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I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al tardoantico

2018

https://doi.org/10.6093/978-88-6887-034-8

This volume draws upon the scholarship on the international trade between the Roman Empire and Eastern regions such as Arabia, Ethiopia and India. Such trade has been often described by ancient sources as a flourishing and very expensive one. More in detail, the book focuses on the life and the development of the ports on the Red Sea, controlled by Rome. These ports acted for centuries as international hubs, linking points between West and East, and they were the gates though which the eastern merchandise would reach the Roman markets. Keeping these remote settlements alive required a big effort on the part of the imperial administration, and some degree of planning to choose how and when to invest in the area. So, over the centuries, the geography of such ports changed dramatically. Most works published so far have explained such changes in terms of decline and economic shrinking, due to the “late antique phase” of the Roman Empire. This monograph looks for a different explanation and stretches the analysis into the late antique period, showing hot it was not simply a period of decline and economic recession, but rather of reorganisation. The volume aims finally to reach a new and more full level of understanding of the Roman economic policy in the Red Sea between the first century BC and the sixth AD.

I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Dario Nappo Università degli Studi di Napoli Federico II Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche 20 Dario Nappo I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Federico II University Press fedOA Press I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico / di Dario Nappo Napoli : FedOAPress, 2018. - (Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche ; 20) 220 pp. ; 24 cm. Accesso alla versione elettronica: http://www.fedoabooks.unina.it ISBN: 978-88-6887-034-8 DOI: 10.6093/978-88-6887-034-8 ISSN: 2532-4608 Comitato scientifico Francesco Aceto (Università degli Studi di Napoli Federico II), Francesco Barbagallo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Roberto Delle Donne (Università degli Studi di Napoli Federico II), Werner Eck (Universität zu Köln), Carlo Gasparri (Università degli Studi di Napoli Federico II), Gennaro Luongo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Fernando Marías (Universidad Autónoma de Madrid), Mark Mazower (Columbia University, New York), Marco Meriggi (Università degli Studi di Napoli Federico II), Giovanni Montroni (Università degli Studi di Napoli Federico II), Valerio Petrarca (Università degli Studi di Napoli Federico II), Anna Maria Rao (Università degli Studi di Napoli Federico II), André Vauchez (Université de Paris X-Nanterre), Giovanni Vitolo (Università degli Studi di Napoli Federico II) © 2018 FedOAPress - Federico II University Press Università degli Studi di Napoli Federico II Centro di Ateneo per le Biblioteche “Roberto Pettorino” Piazza Bellini 59-60 80138 Napoli, Italy http://www.fedoapress.unina.it/ Published in Italy Prima edizione: marzo 2018 Gli E-Book di FedOAPress sono pubblicati con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International Indice Indice Mappe Introduzione 5 9 13 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma 1. L’Egitto (323 – 30 a.C.) 2. Il regno dei Nabatei (IV a.C. ? – 106 d.C.) 19 19 31 2. L’età Altoimperiale 1. Il I secolo d.C. 37 37 1.1 Contesto generale 2. 3. 4. 5. 37 La costa egiziana nel I secolo Il litorale arabo nel I secolo d.C. Il quadro complessivo di I secolo I cambiamenti strutturali di II secolo 5.1 Indizi sull’esistenza di una flotta militare nel Mar Rosso 5.2 Il ruolo del principato traianeo nel contesto del Mar Rosso 5.3 Le iscrizioni di Farasan: problemi testuali e possibili interpretazioni 6. Il sistema di tassazione nell’alto impero 6.1 Il litorale egiziano 6.2 Il litorale arabo 40 59 61 65 68 73 77 86 86 98 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) 1. I cambiamenti del IV secolo 2. L’ascesa dei porti settentrionali 3. La periferia diventa centro 4. Il sistema di tassazione in epoca tardoantica 4.1 L’entità dell’aliquota 4.2 La frontiera terrestre nelle province orientali 5. Considerazioni finali sull’epoca tardoantica 5 109 109 118 142 145 154 156 162 4. L’età di passaggio, il III secolo 1. La ‘crisi’ come problema storiografico 2. I cambiamenti di III secolo 171 171 182 2.1 L’inflazione nel III secolo 182 2.2 Assenza di monete posteriori al regno di Caracalla nei ritrovamenti in India 186 2.3 Abbandono o distruzione di Coptos e Myos Hormos 188 3. Conclusioni 193 Bibliografia Indice dei nomi 199 217 6 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Mappe Mappa fisica del Mar Rosso e delle regioni circostanti I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Mappa del Mar Rosso romano, con i principali porti 10 Mappe Dettaglio del Deserto Orientale Egiziano e delle carovaniere 11 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Dettaglio dei porti settentrionali del Mar Rosso 12 Introduzione Minimaque computatione miliens centena milia sestertium annis omnibus India et Seres et paeninsula illa imperio nostro adimunt: tanti nobis deliciae et feminae constant.1 Con queste famose parole, scritte alla metà del I secolo d.C., Plinio il Vecchio ci offre una immagine molto efficace dei traffici commerciali che collegavano Roma con il mondo orientale. Al di là del tono di sdegno di stampo moralista, tipico della élite romana cui Plinio apparteneva, e al di là della dubbia precisione delle cifre proposte dall’autore,2 questa frase introduce subito nella discussione un elemento centrale: il commercio tra Roma e l’Oriente era un affare costoso, che richiedeva l’investimento di grandi capitali. Altrove Plinio aggiunge che, oltre ad essere costoso, era un tipo di commercio molto redditizio, arrivando ad affermare che fosse possibile ricavare fino a 100 volte la cifra investita inizialmente.3 Le affermazioni pliniane sono molto celebri e hanno stimolato un ricco dibattito nel corso dei secoli attorno al tema dei rapporti tra Roma e l’Oriente.4 Le immagini delle carovane di cammelli carichi di spezie, delle navi rudimentali che affrontavano l’impeto dei monsoni, hanno colpito la fantasia degli storici dall’epoca più antica fino a quella moderna.5 Plin., Nat. Hist., XII, 84. Sul tema, da ultimo Evers 2017, 69. 3 Plin., Nat. Hist., VI, 101. 4 Riferimento importante in tal senso resta Veyne 1979. 5 Si veda ad esempio Amm. Marc. (XXIII, 6, 60), che sembra fare riferimento a una ‘via della seta’ ante litteram: Iter longissimum patet mercatoribus pervium ad Seras subinde commeantibus. Gli storici moderni si sono divisi sulla complessiva interpretazione economica del fenomeno del commercio internazionale in termini di globalizzazione e World Economy. Si vedano, a tal proposito: Raschke 1978; Curtin 1984; Christian 2000, 25; Thorsten 2005, 302-304; Whitfield 2007, 205; Ruffing 2013. 1 2 13 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Per questo motivo, il commercio orientale romano è argomento già affrontato da quello che è probabilmente il capostipite di tutti i trattati moderni di storia romana, la monumentale The History of the Decline and Fall of the Roman Empire di E. Gibbon, il quale definiva sprezzante i commerci tra Roma e l’India “splendid, but trifling”. È facile ritrovare nella sintetica definizione del Gibbon una eco molto forte delle parole di Plinio e del suo giudizio moraleggiante. Tuttavia, nel corso degli anni l’argomento, dapprima relegato in una posizione marginale nel contesto degli studi di storia antica, iniziò a guadagnare sempre maggiore spazio nelle opere storiche. Per motivi culturali, collegati alla situazione politica del tempo, furono gli accademici britannici i primi a interessarsi del tema. Non è per caso quindi che il capostipite dei lavori scientifici sul commercio tra Roma e l’India fu The Commerce between the Roman Empire and India di E.H. Warmington, pubblicato nel 1928. È curioso vedere come il Warmington in qualche modo proiettasse sul periodo romano quelle che erano le categorie culturali e sociali dell’Impero Britannico. Infatti, nella sua visione l’India era una sorta di appendice economica dell’Impero Romano, che la dominava tramite una serie di colonie.6 Questa visione imperialista andò sparendo progressivamente dalla storiografia britannica successiva, specie dopo la dichiarazione di indipendenza dell’India. Tuttavia, ancora negli anni ’50, M. Wheeler nel suo Rome Beyond the Imperial Frontiers considerava la città di Arikamedu, sulla costa sudorientale dell’India, di fatto una colonia romana.7 Un maggiore interesse per le dinamiche internazionali del commercio inizia a emergere con i lavori di M.G. Raschke8 e successivamente di L. Casson,9 autore di un’edizione critica del testo del Periplus Maris Erythraei che ancora oggi è considerata un punto di riferimento per gli studi di settore. Negli stessi anni, altra opera fondamentale è quella di S.E. Sidebotham, Roman Economic Policy in the Erythra Thalassa, del 1986. Con quest’opera appare per la prima volta un concetto, quello di “economic policy” che per decenni ancora gli studiosi faticheranno a riconoscere come presente sulla scena del commercio internazionale. Sidebotham per primo ipotizza l’esistenza di una politica economica imperiale romana, sulla base di documenti emersi nel frattempo dalle sabbie dell’Egitto. A 6 7 8 9 Si veda, a titolo di esempio, Warmington 1928, 131, 274-292, 319-320. Wheeler 1954. Raschke 1978. Casson 1989. 14 Introduzione partire proprio dalla decade successiva, e proprio per iniziativa di Sidebotham e altri archeologi operanti nella zona del Mar Rosso, la quantità di informazioni disponibili sulle dinamiche economiche di quest’area inizia a incrementare in maniera esponenziale. Gli scavi di Sidebotham a Berenice, quelli di Parker ad Aqaba, quelli di varie missioni a Myos Hormos, insieme ad altre spedizioni in porti minori, permettono di avere un quadro sempre più chiaro delle dinamiche del commercio romano con le regioni del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. Non è un caso, infatti, che il nuovo secolo veda un proliferare di monografie sul tema. Alla conclusione del vecchio secolo appare quella che resta la monografia italiana più importante sul tema, Cassia Cinnamomo Ossidiana. Uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, di F. De Romanis, opera di grande valore, che affronta lo studio del commercio da una molteplicità di punti di vista, filologico, storico, archeologico, e in cui si trovano alcune brillanti intuizioni che sono oggi acquisite dalla storiografia. Il 2000 vede la pubblicazione del lavoro di W. Ball Rome in the East. The transformation of an Empire e un anno dopo lo segue Rome’s Eastern Trade di G.K. Young. Entrambi i volumi cercano di dare voce a una visione diversa dei commerci imperiali e dei rapporti di scambio tra Roma e i popoli orientali. Gli anni successivi vedono infine l’apparizione dell’ottima sintesi di R. Tomber Indo-Roman Trade del 2008, in cui l’autrice grazie alla sua enorme esperienza nell’analisi dei tipi ceramici riesce a fornire una lettura nuova delle informazioni ricavabili da questa particolare classe di reperti. Successivamente, va certamente segnalato nel 2011 l’importante Berenike and the Ancient Maritime Spice Route ancora una volta di S.E. Sidebotham, che in questo volume offre non solo una sintesi mirabile dei risultati di quasi 20 anni di lavori archeologici nel sito di Berenice, ma ribadisce la sua interpretazione del commercio internazionale in termini di “global economy”. Un anno dopo appare un altro testo a suo modo pionieristico, The Red Sea from Byzantium to the Caliphate. AD 500-1000 di T. Power. Si tratta del primo saggio di una certa importanza a focalizzarsi principalmente sulla fase bizantina e araba del Mar Rosso, ribaltando la cronologia tipica degli studi classici su quest’area, confinati cronologicamente all’epoca tolemaica e romana imperiale. Venendo agli ultimi anni, la carica innovativa delle ultime pubblicazioni sembra essersi alquanto ridotta, e in questo senso né The Roman Empire and the Indian Ocean di R. McLaughlin (2014), né tantomeno Rethinking Classical Indo-Roman Trade di R. Gurukkal (2016) sembrano aver apportato grandi elementi di novità alla discussione, palesando anzi entrambi gravi lacune metodologiche e di ricerca del materiale, mentre decisamente più interessante è 15 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico l’ultima opera ad oggi pubblicata sul tema, di G. Evers.10 A questa breve rassegna mancano molti titoli, opere collettanee, relazioni di scavo. Ho preferito concentrarmi solo sulle monografie, soprattutto per dare conto della popolarità che il commercio tra Roma e i popoli del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano ha riscosso tra gli studiosi negli ultimi decenni. Resta dunque da spiegare il senso di questo lavoro e in che modo esso possa essere considerato originale, data la grande quantità di testi già pubblicati sul tema. Innanzitutto, si è scelto di soffermarsi su un aspetto in particolare: non tanto il commercio in senso astratto, ma soprattutto la gestione delle installazioni portuali romane attive nella parte di Mar Rosso che Roma controllava direttamente. Il numero e la funzione di tali porti non restarono statici, ma anzi variarono nel tempo, da un lato rispondendo alle mutevoli esigenze commerciali dell’area, dall’altro adattandosi alle linee di sviluppo decise dell’autorità imperiale. Per rendere più chiara questa evoluzione, si è scelto un arco cronologico molto ampio, dalla conquista augustea dell’Egitto (30 a.C.), fino alla conclusione della presenza imperiale romana in Egitto, avvenuta quasi sette secoli dopo, per mano degli Arabi (ca. 640 d.C.). Lo scopo è dunque quello di verificare in che modo l’analisi di come questo “sistema portuale” si strutturò e di come si evolse possa fornirci indicazioni di tipo più generale su quella che era la situazione dei commerci tra il mondo mediterraneo e l’Oriente. Considerare tutto il periodo della presenza diretta romana nel Mar Rosso è l’unico modo per comprendere davvero le linee evolutive delle politiche commerciali nell’area, l’unica strada per apprezzare davvero quali cambiamenti ci furono nel modo di gestire i commerci e per quale motivo. In questo lavoro si è dedicato un ampio spazio alla trattazione della evoluzione dei commerci con l’Oriente, a partire dal IV secolo d.C., cercando di evidenziare come la storia economica dell’area del Mar Rosso sia un tutt’uno inscindibile, e che le varie fasi in cui essa è suddivisibile non siano che tappe di uno sviluppo regolare e coerente. Al contrario di quello che è stato spesso affermato, non si verificò alcuna “rottura” nel sistema commerciale romano con l’Oriente, tra III e IV secolo. Da un punto di vista geografico, inoltre, è importante fare un chiarimento preliminare. Definizioni come Ἐρυθρὰ Θάλασσα o Mare Rubrum nelle fonti antiche appaiono con frequenza, ma spesso l’ambito geografico cui esse si riferiscono è piuttosto vago. Possono riferirsi, di volta in volta, a vari bracci di mare, 10 Evers 2017. 16 Introduzione corrispondenti, oggi, al Golfo Persico, al Mar Rosso, all’Oceano Indiano o all’insieme di tutte queste entità geografiche.11 Tradizionalmente, si preferisce tradurre genericamente tali locuzioni “Mar Rosso”, tenendo sempre presente, però, la inevitabile ambiguità che questo termine sottende. È inoltre necessario sottolineare alcune peculiarità fisiche dell’area di cui ci stiamo occupando in maniera specifica, il Mar Rosso, riguardanti tre aspetti: le coste, i fondali e i venti. Una delle caratteristiche che balza all’occhio a una prima osservazione dell’area è il fatto che le regioni costiere del Mar Rosso sono prevalentemente desertiche per molti chilometri nell’entroterra: a Est, infatti, c’è il Deserto Arabico, mentre a Ovest il Deserto Orientale Egiziano. Entrambi questi territori sono particolarmente ostili per l’insediamento umano ed eventuali città che ivi fossero state fondate avrebbero dovuto fare i conti quotidianamente con l’enorme problema del rifornimento idrico. Si tratta, dunque, di aree in cui la vita era estremamente difficile, e questo dettaglio andrà tenuto nella giusta considerazione. Per quanto riguarda invece le caratteristiche fisiche del braccio di mare in senso stretto, può essere utile partire dalla testimonianza di Strabone, il quale, nei primi decenni del I d.C., definiva il Mar Rosso δύσπλους, cioè di difficile navigazione, in particolare per chi avesse intenzione di partire dalla parte più settentrionale, per farvi successivamente ritorno.12 Perché Strabone riteneva che la navigazione nel Mar Rosso fosse tanto complicata? Una prima risposta è certamente data dalla presenza di acque basse e di fondali pieni di scogli appena affioranti, che rendevano particolarmente insidioso navigare in quel mare. Tuttavia, questa è una caratteristica comune tanto alla parte settentrionale quanto a quella meridionale del Mar Rosso, mentre Strabone ebbe cura di sottolineare che a Nord la navigazione presentava delle difficoltà supplementari. Il motivo di questa precisazione va ricercato nel particolare regime dei venti: mentre a sud del 20° di latitudine Nord si alternano, in concomitanza con i monsoni, venti in direzione Sud-Sud-Est nei mesi estivi e venti in direzione Nord-Nord-Est nei mesi invernali, a nord di quella stessa latitudine spirano per Sidebotham 1986a, 1; Rougé 1988, 59-60; Salles 1994, 165-188; Fauconnier 2012. Strab., XVII, 1, 45: λέγεται […] τοῦτο δὲ πρᾶξαι διὰ τὸ τὴν Ἐρυθρὰν δύσπλουν εἶναι καὶ μάλιστα τοῖς ἐκ τοῦ μυχοῦ πλοϊζομένοις. Il geografo, oltre a derivare questa informazione da autori ellenistici, ebbe la possibilità di verificarne in prima persona la veridicità, allorché prese parte alla infelice spedizione di Elio Gallo nel Mar Rosso, partita proprio dalle coste settentrionali. Si vedano anche Arnaud 2014 e De Romanis 2015. Per l’edizione di riferimento del XVII libro di Strabone, si veda Laudenbach 2015. 11 12 17 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico tutto l’anno venti in direzione Sud-Sud-Est. Per questo motivo è evidente che, a Sud di 20° lat. N, si può navigare col vento a favore sia in direzione Nord che Sud (a patto di scegliere il periodo più indicato dell’anno); al contrario, risalire verso Nord oltre il 20° lat. N comporterebbe la necessità di navigare controvento in ogni periodo dell’anno.13 Navigare controvento non è impresa impossibile, ma va considerato che i vascelli romani erano attrezzati solo con la cosiddetta vela quadra, la quale consentiva di navigare controvento solo a patto di procedere lungo una traiettoria a zig-zag, allungando di molto, conseguentemente, i tempi di navigazione.14 A ciò si dovrà aggiungere che, nel caso del Mar Rosso, questa operazione si sarebbe dovuta eseguire in un mare dai fondali insidiosi e dalle coste desertiche, prive di rifornimenti idrici. D’altra parte, attraccare nei porti più meridionali, se pure evitava ai mercanti una lunga e complessa navigazione controvento, li obbligava a una non meno penosa traversata nel deserto. Questa caratteristica influenzò profondamente la geografia dei commerci nel Mar Rosso, determinando la fortuna di alcuni insediamenti e il declino di altri. 13 Per una approfondita esposizione delle caratteristiche ambientali che rendono difficoltoso navigare nel Mar Rosso, rimando al lavoro di De Romanis 1996, 21-28. Si vedano anche Sidebotham 1986a, 51-52; Sanlaville 1988, 20; Sidebotham e Wendrich 1995, 6; De Romanis 2015, 49-50. 14 Si veda, a tal proposito, il classico studio di Casson 1971, 274. 18 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma La presenza diretta dei Romani nell’area del Mar Rosso ha inizio nel 30 a.C., anno in cui Ottaviano conquistò l’Egitto tolemaico, portando per la prima volta i confini dell’Impero sulle coste del Mare Rubrum. Ma i Romani non furono certamente i primi a sfruttare l’enorme potenziale commerciale dell’area: prima del loro arrivo, il regno d’Egitto e quello dei Nabatei avevano gestito i traffici con l’Oriente dal Mar Rosso. Proprio dalla storia di questi due regni sarà utile iniziare, per evidenziare quale organizzazione trovarono i Romani al loro arrivo e in che modo la utilizzarono per i propri fini. 1. L’Egitto (323 – 30 a.C.) Dopo la morte di Alessandro il Grande nel 323 a.C., il suo generale Tolomeo prese saldamente il controllo dell’Egitto, assumendo il nome di Tolomeo I Sotere (323-283/282 a.C.) e fondando una dinastia destinata a durare quasi 300 anni. Il significato economico dell’attività svolta dai Tolomei nel Mar Rosso è stato in passato esagerato nella storiografia contemporanea, mentre già da alcuni decenni si è evidenziato che in questa epoca gli scambi commerciali nel Mar Rosso furono alquanto limitati.15 È parimenti nozione acquisita che i Tolomei ebbero una partecipazione economica nell’area del Mar Rosso piuttosto circoscritta: si limitarono a costruire le infrastrutture necessarie a stimolare il commercio, ma non presero parte ad esso, preferendo lasciarlo nelle mani di imprenditori privati.16 Gli interessi commerciali principali erano legati alla importazione di elefanti da guerra e di oro dall’Africa. In particolare, i Tolomei ritennero sempre fondamentale per rinforzare i propri eserciti rifornirli costantemente con i possenti 15 7. 16 Si veda la posizione espressa da Sidebotham 1986a, 12; De Romanis 1996, 121; Power 2012, Sidebotham 1986a, 2; Power 2012, 8. 19 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico pachidermi africani. Questi erano cacciati nelle aree a Sud dei confini egiziani, nella regione chiamata Trogodytica: per poterli trasportare fino in Egitto furono approntate delle imbarcazioni speciali, di enormi dimensioni e tonnellaggio, dette appunto ἐλεφαντηγοί.17 Ben poco sappiamo delle attività commerciali nell’area del Mar Rosso sotto Tolomeo I, eccezion fatta per quanto ci tramanda Teofrasto, suo contemporaneo, in merito all’importazione in Egitto di una serie di prodotti dall’Oriente (mirra, incenso, pepe, cassia, cinnamomo).18 Tuttavia, Teofrasto non ha le idee molto chiare sulla esatta provenienza di alcune delle merci di cui parla; la stessa ignoranza è palesata da altre testimonianze coeve,19 il che farebbe pensare che i rapporti commerciali diretti tra il regno d’Egitto e l’India fossero piuttosto rari. Un peso maggiore ebbe il regno di Tolomeo II Filadelfo (283/282-246 a.C.) nello sviluppo dell’attività commerciale nel Mar Rosso. Si deve alla sua iniziativa, infatti, la costruzione di una serie di porti, alcuni dei quali svolsero un ruolo di primo piano nella gestione dei commerci nell’area per diversi secoli. Significativamente, durante il regno del Filadelfo per la prima volta si sentì l’esigenza di strutturare in maniera stabile una via carovaniera che congiungesse i porti del Mar Rosso con il Nilo. Qui esistevano dei porti fluviali che fungevano da punto di raccolta e smistamento per le merci approdate sulla costa: Coptos (Qift) e Apollonopolis Magna (Edfu). Queste piste carovaniere nel deserto erano sottoposte a continua sorveglianza militare e fornite di punti di approvvigionamento idrico, detti hydreumata.20 Coptos era ubicata nel punto in cui il corso del Nilo scorre più vicino alla costa orientale dell’Egitto, mentre Apollonopolis Magna era più a Sud. L’importanza di infrastrutture di questo genere dovrebbe risultare immediatamente evidente. Si è detto nell’introduzione che la rotta preferita per importare le merci nel mondo mediterraneo tramite il Mar Rosso prevedeva l’approdo 17 Nonostante già Tolomeo I Sotere avesse iniziato a importare regolarmente elefanti in Egitto, fu specialmente il figlio Tolomeo II Filadelfo ad adoprarsi per rendere costante il flusso di pachidermi dall’Africa. Non a caso, come stiamo per vedere, egli si diede da fare per creare apposite infrastrutture capaci di gestire questo commercio in maniera ottimale. Per questo argomento in generale, si veda Casson 1993, 247-260; Power 2012, 6-8. 18 Theophrast., De Hist. Plant., IV, 4, 8; IV, 4, 18; IV, 4, 14; VIII, 4, 2; IX, 4, 1-10; IX, 20, 1. 19 Bernard 1972, 145-147, n. 72; Sidebotham 1986a, 2. 20 Gli hydreumata erano pozzi scavati nel deserto, che servivano per rifornire periodicamente i viandanti di acqua potabile. Si vedano Bernard 1972, 46-54; Bagnall 1976, 35; Sidebotham 1986a, 3; Young 2001, 45-46. 20 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma dei cargo nei porti meridionali dell’Egitto. Di qui, era necessario raggiungere Alessandria, punto di distribuzione internazionale delle merci orientali. Per far questo, le merci scaricate sulla costa erano convogliate tramite un sistema di vie carovaniere fino alla Valle del Nilo (da qui poi erano imbarcate e spedite ad Alessandria). La costruzione di piste ben definite e ben protette lungo l’ostile deserto orientale egiziano permetteva di percorrere in maniera relativamente agevole la distanza tra i porti marittimi e i centri fluviali. Queste piste erano costellate di postazioni militari che avevano ovviamente lo scopo di proteggere le carovane che si addentravano nel deserto da possibili attacchi di banditi. Complessivamente, nel periodo compreso tra il regno del Filadelfo e quello di Tolomeo IV Filopatore (221-205 a.C.), le nostre fonti ricordano la fondazione di una quindicina di porti sulla costa del Mar Rosso.21 In ordine alfabetico, essi sono: - Ampelona - Arsinoe/Kleopatris - Arsinoe presso Deire - Arsinoe Trogodytika - Berenice ἐπὶ δειρῆς - Berenice Ezion Geber - Berenice presso Sabai - Berenice Panchrysos - Berenice Trogodytica - Leukos Limen - Myos Hormos - Nechesia - Philoteras - Ptolemais Theron Si cercherà ora di fornire in maniera molto sintetica un quadro sulle informazioni che possediamo riguardo a queste installazioni. 21 Strab., XVI, 4, 7; Plin., Nat. Hist., VI, 170-175. 21 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Ampelona Plinio cita Ampelona nel suo elenco di città nella regione arabica, lungo il litorale del Mar Rosso, ricordando che si tratterebbe di una colonia di fondazione milesia.22 È stato ovviamente rilevato da molto tempo come sia altamente improbabile che Mileto abbia realmente fondato una città in questa zona. Il Tarn ipotizzò che la fondazione della città potesse ricondursi all’epoca tolemaica, e che in seguito questa sarebbe stata colonizzata dai Milesii, proprio su richiesta di uno dei dinasti lagidi. L’ipotesi giudicata più probabile dal Tarn stesso è che la fondazione sia da attribuirsi a Tolomeo II, fautore di una politica molto attiva in Arabia.23 Infine, egli suggeriva che Ampelona si potesse forse identificare con la successiva Leuke Kome.24 Arsinoe/Kleopatris Le maggiori informazioni su questo porto ci provengono da Strabone, che però sembra non avere le idee chiare. Nei tre luoghi in cui ci parla di questa città, egli riferisce: a) che Arsinoe era detta anche Kleopatris e che era situata presso (κατά) la foce del canale che si riversava nel Golfo di Heroonpolis (moderno Golfo di Suez);25 b) che Kleopatris si trovava presso l’antico canale che partiva dal fiume Nilo e sfociava nel Mar Rosso;26 c) infine, distingue le due città, dicendo che Kleopatris si trova vicino (πλησίον) Arsinoe.27 Plin., Nat. Hist., VI, 159. Tarn 1929, 21-22. Che la fondazione fosse da far risalire all’iniziativa di un dinasta lagide è idea condivisa anche da Kortenbeutel 1931, 21; Sidebotham 1986a, 3. Tarn sottolineava che Mileto fu sotto la signoria dei Tolomei dal 279 al 258 a.C. e dal 245/241 al 197 a.C. Egli ipotizzava che la fondazione della colonia avrebbe avuto luogo dopo la spedizione del Filadelfo del 277 e prima del 260 a.C., mentre Sidebotham ipotizzava che potesse essere stato Tolomeo II o Tolomeo III. 24 Tarn 1929, 21-22; seguito in questa interpretazione anche da Sidebotham 1986a, 3. 25 Strab., XVII, 1, 25. 26 Strab., XVI, 4, 23. 27 Strab., XVII, 1, 26. 22 23 22 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma In realtà, la confusione è più apparente che reale. Con ogni probabilità le due città erano effettivamente adiacenti l’una all’altra, sicché potevano essere confuse o considerate come un unico agglomerato urbano; ovvero, si trattava di un’unica città, chiamata originariamente Arsinoe e successivamente Kleopatris.28 Questa ipotesi è suffragata dal fatto che negli Acta del Concilio di Calcedone del 451 si fa riferimento a Cleopatris quae et Arsinoe.29 Ad esempio, Plinio e Claudio Tolomeo conoscono solo Arsinoe, non Kleopatris.30 D’altra parte, potremmo anticipare fin d’ora che le fonti di cui disponiamo citano, complessivamente, ben tre città ubicate sul Golfo di Heroonpolis: oltre alle due già menzionate, va aggiunta Clysma, di cui si parlerà diffusamente nel capitolo 3 di questo lavoro. Arsinoe Nel suo elenco delle città ubicate lungo le coste del Mar Rosso, Strabone fa menzione di una Arsinoe presso Deire, aggiungendo che essa era πόλις e porto.31 Le frammentarie e generiche testimonianze ricavabili dalle altre fonti in nostro possesso32 non consentono di poter dire molto su questo insediamento: Desanges ha ipotizzato che il fondatore possa essere Tolomeo III,33 ma nonostante le ipotesi avanzate dallo studioso francese, non è stato possibile pervenire ad una identificazione precisa dell’ubicazione del sito.34 28 Burstein 1989, 134, n. 2 ipotizzava che Arsinoe fosse stata rinominata Kleopatris in onore di Cleopatra VII (51-30 a.C.). 29 Per l’edizione degli Acta, si veda Mansi 1961, vol. 6, 571. 30 Plin., Nat. Hist., V, 65; Ptolem., Geog., IV, 5, 14-15. Per un’analisi approfondita delle attestazioni riguardo a questa città nelle fonti antiche si veda Cohen 2006, 308-309. 31 Strab., XVI, 4, 14. Su Deire si vedano Strab., XVI, 4, 4; Desanges 1978, 296. Kortenbeutel (1931, 36) riteneva che Arsinoe fosse da identificare con Berenice ἐπὶ δειρῆς; contra, Fraser 1972, vol. 2, 305. Desanges (1978, 447) ipotizzava che la città potesse essere identificata con Arsinoe Trogoditica. 32 Pomp. Mela, III, 80; Ptolem., Geog., IV, 7, 2; Geog. Rav., II, 7, 19. 33 Desanges 1978, 297, n. 421; si confronti anche Kortenbeutel 1931, 38-39. 34 Sidebotham 2017. 23 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Arsinoe Trogodytica Secondo Strabone,35 la città di Arsinoe si trovava tra Philoteras e Myos Hormos, nel Paese dei Trogoditi. Nella stele di Pithom (ll. 20-21) si può forse ravvisare un riferimento alla fondazione di Arsinoe (e a Philoteras), che potrebbe collocare la fondazione stessa negli anni attorno al 270 a.C. Nulla si sa sulla precisa ubicazione della città.36 Berenice ἐπὶ δειρῆς È Plinio a ricordare esplicitamente questa città,37 che sarebbe da collocare sul promontorio adiacente a Bab el-Mandeb (fauces Rubri Maris). Nulla si sa di preciso sul fondatore della città, anche se il Desanges postula che si tratti di Tolomeo III.38 Berenice Ezion Geber Secondo Flavio Giuseppe, il re Salomone costruì flotte “nel Golfo Egiziano del Mar Rosso nel punto chiamato Ezion Geber, non lontano dalla città di Aila, ora chiamata Berenice”.39 È generalmente accettato che la Berenice di cui parla Giuseppe sia la Aila di epoca romana, nel sito della moderna città di ‘Aqaba.40 Berenice Presso Sabai L’identificazione di questa città è ancora lungi dall’essere chiara. Strabone è l’unico che ne fa menzione.41 Ne è stata sostenuta, con varie argomentazioni, Strab., XVI, 4, 5. Non sarà qui inutile sottolineare come alcuni studiosi, a partire dal Desanges (1978, 269) abbiano completamente negato la possibilità che questa città esistesse realmente, ipotizzando che l’unica autentica Arsinoe esistente in antico era quella ubicata sul Golfo di Heroonpolis. 37 Plin., Nat. Hist., VI, 170. Un’altra, possibile, testimonianza è in Pomponio Mela (III, 80: ultra Arsinoe et alia Berenice), almeno secondo l’opinione di Desanges 1978, 93. 38 Desanges 1978, 297. 39 Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 163. 40 Cohen 2006, 314. 41 Strab., XVI, 4, 10. 35 36 24 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma l’identificazione con la città di Adulis, porto principale del regno etiopico di Axum.42 Berenice Panchrysos È Plinio l’unica fonte che fa menzione di questa particolare città.43 Egli la include, con Berenice ἐπὶ δειρῆς, tra le città della Trogoditica. La maggior parte degli studiosi ritiene che si tratti di una confusione con qualche altro porto più famoso dallo stesso nome.44 Non è possibile identificare con precisione l’ubicazione di questo porto. Berenice Trogodytica Secondo Plinio45 questo porto prese il suo nome dalla madre di Tolomeo II, il quale avrebbe fondato la città nel III secolo a.C. (circa il 275 a.C.).46 Il periodo di maggiore fioritura si colloca nel I secolo d.C., sotto il dominio romano.47 La città fu fondata in un sito che parrebbe non essere stato abitato in precedenza.48 Strabone riferisce che non esisteva ai suoi tempi un vero e proprio porto, ma piuttosto un punto di approdo;49 aggiunge, inoltre, che nel paese dei Trogoditi i Tolomei cacciavano gli elefanti50 che erano da loro utilizzati in guerra. Ed è proprio a Berenice che gli elefanti erano trasportati via mare dalle aree a Sud del Regno d’Egitto, partendo dal porto di Tolemaide Theron, città che deve il suo toponimo al suo coinvolgimento nel commercio di animali selvaggi.51 Da BereSi veda la rassegna operata da Cohen 2006, 315-316. Plin., Nat. Hist., VI, 170. 44 Si confrontino, a tal proposito, le opinioni proposte da Fraser 1972, vol. 2, 305; Desanges 1978, 295; Cohen 2006, 316-318. 45 Plin., Nat. Hist., VI, 168. 46 Sidebotham e Wendrich 1995, 5; Sidebotham 2011, 7-8; Woźniak e Rądkowska 2011. 47 Come chiaramente attestato dai risultati degli scavi ivi effettuati, che hanno evidenziato un sensibile aumento della superficie edificata, al passaggio dall’epoca tolemaica a quella romana. Sidebotham e Wendrich 1996, 95; Sidebotham e Wendrich 1998, 119; Sidebotham 2011, 5960. 48 Sidebotham e Wendrich 2000; Sidebotham e Wendrich 2001/2002, 28-29. 49 Strab., XVII, 1, 45. 50 Strab., XVI, 4, 4. Woźniak e Rądkowska 2011. 51 Resti di elefanti sono effettivamente attestati archeologicamente in città. Sidebotham et al. 2008, 162-165; Sidebotham 2011, 53-54; Sidebotham e Zych 2012, 137. 42 43 25 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico nice, gli elefanti erano trasportati via terra fino al Nilo, al porto di Apollonopolis Magna tramite la pista che attraversava il deserto fino al corso del fiume Nilo; lì erano imbarcati alla volta di Alessandria.52 Il sito è stato oggetto di numerose campagne di scavo a partire dagli anni ’90, che hanno consentito di identificare con precisione l’ubicazione della città antica, nei pressi della moderna Ras Banas.53 Leukos Limen Soltanto Claudio Tolomeo cita questo porto, sulla costa egiziana del Mar Rosso.54 Nessuna informazione sulla data di fondazione o sulla sua precisa ubicazione è ricavabile dal geografo alessandrino, che si limita a una semplice elencazione di porti. Sidebotham e Casson hanno sottolineato che, non essendo il sito citato da Strabone, né dall’anonimo autore del Periplus, si potrebbe immaginare che esso sia stato fondato dopo la metà del I secolo d.C.55 Per quanto riguarda l’ubicazione del sito, è stata ipotizzata l’area a sud di Quseir al-Qadim.56 Successivamente, è stata avanzata l’ipotesi che non sarebbe mai esistito alcun sito di nome Leukos Limen: semplicemente, Tolomeo avrebbe per errore riportato in maniera non corretta il nome di Leuke Kome, nel redigere la sua lista, trasformandolo in Leukos Limen.57 52 Si veda a tal proposito l’interessante testimonianza di P.Petrie II, 40 (= Chrest. W. 452), databile al 224 a.C. In realtà, la corretta interpretazione del frammentario papiro è molto controversa. Non tutti gli studiosi sono concordi nell’identificare la Berenice cui si fa riferimento nel papiro con Berenice Trogoditica. A favore di questa opinione, si veda Casson 1993, 257-258; contra, Desanges 1978, 296. D’altra parte, l’unica prova a favore della presenza di un mercato di elefanti a Berenice Trogoditica è un frammento di osso di elefante ritrovato durante una campagna di scavo nel 2000, per il quale si veda Sidebotham e Wendrich 2001/2002, 41. Nel sito sono stati rinvenuti una serie di oggetti d’avorio, ma, come evidenziato dai due studiosi, questo non permette di affermare con certezza che esistesse un fitto commercio di elefanti passante per questo porto. 53 Sidebotham e Wendrich 1995, 5-6; Sidebotham e Wndrich 1999; O.Ber. I. 54 Ptolem., Geog., IV, 5, 15. 55 Sidebotham 1986a, 55; Casson 1989, 96. 56 Whitcomb e Johnson 1979, 4; Whitcomb e Johnson 1982a, 2; Sidebotham 1986a, 53-56; Casson 1989, 96; Meyer 1992, 1-6. 57 Cuvigny 2003a, 28. Gli autori sottolineano un dettaglio non trascurabile per supportare la loro teoria, e cioè che nella lista di Tolomeo Leuke Kome stranamente non è citato. 26 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma Myos Hormos Secondo Strabone, Myos Hormos58 era ubicata a Sud di Arsinoe, aveva un ampio porto ricurvo e tre isole erano visibili al largo della città.59 Plinio ricorda che nei paraggi c’era una fonte.60 È ancora Strabone ad aggiungere alcune informazioni sulla vita economica della città, informandoci che era una πόλις e che in essa era presente una stazione per i marinai,61 sottolineando come, ai suoi tempi, circa 120 navi ogni anno partissero da Myos Hormos alla volta dell’India, laddove solo poche erano quelle che dallo stesso porto partivano in epoca tolemaica.62 Anche il Periplus Maris Erythraei cita Myos Hormos, sottolineando come esso sia, insieme con Berenice, uno dei porti principali nel commercio con l’India.63 Riguardo alla fondazione del porto, la maggior parte degli studiosi è concorde nell’attribuirla a Tolomeo II, anche se va sottolineato che non ci sono evidenze letterarie in merito, né tantomeno incontrovertibili prove archeologiche di una chiara fase tolemaica del sito.64 Molto complesso è stato giungere a una sicura identificazione del sito di Myos Hormos. Per molti anni, sulla base delle informazioni ricavabili dalle fonti a nostra disposizione e già citate in precedenza, molti studiosi avevano pensato di poter identificare l’antico porto con il moderno sito di ’Abu Sha’ar.65 Tuttavia, questa ipotesi è necessariamente stata abbandonata allorché, in seguito a scavi archeologici, si è potuto appurare che il sito di ’Abu Sha’ar è stato fondato in Per il curioso toponimo della città, si veda De Romanis 1996, 147-150. Strab., XVI, 4, 5. 60 Plin., Nat. Hist., VI, 168. 61 Strab., XVII, 1, 45. 62 Strab., II, 5, 12 e XVI, 4, 24. In effetti, Strabone non specifica se il numero di 120 navi sia il totale che parte dalle sponde di Myos Hormos ogni anno, o se si tratta delle navi che hanno lasciato il porto nel periodo in cui egli si trovava lì. Tuttavia, tra le due ipotesi sembra più ragionevole la prima. 63 PME, 1. 64 Si vedano Tarn 1929, 22; Sidebotham 1986a, 2-3; Peacock 1993, 226. In particolare, Whitcomb (1996, 759-761) ha ipotizzato che Myos Hormos tolemaica potesse essere individuata nella moderna città di Quseir (poco più a sud di Quseir al-Qadim). L’ipotesi è accettata da Cuvigny 2003a, mentre è stata recentemente rigettata da Peacock e Blue 2006, 5-7. 65 Si veda Casson 1989, 96, anche per la bibliografia precedente. 58 59 27 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico epoca tardoantica (inizi IV secolo), dato ovviamente inconciliabile con la storia di Myos Hormos.66 Successivamente si è fatta largo l’ipotesi dell’identificazione con la moderna città di Quseir al-Qadim.67 Nel corso delle campagne di scavo ivi effettuate dall’Università di Chicago (tra il 1978 e il 1982) sono stati rinvenuti almeno due documenti che contenevano il nome di Myos Hormos.68 Nel 1994 A. Bülow-Jacobsen, H. Cuvigny e J.