BREVITAS
PERCORSI ESTETICI TRA FORMA BREVE
E FRAMMENTO NELLE LETTERATURE
OCCIDENTALI
a cura di Stefano Pradel e Carlo Tirinanzi De Medici
Università degli Studi di Trento
Dipartimento di Lettere e Filosofia
LABIRINTI 176
QUADERNI
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Labirinti
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COMITATO SCIENTIFICO
Pietro Taravacci (coordinatore)
Università degli Studi di Trento
Andrea Comboni
Università degli Studi di Trento
Caterina Mordeglia
Università degli Studi di Trento
Paolo Tamassia
Università degli Studi di Trento
Il presente volume è stato sottoposto a procedimento di peer
review.
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Collana Labirinti n. 176
Direttore: Pietro Taravacci
Segreteria di redazione: Lia Coen
© Università degli Studi di Trento-Dipartimento di Lettere e Filosofia
Via Tommaso Gar 14 - 38122 TRENTO
Tel. 0461-281722 - Fax 0461 281751
http://www.unitn.it/lettere/14963/collana-labirinti
e-mail: editoria@lett.unitn.it
ISBN 978-88-8443-805-8
BREVITAS
PERCORSI ESTETICI TRA FORMA BREVE
E FRAMMENTO NELLE LETTERATURE
OCCIDENTALI
a cura di
Stefano Pradel e Carlo Tirinanzi De Medici
Università degli Studi di Trento
Dipartimento di Lettere e Filosofia
SOMMARIO
CARLO TIRINANZI DE MEDICI, Breve/lungo. Declinazioni letterarie di due radicali cognitivi
7
I. ESPLORAZIONI STORICO-TEORICHE
IRÈNE KRISTEVA, Le fragment: l’opus hoc tenue par
excellence
ADALGISA MINGATI, Forma breve e narrazione a
cornice: le ‘serate’ o ‘veglie’ nella prosa russa
(1770-1840)
MARTA AGUDO, El poema en prosa y su presunta
brevedad
INJAZETTE BOURAOUI MABROUK, S’écrire dans l’intranquillité et le trouble du fragment: le cas de Jacques
Dupin
49
67
87
101
II. LE FORME BREVI DELLA POESIA
GIULIANA CALABRESE, Breves poemas sin poeta: el
haiku en la poesía española contemporánea
ENRICO RICCARDO ORLANDO, I Frammenti di Giovanni
Boine
ERIK PESENTI ROSSI, La poesia di Mario Novaro: una
filosofia breve?
JASMINE BLASIOTTI, «Gusci» di poesia nell’Harmonium
di Wallace Stevens
JACOPO GALAVOTTI, La costanza del dolore nel libro di
una vita: Casa e campagna di Umberto Saba
JORDI DOCE, Contra la muerte. La escritura breve en
Elias Canetti
STEFANO PRADEL, Léxico de la ruina: Al dios del lugar
de J.Á. Valente
117
135
161
181
197
215
227
III. LE FORME BREVI DELLA PROSA
FLAVIA PALMA, La manipolazione della brevitas novellistica nelle Cene del Lasca
NICOLÒ RUBBI, La rotondità della sfera e l’economia
della parola. Alcune considerazioni sulla brevità del
racconto tra Borges e Cortázar
CARLO TIRINANZI DE MEDICI, Al di qua e al di là del
romanzo. Forme brevi e tensione unitaria nella narrativa italiana degli anni Ottanta
PAOLO GERVASI, Pulsazioni della coscienza. Forma
breve ed emozioni primarie nella scrittura di Michele Mari
ANTONIO COIRO, Una storia «distratta e interrotta»: il
racconto frammentario di Piove all’insù di Luca Rastello
STEFANO PRADEL, Un tentativo di chiusura, un tentativo
di apertura
243
269
281
317
347
357
CARLO TIRINANZI DE MEDICI
BREVE/LUNGO. DECLINAZIONI LETTERARIE
DI DUE RADICALI COGNITIVI
Questo volume raccoglie una scelta degli interventi presentati durante il Convegno internazionale Brevitas. Percorsi estetici
tra forma breve e frammento nelle letterature occidentali, tenutosi presso l’Università di Trento tra il 4 e il 6 novembre 2015 e
promosso dal Seminario permanente di poesia diretto da Pietro
Taravacci e Francesco Zambon. I curatori hanno poi deciso di
aggiungevi altri scritti, composti appositamente per la pubblicazione di questo volume, nel tentativo, se non di completare un
quadro caratterizzato da numerose sfaccettature impossibili da
esaurire nello spazio esiguo di una raccolta di saggi, almeno di
arricchirlo, evidenziando altri e diversi aspetti del problema che
le forme brevi pongono agli studiosi di storia e teoria letteraria.
Gli interventi coprono svariate tradizioni letterarie (e segnatamente quelle russa, spagnola, americana, sudamericana, francese, italiana), mentre l’arco cronologico pur andando dal Rinascimento alla contemporaneità, con una predilezione evidente
per gli ultimi due secoli: se Flavia Palma offre uno sguardo sulle novelle italiane del Rinascimento e da lì disegna un quadro
per la comprensione della narrativa breve a quell’altezza storica
– uno dei periodi più vitali per questa forma –, gli altri interventi prediligono affrontare il problema che le forme brevi pongono
alla modernità. Questo probabilmente perché la forma breve ha
acquisito una rilevanza tutta peculiare in epoca postromantica.
Ma per comprendere appieno questa peculiarità bisogna osservare le fortune di questa modalità espressiva nel passato.
8
Carlo Tirinanzi De Medici
Nelle pagine seguenti vorrei proporre una rapida ricognizione del problema da un’ottica teorica e storica. Vorrei affrontare
il tema del volume opponendo ‘lungo’ a ‘breve’. Questa coppia
è fondamentale per lo studio e la comprensione dei testi, direi
anzi che è anteriore anche alle distinzioni tra generi discorsivi –
poesia e prosa, ad esempio. Troviamo forme lunghe e brevi in
tutti i domini testuali, e anzi dividere i testi in forme lunghe e
brevi prima che in prose o poesie permette – vedremo che ciò
era già stato fatto da diversi scrittori e critici – di associare oggetti testuali distanti, come la lirica moderna e la short story,
con risultati molto interessanti. Perché considerare l’opposizione breve-lungo come anteriore ad altre opposizioni ben stabilite dalla critica? Innanzitutto – e qui sarà d’obbligo una piccola
deviazione nel campo delle scienze biologiche – perché essa è
intrinseca al nostro modo di percepire il mondo: breve/lungo,
prima ancora di essere un determinante formale di ogni testo, è
un’opposizione più basilare, che coinvolge il modo in cui si
struttura la cognizione.
1. Radicali cognitivi
Gli studi letterari recenti si sono spesso dedicati all’intersezione tra competenze letterarie e neuroscienze.1 Alcuni tra i
critici, specie tra quelli angloamericani, sembrano eccessivamente entusiasti delle conquiste neuroscientifiche, finendo per
avallare implicitamente un’impostazione riduzionistica che non
è ancora pienamente confermata dai dati sperimentali e che
1
Cfr. Calabrese 2009, il capitolo relativo di Ceserani 2010, Casadei 2011
e Calabrese 2016 per delle robuste introduzioni in lingua italiana; Stockwell
2002 per analogo lavoro in lingua inglese. Ballerio 2010 rende conto del panorama teorico sotteso a tali interazioni; tra i capisaldi delle varie declinazioni
(dalla narratologia cognitiva alla poetica cognitiva, fino al rapporto tra letteratura ed evoluzione) si vedano Tsur 1977 e 1992; Turner 1996; Jahn 1997;
Stockwell 2009; Austin 2010; Burke 2011.
Breve/lungo
9
dunque richiederebbe maggior prudenza.2 Tuttavia l’eccessivo
entusiasmo con cui sono state avviate tali linee di ricerca a cavallo di umanesimo e scienze biologiche, se pure può legittimamente far sospettare una di quelle infatuazioni interdisciplinari con cui la critica e la teoria letteraria da un quarto di secolo
cercano di rintuzzare i fantasmi della propria incipiente inutilità,
non può farci buttar via il bambino con l’acqua sporca.3 Il rapporto tra forme lunghe e brevi ne è un ottimo esempio.
È assodato, ormai, che le funzioni psichiche più complesse
sono legate al funzionamento di determinate reti neurali: le unità
neuronali sono organizzate in moduli, dotati di ricca connettività interna, a loro volta connessi ad altri moduli più distanti.4
Queste connessioni a lungo raggio compongono diverse reti
neurali, identificate negli umani tramite risonanza magnetica
funzionale, una tecnica non invasiva che consente di rilevare il
livello di attivazione delle diverse aree cerebrali durante compiti
specifici. Delle molte reti finora identificate sono interessanti
per questo discorso il default mode network e il frontoparietal
2
Tra i sospettosi si può annoverare Kelleter 2007, sebbene leggermente
apocalittico, ma diversi motivi spingono per una valutazione prudente di
un’area di studio tutt’ora molto attiva e lontana da certezze. Per dirne una,
ancora non si ha una mappa completa e affidabile del connettoma, cioè delle
connessioni cerebrali formate dai neuroni. Per dirne un’altra, visti i numeri in
ballo – ci sono approssimativamente cento miliardi di neuroni che formano
un numero di sinapsi stimato tra i cento milioni di miliardi e il miliardo di
miliardi – e una certa varianza, intrinseca in un sistema tanto complesso, sono
possibili variazioni anche significative nel funzionamento cerebrale degli
individui (la neuropsichiatria sta introducendo infatti sempre più spesso il
concetto di spettro per indicare questa varianza nel funzionamento psichico);
questo implica una marcata complessità del fenomeno: il che potrebbe anche
condurre a una visione probabilistica più vicina ai sistemi caotici di quanto i
fieri sostenitori dell’univocità tra struttura biologica e comportamento non
vorrebbero, il che a sua volta farebbe rientrare in gioco una struttura ulteriore
– se non si vuole chiamarla psiche tanto peggio – la quale non può essere
definita esclusivamente dai suoi singoli costituenti.
