistato ampia fama internazionale. Il violino rimane a lungo tra i suoi beni; a tratti è anche utilizzato da Niccolò Paganini, colui che rappresenta in Europa l’espressione più alta della creatività italiana. È uno strumento giudicato di grandissimo valore, di incredibile sonorità, ed indicato come «il capolavoro» della bottega di liutai. Per oltre mezzo secolo Dragonetti lega il proprio nome alla fama del violino. Non esita a concederlo all’uso «vellu- tato» di Teresa Milanollo, una fanciulla italiana che sta imponendosi, con la sorella Maria, all’attenzione del pubblico musicale europeo. Le due riescono anche ad adombrare la celebrità del più anziano Paganini, la cui attività volge ormai al termine. Alla sua morte, avvenuta nel 1846, Dragonetti lega come propria erede, per quanto riguarda lo strumento, la giovanissima (appena diciannovenne) Teresa Milanollo. Che lo utilizzerà per piangere, due anni dopo, l'addio al connubio colla piccola Maria, accompagnandosi poi con esso, ufficialmente, sino al 1857. Ne farà uso, in seguito, sempre più raramente, per i concerti benefici dei quali si farà promotrice. Il medesimo violino la seguirà anche nel viaggio saviglianese del 1888 quando, prima presso l’auditorium di casa Villa e poi in palazzo Taffini, farà eccheggiare le proprie note. La accompagnerà anche in tutte le fotografie che la rappresenteranno nel corso della sua maturità. Dopo la sua morte, nel 1904, il violino viene destinato dal marito, il generale Teodoro Parmentier, alla londinese «Hill & Sons», la più importante ed esperta azienda al mondo di violini. Lo strumento, in omaggio ai due personaggi che più a lungo l'hanno avuto in proprietà, viene definito «Dragonetti-Milanollo». Per circa mezzo secolo -così come lo era già stato in precedenza- lo Stradivari rimane muto. Le sue note solo raramente tornano a risuonare in sale di concerto e nei teatri. Nel 1961 lascia l’Inghilterra per l’India, destinato a Bombay, in uso ad un misterioso Ratnagar, del quale le cronache non svelano se trattasi di facoltoso proprietario o musicista. Non rimane molto: due o tre anni dopo, o poco più, prende la strada della Francia, destinato al tocco di Sylvie Gazeau, promessa violinista di origine nizzarda. Con il «Dragonetti-Milanollo» vince alcuni premi. Ma lo strumento torna a cambiare proprietà. Nel 1967, infatti, viene acquistato da Christian Ferras, che alternandolo ad altro celebre violino, il «Präsident», lo usa sino alla sua morte, nel 1982. Per un lustro, ed anche più, per lo strumento si riaffaccia l'inattività. Soltanto nel 1990 lo ripren- LO STRADIVARI CHE HA PER NOME MILANOLLO di Luigi Botta S i tratta di un gioco sottile, affascinante e raffinato: prendere un oggetto antico, individuare il percorso compiuto dal medesimo dalle origini ad oggi, seguire passo passo ogni suo passaggio, narrare nel dettaglio quanto successo e far entrare nel racconto, in prima persona, l'oggetto stesso facendolo diventare l'elemento intorno al quale ruota il mondo intero. Approfittare del racconto, poi, per parlare dell'oggetto ma anche e soprattutto per approfondire, seppure con il tono della novella, il gioco del tempo e dei personaggi che sono ruotati intorno all'oggetto. Un gioco forse intellettuale, è vero, ma quando a farlo è Jean Diwo, notissimo novellista francese con all'attivo successi strepitosi, e l'oggetto di qui si scrive è un violino, uno di quegli Stradivari più famosi al mondo -che prende il nome di «Dragonetti-Milanollo»-, allora il racconto si fa interessante e la narrazione, seppure popolare e da «lettura», diventa uno spunto utile per approfondire un argomento e per conoscere eventi e personaggi che hanno fatto la storia musicale del Sette-Otto-Novecento. Gli elementi della storia. Jean Diwo, classe 1914, è un giornalista che compie la propria carriera attraverso «Paris Soir», «Paris Match» e «Tele 7 Jours». Comincia a scrivere libri nel 1981 e pubblica per primo «Lipp» con l'editore Denoël. Un bestseller amato dalla critica e dal pubblico. Scrive poi altri racconti, diciannove in tutto, uno dei quali, nel 1990, «Les Violons du roi», narra dei violini dei liutai di Cremona, e l'altro, quello di cui si scrive, «Moi, Milanollo, fils de Stradivarius», nel 2007 per l'editore Flammarion, racconta le vicende dello stupendo Stradivari rimasto per oltre mezzo secolo nella mani delicate della saviglianese Teresa Milanollo. • Insieme ad un particolare del «Dragonetti-Milanollo» si mostrano una litografia di Teresa Milanollo ed una fotografia del canadese Corey Cerovsek che impugnano il celeberrimo Stradivari. Il violino. Nasce nel 1728 dal genio dell'ebanista Antonio Stradivari, realizzato con l’aiuto dei figli Francesco ed Omobono. Non è noto chi per primo lo abbia suonato, nè i passaggi che lo stru- de in mano il musicista e concertista Pierre Amoyal, che lo utilizza in tutto il mondo per circa un decennio. Lo cede poi ad una personalità della quale identità e nazionalità sono sconosciute, che nel volgere di poco lo lascia ad altro personaggio, del quale si sa essere italiano. In tempi recenti, infine, viene acquistato dall’attuale proprietario, il cardiochirurgo svizzero Pascal Nicod, un vero mecenate, il quale lo destina in uso gratuito al giovane violinista canadese Corey Cerovsek. Il libro. Jean Diwo ripercorre, con discorsi diretti, citazioni ed aneddoti, tutta la brillante storia del violino. Per finire proprio con Cerovsek. Con un incontro che non appartiene più al romanzo. Ma è realtà. Lo vede a Parigi. «Je vous laise imaginer -scrive Diwol'émotion de l'écrivain qui échafaude depuis plus d'un an l'histoire d'un grand Stradivarius et qui se trouve invité, comme par miracle, à l'admirer, à le toucher, à l'entendre sonner dans son salon». Sono le ultime parole delle quasi 400 pagine del libro. È il periodo in cui Cerovsek è a Savigliano, con lo Stradivari, a celebrare le sorelle Milanollo.