-L. Fournet, lavorando al sito di el-Zerqa (antica Maximianon), posto 65 km nell’entroterra, lungo la rotta Qift-Quseir, scoprirono otto ostraka che contenevano il nome di Myos Hormos.69 Altri ostraka riportavano il sintagma ὁδὸς Μυσορμιτική, “rotta per Myos Hormos”; un altro ostrakon rinvenuto ad el-Muweih (antica Krokodilo), sulla stessa rotta, menziona un carico di legname per carpenteria navale destinato a Myos Hormos. In tutto, ad oggi, si possono contare 33 ostraka rinvenuti in queste due località, che contengono il nome di Myos Hormos.70 Questi documenti basterebbero da soli a far identificare in via definitiva Quseir al-Qadim con l’antico porto egiziano. Inoltre, in anni successivi (tra il 1999 e il 2000) campagne di scavo portate avanti dall’Università di Southampton a Quseir hanno rinvenuto altri due documenti in loco (un papiro databile al 93 d.C. e un ostrakon), entrambi contenenti il nome di Myos Hormos.71 Possiamo, dunque, essere assolutamente sicuri che la città romana di Myos Hormos corrisponde alla moderna Quseir al-Qadim. Nechesia Claudio Tolomeo è ancora una volta l’unica fonte a nostra disposizione sul porto di Nechesia, che egli colloca tra Leukos Limen e Berenice.72 Non abbiamo Sull’argomento si veda anche Bongrani Fanfoni 1997, 53-59. Per ’Abu Sha’ar, si veda infra, pagg. 136-140. 67 Il primo a proporre decisamente questa interpretazione fu il Peacock 1993, 226-232. 68 Gli editori dei reports degli scavi americani sostennero la teoria di poter identificare Quseir al-Qadim con Leukos Limen, proprio sulla base di testimonianze documentarie rinvenute in situ. Per il dossier completo dei documenti rinvenuti tra il 1978 e il 1982 a Quseir al-Qadim, si veda Bagnall 1986, 1-60. 69 Bülow-Jacobsen et al. 1994, 27-42. 70 Sul complesso dei documenti rinvenuti nella zona negli ultimi anni, si vedano Bülow-Jacobsen 1998, 65-66; Cohen 2006, 333. 71 Peacock e Blue 2006. 72 Ptolem., Geog., IV, 5, 14. 66 28 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma idea di chi abbia fondato la città, in quale periodo, o dove essa fosse situata. Il Meredith ipotizzò una collocazione presso Wadi Mubarak;73 Sidebotham, invece, ha optato per Marsa Nakari. Egli ha anche provato a ricostruire la pista che avrebbe congiunto Nechesia con Edfu, sul Nilo.74 A Marsa Nakari è stata effettuata una campagna di scavo che ha portato alla luce resti di I e IV secolo d.C., ma al momento questi dati sono insufficienti per affermare con certezza che il sito moderno corrisponda all’antica Nechesia.75 Philoteras Strabone racconta che Philoteras fu fondata da Satyros, che stava esplorando la Trogoditica alla ricerca di elefanti,76 senza precisare la data in cui ciò sarebbe avvenuto, ma aggiungendo che il nome della città deriverebbe da quello della sorella di Tolomeo II Filadelfo.77 Plinio aggiunge che il sito era chiamato anche Aenum e lo descrive come una piccola città. Claudio Tolomeo ricorda che ivi era un porto. L’esatta collocazione è ad oggi ignota, e gli studiosi hanno proposto con vari argomenti i siti di Aïn Sukhna e Safaga.78 In ogni caso è impossibile approfondire la discussione su questo insediamento.79 Ptolemais Theron Secondo Strabone80 Ptolemais Theron fu fondata per volere di Tolomeo II da Eumede, con lo scopo di intensificare la caccia agli elefanti, nei pressi dell’area Meredith 1958, 103. Sidebotham 1997, 505; Bagnall et al. 1996, 317-330; Tomber 2008, 65; Sidebotham 2017. 75 Per il resoconto degli scavi si veda Seeger 2001, 77-88; in generale, si confronti anche Jackson 2002, 85. 76 Strab., XVI, 4, 5. 77 Il Tarn (1926, 99) ipotizzò che la fondazione della città fosse anteriore al matrimonio tra Tolomeo II e Arsinoe II, datato al 276/275 a.C.; il Kortenbeutel (1931, 24) sostenne al contrario una datazione posteriore al 271 a.C.; il Fraser (1972, 300) ha ulteriormente spostato la data, ipotizzando il 270 a.C. come terminus post quem; il Casson (1993, 248) si è espresso a favore di una datazione a ridosso del 270. 78 Sidebotham 1991, 19; Jackson 2002, 80. 79 Un resoconto dettagliato sulla evidence disponibile per il sito è consultabile in Sidebotham 2017. 80 Strab., XVI, 4, 7. 73 74 29 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico in cui i grossi pachidermi erano presenti in grandi quantità. Plinio81 fornisce alcune informazioni per identificare il sito, dicendo che esso era nei pressi del Lago Monoleo, a una distanza di circa 602 miglia da Berenice. Il Periplus Maris Erythraei82 descrive Ptolemais come una piccola stazione commerciale, priva di un vero porto, ma con solo un riparo per le imbarcazioni; aggiunge inoltre che essa era la base da cui partivano le battute di caccia all’elefante e che era un punto di scambio internazionale di prodotti come i gusci di tartaruga e, talvolta, avorio.83 Sebbene ci sia generale accordo nel collocare Ptolemais sulla costa africana in un’area compresa tra il 19° e il 18° di latitudine, il sito non è ancora stato identificato. Una delle ipotesi ad oggi più accreditate è che possa essere collocato nei pressi della moderna città di Aqiq.84 Come si è visto, il ruolo principale di queste installazioni era facilitare l’importazione di oro, avorio ed elefanti da guerra dall’Etiopia; di spezie e unguenti dalla penisola arabica.85 Più difficile stabilire la reale entità di eventuali scambi intercorsi tra l’Egitto tolemaico e l’India. Testimonianza di contatti quantomeno diplomatici tra l’imperatore indiano Aśoka e i regni ellenistici di Siria ed Egitto è contenuta nel tredicesimo degli editti incisi su pietra del sovrano indiano,86 ma nulla si può dire sulla esatta natura di questi contatti.87 Dalla rassegna operata in precedenza, appare verisimile che in realtà gli scambi commerciali diretti con l’India fossero alquanto rari. In effetti, si potrebbe pensare che una svolta nella gestione dei commerci con il subcontinente indiano sia stata data dalla scoperta del regime periodico dei monsoni da parte dei mercanti occidentali. Il problema di identificare con precisione la data e la “paternità” di questa scoperta è stato affrontato da molti studiosi, pur senza trovare un accordo largamente condiviso: Plin., Nat. Hist., VI, 171. PME, 3. 83 Su questo punto si confronti l’analisi di Casson 1989, 101-102; 108. 84 Cohen 2006, 342-343. 85 Sulle importazioni provenienti da queste regioni ricca è la documentazione papiracea: P. Cairo Zenon 59536; P. Cairo Zenon 59176; PSI 328; PSI 628; P. Teb. I, 190; P. Teb. I, 250. Si vedano anche: Raschke 1975, 241-246; Sidebotham 1986a, 5. 86 Per un’edizione italiana recente degli editti di Aśoka, si veda Pugliese Carratelli 2003: per l’editto XIII, 66-68. 87 Rostovzeff 1932, 743; Raschke 1975, 242 e n. 5; Sidebotham 1986a, 7. 81 82 30 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma le ipotesi oscillano tra il 116 a.C. (viaggio di Eudosso di Cizico in India) e il 40 d.C. (viaggio di Lisia, liberto di Annio Plocamo, in Sri Lanka).88 Va comunque sottolineato che la scoperta del regime periodico dei monsoni, pur se avvenuta in epoca tolemaica, non produsse un reale, significativo aumento dei rapporti commerciali tra l’Egitto e l’India, né un intensificarsi dei contatti diretti tra questi due Paesi. Possiamo ritenere senz’altro che il flusso delle merci dall’Oriente si mantenne pressoché costante, e che la maggior parte continuò ad arrivare in Egitto per il tramite di intermediari arabi.89 Il grande exploit delle importazioni dall’India, accompagnato da un aumento decisivo dei rapporti commerciali diretti con il Paese asiatico, avvenne solo dopo l’annessione dell’ex regno tolemaico all’impero romano, come vedremo in seguito. 2. Il regno dei Nabatei (IV a.C. ? – 106 d.C.) Non conosciamo esattamente la data di formazione del Regno dei Nabatei, una popolazione semitica originaria della Penisola Arabica, stanziati nell’area a Sud ed Est del Mar Morto. La testimonianza più antica su di loro è quella fornita da Diodoro Siculo. Questi, nel raccontare la campagna militare intrapresa da Antigono Monoftalmo contro i Nabatei stessi nel 312 a.C.,90 ci offre un terminus ante quem per collocare la nascita di questo piccolo ma significativo regno.91 A ben leggere il testo dello storico siceliota, tuttavia, appare chiaro che le origini del popolo nabateo risalgono di parecchi anni indietro, potendosi collocare, forse, nel periodo di dominazione achemenide dell’area.92 Per quanto concerne il nostro discorso, possiamo asserire con certezza che, quantomeno a partire dalla fine del I secolo a.C., essi avevano esteso il proprio dominio e si erano ritagliati uno spazio non secondario nella regione, sia come Sull’argomento si vedano Thiel 1967, 12; Raschke 1978, 660-663; Casson 1980, 21-36; Sidebotham 1986a, 8-9; De Romanis 1996, 140-146. 89 Si vedano Sidebotham 1986a, 8-9; De Romanis 1996, 143-146. 90 Diod. Sic., XIX, 94, 4-5. La testimonianza di Diodoro è con ogni probabilità basata sul resoconto di un testimone oculare dei fatti in questione, Geronimo di Cardia. 91 Sui rapporti tra Nabatei e i regni ellenistici, si veda Graf 2006, 47-68. 92 Sui complessi problemi della cronologia nabatea, che esulano dagli intenti di questo lavoro, si vedano Negev 1966, 89-98; Negev 1967, 46-55; Negev 1969, 5-14; Lawlor 1974, 27-35; Negev 1976, 125-133; Bowersock 1983; Negev 1986, 1-3; Schmid 2001, 367-426. 88 31 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico potenza politica, sia (ancor più) come potenza economica, particolarmente inserita nelle rotte commerciali che dal Sud Arabia importavano vari generi di spezie nelle varie regioni del Mediterraneo, raggiungendo un grande livello di prosperità, in particolare sotto il re Aretas IV.93 Ancora una volta è Diodoro Siculo che ci informa dei loro traffici commerciali:94 οὐκ ὀλίγων δ᾿ ὄντων Ἀραβικῶν ἐθνῶν τῶν τὴν ἔρημον ἐπινεμόντων οὗτοι πολὺ τῶν ἄλλων προέχουσι ταῖς εὐποριαῖς, τὸν ἀριθμὸν ὄντες οὐ πολὺ πλείους τῶν μυρίων· εἰώθασι γὰρ αὐτῶν οὐκ ὀλίγοι κατάγειν ἐπὶ θάλασσαν λιβανωτόν τε καὶ σμύρναν καὶ πολυτελέστατα τῶν ἀρωμάτων, διαδεχόμενοι παρὰ τῶν κομιζόντων ἐκ τῆς Εὐδαίμονος καλουμένης Ἀραβίας. “Delle numerose tribù arabe che portano al pascolo nel deserto i loro greggi, questi superano di gran lunga gli altri per ricchezze, e sono non più di diecimila. Non pochi di loro infatti sono soliti condurre al mare incenso, mirra e i più preziosi aromi che ricevono da coloro che arrivano dall’Arabia detta Felice.”95 Secondo Diodoro la ricchezza dei Nabatei derivava esclusivamente del commercio di ἀρώματα. Essenzialmente, queste merci erano importate dal Sud Arabia tramite vie carovaniere, e si trattava di incenso e mirra. Molto più sporadici devono essere stati gli scambi diretti con l’India. Oltre che da Diodoro, informazioni preziose ci provengono dall’opera di Strabone, il quale scende nel dettaglio, raccontando come i Nabatei importassero i prodotti da due aree principali, il regno dei Minei (ubicato nel Sud-Ovest della Penisola Arabica) e quello dei Gerreni (che vivevano nei pressi del Golfo Persico).96 Tra queste due rotte, quella che partiva del regno dei Minei (nota anche col nome di “via dell’incenso”) è ad oggi la meglio nota. La testimonianza principale a tal proposito è quella di Plinio il Vecchio, che attesta come l’incenso dovesse 93 94 95 96 Bowersock 1983, 59. Diod. Sic., XIX, 94, 4-5. Trad. A. Simonetti Agostinetti. Strab., XVI, 4, 18. 32 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma essere trasportato attraverso il regno dei Gebbaniti,97 a loro volta inseriti con una posizione di forza nella gestione della rotta Sud-Nord Arabia:98 Evehi non potest nisi per Gebbanitas, itaque et horum regi penditur vectigal. Caput eorum Thomna abest a Gaza, nostri litoris in Iudaea oppido, |XXIV|XXXVII D p., quod dividitur in mansiones camelorum LXV. Sunt et quae sacerdotibus dantur portiones scribisque regum certae. Sed praeter hos et custodes satellitesque et ostiarii et ministri populantur. Iam quacumque iter est aliubi pro aqua, aliubi pro pabulo aut pro mansionibus variisque portoriis pendunt, ut sumptus in singulas camelos X DCLXXXVIII ad nostrum litus colligat, iterumque imperii nostri publicanis penditur. “L’unica strada che si può percorrere per portare l’incenso via da Sabota passa per il territorio dei Gebbaniti, e così si paga un tributo anche al loro re. La loro capitale, Tomma, dista da Gaza, città della Giudea posta sulle rive del Mediterraneo, 2.437 miglia e mezzo, una distanza che si percorre in 65 tappe di cammello. Anche i sacerdoti e gli scribi del re ricevono delle parti fisse. Ma, oltre a questi, anche le guardie e i loro aiutanti, i portieri e i servi si danno al saccheggio. Per tutto il viaggio si paga dove per l’acqua, dove per il pascolo o per le soste e pedaggi vari: si raggiunge così la spesa di 688 denari a cammello per il viaggio fino alla costa del Mediterraneo, e poi lì si paga ancora ai pubblicani del nostro impero.” Il resoconto di Plinio attesta l’esistenza della rotta carovaniera e sottolinea che trasportare le merci fino al Mediterraneo comportava forti spese. Ci sono, del resto, anche evidenze archeologiche ed epigrafiche di contatti commerciali tra il regno nabateo e il Sud Arabia nello stesso periodo, che testimoniano ancora una volta il forte livello di coinvolgimento del piccolo regno nei commerci di spezie.99 L’altra rotta, quella che partiva dal Golfo Persico, traeva la sua origine dalla città di Gerrha, situata sul Golfo omonimo, ricordata da Strabone e da Plinio.100 Strabone si diffonde maggiormente, aggiungendo che la città era in rapporti 97 Sulla situazione politica del Sud Arabia in quel tempo si vedano Groom 1981, 165-188; Casson 1989, 44-49; Breton 1999, 29-51. Sulla rotta seguita dalla “via dell’incenso”, si vedano de Maigret 1997, 315-331; Breton 1999, 53-74. 98 Plin., Nat. Hist., XII, 32. 99 Si vedano i lavori di Mordtmann 1932, 429-430; Sedov 1992, 120. 100 Strab., XVI, 3, 3; Plin., Nat. Hist., VI, 32. 33 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico commerciali non solo con i Nabatei,101 ma pure col Regno dei Parti, cui era geograficamente molto prossima.102 Queste, dunque, le due rotte commerciali terrestri utilizzate dal Regno Nabateo per rifornirsi: la prima, più diretta, dal Sud Arabia ad Aila e poi a Petra; l’altra, passando per Gerrha e poi a Nord, fino a Petra. Un discorso a parte merita la rotta marittima, maggiormente interessante per lo scopo del presente lavoro. I porti nabatei di cui abbiamo notizia dalle nostre fonti sono due: Aila e Leuke Kome. Aila Aila è citata dalle fonti letterarie di I-II secolo come porto dei Nabatei, in rapporto al commercio di spezie dall’Arabia.103 Le indagini archeologiche degli ultimi anni hanno permesso di identificare senza ombra di dubbio la città antica con la moderna località di ‘Aqaba, in Giordania.104 Il porto sembrerebbe non aver avuto un ruolo di grande importanza nel corso dell’epoca pre-romana. Leuke Kome Altro rilievo doveva avere il porto di Leuke Kome. La più antica attestazione letteraria ci proviene da Strabone, il quale ci narra che in questo emporion Elio Gallo si fermò nel 25 a.C., di ritorno dalla spedizione in Arabia.105 Il geografo amaseno aggiunge che da Leuke Kome partiva una pista carovaniera che portava a Petra e a Rhinokoloura (al-Arish). Il Periplus Maris Erythraei specifica che Leuke Kome si trova sulla costa araba del Mar Rosso, in posizione speculare rispetto a Myos Hormos; aggiunge, inoltre, la menzione della pista carovaniera che con- Su questa rotta commerciale, si vedano gli studi di Groom 1981, 197; Potts 1990, 85-97; MacDonald 1994, 134-135. 102 Per maggiori informazioni sul coinvolgimento dei Parti nei commerci in quest’area, si veda Potts 1996, 269-285. 103 Da notare il silenzio del Periplus su Aila, mentre il solo Strabone fa esplicito riferimento al commercio di spezie provenienti dall’Arabia (Strab., XVI, 2, 30 e XVI, 4, 4). Cfr. anche Diod. Sic., III, 43, 4; Plin., Nat. Hist., V, 65; Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 6, 4; Ptolem., Geog., V, 17, 1. 104 In generale su Aila si confrontino i reports degli scavi effettuati negli ultimi anni: Parker 1996, 231-257; Parker 1998, 375-394; Parker 2000a, 373-394; Parker 2002a, 409-428; Parker 2003, 321-333. 105 Strab., XVI, 4, 23-24. Sulla spedizione di Elio Gallo si veda anche Plin., Nat. Hist., VI, 160. 101 34 1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma giungeva il porto con la città di Petra.106 Non sappiamo chi fondò Leuke Kome, né quando. L’ubicazione della città è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi moderni, e i siti proposti per identificare l’antico porto sono dislocati lungo 600 km di costa arabica. L’ipotesi maggiormente condivisa oggi vuole che la città si trovasse all’ingresso del Golfo di ‘Aqaba, forse nella moderna ‘Aynunah.107 In realtà non vi è alcuna ragione obiettiva per propendere per una simile identificazione. Fondamentalmente l’individuazione di Leuke Kome ad ‘Aynunah si basa sulla attestazione del Periplus appena ricordata, secondo cui il porto era a Est di Myos Hormos. Fintanto che quest’ultima città era stata identificata con ’Abu Sha’ar, l’identificazione di Leuke Kome con ‘Aynunah poteva avere un senso. Ma ora che sappiamo per certo che Myos Hormos era in effetti molti km più a Sud di ’Abu Sha’ar, la ubicazione di Leuke Kome va cercata altrove. Analizzando le informazioni contenute in Strabone e nel Periplus Maris Erythraei, è possibile giungere a identificare l’area di Leuke Kome nei pressi della città moderna di al-Wadjh, sulla costa araba,108 in una zona in cui a breve inizieranno indagini archeologiche alla ricerca di Leuke Kome. È possibile che il porto sia stato realizzato per fare concorrenza ai porti egiziani e dirottare sulle coste arabe parte del flusso commerciale che normalmente in essi confluiva, e che probabilmente era costituito in parte anche di spezie che normalmente arrivavano a Petra tramite le piste carovaniere.109 In effetti, il Periplus Maris Erythraei attesta chiaramente che grosse quantità di incenso erano importate via mare in Egitto dai porti sudarabici di Kanê e Moscha Limen, PME, 19. Si veda Kirwan 1979, 55-61; Bowersock 1983, 48; Desanges 1984, 249-260; Sidebotham 1986a, 124-126; Young 2001; McLaughlin 2014. 108 Nappo 2010 per la dimostrazione completa. 109 Eadie 1989, 117; Young 2001, 95-96. Di parere opposto Groom 1981, 207, il quale ritiene che i Nabatei, essendo abituati a gestire i propri commerci prevalentemente tramite le piste carovaniere, molto difficilmente avrebbero potuto pensare di costruire un porto sul Mar Rosso, che sarebbe entrato in competizione con le installazioni carovaniere del deserto. A giudizio di chi scrive, però, tale ipotesi è viziata da una prospettiva eccessivamente “contemporaneista”. È del tutto logico ipotizzare, al contrario, che i Nabatei vedessero di buon occhio l’apertura di una nuova rotta commerciale, per via di mare, che ulteriormente potenziasse le possibilità mercantili del Regno. Del resto, si è appena visto come, anche per via di terra, coesistessero rotte differenti e, in certa misura, in concorrenza tra loro. Più in generale, come già ribadito nell’introduzione, va ricordato che la coesistenza di più rotte commerciali (apparentemente anche antagoniste) sia una delle caratteristiche salienti del commercio nell’area eritrea. 106 107 35 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico mentre da Muza proveniva la mirra.110 Si è ipotizzato che la creazione del porto di Leuke Kome sia da mettere in stretta correlazione con l’affermarsi di queste rotte commerciali: con questa mossa i Nabatei avrebbero cercato di “riappropriarsi” di una quota di commerci che era stata loro sottratta dalle installazioni portuali tolemaiche.111 Quale che siano state le autentiche motivazioni che portarono alla fondazione di questo porto, ciò che possiamo attestare con sicurezza è che esso diventò in breve un centro di non secondaria importanza nella gestione dei traffici con il Sud Arabia, soprattutto nel periodo compreso tra I secolo a.C. e I d.C., come complessivamente attestato da Strabone e dal Periplus.112 Anche le rotte commerciali nabatee (come quelle tolemaiche) avevano come punto di approdo definitivo un porto ubicato sul Mar Mediterraneo: Gaza. L’esistenza di una vera e propria rotta, che collegava i centri nabatei con la città di Gaza è testimoniata da Plinio il Vecchio.113 Essa era costellata di stazioni e torri costruite dai Nabatei e successivamente potenziate dai Romani114 (allorché la Nabatea diventò provincia di Arabia, sotto Traiano), in uso quantomeno fino al periodo severiano.115 La presenza di queste installazioni dà chiaramente la misura dell’importanza che questo porto mediterraneo aveva per i Nabatei, che dovettero investire notevoli risorse per garantire il controllo della rotta da parte di guarnigioni militari. D’altra parte, campagne di scavo hanno messo in evidenza l’esistenza di collegamenti commerciali anche tra il Regno dei Nabatei e l’Egitto tolemaico, attraverso la Penisola Sinaitica, un dato che stempererebbe in parte la tradizionale visione di due potenze commerciali in conflitto tra di loro per dominare i traffici nel Mar Rosso.116 PME, 21, 24 (Muza); 27-28 (Kanê); 32 (Moscha Limen). Young 2001, 95. 112 Strab., XVI, 4, 23; PME, 19. Entrambi i testi saranno riportati e commentati diffusamente nel prosieguo di questo lavoro. In particolare, la testimonianza del Periplus, oggetto di numerosi commenti da parte degli studiosi, sarà oggetto di una trattazione specifica nel capitolo dedicato agli aspetti fiscali del commercio nell’area. 113 Plin., Nat. Hist., VI, 144. 114 Frank 1934, 191-280; Alt 1934, 1-78; Negev 1966, 89-98; Meshel e Tsafrir 1974, 103-118; Meschel e Tsafrir 1975, 3-21; Cohen 1982, 240-247. 115 Cohen 1982, 246. 116 Particolare rilievo hanno, a tal proposito, i lavori dello Zayadine, che ha condotto una serie di campagne di scavo proprio nel Sinai, tramite le quali avrebbe ricostruito l’esistenza di una rotta commerciale ben definita tra Petra e Aila, da un lato, e Alessandria, dall’altro. Si veda Zayadine 1985, 159-161. 110 111 36 2. L’età Altoimperiale 1. Il I secolo d.C. 1.1 Contesto generale Dopo questa sintetica introduzione sulla fase pre-romana, possiamo passare ora ad affrontare il periodo di dominazione diretta di Roma del Mar Rosso. Il primo tema con cui confrontarsi è capire in che modo i Romani si introdussero nell’area: fino a che punto, cioè, utilizzarono le infrastrutture e il “modello” ellenistici, e in che misura operarono delle modifiche per rispondere meglio alle proprie esigenze. Abbiamo già detto in precedenza che la storia della presenza diretta di Roma nel Mar Rosso si può far iniziare in una data ben precisa, il 30 a.C., allorché Ottaviano conquistò l’Egitto, trasformandolo in una provincia romana.117 I Romani poterono quindi garantirsi il controllo diretto solo di parte del Mar Rosso occidentale, mentre il lato orientale (regno di Nabatea) restò ancora per molto tempo formalmente indipendente. Questo elemento determinò ovviamente il destino delle installazioni portuali del Mar Rosso ed ebbe un impatto sulla politica economica romana nell’area. Per questo motivo, l’analisi dei porti nel Mar Rosso in epoca altoimperiale inizierà dal lato egiziano. Nel precedente capitolo, abbiamo già visto quali fos- L’annessione dell’Egitto all’impero non solo potenziò gli scambi commerciali attivi in quel periodo, ma riattivò anche direttrici ormai inutilizzate. È il caso, ad esempio, dei rapporti commerciali col regno kushita, da cui fino al II secolo a.C. i Tolemei avevano importato elefanti da guerra. Questo tipo di commerci, ormai decaduto, fu ripristinato dai nuovi signori dell’Egitto, che riallacciarono i rapporti commerciali con Kush. Sull’argomento, si vedano Burstein 1997, 55-65; Graf 2018. Sugli aspetti salienti dell’annessione e dell’ordinamento giuridico della nuova provincia, si veda Capponi 1975. 117 37 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico sero gli insediamenti creati dai dinasti lagidi sul Mar Rosso. Roma poté dunque ereditare una rete che presentava già un certo grado di sviluppo, e che fu subito sfruttata. Questo fattore, unito al considerevole aumento della domanda interna di beni di lusso, determinerà l’esplosione di un vero e proprio “boom” commerciale.118 Nonostante l’elenco dei porti di origine tolemaica presenti sulle coste egiziane sia piuttosto lungo,119 solo un numero molto limitato di essi possono essere annoverati tra quelli attivi in epoca romana. È bene precisare fin d’ora che un testo di grande importanza per l’analisi che si porterà avanti in questo capitolo è l’anonimo Periplus Maris Erythraei. Si tratta di un’opera del tutto peculiare, perché rappresenta un unicum nel panorama di ciò che è a noi pervenuto dell’antica produzione letteraria greca e latina. È infatti la sola fonte a nostra disposizione che ci offre una lista di emporia e punti di scalo lungo le coste delle rotte che descrive, nonché l’unica a indicare dettagli sui periodi dell’anno in cui i venti sono più favorevoli alla navigazione, e altre informazioni pratiche, che non si ritrovano in opere di contenuto apparentemente analogo.120 Come altri testi della tradizione geografica in lingua greca, ci è giunto tramite manoscritto unico, in un corpus attribuito ad Arriano, autore di un trattato sull’India.121 Un’analisi puntuale del testo e dello stile dell’autore è stata tentata, per giungere a una sicura datazione, dal Frisk quasi un secolo fa, ma con scarsi risultati.122 Il testo risulta pieno di errori ortografici, che, a quanto pare, non sono attribuibili al copista, ma erano già nella versione che lui ha copiato. In alcuni casi, il copista ha anzi provveduto a operare una diortosi del testo, come peraltro segnalato da lui stesso alla fine del manoscritto.123 Ad oggi, l’edizione ritenuta di riferimento è ancora quella del Casson, usata anche in questo lavoro.124 Marcotte ha sostenuto con buone argomentazioni che il testo originale fosse stato pensato come un diario personale, senza velleità letterarie. Successivamente, 118 Ball 2000, 129; Sidebotham 2011; Cobb 2015a, 366; Speidel 2017. Sulla scoperta dei monsoni, si vedano Mazzarino 1982/87, VII-XIV; De Romanis 1996, 141-143; Desanges 1996, 665-670; Tchernia 1997 = 2016; Evers 2017, 71. 119 Vd. capitolo precedente. 120 Arnaud 2012, 27. Si vedano anche Bukharin 2012 e Seland 2013. 121 Casson 1989, 5-6. 122 Frisk 1927, 38-123. Si veda anche Casevitz 1996. 123 Marcotte 2012, 12. 124 Casson 1989; Si veda anche, più recentemente, Belfiore 2004. 38 2. L’età Altoimperiale in grazia della precisione con cui descrive i luoghi del commercio del Mar Rosso, il Periplus sarebbe assurto a modello per le trattazioni geografiche su questa parte del mondo. Ciò rende conto, da un lato, dell’inserimento del testo del Periplo nel corpus arrianeo, ma anche, d’altro canto, del fatto che autori come Plinio e Tolomeo utilizzino la nomenclatura traslitterata dei nomi esotici adottata dal Periplo.125 La communis opinio sulla destinazione del testo è che si trattasse di un manuale per commercianti romani, redatto da un greco-egizio ai tempi di re Malikh II di Nabatea (40-70 d.C.), e si è affermata dopo i primi studi scientifici sul testo portati avanti da Frisk,126 senza essere di fatto più messa in dubbio seriamente nei decenni successivi.127 Recentemente, questa convinzione è stata messa in discussione da analisi più attente alla struttura del testo. Ad esempio, Belfiore ha rilevato come alcune delle vicende descritte nel Periplo siano inconciliabili a livello cronologico, facendo riferimento a un lasso di tempo compreso tra il 40 e il 130 d.C.128 Se accettati, i rilievi del Belfiore chiaramente complicano ulteriormente la già difficile situazione della datazione del testo. In anni recenti, Arnaud ha suggerito una interpretazione diversa e convincente di queste apparenti aporie cronologiche. L’analisi dello studioso francese si basa su una serie di elementi, come ad esempio l’esame del vocabolario tecnico utilizzato dall’autore nel testo. Arnaud infatti evidenzia che la competenza linguistica specifica dell’autore è molto limitata, e che egli solo di rado utilizza termini tecnici tipici del mondo marinaro o commerciale.129 Il linguaggio, in linea di massima, è ispirato a modelli letterari, anziché tecnici, potendosi verificare la presenza di omerismi e di formule erodotee.130 In base a questi ed altri elementi, lo studioso francese ritiene che il Periplus sia il risultato di una compilazione di più resoconti messi insieme in una certa epoca, e non quindi il frutto del lavoro di un unico autore.131 La sua analisi è ben fondata e probabilmente il suo valore non è stato ancora pienamente recepito negli ultimi studi pubblicati sull’argomento.132 125 126 127 128 129 130 131 132 Marcotte 2012, 14-17. Si vedano anche Bucciantini 2012 e De Romanis 2016, 97-98. Frisk 1928. Per una opinione contraria alla datazione tradizionale, si veda Pirenne 1961. Belfiore 2004, 78-80. Vedi anche Bukharin 2012. Arnaud 2012, 34-41; De Romanis 2009. Arnaud 2012, 42-43. Ma si veda anche Lewin e Bukharin 2004. Arnaud 2012, 58-9. De Romanis 2009. 39 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico 2. La costa egiziana nel I secolo Tra le fonti in nostro possesso per la prima fase di dominazione romana, il punto di partenza obbligato resta il testo del Periplus Maris Erythraei: nonostante i suoi limiti, esso rappresenta certamente il documento con il maggior numero di informazioni di buon livello, sovente di prima mano, al contrario di quanto avviene, per esempio, per opere quali la Geografia di Strabone, in cui confluirono notizie ricavate dagli scritti di storici d’epoca anteriore. Vediamo, dunque, in che modo l’anonimo autore del Periplus diede inizio alla sua opera:133 Τῶν ἀποδεδειγμένων ὅρμων τῆς Ἐρυθρᾶς θαλάσσης καὶ τῶν περὶ αὐτὴν ἐμπορίων πρῶτός ἐστιν λιμὴν τῆς Αἰγύπτου Μυὸς ὅρμος, μετὰ δὲ αὐτὸν εἰσπλεόντων ἀπὸ χιλίων ὀκτακοσίων σταδίων ἐν δεξιᾷ ἡ Βερνίκη· ἀμφοτέρων <δὲ> οἱ λιμένες ἐν τῷ ἐσχάτῳ τῆς Αἰγύπτου κόλποι τῆς Ἐρυθρᾶς θαλάσσης κεῖνται. “Dei porti stabiliti nel Mar Rosso, e degli scali commerciali in esso presenti, primo è il porto egiziano di Myos Hormos. Dopo di esso, dopo una navigazione di 1.800 stadi sulla destra, c’è Berenice. I porti di entrambi sono delle baie e si trovano sul margine esterno della provincia d’Egitto.” L’autore del Periplus presenta una situazione molto chiara. Al momento di elencare i porti egiziani sul Mar Rosso, designati al commercio internazionale, si limita a indicarne due, Myos Hormos e Berenice. Per l’autore, a Nord di Myos Hormos non c’è nulla da segnalare, mentre a Sud di Berenice si apre la Βαρβαρικὴ χώρα, la terra abitata da popoli selvaggi e non del tutto umani, come gli Ittiofagi, i Moscofagi e gli Agriofagi.134 Il quadro che ne deriva appare a prima vista estrememamente sintetico, per cui sembra opportuno confrontare questa testimonianza con quelle delle altre fonti di periodo analogo, per verificare se vi siano differenze. Strabone, ad esempio, dedica due ampi brani alla costa del Mar Rosso. Vediamone il primo: ὅτε γοῦν Γάλλος ἐπῆρχε τῆς Αἰγύπτου, συνόντες αὐτῶι καὶ συναναβάντες μέχρι Συήνης καὶ τῶν Αἰθιοπικῶν ὅρων ἱστοροῦμεν, ὅτι καὶ ἑκατὸν καὶ εἴκοσι νῆες 133 134 PME, 1. PME, 2. Sulle reminescenze omeriche di questo passo, si veda Arnaud 2012, 42-43. 40 2. L’età Altoimperiale πλέοιεν ἐκ Μυὸς ὅρμου πρὸς τὴν Ἰνδικήν, πρότερον ἐπὶ τῶν Πτολεμαϊκῶν βασιλέων ὀλίγων παντάπασι θαρρούντων πλεῖν καὶ τὸν Ἰνδικὸν ἐμπορεύεσθαι φόρτον.135 “Ad ogni modo, quando Gallo era prefetto dell’Egitto, lo accompagnai risalendo il Nilo fino a Syene ed alle frontiere dell’Etiopia, ed appresi che 120 vascelli stavano salpando da Myos Hormos verso l’India, quando in precedenza, sotto i Tolomei, solo in pochi si avventuravano nel viaggio intrattenendo commerci con l’India.” In questo primo passo, lo storico di Amasea pone l’accento sul diverso volume degli scambi commerciali in epoca ellenistica e romana, e per farlo sceglie di confrontare il numero di navi che partono dal porto di Myos Hormos al tempo della sua visita in Egitto con quelle che partivano dal medesimo porto in epoca tolemaica: mentre al tempo di Strabone ben 120 navi erano in procinto di prendere la via dell’India,136 solo poche in precedenza compivano questo viaggio. La scelta del porto di Myos Hormos è, nelle intenzioni di Strabone, non casuale. Egli cita certamente quello che nell’area era il porto più trafficato dei suoi tempi, affinché maggiore fosse per contrasto la differenza con l’epoca tolemaica. Di conseguenza, nell’opinione di Strabone, Myos Hormos sembrerebbe configurarsi come porto per eccellenza sul Mar Rosso. Questa impressione appare rinforzata da un altro passaggio della Geographia, piuttosto lungo, che si riporta per esteso di seguito:137 Ἐντεῦθέν ἐστιν ἰσθμὸς εἰς τὴν Ἐρυθρὰν κατὰ πόλιν Βερενίκην, ἀλίμενον μέν, τῇ δ᾿εὐκαιρίᾳ τοῦ ἰσθμοῦ καταγωγὰς ἐπιτηδείους ἔχουσαν. λέγεται δ᾿ ὁ Φιλάδελφος πρῶτος στρατοπέδῳ τεμεῖν τὴν ὁδὸν ταύτην, ἄνυδρον οὖσαν, καὶ κατασκευάσαι σταθμούς, ὥσπερ τοῖς ἐμπορίοις ὁδεύμασι καὶ διὰ τῶν καμήλων, τοῦτο δὲ πρᾶξαι Strab. II, 5, 12. È invalsa la tradizione tra gli studiosi di considerare che Strabone si riferisca a quante navi ogni anno partissero da Myos Hormos in epoca romana. A ben vedere, però, l’autore non è molto chiaro su questo punto. Egli non specifica, cioè, se le 120 navi di cui parla siano il totale dei vascelli che partono da Myos Hormos in un anno, ovvero se si tratti di quelli che stavano partendo nel momento in cui egli visitò la città. È tuttavia più probabile che la cifra sia da intendersi in riferimento al totale delle navi in un anno, dal momento che sappiamo con certezza che ogni vascello compiva un solo viaggio all’anno in direzione dell’India, per poter sfruttare i monsoni. Per questo motivo, è realistico immaginare che le navi romane partissero tutte in un periodo molto circoscritto dell’anno, nel mese di luglio (Casson 1989, 15). 137 Strab., XVII, 1, 45. 135 136 41 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico διὰ τὸ τὴν Ἐρυθρὰν δύσπλουν εἶναι, καὶ μάλιστα τοῖς ἐκ τοῦ μυχοῦ πλοϊζόμενοις. ἐφάνη δὴ τῇ πείρᾳ πολὺ τὸ χρήσιμον, καὶ νῦν ὁ Ἰνδικὸς φόρτος ἅπας καὶ ὁ Ἀράβιος καὶ τοῦ Αἰθιοπικοῦ ὁ τῷ Ἀραβίῳ κόλπῳ κατακομιζόμενος εἰς Κοπτὸν φέρεται, καὶ τοῦτ᾿ ἔστιν ἐμπόριον τῶν τοιούτων φορτίων. οὐκ ἄπωθεν δὲ τῆς Βερενίκης ἐστὶ Μυὸς ὅρμος, πόλις ἔχουσα τὸ ναύσταθμον τῶν πλοϊζομένων, καὶ τῆς Κοπτοῦ οὐ πολὺ ἀφέστηκεν ἡ καλουμένη Ἀπόλλωνος πόλις, ὥστε καὶ αἱ διοοίζουσαι τὸν ἰσθμὸν δύο πόλεις ἑκατέρωθέν εἰσιν. ἀλλὰ νῦν ἡ Κοπτὸς καὶ ὁ Μυὸς ὅρμος εὐδοκιμεῖ, καὶ χρῶνται τοῖς τόποις τούτοις. πρότερον μὲν οὖν ἐνυκτοπόρουν πρὸς τὰ ἄστρα βλέποντες οἱ καμηλέμποροι καὶ καθάπερ οἱ πλέοντες ὥδευον κομίζοντες καὶ ὕδωρ, νυνὶ δὲ καὶ ὑδρεῖα κατεσκευάκασιν, ὀρύξαντες πολὺ βάθος, καὶ ἐκ τῶν οὐρανίων, καίπερ ὄντων σπανίων, ὅμως δεξαμενὰς πεποίηνται. “Da lì un istmo mette in collegamento col Mar Rosso all’altezza della città di Berenice, che non ha porto, ma tuttavia dispone di punti di approdo che, considerando il vantaggio di poter poi utilizzare l’istmo, ben si prestano a tal funzione. Si dice che il primo ad aprire questa strada, mettendovi al lavoro l’esercito, fu il Filadelfo, il quale, poiché non vi si trova acqua, la dotò di stazioni di rifornimento, in modo tale che i mercanti potessero saggiarne la percorrenza con carriaggi o a dorso di cammello. Lo fece perché il Mar Rosso presenta difficoltà per la navigazione, soprattutto a coloro che partono dal fondo del golfo. Alla prova l’istmo si rivelò subito di grande utilità, e oggi tutte le merci dell’India e dell’Arabia, nonché la parte delle merci dell’Etiopia che è convogliata sul Golfo Arabico, sono trasportate a Coptos, che è l’emporio in cui vengono smistate. Non lontano da Berenice si trova Myos Hormos, una città in cui sbarcano quanti risalgono quel tratto di mare, e non molto distante da Coptos la città chiamata Apollonopolis; pertanto le città che delimitano l’istmo sono due da una parte e due dall’altra. Tuttavia oggi sono Coptos e Myos Hormos che godono della maggiore considerazione ed è ad esse che che si fa capo. Un tempo dunque i mercanti percorrevano l’istmo di notte a dorso di cammello, orientandosi con le stelle; e, come i naviganti, viaggiavano portando con sé anche l’acqua. Oggi invece, scavando a grande profondità, sono state messe a punto anche delle cisterne e allo stesso scopo si sono costruite delle vasche per la raccolta delle acque piovane, per quanto scarse esse siano.”138 Il passo è interessante per molteplici spunti in esso contenuti, e si avrà modo di tornare su di esso. Strabone, descrivendo la conformazione delle infrastrutture 138 Trad. N. Biffi. 42 2. L’età Altoimperiale sul Mar Rosso, fa riferimento alla saggezza del Filadelfo, che ebbe a costruire delle vie carovaniere che mettevano in comunicazione i porti sulla costa con due porti fluviali, Coptos e Apollonopolis Magna. Il primo, in particolare, è il punto di confluenza di merci provenienti dall’Est, attraverso il collegamento esistente tra di esso e Myos Hormos e Berenice. Anche per Strabone, quindi, non ci sono dubbi, i porti di maggiore importanza, se non gli unici attivi sulla costa egiziana del Mar Rosso, sono Berenice e Myos Hormos. Il geografo inizia la sua narrazione parlando di Berenice e del suo coinvolgimento nei traffici internazionali. Di qui trae lo spunto per elogiare la previdenza del Filadelfo, che costruì le piste carovaniere dai porti marittimi del Mar Rosso alle città fluviali, ubicate lungo il corso del Nilo, Apollonopolis Magna e Coptos.139 Di quest’ultima, in particolare, Strabone dice che è collegata a Myos Hormos, a sua volta presentato come il più importante porto egiziano sul Mar Rosso. Quindi, Strabone parte da Berenice, ne descrive il ruolo e l’importanza, per poi precisare alla fine che, ancor più di Berenice stessa, è Myos Hormos il porto principale dell’area. In conclusione, possiamo affermare che Strabone certamente condivideva l’opinione dell’anonimo autore del Periplus, secondo cui Myos Hormos e Berenice erano gli unici due porti egiziani significativamente coinvolti nel commercio internazionale con l’India. Passiamo ora ad analizzare la terza fonte di nostro interesse, Plinio il Vecchio. Egli, nella sua Naturalis Historia, presenta un quadro apparentemente differente da quello osservato tanto per il Periplus che per Strabone. Plinio, infatti, nel corso della sua articolata descrizione della costa egiziana del Mar Rosso, elenca una serie piuttosto lunga di porti.140 Infine, però, passa a descrivere la rotta diretta per l’India, utilizzando queste parole:141 Nec pigebit totum cursum ab Aegypto exponere nunc primum certa notitia patescente. Digna res, nullo anno minus HS / D / imperii nostri exhauriente India et merces remittente quae apud nos centiplicato veneant. MM p. ab Alexandria abest oppidum Iuliopolis. Inde 139 Per il commento sulla saggezza del Filadelfo e la prospettiva di Strabone, si veda supra, il capitolo precedente. 140 Plin., Nat. Hist., VI, 168. Si confronti anche l’analisi dei porti condotta nel precedente capitolo. 141 Plin., Nat. Hist., VI, 101-104. 