3
Un esempio interessante è quello di Calabrese 2013, sull’intersezione tra
retorica e neuroscienze, che può anche essere un eccellente sfondo di quanto
esposto qui di seguito.
4
Per un’introduzione cfr. Park e Friston 2013.
10
Carlo Tirinanzi De Medici
control network. Il primo, che rispetto agli altri possiede connessioni strutturali più dirette,5 comprende la corteccia mediale
prefrontale, la corteccia cingolata posteriore, i giri frontali superiore e inferiore, i lobi temporali mediali e laterali e l’area posteriore del lobulo parietale inferiore,6 ed è coinvolto nelle attività
di pensiero spontaneo – self-generated thought, ossia non vincolato agli accadimenti esterni –, regolando la cognizione rivolta
all’interno7 comprese l’immaginazione e la creatività.8
Il network di controllo frontoparietale (che coinciderebbe
con il network di controllo esecutivo, quello cioè che regola le
funzioni esecutive),9 invece, comprende la corteccia prefrontale
laterale, il precuneo, la porzione anteriore del lobulo parietale
inferiore e l’insula anteriore10 e pare intervenga per regolare il
funzionamento del default mode network e del network d’attenzione dorsale.11 Inoltre esso si attiva quando è necessario integrare informazioni complesse per lunghi lassi di tempo,12 o più
in generale quando c’è un’aumentata richiesta di attenzione per
processare elementi in conflitto.13
Nonostante i primi studi abbiano rilevato che compiti più
complessi sono associati con una minore attività del default mode network,14 più di recente si è capito che quest’ultimo ha
un’attività importante in certi compiti cognitivi finalizzati (goaloriented), tra cui l’immaginazione del futuro e la costruzione di
scene mentali, insomma nell’integrazione di informazioni relative a episodi differenti che richiedono al soggetto un’attenzione
5
Horn 2014.
Buckner et al. 2008.
7
Corbetta et al. 2002, Fox et al. 2005; Andrews-Hanna 2012.
8
Andrews-Hanna et al. 2014; Raichle 2015.
9
Per questo legame cfr. Spreng et al. 2013.
10
Vincent et al. 2008; Spreng et al. 2010; Niendam et al. 2012.
11
Spreng et al. 2010; Spreng e Schacter 2011; Spreng et al. 2013.
12
Velanova et al. 2003; Yarkoni et al. 2005; Dosenbach et al. 2006.
13
Koechlin et al. 1999; Kroger et al. 2002; Crone et al. 2006.
14
Lawrence et al. 2003; McKiernan et al. 2003.
6
Breve/lungo
11
sostenuta, ma non relativa alle percezioni immediate.15 In particolare uno studio recente ha mostrato la rilevanza del default
mode network per la formazione di una trama (plot formation):16
Tylén e colleghi hanno sottoposto ai soggetti delle storie divise
in episodi (la continuità tra gli episodi le rendeva «storie coerenti»); tra un episodio e l’altro veniva sottoposta una storia diversa, priva di collegamento con la storia principale (la «storia incoerente»). I soggetti dovevano poi rispondere a delle domande
relative ad elementi relativi al plot e ad elementi incidentali o
irrilevanti per il plot delle storie coerenti e incoerenti. I risultati
hanno dimostrato che nei testi «incoerenti» (cioè frammentari o
interrotti, in cui non c’è un plot sviluppato) è maggiore l’attenzione e la memoria per i contenuti incidentali e descrittivi; nei
testi «coerenti» invece si memorizzano principalmente gli elementi rilevanti per la trama. Episodi il cui contenuto non consente la, o resiste alla, integrazione a lungo termine (come ad
esempio l’integrazione in una trama coerente) fanno sì che
l’attenzione diventi meno selettiva e si tenda a ricordare di più
fatti o episodi incidentali e inessenziali. Non a caso – e qui si
spiegano forse anche i risultati degli esperimenti più datati – «le
aree entro il default mode network mostrano una deattivazione
parametrica [il termine qui sta grosso modo per “inversamente
proporzionale”] man mano che aumenta la complessità relazionale» del compito:17 l’integrazione compiuta dal default mode
network funziona sì per i compiti sostenuti per più tempo, ma
solo per quelli che richiedono una certa semplicità associativa,
come la ricostruzione di una storia dotata di trama lineare, coerente.
Un altro studio, che ha rilevato il ruolo di regioni subcorticali
nella risposta a situazioni imprevedibili, nelle quali le attese del
soggetto risultano violate, ha segnalato tra le strutture attivate in
15
Smallwood 2013; Smallwood et al. 2013; Hassabis, Maguire 2007;
Schacter, Addis 2007; Spreng et al. 2009.
16
Tylén et al. 2015.
17
Hearne 2015.
12
Carlo Tirinanzi De Medici
queste circostanze anche parti connesse al network di controllo
frontoparietale:18 insomma in caso d’incertezza è quest’ultimo
ad attivarsi, indicando che c’è una modulazione dell’attività
neurale e della connettività cerebrale tra network di controllo e
default mode, in una sorta di segregazione funzionale tra i due
(almeno per il compito del plot formation: per il resto altri riscontri suggeriscono che possa esserci una cooperazione, o almeno che non ci sia un vero e proprio antagonistmo).19 Questa
segregazione funzionale è piuttosto interessante, perché conferma che testi strutturalmente diversi richiedono attività mentali
molto diverse. L’esperimento di Tylén e colleghi mette a confronto una serie di episodi collegati con un insieme di altri episodi slegati, il che dal punto di vista della fruizione (sostenere
l’attenzione per lunghi lassi di tempo, oppure concentrarsi per
periodi relativamente brevi) corrisponde a confrontare un testo
lungo con un testo breve. Quindi in caso di testi brevi, o – aggiungerei – di testi lunghi ma composti di elementi slegati e incoerenti (almeno a un livello superficiale, come quello della
trama), si attiva un sistema cerebrale distinto da quello in azione
quando il soggetto si trova davanti a testi lunghi, coerenti e lineari. Insomma come la letteratura ha i suoi «radicali di presentazione» che organizzano il discorso,20 breve/lungo sono radicali cognitivi, per così dire, che organizzano la nostra comprensione del mondo.
2. Declinazioni letterarie
Le conoscenze neurofisiologiche non possono essere prese a
scatola chiusa e applicate meccanicamente al sistema letterario.
Anche nel caso del rapporto tra letteratura e scienza bisognerebbe ricordare l’intuizione che Fredric Jameson ha ripreso dagli
studi di Althusser e Balibar,21 per cui la (sovra)struttura lettera18
Mestres-Missé 2017.
Cfr. Hearne 2015.
20
Frye 1957, 328.
21
Cfr. Jameson 1981.
19
Breve/lungo
13
ria gode di una semiautonomia rispetto alla struttura economica.
Rispetto tanto all’economia quanto alle neuroscienze, il letterario è un campo culturale governato da dinamiche sue proprie22
che solo parzialmente rispondono ai condizionamenti (economici o fisici: non importa) esterni al campo. Non solo perché i fatti
letterari allo stato brado, così come li troviamo nella storia e
nella società, sono affatto diversi – e molto più complessi – di
quelli utilizzabili in esperimenti scientifici (ad esempio le storie
coerenti selezionate da Tylén erano storie particolarmente avvincenti: delitti violenti ripresi dalla rubrica di un tabloid «conditi con sesso, droga e rock’n’roll», secondo le parole degli autori stessi), ma anche perché il vecchio ma sempre utile concetto
di «letterario» è intrinsecamente più complesso della somma
delle sue parti (una trama, uno stile, una poetica ecc.).
Del resto se la sperimentazione scientifica si basa sulla massima purificazione dell’oggetto, così da eliminare il più possibile i fattori confondenti, il letterario forse è composto proprio di
fattori confondenti – l’ambiguità, o l’incertezza, essendo uno
dei suoi fondamenti.23 I radicali cognitivi una volta traslati nel
campo letterario diventano parte di forme simboliche specifiche
di diverse altezze storiche che entrano a far parte di un determinato sistema letterario. Da questo punto di vista la letteratura
prende e rielabora – adatta, o meglio forse declina – un radicale
cognitivo esattamente come fa con le convenzioni letterarie del
passato, o con le precomprensioni che ogni società ed epoca
porta con sé. Si può operare allora – senza revocare la validità di
altri approcci, ovviamente – un discrimine, indipendentemente
dai radicali di presentazione che organizzano il materiale, sulla
base della coppia breve/lungo, organizzando le forme concrete
sulla base di questa opposizione. Una mossa non così sorprendente: anche con il solo buon senso è logico distinguere tra le
opere che possono essere fruite in un’unica seduta, come la
maggior parte delle liriche moderne o un racconto, da quelle che
22
23
Cfr. Bourdieu 1992.
