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G. SAVONAROLA, Rime, a cura di G. TUCCINI (review)

M. Lodone, recensione di G. SAVONAROLA, Rime, a cura di G. TUCCINI, Genova, Il Melangolo, 2015, «Rivista di storia e letteratura religiosa», LIII, 2017, pp. 187-189

In questo agile ed elegante volumetto Giona Tuccini, professore di Letteratura italiana alla University of Cape Town, ha raccolto e annotato le quattordici poesie a noi note sicuramente ascrivibili a Girolamo Savonarola. Il curatore ha seguito la lezione critica e il canone di autenticità solidamente stabiliti nel 1968 da Mario Martelli e sostanzialmente confermati pochi anni dopo – sulla base del ritrovato zibaldone autografo noto come codice Borromeo – da Giulio Cattin. Si tratta nel complesso di sei canzoni, tre sonetti e cinque laude databili tra il 1472 e il 1484 circa.

RECENSIONI G. Savonarola, Rime, Genova, Il Melangolo, 2015 (nugae 212), pp. 260. In questo agile ed elegante volumetto Giona Tuccini, professore di Letteratura italiana alla University of Cape Town, ha raccolto e annotato le quattordici poesie a noi note sicuramente ascrivibili a Girolamo Savonarola. Il curatore ha seguito la lezione critica e il canone di autenticità solidamente stabiliti nel 1968 da Mario Martelli e sostanzialmente confermati pochi anni dopo – sulla base del ritrovato zibaldone autografo noto come codice Borromeo – da Giulio Cattin.1 Si tratta nel complesso di sei canzoni, tre sonetti e cinque laude databili tra il 1472 e il 1484 circa. Savonarola nacque a Ferrara nel 1452 e giunse a Firenze trentenne, nel 1482: la sua fu dunque una produzione poetica giovanile, per lo più ferrarese e bolognese (a Bologna egli prese infatti, nel 1475, l’abito domenicano). Una produzione che precede, in altre parole, il suo incontro con la cultura iorentina – per quanto il codice Borromeo, databile al 1483-1485, fornisca prove inequivocabili del precoce interesse del frate per la tradizione letteraria e religiosa toscana.2 La parabola profetica e politica di Savonarola, ad ogni modo, ebbe inizio quando il domenicano aveva chiuso la sua attività poetica da circa un decennio. La tentazione anacronistica di leggere le rime alla luce della più celebre predicazione pubblica degli anni ’90 (o addirittura come «commento in chiave lirica» di essa) 3 è dunque senz’altro fuorviante. Nelle vivaci pagine introduttive (Fuoco vivo in carne dolorosa, pp. 5-73) Tuccini cede forse, talvolta, a tale tentazione; ad esempio laddove (p. 41) interpreta come anticipazione della predicazione profetica l’invito a «non pigliar impresa» del De ruina ecclesiae: un invito apocalittico alla fuga dal mondo che, a ben vedere, sembra invece, ecclesiologicamente e politicamente, agli antipodi rispetto al concreto impegno profetico dell’età “matura” per il rinnovamento della Chiesa e della cristianità tutta. Detto questo, bisogna riconoscere che nella vicenda savonaroliana i mutamenti e le rotture si intrecciarono a innegabili elementi di continuità. E in tal senso la linea di lettura unitaria dell’opera e della igura del frate prescelta dal curatore risulta condivisibile, nella misura in cui essa insiste soprattutto sulla dimensione mistica dell’esperienza religiosa di Savonarola (già al centro di una stimolante antologia curata da Adriana Valerio),4 sul suo «sogno vertiginoso di spartire con Gesù, la Vergine e Maria 1 Cfr. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.P.II.5, e G. Cattin, Il primo Savonarola. Poesie e prediche autografe dal codice Borromeo, Firenze, Olschki, 1973. 2 Cfr. R. Bessi, Girolamo Savonarola petrarchista (e una nota sul primo sogiorno iorentino), in G.C. Garfagnini (a cura di), Studi savonaroliani. Verso il V centenario, Firenze, SISMEL, 1996, pp. 137-147: 138-141. 3 D. Coppola, La poesia religiosa del secolo XV, Firenze, Olschki, 1963, p. 152. 