43 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico navigant Nilo Coptum CCCIX p. qui cursus etesiis flantibus peragitur XII diebus. A Copto camelis itur, aquationum ratione mansionibus dispostis: prima appellatur Hydreuma XXII; secunda in monte diei itinere; tertia in altero Hydreumate a Copto LXXXV; deinde in monte; mox ad Hydreuma Apollinis a Copto CLXXXIV; rursus in monte; mox ad Novum Hydreuma a Copto CCXXXVI. Est et aliud Hydreuma vetus – Trogodyticum nominatur – ubi praesidium excubat deverticulo duum milium; distat a Novo Hydreumate VII. Inde Berenice oppidum, ubi portus Rubri maris, a Copto CCLVII p. sed quia maior pars itineris conficitur noctibus propter aestus et stativis dies absumuntur, totum a Copto Berenicen iter duodecimo die peragitur. Navigare incipiunt aestate media ante canis ortum aut ab exortu protinus […]. “Non è superfluo dare l’itinerario completo a partire dall’Egitto ora che, per la prima volta, se ne ha una conoscenza sicura. Effettivamente si tratta di un argomento che merita attenzione, se è vero che l’India non fa mai spendere meno di 50 milioni di sesterzi all’anno al nostro impero in cambio di mercanzie, vendute poi qui da noi a un prezzo cento volte superiore. A due miglia da Alessandria c’è la città di Giuliopoli; da lì, risalendo il Nilo, si giunge a Copto, a 309 miglia di tragitto che, col favore dei venti etesii, si copre in 12 giorni. Da Copto in poi si prosegue a dorso di cammello, incontrando, a determinati intervalli, delle stazioni per il rifornimento di acqua. La prima, a 32 miglia, si chiama Idreuma; la seconda si trova sulle montagne a un giorno di cammino; la terza, in un’altra località detta Idreuma, a 85 miglia da Copto¸ poi se ne incontra un’altra in una zona di montagna. Si giunge così a Idreuma di Apollo, a 184 miglia di distanza da Copto; poi di nuovo a una stazione di montagna, infine a Idreuma nuova, a 236 miglia da Copto. C’è anche una Idreuma Vecchia, conosciuta con il nome di Trogloditica, dove c’è un presidio che vigila in una via laterale a due miglia da lì; si trova a sette miglia da Idreuma Nuova. Infine si giunge alla città di Berenice, che ha un porto sul Mar Rosso, a 257 miglia da Copto. Ma poiché, per il caldo, la maggior parte del viaggio si fa di notte, trascorrendo le ore diurne nelle stazioni di transito, il tragitto completo da Copto a Berenice ammonta a 12 giorni. La navigazione comincia a metà dell’estate, prima del sorgere della costellazione del cane, o immediatamente dopo.”142 La lettura del passo per intero mostra che Plinio descrive il viaggio dalla partenza da Alessandria fino al momento in cui le navi dirette in India levano l’ancora, senza fare alcuna menzione della possibilità di partire da Myos Hormos, 142 Trad. Roberto Centi. 44 2. L’età Altoimperiale ma contemplando solo Berenice come possibile terminale di partenza per l’India. In questo senso, dunque, la sua descrizione non collima con quelle presenti nel Periplus e in Strabone. La rassegna delle fonti letterarie del primo secolo dell’Impero qui effettuata permette di affermare che esse ci offrono un quadro piuttosto coerente (anche se non privo di una certa articolazione interna). Complessivamente tutte identificano in Myos Hormos e Berenice le colonne portanti del sistema di porti egiziano sul Mar Rosso; anche quando (come nel caso di Strabone e Plinio) viene presentata una lunga lista di porti attivi nella regione, in ultima analisi solo questi due sono reputati davvero importanti.143 Particolarmente significativa è la testimonianza del primo paragrafo del Periplus, che sinteticamente ricorda solo i due porti e non cita neppure uno di quelli pur ricordati da Strabone e Plinio. Questo dettaglio è molto importante perché, al contrario di questi ultimi, l’anonimo autore del Periplus scriveva sulla base di una maggiore conoscenza diretta della materia che stava trattando, non limitandosi a riutilizzare le opere dei geografi a lui precedenti, ma basandosi in parte sulla sua esperienza di prima mano.144 Un archivio di testi documentari ci offre un ulteriore termine di confronto per approfondire la nostra indagine. Nel 1930 il Tait pubblicò un dossier di ostraka, tutti rinvenuti nella città di Coptos, databili complessivamente tra il 6 a.C. e il 62 d.C., noti con il nome di “archivio di Nikanor”.145 Si tratta di 88 documenti, di cui 64 con certezza appartenenti all’archivio. Il nome di Nikanor, figlio di Panes, ricorre in 42 testi, mentre altri personaggi nominati sono chiaramente suoi parenti (fratelli e figli). L’origine etnica della famiglia è incerta: potrebbero essere dei Greci assimilati agli Egizi, o viceversa Egizi ellenizzati. Ciò che più conta, però, è comprendere la natura dei documenti: si tratta di una serie di ricevute scritte da alcune persone (clienti) che informano Nikanor o altri componenti della sua famiglia di aver provveduto a spedire dei prodotti a Coptos, dove la famiglia risiedeva. Nikanor gestiva un servizio di trasporti, offriva cioè in affitto i mezzi per poter trasportare delle mercanzie da Coptos ad altre città egiziane. Dall’epiteto καμη(λοτρόφος) che ricorre in uno degli ostraka, ri- 143 144 145 Gates-Foster 2012. Arnaud 2012. Si veda anche quanto detto supra, pp. 38-39. O.Petr. 220-304; O.Brüss.Berl. 7; O.Bodl. II 1969-1971. 45 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico ferito a Nikanor,146 possiamo ricavare che egli affittava cammelli, utilizzati come bestie da soma. Per questo motivo, la sua attività commerciale era connessa col trasporto di merci lungo le carovaniere e non, in maniera diretta, al commercio internazionale. Le città inserite nella rete commerciale della famiglia di Nikanor erano, ancora una volta, Myos Hormos e Berenice, come esplicitamente attestato negli ostraka. Nikanor gestiva, dunque, da Coptos, un servizio di trasporti che collegava sistematicamente la città con i due porti egiziani sul Mar Rosso.147 L’attività della famiglia si estende su più di mezzo secolo, coprendo integralmente la prima metà del I secolo d.C.148 L’archivio è molto interessante sotto più punti di vista, ma qui preme sottolineare il dato che, comparando il numero di attestazioni dei nomi dei due porti, Myos Hormos e Berenice, si può ricavare che essi sono ricordati un numero sostanzialmente pari di volte. Dei 64 testi sicuramente ascrivibili all’archivio di Nikanor, 59 contengono la menzione di una delle due città: 29 ostraka provengono da Berenice, 29 da Myos Hormos. Ai 58 così risultanti se ne aggiunge un altro da Apollinis Hydreuma,149 stazione collocata sulla carovaniera tra Coptos e Berenice. Il Casson ebbe cura di notare che l’analisi comparata delle fonti fin qui elencate permetterebbe di evidenziare un’evoluzione nel rapporto gerarchico tra i due porti principali della costa egiziana. Secondo lo studioso americano “in Strabo’s day (late first century BC/early first century AD) Myos Hormos apparently was the chief port for trade with Africa and India, for it is the only one he mentions […] in that connection. In the archive of Nicanor (6 BC-68 AD) Myos Hormos and Berenice seem of equal rank. By the time the author of the Periplus was writing (mid-first century AD), Berenice clearly took precedence: it was from here that he starts the trade routes to both Africa and India and from here that he reckons the length of the voyage down the Red Sea.”150 Se all’elenco fornito dallo O.Petr. 225. Ad essere precisi un ostrakon (O.Petr. 245) fu scritto ad Apollinis Hydreuma, località ubicata, in ogni caso, sulla pista che congiungeva Coptos e Berenice. 148 Per un commento complessivo dell’archivio di Nikanor e della sua struttura, si vedano Rostovtzeff 1931, 23-26; Fuks 1951,207-216; Rostovtzeff 1957, 577, n. 18; Rathbone 1983, 82-90; Sidebotham 1986a, 83-92; Ruffing 1993, 1-26; Adams 1995, 119-124; Alston 1997, 168-202; Young 2001, 64-65; Ruffing 2002. 149 O.Petr. 245. 150 Casson 1989, 96-97. Si veda anche l’analisi di De Romanis 1996, 171-176. 146 147 46 2. L’età Altoimperiale studioso americano aggiungiamo anche la già citata testimonianza di Plinio, che individua in Berenice il principale scalo commerciale sul Mar Rosso nella propria epoca, sembra risultare un quadro completo e chiaro dell’evoluzione relativa dei due porti. Eppure, prima di concludere la discussione su questo punto, vorrei soffermarmi su un dato. In realtà, è proprio l’archivio di Nikanor a fornire delle informazioni non in linea con l’interpretazione complessiva. Si è detto in precedenza che l’archivio presenta, globalmente, una situazione di parità tra Myos Hormos e Berenice (29 attestazioni per la prima, 29+1 per la seconda), il che sembrerebbe indicare che, intorno alla metà del I secolo d.C., si sia assistito a una sorta di livellamento nel volume di scambi che passavano tra i due porti. Ma a ben guardare, dall’analisi puntuale dell’archivio si può ricavare un quadro decisamente diverso. Di seguito si fornisce uno schema esemplificativo della distribuzione delle attestazioni dei due porti nel corso del I secolo d.C. È perfino superfluo sottolineare che l’esiguità del campione statistico implica molta cautela nel leggere i dati qui riportati. Tuttavia, più che le cifre assolute, 12 10 8 Berenice 6 Myos Hormos 4 2 0 fino al 30 dal 30 al d.C. 40 dal 40 al 50 dal 50 al 60 dal 60 Grafico 1: Attestazioni dei nomi di Berenice e Myos Hormos nell’archivio di Nikanor, divise per decennio. 47 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico sembrano particolarmente interessanti i rapporti relativi alle attestazioni dei due porti nell’archivio. Mentre fino alla fine degli anni 30 abbiamo una maggioranza di spedizioni effettuate verso Berenice, negli anni 40-60 il rapporto si inverte completamente, e Myos Hormos arriva a triplicare le proprie attestazioni rispetto a Berenice. Appare chiaro che la testimonianza dell’archivio di Nikanor, ben lungi dall’essere in linea con quella delle fonti letterarie, è completamente opposta ad esse. È bene sottolineare ancora una volta che la scarsità del campione a nostra disposizione (60 ostraka per un periodo di poco più di 70 anni) non può consentire di giungere a conclusioni nette, ma va certamente sottolineato un aspetto. L’archivio di Nikanor non è utilizzabile in alcun modo come evidence per trarre conclusioni sul volume del commercio che passava per i due porti in questione, per due ordini di motivi. In primo luogo, l’archivio pertiene a una sola e unica famiglia operante a Coptos, le cui oscillazioni nel commerciare con una o l’altra città possono essere dipese da fattori specifici, indipendenti dai flussi generali del commercio. In secondo luogo, l’azienda di Nikanor si occupava di affittare cammelli per il trasporto di merci, non era assolutamente coinvolta in maniera diretta col commercio internazionale. Ciò che possiamo ricavare dai testi è che i prodotti in essi riportati erano destinati ai porti. Quanti di essi poi prendessero la via dell’India è impossibile sapere. Quindi l’analisi degli ostraka in questione può solo darci informazioni su come andassero gli affari di Nikanor e della sua famiglia, piuttosto che essere utilizzati per ricostruzioni sul commercio internazionale.151 Gli unici dati documentari che si possono efficacemente utilizzare per integrare le testimonianze letterarie provengono dall’archeologia. Fin dagli anni ’80 del secolo scorso, l’area del Mar Rosso è stata fatta oggetto di numerose campagne archeologiche, che hanno aumentato in modo considerevole le nostre conoscenze. L’importanza di questi lavori è cruciale per il discorso che si sta portando avanti in questa sede. Nel corso degli anni, si è accumulata una corposa bibliografia, composta prevalentemente dai resoconti degli scavi effettuati nei siti dell’area del Mar Rosso. Vediamo, in sintesi, quali sono i punti fermi che possiamo ricavare da questi lavori, e in che modo essi si vadano a integrare con il quadro fornito dalle fonti letterarie. 151 Ruffing 1993; Cuvigny 2003b. 48 2. L’età Altoimperiale Berenice Il sito della antica Berenice Trogoditica è noto da tempo agli studiosi; è ubicato a circa 825 km sud-sudest della città di Suez, e a 260 km a est di Assuan, nei pressi dell’attuale Ras Banas (23° 54’ N, 35° 28’ E), alla confluenza di due piccoli wadi che terminano in mare. Il sito è all’estremo confine meridionale dell’attuale Repubblica d’Egitto, in una zona di non semplice accesso, al giorno d’oggi, oggetto di contesa politica tra l’Egitto e il Sudan.152 La città romana occupava una barriera corallina che degradava nel mare, a una altitudine media di circa 2 m s.l.m.153 La posizione di Berenice appare favorevole allo sviluppo del commercio nel Mar Rosso. In primo luogo, la città si trova al 23° N di latitudine, non molto a Nord di quella soglia (20° N) oltre la quale navigare nel Mar Rosso in direzione Sud-Nord diventava molto difficile a causa dei venti contrari.154 Il promontorio di Ras Banas occupava una posizione strategica: per quanto non offrisse un riparo dai venti che spiravano da Nord, grazie alla sua conformazione faceva da parziale scudo alle correnti che, da Sud, potevano causare fenomeni di insabbiamento nel porto. Inoltre, la presenza di una laguna e la sua posizione prospiciente ne faceva un naturale e sicuro approdo per le navi che volessero attraccarvi, anche in mancanza di un porto vero e proprio, e inoltre forniva anche un punto di riferimento geografico facilmente individuabile per i naviganti.155 La laguna in antichità era molto più grande di quanto non appaia oggi, il che rendeva l’approdo delle navi relativamente agevole.156 Materiale alluvionale proveniente dai wadi e residui trasportati dal vento hanno progressivamente riempito la baia.157 La città antica copriva una superficie di circa 7 ettari, con una popolazione stimata in circa 500 abitanti. Non sono stati rinvenuti resti di mura difensive, pur Sidebotham e Wendrich 1995, 1; Sidebotham 2011, 7-11; O. Ber I. Harrell 1995, 102-103; Cappers 2006. 154 Sulle condizioni meteorologiche del Mar Rosso, si confronti quanto già detto nel capitolo precedente. Va ribadito che il sito dove fu fondata Berenice si trova nel punto più meridionale possibile, tenendo conto dei confini del regno d’Egitto. 155 Sidebotham e Wendrich 1995, 5-6; Sidebotham 2011, 9. Questa conformazione fisica ben si sposa con la descrizione che Strabone fa della città (XVII, 1, 45), laddove sottolinea che essa è dotata di un approdo naturale, piuttosto che di un porto vero e proprio. 156 Harrell 1995, 112-126. 157 Woźniak e Rądkowska 2011, 505. 152 153 49 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico in presenza di una serie di torri di avvistamento.158 Gli scavi hanno evidenziato tre periodi di maggiore prosperità del sito. Il primo, durante il primo secolo dalla fondazione della città (che, come già ricordato, Plinio dichiara essere avvenuta sotto il regno di Tolomeo II).159 Il secondo periodo coincide con la prima fase di dominazione romana, lungo il I secolo d.C. Il terzo e ultimo periodo copre invece i secoli dal IV al V.160 Della prima fase, quella tolemaica, si è già parlato nel precedente capitolo, mentre ora si focalizzerà l’attenzione sui dati riferibili al I-II secolo d.C. Durante gli scavi sono stati ritrovati materiali di vario tipo, attestanti il diretto coinvolgimento della città con il commercio internazionale durante tutti gli otto secoli della sua esistenza: ceramica proveniente dall’India e dal Golfo Persico, vetro, prodotti di origine axumita, indiana, cingalese, tessuti indiani, noci di cocco, riso, legno di teck, gusci di tartaruga, avorio, smeraldi.161 Si è anche ipotizzato che il sito fosse abitato in maniera stabile o semistabile da gruppi di mercanti provenienti da varie regioni dell’area del Mar Rosso, come è possibile ricavare dal rinvenimento di materiali scritti in varie lingue, per una provenienza geografica complessiva che andava dall’India, all’Arabia del Sud, alle coste del Mar Rosso e al Regno di Nabatea.162 A testimoniare lo sviluppo del sito come centro economico importante nell’area, si può includere anche la presenza di un vero e proprio porto, assente in epoca tolemaica, fatto costruire realisticamente intorno all’inizio-metà del I secolo d.C.163 Gli scavi effettuati negli ultimi anni hanno confermato che le navi che sostavano a Berenice erano di dimensioni cospicue, per quanto molto peculiari. Realisticamente, infatti, misuravano non più di 19-22 m di larghezza, e fino a 60 m di lunghezza. La proporzione tra ampiezza e lunghezza dello scafo era apparentemente insolita, ma rendeva la nave più stabile e meno soggetta a ribaltamen- Sidebotham e Wendrich 1995, 13-17; Sidebotham 2011, 9-13. Plin., Nat. Hist., VI, 168. La data di fondazione è stata sostanzialmente confermata dagli scavi effettuati a Berenice. Manning 2003, 34; Sidebotham 2011, 32-53; Woźniak e Rądkowska 2011, 507. 160 Sidebotham, Hense e Nouwens 2008, 161-162; Cobb 2015a, 375-376. 161 Sidebotham 2011, 221-253. In particolare, la presenza di legno di teak tra i ritrovamenti ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare la presenza stabile di mercanti indiani nel Mar Rosso, che avessero anche dei propri cantieri dove costruire le navi: si veda Gurukkal 2016, 36. 162 Tomber 2008, 83-86; Sidebotham e Zych 2012, 138-141; Seland 2013. 163 Sidebotham 2008; Sidebotham 2011, 62. Coerentemente, Plinio (Nat. Hist. VI, 103: ubi portus Rubri maris) sembrerebbe fare riferimento alla presenza di un vero e proprio porto, e non più, come Strabone (XVII, 1, 45), ad una sorta di approdo naturale (vd. nota 49). 158 159 50 2. L’età Altoimperiale ti. Questa caratteristica doveva risultare particolarmente utile per trasportare un carico pesante e instabile, come ad esempio gli elefanti.164 Per quanto riguarda il tonnellaggio, invece, è difficile poter fare ipotesi precise, allo stato attuale delle nostre conoscenze.165 Coerentemente, altre fonti concorrono nell’indicare questo come un periodo di grande sviluppo di tutta l’area. L’archivio di Nikanor sembrerebbe fare riferimento a un aumento dell’attività commerciale e delle attività minerarie nel Deserto Orientale a partire dall’età dell’imperatore Tiberio, durata quantomeno fino all’età flavia.166 Oltre a ciò, si può citare anche la evidence numismatica. Di tutto il corpus numismatico rinvenuto a Berenice tra il 1994 e il 2001 (prima fase delle campagne di scavo del Sidebotham) e il 2009-2010 (ripresa delle attività di scavo a opera di una nuova missione), circa il 41% di quello identificabile è databile al periodo tra Augusto e la dinastia flavia, con un picco nel periodo tra Claudio e Domiziano. Le monete databili al II e III secolo rappresentano invece solo il 9% del totale, mentre il 34% sono di IV e V secolo d.C.167 Infine, anche i dati ricavabili dall’analisi dei depositi di rifiuti concorrono a confermare la stessa cronologia.168 La quantità di ritrovamenti nel sito declina in maniera significativa a partire dalla metà del II secolo d.C., il che è anche in linea con i dati che possediamo per il resto dell’Egitto in questo periodo.169 Ai problemi interni, si devono aggiungere i danni apportati al commercio dalla guerra in corso in questo secolo tra gli stati di Saba’, Himyar e Hadramaut, tutti inseriti nel commercio internazionale nel Mar Rosso.170 Tuttavia, va precisato che questo periodo di declino fu solo temporaneo, dal momento che gli scavi archeologici hanno documentato una netta ripresa dell’attività di costruzione e del benessere della città già a partire dal tardo II secolo Sul commercio di elefanti, si vedano Sidebotham, Hense e Nouwens 2008, 162-165; Sidebotham e Zych 2012, 137; Sidebotham 2011, 195. Per ulteriori dettagli sui rinvenimenti di materiale associabile alla costruzione di navi recentemente rinvenuti a Berenice, si veda ora Sidebotham et all. 2016, 329-331. 165 Sidebotham e Zych 2012, 147-151. Si veda anche Arnaud 2014. 166 Sidebotham 2011, 62; Cobb 2015a, 376-379. 167 Sidebotham 2011, 244-245. 168 Sidebotham 2011, 63. 169 Sidebotham 2011, 64. 170 Sidebotham 2011, 63. 164 51 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico d.C., epoca in cui Berenice sembra anche integrarsi con il sistema commerciale palmireno.171 Myos Hormos Come accennato in precedenza, è stata necessaria una lunga ricerca da parte degli studiosi per identificare correttamente l’ubicazione di Myos Hormos con la città egiziana di Quseir al-Qadim.172 Questa si trova a circa otto chilometri a nord della moderna città di Quseir, circa 500 km a sud del Golfo di Suez. Come per Berenice, si tratta di una zona di difficile accesso, e con condizioni climatiche particolarmente ostili per l’insediamento di una comunità umana stabile.173Altro tratto che accomunava i due porti era che anche Myos Hormos era di fondazione tolemaica.174 Nel già citato passo di Strabone, il geografo di Amasea attesta che fu Tolomeo II Filadelfo a ordinare la costruzione della città, realizzata materialmente dal suo esercito.175 Scavi nell’area di Quseir al-Qadim sono stati realizzati a partire dal 1978 da almeno tre diverse spedizioni, provenienti da Stati Uniti (1978-1982),176 Francia (1994-1997)177 e Inghilterra (1999-2003).178 I dati provenienti dai resoconti delle tre spedizioni non sono stati interpretati dalle tre differenti équipes in maniera sempre omogenea, pur tuttavia si possono delineare dei punti di convergenza. Nonostante le fonti attestino l’origine tolemaica della città, le indagini archeologiche finora hanno trovato traccia di una frequentazione del sito solo a partire dal I secolo a.C.179 La città era dotata di un porto realizzato, presumibilmente, all’epoca della conquista romana e che dovette affrontare fin da subito il grave problema della tendenza all’insabbiamento.180 L’analisi dei reperti ceramici e documentari ha potuto confermare l’idea di un periodo di grande fioritura del porto nel corso del I secolo. In particolare, la presenza di due Sidebotham 2011, 64-65; Sidebotham e Zych 2012, 152. Identificazione suggerita con validi argomenti per la prima volta da Peacock 1993. 173 Peacock e Blue 2006, 1-3. 174 Diod. Sic. III, 39, 1-2; Strab. XVI, 4.5. Per una discussione approfondita delle fonti, si veda Cuvigny 2003a. 175 Strab. XVII, 1,45. Per il testo completo con traduzione, si veda supra, pag. 42. 176 Resoconti pubblicati in Whitcomb e Johnson 1979; 1982a; 1982b. 177 Resoconti pubblicati in Cuvigny 2003a; 2003b. 178 Resoconti pubblicati in Peacock e Blue 2006; 2011. 179 Peacock e Blue 2006, 46-58. 180 Peacock e Blue 2006, 65-84. 171 172 52 2. L’età Altoimperiale iscrizioni in lingua Tamil è un segno della connessione diretta di Myos Hormos con l’India, molto probabilmente con la città di Arikamedu, porto ubicato nella parte sud orientale del Paese.181 A tal proposito, come nel caso di Berenice, è stata anche formulata la teoria che una comunità di mercanti e/o lavoratori di origine indiana e arabica risiedesse stabilmente in città.182 Pur non volendosi spingere ad accogliere in toto questa ipotesi, è chiaro che i mercanti di Myos Hormos avevano rapporti commerciali con l’India. Il Tamil non è l’unica lingua “straniera” di cui si è trovata traccia a Myos Hormos, essendo stati ivi rinvenuti anche documenti scritti in Sudarabico (lingua parlata nell’area dell’attuale Yemen), Nabataico e Palmireno.183 Anche in questo caso, si tratta di testimonianze del forte inserimento della città nei principali flussi commerciali gravitanti attorno all’area del Mar Rosso. Tra i documenti scritti in greco o latino, alcuni hanno particolare rilievo, facendo chiaramente riferimento a una stabile presenza militare romana a Myos Hormos, una guarnigione di 50-100 elementi, sottoposti a un curator praesidii.184 È stato ricavato, dall’analisi di questi documenti, che la presenza militare avrebbe coperto il periodo dall’inizio del I secolo d.C. al primo quarto del II.185 D’altra parte, anche Strabone attestava la presenza di una stazione navale in città, dove Elio Gallo avrebbe fatto sbarcare le sue truppe che tornavano dalla spedizione in Arabia nel 25 a.C.186 È altresì interessante rilevare che dagli scavi realizzati non è ancora emersa alcuna struttura che possa essere identificata come militare.187 Il I secolo d.C. è unanimemente indicato da parte di tutti gli studiosi che si sono interessati di Myos Hormos come il periodo di maggior frequentazione del sito. È opinione parimenti condivisa dagli studiosi che la città sia stata abbandonata nel corso del III secolo d.C., per non essere più frequentata per circa 12 secoli. Whitcomb e Johnson 1979, fig. 27j; Idd. 1982, 263-264. Whitcomb 1996, 749-752. Peacock and Blue 2011, 5-9. 182 Sidebotham 1986a, 16-17; Whitcomb 1996, 753; Peacock e Blue 2011, 347. 183 Peacock e Blue 2011, 7-8. 184 Bagnall 1986, 5; Whitcomb 1996. 185 Bagnall 1986, 4. 186 Strab., XVI, 4, 24. 187 Peacock e Blue 2006, 176; di parere diverso Whitcomb 1996, 747-760; Whitcomb 1999, 658-660. 181 53 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Coptos e la carovaniera Abbiamo visto come il sistema di porti sul Mar Rosso fosse funzionale alla gestione dei traffici commerciali marittimi nell’area. Tuttavia, queste installazioni non avrebbero avuto alcuna utilità pratica, se non fossero state connesse con il cuore dell’Egitto e del Mediterraneo, tramite un articolato sistema di infrastrutture. Tanto Berenice quanto Myos Hormos si trovavano in una posizione periferica, ai margini di un deserto di difficile attraversamento. Affinché potessero essere raggiunte con regolarità, era necessaria una rete viaria provvista di punti di ristoro e approvvigionamento idrico. Per questo motivo, il sistema portuale sul Mar Rosso era integrato e simbiotico con una fitta rete di strade carovaniere che attraversavano il deserto orientale. Il terminale principale che collegava i porti sul Mar Rosso al Nilo era la città fluviale di Coptos. Essa fin dall’epoca tolemaica svolse egregiamente il ruolo di “cerniera” tra i porti sul Mar Rosso e la grande metropoli egiziana; si trovava lungo il corso del Nilo, a circa 500 km in linea d’aria a sud del Cairo, nel punto in cui il fiume forma un’ampia ansa e scorre più vicino alla costa orientale dell’Egitto.188 Questa rete fu creata fin dal tempo dei Tolomei, e poi restaurata e ampliata dai Romani dopo la conquista del regno d’Egitto. Fu apportato anche un cambiamento sostanziale ad essa: sotto i Tolomei, la via carovaniera che partiva da Berenice approdava ad Apollonopolis Magna, mentre in epoca romana essa fu allacciata alla carovaniera Myos Hormos – Coptos, in modo da fare di quest’ultima il terminale unico delle due rotte principali. L’importanza cruciale di Coptos è ben illustrata da Strabone, che poté a ragion veduta definirla come un ἐμπόριον,189 dove confluivano le merci dall’India, dall’Arabia e dall’Etiopia,190 nonché confermata da altre fonti di periodo imperiale.191 Secondo Plinio, per raggiungere in nave Coptos da Alessandria lungo il corso del Nilo erano necessari 12 giorni di navigazione.192 La città sembra aver conosciuto un forte sviluppo nel I secolo d.C. Sono state rinvenute iscrizioni attestanti la costruzio- Coptos 2000, 18. Étienne 1993. 190 Strab., XVII, 1, 45: καὶ νῦν ὁ Ἰνδικὸς φόρτος ἅπαξ καὶ ὁ Ἀραβίος καὶ τοῦ Αἰθιοπικοῦ ὁ τῷ Ἀραβίῳ κόλπῳ κατακομιζόμενος εἰς Κοπτὸν φέρεται, καὶ τοῦτ᾿ ἔστι ἐμπόριον τῶν τοιούτων φορτίων. 191 Plin., Nat. Hist., V, 60; Ael. Arist., Aeg., 36. 192 Plin., Nat. Hist., VI, 26. 188 189 54 2. L’età Altoimperiale ne di edifici per l’epoca di Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone.193 La prosperità del sito è verificabile ancora nel II secolo, in particolare grazie alla presenza di mercanti palmireni.194 Coptos fu anche un centro militare importante, in particolare contro i predoni che infestavano il deserto: Augusto vi collocò la Legio III Cyrenaica e la città fu sede di legione fino all’epoca di Caracalla, che vi stanziò un contingente di arcieri palmireni. In seguito, fu oggetto di riorganizzazione militare sotto gli imperatori Probo e Diocleziano.195 La nostra conoscenza complessiva della rete che collegava Coptos al Mar Rosso è ancora incompleta, poiché solo parte delle antiche strade di collegamento è stata identificata e studiata.196 Ciò nonostante, integrando le informazioni ricavabili dall’analisi archeologica con quanto emerge dalle nostre fonti letterarie, è possibile ricostruire con una buona dose di approssimazione l’organizzazione generale dell’area. È noto ad esempio che le sette strade principali realizzate in epoca ellenistica e romana misuravano complessivamente circa 2.000 – 2.200 km, che le strade romane seguivano e sfruttavano per quanto possibile i vecchi tracciati ellenistici, oltre a sovrapporsi tra loro, quando la cosa permetteva di risparmiare sul lavoro di costruzione.197 Le strade erano normalmente non lastricate, pratica comune per le vie di comunicazione che attraversavano i deserti, sia in Egitto, sia in altre regioni. Questo consentiva ovviamente di risparmiare denaro sulla loro costruzione, e di realizzarle in tempi piuttosto brevi. Inoltre, la pavimentazione era superflua, data la natura rocciosa del suolo, e persino pericolosa, per una strada che era percorsa da grandi quantità di cammelli.198 Le strade erano provviste anche di un sistema di torri di osservazione, per tenere sotto controllo l’ordine nella zona. Erano note col nome di skopeloi, e sulle rotte principali erano molto frequenti.199 È stato calcolato che tramite queste torri di osservazione, un messaggio potesse essere trasmesso tra Coptos e Myos Hormos (circa 180 km) in poche ore, o al Porter e Moss 1937, 123-124. Sidebotham 1986a, 97; Herbert e Berlin 2003, 96. 195 Herbert e Berlin 2003, 96. Si veda anche infra, capitolo 3. 196 Si vedano i contributi apportati negli anni dai lavori di Lesquier 1918; Meredith 1952; Maxfield 1996; Reddé 2002; Rathbone 2002; Bagnall e Rathbone 2004; Sidebotham 2011. 197 Sidebotham (2011, 127-128) fornisce l’elenco delle sette strade, con le relative lunghezze approssimative. 198 Sidebotham 2011, 136. 199 Cuvigny 2003a, 216-226; Sidebotham 2011, 140-141. 193 194 55 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico massimo nell’arco di una giornata.200 La presenza di truppe romane (sia regolari sia ausiliari) era parimenti costante, per quanto anche in questo caso sia difficile ipotizzare un numero preciso, per una qualsiasi epoca. Sembra comunque probabile che il momento di maggior presenza militare nella zona sia stata la prima metà del II secolo d.C.201 In base alla testimonianza di alcuni ostraka, possiamo affermare senza dubbio che era pratica comune che uno o due soldati a cavallo accompagnassero le carovane di mercanti lungo il loro tragitto nel deserto.202 Oltre alla presenza romana, c’è attestazione della frequentazione delle rotte da parte di comunità alleate e dedite ai commerci. Per il periodo tra I e III secolo, sono attestate iscrizioni di Nabatei, che si intensificano dopo il 110 d.C., in conseguenza evidentemente della annessione del regno nabataico a Roma. Si tratta per lo più di cammellieri, che lavorano al trasporto di merci tra Coptos e il Mar Rosso, piuttosto che nel commercio internazionale.203 Oltre ai Nabatei, grazie a tre iscrizioni abbiamo testimonianza della presenza di truppe regolari palmirene in servizio sulla tratta Coptos – Berenice nei primi decenni del III secolo d.C.,204 un dettaglio su cui si avrà modo di tornare infra. Come accennato in precedenza, le due rotte più importanti per questo discorso (ma non le uniche esistenti in antico) erano quelle che collegavano, rispettivamente, Coptos con Myos Hormos e Coptos con Berenice. La più breve era la pista che da Coptos giungeva a Myos Hormos. Si trattava di un percorso di circa 175 km, che richiedeva sette giorni di cammino.205 Questa pista fu molto battuta per tutto il primo secolo d.C. È chiaro che si trattava di una via di grande importanza, come si ricava anche dal fatto che gli hydreumata sono ivi posti a una distanza tra loro di soli 16 km.206 Frequenti anche le torri di avvistamento, specialmente nelle zone più montagnose e nella sua parte più orientale.207 Dall’indagine dei resti ritrovati lungo il suo corso è stato possibile ricavare che attraverso di essa passavano le carovane che trasportavano le spezie e gli altri prodotti provenienti Peacock e Blue 2006, 11. Maxfield 2000, 434. 202 Cuvigny 2003b, 326-327. 203 Sidebotham 1986a, 94. 204 OGIS 639; Dijkstra e Verhoogt 1999; Maxfield 2000, 426; Cuvigny 2003b, 338; Sidebotham 2011, 153-154. 205 Strab., XVII, 1, 45. 206 Zitterkopf e Sidebotham 1989, 155-189. 207 Sidebotham 2011, 140-141. 200 201 56 2. L’età Altoimperiale dall’Est, e che la maggior parte dei ritrovamenti risale alla prima età imperiale, in particolare l’epoca flavia, ancora una volta in perfetta coerenza con quanto desumibile dalla storia di Myos Hormos.208 La via che congiungeva Coptos e Berenice era strutturata in maniera del tutto simile alla precedente, ma era molto più lunga. Plinio riferisce che erano necessari 12 giorni per attraversarla marciando, e che la sua lunghezza complessiva era di quasi 400 km.209 Essa è stata oggetto di indagini sistematiche nel corso degli ultimi decenni,210 durante le quali sono stati identificati molti hydreumata citati nelle fonti antiche.211 Dai ritrovamenti ceramici si è potuto dedurre che la via fu in uso principalmente dal I al VII secolo d.C.212 Molte erano le stazioni e i praesidia stanziati lungo le carovaniere. Queste postazioni potevano fungere da punti di rifugio e di ristoro per coloro che affrontavano la carovaniera, essendo fornite di pozzi (hydreumata) e cisterne (lakkoi).213 I praesidia erano anche sede di distaccamenti di fanteria e cavalleria, composti da mediamente 22-24 uomini ognuno.214 Esistono ostraka che testimoniano di soldati che fungevano da scorta per alcune carovane di mercanti, ma non è possibile stabilire se questa fosse una attività regolare, o piuttosto eccezionale, dovuta a circostanze particolari, su iniziativa del praefectus montis Berenicidis. È peraltro stato suggerito che i soldati, piuttosto che proteggere i mercanti, avessero il compito di sorvegliarli, per evitare episodi di contrabbando ed evasione fiscale.215 A ciò va aggiunta un’altra considerazione. Come suggerito a suo tempo dal Sidebotham,216 non bisognerebbe dare per scontato che la sola, o quantomeno la principale funzione di questi presidi fosse di supporto al commercio. Infatti, è Brun 2002, 395-414; Sidebotham 2011, 150-151. Plin., Nat. Hist., VI, 101-103. Interessanti informazioni sono anche ricavabili da Itin. Anton., 171.5-173.4; Tab. Peut., VIII. 210 Una interessante analisi archeologica della rotta in Sidebotham 2002b, 415-438. 211 Sidebotham e Zitterkopf 1995, 39-51; Cuvigny 2003a; 2003b; 2005. 212 Sidebotham e Zitterkopf 1995, 50. In epoca romana, dunque, piuttosto che tolemaica: dato che non sorpenderà, tenuto conto che la pista congiungente Berenice al Nilo in epoca tolemaica non terminava a Coptos, ma a Apollonopolis Magna, e quindi seguiva in parte un tracciato diverso da quella di epoca romana. 213 Cuvigny 2003b, 267-273 e 353-357. 214 Cuvigny 2003b, 307-310. 215 Young 2001, 69-74; Cuvigny 2003b. 216 Sidebotham 1986a, 79. 208 209 57 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico più che probabile che uno degli scopi principali delle installazioni fosse il controllo militare del territorio egiziano, una provincia soggetta a un regime speciale.217 Il numero di praesidia ad oggi oggetto di sistematiche indagini archeologiche è di circa dodici, e la maggior parte di essi è di fondazione di epoca flavia.218 Anche la maggior parte dei reperti scritti, provenienti da questi praesidia, è parimenti databile al periodo flavio. Complessivamente, le varie arterie della carovaniera furono certamente in uso fin dall’epoca tolemaica,219 ma tutto lascia immaginare che l’epoca flavia fu un periodo di enorme sviluppo, a giudicare dal grande numero di forti fondati (o ricostruiti) in questo lasso di tempo, nonché della grande quantità di documenti scritti parimenti attribuibili al periodo della dinastia flavia.220 È stato ipotizzato che questo incremento nell’attività di fortificazione della rotta carovaniera in epoca flavia sia da attribuirsi a un aumento delle azioni ostili da parte di popoli che vivevano nel deserto, nei confronti dei Romani.221 Eppure, questo dato è omogeneo con quello che si può desumere dall’analisi di altre tipologie di evidence, come ad esempio il corpus numismatico rinvenuto a Berenice, di I secolo d.C., fortemente sbilanciato sull’epoca flavia.222 Il tutto lascerebbe dedurre che l’aumento di fortificazioni lungo la carovaniera sia da attribuirsi più alle aumentate esigenze di un commercio sempre più fiorente, che a motivazioni di tipo meramente militare e strategico. Tuttavia, su questo punto si avrà modo di tornare infra. Un dato interessante, che origina da questa sommaria analisi sulla presenza di installazioni di controllo lungo le carovaniere, è quello relativo al costo di mantenimento di queste postazioni. È importante sottolineare come questi avamposti richiedessero costantememente del personale che si occupava di mantenerli in uso, e ciò comportava la necessità di alimentare e rifornire costantemente queste persone, sia negli avamposti militari, sia nei porti sul Mar Rosso. È stato calcolato, ad esempio, che la sola città di Berenice, in questo periodo, richiedesse l’equivalente dell’invio ogni mese di un numero compreso tra i 200 e i 500 cammelli 217 Strabone (II, 3, 5) attesta che era necessaro un πρόσταγμα (permesso) anche solo per poter uscire da Alessandria e recarsi in un’altra zona della provincia. 218 Cuvigny 2003a, 187-205. 219 Strab., XVII, 1, 45. 220 Cobb 2015a, 378. 221 Cuvigny 2005, 36. 222 Cfr. supra, p. 51. 58 2. L’età Altoimperiale carichi di rifornimenti alimentari, per poter sopravvivere.223 La maggior parte di questi carichi dovevano essere realisticamente trasportati da piccole ditte specializzate, operanti nel Deserto Orientale, come quella di Nikanor.224 Questo è solo un esempio degli enormi sforzi organizzativi necessari a mantenere attivi dei porti così remoti e in condizioni ambientali decisamente ostili. In conclusione, l’analisi complessiva delle infrastrutture presenti in Egitto nel primo secolo della presenza romana permette di comprendere che il governo romano decise di investire grandi risorse sul commercio internazionale nel Mar Rosso. Considerate le enormi difficoltà logistiche oggettive legate alla manutenzione di queste infrastrutture, è chiaro che gli imperatori dovettero ritenere questo commercio come estremamente remunerativo e di fondamentale importanza per la vita politica dell’impero. Questo elemento continuerà a contraddistinguere la vita economica del Mar Rosso in epoca romana, come apparirà chiaro nel resto di questo lavoro. 3. Il litorale arabo nel I secolo d.C. Per quanto riguarda il litorale arabo nel I secolo d.C. c’è poco da aggiungere a quanto già discusso nel capitolo precedente. Al contrario dell’Egitto tolemaico, il Regno di Nabatea rimase indipendente da Roma fino all’inizio del II secolo d.C. Ovviamente, questo piccolo regno cliente fu ben presto commercialmente pienamente integrato nell’economia romana,225 e i suoi porti rifornirono di merci le città dell’Impero. L’organizzazione dei commerci restò sostanzialmente identica. Possiamo immaginare che solo la quantità delle merci che passavano per i porti arabi sia cambiata, aumentando in maniera proporzionale alla aumentata richiesta di merci, da parte dei consumatori romani. S’è visto che sul Mar Rosso due erano i punti di approdo delle vie commerciali con il Sud: Aila e Leuke Kome. 223 224 225 Jackson 2002, 105. Adams 2007, 222-225. Parker 2002b, 78. 