Cfr. Empson 1956, Serpell 2014.
14
Carlo Tirinanzi De Medici
richiedono più sedute – come «il tempo lungo del romanzo» –,24
una distinzione già evidenziata da Paul Zumthor, per il quale la
brevitas è legata a un modello formale che prevede una corrispondenza con il tempo del testo.25
Dal punto di vista della ricezione, stanti le conoscenze neurofisiologiche sopra riassunte, è un collegamento ovvio, ma gli
autori stessi la vedevano in modo analogo da molto prima che
esistessero le risonanze magnetiche: già E.A. Poe nella Filosofia
della composizione (1842) sottolinea la necessità di poter fruire
l’opera poetica in un’unica seduta e osserva che la stessa regola
è valida per le short stories. L’associazione poesia-racconto
(dove “poesia” vale primariamente come sinonimo della forma
centrale della poesia moderna: la lirica)26 è suggerita anche da
Alberto Moravia che nel suo saggio, nato come prefazione
all’antologia Racconti italiani uscita per Lerici, sosteneva che
«il racconto si avvicina alla lirica»27 anche grazie alla sua struttura «disossata»28 che rende la forma-racconto «più pura, più
lirica, più assoluta di quella del romanzo».29 Ciò che è interessante non è la distinzione tra racconto e romanzo, assai diffusa
nelle riflessioni su questi generi, ma l’associazione tra racconto
e lirica. Moravia e Poe sono autori di racconti molto efficaci, e
tra coloro che si dedicano a quest’arte posizioni simili sono diffuse. Si pensi a Raymond Carver, per il quale tra le sue storie
(appunto, quasi sempre brevi o brevissime) e le sue poesie non
correva grande differenza.30 Un autore notoriamente allergico al
24
Zublena 2018
Zumthor 1982, 4.
26
Cfr. Mazzoni 2005.
27
Moravia 1957, 277.
28
«la principale differenza e fondamentale, tra il racconto e il romanzo, è
quella dell’impianto o struttura della narrazione [...] Il romanzo insomma ha
un’ossatura che lo sostiene dalla testa ai piedi; il racconto invece per così
dire, è disossato», ivi, 275.
29
Ibidem.
30
In un’intervista del 1984 con con Larry McCaffrey e Sinda Gregory dichiara: «To me, the process of writing a story or a poem has never seemed
very different» (Gentry, Stull 1990, 106; analoghe dichiarazioni rilasciate
25
Breve/lungo
15
romanzo come Calvino ci ricorda che il valore della «rapidità»,
dell’economia espressiva, consente di ottenere il «massimo
d’efficacia narrativa e di suggestione poetica».31 Poco oltre durante la sua lezione americana aggiunge:
Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo
scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile […]. Certo la lunghezza o la
brevità del testo sono criteri esteriori, ma io parlo d’una particolare
densità che, anche se può essere raggiunta pure in narrazioni di largo
respiro, ha comunque la sua misura nella singola pagina. In questa
predilezione per le forme brevi non faccio che seguire la vera vocazione della letteratura italiana, povera di romanzieri ma sempre ricca
di poeti, i quali anche quando scrivono in prosa danno il meglio di sé
in testi in cui il massimo di invenzione e di pensiero è contenuto in
poche pagine.32
Analoga la convinzione di Julio Cortázar, che è tornato
sull’argomento in più occasioni: in Del racconto breve e dintorni associa racconto, poesia e jazz,33 mentre altrove aveva parlato
del racconto come di un «genere di così difficile definizione,
[…] in ultima istanza così segreto e ripiegato su sé stesso, lumaca [per la struttura a spirale del guscio] del linguaggio, fratello
misterioso della poesia in un’altra dimensione del tempo letterario».34 Cortázar associa il racconto anche alla fotografia anzitutto per la comune struttura temporale – tendente all’istantaneo –
opponendovi rispettivamente il romanzo e il cinema come arti
lunghe: il racconto elimina i riempitivi e le fasi di transizione
tipici del romanzo, ed è governato da una maggiore intensità o
durante altre interviste sono alle pp. 9, 174); ancora, l’autore americano ricorda che alcune storie di What We Talk About When We Talk About Love nascono in forma di poesie (ivi, 223).
31
Calvino 1988, 37.
32
Ivi, 47-48.
33
In Cortázar 1969, 44-54.
34
«[…] ese género de tan difícil definición, tan huidizo en sus múltiples y
antagónicos aspectos, y en ultima instancia tan secreto i replegado en sì mismo, caracol del leguaje, hermano misterioso de la poesía en otra dimensión
del tiempo literario» (Cortázar 1962, 150), c.vo mio.
16
Carlo Tirinanzi De Medici
tensione,35 da una forma «serrata» e da una serie di «intensificazioni»:36 questa «condensazione dello spazio e del tempo»37 è
però anche tipica della lirica, che addirittura può agevolmente
fare a meno di una dimensione temporale (l’io lirico spesso occupa tutta la scena, facendo del tempo, che governa invece il
racconto non potendosi dare storia senza un pur minimo sviluppo temporale, una variabile dipendente).
Volgendo l’occhio alla critica, quando Lukács nella Teoria
del romanzo discute delle «forme epiche minori», vede nella
novella un’epica soggettiva, che recupera lo spirito epico distaccando un dettaglio dall’insieme: «scelta e delimitazione [dell’oggetto del racconto] recano nell’opera stessa il marchio che
attesta la loro origine dalla volontà e dal sapere del soggetto – e
la natura di queste forme è più o meno lirica».38 Ora si ricordi
che alcune strutture che fanno parte del network di controllo
frontoparietale si attivano nel caso di associazioni insolite di
parole, come le metafore nuove.39 Racconto e lirica sono le due
principali modalità letterarie brevi della modernità,40 egualmente opposte alle forme lunghe (nella modernità: soprattutto, direi,
il romanzo, almeno fino all’avvento di nuovi media che hanno
prodotto forme comunque ispirate alla struttura romanzesca,
come il cinema prima e le fiction televisive poi);41 tale partizio-
35
Ivi, 152.
Cortázar 1969, 53
37
Pérez-Abadín Barro 2010, 4
38
Lukács 1916, 43. Cfr. ibidem: «Figura e limite sono imposti dall’atto
formatore del soggetto: questa sovranità, che si esercita attraverso il pieno
controllo sulla creazione dell’oggetto, è la lirica peculiare alle forme epiche
prive di totalità».
39
Marshal et al. 2009.
40
Il racconto, a differenza della lirica, ha avuto una popolarità molto variabile nella critica: cfr. Lohafer 1982 e Pellizzi 2005 per delle ricognizioni
sull’argomento.
41
Sul rapporto tra romanzo e fiction televisive rimando a Rossini 2016, al
quadro semiologico disegnato da Tagliani 2016 e per ultimo alle brevi osservazioni in Tirinanzi De Medici 2017, 64-65.
36
Breve/lungo
17
ne non sorprende dato che l’opposizione breve-lungo ha governato da sempre la letteratura occidentale.
3. Due idee di forma breve
Da un lato l’intera retorica classica si muove tra i due poli
estremi dell’amplificatio e dell’abbreviatio,42 rispettivamente –
com’è ovvio – espressioni di incremento e riduzione della quantità d’informazione43 veicolata dal discorso. Lungo-breve diventa allora un’opzione relativa al modo con cui trattare l’argomento. D’altra parte una predilezione per la forma breve è riscontrabile da più parti: dal motto non multa, sed multum all’importanza, fondamentale per i retori, di saper condensare in
un discorso breve e tuttavia memorabile i propri argomenti, la
sintesi diventa più di un modo per accalappiare l’uditorio, un
valore in sé. Una convinzione, questa, codificata tanto nella
Rhetorica ad Herennium quanto nel ciceroniano De inventione:
la narratio infatti secondo l’anonimo estensore dell’Ad Herennium possiede tre virtù – brevità, chiarezza, verosimiglianza –44
che possono essere presenti in vario grado nei testi. L’opposizione breve/lungo è unita a una riflessione sul grado aletico
del testo – verisimiglianza o verità del narrato – per comporre
un sistema che vede le fabulae «neque verae, neque verisimiles»),45 le historiae (che parlano delle res gestae, cioè di fatti
realmente accaduti),46 la narratio probabilis (res fictae, verisimili). Le prime sono di competenza della narratio brevis, le seconde della narratio aperta, le terze dell’argumentum.47 In tal
senso la divisione dei generi narrativi crea un sistema letterario
con caratteristiche sue proprie:
42
Cfr. Ravazzoli 1991.
Ravazzoli 1981, 157.
44
Rhetorica ad Herennium, I, 9, 14.
45
Ivi, I, 8, 13.
46
Va comunque considerato che il concetto di «fatto realmente accaduto»
era, in epoca antica, differente dal nostro: cfr. Lake 2009.
47
Cfr. Picone 1985.