4 G. Savonarola, Fede e speranza di un profeta. Pagine scelte, a cura di A. Valerio, Milano, Paoline, 1998. 188 RECENSIONI Maddalena – presenti sul Calvario – i momenti determinanti dell’opera cristica: la crociissione e il trapasso» (p. 61). «O Croce, fammi loco / e le mie membra prendi»: l’ansia di martirio che ispira la Laude al crociisso (p. 174) e quasi tutta la produzione poetica raccolta nel volumetto accompagnò infatti il frate ferrarese, indubbiamente, ino alla sua drammatica ine. Questo ilo rosso andrà tenuto presente anche studiando la predicazione pubblica e profetica del frate nel carattere complesso che di fatto ebbe. Nondimeno, per una valutazione equilibrata dei rapporti tra il Savonarola «moralista» 5 dei primi componimenti (De ruina mundi e De ruina ecclesiae), il ‘mistico’ delle altre rime e dei vari trattatelli spirituali (tra cui soprattutto il Trattato dell’amore di Gesù, composto nel 1492) e il profeta dei grandi cicli degli anni 1494-1498, sarà importante chiarire caso per caso il preciso signiicato di espressioni e stilemi solo apparentemente identici, ma in realtà molto diversi a seconda del contesto, dei destinatari e delle inalità che portarono l’autore ad usarli (basti pensare alla situazione evidentemente eccezionale nella quale nella primavera del 1498 Savonarola, rinchiuso nel carcere dell’Alberghetto e in attesa della propria esecuzione, si trovò a comporre il commento Miserere). Particolarmente opportune risultano quindi le note, rigorose e puntuali, apposte da Tuccini ai singoli componimenti, dei quali sono indicati anzitutto i testimoni e le eventuali edizioni a stampa, realizzate in alcuni casi (cfr. i numeri V, X, XI e XII) quando il frate era ancora in vita. Alla contestualizzazione storica e all’analisi metrica il commento ai testi aggiunge quindi una sistematica ricognizione delle fonti. Tra queste, domina incontrastato il Petrarca del Canzoniere e dei Triumphi. Il peculiare petrarchismo di Savonarola non era, naturalmente, sfuggito alla critica. A Tuccini si deve tuttavia uno spoglio esaustivo dei riferimenti e una chiara e coerente riformulazione della proposta interpretativa – che fu già di Vittorio Rossi – del travestimento spirituale di Petrarca come espediente «atto ad agevolare la difusione delle liriche spirituali» attraverso forme familiari al pubblico colto 6 (ferma restando la fondamentale svalutazione da parte di Savonarola della poesia quale forma espressiva intrinsecamente profana, come chiarito nell’Apologeticus de ratione poeticae artis). Preziose risultano anche, in tal senso, le indicazioni fornite nell’introduzione (pp. 14-17) sulla dimensione musicale dell’eredità poetica savonaroliana: un’eredità soprattutto apocrifa, poiché gli schemi metrici adottati da Savonarola non furono quelli prediletti dai musici del tempo. Alla bibliograia sull’argomento segnalata dal curatore ci si limita qui ad aggiungere l’ampia antologia curata nel 1999 da Patrick Macey; 7 mentre la testimonianza di Benedetto Luschino sull’attività musicale e poetica del giovane Savonarola – citata indirettamente, sulla scorta della biograia di Ridoli, nella Cronologia della vita che chiude il volume (pp. 213-245: 213) – si può ora leggere integralmente nell’edizione critica dei Vulnera diligentis curata da Stefano Dall’Aglio.8 Michele Lodone 8 5 Cfr. D. Weinstein, Savonarola. Ascesa e caduta di un profeta del Rinascimento [2011], trad. it. Bologna, il Mulino, 2013, pp. 17-27 (cap. I: La formazione di un moralista). 6 Cfr. V. Rossi, Il Quattrocento [19332], aggiornamento a cura di R. Bessi, introd. di M. Martelli, Milano-Padova, Vallardi-Piccin, 1992, p. 449. 7 Savonarolan Laude, Motets, and Anthems, ed. by P. Macey, Madison, A-R Editions, 1999. 