59 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Aila Non è mai ricordata nel Periplus Maris Erythraei. Questo lascerebbe immaginare che Aila non fosse un porto di primaria importanza nel contesto del commercio internazionale nel I secolo d.C. Ciò nonostante, non sono poche le fonti letterarie di I-II secolo che ad essa fanno riferimento, citandola come porto dei Nabatei, anche se è solamente Strabone ad attestare esplicitamente l’esistenza di rotte commerciali tra la città e l’Arabia, attraverso le quali erano importate spezie di vario genere.226 Per avere menzione di contatti diretti tra Aila e l’India dobbiamo invece aspettare Eusebio di Cesarea, il quale contestualmente ci riporta la notizia che qui fu fatta trasferire da Gerusalemme la Legio X Fretensis, intorno al 290.227 Questo dato non prova che il porto di Aila fosse in relazione con il commercio indiano in epoca imperiale, ma solo che esso era inserito in un sistema di scambi commerciali tra Mar Mediterraneo e Mar Rosso. Leuke Kome Ben altro ruolo aveva Leuke Kome, inserito nel commercio di incenso e altri prodotti, che provenivano dal Sud Arabia e proseguivano, passando per Petra, fino a Rhinocolura, sulla costa palestinese. Le rotte commerciali che collegavano la città al sud Arabia sono già state descritte.228 Qui varrà la pena sottolineare che il volume di traffico passante per Leuke Kome raggiunse il suo zenith tra I secolo a.C. e I d.C.,229 periodo al termine del quale si ritiene che iniziò a decrescere in maniera costante, a vantaggio di Myos Hormos, in particolare dopo la spedizione di Elio Gallo nel 26/25 a.C. Nel Periplus si fa riferimento alla città, 226 Strabone asserisce che il viaggio da Aila al sud dell’Arabia, dove vengono prodotte le spezie, dura settanta giorni (XVI, 2, 30 e XVI, 4, 4). Una simile lunga durata ci lascerebbe quindi intendere che si trattasse di un viaggio via terra, e non via mare. Si vedano in generale anche le testimonianze di Diod. Sic., III, 43, 4; Plin., Nat. Hist., V, 12; Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 6, 4; Ptolem., Geog., V, 17, 1. 227 Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21: Αἰλάμ. Ἐν ἐσχάτοις ἐστι -Παλαιστίνηςπαρακειμένη τῇ πρὸς μεσημβρίαν ἐρήμῳ καὶ τῇ πρὸς αὐτὴν Ἐρυθρᾷ Θαλάσσῃ, πλῶτῃ οὔσῃ τοῖς τε ἀπ᾿Αἰγύπτου περῶσι καὶ τοῖς ἁπὸ τῆς Ἰνδικῆς. Ἐγκάθηται δὲ αὐτότι τάγμα ᾿Ρωμαίον τὸ δέκατον. Καλεῖται δὲ νῦν Ἀϊλά. Questa testimonianza sarà oggetto di analisi approfondita infra. 228 Si veda quanto detto nel capitolo 1. 229 Sidebotham 1991, 21. 60 2. L’età Altoimperiale descritta come un porto di un certo rilievo nel contesto del commercio nell’area del Mar Rosso (essa, al contrario di Berenice e Myos Hormos, è definita come ἐμπόριον, laddove i porti egiziani hanno semplicemente l’appellativo di λιμένες). Inoltre, l’anonimo autore aggiunge che a Leuke Kome c’era una stabile presenza militare230 (il testo parla di un ἑκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος) e che un παραλήπτης si occupava di riscuotere in loco una tassa del 25% sulle merci di importazione.231 4. Il quadro complessivo di I secolo Possiamo quindi ribadire senza ombra di dubbio che, dal 30 a.C. fino alla fine del I secolo d.C., Myos Hormos e Berenice furono gli approdi principali per le navi provenienti dall’Oriente, la spina dorsale del sistema portuale romano nel Mar Rosso. Secondo la maggior parte degli studiosi, la ragione principale di questo successo sarebbe da individuare nelle posizioni geografiche dei due porti, collocati sufficientemente a sud da essere fuori della zona in cui i venti ostacolano particolarmente la navigazione.232 Questa spiegazione, apparentemente soddisfacente, non sembra dare ragione di alcuni dettagli di non secondaria importanza. Il primo e più importante è che solo Berenice è realmente vicino al 20° N di latitudine, la soglia che sappiamo essere il punto critico per la navigazione nel Mar Rosso. Myos Hormos è decisamente più a Nord, eppure pare non aver sofferto più di tanto, almeno nel I secolo, di questa sua collocazione geografica. D’altra parte, il fatto che le nostre fonti di questo periodo citino l’uno o l’altro come porto principale del Mar Rosso è un’ulteriore stranezza che andrà spiegata adeguatamente. Il nodo fondamentale della questione si può individuare nel delicato momento di passaggio tra l’epoca tolemaica e quella romana. La massima parte dei traffici tolemaici si svolgeva con i Paesi collocati attorno all’area del Mar Rosso propriamente detto: Arabia, Etiopia, Nubia. Nel precedente capitolo abbiamo visto come, in epoca tolemaica, il porto di Berenice fosse stato realizzato con un preciso scopo: facilitare l’importazione di elefanti Per la discussione se il distaccamento militare fosse nabateo o piuttosto romano si rimanda alla seconda parte di questo capitolo. 231 La descrizione complessiva di Leuke Kome è in PME, 19. Ampio spazio sarà dedicato alla discussione di questo passo nella parte dedicata alla tassazione. 232 Vedi supra, p. 17. 230 61 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico da guerra dalla Trogodytica. Il trasporto dei pachidermi avveniva su grandi e pesanti navi, le ἐλεφαντηγοί. Per le loro stesse dimensioni, queste navi non dovevano essere facilmente manovrabili, soprattutto in presenza di venti contrari. Ciò spiega perché, a tal fine, il Filadelfo pensò di costruire Berenice nel punto più meridionale possibile del suo regno. Molto meglio trasportare i pachidermi via terra lungo il deserto orientale, piuttosto che avventurarsi nel Nord del Mar Rosso, lì dove le pesanti navi sarebbero andate certamente incontro a una brutta fine. L’archeologia, come abbiamo appena visto, conferma che il primo secolo dopo la sua fondazione fu per Berenice un periodo di intensa attività commerciale, legata all’importazione degli elefanti. Questo periodo prospero si arrestò alla metà del II secolo a.C., in contemporanea, a ben vedere, con la decisione, da parte di Tolomeo V (ca 205 – 180 a.C.), di sospendere le importazioni di elefanti dall’Africa.233 Quando, all’indomani dell’annessione romana dell’Egitto (e dopo altri 150 anni circa), Strabone scrisse la sua opera geografica, pur ricordando l’importanza di Berenice, la presentò come un porto di secondo piano, rispetto a Myos Hormos. Se supponiamo che Strabone offra, negli anni ‘20 del I secolo a.C., una fotografia attendibile della situazione dei porti sul Mar Rosso, allora la sua descrizione di Myos Hormos come grande porto internazionale, punto di partenza principale delle rotte marittime nell’area potrà essere riportata anche al periodo tardotolemaico. Possiamo supporre che negli anni immediatamente successivi all’annessione dell’Egitto i Romani preferirono usare Myos Hormos come punto di partenza principale per la loro spedizioni commerciali in Oriente, come conseguenza di uno status particolare del porto, che doveva apparire agli occhi dei conquistatori come il più attrezzato e trafficato del momento. Se Myos Hormos era quindi il porto di maggiore utilizzo da parte dei mercanti tolemaici, come si era guadagnato questo status? L’unica risposta possibile è nella natura del commercio La decisione di Tolomeo V può essere spiegata in vari modi. Si è pensato che i Tolomei avessero deciso di sospendere l’importazione poiché i loro più grandi rivali, i Seleucidi, a partire dalla fine del III secolo a.C. si trovarono impossibilitati a importare elefanti dall’India a causa della ascesa dell’Impero Partico, che bloccò questo commercio. Posto che i Seleucidi non potevano più utilizzare questi animali in guerra, anche i Tolomei ne abbandonarono l’utilizzo. Più verosimile è l’ipotesi che il commercio sia declinato perché, dopo un lungo periodo di regolari importazioni dall’Etiopia, in Egitto esisteva una cospicua popolazione di elefanti in cattività, che riproducendosi provvedevano al fabbisogno dell’esercito, rendendo inutile il periodico approvvigionamento dall’Etiopia. Si veda Sidebotham 1986a, 4; Mclaughlin 2014, 76. 233 62 2. L’età Altoimperiale tolemaico. Esso era prevalentemente un commercio su corto e medio raggio, che prevedeva contatti diretti e costanti solo con i Paesi del Mar Rosso propriamente detto. Per trasportare le quantità desiderate di spezie e aromi non era necessario ricorrere a navi di enormi proporzioni, che erano al contrario indispensabili per trasportare gli elefanti dalla Trogodytica. Le navi che partivano e approdavano a Myos Hormos saranno state quindi di tonnellaggio minore, per cui più facilmente manovrabili, un dettaglio non da poco per chi si volesse avventurare negli infidi fondali del Mar Rosso, navigando controvento.234 Che una ipotesi del genere sia realistica è confermato da un altro dettaglio. Il porto di Leuke Kome, ubicato sulla costa araba, in posizione quasi speculare rispetto a Myos Hormos, è descritto nel Periplus Maris Erythraei come un emporio, punto di approdo di un buon numero di navi provenienti dall’Arabia e trasportanti ἀρώματα. L’anonimo sottolinea un particolare significativo, cioè che le navi che arrivano a Leuke Kome sono di dimensioni relativamente piccole.235 Questo dato non implica affatto che il livello dei commerci di cui Leuke Kome era il terminale fosse basso, al contrario. Però sottolinea un dettaglio tecnico: solo navi di piccolo tonnellaggio potevano essere utilizzate per risalire fino a Leuke Kome. Essendo il porto nabataico situato in posizione speculare rispetto a Myos Hormos, ecco che la situazione dei due porti appare immediatamente parallela. La fortuna di Myos Hormos ellenistica dovette risiedere quindi nella particolare natura del commercio che ad essa faceva capo. Resta da chiarire perché la maggior parte delle navi in epoca tolemaica si sia diretta a Myos Hormos, affrontando una parte (non maggioritaria, ma pur sempre significativa) di viaggio controvento, piuttosto che a Berenice, ad esempio, il cui porto non fu certamente abbandonato, pur avendo subito un periodo di relativo declino. Evidentemente, Myos Hormos era, tra tutti i porti ellenistici, quello più vicino al corso del Nilo, e a Coptos, il grande emporio fluviale. La possibilità di accorciare decisamente il viaggio nell’ostile e pericoloso deserto orientale egiziano avrà ampiamente controbilanciato le difficoltà della navigazione. Ricapitolando: nell’ultima fase tolemaica Myos Hormos funse da porto principale sul Mar Rosso, terminale più importante delle rotte che collegavano l’Egitto con i Paesi limitrofi; al contrario Berenice, specializzata nella ricezione di 234 235 Arnaud 2014; De Romanis 2015. PME, 19. 63 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico pesanti ἐλεφαντηγοί, risentì della fine della caccia agli elefanti, e vide il livello del commercio passante attraverso essa calare vistosamente. Vediamo ora in che modo la situazione si sia evoluta al passaggio all’epoca romana. Tenendo conto delle informazioni ricavabili dall’insieme delle nostre fonti, possiamo provare a ricostruire un quadro complessivo di questo tipo. All’epoca di Strabone 120 navi partivano in un anno da Myos Hormos verso l’India. Quante (e se) ne partissero da Berenice non è dato sapere. Il geografo sottolinea parimenti che, mentre Myos Hormos era attrezzata con un porto, Berenice aveva solo un approdo naturale. Strabone descrive la situazione così come essa si presenta all’incirca nell’anno 25 a.C., pochissimi anni dopo l’annessione dell’Egitto. In quel momento, ancora nessun intervento era stato possibile da parte dell’autorità romana per cambiare le infrastrutture nell’area. Myos Hormos aveva il gran vantaggio di essere il porto più vicino al corso del Nilo, ed era da tempo il principale porto dell’Egitto tolemaico sul Mar Rosso. Delle 120 navi ricordate da Strabone non abbiamo informazioni circa il tonnellaggio, ma dovevano essere navi di dimensioni non enormi. È bene sottolineare che le fonti letterarie successive a Strabone, cioè Plinio e l’anonimo del Periplus, non mancano assolutamente di citare Myos Hormos e di descriverlo come porto di notevole importanza (particolare rilievo a questo proposito ha proprio la testimonianza del Periplus), ma fanno entrambe partire la rotta diretta per l’India da Berenice. Questo dato è centrale per risolvere il problema che si sta affrontando. Le fonti di I secolo d.C. non fanno mai riferimento a un possibile declino di Myos Hormos, né accennano al fatto che i suoi commerci siano stati in qualche modo danneggiati da Berenice. Mettono però in chiaro che è da quest’ultima che parte la rotta per l’India. Va ovviamente ricordato che il commercio passante per il Mar Rosso non si limitava agli scambi Mediterraneo – India, ma coinvolgeva una serie di Paesi che lungo questa rotta erano collocati. Se si assume che il livello dei commerci passante per Myos Hormos non sia calato, allora è a Berenice che deve essersi verificato un qualche cambiamento di rilievo. Allorché i Romani conquistarono l’Egitto, Berenice era collegata al Nilo tramite una via carovaniera, che non terminava a Coptos (come quella proveniente da Myos Hormos), bensì a Edfu. I Romani provvidero a modificare questa rotta, facendo in modo che terminasse a Coptos, così da collegare entrambi i porti maggiori con il principale emporio nilotico.236 236 Cobb 2015a, 375-377. 64 2. L’età Altoimperiale All’inizio della sua storia, Berenice aveva visto crescere la sua fortuna grazie al fatto di essere il porto più meridionale d’Egitto, e di poter risparmiare a navi grandi e poco manovrabili una penosa risalita del Mar Rosso controvento. In seguito alla conclusione del commercio di elefanti dall’Africa, il porto aveva perso parte della sua capacità di attrazione commerciale. Ma con l’arrivo dei Romani il livello complessivo delle importazioni dall’Oriente crebbe in maniera esponenziale, così come il numero di navi che partivano dall’Egitto per arrivare effettivamente in India, spinte dai monsoni. Tali navi che dovevano navigare nell’Oceano aperto dovevano necessariamente essere robuste e di grosse dimensioni, altrimenti non avrebbero retto alla forza dei venti.237 Ma navi di questo tipo potevano approdare in Egitto solo in un porto, ovviamente Berenice. È possibile che si sia verificata una specializzazione progressiva dei due porti. Mentre Berenice si concentrò nella gestione dei traffici diretti con l’India lungo le rotte monsoniche, a Myos Hormos approdavano vascelli provenienti o dal Mar Rosso in senso stretto, o dall’India, ma seguendo una rotta diversa, costiera, più adatta a vascelli di ridotte dimensioni. 5. I cambiamenti strutturali di II secolo Il quadro della presenza romana nel Mar Rosso appare mutato a partire dal II secolo d.C. In questo periodo si verificarono una serie di avvenimenti che ebbero un forte impatto sulla gestione dell’area. I Romani, infatti, estesero il proprio controllo diretto del Mar Rosso, inglobando il regno di Nabatea nei propri domini e trasformandolo nella Provincia d’Arabia, così ottenendo il dominio su tutto il Mar Rosso settentrionale. L’evento s’inserisce nel contesto più ampio delle guerre dell’imperatore Traiano in Oriente. Nell’estate del 116 d.C., egli portò a compimento la sua campagna partica e raggiunse il sito di Spasinou Charax, sulle rive del Golfo Persico. Cassio Dione (epitomato da Xifilino) riferisce che ivi l’imperatore si sarebbe lamentato di non essere abbastanza giovane per tentare di emulare l’impresa di Alessandro Magno e provare a conquistare l’India: 237 Cooper 2011, 189-210. 65 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico κἀντεῦθεν ἐπ᾽ αὐτὸν τὸν ὠκεανὸν ἐλθών, τήν τε φύσιν αὐτοῦ καταμαθὼν καὶ πλοῖόν τι ἐς Ἰνδίαν πλέον ἰδών, εἶπεν ὅτι ‘πάντως ἂν καὶ ἐπὶ τοὺς Ἰνδούς, εἰ νέος ἔτι ἦν, ἐπεραιώθην.’ Ἰνδούς τε γὰρ ἐνενόει, καὶ τὰ ἐκείνων πράγματα ἐπολυπραγμόνει, τόν τε Ἀλέξανδρον ἐμακάριζε.238 “E quindi giunse all’Oceano, e quando apprese la sua natura e vide una imbarcazione che faceva rotta verso l’India, disse: ‘Se io fossi ancora giovane, senz’altro farei la traversata per l’India!’ Infatti, pensava agli Indiani e si interessava dei loro affari, e reputava beato Alessandro.” L’aneddoto può essere inquadrato come un riferimento romantico al mito di Alessandro e alla fama di grande conquistatore che l’imperatore Traiano si era guadagnato in vita e che portava la propaganda imperiale ad associare i due condottieri. Il retorico parallelismo tra le figure degli imperatori romani e il grande Macedone, d’altra parte, non era cosa nuova.239 Una eco del discorso di Cassio Dione si individua anche nei testi di scrittori tardoantichi, come Eutropio, Festo e Giordane,240 i quali parlano apertamente del fatto che l’imperatore avrebbe istituito una flotta militare nel Mar Rosso (in mari Rubro classem instituit), per attaccare i confini dell’India. L’analisi comparata dei tre testi permette di individuare le enormi somiglianze tra essi, caratteristica che lascia supporre che tutti e tre dipendano da una fonte comune. [Traianus] usque ad Indiae fines et mare rubrum accessit atque ibi tres provincias fecit, Armeniam, Assyriam, Mesopotamiam, cum his gentibus, quae Madenam attingunt. Arabiam postea in provinciae formam redegit. In mari Rubro classem instituit, ut per eam Indiae fines vastaret.241 “Giunse fino ai confini dell’India e al Mar Rosso e ivi creò tre provincie, l’Armenia, l’Assiria, la Mesopotamia insieme a quei popoli che toccano la Madena. Successivamente ridusse l’Arabia in forma di provincia. Stabilì una flotta nel Mar Rosso, per poter con essa portare distruzione alla frontiera dell’India. 238 239 240 241 Cass. Dio LXVIII, 29, 1. Whittaker 1998, 11-15; Parker 2008, 223-227. Parker 2008, 222. Eutr., Breviarium, 8, 3. 66 2. L’età Altoimperiale Carduenos, Marcomedos obtinuit, Anthemusium, optimam Persidis regionem, Seleuciam, Ctesiphontem, Babyloniam accepit ac tenuit, usque ad Indiae fines post Alexandrum accessit. In mari rubro classem instituit. Provincias fecit Armeniam, Mesopotamiam, Assyriam quae inter Tigridem atque Euphraten sita, inriguis amnibus instar Aegypti fecundatur.242 “Sottomise i Cardueni, i Marcomedi, ricevette e mantenne l’Antemusio, la miglior regione della Persia, Seleucia, Ctesifonte e la Babilonia, si spinse, dopo Alessandro, fino ai confini dell’India. Allestì una flotta nel Mar Rosso. Rese province l’Armenia, la Mesopotamia, l’Assiria, che posta tra il Tigri e l’Eufrate è resa fertile, al pari dell’Egitto, dai fiumi che la bagnano.”243 Traianus paene omnium imperatorum potior regnavit an. xviii m. vi. Hic enim de Dacis Scythisque triumphavit Hiberosque et Sauromatas, Osroenos, Arabas, Bosforanos, Colchos edomuit, postquam ad feritatem prorupissent. Seleuciam et Tesifontem Babyloniamque pervasit et tenuit. Nec non et in mari rubro classem, unde Indiae fines vastaret, instituit ibique suam statuam dedicavit.244 “Traiano, tra tutti gli imperatori forse il migliore, regnò per 18 anni e sei mesi. Questi trionfò sui Daci e gli Sciti, assoggettò gli Iberi, i Sauromati, gli Osroeni, gli Arabi, gli abitanti del Bosforo, i Colchi, dopo che questi si erano spinti a immane ferocia. Occupò e conquistò Seleucia, Ctesifonte, e Babilonia. Allestì anche una flotta nel Mar Rosso, per aggredire i confini dell’India e ivi dedicò una sua statua.” I tre testi offrono un saggio di quella che dovette essere a suo tempo la propaganda imperiale sulle imprese dell’imperatore Traiano, creando un presunto collegamento tra le sue campagne vittoriose contro i Parti e una ipotetica spedizione indiana. È significativo che i testi siano molto sintetici, e dedichino poche righe a ogni imperatore, riportando solo i fatti ritenuti salienti per ognuno. In questo caso, hanno scelto di riportare notizia delle campagne militari di Traiano, il che è facilmente comprensibile, dal momento che è universalmente ricordato come un suo tratto distintivo, quello di aver esteso i confini dell’impero per primo dopo 242 243 244 Festus, Rerum gestarum populi romani, 20. Trad. S. Costa. Jordanes, Romana, 267-268. 67 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico decenni di relativa stabilità.245 Oltre a ciò, però, viene anche segnalata questa iniziativa di stabilire, presumibilmente per primo, una flotta nel Mar Rosso, con lo scopo di fare scorrerie sulle coste indiane.246 In realtà, la presenza di una flotta nel Mar Rosso potrebbe realisticamente risalire a diverso tempo prima del regno di Traiano. 5.1 Indizi sull’esistenza di una flotta militare nel Mar Rosso Gli studiosi hanno a lungo dibattuto la possibilità che esistesse una flotta militare stanziata stabilmente nel Mar Rosso in epoca imperiale, senza giungere a un accordo generale sul tema.247 In linea di principio, ovviamente sembrerebbe plausibile che l’Impero avesse stabilito una flotta nel Mar Rosso, per ragioni strategiche, poiché si trattava di un mare solo parzialmente sotto il controllo romano. A questo si aggiunga che esistono prove inconfutabili per la presenza di una flotta stabile fin dall’epoca faraonica 248 e tolemaica.249 Indizi che puntano in direzione di una presenza navale militare romana nel Mar Rosso esistono fin dall’epoca augustea. Sia Augusto, sia Strabone riportano testimonianza di una spedizione militare sotto il comando del praefectus Elio Gallo, volta a conquistare l’Arabia del sud. Nel 25 a.C. Gallo partì da Cleopatris (nei pressi di Suez) alla testa di un esercito di 10.000 uomini, che includeva una legione e auxiliares nabatei e giudei. Nelle sue Res Gestae, Augusto descrive la preparazione e i risultati conseguiti da questa spedizione: Meo iussu et auspicio ducti sunt [duo] exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et in Ar[a]biam, quae appel[latur] Eudaemon, [maxim]aeque hos[t]ium gentis utr[iu]sque cop[iae] caesae sunt in acie et [c]om[plur]a oppida capta. In Aethiopiam usque ad oppidum Plin. Iun., Pan. Traian., 22-23. Il preciso significato di termini come “Mar Rosso” e “India” in epoca tardoantica è indeterminabile, visto che questi possono essere riferiti all’ampia area geografica che andava dalle coste dell’Africa orientale fino all’India moderna, inglobando anche la Penisola arabica. Cfr. Schneider 2004. 247 Il primo ad avanzare tale ipotesi fu Rostovzev 1931, 25, seguito da Kortenbeutel 1931, 70-71. Di opinione opposta, Kienast (1966, 84), Sidebotham (1986a, 67-71) e Wilson 2015. 248 Burdon 1925, 51. 249 OGIS 132 (datato al 130 a.C.). 245 246 68 2. L’età Altoimperiale Nabata pervent[um] est, cui proxima est Meroe. In Arabiam usque in fines Sabaeorum pro[cess]it exercitus ad oppidum Mariba.250 “Per mio ordine e sotto i miei auspici, due eserciti vennero guidati quasi contemporaneamente in Etiopia e nell’Arabia detta Felice, e vaste schiere di entrambe le popolazioni nemiche furono uccise in campo e molte città conquistate. In Etiopia si giunse fino alla città di Nabata, cui è prossima Meroe. In Arabia l’esercito marciò in territorio dei Sabei fino alla città di Mariba.”251 È ben noto che, nonostante le celebrazioni trionfalistiche della propaganda augustea,252 Strabone aveva della spedizione una idea molto differente. Egli la ricorda come un vero e proprio fiasco.253 L’intenzione era quella di razziare l’Arabia e conseguire un grande bottino in una terra carica di ricchezze. Strabone descrive in che modo la spedizione sia stata preparata, allestendo una flotta per raggiungere l’Arabia del sud. A questo punto, troviamo la parte del suo resoconto maggiormente interessante in questa sede. ἐπὶ τούτοις μὲν οὖν ἔστειλε τὴν στρατείαν ὁ Γάλλος. ἐξηπάτησε δ᾽ αὐτὸν ὁ τῶν Ναβαταίων ἐπίτροπος Συλλαῖος, ὑποσχόμενος μὲν ἡγήσεσθαι τὴν ὁδὸν καὶ χορηγήσειν ἅπαντα καὶ συμπράξειν, ἅπαντα δ᾽ ἐξ ἐπιβουλῆς πράξας, καὶ οὔτε παράπλουν ἀσφαλῆ μηνύων οὔθ᾽ ὁδόν, ἀλλὰ ἀνοδίαις καὶ κυκλοπορίαις καὶ πάντων ἀπόροις χωρίοις ἢ ῥαχίαις ἀλιμένοις παραβάλλων ἢ χοιράδων ὑφάλων μεσταῖς ἢ τεναγώδεσι: πλεῖστον δὲ αἱ πλημμυρίδες ἐλύπουν ἐν τοιούτοις καὶ ταῦτα χωρίοις καὶ αἱ ἀμπώτεις. πρῶτον μὲν δὴ τοῦθ᾽ ἁμάρτημα συνέβη τὸ μακρὰ κατασκευάσασθαι πλοῖα, μηδενὸς ὄντος μηδ᾽ ἐσομένου κατὰ θάλατταν πολέμου. οὐδὲ γὰρ κατὰ γῆν σφόδρα πολεμισταί εἰσιν ἀλλὰ κάπηλοι μᾶλλον οἱ Ἄραβες καὶ ἐμπορικοί, μήτι γε κατὰ θάλατταν: ὁ δ᾽ οὐκ ἔλαττον ὀγδοήκοντα ἐναυπηγήσατο δίκροτα καὶ τριήρεις καὶ φασήλους κατὰ Κλεοπατρίδα τὴν πρὸς τῇ παλαιᾷ διώρυγι τῇ ἀπὸ τοῦ Νείλου. γνοὺς δὲ διεψευσμένος ἐναυπηγήσατο σκευαγωγὰ ἑκατὸν καὶ τριάκοντα, οἷς ἔπλευσεν ἔχων περὶ μυρίους πεζοὺς τῶν ἐκ τῆς Αἰγύπτου Ῥωμαίων Aug., Res Gestae, 26 Trad. Luca Canali. 252 Sul tema dell’utilizzo propagandistico della spedizione in Arabia, si vedano i lavori di Jameson 1968; von Wissmann 1976; Sidebotham 1986b; Marek 1993; Potts 1994; Luther 1999; Bukharin 2012. 253 Strab., XVI, 4, 22-24. 250 251 69 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico καὶ τῶν συμμάχων, ὧν ἦσαν Ἰουδαῖοι μὲν πεντακόσιοι Ναβαταῖοι δὲ χίλιοι μετὰ τοῦ Συλλαίου.254 “Con queste premesse Gallo intraprese dunque la spedizione, ma finì vittima degli intrighi del ministro dei Nabatei, Silleo; costui, dopo avergli promesso che gli avrebbe fatto da guida e gli avrebbe fornito il sostegno logistico e la propria cooperazione, gestì proditoriamente l’intera faccenda e gli indicò un itinerario marittimo e terrestre tutt’altro che immune da rischi; anzi, lo portò allo sbando su piste impraticabili e in giri viziosi attraverso territori sprovvisti di tutto o lungo coste importuose o insidiate da scogli sommersi o da fondali paludosi. Gravi disagi, poi, provocò a Gallo l’alternarsi dell’alta e della bassa marea, un fenomeno che si verifica anche da queste parti. Ma il suo primo errore fu quello di allestire una flotta di grandi navi, sebbene non dovesse affrontare né al momento né in seguito una guerra sul mare; ché gli Arabi, se non sono grandi combattenti sulla terraferma, ma piuttosto piccoli trafficanti e mercanti, non lo sono nemmeno sul mare. Eppure Gallo fece costruire non meno di 80 navi, fra biremi, triremi e vascelli leggeri, nei pressi di Cleopatris, non lontana dall’antico canale che si diparte dal Nilo. Quando si rese conto di essersi ingannato, fece costruire centotrenta navi da carico e vi fece imbarcare circa 10.000 soldati scelti fra quelli che erano di stanza in Egitto e fra gli alleati, dei quali 500 erano Giudei e 1.000 Nabatei al seguito di Silleo.”255 Successivamente, Strabone prosegue con la descrizione di come le truppe di Gallo furono tradite da Silleo, e termina con la conclusione infruttuosa della spedizione.256 Considerazioni sul successo o fallimento della spedizione a parte,257 la cosa più rilevante in questo contesto è che il testo di Strabone è la prima testimonianza disponibile della presenza di una flotta militare nel Mar Rosso. Peraltro, è interessante notare che Strabone afferma che la flotta di Gallo, sulla Strab., XVI, 4, 23. Trad. Nicola Biffi. 256 Strabone non è l’unica fonte di riferimento sul tema. Abbiamo anche resoconti (meno particolareggiati) di Plin., Nat. Hist., VI, 160-162; Flav. Joseph., Ant. Jud., XV, 317; Cass. Dio, LIII, 29, 3-8. 257 Per un’analisi molto interessante dell’esito della spedizione di Elio Gallo, si veda Sidebotham 1986a, 127-128; Sidebotham 1986b. 254 255 70 2. L’età Altoimperiale via del ritorno, sbarcò a Myos Hormos.258 Questo dettaglio rinforza l’ipotesi, già esposta in precedenza, che a Myos Hormos ci fosse una flotta militare.259 Ovviamente, non c’è modo di poter affermare se questo episodio sia rimasto isolato, o abbia invece segnato l’inizio di una presenza militare romana stabile nel Mar Rosso, anche se la maggior parte degli autori propende per la prima ipotesi. Tuttavia, recentemente sono aumentati gli indizi a favore dell’ipotesi che una presenza di una flotta romana nel Mar Rosso fosse stabile a partire dal periodo giulio-claudio.260 Si tratta di due ostraka provenienti dall’archivio di Nikanor, che attestano che due ufficiali romani ricevettero approvvigionamenti nei porti Romani in Egitto, sul Mar Rosso.261 Il primo dei due è O.Petr. 296, datato al periodo 6-50 d.C., proveniente da Myos Hormos o Berenice:262 Λούκιος Κλώδιος τριη ̣ρ ̣αρκως (l. τριήραρχος) Νικάνωρι Πανῆς (Πανῆτος / Πανήους). Άπέχω τοὺς γόμου̣ ̣(ς ̣) οὓς επι ̣θ ̣ωιμ ̣ε (l. επιθῶμεν) σοι. Lucius Clodius / trierarchos a Nikanor / figlio di Panes. Ricevo i carichi / che noi ti avevamo affidato. La ragione per cui questo documento non è mai stato preso in considerazione nella discussione sulla flotta romana nel Mar Rosso, fino a prima del 2004, è la sua natura frammentaria. Infatti, solo dopo la riedizione del testo a cura di G. Messeri si è potuta leggere la parola τριηραρκως. Essa indica il capitano di una trireme, una nave da guerra in dotazione alla flotta romana, capace di trasportare un equipaggio formato da circa duecento persone.263 La presenza di un persoStrab. XVI, 4, 24. Vedi supra, pag. 53. 260 Ricordo che l’ipotesi fu già formulata dal Rostovtzeff (1931, 25) sulla base della sola testimonianza di O.Petr. 279 (documento che sarà oggetto di discussione infra). Si veda anche Daris 1956, 244-246. 261 Per una discussione sull’archivio di Nikanor, cfr. supra, pagg. 45-46 (bibliografia nota 148). 262 Prima edizione in Tait 1930: 125, n° 296. Il testo è stato successivamente ripubblicato con sostanziali emendamenti da Messeri (2004-05, 69-73). È all’edizione della Messeri che si fa riferimento in questa sede. 263 Kießling, RE VII, A1, 116: trierarchos; Casson 1971, 141-147. 258 259 71 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico naggio del genere a Myos Hormos o a Berenice ovviamente rafforza l’ipotesi che nel I secolo d.C. ci fosse una flotta militare stabilmente presente nel Mar Rosso. Un secondo documento, appartenente allo stesso dossier di ostraka, dà maggior forza a questa ipotesi. Si tratta del O.Petr. 279, proveniente da Myos Hormos e databile con precisione all’anno 52 d.C.264 Σατορνῖλος τεσσαράριος λυβέρ̣ νου Ἐπωνύχῳ Ἀχιλλέως χαίρειν. ἀπέχω παρὰ σοῦ ̣ ἐπὶ Μυὸς Ὅρμου ̣ πυροῦ ἀρτάβας τρεῖς (γίνονται) γ ̣. (ἔτους) ιγ Τιβ ̣ε ̣ρ ̣ί ̣ου̣ Κλαυδίου Καίσαρος Σ ̣ε ̣β ̣α ̣στ̣ ̣οῦ̣ Γερμ ̣α ̣νικοῦ Αὐτ ̣οκρ ̣άτ̣ ̣ορο ̣ς ̣ Θὼθ ιθ ̣. Satornilos tesserarius liburnae / a Eponichos, figlio di Achilleus, salute. / Ricevo da parte tua qui a Myos Hormos / tre artabe di grano. Anno 13 del Cesare / Tiberio Claudio Augusto Germanico / Imperator, Thoth 19. A differenza del precedente, questo ostrakon è stato già in passato utilizzato come possibile indizio della presenza di una flotta militare nel Mar Rosso, ma ancora una volta una erronea lettura ne ha inficiato la corretta interpretazione. L’editore aveva letto il primo rigo come Σατορνῖλος τεσσαράριος κυβέρνου, vale a dire “Satornilo, tesserarius del timoniere.” Il titolo di tesserarius può trovarsi usato tanto in ambito militare, quanto civile.265 La restituzione del termine corretto λυβέρνου permette di scartare l’ipotesi che si tratti di un funzionario civile. La liburna era infatti un tipo di nave da guerra, in origine usata dai pirati nel Mare Adriatico e successivamente utilizzata anche dall’esercito romano. Era un tipo di imbarcazione particolarmente indicato per la navigazione in acque poco profonde, grazie alla sua eccellente manovrabilità.266 Per questo motivo, è facile immaginare che fosse anche ottima per la navigazione nel Mar Rosso.267 Ciò permette di identificare il tesserarius ricordato in O.Petr. 279 come un soldato Prima edizione in Tait 1930: 125, n° 279. Si veda anche qui il commento proposto da Messeri 2004-05, 73. 265 Sidebotham 1986a, 69. 266 Pitassi 2011, 106-111. 267 Casson 1971, 340; Höckmann 1985; Medas 2004, 129-138. 264 72 2. L’età Altoimperiale dell’esercito romano. Era un comandante di sorveglianza, che dirigeva i turni di guardia notturni sulla nave.268 I due ostraka esaminati lascerebbero presumere che quindi una flotta stabile nel Mar Rosso esistesse già nel I secolo d.C. Mentre Strabone cita Cleopatris come porto di riferimento per la flotta, le testimonianze che abbiamo appena visto lascerebbero ipotizzare che successivamente questa flotta sia stata spostata a Myos Hormos o Berenice, o magari divisa tra i due porti, per garantire un miglior controllo dell’area. In conclusione, sembrerebbe che la presenza di una flotta nel Mar Rosso predati decisamente il regno di Traiano, il che ci lascia col problema di scegliere come interpretare, di conseguenza, le testimonianze degli scrittori tardoantichi analizzate all’inizio di questa sezione. 5.2 Il ruolo del principato traianeo nel contesto del Mar Rosso Nonostante quindi Traiano non sia stato il primo a stabilire una flotta nel Mar Rosso, le nostre fonti gli riconoscono un qualche tipo di primato nell’amministrazione militare di quest’area. Potremmo ipotizzare che l’impatto dell’attività dell’imperatore ispanico nella regione sia stato comunque talmente forte da lasciare una traccia per secoli nelle fonti. È possibile infatti verificare come le campagne di Traiano marcarono un cambiamento profondo negli equilibri geopolitici dell’area, segnando la politica romana nell’area fino all’epoca di Marco Aurelio. Per comprendere cosa realmente sia accaduto ai tempi di Traiano, è necessario ripercorrere brevemente le linee della sua azione militare nella zona del Mar Rosso. Punto di partenza obbligato è l’annessione da lui effettuata nel 106 d.C. del regno cliente dei Nabatei, trasformato nella provincia d’Arabia. Le modalità con cui si provvide ad annettere il piccolo reame non sono chiare, e a partire da Bowersock si è imposta l’idea di un’annessione complessivamente pacifica, realizzata senza una vera campagna militare.269 von Domaszewski 1981; Speidel 2000, 65-96. Bowersock 1983, 80-81. Le argomentazioni addotte dallo studioso americano paiono convincenti e ben fondate. In particolare, egli evidenzia che Traiano non assunse il titolo di Arabicus Maximus, mentre dopo la conquista della Dacia aveva assunto quello di Dacicus Maximus, il che lascerebbe dedurre che non ci furono delle vere e proprie operazioni militari, ma solo un’annessione pacifica e indolore. Inoltre, sulle monete coniate per commemorare l’evento, compare 268 269 73 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Anche sulle motivazioni che indussero Traiano a compiere questo passo non c’è accordo tra gli studiosi. Alcuni hanno ritenuto che l’annessione della Nabatea potesse essere considerata parte della generale politica traianea di espansione dei confini e del desiderio di riorganizzare una regione troppo a lungo rimasta al di fuori del diretto controllo romano: “probably the annexation of the Nabataean kingdom was of an administrative nature more than of a military one”.270 Un’ipotesi del genere tende a vedere nella morte dell’ultimo re nabateo Rabbel II e nell’esaurimento della sua dinastia il pretesto per procedere all’annessione. In più, ci sarebbero state generiche motivazioni di mantenimento della stabilità nella regione,271 e considerazioni di convenienza strategica, nell’ottica dell’imminente guerra contro i Parti.272 Altri infine hanno preferito puntare su motivazioni di tipo economico, secondo le quali il regno nabateo sarebbe stato annesso in ragione della sua ricchezza e del suo coinvolgimento nel commercio internazionale.273 Non è possibile in questa sede riesaminare tutte le opinioni esposte dagli studiosi,274 ma è fuor di dubbio che le successive iniziative di Traiano ebbero un peso notevole nello sviluppo del commercio in tutta l’area del Mar Rosso settentrionale. Dopo la creazione della Provincia Arabia, la regione fu interessata da una imponente opera di riorganizzazione strutturale.275 Si può dire senza dubbio che l’annessione ebbe un impatto positivo sull’economia dell’Impero, portando a una completa integrazione politica e amministrativa una regione strategica per il controllo delle rotte commerciali con le regioni orientali extra imperiali. Una la dicitura Arabia aquisita, non Arabia capta. Sulla questione si confrontino anche Speidel 1977, 688-730; Fiema 1987, 25-35; Freeman 1996, 91-118. 270 Spijkerman 1978, 20, n. 54; si vedano anche le analoghe opinioni di Raschke 1978, 647648; Bowersock 1983, 82; Parker 1986, 123; Strobel 1988, 256; Isaac 1992, 119. 271 Starcky 1955, 103; Graf 1978, 5-6; Parker 1986, 124. 272 Bowersock 1983, 84; Strobel 1988, 256. 273 Rey-Coquais 1978, 54; Parker 1986, 123; Eadie 1986, 243-252; Strobel 1988, 255. Addirittura, Kirkbride (1990, 256) è arrivato a sostenere che il vero obiettivo dei Romani fosse la conquista di Aila, piuttosto che dell’intera regione nabatea. Francamente, però, questa ipotesi pare piuttosto debole: si è visto in precedenza, infatti, che il ruolo commerciale di Aila nel I secolo d.C. era piuttosto marginale. Difficilmente, quindi, questa città avrebbe potuto suscitare un tale interesse da parte dei Romani. 274 Molto interessante l’opinione espressa con un certo gusto per la Realpolitik da parte di Strabone (VI, 4, 2) che sostiene che i regni clienti erano de facto già parte dell’impero e che gli imperatori potessero liberamente scegliere di incorporarli nei propri domini diretti, in qualsiasi momento lo ritenessero opportuno. Si veda anche Brunt 1978, 159-191. 275 Parker 2002b, 78. 74 2. L’età Altoimperiale nuova strada fu prontamente costruita per collegare Bosra nel nord della neonata provincia con il Mar Rosso. I lavori iniziarono verosimilmente nel 106 d.C., e furono portati a termine tra il 111 e il 114.276 L’attività di Traiano nell’area non si limitò all’Arabia: in Egitto, promosse il restauro di quello che sarà successivamente noto col nome di ‘Canale di Traiano’, il cui corso collegava il Nilo e il Mar Rosso, presso la moderna località di Suez (antica Arsinoe/Clysma).277 Non siamo sicuri di quando precisamente il canale fu inaugurato, anche se un terminus ante quem è fornito da un ostrakon databile al 112 d.C.278 Si è molto discusso sul perché Traiano abbia promosso la realizzazione di quest’opera e quali fossero i suoi reali fini: si è pensato che fosse parte del grande disegno di conquista in Oriente, e quindi da intendersi come opera atta a creare una via di passaggio per una flotta da usare contro i Parti;279 ovvero che l’opera avesse il fine di promuovere i commerci in un’area fino a quel momento svantaggiata dal punto di vista commerciale.280 Non c’è nemmeno accordo se il canale fosse effettivamente navigabile o non vada inteso, piuttosto, come un’opera per irrigare i campi.281 Gli studiosi contrari a una interpretazione così riduttiva delle funzioni del canale in genere fanno riferimento a un celebre passo di Luciano, in cui si fa riferimento a un giovane che navigò da Alessandria a Clysma, e di lì fino in India:282 ἀναπλεύσας ὁ νεανίσκος εἰς Αἴγυπτον ἄχρι τοῦ Κλύσματος πλοίου ἀναγομένου ἐπείσθη καὶ αὐτòς εἰς Ἰνδίαν πλεῦσαι […] Pekáry 1968, 140-142; Isaac 1992, 120. Prima attestazione letteraria in Ptolem., Geog. IV, 5. 278 SB VI 9545. 279 Teoria che riposa su un passo di Eutropio, Brev. 8, 3. 280 Sulla storia del canale si è accumulata una ricca bibliografia. Si vedano Faville 1902-03, 6675; Calderini 1920, 43-44; Bourdon 1925; Posener 1938, 25-26; Oertel 1964, 18-52; Sijpesteijn 1963, 70-83; De Romanis 1996, 71-95; Aubert 2004, 219-252; Cooper 2009, 195-209; Aubert 2015, 33-42. 281 Quest’ultima ipotesi, ad esempio, è stata sostenuta con molto vigore da: Mayerson 1996, 119-126; Aubert 2004, 219-252; Cooper 2009, 195-209. 282 Lucian., Alex. Pseudom., 44, 16-18. 276 277 75 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico “Il giovane, una delle volte che ebbe a salpare per l’Egitto, poiché la nave risaliva fino a Clysma, si lasciò convincere a proseguire la navigazione anche lui fino in India […]”283 Il testo lucianeo ha una natura alquanto peculiare. Non si tratta di una cronaca, ma di un racconto di fantasia. Per questo motivo, non sembra una base affidabile. C’è da dire che però Luciano presenta l’episodio come realistico, forse ispirandosi a una possibilità effettivamente esistente ai suoi giorni, quella di navigare da Alessandria a Clysma.284 Più concretamente, si può rilevare come le indagini archeologiche abbiano provato che, a prescindere dalla sua funzione, il canale restò in uso fino al XII secolo, dimostrandosi un’infrastruttura utile alla regione.285 Affinché il canale potesse essere utilizzato, era necessaria una manutenzione costante che ne impedisse l’insabbiamento. A tal fine fu istituita una apposita λειτουργία, finanziata da ἐπιμεληταί, di cui resta una cospicua attestazione papiracea.286 Nessuno di questi testi, tuttavia, fa riferimento a che tipo di funzione avesse il canale, o alla presenza di una flotta a Clysma, che collegasse questo porto con l’India, o con altre regioni dell’area. Ciò nonostante, anche chi accetta la teoria ‘minimalista’ di un canale aperto solo alcuni mesi dell’anno, e il cui scopo principale era portare acqua potabile nell’Egitto settentrionale per permettere l’irrigazione dei campi, non può certamente mancare di riscontrare l’aumento di attività a Clysma dal II secolo in poi.287 È possibile affermare con ragionevolezza che il canale abbia svolto un ruolo nello sviluppo economico della regione in cui Clysma si trovava, non fosse altro perché portò una fonte costante di acqua potabile in una zona altrimenti priva, oltre a creare una via di comunicazione tra Clysma e quantomeno il suo immediato retroterra.288 Quanto discusso finora sembrerebbe indicare che Traiano si sia impegnato per integrare meglio la regione del Mar Rosso nel sistema economico dell’Impero, sia tramite l’annessione di una provincia cruciale per il controllo dei traffici Trad. V. Longo. A tal proposito, si veda De Romanis 2015. 