43
18
Carlo Tirinanzi De Medici
La narratio brevis si oppone alla narratio aperta per il suo essere
‘chiusa’, cioè sintetica e non analitica, nel senso che mira all’estrema
concisione, all’ideale della percursio o alla semplice allusione; ha
quindi una sua autosufficienza interna, per cui la sua comprensione è
immediata, presentificata, non dilazionata nel tempo. E si diversifica
anche rispetto alla narratio probabilis, sia perché raramente è verosimile, sia perché il suo scopo non è tanto o soltanto il movere, ma
anche o soprattutto il delectare; alla finalità moralistica essa tende a
sostituire una finalità che è piuttosto orientata verso il divertimento e
il piacere artistico.48
Nel Medioevo la coppia breve/lungo continua a determinare
buona parte del sistema letterario romanzo, ma ora viene associata, oltre che ai caratteri di verisimiglianza (e si osserva
un’estensione della natura autosufficiente, non vidimata da una
morale, «fino al limite in cui il sensus si risolve nella spiegazione etimologica del nome del protagonista, o si condensa nell’inventio divertita delle dramatis personae»)49 anche a particolari modalità cronotopiche, inerenti cioè il rapporto tra oggetto
della narrazione e pubblico: l’insieme di forme brevi come quelle agiografiche (passio, vita, miraculum…), l’exemplum, il lai,
il fabliau, o novas vidas razos occitane, ecc., «seduce non perché fa rivivere un’epoca distante, ma perché offre un riflesso
significativo, caricaturale o idealizzato, del mondo contemporaneo».50 Le forme brevi descrivono il mondo in cui si muovono
sia i loro fruitori sia i loro produttori, a differenza dei romans o
delle chansons de geste che si concentrano sui grandi eventi del
passato.51
È alla fine del Medioevo che nascono le due forme brevi destinate a dominare i secoli seguenti: da un lato la novella, dall’altro la lirica assumono particolare rilevanza. Le novelle peral48
Ivi, 8.
Picone 1994, 195.
50
Zink 1982, 29, trad. mia.
51
Questo aspetto priva i fatti tramandati dalle forme brevi del prestigio e
della significatività delle forme lunghe: da questo punto di vista si spiega la
loro marginalità e dunque la scarsa presenza in certi corpora come ad esempio quello occitano (cfr. Picone 1994, 231).
49
Breve/lungo
19
tro amplificano la contiguità spaziotemporale tra pubblico e
contenuto già rilevata per le forme brevi medioevali, aggiustando inoltre quest’ultimo su tematiche e situazioni abituali per il
primo. A sua volta la lirica riprende stimoli classici e mozarabici (le kharağat) e inizia quel processo di strutturazione che raggiungerà un modello compatto e produttivo nel Canzoniere. Tra
il Quattrocento e la fine del Cinquecento i due generi si stabilizzano e sono o verranno presto codificati in modo esplicito o implicito; nello stesso tempo si sviluppano dai modelli forme intermedie: le novelle prendono forma via via più coesa fino a
generare i precursori del romanzo, che inizia a svilupparsi
quando la struttura del racconto con cornice si orienta attorno a
un protagonista unitario.52 Da questo punto di vista la lirica e la
novella esperiscono due dimensioni dell’individuo, quella pubblica e quella interiore. A quest’altezza storica rappresentano, o
mirano a rappresentare, nella singolarità la totalità: l’esperienza
individuale supera i confini dell’individuo, ora rappresentando
situazioni quotidiane comuni ai lettori (la novella) e spesso
chiudendola con un ammaestramento o la spiegazione di un
motto o un detto,53 fatti che rafforzano la valenza collettiva del
narrato, ora insistendo su un’interiorità che è al fondo collettiva,
condivisa, come nell’autobiografismo trascendentale tipico della
lirica preromantica.54
Anche la modernità condivide il fascino per la brevitas, ma i
termini della fascinazione mutano leggermente rispetto ai periodi precedenti. In epoca classica, lo si è visto, a essere giudicata
interessante è la capacità di questa forma d’essere concisa, di
poter esprimere un concetto in modo chiaro e rapido (probabilmente anche per il grosso influsso che il discorso orale aveva, e
ha mantenuto per secoli, finché la stampa non ha moltiplicato
52
Šklovskij 1917, 91-99.
Ibidem.
54
«Autobiografismo trascendentale» è un’espressione coniata da Contini
1951, 178, per indicare la natura allegorica, collettiva, dell’esperienza biografica racchiusa nel Canzoniere, e ripresa da Mazzoni 2005.
53
20
Carlo Tirinanzi De Medici
all’infinito lo scritto): è un valore che oggi sopravvive principalmente nella discussione scientifica, dove il concetto di eleganza distingue proprio i discorsi goffi e inutilmente lunghi da
quelli che riescono ad arrivare al cuore delle cose in pochi, essenziali passaggi. Nel periodo successivo, quello che gli storiografi indicano come età moderna, la forma breve diventa il metodo prediletto per mostrare il fondo comune alle vite individuali, interiori o esteriori (e si potrebbe leggere l’interesse per questa modalità sullo sfondo della pulsione sistematizzante che caratterizza il pensiero coevo, dalla trattatistica umanisticorinascimentale fino ai philosophes: l’individualità è riconosciuta, ma essa è trascesa da un sistema di senso che impila le singolarità e ne fa una struttura ulteriore, come in un mosaico). In
ambito umanistico e in specie letterario, invece, sulla forma
breve si è progressivamente imposto un ideale espressivo di derivazione romantica che estende il valore dell’icasticità, della
significatività della breve sequenza, riconoscendone l’importanza su un piano direi metafisico – non a caso la tensione verso
l’infinito propria del Romanticismo ha trovato nel frammento la
sua forma ideale, il «prototipo teoretico dei generi del Romanticismo».55
Nella modernità letteraria breve/lungo diventa una distinzione che investe quelli che stavano diventando problemi epistemologici fondamentali. Le forme brevi moderne si reggono su
una logica attimale, che vede condensarsi in pochi momenti la
significatività della vita, per cui questi ultimi sono oggetto di un
sovraccarico di senso. Esse si basano su una rappresentazione
intensiva del mondo – quello interiore, come nella lirica, o quello esteriore, come nelle short stories –56 che è al fondo epifanica, perché convinta che esistano momenti, pensieri o azioni ca55
Janowitz 1998, 447.
Incidentalmente faccio notare che il novel moderno tende a un principio
intensivo (Tirinanzi De Medici 2017), almeno nelle sue forme più pure (non
mediate, come nel romanzo ottocentesco, da strutture del romance o teatrali;
per questi aspetti cfr. Mazzoni 2011).
56
Breve/lungo
21
paci di racchiudere il senso di un’epoca o di un carattere in un
singolo episodio o gesto (e la stessa idea, in fondo, è alla base
della logica melodrammatica che filtra nel romanzo ottocentesco).57 Non ogni singolarità può valere come exemplum dell’universale, ma solo alcune – e anche queste, solo in determinati momenti. Lukács collega, come i romantici, questa forma di
brevitas alla soggettività, ma vi vede anche un’evoluzione radicale rispetto al passato: se l’epica antica esprimeva una totalità e
perciò stesso poteva fare a meno del soggetto (il quale è un puro
tramite tra le «concrezioni» della vita e la loro trasposizione),
l’atto di selezionare è eminentemente soggettivo, e l’individualità assume una nuova rilevanza.
In questo senso le «forme epiche minori», dove «minori» ha
anche un significato quantitativo (il filosofo ungherese sta pensando alla novella), sono l’espressione della «singolarità e problematicità della vita»58 proprio perché nessun ordine oggettivo
ne determina la rilevanza (perciò parla di «concetto di tipo empirico-metafisico», una forma mista contemporaneamente trascendente e immanente). Va anche rilevato che la forma classica
di brevitas non scompare dall’orizzonte dei contemporanei.
Mentre stanno prendendo forma le poetiche moderniste basate
sul frammento e l’epifania, l’aforisma diventa un genere diffuso, spesso con intenti di ribaltamento comico (da Oscar Wilde
ad Ambrose Bierce a George Bernard Shaw) che sottolinea il
gusto classico per la capacità del locutore di rivelare in una frase
una verità complessa.59 Al di là della presenza di situazioni intermedie, c’è un criterio di fondo che permette di distinguere i
due tipi di brevitas, omologo alla differenza tra difficoltà e
oscurità che Fortini ha proposto per la poesia: la brevitas classi57
Cfr. Brooks 1976.
Lukács 1916, 44.
59
Da questo punto di vista le definizioni del Dizionario del diavolo di
Bierce restano in gran parte insuperate: «FUTURO, n. Quel periodo di tempo in
cui prosperano i nostri affari, i nostri sono veri amici e la felicità ci è assicurata»; «IMPUNITÀ, n., Ricchezza»; «PACE, n., nelle relazioni internazionali, un
lasso di tempo di inganni tra due due momenti di combattimento»
58
22
Carlo Tirinanzi De Medici
ca consente al lettore di completare i nessi logici mancanti60
mentre questi sono irriducibili nella sua forma moderna, o modernista.