8 Cfr. B. Luschino, Vulnera diligentis, a cura di S. Dall’Aglio, Firenze, SISMEL, 2002, p. 19 («Ancora da gharzoncello, per causa di non si inirmare per li molti & assidui studii, RECENSIONI 189 Giorgio Caravale, Storia di una doppia censura. Gli Stratagemmi di Satana di Giacomo Aconcio nell’Europa del Seicento, Pisa, Edizioni della Normale, 2013, pp. 247. Il volume che qui si recensisce ofre molto più di quanto il titolo annunci. L’analisi della «doppia censura» secentesca degli Stratagemata Satanae di Giacomo Aconcio è in realtà un pretesto per illustrare la profonda risonanza europea che gli scritti degli «eretici italiani» cinquecenteschi ebbero nell’Europa di età moderna e per mostrare il ruolo vitale da essi svolto nel faticoso cammino verso la libertà religiosa. Non a caso larga parte della ricerca è dedicata ad Aconcio e al suo tormentato percorso biograico fra Trentino, Impero, Svizzera e Inghilterra. Grazie a una minuziosa e ricca presentazione delle opere aconciane, le loro vicende secentesche vengono messe in prospettiva e comprese a partire dal signiicato che rivestirono nell’agone religioso e politico di metà Cinquecento. Queste pagine, che ofrono il punto della situazione a sessant’anni dalla prima e ultima biograia di Aconcio, quella di Charles O’ Malley del 1955, e a settanta dalla pubblicazione delle sue opere a cura di Giorgio Radetti, rappresentano uno scorcio eicace della proposta religiosa avanzata da questi pensatori italiani, alieni da ogni ortodossia e compromesso. Come Caravale mostra eicacemente, il messaggio di Aconcio, trasmesso in primo luogo negli Stratagemata, condensa una rilessione tipicamente italiana, che ha radici nei dibattiti e nei confronti degli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento. Nell’invito a concentrarsi sugli aspetti fondamentali dell’annunzio cristiano, senza addentrarsi nei grovigli delle dispute teologiche, si percepisce la presenza di quella «dolce» religione propagandata dal fortunato Beneicio di Cristo, testo esemplare del latitudinarismo italiano di primo Cinquecento; qui risuonano gli echi non solo di Erasmo, ma di tutto un mondo di cui, al momento della stampa degli Stratagemata, non restava altro che il ricordo. E tuttavia per chi, come Aconcio, mosse i primi passi del suo cammino religioso negli anni Quaranta del Cinquecento e pubblicò molte delle sue opere a Basilea, nell’oicina di Pietro Perna, quel richiamo erasmiano al «cielo aperto», accogliente per grazia divina, doveva parere ancora irresistibile, anzi l’unico antidoto possibile alla situazione di chiusura instauratasi dopo gli eventi degli anni Cinquanta (la pace di Augusta, il papato di Paolo IV, il fallimento del Concilio di Trento, tanto per citare i fatti più densi di signiicato). Di certo, rispetto al contesto italiano di primo ’500, gli scritti di Aconcio denunciavano anche scarti decisivi, a partire dalla esibita dichiarazione di appartenenza confessionale che essi contenevano. Agli albori dell’età della confessionalizzazione, non c’era più spazio per ambiguità e per colori intermedi tra il bianco della fede e il nero dell’eresia. La critica spietata del papa-Anticristo, secondo la più conservatrice tradizione protestante, e l’insistita presa di posizione nel campo della Riforma celavano però elementi dottrinali che cozzavano contro questa corazza di ortodossia. Non si trat- imparò a sonare alcuno musicale & honesto strumento per passarsi tale hora solitariamente honesto tempo, per cagione più presto di medicina che di corporale sollazzo»). Una minima integrazione bibliograica anche al commento: su Pietro Riario – nel quale l’autore identiica in modo convincente il «satirico mattone» di De ruina mundi, v. 23 (p. 86) – cfr. P. Farenga, «Monumenta memoriae». Pietro Riario fra mito e storia, in M. Miglio (ed.), Un Pontiicato ed una città. Sisto IV (1471-1484), Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1986, pp. 179-216.