285 Cooper 2009, 198. 286 SB VI 9545 (32), del 112 d.C.; P.Oxy. LX 4070, del 208 circa; P.Bub. 4.69, del 221 d.C.; SB V 7676 (= P.Cair. Isidor. 81), del 297; P.Oxy. LV 3814, della fine III /inizio IV secolo; P.Oxy. XII 1462, del 332; SB V 7756 (= P.Lond. inv. 2474), del 358/9; PSI 689, del 420/1; PSI 87, del 423; P.Wash. 7, del V o VI secolo. 287 Sull’argomento, cfr. infra, pag. 130. 288 Cooper 2009, 197. 283 284 76 2. L’età Altoimperiale commerciali (la Nabatea), che fu subito fornita di un sistema viario che la connesse saldamente con le province limitrofe, sia tramite la costruzione di un canale che pose fine all’isolamento del porto di Clysma. Se a tutto ciò aggiungiamo l’impegno bellico di Traiano contro i Parti, è facile capire perché nelle fonti a nostra disposizione resti un’eco di un collegamento tra l’imperatore e l’India. Tuttavia, le fonti tarde esaminate parlano precisamente dell’allestimento di una flotta nel Mar Rosso, a sua volta associata alla possibilità di raggiungere l’India e svolgere attività militari. Una risposta a questi interrogativi potrebbe provenire da alcune recenti scoperte epigrafiche. A partire dal 2003, infatti, un team di archeologi francesi ha riportato alla luce delle iscrizioni latine, rinvenute nell’arcipelago delle isole Farasan. L’arcipelago è composto da due isole principali e circa duecento isolette minori, si trova nel sud del Mar Rosso, a 500 km a Nord dello stretto di Bâb al-Mandeb, vicino alla costa dell’Arabia Saudita, Stato di cui le isole sono parte, in un’area molto prossima alla linea di confine con lo Yemen.289 Dista circa 1.000 km dal confine della provincia romana più vicina, quella egiziana.290 Le iscrizioni, entrambe in latino, sono i primi documenti noti che sembrerebbero dimostrare la presenza di un distaccamento militare romano nell’arcipelago. Sfortunatamente, sulla lettura e l’interpretazione corrette dei due testi non esiste consenso presso gli specialisti. Si cercherà di rendere sinteticamente conto dello stato attuale delle conoscenze in merito. 5.3 Le iscrizioni di Farasan: problemi testuali e possibili interpretazioni La prima iscrizione a essere rinvenuta è anche quella più completa delle due. Il testo è stato pubblicato più volte dal Villeneuve291 archeologo responsabile anche del ritrovamento dell’epigrafe. Al momento, l’ultima versione è la seguente:292 Cooper e Zazzaro 2014 per un resoconto dettagliato del materiale archeologico ritrovato complessivamente nell’arcipelago e un’interpretazione del contesto storico. 290 Per un’ampia descrizione dell’area geografica in cui l’arcipelago è situato si veda Villeneuve, Philipps, Facey 2004b, 143-149. 291 Per le varie versioni, si veda Villeneuve 2004; 2005; 2007; Villeneuve, Philipps, Facey 2004a; 2004b. 292 L’epigrafe è stata edita in una prima versione in Villeneuve, Philipps, Facey 2004a, 239-250; Villeneuve, Philipps, Facey 2004b, 143-190. Successivamente, diverse correzioni all’interpre289 77 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Imp(eratori) Caes(ari) Tito Ael(io) Hadr(iano) Antonino Aug(usto) Pio Pont(ifici) Maxim(o) trib(unicia) pot(estate) VII co(n)s(uli) III, P(atri) P(atriae), vexill(atio) Leg(ionis) II Tr(aianae) Fortis et auxil(ia) eius ca.stre. n.s. e. s. q(ue) .su.b. praef(ecto) Ferresani po.r. t. u.s. et Pont(i ?) Hercul(is) fec(erunt) e. t. d. [ed(icaverunt)] L’epigrafe presenta nelle prime quattro righe una dedica (posta probabilmente alla base di un qualche piccolo monumento o edificio) all’imperatore Antonino Pio, la cui titolatura consente di datare il testo tra il 10 dicembre 143 e il 9 dicembre 144 d.C.293 Le righe successive ricordano gli attori impegnati nella costruzione dell’edificio in questione: una vexillatio della legio II Traiana Fortis, i suoi auxilia e infine dei personaggi la cui denominazione nel testo è poco perspicua, risolta dall’editore con castrenses. In effetti, la parte centrale del testo è quella che presenta le maggiori difficoltà testuali. Nel penultimo rigo il documento attesta l’esistenza di un praefectus Ferresani portus (?), carica assolutamente ignota da altre fonti, senza però che si faccia il nome del prefetto stesso. L’anonimo funzionario è prefetto di un distretto definito portus Ferresanus: mentre la lettura del toponimo è sicura, e ci informa sulla continuità toponomastica del sito dall’epoca romana ai giorni nostri, solo la p di portus è leggibile nel testo con una certa chiarezza. La parola Ferresani, d’altra parte, ci assicura che la pietra fu incisa sul posto, e quindi il documento è stato rinvenuto in loco. Decisamente più problematico lo scioglimento dell’abbreviazione Pont() Hercul(). Secondo l’editore, si tratterebbe di un toponimo, Pontus Herculis, che costituirebbe un hapax. Il Villeneuve ipotizza che si tratti della definizione geografica della parte finale del Mar Rosso, ribattezzata in onore di Ercole, in omaggio alle sue dodici fatiche, e segnatamente quella connessa al recupero dei pomi d’oro delle Esperidi.294 Successivamente, però, questa interpretazione è stata duramente contestata dal Bukharin, che le ha mosso una critica molto serrata. Sulla base di considerazioni di carattere epigrafico e geografico, il Bukharin scarta decisamen- tazione e alla lettura del documento sono state apportate in Villeneuve 2007: è a quest’ultima edizione che fa riferimento il testo qui presentato. 293 Villeneuve 2004, 422. 294 Si veda al proposito Villeneuve 2004, 426-428. Questa lettura e la conseguente interpretazione sono accettate anche da Speidel 2007 e Lewin 2007. 78 2. L’età Altoimperiale te l’ipotesi Pontus Herculis, e opta invece per la lettura Pontifex Herculis.295 Tale interpretazione ha il conforto di alcuni riscontri nella documentazione, anche se nemmeno questa permette di sciogliere tutti i punti critici legati alla corretta lettura e interpretazione dell’epigrafe, la quale probabilmente necessiterebbe di una nuova lettura, basata sull’analisi del testo originale, e non sulle fotografie disponibili nel corredo della prima edizione del testo.296 Qualche anno dopo le prime edizioni del testo da parte del Villeneuve, anche M. Spiedel ha fornito una nuova lettura dell’iscrizione, fornendo alcuni spunti molto interessanti. Il testo così come ricostruito dallo studioso tedesco è il seguente:297 Imp(eratore) Caes(are) Tito Ael(io) Hadr(iano) Antonino Aug(usto) Pio, pont(ifice) max(imo), trib(unicia) pot(estate) VII, c(o)s(ule) III, p(atre) p(atriae), vexill(atio) leg(ionis) II Tr(aianae) Fortis et auxil(iares) eius castr[a sub ---] Avito. praef(ecto) Ferresani po..r .tu. .s (?) et Pont(i) Hercul(is) fec(erunt) .et. d.[ed(icaverunt)] La versione di Speidel presenta alcune soluzioni interessanti. Ad esempio, la dedica all’imperatore Antonio Pio è sciolta in ablativo, e non in dativo, sulla base di confronti tipologici con altre iscrizioni simili. Inoltre, alla riga 3, la abbreviazione c(o)s(ule) è frutto di lettura CS, mentre nella edizione del Villeneuve era presente la consueta forma COS, sciolta dal Villeneuve in co(n)s(uli), sempre in dativo.298 D’altra parte, va detto che la lettura complessivamente proposta da Speidel ha il vantaggio di rendere chiaro l’oggetto della dedica all’imperatore, espresso alla l. 5 dalla parola castra. Inoltre, se la sua lettura fosse corretta, avremmo anche un nome da associare alla figura del praefectus Ferresani portus: si tratterebbe di un certo Avitus, come riportato alla linea 6. In conclusione, possiamo affermare che si tratta di un testo che necessita ancora uno studio approfondito, e per il quale sarebbe auspicabile una nuova e definitiva edizione del testo. Va detto 295 296 297 298 Bukharin 2009-10. Disponibili in Villeneuve 2004. Speidel 2007. Speidel 2007, 637-638. Si vedano le critiche di Bukharin 2011, 2. 79 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico che però, pur tenendo conto di tutte le letture ancora incerte, è possibile ricavare alcuni dati dall’analisi delle versioni pur provvisorie dell’epigrafe. Volendo quindi fare il punto della situazione, possiamo così sintetizzare i dati certi. L’epigrafe è databile agli anni 143-144, sotto il principato di Antonino Pio, e attesta la presenza di una vexillatio della Legio II Traiana Fortis stanziata nell’arcipelago. Quest’ultima fu creata da Traiano intorno al 100 d.C. e collocata di stanza in Egitto non più tardi del 128. A partire da Antonino Pio, inoltre, essa fu l’unica legione di base in questa provincia.299 Quindi, i soldati presenti nell’arcipelago di Farasan sotto Antonino Pio provenivano con certezza dalle legioni in forza alla provincia d’Egitto, e potremmo aggiungere che il loro punto di contatto più prossimo all’Impero dovesse essere, in quel momento, il porto romano di Berenice, il più vicino alle isole.300 Pochi anni dopo la scoperta della prima, anche una seconda epigrafe fu rinvenuta nell’isola. Sfortunatamente, si tratta di un reperto in pessimo stato di conservazione, e sulla sua superficie si possono a malapena leggere poche lettere, nell’angolo destro basso della pietra. Dopo alcuni tentativi iniziali,301 della porzione superstite dell’epigrafe è stata proposta la seguente lettura:302 ---] VI FERR ---] PR PR Apparentemente, non sembra che molto si possa trarre dalla lettura di un frammento tanto breve, le uniche tre parole presenti in maniera leggibile sono per di più abbreviate. Ciò nonostante, gli editori non hanno rinunciato a provare a fornirne una interpretazione. Il Villeneuve parte nella sua analisi dall’ultima porzione del frammento, precisamente dalla doppia abbreviazione PR PR, che, a suo giudizio, si può sciogliere solo con pr(o) pr(aetore). Se questa interpretazione è corretta, il sintagma fa riferimento a una provincia governata da un legatus Augusti pro praetore. Le province più vicine alle isole Farasan sono quelle di Arabia e quella di Egitto. In quest’ultima l’autorità imperiale era rappresentata da un praefectus, e non da un legatus Augusti, come invece avveniva in Arabia. È quindi 299 300 301 302 Devijver 1974, 452-492; Daris 2000, 359-363. Villeneuve, Facey e Philipps 2004b, 170. Villeneuve 2005, 290; 2007, 23. Villeneuve 2007, 13-27; Speidel 2007, 639. 80 2. L’età Altoimperiale possibile che nell’epigrafe sia presente un riferimento alla provincia d’Arabia, cosa che potrebbe permettere anche di sciogliere la parte precedente del frammento in [ ... legio] VI Ferr(ata). La storia di questa legione è, purtroppo, alquanto complessa. Originariamente stanziata in Siria, partecipò certamente alla campagna partica di Traiano e fu successivamente spostata per un breve periodo in Arabia, prima di essere ancora una volta trasferita in Giudea.303 Questi spostamenti avvennero in un lasso di tempo non precisabile compreso tra il principato di Traiano e quello di Adriano. Abbiamo però un punto fermo: grazie a una iscrizione proveniente da Gerasa possiamo essere sicuri che il passaggio dalla provincia di Siria a quella di Arabia fu realizzato prima del 119 d.C.304 Sfortunatamente, non sappiamo quando la legio VI Ferrata si spostò dall’Arabia alla Giudea, sappiamo solo che questo avvenne prima del 139 d.C., e che il suo posto in Arabia fu preso dalla legio III Cyrenaica.305 Pertanto, la ricostruzione finale proposta dal Villeneuve sarebbe: [..... vexill(atio) leg(ionis)] VI Ferr(atae) [sub ......... leg(ato) Aug(usti)] pr(o) pr(aetore) A causa delle condizioni estrememamente frammentarie del reperto, è impossibile esprimere un giudizio definitivo sulla bontà di questa ricostruzione, per quanto possa certamente essere ritenuta plausibile.306 Ricapitolando, le due iscrizioni rinvenute nell’arcipelago di Farasan attestano con certezza la presenza di una vexillatio della legio II Traiana Fortis nelle isole, nel 143-144. La legione era in quel momento di stanza in Egitto. Inoltre, la seconda epigrafe potrebbe (ma in maniera molto più dubitativa) attestare la presenza, in una data imprecisabile prima del 139, della Legio VI Ferrata. L’arrivo di quest’ultima in Arabia è certo a partire dal 119 (ma potrebbe essere ancora anteriore), quindi potremmo ipotizzare che o fu spostata in Arabia da Traiano per difendere la nuova provincia da poco creata, o fu ivi posta da Adriano, probabilmente nel quadro della riorganizzazione generale delle province orientali, dopo l’abbandono dei territori conquistati da Traiano contro i Parti. 303 304 305 306 27. Per la storia della Legio VI Ferrata si vedano Keppie 1986, 413; Cotton 2000, 351-357. Testo in Cotton 2000, 354-356. A sua volta di stanza a Coptos fin dal tempo di Augusto. Si veda supra, pag. 55. AE, 1640. Per altre possibili ricorstruzioni proposte del testo, si veda Villeneuve 2007, 24- 81 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Quindi, la presenza militare romana a Farasan potrebbe estendersi o dagli ultimi anni del principato di Traiano o dall’inizio di quello di Adriano, fino almeno al principato di Antonino il Pio.307 È stata anche proposta l’ipotesi che le isole Farasan fossero già parte del regno nabataico, e per questo passarono di diritto sotto il controllo romano, nel momento della creazione della provincia Arabia.308 In realtà, allo stato attuale della documentazione, non esiste alcuna prova per sostenere tale ipotesi, che in effetti non ha trovato il consenso degli studiosi,309 non riposando su alcun tipo di evidence documentaria o archeologica. Sulla motivazione che indusse la creazione di un presidio militare romano nell’arcipelago, l’opinione più consolidata è quella di Villeneuve, che ha connesso la presenza militare alle campagne contro i pirati nel Mar Rosso.310 Tale ipotesi, non priva di un certo fondamento, manca però di spiegare perché solo nel corso del II secolo gli imperatori romani sentirono questa esigenza, dal momento che il problema della pirateria era stato avvertito come molto grave fin dal secolo precedente.311 Una spiegazione a mio parere più convincente su quello che fu il reale motivo dell’installazione di basi militare nell’arcipelago di Farasan potrebbe essere cercata proprio nel contesto della politica traianea nel Mar Rosso. In quest’ottica, le sintetiche affermazioni di Festo ed Eutropio, secondo i quali Traiano avrebbe istituito una flotta nel Mar Rosso, con cui attaccare le popolazioni Indiane, piuttosto che all’aneddoto semileggendario di un Traiano che rimpiange di essere così anziano da non poter ripercorrere le gesta di Alessandro Magno, potrebbe essere riferito a un fatto ben più concreto: la creazione, in effetti, di una flotta nel Mar Rosso (inteso in senso proprio), che ebbe effettivamente il ruolo di operare Secondo De Procé (2017, 142-145), la stabile presenza di una guarnigione romana sarebbe ulteriormente comprovata dal rinvenimento, in loco, di alcuni frammenti architettonici, che presenterebbero decorazioni derivate da tipologie attestate nella contemporanea provincia d’Egitto. 308 Speidel 2007, 637. 309 Si veda la critica espressa da Bukharin 2011, 6. 310 Villeneuve 2004. Posizione ribadita in Villeneuve 2005, 292. Contra, Bukharin 2009-10, 117. 311 Plinio il Vecchio riferisce che a bordo delle navi mercantili operanti nel Mar Rosso venivano imbarcati anche dei contingenti di arcieri, per proteggere i vascelli dai possibili attacchi di pirati (Nat. Hist., VI, 101): quippe omnibus annis navigatur sagittariorum cohortibus inpositis; etenim piratae maxime infestabant. 307 82 2. L’età Altoimperiale nell’area per conquistare alcuni posti periferici, ma ritenuti evidentemente parte della sfera di influenza romana. La presenza di drappelli a Farasan potrebbe essere solo un esempio di una rete ben più estesa di postazioni militari, di cui per ora non si ha traccia. In questo senso, l’annessione del Regno di Nabatea e la sua integrazione nel sistema viario romano, la restaurazione del canale dal Nilo al Mar Rosso, e l’occupazione delle isole Farasan non sarebbero da interpretarsi come azioni indipendenti, ma come singole parti di un piano complessivo di riorganizzazione dell’area eritrea. Tutti gli aspetti della politica di Traiano in Oriente sembrano infatti essere molto coerenti tra di essi, nel momento in cui li si consideri da una prospettiva unitaria, quella di assicurarsi uno stretto controllo nella regione del Mar Rosso. È incerto se si possa arrivare a parlare un “piano strategico generale” di Traiano per la regione, però sembra chiaro che insieme a considerazioni di tipo amministrativo e militare, anche interessi di tipo economico potrebbero aver influito sull’intervento traianeo. Un controllo più stretto dal punto di vista militare e infrastrutturale del Mar Rosso avrebbe avuto necessariamente una ricaduta notevole anche sulla qualità dei commerci nell’area. A giudicare dalle testimonianze disponibili, si potrebbe immaginare che questo schema generale, messo in atto da Traiano, sia stato seguito con coerenza dai suoi immediati successori, almeno Adriano e Antonino Pio. In questo senso, è significativa la cronologia delle epigrafi di Farasan, che parlano di una presenza stabile romana nell’area almeno fino al 144 d.C. Esistono poi altri indizi che fanno pensare che il livello dei commerci tra Roma e l’India si mantenne alto durante il II secolo d.C. Da un lato, le fonti letterarie contemporanee sembrano dimostrare un interesse specifico per i popoli ubicati al di fuori del mondo romano, specialmente oltre i suoi confini orientali. Opere come gli Indica, i Parthica, la Anabasi di Alessandro di Arriano dimostrano un rinnovato interesse verso l’Oriente. Altri autori contemporanei, come Giovenale e Luciano disseminano le loro opere di riferimenti all’India, con dettagli precisi sui prodotti, la cultura e la religione del subcontinente. Senza dubbio, però, l’autore che rappresenta la prova migliore dell’aumento di conoscenza rispetto all’India è Claudio Tolomeo: nella sua opera geografica, egli dimostra una conoscenza dell’Oriente asiatico decisamente superiore a quella delle epoche precedenti. Non solo Claudio Tolomeo è più preciso dei suoi predecessori (Strabone, Plinio, anche talora il Periplus Maris Erythraei), ma descrive anche regioni che gli autori precedenti non avevano mai menzionato nei propri lavori, come ad esempio l’Estremo Oriente asiatico. Si può ipotizzare ragionavol83 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico mente che Tolomeo ottenne queste informazioni da viaggiatori e mercanti che erano esperti di Oriente, il che ci fa immaginare che le relazioni tra Roma e il lontano Oriente si fossero intensificate in questo periodo.312 Nello stesso contesto politico e culturale troviamo anche la prima attestazione di un contatto diretto tra l’impero romano e la Cina; nell’anno 166 d.C. una “ambasceria” romana raggiunse la Cina, apparentemente per aprire un canale commerciale diretto tra i due imperi. La testimonianza è riportata nella HouHan-Shu, le “Cronache della dinastia Han”, al capitolo 88:313 “Loro [i Romani] assomigliano al popolo del Regno Intermedio, e per questo il loro regno è chiamato Da Qin [‘Grande Cina’]. Il loro Paese produce grandi quantità di oro e argento, e tante cose preziose e rare. […] Producono monete d’oro e d’argento. Dieci monete d’argento valgono quanto una d’oro. Essi commerciano con Anxi [il Regno dei Parti] e Tianzhu [India nord-occidentale] via mare. Il loro margine di profitto è di dieci a uno. Il loro re ha sempre avuto il desiderio di mandare una spedizione in Cina, ma Anxi, volendo mantenere il controllo delle sete cinesi dai molti colori, impediva loro l’accesso, in modo che i Romani non potessero arrivare in Cina.” La descrizione dell’Impero Romano presente nel testo cinese è certamente peculiare, e le interpretazioni degli storici sono discordanti sull’affidabilità di questi dati.314 Inoltre, non è chiaro se questa ambasceria inviata in Cina fosse composta da emissari dell’imperatore, o non si trattasse piuttosto di commercianti privati che di propria iniziativa avessero raggiunto la corte Han.315 Tuttavia, è possibile ricavare due informazioni di un certo interesse: certamente la spedizione si giovò delle condizioni favorevoli per il commercio con l’Oriente create fin dall’epoca di Traiano.316 Inoltre, la fonte cinese afferma che i mercanti romani per lungo tempo avrebbero voluto stabilire un commercio diretto con la Cina per aumentare i loro profitti, ma non era mai stato possibile a causa delle interferenze dei Parti. In effetti, stabilire un contatto diretto con la Cina sarebbe stato molto conveniente per i commercianti occidentali. 312 313 314 315 316 Sidebotham 1986a, 142-143; Sidebotham 2011, 14-16. Hirth 1885, 41; Hill 2015. Speidel e Kolb 2015. Hoppál 2011. Thorley 1971. 84 2. L’età Altoimperiale Un tentativo di aggirare i Parti potrebbe essere stato da questi ultimi percepito come ostile, e non è forse una coincidenza che nella centennale storia delle difficili relazioni tra l’impero romano e quello partico, quest’ultimo prese l’iniziativa di aprire le ostilità solo in una occasione, nel 161 d.C.,317 un periodo in cui la presenza romana nel Mar Rosso e nell’Oceano indiano aveva raggiunto il suo punto più alto e il commercio era fiorente. Ovviamente, è impossibile ipotizzare che la ragione principale per la guerra fosse commerciale (il casus belli era la situazione armena),318 ma si potrebbe immaginare che la situazione commerciale abbia reso gli Arsacidi anche più aggressivi nei confronti dei Romani. Tirando le somme, potremmo dire che i primi due secoli di presenza romana nel Mar Rosso non furono caratterizzati da una gestione statica dei Romani dell’organizzazione dell’area.319 Al contrario, abbiamo visto come si sia trattato di un periodo caratterizzato da grande dinamismo. All’arrivo di Roma esistevano già delle infrastrutture che furono subito sfruttate dai nuovi dominatori d’Egitto. Potremmo quindi distinguere due fasi: una prima fase giulio-claudia e flavia, e una seconda fase di epoca antonina. Durante la prima fase, si consolidò il ruolo di Myos Hormos e di Berenice come grandi porti internazionali. Oltre a ciò, possiamo verificare l’attuazione di un imponente programma di razionalizzazione e potenziamento delle infrastrutture che collegavano i porti al resto della provincia. L’abbandono definitivo dei porti minori e soprattutto la scelta di puntare su Coptos come unico centro di collegamento tra il Nilo e il Mar Rosso vanno nel senso della razionalizzazione delle comunicazioni nell’area. Inoltre, specialmente sotto i Flavi, fu forte lo sforzo di potenziare le strutture di collegamento tra Nilo e Mar Rosso, come dimostra la creazione in questo periodo di molti forti e postazioni lungo le carovaniere nel Deserto Orientale. Nel secolo successivo, invece, si venne a delineare una linea di sviluppo diversa, anche se probabilmente non del tutto nuova. Forse riprendendo il vecchio progetto egemonico già di Augusto, a partire dall’epoca di Traiano la presenza romana sembra espandersi fortemente sulle acque del Mar Rosso, arrivando a controllare avamposti remoti come le isole Farasan. Il progetto egemonico, apparentemente accantonato dopo la sfortunata 317 318 319 Hist. Aug., vita Marc. Aurel. 8.6; Birley 2000, 121; Flinterman 1997, 281. Sicker 2000, 169. Rostovtzeff 1932. 85 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico spedizione di Elio Gallo, prende nuovo vigore, assicurando a Roma una posizione di forza nel Mar Rosso almeno fino alla metà del II secolo, se non oltre.320 6. Il sistema di tassazione nell’alto impero 6.1 Il litorale egiziano Il ruolo chiave che la provincia d’Egitto svolgeva nella gestione dell’imponente volume dei traffici commerciali che collegavano l’impero di Roma con il Remoto Oriente è ormai chiaro. Proprio a causa di questa importanza commerciale, la provincia aveva anche un ruolo centrale nella riscossione dei tributi che pesavano su questo tipo di commercio. Fino a poco più di trenta anni or sono, ben poco era noto di questo sistema di controlli doganali: le nostre uniche fonti di conoscenza erano di tipo letterario, e non fornivano informazioni molto precise. Esse erano sostanzialmente tre: a) Strabone attesta che sulle merci di provenienza indiana gravavano tasse doppie e pesanti.321 b) Il Periplus Maris Erythraei ricorda che nel porto nabateo di Leuke Kome un παραλήτης riscuoteva una tassa del 25%.322 c) Una serie di iscrizioni da Palmyra provano che una tassa della stessa entità, su merci di importazione straniera, era riscossa anche nella importante città siriana.323 In particolare le informazioni desumibili dal Periplus e dalle inscrizioni palmirene avevano indotto gli studiosi a credere che la stessa aliquota fosse applicata alle tasse gravanti sulle merci che giungevano ai porti egiziani del Mar Rosso.324 Tomber 2018. Strab. 17, 1, 13. 322 PME 19: ὅρμος ἐστὶν ἔτερος καὶ φρούριον, ὃ λέγεται Λευκὴ κώμη […] ἔχει ἐμπορίου τινὰ καὶ αὐτὴ τάξιν τοῖς ἀπὸ τῆς Ἀραβίας ἐξαρτιζομένοις εἰς αὐτὴν πλοίοις οὐ μεγάλοις. διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν καὶ εἰς αὐτὴν παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν εἰσφερομένων φορτίων καὶ ἐκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος ἀποστέλλεται. Per l’interpretazione di questo passo, si veda infra, pag. 99. 323 AE 1947, nn. 179; 180. Si veda Starcky 1949, nn. 29; 113. 324 De Laet 1949, 307-309; Raschke 1978, 1018 nt. 1515. 320 321 86 2. L’età Altoimperiale Nel 1985, la pubblicazione di un papiro di eccezionale importanza (il P. Vindob. G 40.822)325 ha confermato in via definitiva questa ipotesi, attestando che ad Alessandria era riscossa una tassa del 25% sulle merci importate dall’India, chiamata nel testo τετάρτη.326 Il papiro vindobonense, databile al II secolo d.C., contiene in realtà due documenti distinti, anche se correlati: uno sul recto e uno sul verso. Sul recto è conservata parte di un contratto tra un uomo d’affari e un mercante, che regola le condizioni di un viaggio commerciale a Muziris (uno dei principali porti indiani), finanziato dall’uomo d’affari, tramite un prestito ipotecario. L’uomo d’affari, oltre a provvedere al finanziamento, concede sostegno logistico al mercante, attraverso suoi agenti dislocati ad Alessandria, a Coptos e in un porto del Mar Rosso.327 Dalla lettura del testo, risulta che le merci importate dall’India, dopo essere approdate in un porto del Mar Rosso e aver attraversato il deserto orientale egiziano, entravano nelle ἐπὶ Κόπτου δημοσίαι παραλημπτικαὶ ἀποθῆκαι, passandovi sotto la ἐξουσία e la σφραγίς del creditore.328 Successivamente, dopo aver disceso il Nilo fino ad Alessandria, entravano, sempre sotto la ἐξουσία e la σφραγίς del creditore, nella ἐν Ἀλεξανδρείᾳ τῆς τετάρτης παραλημπτικὴ ἀποθήκη.329 Nel verso, invece, troviamo i calcoli relativi alla τιμή delle merci importate dalla nave Hermapollon (che rientrava dal suo viaggio commerciale in India), cioè l’imponibile su cui si doveva calcolare l’importo del dazio (τέλος). Il calcolo della τιμή è elaborato prima per ciascuno dei sei φορτία separatamente, poi, alla fine, le varie τιμαί si sommano nella τιμή complessiva di tutto il carico. Tuttavia, essendo la prima colonna del testo pressoché integralmente perduta, ci restano solamente i calcoli relativi alle τιμαί di 325 Il papiro è stato successivamente ripubblicato in SB XVIII 13.167. Gli studi specifici su questo documento sono molti; la prima edizione fu a cura di Harrauer e Sijpesteijn 1985, 124155. Si vedano anche Thür 1987, 229-245; Thür 1988, 229-233; Casson 1986, 73-79; Casson 1990, 195-206; Foraboschi e Gara 1989, 280-282; Casson 1991; Purpura 1996, 368-375; De Romanis 1996, 183-196; De Romanis 1998, 11-60; Rathbone 2000, 39-50; Rathbone 2002, 179-198; Wilson 2009; De Romanis 2012a, 75-101; Ruffing 2013; De Romanis 2014; Cobb 2015b; Evers 2017, 99-109. 326 P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, l. 8: εἰς τὴν [ἐν Ἀλεξ]ανδρείᾳ τῆς τετάρτης παραλημπτικὴν ἀποθήκην. Sulla tetarte come tassa, si veda Jördens 2009, 355-367. 327 P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, ll. 1; 5-6; 8-9; 15; 24-25 (ἐπίτροποι ἢ φροντισταί). 328 De Romanis 1996, 183-196. 329 P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, ll. 3-7. 87 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico tre φορτία: nardo gangetico, avorio e σχιδαί.330 Recentemente, il De Romanis ha proposto un convincente tentativo di identificare le altre tre mercanzie, sulla base dei frammenti sopravvissuti del testo del papiro.331 Oltre a queste informazioni, nel testo troviamo anche l’indicazione riguardante la τιμή complessiva di tutto il carico, che ammonta a ben 1.154 talenti e 2.852 dracme.332 In base alle informazioni ricavabili dal papiro, possiamo desumere che all’arrivo nei porti egiziani non si procedesse materialmente alla riscossione delle imposte dovute. Lo stoccaggio, la classificazione e i calcoli per la tassazione erano certamente effettuati a Coptos, dove però ancora una volta la τετάρτη non era ancora riscossa: questa tassa era infatti da pagarsi ad Alessandria, prima che le merci venissero distribuite in tutto l’Impero. Il testo del papiro, infatti, ricorda la presenza di ἀποθῆκαι per lo stoccaggio delle merci tanto a Coptos quanto ad Alessandria, anche se fa esplicita menzione della tassa chiamata τετάρτη solo in riferimento a quest’ultima città. Inoltre, va aggiunto che il documento, essendo mutilo, nulla ci dice riguardo ad eventuali adempimenti fiscali cui si sarebbe dovuto far fronte nei porti sul Mar Rosso, allo sbarco. A tal proposito, infatti, gli editori del papiro ipotizzarono che una prima τετάρτη fosse riscossa allorché la nave approdava in uno dei porti egiziani. A questa se ne sarebbe aggiunta una seconda, prelevata ad Alessandria. Questa ricostruzione si basava sul già citato luogo straboniano, in cui il geografo parla, a proposito delle tasse che gravavano in Egitto sulle merci di importazione orientale, di tasse doppie, in ingresso e in uscita (dalla provincia): τέλη διπλάσια εἰσαγωγικὰ ed ἐξαγωγικά. Assumendo che la τετάρτη di Alessandria dovesse necessariamente coincidere con i τέλη ἐξαγωγικά ricordati da Strabone, ne conseguiva che dovesse esistere una tassa “gemella” (come proverebbe l’aggettivo διπλάσιος, usato dal geografo greco), corrispondente, invece, ai τέλη εἰσαγωγικὰ: questa τετάρτη “in ingresso”, doveva evidentemente essere riscossa in uno dei porti sul Mar Rosso.333 330 L’interpretazione di questo termine non è univoca, anche se l’ipotesi più probabile è che si trattasse di frammenti d’avorio. Si vedano Rathbone 2000, 45 e De Romanis 2017. 331 De Romanis 2012a, 75-101. 332 P. Vindob. G 40.822, verso colonna II, l. 29. Per inciso, le τιμαί dei tre φορτία superstiti dell’elenco, corrispondono all’11,29% del totale. 333 Harrauer e Sijpesteijn 1985, 140: “Aus den Worten ὥστε τὰ τέλη διπλάσια συνάγεται, τὰ μὲν εἰσαγωγικὰ, τὰ δὲ ἐξαγωγικά, hätte man ableiten dürfen, daß auch beim Verlassen Ägyptens 25% als Abgabe zu entrichten waren, da ja bei der Einfuhr in Leuke Kome die 25% erhoben 88 2. L’età Altoimperiale L’ampia lacuna nel recto del papiro impedisce di esprimere con sicurezza un parere su questa ricostruzione. Tuttavia, pare molto più convincente l’ipotesi alternativa proposta in anni successivi, secondo cui non si può pensare a una duplice τετάρτη riscossa sia ad Alessandria sia nei porti del Mar Rosso: la tassa del 25% era riscossa esclusivamente ad Alessandria e va conseguentemente identificata con i τέλη εἰσαγωγικὰ ricordati da Strabone, laddove i τέλη ἐξαγωγικά andranno identificati con le normali tasse che colpivano i beni in uscita dalla provincia (con un’aliquota del 2,5%). Concentrare le operazioni di tassazione in ingresso a Coptos aveva certamente il vantaggio di snellire e razionalizzare l’intero processo, perché nella città fluviale confluivano tanto le merci scaricate a Berenice quanto quelle da Myos Hormos. Dunque, all’arrivo nei porti egiziani, le merci erano scaricate e, verosimilmente, sottoposte a una qualche procedura di registrazione, ma non subivano alcuna tassazione; lo stoccaggio e (forse) la classificazione erano effettuati a Coptos, mentre la τετάρτη andava pagata invece ad Alessandria, prima che le merci venissero distribuite in tutto l’Impero. In aggiunta a tutto ciò, il P. Vindob. G 40.822 cita un qualche pagamento effettuato πλείω ὑπὲρ τῆς τεταρτολογίας, con un’aliquota dello 0,25% sull’avorio e del 2,88% sulle σχιδαί (mentre il nardo gangetico non è incluso in questa lista). Di queste aliquote si dice esplicitamente che erano state prelevate dagli arabarchi.334 Questa informazione introduce un nuovo attore, finora mai menzionato, nel quadro che stiamo delineando. La funzione e la storia della corporazione nota col nome di ἀραβαρχία (o ἀλαβαρχία),335 è stata oggetto di studi fin dagli inizi del XX secolo, ma solo in anni recenti l’aumento della documentazione a nostra disposizione ha permesso wurden. Strabo’s Text hat ja διπλάσια, nicht δίς. Unser Papyrus macht es sehr wahrscheinlich, daß Güter bei der Einfuhr und bei der Ausfuhr mit jeweils 25% Zoll belastet wurden.” La stessa posizione è ripresa in Sijpesteijn 1987, 5. 334 P. Vindob. G 40.822, verso, colonna II, ll. 11-12. 335 Il nome è attestato in due forme: ἀραβαρχία e ἀλαβαρχία. Un tempo si riteneva che esse facessero riferimento a due realtà diverse: la ἀραβαρχία sarebbe stata una organizzazione inserita nella gestione del prelievo fiscale in Egitto (come vedremo tra poco), mentre si riteneva che la ἀλαβαρχία fosse l’organizzazione che faceva capo alla vita religiosa degli Ebrei residenti in Alessandria. Ad oggi, questa ipotesi è stata riconosciuta del tutto errata dagli studiosi, alla luce delle testimonianze emerse nel corso degli anni, tra cui fondamentale è l’iscrizione rinvenuta a Zagarolo ed edita da Sabbatini Tumolesi 1993, 55-61. L’esistenza di due forme distinte del 89 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico di formulare teorie articolate. La prima difficoltà da risolvere è stata quella relativa al significato e all’origine di questo nome, chiaramente strutturato in maniera singolare. In realtà, a sciogliere il dubbio dell’origine della denominazione di ἀραβαρχία è di grande aiuto un passo di Strabone, il quale, parlando dell’Egitto, chiarisce come ‘Arabia’ sia il nome con cui si indicava tutta la regione egiziana a Est del fiume Nilo: Ἐντεῦθεν δὴ ὁ Νεῖλός ἐστιν ὁ ὑπὲρ τοῦ Δέλτα· τούτου δὴ τὰ μὲν δεξιὰ καλοῦσι Λιβύην ἀναπλέοντι, ὥσπερ καὶ τὰ περὶ τὴν Ἀλεξάνδρειαν καὶ τὴν Μαρεῶτιν, τὰ δ᾿ἐν ἀριστερᾷ Ἀραβίαν.336 “Quando da lì si riparte, il Nilo è ormai a ridosso del Delta. Risalendo, a destra si ha la Libia, nome che pertiene anche all’area intorno ad Alessandria e alla Mareotis; a sinistra l’Arabia.”337 Quindi, la ἀραβαρχία sarebbe una qualche associazione che si caratterizza per essere fortemente radicata in un particolare territorio, cioè la parte orientale dell’Egitto. A ben vedere, in effetti, anche le fonti documentarie e letterarie a nostra disposizione confermano questa delimitazione geografica, attestando la presenza di arabarchi in quattro località dell’Egitto: Alessandria, Pelusio, Antinoe e Coptos.338 La definizione del loro ambito geografico d’azione, però, ancora non chiarisce quale fosse l’effettivo ruolo di questi individui. Nelle opere che di essi si sono occupate si trovano definizioni sempre molto concise e, talvolta, in contrasto tra loro. Tra le varie, potremmo citare: “des fermiers généraux d’Égypte”;339 “des fermiers des douanes terrestres de l’Égypte”;340 “des sortes de contrôleurs généraux des douanes de la frontière arabique”;341 “des personnages qui s’occupaient des nome, dunque, andrà ricondotta a un semplice fenomeno di alternanza delle due “liquide” λ e ρ: cfr. Mayser 1906, 188-189; Gignac 1976, 102-107. 336 Strab., XVII, 1, 30. 337 Trad. N. Biffi. 338 Flav. Joseph., Ant. Iud., 1, 20, 147; SB V 8904; Sabbatini Tumolesi 1993, 55-61; P. Cairo Masp. II, 67.166. 339 Demougin 1992, 585. 340 Sartre 1991, 418. 341 Mélèze Modrzejewski 1997, 256. 90 2. L’età Altoimperiale nomades, des routes à péages et de la migration des troupeaux à la limite du désert”;342 “publicani, private contractors”.343 È chiaro, in ogni caso, che gli arabarchi sono stati unanimemente messi in connessione con l’organizzazione doganale dell’Egitto. I documenti su cui, tradizionalmente, questa associazione si è basata sono tre. In primo luogo, una iscrizione risalente all’epoca di Domiziano, e rinvenuta a Coptos, contenente le tariffe da pagare per l’ἀποστόλιον, una tassa riscossa dagli arabarchi.344 Il secondo documento è una legge del Codex Iustinianus che ricorda ai doganieri della arabarchia che in nessun caso è possibile imporre tasse sul passaggio di animali, eccetto quelli destinati al trasporto dei rifornimenti di viveri.345 Il terzo è una fattura (datata al 568 d.C.) che fa menzione di una stazione dell’arabarchia ad Antinoe.346 Combinando le informazioni ricavabili da P. Vindob. G 40.822 e da OGIS II, 674, appare chiaro che gli arabarchi avevano una postazione a Coptos, dove erano incaricati di riscuotere una tassa chiamata ἀποστόλιον. L’iscrizione OGIS II 674, comunemente nota col nome di ‘tariffa di Cop347 tos’ , riporta infatti un rescritto del prefetto d’Egitto Mettio Rufo, datato 10 maggio 90 d.C., dove si dichiara che ivi sono contenuti gli importi che gli addetti alla riscossione di una gabella chiamata ἀποστόλιον dovevano esigere.348 Dopo Delmaire 1989, 286-287. Rathbone 2002, 183. Si vedano anche Burkhalter 1999; Ruffing 2013 ed Evers 2017, 109113. 344 OGIS II, 674. In particolare, si vedano le ll. 2-9: ὅσα δεῖ τοὺς μισθ[ω]τὰς τοῦ ἐν Κόπτωι ὑποπείπτοντος τῆι ἀπαβαρχία ἀποστολίου πράσσειν κατὰ τὸν γνώμον[α] τῇδε τῆι στήληι ἐνκεχαρακται διὰ Λουκίου Ἀντιστίου Ἀσιατικοῦ ἐπάρχου ὄρους βερενείκης. Sull’importanza di questo documento si avrà modo di ritornare infra. 345 C. Just. 4, 61, 9: Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. Usurpationem totius licentiae submovemus circa vectigal Alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum, nihilque super transductione animalium, quae sine praebitione solita minime permittenda est, temeritate per licentiam vindicari concedimus. GRAT. VALENTIN. ET THEODOS. AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG. 346 P. Cairo Masp. II, 67.166. In particolare, le linee 4-10: ἐν Ἀν[τ]ινόου πόλει τῇ λαμπροτάτῃ Αὐρήλιος Μαρτῖνος υἱὸς Σαβινιανοῦ, ἐκ μητρὸς Μάρθας, δοῦλος τοῦ ἐνδόξου οἴκου τοῦ πανευφήμου Ἀθανασίου πατρικίου, γενάμενος [δ]ὲ καστρις Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἀλαβάρχῃ, πράττοντι τὴν ἀρχὴν ἐπὶ ταύτης τῆς Ἀντινόου πόλεως, [Α]υρηλίῳ Κολλούτῳ βίκτορι ὀρνιθᾷ ἀπὸ τῆς πόλεως, χαίρειν. 347 OGIS II 674; ripubblicata in SB V, 8904. Il primo a indicare questa iscrizione con l’epiteto di «der Tarif von Koptos», fu Wilcken: cfr. O.Wilck., 347. 348 OGIS II 674, ll. 2-4: ὅσα δεῖ τοὺς μισθ[ω]τὰς τοῦ ἐν Κόπτωι ὑποπείπτοντος τῆι ἀπαβαρχία ἀποστολίου πράσσειν κατὰ τὸν γνώμον[α]. 