La forma lunga, invece, tendenzialmente si appoggia a una
descrizione estensiva, capace di racchiudere quella «totalità»
vagheggiata da Lukács, di rappresentare porzioni le più ampie
del mondo. È il caso del romanzo, almeno fino alla svolta tardottocentesca iniziata con Flaubert. L’idea del romanzo come
epopea borghese implica, in questo senso, la capacità di inglobare nell’opera i sistemi sovrapersonali che regolano le nostre
vite: nel passaggio da Otto a Novecento questa idea tende a indebolirsi. Anche forme discorsive del concetto spesso assumono
questo carattere: nella trattatistica rinascimentale è implicita la
capacità di esaurire un argomento, proprio come nelle grandi
sintesi filosofiche idealistiche. La forma lunga estensiva implica
l’idea che il mondo sia intelligibile razionalmente. Qui sta il
grande romanzo della prima modernità, quello sette-ottocentesco con la sua pulsione parapositivistica all’affresco, allo
«studio»: da Balzac a Zola (ma si ricordi anche Defoe); Flaubert
è in una posizione intermedia perché se in Madame Bovary oppone al mondo caotico di Emma la conoscenza (ironica) del narratore, quest’ironia finisce per divorare tutto (il Dizionario dei
luoghi comuni), mentre si fa strada l’idea protomodernista di
raccontare la vita individuale ‘dall’interno’, cioè perdendosi nella prospettiva soggettiva (L’educazione sentimentale), ed entrambi questi esiti negano la possibilità di una conoscenza
estensiva, razionale e al primo grado, dell’universo.
Il romanzo ottocentesco inizia a trasformarsi durante l’ultimo
quarto del secolo; la stagione del Modernismo ne segna una rinascita, ma in una forma alquanto mutata. In un’ottica di lunga
durata è una tappa ulteriore nella vocazione propria delle forme
60
Così nell’esempio citato sopra, l’area semantica cui pertiene la voce
«Impunità», in origine distinta da quella del suo significato “ricchezza”, viene
ad essa collegata da Bierce: la ricchezza deriva da un crimine rimasto impunito.
Breve/lungo
23
narrative a raccontare l’individualità,61 ma proprio questo rende
esplicito un carattere della nuova epoca che fino ad allora era
rimasto nascosto: i romanzi modernisti possono mettere in scena
le singolarità con una forza impensata ai loro omologhi di cento
o duecento anni prima perché l’etere concettuale inizia a sospettare di qualsiasi descrizione estensiva. In questo frangente il
romanzo sembra realizzare l’aspirazione che era propria del novel: tanto il modo epico quanto il modo del romance, che in
forme diverse puntavano alla significatività del narrato tramite
l’estensività della narrazione, perdono l’influenza che avevano
avuto per lungo tempo sulla forma-romanzo e così può emergere con chiarezza la natura intensiva del modo narrativo del novel. Descrivere un mondo come totalità non ha più senso, semmai è possibile ancora individuare una valenza universale o generale della singolarità. Solo in questo senso si può leggere,
come fa Celati, il novel come correlativo del pensiero illuminista: esso prima che «ordinare» il mondo, lo seleziona – qui la
similitudine con «il grande sogno d’internamento della follia»
assume contorni molto espliciti.62
L’intensività regge molte altre costruzioni intellettuali postromantiche. Una è la critica letteraria. Nella sua accezione
moderna, essa si costituisce tramite la discussione di singoli casi
che divengono simbolici di una disposizione mentale, spesso
storicizzata. La versione della critica stilistica implementata da
Auerbach è in questo esemplare: partendo da un lacerto testuale
egli svela la precomprensione del mondo che ne è alla base. Lo
stesso si può dire per gli studi «archeologici» focaultiani, e del
loro modello, Nietzsche. Oggi quasi tutte le forme del sapere
umanistico rispondono a una logica simile, basata su quello che
61
Cfr. Mazzoni 2011.
Cfr. Celati 1975, 38ss. Per Celati il novel è espressione di pulsioni standardizzanti e disciplinanti, sotto forma di «razionalizzazioni tramandate», è
«un sogno d’ordine globale, che certamente va messo assieme al grande internamento sei-settecentesco della pazzia: il sogno di circoscrivere tutta
l’estraneità […], metterla in documenti e riportarla per così dire in famiglia»
(p. 43).
62
24
Carlo Tirinanzi De Medici
Carlo Ginzburg chiama paradigma indiziario, quella forma procedurale di conoscenza capace di svelare dal singolo dettaglio la
complessità e il senso del tutto.63 Che anche un sistema basato
sul concetto tenda a vedere nella singolarità una significatività
che la trascende è indice di una trasformazione più ampia.
Grosso modo nell’ultimo quarto dell’Ottocento l’idea stessa
che ci sia un argomento esauribile, cioè che possa essere riportato interamente sulla pagina (la precondizione per qualsiasi descrizione estensiva), perde fascino tra i pensatori. Oggi regge
ancora nella manualistica, cioè nelle fonti terziarie che hanno il
compito di divulgare le competenze specifiche di una disciplina,
ma anche qui tende via via ad annacquarsi: per una ragione che
indubbiamente riguarda anche la diversa suddivisione del carico
didattico, i manuali di letteratura sono diventati sempre più
scarni; ma che il problema sia più generale è confermato da una
rapida incursione nella manualistica scientifica, ad esempio medica, dove ai trattati in più volumi si sostituiscono sempre più
spesso opere più brevi, meno approfondite.64 La conoscenza
specialistica è divenuta troppo vasta per essere contenuta in un
unico volume, e si dà per scontato che non sia possibile acquisirla tutta. Meglio concentrarsi su alcuni aspetti particolarmente
rilevanti, e lasciare il resto agli specialisti. La specializzazione è
la forma principe di divisione del lavoro intellettuale, lo sbarco
63
Cfr. Ginzburg 1979.
Qui si può supporre, per le discipline cliniche, la rapida obsolescenza
delle competenze dovuta a scoperte sempre nuove. Ma il problema arriva
anche alle discipline di base, in cui i progressi non sono necessariamente così
marcati: si veda il testo di riferimento per l’anatomia in area anglosassone,
Gray’s Anatomy: dopo l’edizione più lunga, quella del 1995, si è proceduto a
una notevole riduzione delle informazioni fornite, mentre in Europa l’opera in
sette volumi originariamente curata da Jacob Testut e Léo Latarjet adottata
ancora negli anni Settanta nelle facoltà di Medicina non è più nemmeno in
commercio. Le scoperte in campo anatomico (eccettuata, in parte l’area della
neuroanatomia, ma anche qui gli sviluppi sono più nell’anatomia funzionale
che in quella descrittiva, oggetto dei corsi universitari) sono ormai residuali,
ma anche qui c’è un medesimo principio di restringimento.
64
Breve/lungo
25
nel regno del concetto dell’idea che non è possibile una sintesi
nemmeno in questo campo.
Da questo punto di vista la letteratura del Novecento, come
spesso la letteratura tout court, precorre i tempi e agisce in modo simile, prediligendo una rappresentazione che evidenzi la
disgregazione dell’individuo, dei nessi che lo legano agli altri.
Se le strategie avanguardistiche portano questo principio al suo
massimo, il Modernismo si pone in modo più ambiguo; entrambe le correnti però mostrano ancora fiducia in qualcosa che riesca a trascendere la singolarità: la forma, l’arte, il dominio estetico come terreno su cui è ancora possibile assemblare i frammenti, ancorché utilizzati per costruire eliotiane rovine. In particolare nella letteratura modernista è ravvisabile una ricomposizione dialettica dei due poli – l’unità arcaica e la dispersività
contemporanea – che si perderà nell’epoca successiva. Da questo punto di vista il gesto intellettuale della nostra epoca estremizza quello attuato dai pensatori di fine Ottocento perché all’incredulità per le rappresentazioni estensive si somma la sfiducia verso la trascendenza, verso le strutture di mediazione che
rendono possibile determinare la significatività di un’esistenza
individuale. Per illustrare questo passaggio vale la pena di osservare ciò che i francesi chiamano «l’estremo contemporaneo»:
è una fase in cui le forme brevi sembrano godere di una salute
eccellente.
4. Nuove forme brevi, dal blog al meme
L’evoluzione tecnologica dei media ha portato una messe di
nuove forme brevi:65 scritte, visuali o miste. Al primo insieme si
ascrivono i blog, che per natura suppongono una fruizione rapida, e perciò hanno testi abbastanza corti, cui si accompagnano
alcune modifiche stilistiche improntate alla semplificazione che
65
Si tralasciano dalla trattazione che segue e-mail e sistemi di messaggistica come SMS, Snapchat o WhatsApp perché essi mimano, più che il testo
scritto unidirezionale come quello letterario, la conversazione.
26
Carlo Tirinanzi De Medici
sono dovute a parere di chi scrive non solo al pubblico più vasto, e dunque mediamente meno istruito, rispetto alla produzione cartacea ad esempio su rivista ‘scientifica’ o letteraria, ma ai
presupposti della comunicazione via internet: fruizione rapida
di una massa di contenuti molto ampia che per la sua stessa dimensione quantitativa (imponente) prevede una riduzione del
tempo lungo richiesto per il ragionamento; perciò è necessario
scorciare quest’ultimo, il che apre ovviamente anche al rischio
di ipersemplificazione, d’annacquamento di sfumature essenziali. Oggi capita di leggere nei commenti a un brano giornalistico
d’inchiesta che un tempo stimato di lettura (una funzione che,
significativamente, gli articoli online dei blog utilizzano sempre
più di frequente, e inserita di default in molti programmi per
blogger) di venti minuti è considerato troppo lungo dall’utente
medio, anche quello con istruzione medio-alta (università).