342 343 91 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico l’introduzione della tassa, troviamo una ventina di rubriche che elencano gli importi da riscuotere. Queste rubriche si dividono in due gruppi distinti. Il primo349 elenca gli importi che determinate categorie di viaggiatori dovevano pagare, in funzione del loro sesso e della loro professione; il secondo350 gli importi (decisamente più bassi) che andavano pagati per un’altra tassa, il πιττάκιον, la quale ricadeva su uomini, animali e veicoli che si avviassero lungo la via del deserto. I problemi legati all’interpretazione della tassa chiamata ἀποστόλιον sono molteplici: in cosa essa consistesse, chi fossero gli individui tenuti a pagarla e, soprattutto, per qual motivo, sono problemi ancora irrisolti. L’editore della tariffa pensò per primo che l’ἀποστόλιον fosse una tassa che coloro che viaggiavano lungo le piste nel deserto nel tratto Coptos - Mar Rosso pagavano all’arrivo a Coptos.351 Questa interpretazione fu in seguito sostanzialmente ripresa anche dal Wilcken,352 il quale si spinse a sostenere che la tassa fosse stata imposta dallo Stato per coprire le spese necessarie al mantenimento delle truppe militari nel deserto orientale, che garantivano la sicurezza lungo le piste carovaniere.353 Un momento fondamentale nella discussione fu rappresentato dallo studio di Uxcull-Gyllenband e Wallace, i quali sostennero la teoria che il termine ἀποστόλιον derivasse da ἀπόστολος, e designasse dunque un importo da pagare per ottenere un lasciapassare necessario a viaggiare sulla pista da Coptos al Mar Rosso.354 Negli anni successivi, la discussione sulla natura dell’ἀποστόλιον si arenò, e si andò cristallizzando la communis opinio secondo la quale la ‘tariffa di Coptos’ (e conseguentemente l’ἀποστόλιον) avrebbe riguardato semplicemente i diritti di pedaggio che erano tenuti a pagare gli individui che utilizzavano la pista caro- OGIS II 674, ll. 9-20. OGIS II 674, ll. 21-32. 351 Hogarth 1896, 32: «I would suggest that up to l. 20 the items due are to be paid on arrival at Coptos: from l. 20 to l. 30 they are to be paid in advance before departure. Lines 30-32 refer to a local use of the road as an approach to cemeteries in the eastern desert». 352 Wilcken 1899, 349: «Hogarth hat scharfsinnig erkannt, dass die Sätze bis Z. 20 bei der Ankunft in Koptos, die späteren vor der Abreise von Koptos ebendort zu entrichten waren. Ich meine, dieselben Gebühren werden, vermutlich in derselben Höhe, auch in Berenike zu zahlen gewesen sein, wo wohl gleichfalls ein entsprechender Tarif publicirt gewesen sein mag». 353 Wilcken 1899, 348. 354 Uxcull-Gyllenband 1934, 64; Wallace 1938, 273: «The pass purchased at Coptos did not entitle its recipient to leave Egypt, but to travel over the road from Coptos to one of the ports of the Red Sea». 349 350 92 2. L’età Altoimperiale vaniera da Coptos ai porti del Mar Rosso,355 quindi per spostamenti all’interno della provincia. Tale ipotesi sembra a tutt’oggi la più convincente, ed è quella che si segue in questo lavoro.356 In base a questo quadro, a Coptos dunque sarebbe esistita una forma di controllo che riguardava coloro che intraprendevano la via del Mar Rosso, partendo dal Nilo. Questa ipotesi è rinforzata da una serie di documenti rinvenuti in anni ben più recenti rispetto alla Tariffa di Coptos, e dall’altro capo della carovaniera Nilo-Mar Rosso. Fino a non molto tempo fa, ben poco era invece noto riguardo alla organizzazione della fiscalità lungo le rotte carovaniere e nei porti del Mar Rosso. Questa lacuna è stata corretta da un corpus di documenti rinvenuti a partire dai primi anni 2000 negli scavi archeologici condotti a Berenice. Si tratta di un gruppo di ostraka rinvenuti nel sito archeologico e pubblicati da Roger Bagnall.357 Questi reperti hanno fornito preziose informazioni sul funzionamento della dogana in uscita di Berenice. Complessivamente, il corpus di ostraka è composto da circa 260 documenti pubblicati. La maggior parte di essi è databile al primo secolo d.C.358 Non sono tutti omogenei tra di loro per tema e struttura, e in questo lavoro ci si concentrerà solo su quelli di argomento fiscale. Si tratta di una serie di lasciapassare che accompagnavano mercanti che esportavano merci da Berenice, per caricarle su navi destinate a lasciare il porto, alla volta dell’India. Parte di questi prodotti sarà certamene stata usata per il consumo delle truppe di bordo, ma la maggior parte di essi era invece destinata all’esportazione.359 Le ricevute dei lasciapassare furono emesse in un non precisabile punto della rotta dal Nilo a Berenice (Coptos, verisimilmente) ed erano da 355 Tra gli esempi più autorevoli potremo citare: Bernard 1984, 199: «Tarif de droits à payer à l’alabarque pour les personnes, les animaux et le matériel passant par Koptos»; Sidebotham 1986a, 35: «The Coptos Tariff is not a list of tax rates, but rates levied for use of one of the roads leading from Coptos to a Red Sea port»; Rathbone 2002, 184: «Another levy of the arabarchy collected at Koptos by its lessees (misthôtai) was the apostolion (apostolos-charge) for use of the desert routes to and from the Red Sea ports»; Young 2001, 50: «The apostolion mentioned in the inscription may represent a kind of pass or ticket of the sort that was required for travel in many parts of Egypt under the Romans». 356 Opinione divergente è rinvenibile in Burkhalter 2002, 199-230. Si vd. anche Purpura 2002, 130-154. 357 Bagnall et all. 2000, Bagnall et all. 2005. Ai documenti raccolti in questi due volume si farà di seguito riferimenco con l’abbreviazione O.Berenike. 358 Bagnall et all. 2000, 3. 359 Bagnall et all. 2000, 8. 93 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico consegnarsi ai funzionari che si occupavano della dogana di Berenice; questo significa, come sottolineato dagli editori degli ostraka, che “the amounts due were collected in the valley [i.e. at Koptos], with the goods then free to pass through the gate in Berenike.”360 Innanzitutto, questi documenti hanno dimostrato per la prima volta al di là di ogni dubbio l’esistenza di una dogana nella città di Berenice. Le tasse erano pagate altrove, ma a Berenice c’era una forma di controllo finale. Questi lasciapassare possono essere divisi in quattro gruppi, in base alla loro struttura base: 1) NN a NN, quintanensis, saluti; per favore, lascia passare NN che trasporta una quantità X di una certa mercanzia 2) NN a NN (nessun titolo specificato) saluti; per favore, lascia passare NN che trasporta una quantità X di una certa mercanzia 3) NN a coloro che sono presso la dogana, saluti; per favore, lascia passare NN che trasporta una quantità X di una certa mercanzia 4) Epaphroditos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare a NN, quintanensis, saluti; per favore, lascia passare NN, schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare, che trasporta una quantità X di una certa mercanzia. A ben vedere, i gruppi 1-3 rappresentano solo varianti minori rispetto a uno schema generale, che include uno scrivente, che si rivolge a un funzionario, chiedendo un lasciapassare per delle persone che traspostano quantità prestabilite di alcune mercanzie (le più comunemente attestate sono vino, olio, aceto). I destinatari sono a volte identificati dal titolo di quintanensis (gruppo 1); a volte soltanto dal loro nome proprio (gruppo 2); altre volte, infine, essi sono semplicemente definiti come “quelli della dogana”, senza che né il nome proprio, né il titolo vengano esplicitati (gruppo 3). Si riportano degli esempi per ogni gruppo, presi dal “dossier di Andouros” (O. Berenike 50-67): Ἀνδουρωι κουιντ(αησίωι)· πάρες Τιβερίου Κλαυδ(ίου) [Ἀχιλλέως] Δωρίωνος Παουῶτι Παοῦτος ἰταλικὰ δέκα, (γίνεται) ἰταλ(ικὰ) ι. (O. Berenike 51) 360 Bagnall et all. 2000, 5. 94 2. L’età Altoimperiale “Ad Andouros, quintanensis. Lascia passare per Tiberius Claudius [Achilleus] Dorion, per Paouos figlio di Paouos, 10 italika, totale 10 ital(ika).” Per il secondo gruppo, un esempio dal “dossier di Sosibios” (O.Berenike 1-35): Σωσίβιος Ἀνδουρω(ι) χα(ίρειν) πάρες Ἀνδουρω(ι) Παχ( ) οἴνου ἰταλ(ικὰ) ϛ. (O. Berenike 11) “Sosibios ad Andouros, salute. Lascia passare per Andouros figlio di Pach( ) 6 italika di vino.” Per il terzo gruppo, un esempio dal “dossier di Robaos” (O. Berenike 36-49): [Ῥ]οβαος τοῖς ἐπὶ τ[ῇ πύλῃ χα(ίρειν)] πάρετε Ἀρυώθηι [εἰς] [ἐ]ξαρτισμὸν ῥόδ(ια) η. (O. Berenike 36) “Robaos a quelli presso la dogana, salute. Lascia passare per Haryothes per approvvigionamento, 8 rhodia.” Dall’analisi della struttura di queste tre tipologie di documenti si può ricavare che i quintanenses corrispondono agli agenti doganali. Gli editori dei testi hanno già sottolineato che l’espressione “le persone presso la dogana” è pobabilmente utilizzata da un mittente che non conosce il nome del funzionario a cui si sta rivolgendo,361 e ci permette di comprendere che gli ostraka erano utilizzati dai mercanti come lasciapassare per la dogana di Berenice, e d’altro canto, che i funzionari che si occupavano di controllare questo passaggio erano appunto detti quintanenses. L’ultimo gruppo di documenti, invece, ci permette di addentrarci in un ulteriore aspetto. La struttura del gruppo 4, pur di fatto rientrando nello schema generale, presenta infatti alcuni tratti peculiari. Infatti, il mittente è sempre un certo “Epaphroditos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare”, che si rivolge al quintanensis Pakoibis, richiedendo un lasciapassare per delle per- 361 Bagnall et all. 2000, 8-12. 95 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico sone che appartengono allo stesso gruppo di schiavi cui apparteneva lo scrivente (O. Berenike 184-88). La prima peculiarità è che in questi documenti lo scrivente non è solo identificato dal suo nome, ma anche, e forse in maniera più significativa, dal suo essere parte di un gruppo di schiavi che è connesso con Amneistos, membro della familia Caesaris. Una caratteristica ancora più peculiare è che, con la sola eccezione di O. Berenike 184, tutti gli altri ostraka sono dei moduli precompilati, in cui è stato lasciato uno spazio vuoto per aggiungere poi solo successivamente il nome della persona che trasportava vino, nonché della precisa quantità di keramia di vino: Ἐπαφ[ρόδει]τος Δ[ηλίου Ἀ]ειμνήστ[ου] Καίσαρος Πακοίβι κοιντανησίωι χ(αίρειν)· πάρες uacat τῶν Δηλίο[υ] Ἀειμνήστου Καίσαρος [οἴ]νου πτολεμμα(ικοῦ). κερά[μια] uacat (O. Ber. 186). “Epaphrodeitos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare, a Pakoibis quintanensis, salute. Lascia passare per (uacat) di quelli di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare, (uacat) keramia di vino Ptolemaico.” Gli editori del dossier hanno avanzato l’ipotesi che “since all forms ended up in the rubbish heap at Berenike, they might have been used without actually having been filled in.”362 Le persone che trasportano il vino, i cui nomi sarebbero dovuti essere aggiunti in un momento successivo, sono tutti identificati come τῶν Δηλίο[υ] Ἀειμνήστου Καίσαρος, “degli uomini di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare”. Anche lo scrivente, Epaphroditos, è identificato come schiavo dello stesso Delias. Il dossier sembra quindi gettare luce sul tema del coinvolgimento della familia Caesaris nella gestione dei traffici con l’oriente. Per quanto il legame non sia certamente diretto (vi sono vari livelli tra Epafrodeitos e Cesare), il dettaglio sembra degno di nota. D’altra parte, se è vero che questo tipo di commercio permetteva di realizzare grossi guadagni, non sembra fuori luogo ipotizzare che anche l’imperatore o elementi a lui legati abbiano avuto interesse a prendere parte a queste imprese commerciali. 362 Bagnall et all. 2005, 74. 96 2. L’età Altoimperiale La eccezione presente negli ostraka di Berenice potrebbe forse trovare un parallelismo nel dossier di Nikanor. Anche nel caso di quest’ultimo, infatti, tutti i testi hanno uno schema generale molto omogeneo, che però subisce una modifica nel caso in cui la persona indicata nel testo sia uno schiavo dell’imperatore. Lo schema base può essere riassunto in questo modo: (Nome del ricevente) a Nikanor/membro della famiglia. Ho ricevuto da parte tua a (nome città) (lista mercanzie), sul conto di (nome proprietario ditta commerciale). Data. A titolo di esempio, si veda O. Petrie 256: Κρόνιος Ἑρμίου Νικάνορι Πανήτου χ(αίρειν). παρέλαβον παρὰ σοῦ ἐπὶ Μυὸς Ὅρμ ̣(ου) εἰς ̣ τ ̣ὸν Π ̣ανίσκ(ου) τοῦ Παμί(νιος) λόγον πυροῦ ἀρτάβας ̣ τρεῖς (γίνονται) (ἀρτάβαι) γ. (ἔτους) δ Γαίου Καίσ ̣α ̣ρος Σεβαστοῦ Αὐτοκράτορος Παχὼν κδ. Tuttavia, alcuni documenti presentano una leggera variante a questo schema, che risulta così essere: (Nome del ricevente), schiavo di Cesare, a Nikanor. Ho ricevuto da parte tua qui a (nome città) (lista mercanzie), sul mio conto personale. Data. A titolo di esempio, si veda O. Petrie 238: Ἀν ̣ίκητος Κομμούνου Τιβερίου Καίσαρος Σεβαστοῦ ̣ Φιλοστράτῳ Πανήους χα(ίρειν). ἔχω παρὰ σοῦ ἐπὶ Βερνίκης ἃ ἐπέθηκέ σοι Ἀγαθοκλῆς Ἀσκληπιάδου εἰς τὸν ἐμὸν λόγον ὧν ̣ καὶ τὸ φόρετρον ἀπέσχες ἐπὶ Κό ̣πτ[ο]υ ̣ οἴνου Πτολεμαικὰ ἓξ [ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ (ἔτους)] κ ̣ Τιβε(ρίου) Καίσαρο(ς) Σεβα(στοῦ) Τῦβι δ ̣. In che modo quindi le situazioni presenti nel dossier di Nikanor e in quello di Berenice possono essere considerate parallele? In entrambi vediamo che lo 97 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico status dello scrivente non è normalmente specificato, a meno che non si tratti di uno schiavo collegabile all’imperatore. Solo in questo caso, infatti, abbiamo notizie su queste figure. Altro parallelismo è che in entrambi i dossier, quando il protagonista della transazione è uno schiavo imperiale, questi sembra godere di maggiore libertà rispetto agli altri attori commerciali che vengono registrati nelle altre ricevute. Per fornire un’interpretazione sicura di queste similitudini, occorrerebbe avere un numero maggiore di documenti, tuttavia è possibile fissare alcuni punti. Il primo è che l’imperatore aveva certamente interessi economici diretti in questo commercio, tanto da utilizzare suoi schiavi come commercianti nell’area.363 Il secondo punto è che gli schiavi imperiali sembrerebbero aver goduto di canali speciali per condurre questo commercio, in una maniera che non è precisamente definibile, ma che sembra essere adombrata dagli schemi differenti ad essi riservati nei documenti che li vedono protagonisti. 6.2 Il litorale arabo Passiamo ora ad analizzare il funzionamento dell’imposizione fiscale sull’altro lato del Mar Rosso, quello arabico. In un noto passo della sua opera, l’anonimo autore del Periplus Maris Erythraei, passando a parlare del commercio sul litorale arabo, descrive il porto nabateo di Leuke Kome, presentandolo come un centro di grande rilievo nel commercio internazionale: di qui le mercanzie provenienti via mare dal Sud della penisola araba venivano trasportate fino alla capitale dello Stato nabateo, Petra.364 Nel corso della sua descrizione, l’anonimo aggiunge che nel porto erano di stanza un funzionario che prelevava una imposta del 25% sulle merci di importazione (παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν εἰσφερομένων φορτίων), e un centurione (ἑκατοντάρχης), incaricato di vigilare sulle procedure collegate all’esazione fiscale; di entrambi, il testo precisa che si trovavano a Leuke Kome διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν: Ipotesi già formulata a suo tempo da Sidebotham 1986a. Da Petra l’iter delle mercanzie proseguiva fino a Rhinokolura, porto sulla costa palestinese del Mediterraneo: cfr. Strab., XVI, 4, 24. 363 364 98 2. L’età Altoimperiale ὅρμος ἐστὶν ἔτερος καὶ φρούριον, ὃ λέγεται Λευκὴ Κώμη, δι᾿ ἧς ἐστὶν εἰς Πέτραν πρὸς Μαλίχαν, βασιλέα Ναβαταίων, ἀνάβασις. ἔχει δὲ ἐμπορίου τινὰ καὶ αὐτὴ τάξιν τοῖς ἀπὸ τῆς Ἀραβίας ἐξαρτιζομένοις εἰς αὐτὴν πλοίοις οὐ μεγάλοις. διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν καὶ εἰς αὐτὴν παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν εἰσφερομένων φορτίων καὶ ἑκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος ἀποστέλλεται (Periplus 19). “C’è un altro porto con un forte, chiamato Leuke Kome, attraverso il quale c’è una pista che conduce per via di terra fino a Petra e a Malchus, re dei Nabatei. Questo porto ha anche la funzione di porto commerciale per i vascelli di non grandi dimensioni che ivi giungono carichi di mercanzie dall’Arabia. Per questo motivo, per protezione c’è collocato (a Leuke Kome) un doganiere incaricato di riscuotere la tetarte, e anche un centurione con un gruppo di soldati.” La totalità degli studiosi che si sono confrontati con questo passo ha focalizzato la propria attenzione su un punto nodale, e cioè se il παραλήπτης e lo ἑκατοντάρχης citati nel testo fossero funzionari romani, o piuttosto nabatei e, conseguentemente, se Leuke Kome fosse parte dell’Impero Romano o del regno dei Nabatei, al tempo in cui l’anonimo scrisse la sua opera. È da questo primo problema che si dovrà partire per poter utilizzare adeguatamente la testimonianza del Periplus. Strabone attesta che nel 25 a.C., anno della infruttuosa spedizione di Elio Gallo nella Arabia Felix, il porto di Leuke Kome era parte integrante del regno nabateo. Qui confluivano la navi cariche di incenso provenienti dal Sud Arabia.365 Lo stesso quadro commerciale è descritto dal Periplus: ancora nel I secolo d.C. Leuke Kome era un porto in cui navi “non grandi” provenienti da Sud scaricavano le loro spezie arabiche. Tuttavia il testo ricorda la presenza di due funzionari, il παραλήπτης e lo ἑκατοντάρχης, l’ultimo dei quali sembrerebbe tradire nel proprio nome (equivalente del latino centurio)366 la dipendenza diretta dalla amministrazione romana. Il primo tra gli studiosi più recenti a confrontarsi col problema della ‘nazionalità’ del παραλήπτης e dello ἑκατοντάρχης fu il Bowersock.367 Così egli si esprimeva sul problema: 365 366 367 Strab., XVI, 4, 23. Cfr. Mason 1974, 41-42. Per la bibliografia precedente si veda Raschke 1978, 982. 99 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico «He (l’autore del Periplus, scil.) notes further that there was a customs station at the port of Leuke Kome on the coast of the Hejāz, ̣ with a centurion (ἑκατοντάρχης) in charge of the city. With the great Nabatean settlement inland at Madā’in S ̣ālih ̣, as well as other Nabatean installations in the Hejāz, ̣ it is inconceivable that the port of Leuke Kome was being administrated by Roman officials. The customs officer, collecting a tax of twenty-five percent, must have been a Nabatean official employing rates that can be paralleled in the customs regulations at Palmyra. The presence of a centurion is no indication of a member of Roman army. On the contrary, it is clear from the Nabatean terminology for military officers that “centurion” had been taken over by the Nabateans as a title, so that a Nabatean qnt ̣ryn’ at Leuke Kome would make a perfect sense.»368 La posizione del Bowersock è chiara e, almeno apparentemente, fondata su ragionamenti dettati dal buonsenso. I due funzionari sarebbero certamente nabatei, per due motivi: in primo luogo, sarebbe impossibile ipotizzare che Leuke Kome fosse amministrata da funzionari romani, essendo parte del Regno di Nabatea;369 in secondo luogo, lo studioso sottolinea un particolare importante, cioè che presso l’esercito nabateo era invalso l’uso di utilizzare termini di origine romana e/o tolemaica per indicare i gradi degli ufficiali.370 Questa interpretazione complessiva ha avuto un certo successo tra coloro che successivamente si sono occupati del problema: ad essa, ad esempio, fanno esplicitamente riferimento Casson nella sua edizione del Periplus Maris Erythraei371 e De Romanis nel suo importante volume sui commerci nell’area eritrea.372 Ciò nonostante ritengo che si potrebbero muovere almeno due obiezioni a questa ricostruzione. In primo luogo, l’esistenza di postazioni militari romane al di fuori dei confini dell’Impero, con funzione strategica, non è affatto da considerarsi come un’ipotesi inverosimile, tutt’altro:373 a voler restare nell’ambito geografico eritreo, ba- Bowersock 1983, 70-71. Bowersock (1983, 75) compara l’amministrazione di Leuke Kome a quella di altre postazioni doganali, come ad esempio Hegra. Secondo lo studioso, Hegra era infatti amministrata da funzionari nabatei, non romani. 370 Pratica attestata epigraficamente da CIS II, 217, dove si ricorda la presenza di un ufficiale nabateo che si fregia del titolo di QNT ̣RYN’ a Madā’in S ̣ālih ̣. 371 Casson 1989, 145. 372 De Romanis 1996, 193 n. 96. 373 In realtà si tratta di una pratica ben attestata. Si veda, a tal proposito, la rassegna fornita da Raschke 1978, 982-983, nn. 1351-1352. Non a caso, lo studioso era favorevole a vedere nelle due 368 369 100 2. L’età Altoimperiale sterà ricordare la già menzionata vexillatio della Legio II Traiana Fortis di stanza nelle isole Farasan.374 Se la ricostruzione offerta supra è convincente, dovremmo interpretare la presenza di militari romani nell’arcipelago come un chiaro segno della volontà di controllare i traffici commerciali nel Sud del Mar Rosso (in un’area, cioè al di fuori del diretto controllo politico di Roma). Si tratterebbe, quindi, di un caso assolutamente parallelo a quello del porto di Leuke Kome. D’altra parte, è pur vero che i Nabatei utilizzavano termini romani per i gradi dell’esercito, ma forse non si è tenuto nella giusta considerazione un dettaglio non secondario, e cioè che l’autore del Periplus era un residente egiziano di lingua greca, e non un Nabateo. Pertanto, la sua prospettiva era quella di un suddito dell’Impero Romano di lingua greca e quindi la cosa più logica è che abbia usato il temine ἑκατοντάρχης in senso proprio, a indicare specificamente un ufficiale romano. Se supponiamo che l’anonimo autore abbia vissuto in Egitto, sotto la dominazione romana, è chiaro che ha avuto modo di conoscere perfettamente gli eserciti di Roma ed è realistico che egli abbia effettivamente riconosciuto nel militare che manteneva l’ordine a Leuke Kome un centurione romano. Alcuni anni dopo il Bowersock, fu il Sidebotham a tornare sull’argomento, esprimendo una posizione decisamente più cauta, e affermando che non si potesse stabilire con certezza se il παραλήπτης e lo ἑκατοντάρχης fossero funzionari romani o nabatei. Lo studioso, pur non ignorando la già citata usanza nabatea di designare i gradi dei propri ufficiali con nomi presi a prestito dal mondo tolemaico e romano, sottolineava ancora una volta come fosse una pratica ampliamente adottata dai Romani quella di dislocare truppe e agenti doganali negli Stati clienti.375 In anni più recenti, lo Young è tornato nuovamente sul problema, ribaltando completamente la tesi del Bowersock. Partendo dal presupposto che, come ricavabile da P. Vindob. G. 40.822 per l’Egitto e dalle iscrizioni siriache per Palmira, i Romani in ogni caso imponevano una tassa del 25% sulle merci di importazione orientale, in ingresso nell’Impero, lo Young si è espresso contro l’ipotesi che i due funzionari menzionati nel Periplus fossero nabatei. Egli introdusse nella discussione anche un brano di Plinio il Vecchio, in cui si dice che le merci importate dall’Arabia, una volta entrate nell’Impero, vengono tutte convogliate a figure citate nel Periplus due funzionari romani. 374 Per la discussione dettagliata su Farasan, si veda supra, pagg. 77-82. 375 Sidebotham 1986a, 106-107. 101 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Gaza.376 Quindi, se i Romani non prelevavano alcuna tassa a Leuke Kome, era a Gaza che la famosa τετάρτη sarebbe stata pagata. Questa ipotesi, però, creerebbe uno scenario alquanto irrealistico: «If the merchants had to pay a 25% duty on their imports at Leuke Kome upon entering the Nabatean Kingdom, and then again on entering Roman territory (possibly at Gaza, Pliny NH 12.32), this would seem to amount to a total of 50%, not counting other imposts and portoria which were no doubt considerable. It would clearly be foolish for merchants to send their wares to Leuke Kome rather than to Egyptian Red Sea ports of Myos Hormos and Berenike, where they would only have to pay the τετάρτη once, at Alexandria.»377 Lo studioso sembra aver centrato un punto nodale della questione: una situazione in cui i mercanti fossero costretti a pagare la τετάρτη due volte, arrivando a consegnare il 50% del valore del proprio carico in tasse, sembra decisamente irrealistica.378 Per comprendere meglio il tipo di organizzazione esistente a Leuke Kome può essere utile compararne il caso con ciò che sappiamo relativamente ad altri posti di frontiera in qualche misura analoghi al porto nabateo, inserendo nella discussione proprio i testi epigrafici palmireni a cui anche lo Young fa riferimento. Lo status di Palmyra all’interno dell’Impero è singolare e, per certi versi, assimilabile a quello del regno di Nabatea: anche la città siriaca, pur essendo stata assorbita formalmente nei confini della provincia di Siria in un’epoca imprecisabile attorno al principato di Tiberio, godeva di una sua parziale autonomia, deci- Plin., Nat. Hist., XII, 32. Young 1997, 267. 378 Strabone (17, 1, 13) riferendosi alle tasse che gravavano sulle merci indiane in Egitto, afferma τὰ τέλη διπλάσια συνάγεται τὰ μὲν εἰσαγωγικὰ τὰ δὲ ἐξαγωγικά. Il De Romanis ha interpretato questo testo come “tasse doppie sulle merci, quando entrano e quando escono dalla provincia”. Una interpretazione del genere confermerebbe l’ipotesi della tassazione doppia, per una aliquota complessiva del 50% del valore delle merci. Personalmente, preferisco tradurre il passo straboniano con “un doppio quantitativo di tasse viene riscosso, che deriva da un lato dalle importazioni, dall’altro dalle esportazioni”. Questa traduzione mi pare anche più coerente col contesto generale del brano straboniano, nonché con la evidence discussa in precedenza, proveniente da Berenice, che conferma l’esistenza di una dogana in città, in cui venivano controllate le merci in uscita dalla provincia e dirette in India (si vd. supra, pagg. 93-98). 376 377 102 2. L’età Altoimperiale samente superiore a quella di cui fruivano le normali città dell’Impero.379 Negli anni ’40 furono rinvenute nell’area della città due epigrafi di particolare interesse, che attestano la presenza in città di due funzionari, ognuno dei quali portava la qualifica di τεταρτώνης, ovvero “incaricato di riscuotere la τετάρτη”.380 La prima, datata al 161 d.C., è una dedica bilingue (greco – palmireno) a Marco Emilio Marciano Asclepiade, del quale ci viene detto che ricopriva la carica di βουλευτής ad Antiochia, oltre a essere un τεταρτώνης, carica di cui non si esplicita dove essa fosse effettivamente svolta. La dedica è posta da parte di mercanti provenienti da Spasinou Charax, importante porto commerciale nel Golfo Persico, posto nei pressi della foce del fiume Tigri:381 Μᾶρκον Αἰμίλιον Μαρκιανὸν Ἀσκληπιάδην Ἀντιοχέων βουλευτὴν τεταρτώνην οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι προηγουμένου αὐτῶν Νεση Βωλιαδους ἔτους βου´ μηνὶ Πανήμωι. Il secondo testo è un’iscrizione trilingue, latino – greco – palmireno ed è dello stesso periodo del precedente, datandosi al 174 d.C.382 Il personaggio che in esso è ricordato si chiama Lucio Antonio Callistrato; di lui non sappiamo se svolgesse altre funzioni oltre a quella di τεταρτώνης. Anche in questo caso, la dedica è posta da un mercante, come esplicitato dal testo. Del dedicante non è fornito il nome, né altre informazioni:383 L(ucio) Antonio Callis trato manc(eps) ĪĪĪĪ merc(?) Galenus actor Λ(ουκιῳ) Ἀντώνιῳ Καλ- Rostovtzeff 1932b; Ruffing 2013; Graf 2018, 481-496. AE 1947, nn. 179; 180. Per un commento si vedano Seyrig 1941; Starcky 1949, nn. 29; 113; De Romanis 2004. 381 AE 1947, n. 179. Si riporta la sola versione greca. 382 In questo caso, la datazione dell’epigrafe è registrata solo nel testo palmireno, che non è qui riportato. 383 AE 1947, n. 180. 379 380 103 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico λιστράτῳ τεταρτώνῃ Γαλῆνος πραγματευτὴς ἰδίος. I due testi attestano chiaramente che la τετάρτη era riscossa anche lungo il confine siriano, sulle merci di importazione orientale. La prima iscrizione fornisce delle indicazioni sul tragitto che le merci facevano per entrare nell’Impero. Dopo essere state trasportate via mare fino al Golfo Persico, erano scaricate a Spasinou Charax, e di qui risalivano il corso del fiume Eufrate per poi giungere a Palmira ed essere sottoposte alla consueta tassazione. Che l’imposta fosse riscossa a Palmira è dimostrato chiaramente dal fatto che lì la dedica fu posta, anche se il personaggio in essa nominato, Marco Emilio Marciano Asclepiade (cittadino romano, ma di chiara origine greca), faceva parte della βουλή di Antiochia e doveva quindi risiedere lì, piuttosto che a Palmira. I dedicanti si definiscono οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι προηγουμένου αὐτῶν Νεση Βωλιαδους, perifrasi che sembrerebbe rimandare a una organizzazione del viaggio da Spasinou Charax a Palmira sotto forma di carovana, guidata da un certo Nese figlio di Boliades. L’iscrizione può essere agevolmente accostata a un gruppo di altre analoghe, tutte rinvenute a Palmira, apposte da membri di carovane provenienti dal territorio partico, e in particolare da Spasinou Charax, che rafforzano l’idea di un imponente traffico commerciale che dalle coste del Golfo Persico portava a Palmira (e di qui nell’Impero) una cospicua quantità di merci orientali.384 La seconda dedica non aggiunge molti elementi al quadro appena descritto: anche in questo caso, il destinatario della dedica è un cittadino romano di origine greca, Lucio Antonio Callistrato. Di costui non sappiamo se svolgesse altri ruoli istituzionali, oltre a quello di τεταρτώνης; in compenso, però, l’epigrafe ci attesta la traduzione ufficiale di questo titolo in latino: manceps IIII merc., dove l’abbreviazione merc. potrebbe essere sciolta in mercaturae, mercatus, più probabilmente mercium, o qualche altro termine di analogo significato. Le analogie tra le due iscrizioni palmirene (peraltro quasi coeve) si possono così sintetizzare. In entrambi i casi un mercante (o un gruppo di mercanti) 384 Per un elenco esaustivo di tutte le iscrizioni, si veda Gawlinowski 1994, 32-33. 104 2. L’età Altoimperiale coinvolti presumibilmente con l’importazione di merci orientali nell’Impero385 ha apposto una dedica a un τεταρτώνης nella città in cui questi svolgeva il suo compito: Palmira. I personaggi destinatari delle due dediche sembrano appartenere alla élite urbana siriana. Essi infatti sono cittadini romani, come attestano i tria nomina canonici, ma di origine greca, come denunciano i loro cognomina: discendenti, quindi, della minoranza ellenica che aveva a sua tempo costituito il ceto dirigente dei regni ellenistici sorti dopo la morte di Alessandro Magno. Di uno dei due, Marco Emilio Marciano Asclepiade, sappiamo anche che fu membro della βουλή di Antiochia, il che conferma l’idea di personaggi di spicco della comunità locale. L’analogia appare evidente con gli arabarchi d’Egitto. Anch’essi erano esponenti di gruppi ricchi e potenti, la cui posizione di privilegio risaliva ai tempi dei Tolomei. Del resto è già stato sottolineato come, per poter svolgere il ruolo di arabarca (o, a questo punto, τεταρτώνης) era necessario disporre di sostanze ingentissime. I due personaggi ricordati a Palmira sono fatti oggetto di dediche speciali; sfortunatamente, nel testo delle due iscrizioni non si specificano i motivi per cui essi meritarono la riconoscenza dei mercanti siriani. Una suggestione potrebbe essere pensare che essi avessero fornito un supporto logistico proprio ai mercanti per affrontare il pur difficile viaggio da Spasinou Charax a Palmira,386 così come i loro colleghi arabarchi erano probabilmente coinvolti nella gestione del supporto logistico ai mercanti che attraversavano il deserto orientale egiziano. Non possiamo però esserne certi, e la domanda potrà avere difficilmente risposta, in mancanza di nuove scoperte epigrafiche. Le similitudini tra la situazione in Siria e quella in Egitto non si limitano allo status sociale degli esattori, ma riguardano anche la gestione complessiva del sistema di trasporto e tassazione delle merci importate. In entrambi i casi abbiamo un gruppo di mercanti che arrivano via mare ad un porto dell’area eritrea; 385 Anche se nel caso della seconda epigrafe non è detto esplicitamente che il dedicante è in rapporti commerciali con i Paesi dell’Est, ma solo che è un actor, è evidente che egli si occupasse di importare merci dall’Oriente. Solo sulle merci di provenienza orientale, infatti, ricadeva la τετάρτη. 386 La cosa sembrerebbe almeno possibile nel caso di Marco Emilio Marciano Asclepiade, la cui dedica è apposta specificamente da οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι προηγουμένου αὐτῶν Νεση Βωλιαδους, quasi a sottolineare che questi mercanti che viaggiarono tutti insieme difficilmente sarebbero riusciti a completare il loro viaggio, senza l’aiuto dell’Antiocheno. 105 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico successivamente, le merci sono scaricate e trasportate nell’entroterra grazie a un fiume, dai mercanti organizzati in gruppi di carovane. Infine, i prodotti vengono portati in una città, dove vengono sottoposti alla tassazione del 25% (Alessandria in Egitto, Palmira in Siria). I parallelismi tra le due situazioni appaiono evidenti. Ciò nonostante, non deve sfuggire una differenza fondamentale tra le due situazioni: mentre nel caso dell’Egitto lo sbarco delle navi avveniva in territorio romano (Myos Hormos o Berenice), il primo punto di approdo per i mercanti che sceglievano di entrare nell’Impero tramite la provincia di Siria era in territorio partico. Ciò avrà comportato, verosimilmente, una imposta da pagare al fisco partico all’arrivo a Spasinou Charax, che si andava a sommare alla τετάρτη da pagare a Palmira: il tutto sembrerebbe rendere decisamente meno conveniente l’approdo nel Golfo Persico, piuttosto che nel Mar Rosso. Tuttavia, si deve tenere conto anche di altri elementi ugualmente importanti, e cioè che i costi complessivi per i mercanti erano ben lungi dall’esaurirsi col pagamento delle tasse: a queste andavano aggiunte, ad esempio, le enormi spese di viaggio. In definitiva, il viaggio per l’India partendo dal Golfo Persico era decisamente più breve, per i mercanti che si muovessero dalla provincia di Siria. Tenuto conto di questa differenza, si può senz’altro affermare che le somiglianze tra il sistema in uso in Egitto e quello in uso lungo il confine siriano restano cospicue. Tirando le fila del discorso fatto sinora, bisogna comprendere in che modo le iscrizioni palmirene ci chiariscono la situazione di Leuke Kome. Finora abbiamo visto che in due punti nodali del commercio internazionale con l’Oriente i Romani avevano approntato delle stazioni doganali (Palmira in Siria, Alessandria e in certa misura Coptos in Egitto), dove veniva riscossa sempre la stessa tassa, la τετάρτη. La documentazione attesta senza ombra di dubbio lo stesso tipo di tassa a Leuke Kome, sui prodotti di importazione arabica. Meno chiaro è se dal testo del Periplus si possa ricavare anche la presenza di un ufficiale e un agente doganale romani. Eppure, è la natura stessa della τετάρτη che dovrebbe farci propendere a credere che il centurio di Leuke Kome fosse effettivamente romano e che i Romani avessero un controllo diretto, nella seconda metà del I secolo, sul Regno di Nabatea, al punto di imporre delle proprie tasse nel porto principale del piccolo Stato cliente e di provvedere tramite militari romani al mantenimento dell’ordine e della sicurezza nell’area. Questo è infatti, stando alle parole dell’anonimo, il compito principale del παραλήπτης e dello ἑκατοντάρχης, che si trovano a Leuke Kome διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν. Si è già avuto modo di dire come il caso del centurione romano a Leuke Kome possa essere in qualche modo comparato con quello della vexillatio romana a Farasan: in entrambi i casi si tratta di un 106 2. L’età Altoimperiale avamposto romano in un’area tecnicamente al di fuori dei confini dell’Impero, con funzione di mantenere sotto controllo una certa area. Oltre a ciò, la τετάρτη che era prelevata a Leuke Kome era certamente una tassa romana.387 Anzi, a questo punto potremmo spingerci ad affermare che tra I e II secolo si realizzò una vera e propria unificazione doganale, tramite la quale Roma prelevava la stessa aliquota sulle merci di provenienza orientale, a prescindere da quale fosse il tragitto che esse seguissero. E che, inoltre, proprio i percorsi che le merci dovevano seguire per entrare nell’Impero fossero assolutamente strutturati in modo tale da fare in modo che nessuno sfuggisse alla tassazione. I mercanti erano cioè forzati a passare tramite alcuni punti chiave, dove materialmente tutta la tassazione si svolgeva. Concentrare i flussi commerciali passanti per una provincia tutti in un’unica città doveva avere il vantaggio di poter effettuare più facilmente e rapidamente le operazioni di tassazione. Uno schema del genere è evidente per l’Egitto: qui i mercanti, dopo l’approdo in uno dei porti del Mar Rosso dovevano necessariamente passare a Coptos e di lì ad Alessandria, punto di passaggio obbligato dove la tassazione era materialmente effettuata. La stessa cosa sembrerebbe per il confine con il Regno dei Parti: i mercanti che provengono da Spasinou Charax arrivavano a Palmira, dove le loro merci erano sottoposte a tassazione. Il funzionario che qui lavorava come esattore non era un Palmireno, ma un Antiocheno. Se egli per svolgere il suo lavoro doveva operare a Palmira, evidentemente questa doveva essere l’unica dogana esistente nella zona, quantomeno nella provincia di Siria. Analogo è il caso di Leuke Kome. Il Periplus attesta che il porto, a differenza di quelli egiziani, ha uno statuto particolare, in virtù del quale è presente una dogana. Del resto Leuke Kome era l’unico approdo possibile, sulla costa araba, per le navi che trasportavano le mercanzie orientali. L’unica alternativa seria per chi volesse risalire dal sud dell’Arabia fino al Regno di Nabatea era affrontare le piste nel deserto, le quali però terminavano ad Hegra, altro avamposto doganale, in cui la presenza stabile di soldati romani è attestata, anche se poco chiari sono i dettagli. Il sistema era dunque strutturato in maniera da unificare l’aliquota sulle merci orientali, a prescindere da dove esse entrassero nell’impero, e in più faceva in modo che in poche città strategiche passasse tutto il flusso di merci, in modo da tenere meglio sotto controllo i mercanti e i loro prodotti. 387 D’altra parte, anche a Palmyra erano romani gli esattori della tetarte. Si veda anche Graf 2018, 489. 107 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) 1. I cambiamenti del IV secolo Il quadro che emerge dall’analisi della situazione dal IV secolo d.C. è profondamente diverso da quello di età imperiale. Il dato che appare evidente dall’analisi delle fonti di età tardoantica è il ruolo di primo piano svolto dai porti ubicati nella parte più settentrionale del Mar Rosso, ben più a Nord del 20° parallelo, soglia che costituiva una sorta di punto critico per le navi impegnate a risalire il Mar Rosso fino ai suoi recessi settentrionali.388 Per motivi di contesto ambientale i porti settentrionali erano oggettivamente poco funzionali per la navigazione nel Mar Rosso, il che spiega il successo delle installazioni più meridionali. Il tardo sviluppo degli attracchi settentrionali costituisce una caratteristica interessante, anche se è finora rimasto ai margini della storiografia sul Mar Rosso.389 La maggior parte dei lavori che si sono occupati di questo tema, in effetti, ha limitato l’analisi ai primi tre secoli della presenza romana nel Mar Rosso, spingendosi non oltre l’età dei Severi, riservando ben poco spazio a una sommaria trattazione dei commerci in epoca tardoantica, risolvendo la pratica con la semplicistica definizione di un periodo di crisi, in cui il livello dei commerci internazionali ebbe una notevole riduzione.390 Questa interpretazione è molto forte nella storia degli studi, nonostante negli ultimi decenni la quantità di informazioni sulla fase tarda dell’impero romano a disposizione per quest’area sia aumentata in modo significativo, grazie soprattutto agli scavi archeologici portati avanti nella regione a partire dalla fine del secolo Cfr. supra, Introduzione. Tra le poche eccezioni, vanno segnalati Ward 2007 e, in modo diverso, Power 2012. 390 Warmington 1928; Miller 1969; Sidebotham 1986a; Singh 1988; Young 2001; Tomber 2008; MacLaughlin 2014; Gurukkal 2016 seguono tutti una periodizzazione di questo tipo. 388 389 109 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico scorso. In particolare alcune di queste campagne di scavo, come quelle condotte ad Aila e Berenice, unite a una più accurata analisi delle fonti letterarie tardoantiche, hanno chiarito che la definizione dell’epoca tardoantica come un periodo di drastica riduzione del volume delle importazioni complessive dall’Oriente è certamente azzardata.391 Analizzeremo quindi nel dettaglio le evidenze documentarie di vario tipo che sono in nostro possesso, per comporre il quadro geografico del Mar Rosso tardoantico. Successivamente, si passerà all’interpretazione dei dati per cercare di comprendere il dettaglio del funzionamento di questo sistema. Per cominciare, cerchiamo di verificare quale fu la sorte di quelli che abbiamo identificato essere i tre porti principali di epoca altoimperiale, cioè Berenice e Myos Hormos sulla costa egiziana, e Leuke Kome su quella araba. All’elenco va poi aggiunto il porto fluviale di Coptos, col suo ruolo vitale per mantenere in uso gli approdi sulla costa egiziana. Berenice Gli scavi portati avanti dalle missioni coordinate dal Sidebotham hanno approfondito estensivamente la fase tarda della cronologia del sito, anche se di ciò relativamente poco è stato pubblicato.392 In particolare, è risultato evidente che la città conobbe un periodo di netta ripresa a partire dalla metà del IV secolo. Il periodo di prosperità economica è attestato archeologicamente, e si estende fino ad almeno la metà del V secolo, seguito da un periodo di stagnazione e successivamente di abbandono della città. Anche se la quantità di materiali ceramici relativi al I secolo d.C. è superiore a quella di IV-VI secolo, nella sua fase tarda Berenice sembra conoscere un significativo sviluppo urbanistico.393 L’impianto della città tardoantica appare essere decisamente più ampio di quello di epoca altoimperiale e, ancor più, tolemaica. Parte degli edifici tardi fu realizzata riutilizzando porzioni di costruzioni precedenti, come di consueto in quell’epoca. In generale, si può verificare il tentativo di trovare una soluzione al problema del progressivo insabbiamento della città, innalzando artificialmente l’altitudine della stessa, grazie all’uso di materiali di risulta.394 L’area di costruIn tal senso, molto significativo il lavoro di Power 2012. La maggior parte delle informazioni disponibili sono in Sidebotham 2002a; si veda inoltre Sidebotham 2011, 259-282. 393 Sidebotham 2002a, 218. 394 Sidebotham 2011, 262. 391 392 110 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) zione più recente presenta un impianto urbanistico regolare, ippodameo. Questo farebbe presupporre che una qualche autorità centrale abbia sovrinteso alla ricostruzione di Berenice in epoca tardoromana. Se si sia trattato di un potere politico locale, provinciale o imperiale, o piuttosto dell’azione di una élite o di un gruppo di imprenditori indigeni non è dato di sapere, sulla base dei dati finora a disposizione.395 È chiaro che avere un’informazione di questo tipo rappresenterebbe un grosso passo avanti nella comprensione delle dinamiche economiche che regolavano la vita non solo di Berenice, ma anche degli altri porti dell’area del Mar Rosso. Le indagini archeologiche hanno evidenziato un importante cambiamento demografico nel sito della Berenice tardoantica. Grazie allo studio delle sepolture in città, è stato possibile rilevare che in epoca alto imperiale gli abitanti di Berenice erano prevalentemente persone che provenivano dall’area nilotica dell’Egitto, che giungevano a Berenice per affari, tramite la pista che partiva da Coptos. In questo senso, l’esistenza di una tassa sul trasporto dei cadaveri a Coptos è indicativa del fatto che molti residenti a Berenice chiedessero poi di essere sepolti nelle aree di origine.396 Durante la fase tardoantica la situazione cambiò, e la maggior parte dei residenti provenivano dalle aree immediatamente circostanti la città, e dal deserto orientale, come provato dall’aumento del numero di sepolture rinvenute nell’area della città in questo periodo.397 Inoltre, anche in epoca tarda esistono indizi di una presenza stabile o semi stabile di mercanti indiani a Berenice.398 D’altra parte, mentre non mancano indicazioni sul sistema di rifornimento idrico della città in epoca imperiale, del tutto ignoto è come esso funzionasse in epoca tarda.399 Per quanto riguarda l’approvvigionamento di cibo, si può presumere che esso venisse prodotto in parte in loco e in parte importato dall’esterno, via mare. Venendo agli aspetti più strettamente legati al commercio, la rinascita urbana è direttamente legata a una rifioritura economica della città e al suo coinvolgimento nei traffici con l’Oriente. Le fonti contemporanee continuano a citare Berenice come porto di primaria importanza nei commerci con l’Oriente e le testimonianze archeologiche vanno nella stessa direzione, aumentando anzi proprio a 395 396 397 398 399 Sidebotham 2002a, 227-229. La tariffa di Coptos, si veda supra, pagg. 91-92, con la relativa bibliografia. Sidebotham 2011, 260-264. Sidebotham 2011, 261-262. Sidebotham 2003, 87-116. 111 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico partire dal IV secolo.400 Una quantità di ritrovamenti, come monete, brandelli di tessuti, resti di flora e fauna, indicano chiaramente che i contatti con l’Oceano Indiano erano frequenti, anche se sembra che nella fase tardoantica si siano particolarmente intensificati quelli con lo Sri Lanka, che potrebbe essere diventato il principale punto di approdo per i mercanti provenienti da Berenice.401 Va anche considerato che almeno parte di questi scambi si sarebbero potuti verificare in maniera indiretta, tramite intermediari, circostanza suggerita dalla abbondante quantità di reperti che fanno pensare a intensi contatti commerciali tra Berenice e il regno axumita.402 Nonostante i contatti con le altre aree del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano in epoca tardoantica fossero frequenti, quelli con le città del Mediterraneo si andarono affievolendo. Nei primi due secoli della nostra era intensi, seppur indiretti, erano stati i contatti tra il porto egiziano e molte aree del Mediterraneo centrale ed occidentale, come la Gallia, l’Africa e l’Italia, così come frequenti furono le connessioni con i principali porti del Mediterraneo orientale. Dalla seconda metà del IV secolo d.C., in base all’analisi dei rinvenimenti ceramici appare evidente che i contatti con le installazioni del Mediterraneo si ridussero, limitandosi all’area orientale. Questo dato però non riguarda solo Berenice, ma tutto l’Egitto tardoantico e va messo in relazione con le condizioni economiche e politiche precarie dell’Occidente romano.403 L’ultima fase della vita di Berenice si andò esaurendo a partire dalla prima metà del VI secolo d.C., quando la città fu abbandonata definitivamente.404 Tra le possibili cause del suo definitivo declino ci potrebbero essere il progressivo, inesorabile insabbiamento del porto, la concorrenza di altri centri commerciali come Adulis, nonché gli effetti della peste descritta da Procopio, che potrebbe aver inferto il colpo di grazia alle fortune economiche della città.405 Sidebotham 1997, 503-509. Tomber 2008, 161-170; Sidebotham 2011, 261; Power 2012, 38. 402 Sidebotham 1997, 508; Sidebotham 2002a, 231; Sidebotham 2011, 274. 403 Sidebotham 2002a, 233-234. 404 Sidebotham 2011, 279. 405 Procop., Bell. Pers., II, 22, 1-23, 21; II, 24, 8. Si vedano anche Keys 1999, 17-24; Sidebotham 2002a, 220; Sidebotham 2011, 280-282. 400 401 112 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Myos Hormos e Leuke Kome Entrambi i porti scompaiono dalle nostri fonti di epoca tardoantica, per cui non abbiamo informazioni scritte sulla loro sorte o sul loro eventuale abbandono. Tuttavia, è certo che nessuno dei due fosse operativo nella fase tarda del controllo romano sul Mar Rosso. Il porto su cui abbiamo maggiori informazioni è ovviamente Myos Hormos, grazie alle già citate campagne di scavo che hanno interessato il sito di Quseir Al-Qadim. Esse hanno permesso di accertare che la città fu sicuramente abbandonata entro il III secolo, per non essere mai più abitata nuovamente. Tuttavia, i motivi dell’abbandono di quello che è ritenuto da molti studiosi il principale porto romano sul Mar Rosso tra I e II secolo non sono chiari. In un certo senso anche più misterioso è il caso di Leuke Kome. In questo caso non c’è il conforto dei dati archeologici, anche perché il sito non è ancora stato individuato con certezza.406 Il porto scompare dalle nostre attestazioni letterarie posteriori al I secolo, per cui è facile ipotizzare che con ogni probabilità esso fu abbandonato nel corso del II o del III secolo, forse affetto dagli stessi problemi di Myos Hormos, o forse in seguito agli assestamenti successivi alla conquista della Nabatea da parte di Traiano. Sia per Myos Hormos sia per Leuke Kome, la maggior parte degli studiosi ha ipotizzato che essi furono colpiti dalle conseguenze della grave crisi che colpì l’Impero nel III secolo d.C., e da cui non si sarebbero più ripresi. L’analisi del Ward sintetizza bene l’opinione più diffusa su questo tema al momento: “However, the nature of Red Sea trade changed as a result of the decline of imperial authority, insecurity, and economic downturn during third century crisis. Myos Hormos and Leuke Kome were abandoned, and the Aksumite Kingdom rose to prominence. Merchants from the Roman Empire may have abandoned direct trade with India, although the causes and the results of this transformation are still largely mysterious.”407 406 407 Nappo 2010. Ward 2007, 161; opinioni simili sono espresse da Young 2001, 125-130. 113 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Coptos La storia di Coptos in epoca tardoantica è complessa e per certi versi contraddittoria. La città alla fine dell’epoca altoimperiale aveva uno status considerevole: μητρόπολις del νομός in cui essa si trovava (condizione che, peraltro, manterrà anche in epoca tardoantica), la sua posizione strategica alla confluenza di una serie di rotte commerciali le assicurava la prosperità economica, e una rete di postazioni militari la proteggeva da eventuali attacchi provenienti dal deserto. A partire dalla fine del III secolo d.C. le nostre informazioni documentarie su Coptos diminuiscono sensibilmente: i testi epigrafici e papirologici provenienti da essa o ad essa facenti riferimento diventano decisamente più rari, e anche le fonti letterarie latine e greche sono avare di accenni alla storia della città. Questo fenomeno è probabilmente ascrivibile ai travagliati eventi politico-militari in cui Coptos e tutta la Tebaide furono coinvolte fin dalla fine del III secolo, che segnarono negativamente la città, come riportato nelle nostre fonti latine e greche, laddove quelle copte cristiane non mancano di ribadire la prosperità e importanza che il sito aveva ancora in epoca tardoantica.408 Buona parte dei problemi di Coptos sono da ricondursi al suo coinvolgimento in fenomeni di ribellione verificatesi in Egitto alla fine del III secolo, per ben due volte. La prima si ebbe negli anni intorno al 290: la rivolta fu repressa violentemente in una data compresa tra il 291 e il 293-94 dall’imperatore in persona, Diocleziano o il suo caesar Galerio.409 Coptos prese parte all’insurrezione e ne fu anzi il centro principale, per poi essere infine punita dai tetrarchi per la sua infedeltà. Pochi anni dopo (296/297) ci fu un tentativo di secessione capeggiato da L. Domizio Domiziano, e dal suo complice, il corrector Aurelio Achilleo.410 La rivolta si estese a tutto l’Egitto e Domiziano arrivò persino ad autoproclamarsi imperatore ad Alessandria. Grazie a un dossier di papiri sappiamo che anche in questo caso Coptos fu coinvolta nella rivolta.411 Ma anche in questo caso Diocleziano stroncò ogni velleità secessionista. Egli cinse d’assedio Alessandria stessa nel 298, si recò poi nell’Alto Egitto e soggiornò per un periodo a Coptos. Non Fournet 2000, 196. Barnes 1976, 174-193; Fournet 2000, 198; Leadbetter 2002, 85-88; Sidebotham 2011, 260. 410 Sulla datazione e le vicende di questa rivolta resta fondamentale il contributo di Thomas 1976, 253-279. 411 P.Mich. III, 220. 408 409 114 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) sappiamo se furono presi ulteriori provvedimenti contro la città, che certamente non restò impunita per essersi ribellata due volte all’autorità imperiale in meno di dieci anni. Tra le conseguenze della repressione imperiale in seguito a questo periodo alquanto turbolento, le fonti riportano l’assedio e la distruzione di Coptos, avvenuta per mano di Galerio.412 La tesi della distruzione definitiva di Coptos ha avuto parecchio seguito in parte degli studiosi ed è stata considerata uno dei motivi principali del declino di Myos Hormos e Berenice.413 In realtà, nonostante le esplicite testimonianze delle fonti letterarie che parlano di distruzione della città, non ci sono prove concrete che essa abbia subito danni strutturali considerevoli. Probabilmente la punizione dei tetrarchi fu severa, ma di tipo diverso da quello che le testimonianze letterarie lasciano intuire. A fornire interessanti indizi per comprendere i retroscena di quanto avvenne abbiamo la testimonianza di un papiro da Panopolis, datato al 300 d.C., che cita un κάστρα τῆς Ποτεκόπτου414 toponimo non altrimenti conosciuto. La spiegazione proposta dall’editore per interpretare il toponimo sembra ragionevole: “Coptos was the centre of a revolt against Diocletian – either the rebellion of Domitianus or an earlier rising – and the city was taken and destroyed by the Emperor. I suggest that, as punishment for the city, it was proposed to abolish its name and substitute another, and that pending a decision on its new name it was referred to officially as ἡ ποτὲ Κόπτος, ‘the former Coptos’.”415 Una leggera variante a questa interpretazione è stata successivamente fornita dal Fournet: “on peut aussi penser que Coptos s’est vue tout simplement privée de nom en signe de ce que j’appellerais une « damnatio memoriae toponimique », Girolamo, Chronic., a.226: Busiris et Coptus contra Romanos rebellantes ad solum usque subversae sunt; Theoph., Chronogr., p. 7, ll. 23-25 ed. De Boor (= anno Mundi 5782): Τούτῳ τῷ ἔτει Διοκλητιανὸς καὶ Μαξιμιανὸς ὁ Ἐρκούλιος Ὁβουσίριν καὶ Κόπτον, πόλεις ἐν Θήβαις τῆς Αἰγύπτου, εἰς ἔδαφος κατέσκαψαν ἀποστατησάσας τῆς Ῥωμαίων ἀρχῆς; Zonar., XII, 31: Βουσίρεως δὲ καὶ Κόπτου πολέων Αἰγυπτιακῶν περὶ τὰς ἐκεῖ Θήβας οἰκουμένων εἰς ἀποστασίαν ἐκκλινασῶν, ὁ Διοκλητιανὸς ἐκστρατεύσας κατ᾿αὐτῶν εἷλέ τε αὐτὰς καὶ κατέσκαψεν; Cedr., 266D: τῷ ζ ἔτει αὐτῶν τὴν Βουσίριν καὶ τὴν Κόπτον, πόλεις ἐν Θήβαις τῆς Αἰγύπτου, ἀποστατησάσας τῆς Ῥωμαίων ἀρχῆς, εἰς ἔδαφος κατέσκαψαν. Il fatto che i tre autori greci utilizzino le stesse parole è un chiaro segnale del fatto che fanno tutti capo ad una fonte comune. 413 Si veda a tal proposito Sidebotham 2011, 260-261. 414 P.Panop.Beatty 2, 162; 187; 193. 415 P.Panop.Beatty 2, 162, nota. 412 115 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico qui pourrait aller de pair avec la destruction qu’elle aurait subie d’après quelques sources litteraires – destruction probablement plus symbolique que réelle.”416 Lo studioso francese fa anche notare che in quegli stessi anni anche ad altre due città nei pressi di Coptos fu cambiato nome: Kaine diventò Massimianoupolis, laddove Apollonoupolis Parva diventò Diocletianoupolis, in questo caso evidentemente per rendere omaggio a due città che si erano dimostrate fedeli duranti le insurrezioni di fine III secolo.417 Si sarebbe trattato, nel caso di Coptos, di una simbolica cancellazione della città, piuttosto che di una sua effettiva distruzione, come le fonti antiche lascerebbero intendere. Il quadro che esse offrono risentirebbe quindi di uno stereotipo, e sarebbe frutto di una esagerazione retorica, come ebbe già modo di sottolineare a suo tempo il Bowman: in realtà la città sopravvisse e recuperò la sua importanza, fino a diventare la sede del vescovo locale.418 In ogni caso la repressione tetrarchica dovette per un periodo tarpare le ali allo sviluppo economico della città, che fu però proprio dai tetrarchi messa al centro di un poderoso programma di potenziamento delle difese militari, che si andava a iscrivere nel più vasto programma di riorganizzazione militare della frontiera sud egiziana.419 Non è un caso che in questi anni faccia la sua comparsa nella documentazione la definizione κάστρα τοῦ Κόπτου, attestata nel già citato papiro del 300,420 nonché in uno del primo quarto del IV secolo da Hermoupolis.421 L’idea di una militarizzazione della città in epoca tarda è anche confermata dai dati archeologici in nostro possesso.422 Non si conosce con precisione la composizione dei reparti militari stanziati in città. Il papiro del 300 non dà informazioni chiare, mentre maggiori dettagli sono contenuti in una iscrizione del 316, rinvenuta a Coptos, che attesta la presenza di una vexillatio della Legio III Gallica e della Legio I Illyrica.423 La Notitia Dignitatum riporta invece la presenza in città di alcuni distaccamenti della Legio I Valentiniana e di equites sagittarii Fournet 2002, 53. Fournet 2000, 198; Fournet 2002, 54-55. 418 Bowman 1984, 35. 419 Bowman 1978, 25-38. 420 P.Panop.Beatty 2, ll. 162; 187; 193. 421 SPP, XX, 84, verso, col. 1, l. 13. Peraltro questo testo ci informa che ben presto Coptos poté recuperare il suo nome originale. 422 Fournet 2000, 199. 423 Bernard 1984, n° 91. 416 417 116 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) indigenae.424 L’ultimo documento che parla di presenza militare a Coptos è un dossier di ostraka di Aphrodito che attesta la presenza di buccellarii.425 A partire dal IV secolo in avanti, dunque, Coptos ritornò a recitare un ruolo significativo nella regione, anche se diverso da quello che aveva avuto fino a un secolo prima. Fu potenziato il suo ruolo di baluardo militare contro le incursioni dei Blemmii, anche in considerazione dell’arretramento del limes sud-egiziano operato da Diocleziano. Il suo ruolo di porto fluviale sul Nilo non venne meno, ma sicuramente la scomparsa di Myos Hormos dal novero dei porti internazionali dovette contribuire a ridurre il traffico commerciale passante da Coptos a partire dal III secolo. Le vicissitudini legate al periodo tetrarchico gettarono certamente la città in un periodo buio, da cui però si riprese con una certa rapidità. Tempo dopo, una nuova tappa significativa nella storia della città fu segnata da un nuovo cambio toponomastico. Sotto l’imperatore Giustiniano, infatti, la città fu ribattezzata Giustinianopoli, come sarebbe attestato da Giorgio di Cipro: Κόντω (l. Κοπτὼ) ἤτοι Ἰουστινιανούπολις.426 Non abbiamo purtroppo altre attestazioni di questo toponimo, né letterarie, né documentarie,427 e resta altresì difficile capire i motivi che spinsero Giustiniano I a ribattezzare la città col suo nome. Tutto ciò che si può dire al riguardo è limitarsi a sottolineare che il regno di Giustiniano fu caratterizzato da un significativo interesse per l’area di Coptos e del deserto orientale egiziano in genere, area in cui fu riavviato lo sfruttamento delle miniere auree.428 Oltre a ciò, nell’epoca compresa tra Giustino e Giustiniano, furono frequenti i momenti di attriti militari con le popolazioni ostili, residenti nella zona, come gli Himyiariti, per contrastare i quali si giunse a stringere alleanza con gli antichi nemici Blemmii. È possibile, quindi, che proprio per il ruolo chiave nella gestione di un’area divenuta così delicata Coptos sia stata onorata con l’apposizione del nome imperiale nel suo toponimo.429 Ciò che pare particolarmente interessante è che la testimonianza di Giorgio di Cipro Not. Dig. Or., XXXI 18, 19, 26, 36. Gascou e Worp 1990, 217-244, n° 16, 20, 21 e 25. 426 Georg. Cipr., 772. 427 In verità, si è anche proposto di ravvisare un’altra attestazione di questo nuovo toponimo di Coptos in un papiro contenente un contratto, databile al 711 o al 726 (Schiller , n° 5, l. 159). Tuttavia, la Ἰουστινιανούπολις a cui nel testo si fa riferimento potrebbe essere più probabilmente un’altra città, con lo stesso toponimo, situata nei pressi del delta del Nilo. Si veda Fournet 2002, 56-57. 428 Fournet 2002, 57-58. 429 Fournet 2002, 59-60. 424 425 117 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico attesterebbe un nuovo periodo di forte interesse nei confronti della città e la sua importanza strategica dal punto di vista militare che, a partire dall’epoca di Diocleziano, arriva fino almeno a quella di Giustiniano I. In conclusione, dei tre porti principali di epoca altoimperiale, solo uno era ancora attivo e fiorente a partire dal IV secolo, Berenice. E a questo punto appare chiaro perché il più meridionale dei porti egiziani abbia subito un periodo di relativo declino tra III e inizio IV secolo: il periodo difficile attraversato da Coptos ebbe certamente delle conseguenze negative sulla prosperità di Berenice, che era pressoché inutilizzabile senza il collegamento col fiume Nilo fornito dalla città fluviale. Nel corso del IV secolo, le due città poterono reciprocamente sostenere la propria rinascita economica. Questa rinascita, però, avvenne in un quadro molto diverso da quello che aveva caratterizzato i primi due secoli e mezzo del dominio diretto di Roma nell’area. 2. L’ascesa dei porti settentrionali Lo sviluppo considerevole del volume di traffici con l’Oriente nei porti romani nel Mar Rosso settentrionale in epoca tardoantica può risultare sorprendente, specie alla luce di quanto si è detto sulla geografia particolarmente ostile tipica di questa zona, e della difficoltà di navigarvi controvento. Prima di fornire una spiegazione complessiva per questo fenomeno è necessario analizzare nel dettaglio la storia di questi porti, nel corso dell’epoca tardoantica, per poi passare a valutare il fenomeno nel suo insieme. Aila Lungo tutta l’età tardoantica il ruolo di Aila è testimoniato da molteplici dati concordanti, tutti volti a identificare nella città un centro di notevole importanza, dal significativo ruolo strategico e commerciale.430 Sono tre gli ambiti in cui il nome della città sembra avere svolto un ruolo preminente: militare, commerciale e religioso. I primi due sono ovviamente quelli maggiormente connessi con l’argomento di questo lavoro. 430 Ward 2007, 163-164. 118 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Per quanto riguarda il primo ambito, quello militare, va ricordato che fu in seguito alla campagna militare di Traiano e la conseguente annessione del regno di Nabatea nel 106, che la città divenne parte dell’impero e diventò terminale della via Nova Traiana.431 Successivamente, va menzionata la testimonianza di Eusebio di Cesarea, il quale ricorda come la grande riorganizzazione militare di epoca tetrarchica non abbia mancato di coinvolgere Aila. Qui, infatti, negli anni attorno al 290 l’imperatore Diocleziano fece trasferire la Legio X Fretensis, precedentemente ubicata a Gerusalemme: Αἰλάμ. Ἐν ἐσχάτοις ἐστι -Παλαιστίνης- παρακειμένη τῇ πρὸς μεσημβρίαν ἐρήμῳ καὶ τῇ πρὸς αὐτὴν Ἐρυθρᾷ Θαλάσσῃ, πλῶτῃ οὔσῃ τοῖς τε ἀπ᾿Αἰγύπτου περῶσι καὶ τοῖς ἁπὸ τῆς Ἰνδικῆς. Ἐγκάθηται δὲ αὐτότι τάγμα ᾿Ρωμαίον τὸ δέκατον. Καλεῖται δὲ νῦν Ἀϊλά.432 “Ailam. Si trova sui confini (della Palestina) situata presso il deserto a sud e il Mar Rosso, navigabile per quelli che provengono dall’Egitto e per quelli che tornano dall’India. È sede della decima Legione romana. Ora è chiamata Aila.” L’evento indica chiaramente che lo status della città era cambiato definitivamente: quello che per secoli era stato un porto secondario del Regno dei Nabatei e poi della provincia d’Arabia era ormai diventato un importante centro militare della regione.433 Coerentemente con questo dato, va ricordato che Diocleziano promosse la costruzione di una strada ad uso militare, la Strata Diocletiana, che agganciandosi al punto più settentrionale della via Nova Traiana andava a creare un unico asse che da Aila raggiungeva il fiume Eufrate, correndo più o meno parallelo al limes romano-persiano. Questo asse ovviamente aveva una valenza strategica primaria perché consentiva di agevolare i movimenti dell’esercito romano su quel fronte e Aila ne divenne uno dei due terminali, alloggiando per di più un’intera legione.434 La crescita della città è testimoniata anche dalla fondazione in loco di una chiesa nell’anno 300, una delle più antiche del mondo.435 Power 2012, 28. Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21. 433 Parker 2000b, 128-134. 434 Per una riflessione generale sul tema della ristrutturazione militare di IV secolo nella provincia Arabiae, si veda Parker 1989, 355-372; Parker 2000c, 372-374. 435 Power 2012, 29. 431 432 119 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Nel corso di una campagna di scavo negli anni ’80 è stata rinvenuta in situ una iscrizione piuttosto frammentaria nei pressi di un edificio, databile tra il 317 e il 326, la quale parrebbe alludere proprio alla presenza della Legio X Fretensis in città.436 Che la legione fosse ancora presente due secoli dopo lo testimonia la Notitia Dignitatum, che riporta ancora alla fine del V secolo il distaccamento ad Aila. La legio rimase in effetti in città fino alla grande riorganizzazione militare di Giustiniano, nella prima metà del VI secolo.437 La produzione industriale aumentò nel IV e nel V secolo, come attestato dai dati archeologici e dall’aumento dell’attività mineraria nella regione.438 Anche i commerci aumentarono a partire dal IV secolo, come attesta la presenza di anfore provenienti da Gaza e dall’Egitto, dal Mediterraneo, in particolare ceramica fine africana ed egiziana.439 A sugellare la fioritura economica del sito, proprio all’inizio del IV secolo esso fu insignito del titolo di città.440 Ulteriore conferma del ruolo strategico svolto da Aila è fornita dalla testimonianza della Tabula Peutingeriana, la quale descrive la città come punto di congiunzione tra importanti rotte: una che essenzialmente segue la via Nova Traiana, a NordEst fino alla Transgiordania; una a Nord attraverso il Negev, fino alla Palestina; e una terza via attraverso il Sud, per il Sinai, fino all’Egitto. Per quanto riguarda più da vicino le fortune commerciali di Aila, possiamo innanzitutto avvalerci delle testimonianze di una serie di scrittori antichi, i quali non mancano di mettere esplicitamente in connessione il porto con i commerci internazionali diretti in Oriente. Il primo è proprio Eusebio di Cesarea, nel passo appena esaminato supra.441 Va però sottolineato come la maggior parte di esse risalgano prevalentemente al VI secolo, in particolar modo al periodo successivo al regno di Anastasio I. A tal proposito, ad esempio, è molto generoso di informazioni Procopio di Cesarea, il quale nel primo dei suoi libri di Bella menziona più volte Aila,442 sottolineando il ruolo della città in relazione al commercio passante per l’area del Mar Rosso.443 436 437 438 439 440 441 442 443 MacAdam 1989, 163-172. Parker 1996, 234-235. Parker 1997, 40; Parker 2006, 228. Parker 1998, 388-389; Parker 2000a, 392-393; 2003, 332; Ward 2007, 163. Lewin 2002, 321-322. Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21. Procop., Bell. Pers., I, 19, 3-4; I, 19, 19. Procop., Bell. Pers., I, 19, 23-26. 120 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Dello stesso periodo è Antoninus Placentinus, il quale ancora nel 570 ricorda come ad Aila approdassero navi provenienti dall’India, cariche di spezie: De monte Syna usque in Arabiam civitatem, quae vocatur Abela (= Aila), sunt mansiones VII. In Abela autem descendentes naves de India cum diversis aromatibus. Visum est nobis per Aegyptum reverti.444 “Dal monte Sina fino alla città araba che chiamano Abela sono sette mansiones. In Abela discendono navi dall’India con diversi aromi. Decidemmo di tornare per l’Egitto.” Certamente la più nota tra le fonti di questo periodo è l’opera di Cosmas Indicopleustes, il quale nella sua Topographia Christiana ricorda come ai suoi tempi i mercanti di Aila (insieme con quelli di Alessandria) fossero attivi nell’area del Mar Rosso, in particolare presso l’emporio axumita di Adulis: Ἐν τῇ Ἀδούλῃ τῇ καλουμένῃ τῶν Αἰθιόπων πόλει, παραλίῳ τυγκανούσῃ ὡς ἀπὸ μιλίων δύο, λιμένι ὑπαρχούσῃ τοῦ Ἀξωμιτῶν ἔθνους, ἔνθα καὶ τὴν ἐμπορίαν ποιούμεθα οἱ ἀπὸ Ἀλεξανδρείας καὶ ἀπὸ Ἐλᾶ ἐμπορευόμενοι […].445 “Nella città degli Etiopi chiamata Adulis, che si trova sulla costa a circa due miglia, che è un porto del popolo degli Axumiti, dove anche facciamo commercio noi mercanti provenienti da Alessandria e da Ela.” Si tratta delle testimonianze più tarde in nostro possesso, prima dell’arrivo degli Arabi, avvenuto pochi decenni dopo, nel 630. È certamente significativo che, quando la città fu infine conquistata dalle truppe arabe, Maometto in persona dovette fornire garanzie per la flotta e per le carovane terrestri e marittime, segno di un ancora fortissimo legame di Aila con il commercio.446 Un quadro più articolato sulla storia della città dal IV secolo in poi può essere delineato a partire dai dati acquisiti tramite scavi archeologici. Sotto questo punto di vista, va detto che fin dalla metà degli anni ’80 in particolare, gli scavi condotti dal Parker hanno portato un notevole contributo al nostro livello di 444 445 446 Antonin. Placent., CCSL, vol. 175, pag. 172, par. 40. Cosm. Indicop., II, 54. Zayadine 1994, 489; Power 2012. 121 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico comprensione generale del sito. In maniera non dissimile da quanto rilevato a proposito di Berenice, parrebbe che il sito d’epoca bizantina (IV-VII secolo) si sia ingrandito nel corso della sua storia ben più di quello d’epoca romana, come lascerebbe intuire l’invasione di una porzione dell’area cimiteriale da parte dell’abitato.447 L’analisi dei reperti ceramici rinvenuti in città permette di comprendere in quali direttrici commerciali essa fosse inserita e, in misura minore, quale fosse il livello raggiunto da questi scambi. Buona parte della ceramica databile tra III e VII secolo (60%) è di origine africana (destinata a declinare dal V secolo) e una cospicua minoranza è ceramica rossa egiziana (a partire dal IV secolo); tra i gruppi minoritari, ne troviamo di produzione axumita, dall’Etiopia.448 Per quanto riguarda le importazioni di anfore, a partire dal IV secolo il loro numero incrementa in maniera sensibile: troviamo contenitori di olio dal Nord della Siria, dall’Asia minore, e dalla Palestina.449 Tuttavia, i due tipi di gran lunga più comuni attestati ad Aila sono le anfore tipo Gaza (classi 48 e 49) e le anfore egiziane (classi 52-53).450 Le prime trasportavano principalmente vino, oltre a olio di oliva e di sesamo.451 La tipologia egiziana è la più attestata in assoluto, con i suoi 1.600 frammenti, più della metà di tutti i frammenti di anfore importate ritrovati: anche in questo caso, si tratta di recipienti per il trasporto di vino.452 L’importazione delle anfore egiziane andò avanti fino al VII secolo. Un ultimo accenno va fatto alla produzione locale di epoca tarda, molto abbondante: le cosiddette anfore “Aila-Axum”, attestate dal tardo IV all’inizio del VII secolo. Centinaia di frammenti ne sono stati ritrovati ad Aila, ma anche nei principali siti archeologici, lungo la costa del Mar Rosso, in Egitto, Yemen, Eritrea ed Etiopia, risultando attestati, ad esempio, ancora nel VI secolo a Berenice.453 Questo quadro permette di comprendere i forti legami commerciali che Aila, in epoca tardoantica, ebbe con tutto l’oriente romano, svolgendo il ruolo di grande nodo commerciale.454 La presenza della ceramica tipo Aila-Axum in tutto il bacino del Mar Rosso ne è Parker 1998, 381. Parker 2002a, 423-425. 449 Peacock e Williams 1986, 185-192; Ward 2007, 163. 450 Parker 2002a, 424. 451 Peacock e Williams 1986, 196-199. 452 Peacock e Williams 1986, 204-207. 453 Wilding 1989, 314; Sibebotham e Wendrich 1996, 159-161. 454 Per una sintesi aggiornata dei resoconti di scavo ad Aila l’ultimo testo per ora a disposizione è Parker 2003, 321-333. 447 448 122 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) un segnale evidente, ed andrà messa in relazione alla già citata testimonianza di Cosmas Indicopleustes, il quale sottolinea la presenza di mercanti provenienti da Aila nel porto di Adulis, il principale approdo axumita.455 Jotabe A partire almeno dal V secolo, un’altra località ubicata proprio nei pressi del Golfo di Aqaba pare aver assunto un’importante funzione, nel contesto del commercio internazionale eritreo. Si tratta dell’isola di Jotabe. Purtroppo, non disponiamo, allo stato attuale, di dati sufficienti a delineare in maniera abbastanza chiara la storia di questo insediamento. Cercheremo, dunque, di evidenziare i pochi punti fermi. Il primo e fondamentale nodo da sciogliere riguarda l’identificazione del sito. L’unica delle nostre fonti letterarie a fornire qualche indicazione precisa sull’ubicazione di Jotabe è Procopio. Egli, nel primo libro dei suoi Bella, attesta che l’isola si trovava a una distanza di 1.000 stadi dal porto di Aila: […] ἐς τὴν Ἰοτάβην καλουμένην νῆσον, Αἰλᾶ πόλεως σταδίους οὐχ ἧσσον ἢ χιλίους διέχουσαν.456 Sulla base di quest’unica informazione, senza il conforto di alcun dato archeologico, alcuni studiosi hanno proposto di identificare Jotabe con la moderna isola di Tirān, posta proprio all’ingresso del Golfo di Aqaba, distante da Aila all’incirca 1.000 stadi. Tuttavia, successive indagini archeologiche condotte a Tirān tra il 1956 e il 1957 non hanno portato alla luce alcuna testimonianza che possa far pensare a una frequentazione dell’isola in epoca antica; oltre a ciò, essa presenta caratteristiche ambientali poco favorevoli, essendo scarsamente provvista di acqua e costantemente battuta da venti ostili.457 In anni successivi è stata poi avanzata l’ipotesi di poter identificare Jotabe con l’isola di Ğeziret Fira‘un, apparentemente sulla base di dati provenienti da 455 Cosm. Indicop., II, 54. L’importanza del regno axumita nel contesto del commercio eritreo in epoca tardoantica è stato sottolineato giustamente dagli studiosi. Tuttavia, andrà ricordato che già nel Periplus Maris Erythraei, che si riferisce alla situazione di I secolo d.C., si parla di Adulis come di un porto di importanza notevole. Si veda, a tal proposito, Burstein 1997, 79-82; Peacock e Blue 2007; Zazzaro 2013; Zazzaro et all. 2014. 456 Procop., Bell. Pers., I, 19, 3. 457 Rothenberg e Aharoni 1961, 162. 123 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico scavo archeologico.458 La prima difficoltà che questa identificazione comporta è che Ğeziret Fira‘un è collocata a non più di 17 km da Aila; come se ciò non bastasse, gli scavi archeologici condotti nel sito hanno riportato alla luce solo resti di epoca mamelucca e crociata. Per questi motivi, anche l’identificazione con Ğeziret Fira‘un non può essere presa in seria considerazione.459 Ad oggi, dunque, l’ubicazione dell’isola resta ignota. Altro fondamentale problema è comprendere per quanto tempo l’isola ricadde entro la sfera di influenza romana. Le fonti antiche ne fanno menzione esclusivamente in un lasso di tempo compreso tra il 451 e il 536.460 Questo non vuol dire, è bene precisarlo, che al di fuori di questi limiti cronologici non sia esistita una comunità sull’isola: semplicemente, questo è l’unico periodo per cui disponiamo di una qualche documentazione. Tutte le nostre fonti sono concordi nel definire l’isola come una stazione doganale, in cui passavano le merci in arrivo dall’India per essere tassate e smistate nei vari porti.461 Il primo autore a parlare dell’isola è il sofista Malco di Filadelfia. Questi polemizza fortemente contro l’imperatore Leone per il suo atteggiamento troppo remissivo nei confronti dei nemici esterni allo Stato e riferisce di come, nel 473, il capo arabo Amorkesos sia riuscito a strappare Jotabe al controllo di Costantinopoli: ἐν δὲ τοῖς Πέρσαις ἦν ὁ Ἀμóρκεσος τοῦ Νομαλίου γένους· καὶ εἴτε τιμῆς οὐ τυγχάνων ἐν τῇ Περσίδι γῇ ἢ ἄλλως τὴν Ῥωμαίων χώραν βελτίω νενομικὼς, ἐκλιπὼν τὴν Περσίδα εἰς τὴν γείτονα Πέρσαις Ἀραβίαν ἐλαύνει, κἀντεῦθεν Si vedano, a tal proposito, Rothenberg e Aharoni 1961, 80-86; Solzbacher 1989, 178-181; Mayerson 1992, 3. 459 Mayerson, 1992, 3; Successivamente, in Mayerson 1995, 33-35, lo studioso ha proposto una ipotesi alquanto singolare, per provare a identificare l’antica Jotabe. Egli, analizzando i passi degli autori antichi che parlano dell’insediamento, ha provato a dimostrare che in effetti la maggior parte di essi non attesta in maniera esplicita che Jotabe fosse un’isola, e che in particolare le campagne militari intraprese dai comandanti romani per riassoggettare Jotabe sono descritte come spedizioni terrestri, piuttosto che marittime. Tuttavia, questa bizzarra ipotesi collide quantomeno con la esplicita affermazione di Procopio, che definisce Jotabe un’isola, lasciando apparentemente ben pochi dubbi al riguardo. 460 Abel 1938, 533-534: le due date che delimitano questo periodo sono quelle del Concilio di Calcedone (451) e della Sinodo di Gerusalemme (536), ai quali entrambi partecipò un “vescovo di Jotabe”. 461 Malchus, 2.404-06; Theoph., Chronogr. (ed. De Boor 1883), p. 141, 15-18; Choricius, Laud. Arat. et Steph. (ed. Foerster e Richsteig 1929), p. 65, 22-23 e p. 67, 17-19. 458 124 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) ὁρμώμενος προνομὰς ἐποιεῖτο καὶ πολέμους Ῥωμαίων μὲν οὐδενὶ, τοῖς δὲ ἀεὶ ἐν ποσὶν εὑρισκομένοις Σαρακηνοῖς· ἀφ’ὧν καὶ τὴν δύναμιν αὔξων προῄει κατὰ μικρòν. μίαν δὲ τῶν Ῥωμαίων παρεσπάσατο νῆσον Ἰοτάβην ὄνομα, καὶ τοὺς δεκατελóγους ἐκβαλὼν τῶν Ῥωμαίων αὐτòς ἔσχε τῆν νῆσον, καὶ τὰ τέλη ταύτης λαμβάνων χρημάτων εὐπóρησεν οὐκ ὀλίγων ἐντεῦθεν.462 “Tra i Persiani c’era Amorkesos, della tribù di Nomalios: questi lasciò la Persia e si diresse verso quella parte dell’Arabia che con la Persia confina. Partendo da lì, egli fece scorrerie e attacchi, non contro i Romani, ma contro i Saraceni in cui si imbatteva. Da ciò il suo potere aumentava poco a poco. Egli si impadronì di una delle isole dei Romani, chiamata Jotabe, e avendo espulsi gli esattori delle tasse romani, tenne in pugno l’isola, e accumulò una grande ricchezza esigendo le tasse.” Dunque, Amorkesos sembra assumere un atteggiamento alquanto contraddittorio: prima sceglie di passare dalla parte dei Romani e poi si impossessa di una delle loro isole. In realtà, il vero scopo del saraceno è chiarito poche righe dopo, quando Malco afferma che ὁ αὐτòς Ἀμóρκεσος τῶν πλησίον ἀφελóμενος κωμῶν ἐπεθύμει Ῥωμαίοις ὑπóσπονδος γενέσθαι καὶ φύλαρχος τῶν ὑπò Πετραίαν ὑπò Ῥωμαίοις ὄντων Σαρακηνῶν.463 Pertanto, l’obiettivo di Amorkesos era di essere riconosciuto quale ὑπóσπονδος καὶ φύλαρχος, imponendo con la forza la sua alleanza a Leone. L’azzardo fu premiato dal successo, perché, come Malco ricorda polemicamente, l’imperatore concesse senza troppa difficoltà il titolo di φύλαρχος al capo saraceno,464 a patto che questi accettasse di convertirsi alla religione cristiana.465 Malch., (edizione di R.C. Blockley, The Fragmentary Classicising Historians of the Later Roman Empire, Liverpool 1983) fr. 1, 7-16. 463 Malch., fr. 1, 17-19. 464 Sulla figura di Amorkesos in genere e sul significato della sua vicenda, nel contesto delle relazioni tra impero romano e tribù barbare alleate, si vedano Letsios 1989, 525-538. Interessante discussione sulla valenza del titolo di φύλαρχος durante l’epoca altobizantina in Mayerson 1991, 291-295. 