Una seconda modalità, decisamente più estrema, di comunicazione breve è ovviamente la piattaforma Twitter: con un limite di lunghezza dei messaggi molto stringente (140 caratteri,
recentemente aumentati a 280): qui a comunicazioni di servizio
(strilli pubblicitari, lanci di agenzia, breaking news) e forme
d’informazione collaborativa (ad esempio durante le emergenze,
quando chi è presente sulla scena del disastro comunica via
twitter informazioni utili o aggiornamenti della situazione) si
accompagnano utilizzi più spregiudicati, che vanno dalla satira
e/o da versioni moderne delle pasquinate, fino a composizioni
poetiche che rientrano nell’ambito della «micropoesia» da cui
emergono inedite figure di poeti «social» dotati di ampio seguito, come Brian Bilston.66 Ancora, il romanziere Rick Moody ha
pubblicato nel 2009 un suo racconto su Twitter suddividendolo
in 153 tweet.67 Si tratta di esperimenti: ma in anni recenti gli
66
Bilston si è avvicinato alla lirica quando ha cominciato a usare Twitter,
dove ha postato i suoi primi componimenti. Il suo seguito è aumentato e ha
finito per pubblicare – a oggi – un volume di liriche, You Took the Last Bus
Home.
67
Cfr. Alter 2009
Breve/lungo
27
autori più vicini a una logica avanguardistica hanno utilizzato
tecniche simili (si veda il googlism; in Italia basta pensare al
gruppo GAMMM).
Tra le forme audiovisive si può partire dalla videoarte, in
particolare dai videoclip, passare per gli spot pubblicitari e arrivare infine ai recenti booktrailer. Sono tutte forme che tendono
a svilupparsi in un lasso di tempo limitato, spesso a causa della
loro funzione (accompagnare un brano musicale pop, che in
media si aggira sui tre minuti; occupare gli spazi pubblicitari,
segmentati in poche manciate di secondi). Allo stesso principio
si possono ricondurre alcuni recenti sviluppi visuotestuali, tipici
di Internet, come i banner pubblicitari,68 mentre altri, come i
meme, sono fenomeni decisamente più interessanti. Popolarizzato in tempi non sospetti dal biologo Richard Dawkins (Il gene
egoista, 1976), «meme» è un neologismo che indica la minima
unità d’informazione culturale, come il gene (modello della neoformazione) lo è per l’informazione genetica, che si trasmette
autonomamente all’interno di una cultura.69 Esempio principe
della diffusione «virale» d’informazioni nella società informatizzata, il meme digitale tramette un’idea (o un simbolo, o altro)
tramite un codice formale ben preciso che prevede un’immagine
(perlopiù statica, ultimamente si stanno diffondendo anche le
gif, brevi sequenze video) e un testo. Perlopiù uno dei due elementi (di norma l’immagine) è il meme in senso culturale, ovvero un’unità informazionale ben riconoscibile e fissa; l’altro
elemento però tende a stravolgere o mutare l’idea originale. In
alcuni casi si tratta di variazioni su uno standard (il meme di
Putin la cui scritta recita «Date una medaglia a quest’uomo»,
dove la «medaglia» di volta in volta può diventare «un tir di
medaglie» o anche «un pezzo d’Ucraina»); in altri casi un’immagine può diventare la base per scritte diverse, che mantengono lo stesso spazio semantico di fondo ma variano il soggetto,
68
Cfr. il non aggiornatissimo ma interessante per iniziare ad affrontare il
problema Pezzini 2002.
69
Cfr. Jouxtel 2010.
28
Carlo Tirinanzi De Medici
talvolta con effetti comici;70 altre volte – quelle più interessanti
– si crea un vero contrasto tra i due elementi, spesso con effetti
comico-satirici, talvolta invece con effetti di denuncia.
5. Da breve/lungo a breve e lungo
Nonostante l’interesse retorico-semiologico, i meme restano
in gran parte una forma comunicativa orientata all’attualità extraletteraria, spesso a scopo in senso lato propagandistico-interventista, impegnato. In un ambito più strettamente letterario le
forme brevi trovano un loro spazio anche all’interno di entità
più ampie (le forme lunghe). Un esempio paradigmatico è 2666
(2004) di Roberto Bolaño. È un romanzo composito, che nasce
come opera unitaria; durante il lavoro editoriale, però, l’autore
progetta di dividerlo in romanzi autonomi più brevi. Al di là
delle cause di questa decisione, essenzialmente economiche (garantire ai suoi eredi un reddito duraturo in vista della sua prossima scomparsa), è evidente che essa non avrebbe potuto essere
presa se il materiale non avesse consentito le due diverse organizzazioni, unitaria o frammentaria. E 2666, che alla fine è uscito come tomo unico diviso in cinque ‘Parti’ (“dei critici”, “di
Amalfitano”, “di Fate”, “dei delitti”, “di Arcimboldi”), in effetti
70
Così i diversi meme derivati da un fotogramma di Willy Wonka e la
fabbrica di cioccolato (1971) in cui Gene Wilder-Willy Wonka guarda in
camera con aria sarcastica, utilizzata per ridicolizzare l’interlocutore, spesso
facendo riferimento diretto alla credenza considerata stupida. Ancora, si pensi
ai meme relativi agli «starter pack», insieme di accessori per iniziare una
qualche attività (dove l’effetto comico deriva dall’inserimento di oggetti incongrui, per esempio una boccetta di Xanax per lo studente universitario, o
dall’incongruenza di un argomento insolito, come «naziskin starter pack), o
anche quelli diffusi nell’estate 2017 che riproducono una foto di repertorio in
cui un ragazzo osserva una formosa passante, sotto lo sguardo incredulo della
sua fidanzata. La situazione di base viene accompagnata da una serie di declinazioni che la contestualizzano in ambienti diversi: nell’ultimo caso, ad
esempio, il maschio (normalmente indicato come il soggetto emittente: «io»)
può essere attratto dalle «vacanze», se la compagna è «la sessione estiva» di
esami, o «la socializzazione dei mezzi di produzione» quando la fidanzata è la
«socialdemocrazia».
Breve/lungo
29
ha una strutturazione che valorizza molto la breve portata a scapito della lunga. Ogni sequenza è in sé compatta – rispetta fondamentalmente le unità aristoteliche –, ma è come parzialmente
slegata dalle altre, con paragrafi che si occupano di questo o
quell’argomento – se ciò determina una sostanziale coincidenza
tra argomento e unità narrativa che ‘ricompatta’ nella breve durata il testo, la natura dispersiva, in una prospettiva strutturale,
si dispiega, oltre (e forse: più) che nella lunga, nella media portata: nell’intersecarsi di paragrafi/capitoli, che tendono a essere
più eterogenei nella composizione, così che la natura policentrica della vita si trova (anche formalmente) ad aleggiare sopra,
intorno all’evento singolare, riprendendo in questo quanto accade nella lunga portata che è di fatto centrifuga e inconcludente
(dal punto di vista narrativo, cioè: insoddisfacente), col suo succedersi di ‘Parti’ apparentemente sconnesse.
È un dato caratteristico di quasi tutte le opere di Bolaño: la
discontinuità fondamentale alla base del mythos non si risolve.
La ricerca di Cesárea Tinajero in I detective selvaggi (1998) e di
Benno von Arcimboldi in 2666 non approda a nulla (nei
Detectives, a nulla di significativo, dato che la poetessa muore
appena Ulisses e Arturo la incontrano); il piano ben congegnato
della rapina ai danni di Giovanni Dellacroce detto “Maciste”, in
Un romanzetto lumpen (2002), fallisce; ancora in 2666 il mistero delle donne uccise a Santa Teresa resta intatto. L’inconcludenza emerge con più evidenza in 2666 per via delle sue dimensioni, della sua lunghezza. Le storie si moltiplicano, e l’effetto
d’incompiuto può dispiegarsi per l’intensificazione dovuta alla
ripetizione del fenomeno – non c’è una vicenda inconclusa, ma
ce ne sono decine. Se in Petrolio leggevamo «Questo romanzo
non comincia», 2666 è il romanzo che non finisce. Il procedimento avviene sia nelle grandi campate narrative (la ricerca di
Arcimboldi, lo schema dietro ai delitti, i destini dei personaggi)
sia nelle microsequenze. Ad esempio nella “Parte dei delitti” i
paragrafi si concludono molto spesso «con formule che si riferiscono alla sfera dell’indeterminatezza: le false piste seguite da-
30
Carlo Tirinanzi De Medici
gli investigatori, l’assenza di tracce e indizi, l’oblio in cui cade
la vittima, l’archiviazione del caso».71 Più in generale i singoli
paragrafi, isolati dagli altri e privi di titolo a segnalare la natura
a-centrica del testo, si configurano spesso come digressioni
scarsamente connesse al mythos centrale del romanzo.
Nella media portata la natura elusiva, paradossalmente incoerente, della coerenza semantica del testo diventa esplicita, in
particolare nel continuo ritornare di alcuni elementi non ha alcuno scopo se non quello di fare arrovellare i personaggi e i lettori (nella “Parte di Amalfitano”, ad esempio, il Testamento
geométrico di Rafael Dieste; i riferimenti al Mezcal marca Los
suicidas; la Peregrino nera), altrettanti indizi di un’unità, di un
senso mancati; nella lunga portata, poi, è il mythos stesso che
aggira la conclusione. La spinta al «come va a finire?» tematizzata da Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore72 in
Bolaño si annulla: Espinoza e Pelletier, due dei critici letterari
protagonisti della I Parte, riusciranno a incontrare Arcimboldi?
Quanto durerà la relazione tra Morini e la Norton, gli altri due
critici? Amalfitano è impazzito? Cosa ne è stato di Rosa Amalfitano? Che rapporto ha Chucho Flores con i delitti di Santa Teresa? Chi si nasconde dietro quei delitti? Haas verrà scagionato
dalle accuse? Arcimboldi è riuscito a parlare con il nipote? Cosa
si sono detti i due? Le domande si riproducono per gemmazione; aleggiano lungo tutto il romanzo ma non danno mai frutti.
Qualcosa di simile vale anche per un’altra opera fondamentale
della narrativa contemporanea, come Underworld (1998) di Don
DeLillo.73
Il montaggio delle sequenze, dunque, tende a scompaginare
la sequenza di eventi che sta alla base del gesto narrativo di Bolaño. E la centralità delle azioni, in un libro che non lascia molto
spazio alla psicologia (anche la progressiva follia di cui cade
71
Coiro 2013.
Incidentalmente ricordo che il romanzo di Calvino era per l’autore innanzitutto una riflessione sul romanzesco.
73
Cfr. Tirinanzi De Medici 2017.
72
Breve/lungo
31
vittima Amalfitano nella “Parte” a lui dedicata è oggettivata,
ridotta alle sue manifestazioni sensibili, come il libro appeso
allo stendibiancheria e la voce che parla ad Amalfitano), rende
ancora più evidente la natura aleatoria e non finalizzata di queste ultime. Di fatto, dunque, 2666 si compone di frammenti come assemblati a posteriori. Un simile montaggio è tipico della
narrativa modernista, che lo utilizzava per mostrare la frammentazione dell’individuo, ora tramite la disgregazione formale del
linguaggio in un flusso di coscienza (Bloom) ora tramite quella
psicologica (il cui correlativo è la durata temporale) del continuo trapassare da uno stato d’animo all’altro (Marcel).
Ma per i modernisti la frammentazione dell’esistenza rispondeva a un principio di significatività: le sequenze rivelano uno
stato d’animo, una prospettiva sul mondo, che al fondo è caotico
e molteplice, irriducibile alla «totalità» epica, ma nondimeno,
pur con tutti i sospetti verso il linguaggio («Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo!», ci ricorda Zeno), rappresentabile
perché espone grazie proprio al procedimento epifanico, alla
logica intensiva a esso sottesa, una parzialità significativa. Anche gli eventi che descrive Bolaño sono significativi: ma in un
senso profondamente diverso, legato non a una trascendenza ma
a un dato immanente, singolativo. Lo scrittore cileno utilizza la
frammentazione per nascondere quelle parti di mondo (e di vita,
e di storia) che sono giudicate insignificanti perché vuote, prive
di eventi – per dirla con il Baudelaire dell’epigrafe a 2666, quel
«deserto di noia» entro cui troviamo le «oasi d’orrore» –, un po’
come accade nei film d’azione o nei fumetti. Il montaggio è essenzialmente un modo di avvicinare spazi lontani e isolati, cucendoli in un continuum narrativo, o una strategia per saldare i
frammenti di quello che c’è d’interessante.
Interessanti, ma non significativi, tanto che il finale non arriva: la morte, la risoluzione degli enigmi, sono espunti dal testo,
perché non aggiungono senso – il senso sembra essere solo nella
vita, nei suoi casi. Ciò riduce l’importanza sia della «sintesi
32
Carlo Tirinanzi De Medici
memoriale»74 fatta a posteriori, sia dei singoli frammenti: non
racchiudono un significato ulteriore, sono semplici fatti accaduti. Antonio Coiro nel suo saggio su Piove all’insù di Luca Rastello (2006) contenuto in questo volume mostra che sono possibili altre strade: Rastello utilizza una struttura caotica fatta di
«microracconti» per rendere una visione contraria alla lettura
dominante degli anni Settanta come periodo buio («anni di
piombo»); ciò che qui è interessante, è che anche in un libro retto da un’impostazione ideologica ‘forte’ (la continuità tra ideali
del Settantasette e logica del tardo capitalismo) per sventrare la
retorica criminalizzante il Movimento si utilizzi una forma desultoria e frammentaria («l’ordine del discorso narrativo sugli
anni di piombo viene scardinato e ad un tutto da isolare in parti») che cuce passato e presente solo tramite il filtro memoriale e
il discorso autobiografico, come se una ricostruzione alternativa
potesse avere senso solo per il singolo. Anche Rastello, inoltre,
chiude su una nota ambigua (un indovinello), lasciando che la
storia, in qualche modo, ciondoli intorno alla chiusura senza
mai imbroccarla del tutto.
6. Un mondo di frammenti
L’utilizzo di sequenze brevi o brevissime, il continuo spostamento dell’attenzione da un fatto a un altro che apparentemente non c’entra nulla (esplicito nella struttura modulare di
Piove all’insù), rende più difficile organizzare il testo in un sistema coerente (il plotting), perché ci troviamo di fronte a una
massa disparata di dati. Siamo sballottati impotenti da una parte
all’altra del testo, le nostre strategie cognitive faticano a riconoscere pattern di senso: questo sfrutta le strategie cognitive sopra
esposte in modo inedito. Lo sfilacciamento della storia, già presente nel Diavolo zoppo (1707, si pensi soprattutto al cap. X) e
sviluppata da Maupassant e da altri naturalisti, ancora oggi vie74
Vedi Segre 1974, p. 16, n. 36.
Breve/lungo
33
ne utilizzata per far risaltare la singolarità: ma non per evidenziare la natura di tranche de vie del racconto, quanto per indicare la totale intercambiabilità di ogni singola tranche.
Le opere di cui si sta parlando hanno in comune anche un
aspetto formale: sono lunghe, o lunghissime. Di recente abbiamo assistito a un’ipertrofia delle forme narrative: si pensi alla
fortuna dei ‘cicli’ cinematografici (The Lord of the Rings; la
ripresa di Star Wars; Pirati dei Caraibi) e, su un piano più prossimo a quello qui in esame, a molte serie televisive moderne.
Tolti gli elementi derivati dal meraviglioso e dal romance, più
evidenti nelle produzioni cinematografiche, molte serie audiovisive e in particolare le serie tv hanno il vantaggio di raccontare
di più, quantitativamente: possono inserire sottotrame relative a
diversi comprimari, seguirne l’evoluzione senza sacrificare il
dettaglio. L’esempio più rappresentativo è forse The Wire, ma
serie come Mad Men o Breaking Bad utilizzano, in grado minore, lo stesso procedimento: in una strategia narrativa ad alto tasso di coesione, come il poliziesco (i protagonisti sono un gruppo
di poliziotti e i criminali su cui essi stanno indagando) o il racconto biografico, dedica uno spazio molto grande a persone comuni, personaggi secondari che non hanno un ruolo importante
nello svolgimento della trama principale. Le loro storie – ma lo
stesso discorso vale per quelle dei protagonisti – possono occupare pochi minuti di una puntata e metà della successiva, scomparire per un certo numero di puntate e poi ritornare d’improvviso, in modo apparentemente casuale. Anche le svolte nella
vita dei protagonisti avvengono spesso fuori scena (come, in
The Wire, la relazione tra Rhonda Pearlman e Jimmy McNulty
che finisce, e la nuova intrapresa dalla donna con Cedric Daniels) e lo spettatore è messo di fronte al fatto compiuto, quando
i rapporti di forza si sono alterati, senza che nessuna spiegazione
venga data.
Grazie alla dilatazione dei tempi permessa dalla struttura seriale il mondo può stendersi davanti ai nostri occhi in tutta la
sua irredimibile varietà. Se le dimensioni estese, talvolta – co-
34
Carlo Tirinanzi De Medici
me in 2666 – esagerate, delle opere, e dunque la loro capacità di
accogliere vasti frammenti di reale (perché i romanzi si concentrano sui gesti e non sugli stati d’animo) rimanda all’illusione di
una rappresentazione estensiva, potenzialmente totale come
quella dell’epica rimpianta dal giovane Lukács, l’utilizzo del
montaggio implica che il racconto mimi una logica intensiva di
stati o momenti significativi: la configurazione rappresentazionale tende dunque a un assemblaggio tra i due aspetti.
In altre epoche, e in particolare nella stagione del romanzo
realista ottocentesco, si è giunti a soluzioni simili: ma i personaggi di Bolaño o Rastello sono spesso fuori dagli schemi, rappresentano comportamenti atipici, talvolta apertamente devianti,
così che (grazie al montaggio) nemmeno la tranche de vie salva
la valenza tipica media quotidiana delle loro storie. Questi personaggi protestano con forza la loro unicità: una caratteristica
che hanno in comune con i protagonisti delle opere a bassa finzionalità, ma lo fanno in modo diverso. In qualche modo una
simile strategia rappresentazionale che si muove a cavallo di
estensività e intensività descrive delle sequenze arbitrarie di
momenti, e ne descrive tante: come se l’autore fosse incapace di
scegliere quali sono i significativi e perciò dovesse estenderne il
numero. In questo effetto cumulativo della narrazione lunga,
basata su frammenti brevi o brevissimi ormai privi di qualsiasi
potenzialità allegorica o simbolica,75 è descritta la condizione
umana contemporanea, fatta di una massa d’individui chiusi in
bolle valoriali autonome e disgregate, che faticano a riconoscersi reciprocamente al di fuori del diritto di ognuna di esse alla
propria singolarità ed eccezionalità.
In questi romanzi la lunghezza è un elemento essenziale per
permettere di rappresentare il mondo in cui ci muoviamo: un
mondo enorme e dispersivo, entro cui i personaggi si perdono,
in cui le storie si moltiplicano e s’intrecciano secondo un prin75
Nella narrativa contemporanea è evidente lo scarso peso che ha assunto
l’allegoria, in ogni sua forma: per un caso di studio su un romanzo italiano mi
permetto di rimandare a Tirinanzi De Medici 2010.
Breve/lungo
35
cipio di pluralità e coesistenza sincrona che Deleuze e Guattari
hanno sintetizzato nell’immagine del «rizoma». Tuttavia queste
rappresentazioni non hanno la coerenza dei romanzi ottocenteschi tendono a descrivere una serie di elementi che potenzialmente potrebbero essere sostituiti da altri. La storia in sé non
sembra così importante; è difficile creare una vera e propria gerarchia (in un prodotto comunque destinato a un pubblico variegato come quello della televisione, un simile aspetto è ovviamente presente in forma indebolita: ma proprio per questo The
Wire risalta, per la sua capacità di traslare su un piano di comunicazione di massa una strategia così terribilmente romanzesca,
e attuale, anche in una sede abitualmente refrattaria a un simile
comportamento).
Una serie di episodi che in qualche modo sfuggono al mythos, non alterano stabilmente il quadro se non per i diretti interessati. Per gli altri, per noi, per il mondo d’invenzione, nulla
cambia, se una persona muore, o vive, o viene arrestata – non
esistono svolte significative compiute da individui che investono
la collettività. Anche nelle opere in cui queste svolte esistono e
diventano il centro del romanzo, come in Underworld (e in misura non troppo minore Europe Central di Vollmann) o Piove
all’insù, esse sono quasi scarnificate, si compiono al di fuori
dello spazio rappresentazionale del romanzo, dove appaiono per
brevi acccenni (in Underworld lo sciopero dei netturbini a New
York viene toccato di sfuggita, pur nelle conseguenze che avrà
per l’intero ciclo dei rifiuti, e dunque implicitamente per la vita
di tutti noi); al più si evidenziano gli effetti che questi eventi
hanno sulla vita dei singoli (in Piove all’insù un esempio sono i
sommari che rendono conto della fine che fanno questo o quel
personaggio secondario). In Underworld questo aspetto è tematizzato nella natura carsica della Storia, che emerge per lampi e
presto si inabissa nuovamente, da cui anche uno dei significati
del titolo.
Questo modo di osservare il mondo è diffuso anche in opere
meno estese. In American Purgatorio di John Haskell seguiamo
36
Carlo Tirinanzi De Medici
il protagonista mentre attraversa gli Stati Uniti alla ricerca della
sua compagna, Anne, scomparsa mentre lui faceva acquisti in
un autogrill. Il viaggio è, sin dal titolo, una progressiva purificazione del soggetto da incrostazioni che sono identificate nei sette peccati capitali (che titolano i sette capitoli del romanzo,
ognuno dei quali è suddiviso in sette sottocapitoli numerati) che,
com’è noto, sono alla base della suddivisione dantesca del purgatorio. Nel corso del racconto (abbastanza coeso nel complesso, anche se i sette capitoli sono come isolati poiché i sommari
che dovrebbero collegarli sono assenti e dominano i blank narrativi) scopriremo assieme al protagonista che molti suoi ricordi
sono sbagliati, fino alla scoperta, nel finale, che lui e Anne sono
morti nella stazione di servizio. Il viaggio raccontato è dunque
un percorso che conduce il protagonista a prendere consapevolezza della sua condizione. Nelle ultime righe leggiamo:
E non è questione di “accettare” la morte. Non è questo che succede.
“Accettare” è una parola su un dizionario, mentre quello che succede
non è una parola, così come le nuvole non sono parole […]. | Ma succede. Ogni cosa succede, ed è finita. Nuvole, persone, risate, case,
buio. Ogni cosa succede, ed è finita. Il pezzo di carta gialla per la strada. Le grida dei bambini in lontananza. Tutto svanisce, completamente. […] Ed è finita.76
Qui siamo a un punto estremo: la dimensione vitale-sensibile
è totalmente refrattaria a ogni riduzione segnica, esiste solo nel
suo fluire che la pagina non può riportare in maniera soddisfacente. Al più lo scrittore può registrare la perdita una volta che è
avvenuta, come il protagonista inizia il suo racconto una volta
deceduto. Viene in mente il celebre aforisma di uno dei pensatori che meglio hanno descritto questo passaggio alla molteplcità
rizomatica e dispersiva, Jacques Derrida: «Non ho che una lingua, e non è la mia».77
Qualcosa di simile avviene per la lirica: nell’epoca in cui il
suo dominio culturale è sempre più messo in discussione, la liri76
77
Haskell 2005, 247.
Derrida 1996, 5.
Breve/lungo
37
ca tende a narrativizzarsi, inglobando azioni ed eventi nella sua
struttura, spesso in dimensioni brevi o brevissime. In Italia si
pensi solo all’opera di tre autori: Alessandro Niero (Poesie e
traduzioni del signor Czarny, 2013), Gherardo Bortolotti (Tecniche di basso livello, 2009), Guido Mazzoni (La pura superficie, 2017). Si tratta di opere compatte, non solo perché la formalibro aggrega momenti diversi, ma perché questi momenti acquistano una loro scansione narrativa, che ricompone i singoli
frammenti in un ordine superiore, sebbene incerto e lasco
(esplicito in Mazzoni nella rigida suddivisione in sezioni di
eguale lunghezza, aperte e chiuse da personalissime versioni di
poesie di Wallace Stevens). Niero e Bortolotti si concentrano su
personaggi fittizi, descritti dall’esterno; Mazzoni invece convoca sulla pagina una serie di io lirici non sempre coincidenti con
l’io biografico – tutti però volontariamente interrompono una
continuità che, sebbene spesso negata dalla critica, è radicata nel
senso comune, dato che dalle sue origini la lirica si pone come
discorso altamente individualizzato e singolativo. Il flusso di
nuclei semantici così generati fatica a trovare una coesione, riproducendo il meccanismo che su più vasta scala si è visto nei
romanzi.
Il Modernismo si basava su un ragionamento di tipo dialettico: dalla negazione di un elemento si giungeva a una sua riaffermazione, a una sintesi, grazie alla forma («Su questi frammenti ho costruito le mie rovine»). Questo è evidente osservando le immagini e valori che Maria Corti ha chiamato «topoi spirituali» tipici del Modernismo: l’idea di Uomo, Tempo e Continuità, Forma e Unità, ancorché spesso assenti o presenti a lampi, sono il fondo della concezione modernista. La frammentazione, la dispersione, sono recuperate dialetticamente all’unità e
alla coerenza (culturale, formale, psicologica). Ma i topoi spirituali sono altri: il Tempo come flusso senza direzione, Frammentazione, l’Uomo è esploso in mille rivoli; la Profondità non
esiste. La frammentazione modernistica del testo lungo in unità
brevi o brevissime, la slogatura degli elementi sintagmatici, fa-
38
Carlo Tirinanzi De Medici
voriva la rilevanza dei singoli momenti, ma allo stesso tempo le
inglobava in una forma coesa cui rimandare anche solo per opposizione: l’unità riemerge dalla frammentazione, secondo un
procedimento dialettico.
In una società espressivista composte da singoli che vivono
in bolle valoriali non negoziabili l’idea stessa che sta alla base
del concetto di tipico, ossia che sia possibile ricondurre la variabilità del mondo in una figura che la sussume e la rende intelligibile, è anacronistica. È in primo luogo la dialettica a essere
posta sotto scacco nell’etere culturale abitato dagli individui
occidentali contemporanei. La sintesi che ancora il Modernismo
riusciva a dare è oramai impossibile: leggendo le opere di cui si
è discusso i nostri processi cognitivi saltano da un sistema
all’altro; questo conflitto irrisolvibile è un segno di come le antitesi bloccate dominano prima ancora della nostra società, delusa e sospettosa del procedimento dialettico, i nostri processi
cognitivi. In una simile configurazione dello spazio pubblico il
discorso non sa dove guardare – la moltiplicazione degli stimoli
cui siamo soggetti peggiora quantitativamente la situazione, ma
non la causa –; cerchiamo freneticamente schemi e simboli nelle
cose; progettiamo arcate di senso che poggiano sull’assoluta
insignificanza delle nostre esistenze e sono pronte a cedere alla
minima scossa; cerchiamo di ricondurre l’aleatorietà
dell’esistenza a qualcosa che ci trascenda, ma non sappiamo
cosa possa essere. Nel frattempo ogni cosa succede, e poi è finita.
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