465 Malch., fr. 1, 33-44. L’autore sottolinea anche come ad Amorkesos fu infine concesso non solo il controllo dell’isola, ma anche ἄλλας κώμας πλείονας. Nonostante la disapprovazione di Malco, la storia di Amorkesos è un tipico esempio di come Costantinopoli utilizzasse la cristianizzazione come strumento di controllo dei territori di frontiera e di alleanza con le popolazioni che vivevano in quelle zone. Si veda Cameron 2012, 175. 462 125 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Un particolare che è fondamentale ai fini della comprensione dell’episodio è che, fino all’arrivo di Amorkesos sull’isola, erano ivi presenti dei personaggi che Malco definisce usando un termine particolare, δεκατελóγοι. Questo termine, insieme ad altri sostantivi di analoga derivazione come δεκατευτήριον, δεκατευτής, o il verbo δεκατεύειν, si trova attestato essenzialmente nelle fonti di V e VI secolo.466 Essi fanno tutti riferimento alla riscossione di dazi doganali, e possono essere interpretati semplicemente come sinonimi di “doganiere”, senza alcun riferimento ad una precisa percentuale (10%), che rappresenterebbe la quota da pagare.467 A Jotabe c’era quindi una postazione doganale, dove degli addetti definiti δεκατολóγοι riscuotevano dazi su tutte le merci che entravano nell’impero. Questi funzionari statali furono allontanati da Amorkesos, allorché questi si insediò a Jotabe, impadronendosi anche dei proventi doganali, come ricordato da Malco: καὶ τὰ τέλη ταύτης λαμβάνων χρημάτων εὐπóρησεν οὐκ ὀλίγων ἐντεῦθεν. In conclusione, in base a quanto riportato da Malco possiamo dedurre una serie di punti fermi. Innnanzitutto, possiamo affermare che prima del 473,468 l’isola rientrava certamente nei domini dell’Impero Romano d’Oriente, che qui riscuoteva tasse doganali sulle merci di importazione estera, per mezzo di agenti definiti nel testo δεκατολóγοι. A partire dal 473, invece, l’isola divenne possesso di un φύλαρχος saraceno: ciò non comportò una sua completa fuoriuscita dall’orbita politica dell’Impero, però essa smise di fornire il suo gettito fiscale, di cui si impadronì Amorkesos. Si veda a tal proposito la ricca documentazione discussa da Antoniadis-Bibicou 1963, 75-95. Ancora una volta, fondamentale resta il lavoro di Antoniadis-Bibicou 1963, 92-95. Secondo la studiosa, in questo periodo la tassa che veniva imposta alle merci in entrata gravava per 1/8 del valore complessivo, e i funzionari addetti alla riscossione erano conseguentemente chiamati octavarii. Si veda, in ogni caso, anche l’interpretazione di Mayerson 1992, 3, il quale non fa riferimento al testo della Antoniadis-Bibicou, per cui parrebbe essere arrivato in maniera autonoma alla medesima conclusione: «The word […] has no connection with the specific amount levied on cargoes coming into the port. […] During this period, customs duties on imports and exports were charged at the rate of 12,5% - an eight (octava) of the value of the merchandise received or shipped». 468 Il dato cronologico è perfettamente in linea con quanto sappiamo dalla presenza, al Concilio di Calcedonia del 451 d.C., di un vescovo proveniente da Jotabe. Si tratta, come già evidenziato in precedenza, della più antica testimonianza di una presenza romana sull’isola. Si potrebbe anche aggiungere che questo insediamento doveva essere ormai abbastanza consolidato nel sito, essendo questo ormai nel 451 già diventato sede episcopale. 466 467 126 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Il nome di Jotabe ricompare dopo circa un quarto di secolo, intorno al 498, quando, per iniziativa dell’imperatore Anastasio, l’isola fu riconquistata da Romanus, dux di Palestina. Teofane Confessore descrive l’episodio in un passo della sua Chronographia: Romanus intraprese una campagna contro alcuni capi saraceni (Σκηνιτοί, nel testo), che avevano compiuto scorrerie nella sua provincia.469 La sua impresa fu coronata dalla riconquista di Jotabe e l’importanza dell’evento è sottolineato adeguatamente da Teofane: τóτε καὶ τὴν νῆσον Ἰοτάβην, κειμένην ἐν τῷ κόλπῳ τῆς ἐρυθρᾶς θαλάσσης καὶ ὑποτελῆ φóροις οὐκ ὀλίγοις ὑπάρχουσαν βασιλεῖ Ῥωμαίων, κατασχεθεῖσαν δὲ μεταξὺ ὑπò τῶν Σκηνιτῶν Ἀράβων, μάχαις ἰσχυραῖς ὁ Ῥωμανòς ἠλευθέρωσεν, αὖθις τοῖς Ῥωμαίοις πραγματευταῖς δοὺς αὐτονóμως οἰκεῖν τὴν νῆσον καὶ τὰ ἐξ Ἰνδῶν ἐκπορεύεσθαι φορτία, καὶ τòν τεταγμένον βασιλεῖ φóρον εἰσάγειν.470 Una corretta interpretazione della parola πραγματευτής è fondamentale per comprendere il senso del contesto. Si potrebbe tradurla semplicemente come “mercante”, o “mercante specializzato in commercio a lunga distanza.”471 Tuttavia, il contesto del brano sembra richiedere un’analisi più approfondita, per la quale sarebbe utile effettuare una comparazione con le attestazioni documentarie disponibili. La parola è spesso usata in connessione con attività commerciali,472 come equivalente greco del latino actor,473 con il significato di funzionario, o agente, spesso coinvolto nel processo di esazione delle tasse e dei tributi. Le testimonianze papiracee offrono molti esempi di uso con quest’ultimo significato,474 ma alcuni attestano un uso ancora più specifico e tecnico della parola, per Theoph. (ed De Boor 1881), p. 141, 1-11. Di devastanti incursioni di Arabi in Mesopotamia, Fenicia e Palestina in questo periodo ci parlano chiaramente anche Giovanni di Nikiu, Chron., 89, 33, Cirillo di Scitopoli, Vita Abraami, ed. E. Schwartz, pag. 244 ed Evagrio, Hist. Eccl., III, 36, il quale ricorda che gli Sceniti furono sconfitti “dai comandanti di ciascuna regione e dovettero successivamente umiliarsi tutti alla pace con i Romani (trad. F. Carcione)”, ma non fa alcun accenno alla riconquista di Jotabe. 470 Theoph., pag. 141, 12-17. 471 Safrai 1994, 189; Laiou 2002, 708-710. 472 Rozenfeld 2005, 127-136. 473 Harper 2011, 120-125. 474 Si vedano, ad esempio, P.Mich.Inv. 3275; 3778; 6185; 6902; O.Mich.Inv. 4267; P.Corn.Inv. I 80. 469 127 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico significare “esattore di tasse”: BGU I 356,475 P.Kell. I 15, P.Lips. I 64, O.Kell. 25476 e P.Oxy. XLII 3041. Dato il contesto cui fa riferimento il testo di Teofane, questa interpretazione sembra quella maggiormente appropriata. Questo però significa anche che la parola πραγματευτής sarebbe di fatto un equivalente dei δεκατελóγοι di cui parla Malco. Se è accettabile questa interpretazione, possiamo interpretare il testo di Teofane in maniera più pregnante: “L’isola di Iotabe, che è collocata nel Golfo del Mar Rosso e sotto il controllo dell’imperatore romano per (la riscossione di) tributi non piccoli, e che era stata nel frattempo occupata dagli Arabi Sceniti, venne liberata con violente campagne militari da Romanus. Egli poi concesse a esattori romani di vivere nuovamente in maniera autonoma sull’isola, per esportare mercanzie dall’India, e pagare all’imperatore il dovuto tributo.” Teofane pare avere ben chiaro che il vantaggio principale (se non l’unico) nell’aver riconquistato l’isola consiste nell’aver riguadagnato all’Impero un’importante fonte di gettito fiscale (φóροις οὐκ ὀλίγοις). Dopo il ristabilimento del potere imperiale, l’isola fu affidata a mercanti romani (Ῥωμαίοις πραγματευταῖς), che vivevano lì secondo un regime di semi-indipendenza (αὐτονóμως), ed avevano rapporti commerciali con l’India. Informazioni più dettagliate (le ultime, in ordine cronologico, in nostro possesso) ci vengono da Procopio di Cesarea e Coricio di Gaza e riguardano entrambe avvenimenti accaduti sotto il regno di Giustiniano I (527-565). Il primo dei due, in un passo della sua opera dedicato ad una rapida descrizione del Mar Rosso, ci offre la già citata indicazione sulla localizzazione dell’isola, che si troverebbe a “non meno di mille stadi da Aila”,477 e dopo aggiunge: ἔνθα Ἑβραῖοι αὐτόνομοι μὲν ἐκ παλαιοῦ ᾤκηντο, ἐπὶ τούτου δὲ Ἰουστινιανοῦ βασιλεύοντος κατήκοοι Ῥωμαίων γεγένηνται.478 Quindi, per Procopio, una comunità di Ebrei, da molto tempo (ἐκ παλαιοῦ) si era stabilita nell’isola, vivendo in autonomia, finché, al tempo di Giustiniano, si provvide a riportarli sotto il dominio romano.479 Non è Attestato un πραγματευτὴς πύλης Φιλαδελφίας (= agente della dogana di Filadelfia) Tutti attestano un πραγματευτὴς χρυσαργύρου. 477 Procop., Bell. Pers., I, 19, 3. 478 Procop., Bell. Pers., I, 19, 4. 479 La presenza di una comunità di Ebrei a Jotabe è confermata anche da un’epigrafe rinvenuta nella penisola del Sinai, insieme a rappresentazioni di oggetti cultuali ebraici, su cui si legge: 475 476 128 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) una coincidenza se Procopio usa quasi la stessa parola di Teofane, per descrivere la condizione degli Ebrei che risiedevano a Jotabe (αὐτóνομοι – αὐτονóμως). Questi mercanti ebrei dovevano coincidere del tutto, o almeno in parte, con i Ῥωμαίοι πραγματευταί di cui parla Teofane, cui fu affidata l’isola dopo l’intervento di Romanus. Essi, però, approfittarono della condizione di αὐτóνομοι di cui fruivano, se, come ci informa Coricio di Gaza, si resero colpevoli di gravi atti di insubordinazione, prendendo a pretesto motivi di ordine religioso, tanto che Aratius, dux di Palestina, come già il suo predecessore Romanus, dovette intervenire con decisione per riportare l’ordine sull’isola.480 Nel narrare come si svolsero i fatti, Coricio fornisce una brevissima descrizione dell’isola che, come al solito, si riduce alla fondamentale menzione delle tasse che essa produce grazie alle attività mercantili che la collegano all’India: νῆσóς ἐστιν ὄνομα μὲν Ἰοτάβη, τò δὲ ἔργον αὐτῆς ὑποδοχὴ φορτίων τῶν Ἰνδικῶν, ὧν μέγας φóρος τὰ τέλη. Successivamente, si passa a raccontare di come gli Ebrei si siano ribellati al potere dell’imperatore e si siano impossessati dei ricchi proventi doganali che spettavano al sovrano. Infine, dopo un lungo panegirico di Aratius e la descrizione delle attività belliche, Coricio giunge all’epilogo della vicenda: ancora una volta, l’isola torna nelle mani dell’impero, e Aratius la assegna a uomini fidati che riscuotano regolari tasse per l’imperatore (παραδέδωκας ἀνδράσι πιστοῖς τὸ χωρίον ἀργυρολογεῖν βασιλεῖ τεταγμένοις). Anche Coricio, come Teofane, chiarisce con quel βασιλεῖ chi fosse il soggetto che traeva il massimo profitto da tutto ciò.481 Dopo questo episodio, il nome di Jotabe semplicemente scompare dalle nostre fonti. Clysma Clysma era invece ubicata sulla costa egiziana, in prossimità dell’attuale città di Suez. Come abbiamo visto in precedenza, nell’area si è cercato di collocare il sito di almeno due porti di età ellenistico-romana, Arsinoe e Cleopatris. Le «Akrabos, figlio di Samuele di Maqna, del “figlio di Sadia”, di Jotabe». A tal proposito, si veda Rothenberg e Aharoni 1961, 181. 480 Choric. Gaz., Laud. Arat. et Steph., ed. Foerster e Richtsteig, 67-75. 481 Non sarà un caso che iniziative per recuperare l’isola furono prese, nel caso di Anastasio, da un imperatore accorto amministratore, proprio nello stesso anno in cui abrogò la collatio lustralis; e da Giustiniano, perennemente alla ricerca di fondi per finanziare le sue onerosissime campagne militari nel Mediterraneo. 129 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico fonti antiche parlano in complesso di tre città ubicate nel Golfo di Suez. Mentre le attestazioni dei toponimi Arsinoe e Cleopatris sono limitate all’epoca tardo tolemaica e alto-imperiale, il toponimo Clysma è attestato solo a partire dal II secolo, per la prima volta in Claudio Tolomeo,482 il quale però la definisce un forte (κάστρον), non un porto.483 Tolomeo fa anche menzione del canale di Traiano, collegante proprio Clysma e il Nilo. L’unico testo posteriore al II secolo d.C. che ricorda uno dei nomi più antichi di Clysma è la Tabula Peutingeriana, che attesta nei pressi del Golfo di Suez la presenza di due città, una di nome Arsinoe e un’altra di nome Clysma.484 Una parte degli studiosi ha quindi pensato che in realtà sia esistito un unico sito collocato nel Golfo di Suez, che avrebbe cambiato nome nel corso della sua storia, e che quindi i tre differenti toponimi si riferirebbero a uno stesso insediamento, in differenti epoche.485 Questa pare l’ipotesi più verisimile, anche in considerazione del fatto che è possibile, come visto, effettivamente verificare che il toponimo sembra variare in funzione dell’epoca, piuttosto che della posizione geografica. D’altra parte, in questo caso l’archeologia non può fornire molto aiuto per dirimere la questione. Il sito è stato oggetto di indagini archeologiche solo tra il 1930 e il 1932, ma i risultati, pubblicati negli anni ’60,486 sono insufficienti a garantire un’adeguata comprensione del contesto. In effetti, c’è stato anche chi ha dubitato che i limitati saggi di scavo effettuati negli anni ’30 avessero davvero indagato il preciso sito di Clysma, piuttosto che qualche altra città nelle vicinanze.487 In effetti, lo stesso Bruyère nei suoi resoconti indicava sette diversi toponimi con cui si poteva ipotizzare di identificarlo.488 Ptolem., Geog., IV, 5, 54. Stessa definizione anche in un papiro del 176 d.C., P.Hamb. 39. Si veda Fink 1971, 299. 484 Tab. Peut., VIII, 4. Sotto questo punto di vista la Tabula non può essere considerato un documento attendibile. Sono infatti noti altri casi di toponimi ormai scomparsi al tempo della redazione della mappa, che pure furono inclusi al suo interno. Il caso più celebre è certamente quello delle città vesuviane distrutte dall’eruzione del 79 d.C., eppure regolarmente riportate nella Tabula. Per una edizione critica della Tabula, si veda Prontera 2003. 485 Sidebotham 1986a, 3, 49. 486 Bruyère 1966. 487 Si veda, a tal proposito, la posizione molto critica, nei confronti degli scavi francesi, espressa da Mayerson 1996, 119, n. 2. 488 Anche se va preso in considerazione che il Bruyère propendeva, alla fine delle sue ricerche, per identificare senza alcun dubbio il sito da lui scavato con l’antica Clysma. Cfr. Bruyère 1966, 11-35. 482 483 130 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) I dati che emergono dai diari di scavo sono alquanto inconcludenti e spesso le affermazioni che vi troviamo non poggiano su prove realmente fondate. In sintesi, possiamo evidenziare pochi dati certi: il sito è di fondazione tolemaica (Tolomeo II), ma raggiunse il suo periodo di massimo sviluppo a partire dal regno di Diocleziano fino al VII secolo, quando cadde in mano araba. Questa affermazione poggia, tra l’altro, su quello che pare essere uno dei dati apparentemente più chiari degli scavi francesi: l’elenco delle monete rinvenute nel sito è costituito di circa 300 monete databili dal IV al VII secolo, contro una sola moneta, dell’imperatore Adriano, in rappresentanza di tutto il periodo precedente.489 Un dato di questo tipo è ovviamente di scarsa utilità per l’evidente incompletezza di informazioni sulle precise circostanze del ritrovamento. Per avere un quadro più articolato dell’evoluzione di Clysma non resta che rivolgersi alle fonti letterarie e documentarie. Abbiamo visto come le più antiche, in cui il nome della città fa la sua apparizione, risalgano al II secolo. Mentre Tolomeo riporta il nome della città, definendola un κάστρον, Luciano di Samosata, invece, in una sua opera satirica narra di un giovane uomo che, imbarcatosi ad Alessandria d’Egitto, navigò fino a Clysma e, di qui, fino in India: ἀναπλεύσας ὁ νεανίσκος εἰς Αἴγυπτον ἄχρι τοῦ Κλύσματος πλοίου ἀναγομένου ἐπείσθη καὶ αὐτòς εἰς Ἰνδίαν πλεῦσαι […].490 Nei secoli tra il II e il IV d.C. le menzioni letterarie di Clysma svaniscono, per poi ricomparire in testi di carattere religioso. Queste opere, prevalentemente appartenenti al genere letterario degli itineraria, non fanno menzione di alcuna rotta commerciale che partisse da Clysma, ma la citano quasi esclusivamente come tappa di pellegrinaggio per i fedeli che visitavano i luoghi santi, in particolare il punto in cui Mosé attraversò il Mar Rosso, fuggendo dall’Egitto.491 A partire dal V secolo la situazione muta abbastanza nettamente, e la città viene spesso ricordata come porto di primaria importanza per i traffici commerciali con l’Oriente. A tal proposito la testimonianza più famosa e articolata è senza dubbio quella di Pietro Diacono, vissuto nell’XI secolo, autore di un’opera intitolata Liber de Locis Sanctis, che riprende lo schema degli itineraria religiosi di Bruyère 1966, 88-94. Lucian., Alex. Pseudom., 44, 16-18. Si tratta, peraltro, dell’unico testo che paia fare un riferimento preciso al canale di Traiano come via di collegamento diretta tra Alessandria, Clysma e, di qui, all’India. 491 Si vedano Euseb., Onom., ed. E. Klosterman, p. 44; Philostorgius, Hist. Eccles., ed. J. Bidez, p. 35 (a proposito del quale, si veda anche Pigulewskaja 1969, 76). 489 490 131 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico epoca romana. La maggior parte degli studiosi ritiene che Pietro Diacono abbia elaborato la sua descrizione di Clysma sulla base del resoconto della pellegrina Egeria, che compì un viaggio in Terra Santa nel corso del V secolo. In effetti, nel suo Itinerarium Egeria cita esplicitamente Clysma e dice di aver visitato la città,492 ma non fa alcun accenno a un suo ruolo nel commercio con l’India. È stato quindi ipotizzato che Pietro Diacono per il suo resoconto avesse a disposizione una versione dello Itinerarium Egeriae più ampia di quella a noi pervenuta. Il testo di Pietro Diacono recita: Clesma autem ipsa in ripa est, id est super mare; nam portus mittit ad Indiam vel excipit venientes naves de India; alibi enim nusquam in Romano solo accessum habent naves de India nisi ibi. Naves autem ibi et multae et ingentes sunt; quia portus famosus est pro advenientibus ibi mercatoribus de India. Nam et ille agens in rebus, quem logotetem appellant, id est, qui singulis annis legatus ad Indiam vadit iussu imperatoris Romani, ibi ergo sedes habet, et naves ipsius ibi stant.493 “Invece Clysma è sulla costa, cioè sul mare; infatti è un porto che manda navi in India e accoglie navi che tornano dall’India; in nessun altro luogo dell’Impero romano le navi che tornano dall’India arrivano, se non qui. E quindi le navi che ivi si trovano sono molte e di grandi dimensioni; infatti si tratta di un porto famoso per i mercanti che vi provengono dall’India. Lì ha la sua sede un agens in rebus, che viene chiamato logotetes, che una volta all’anno va in India per volontà dell’imperatore romano, e le sue navi sono lì (a Clysma).” Come si vede, il testo contiene un resoconto piuttosto dettagliato, che presenta una città interessata da un intenso scambio commerciale con l’India. Ad un periodo analogo risale anche un interessante documento epigrafico. Si tratta di un editto promulgato dall’imperatore Anastasio I, in un anno imprecisato del suo regno. Il testo è stato oggetto di studio da parte di molti studiosi, e si avrà modo di tornarvi su infra. La parte iniziale del testo recita:494 Itinerarium Egeriae, VI, 4 – VII, 9; Petr. Diac., Liber de locis sanctis, CCSL, vol. 175, p. 101. Sull’analisi del complesso rapporto tra il testo di Egeria e quello di Pietro Diacono, si veda Brandes 2002, 614-621. 494 Per il testo dell’editto, si veda principalmente SEG 32, 1982, n° 1554. Si vedano anche SEG 30, 1980, n° 1710; SEG 34, 1984, n° 1507. 492 493 132 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Αὐτοκράτωρ Καῖσαρ [Φλαούϊος ?] Ἀναστάσιος, Εὐσε[βὴ]ς, Νικήτης [Τροπαιοῦχος Μέγισ]τος, ἀεὶ Σεβαστòς Αὔγουστος, δέδωκεν τ[οὺς ὑπογεγραμμένους θείους] τύπους· Ὥστε τὸν δοῦκα μóνα λαμβάνειν τὰ ἀφωρι[σ]μ[έ]να αὐτῷ κατὰ τò ἀρχαῖον ἔθος ὑπὲρ ἀννωνῶν καὶ καπίτ[ω]ν ἐκ τοῦ δημοσίου καὶ ἐκ τοῦ μέρους τῆς δωδεκάτης καὶ ἀπò ‹τοῦ› κομμερκιαρίου [γ]ε τòν ἐν [Μεσοπ]οταμίᾳ καὶ ἀπò τοῦ Κλύσματος [τ] òν ἐν Παλ[αισ]τίνῃ, καὶ μ[ηδὲν ἄλλο] ἐξ οἵας δήποτε αἰτίας λαμβάνειν. L’editto legifera in tema di rifornimenti spettanti ai duces delle varie province dell’Impero. In esso si stabilisce che il dux di Mesopotamia ha diritto ad avere rifornimenti da parte di un κομμερκιάριος, mentre quello di Palestina aveva diritto a essere rifornito da Clysma. L’interpretazione precisa di questo testo è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi moderni,495 e maggiore spazio sarà ad esso dedicato infra. Per ora basterà evidenziare che il testo in pratica lascia capire in maniera piuttosto chiara che Clysma era coinvolta nel processo di riscossione di dazi doganali, per cui si può dedurne facilmente che la sua importanza come porto doveva essere grande. Anche per Clysma, la testimonianza letteraria più recente attestante la vitalità del commercio internazionale è dovuta ad Antoninus Placentinus, il quale racconta anche di aver ivi comprato alcuni prodotti provenienti proprio dall’India: Ibi est et civitas modica, ubi etiam et de India naves veniunt. […] Illic accepimus nuces plenas virides, quae de India veniunt, quas de paradiso credunt homines esse.496 “Lì si trova una piccola città, dove provengono anche navi dall’India. […] Lì abbiamo preso delle noci mature, che sono importate dall’India, e gli uomini credono che provengano dal Paradiso.” Come si è potuto già notare per Aila, ci sono tracce di una continuità d’uso ancora in epoca araba,497 il che lascerebbe intuire che il porto dovesse essere ri- 495 Per la bibliografia di riferimento sull’iscrizione, si vedano Antoniadis-Bibicou 1963, 157164; Sartre 1982b, n° 9046; Oikonomides 1986, 33-53; Delmaire 1989, 283-290; Brandes 2002, 239-255; Haarer 2006, 45-48. 496 Antonini Piacentini Itinerarium, CCSL, vol. 175, p. 169. 497 P.Lond. 1326 (datato 710) e P.Lond. 1465 (databile tra il 709 e il 714). 133 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico masto in condizioni pienamente soddisfacenti e dotato di una flotta eccellente fino all’estrema fase di dominazione romana.498 Il nome di Clysma è associato indissolubilmente al canale che Traiano fece realizzare e che congiungeva la città con il corso del fiume Nilo, presso Babylon.499 Nel corso degli anni molti studiosi si sono confrontati con questo tema, pur senza arrivare a conclusioni largamente condivise.500 È in effetti a tutt’oggi ancora oggetto di dibattito se il canale rimase davvero aperto costantemente dal momento della sua realizzazione fino alla conquista araba dell’Egitto,501 e se esso sia mai stato utilizzato come via di comunicazione commerciale oppure solamente come canale di irrigazione. Vediamo innanzitutto di analizzare i documenti a nostra disposizione. Che il canale sia stato realizzato da Traiano lo attesta esplicitamente Tolomeo.502 L’unica fonte letteraria che parli esplicitamente di un viaggio in barca da Alessandria a Clysma tramite il canale, con successiva partenza verso l’India è di poco successiva: si tratta di Luciano di Samosata e del passo già ricordato del suo Alexander Pseudomantis.503 Si tratta quindi di una base troppo esile per poter pensare di trarne delle conclusioni fondate. Altre informazioni vanno necessariamente ricavate da altro tipo di documenti. Il canale richiedeva infatti periodici e costanti lavori di manutenzione per scongiurare il pericolo che esso si insabbiasse, motivo per cui fu istituita un’apposita λειτουργία, a cui sovrintendevano degli ἐπιμεληταῖ. Una serie di papiri cronologicamente compresi tra il II e il VI secolo comprova la regolarità con cui questi lavori erano effettuati, reclutando anche lavoratori stagionali.504 Jackson 2002, 76-78. Per il tracciato del canale, si veda il fondamentale recente studio di Aubert 2004, 219-252. Si veda anche quanto già detto al Capitolo 1. 500 Per una bibliografia di riferimento sul problema, si vedano Calderini 1920, 37-62; Bourdon 1925; Sijpestein 1963, 70-83; De Romanis 1996, 71-95; Cooper 2009; Aubert 2015; De Romanis 2015. 501 Secondo la testimonianza del cronista arabo Al-Maqrizi il canale sarebbe stato fatto insabbiare solo nel IX secolo. Si vedano al proposito Sijpestein 1963, 73; Sidebotham 1991, 16; Cooper 2009; De Romanis 2015. 502 Ptolem., Geog., IV, 5. 503 Lucian., Alexand. Pseudom., 44, 16-18. 504 Le testimonianze in tal senso sono cospicue e distribuite in maniera piuttosto regolare nel tempo. Anno 112: SB VI, 9545; anno 208 (ca.): P.Oxy. LX, 4070; anno 221: P.Bub. IV, 1; anno 297: SB V, 7676 (= P.Cair.Isidor., 81); fine III/inizio IV secolo: P.Oxy. LV, 3814; anno 332: 498 499 134 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Sfortunatamente, però, nessuno dei testi cui si fa qui riferimento accenna a una flotta mercantile a Clysma, né tantomeno a scambi commerciali con l’India o con qualche Paese del Mar Rosso. L’unica informazione certa che se ne può ricavare è che il canale di Traiano esisteva ancora ed era regolarmente sottoposto a manutenzione. Questo ha indotto più di uno studioso a ritenere che il canale fosse utilizzato solo come opera idraulica per garantire l’irrigazione dei campi nel Nord dell’Egitto. A tal proposito, molto significativa la posizione espressa dal Mayerson: “whether the canal was navigable at that time is unknown and whether the cleaning was designed to irrigate new lands along its route is equally unknown.”505 Sulla stessa lunghezza d’onda recentemente l’Adams: “[…] the Trajan’s Canal was not a regular transport route. It may have only been open during the Nile flood, and was probably only used for specific and usually military purposes.”506 L’Adams in effetti ammette la possibilità che il canale di Clysma fosse usato, se non per scopi commerciali, quantomeno militari. Questa ipotesi riposa evidentemente sulla testimonianza di due papiri, datati entrambi agli anni intorno al 710 d.C.,507 epoca in cui l’Egitto era ormai in mano araba. I due testi comprovano che ai loro tempi a Clysma era effettivamente stanziata una flotta, dato che suggerirebbe la presenza di una flotta ivi anche in epoca tardoromana. Di qui l’ipotesi del canale usato come via di comunicazione militare, e non commerciale, tra Alessandria e il Mar Rosso. Il problema è che però le ipotesi del Mayerson e dell’Adams sembrano prescindere da un dato ineliminabile: l’ascesa delle fortune commerciali di Clysma proprio in seguito alla realizzazione del canale. Non può essere considerata una mera coincidenza che esse inizino a crescere proprio a partire dal II secolo, per poi raggiungere un picco in epoca tardoantica. In questo senso, decisamente più ragionevole l’ipotesi proposta dall’Aubert in un recente saggio: “Il est clair que le commerce oriental était d’une grande importance économique et sociale pour le monde romain. Il suffit que les routes du désert Oriental, entre la vallée du Nil et la côte de la mer Rouge, aient été bloquées ou menacées pendant une certaine période par de pillards ou de rebelles, comme cela a été le cas au IIIe siècle ap. P.Oxy. XII, 1426; anno 358/359: SB V, 7756 (= P.Lond.Inv., 2574); anno 420/421: PSI 689; anno 423: PSI 87; data non precisabile tra V e VI secolo: P.Wash. I, 7. 505 Mayerson 1996, 121. Contra Young 2001, 75-79. 506 Adams 2007, 35. 507 P.Lond. 1326 (datato 710) e P.Lond. 1465 (databile tra il 709 e il 714). 135 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico J.-C. jusqu’à l’époque de Dioclétien, pour que la solution du canal redevienne d’actualité […]. Il n’est pas nécessaire de supposer que le canal ait été ouvert de manière permanente sur tout son tracé.”508 Il canale di Traiano potrebbe essere stato aperto solo in alcuni periodi, principalmente per le esigenze di rifornimento idrico della regione, e usato solo occasionalmente come via di comunicazione, ma connessa comunque ai commerci con l’Oriente. L’uso a fini commerciali di questa via di comunicazione appare quindi un elemento da accettare senza dubbio, a meno di voler negare una serie di dati determinanti. ‘Abu Sha’ar Proseguendo la nostra analisi della costa egiziana, possiamo rilevare la presenza di un nuovo sito, ‘Abu Sha’ar, ubicato presso la città di Deir Umm Deheis (27° 22’ N, 33° 41’ E). Il sito è noto agli studiosi fin dall’inizio del XIX secolo, e per lungo tempo si è pensato di poterlo identificare con la antica città di Myos Hormos.509 Essendo questa ormai localizzata con certezza nel sito di Quseir al-Qadim, la vecchia interpretazione è stata abandonata, anche se per ora non è ancora stato scoperto il nome antico di ’Abu Sha’ar. Per questa ragione, è chiaramente impossibile sperare di ricavare una qualche informazione sul sito nelle fonti letterarie a nostra disposizione. Tutto ciò che di esso sappiamo proviene dalle indagini archeologiche realizzate nell’area, principalmente a partire dagli anni ’80 del XX secolo. Gli scavi effettuato in situ hanno portato alla luce un insediamento nato, presumibilmente, nel IV secolo, attorno a un forte ivi costruito in epoca tetrarchica, misurante 77 x 64 m, con mura alte 4 m e spesse 1,5 m.510 Si tratta dunque di un insediamento a carattere eminentemente militare. Sono soprattutto i resti epigrafici a fornirci preziose informazioni su di esso. Ad esempio, la “data di nascita” dell’insediamento ci viene precisata da una monumentale iscrizione, ubicata originariamente su una delle due porte di accesso al forte, che conserva i nomi degli imperatori Galerio (305-311), Licinio I (308- Aubert 2004, 247. Una posizione non dissimile aveva espresso, pochi anni prima, anche Young 2001, 77: “While it might initially be difficult to imagine what other use the canal might have had aside from its commercial function, it is still doubtful that we could with justification call it a deliberate attempt to foster the Red Sea trade.” 509 Si veda la discussione già riportata supra, Capitolo 1. 510 Sidebotham 1994, 133; Bagnall e Sheridan 1994a, 159-160; Sidebotham 1996a, 773-783. 508 136 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) 324), Massimino II (309-313) e Costantino I (306-337), nonché del comandante, Aurelio Massimino, già noto col titolo di dux Aegypti Thebaidos utrarumque Libyarum, attestato dal 308/309 a Luxor.511 La presenza di questi quattro imperatori nella dedica ci consente di datare l’epigrafe agli anni 309-311, periodo in cui il forte fu realizzato, o, forse, ricostruito.512 L’iscrizione recita:513 Im[p. Ca]esar G[alerius Valerius Maximianus P.F. Invictus Aug. et Imp. Caesar] [Val. Lic]inianus Lic[inius P.F. inv. Aug. et Imp. Caesar Gal. Val. Maximinus P.F. Aug. et] Fl. Val. Constantinus f[il. Augg. indefe[…]…[ --]anis limitibus apta in lito[ curante Aurel. Max[imino duce Aegypti Thebaidos utrarumque Lybiarum La seconda parte della iscrizione risulta particolarmente interessante per comprendere quale fosse la natura dell’insediamento. Il primo rigo del secondo frammento è stato integrato limitibus apta in lito[re]. La ricostruzione è ragionevole e proverebbe che ‘Abu Sha’ar fosse parte di un vero e proprio limes. Questa affermazione potrebbe sembrare a prima vista bizzarra, data la posizione geografica di ’Abu Sha’ar, ben lontana dalla frontiera egiziana. A tal proposito, converrà fare riferimento a un noto studio di Benjamin Isaac sull’argomento; egli sosteneva che nel IV secolo “the term limes is attested as a formal administrative concept, denoting a frontier district administred by a military commander, dux.”514 La parola limes avrebbe quindi assunto un significato amministrativo, quello di un “distretto di frontiera” amministrato da un dux. ‘Abu Sha’ar era Cfr. AÉ 1934, nn. 7 e 8; Bagnall e Sheridan 1994a, 161. Sidebotham 1994, 143. 513 Per la ricostruzione del testo, si segue Bagnall e Sheridan 1994a, 159-160. 514 Cfr. Isaac 1988, 133; sulla questione generale del significato del termine limes si veda anche lo studio di Mayerson 1989, 287-291. Per l’interpretazione della frammentaria epigrafe, si veda, innanzitutto Bagnall e Sheridan 1994a, 160-161. In anni recenti è tornato sul documento anche Reddé (2002, 393), sostanzialmente confermando la linea interpretativa facente capo a Isaac e già accolta dagli editori dell’epigrafe. 511 512 137 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico considerabile come un distretto di frontiera, essendo esso collocato sulla costa del Mar Rosso, da cui poteva servire come caposaldo militare per controllare il deserto orientale.515 In più, esso, come attesta l’iscrizione, era legato alla figura di un dux, altro elemento fondamentale secondo la ricostruzione dello Isaac. Il capo militare in questione è Aurelio Massimino, noto per essere stato nominato dux Aegypti Thebaidos utrarumque Lybiarum. Si tratta di una figura creata dallo stesso Diocleziano con l’intento specifico di contrastare le scorrerie dei Blemmii nel deserto orientale egiziano.516 Ed è proprio questo il senso che è sotteso alla definizione di limes, applicata nella zona di ‘Abu Sha’ar: un limes interno, eppure vitale e importante, sottoposto a periodici e fastidiosi attacchi dei Blemmii, per contrastare i quali fu creata la figura del dux Aegypti Thebaidos utrarumque Lybiarum. Possiamo immaginare, quindi, che il forte di ’Abu Sha’ar fosse un tassello del distretto militare di un’unità amministrativa, frutto della grande ristrutturazione del sistema militare di confine, operata complessivamente da Diocleziano e Costantino I.517 Lo scopo di questa installazione sarebbe stato controllare le scorrerie delle bellicose tribù nomadi dei Blemmii e dei Nobadi.518 Quindi si tratterebbe di una postazione militare, non di un porto, come si era ritenuto ai tempi della scoperta del sito.519 Il punto successivo da chiarire è perché nel IV secolo si avvertì la esigenza di creare una simile installazione militare in quell’area, considerato che già nel Sud dell’Egitto (ad esempio a Coptos) erano stati presi provvedimenti per potenziare le difese romane contro le scorrerie dei barbari. Sotto questo punto di vista, può chiarire la situazione il frammento di un’altra epigrafe, forse in origine unita alla precedente. Il breve testo superstite recita:520 ]NOVAMAXIMI[ ]VMMERCATOR[ Power 2012, 33. Cfr. AÉ 1934, nn. 7 e 8, che attesta la presenza dello stesso Massimino nel 309/310 a Luxor con questo incarico; si veda pure Bagnall e Sheridan 1994a, 161. 517 Jackson 2002, 79. 518 Sidebotham 1994, 157-158. 519 Power 2012, 33. 520 Ancora una volta, si segue il testo e il commento fornito da Bagnall e Sheridan 1994a, 162163. 515 516 138 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Gli editori propendono per integrare il primo rigo in questo modo: Nova Maximi[ana. Se ne suggerisce, inoltre, un ipotetico ulteriore completamento: Ala] Nova Maximi[ana, nome di una unità cammellata in uso nell’area. L’iscrizione attesterebbe, dunque, la presenza di un distaccamento militare con questo nome nel forte. Per quanto concerne il secondo rigo, ne è stata suggerita la ricostruzione: ad us]um mercator[um. Se l’interpretazione complessiva è corretta, se ne potrebbe dedurre che l’occupazione militare del sito nel IV secolo fosse stata realizzata a beneficio dei mercanti, sia per proteggerli, sia per fornire loro un punto di approdo. Il confronto risulta immediato col complesso sistema di fortificazioni, esistente proprio nell’Est dell’Egitto, tra I-II secolo d.C., che aveva anche lo scopo di proteggere i mercanti impegnati a trasportare le merci verso il Nilo.521 I mercatores ricordati nell’iscrizione erano con ogni probabilità coinvolti nel commercio con l’India o, certamente, con l’area del Mar Rosso.522 Il forte fu occupato per quasi tutto il IV secolo e poi nuovamente dal V fino agli inizi del VII, ma in questa seconda fase rinacque come monastero, rifugio per monaci eremiti.523 Uno dei documenti più interessanti di questa fase estrema è certamente un altro frammento di iscrizione, risalente al VI secolo, che si riporta di seguito: ἐγὼ Ἀνδρέας ̣ [ ἰν ̣δικοπλεύσ ̣[της ἦλθον ὧ ̣δε .. [ Παῦν[ι.] ̣ ἰνδ(ικτίονος) θ̅ [ «Io Andrea … “colui che navigò in India”, giungo qui … Pauni -, nona indizione …» È poco chiaro in che modo vada interpretato l’appellativo di ἰνδικοπλεύστης: ̣ gli editori sono propensi a credere che l’India cui si fa riferimento qui corrisponda piuttosto all’area della Etiopia moderna, cosa plausibile, in considerazione del cambiamento semantico che la parola India subì in questo periodo.524 In ogni caso, l’iscrizione può essere considerata la prova della persistenza di scambi com- 521 522 523 524 Sidebotham 2017, 139-143. Bagnall e Sheridan 1994a, 162-163. Sidebotham 1994, 156; Jackson 2002, 79; Ray 2012, xvii. Bagnall e Sheridan 1994b, 112. 139 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico merciali passanti (se non originati) da ‘Abu Sha’ar, quantomeno col sud del Mar Rosso, ancora nel VI secolo. Marsa Nakari Il porto di Marsa Nakari è normalmente identificato con l’antica Nechesia. Dopo una prima fase di sviluppo in epoca tolemaica e nella primissima fase romana, il sito sembra conoscere un nuovo momento di espansione in epoca tardoantica. In particolare il materiale rinvenuto nel sito databile alla fase tardo romana è molto abbondante.526 Anche questo sito ha prodotto materiali normalmente associati con la presenza di Blemmii (ceramica del deserto orientale), e databili al periodo tra il V e il VII secolo.527 Tuttavia, i dati disponibili su questo sito sono ancora alquanto incompleti e non permettono di giungere a conclusioni definitive riguardo alla sua storia. È stato ipotizzato con buone argomentazioni che la ripresa tardoantica di questo insediamento potrebbe essere messa in collegamento con le riforme amministrative di Diocleziano nel sud dell’Egitto, in particolare con la sua decisione di arretrare a nord la frontiera e consentire alle popolazioni seminomadi esterne all’impero di stabilirsi all’interno di esso, con funzione di difesa dei confini.528 525 Isole Farasan Un elemento molto interessante è la ricomparsa, in epoca tardoantica, delle isole Farasan nella nostra documentazione. Nel Martyrium Arethae et sociorum è contenuto un riferimento diretto all’arcipelago. Secondo la testimonianza di questo testo, l’imperatore Giustino I nel 525 promise aiuti militari agli alleati cristiani Axumiti, in lotta con gli Himyariti dello Yemen, di fede ebraica. Gli aiuti militari furono spediti via mare tramite una flotta, composta di 60 navi mercantili: di queste, 20 appartenevano a Clysma, 15 ad Aila, 9 all’India, 7 a Jotabe, 7 all’isola di Farasan, 2 a Berenice:529 525 526 527 528 529 Seeger 2001. Sidebotham 2002a, 239. Power 2012, 34. Power 2012, 36-37. Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 10, 747. 140 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Ἔτυχην δὲ πρωῒ τòν θεράποντα τοῦ Θεοῦ Ἐλεσβαὰ συνάξαι ἐκ πάσης βασιλείας αὐτοῦ καὶ ἄλλων ἐθνῶν, πλῆθος χιλιάδων ἑκατòν εἴκοσι. Καὶ κατ’οἰκονομίαν τοῦ σωτῆρος, εἰσῆλθεν πλοῖα τῶν ἐμπóρων Ῥωμαίων καὶ Περσῶν καὶ Αἰθιóπων, καὶ ἐκ τῶν νήσων Φαρσὰν, ἑξήκοντα· οὔτως, ἁπò μὲν Ἀειλὰ τῆς πόλεως πλοῖα δεκαπέντε, ἀπò τοῦ Κλύσματος εἴκοσι, ἀπò Ἰοταβῆς ἑπτὰ, ἀπò Βερωνίκης δύο, ἀπò τῆς Φαρσὰν ἑπτὰ, ἁπò Ἰνδίας ἐννέα. “Al mattino il servo di Dio Elesbaà riuscì a mettere insieme un numero di 120.000 uomini, raccogliendoli da tutto il suo regno e da alter nazioni. E, secondo la volontà del Salvatore, giunsero navi da mercanti Romani, Persiani ed Etiopi e dalle isole Farasan, 60 in totale: così, 15 navi dalla città di Aila, 20 da Clysma, sette da Jotabe, da Berenice due, dalle Farasan sette, e nove dall’India.” Non è semplice, sulla base di questa sola testimonianza, capire quale fosse il reale rapporto tra l’Impero e le isole Farasan nel VI secolo. Prima della scoperta delle iscrizioni di epoca antonina nell’arcipelago, si riteneva che le isole Farasan fossero piuttosto nell’area di influenza di Axum.530 Ma il ritrovamento di quei documenti obbliga a prendere in considerazione l’ipotesi che esse nel VI secolo fossero (nuovamente ?) ricadute nella sfera di influenza romana, pur senza voler pensare a uno stabile controllo imperiale delle isole dall’epoca di Traiano fino a quella di Giustino. La testimonianza del Martyrium Arethae è poi interessante per almeno un altro motivo. Esso sembra fornire, per così dire, una graduatoria dei porti romani nel Mar Rosso nel primo quarto del VI secolo d.C. Difatti, il passo narra di come una flotta di 60 navi sia stata allestita per soccorrere il regno di Axum nella guerra contro gli Himyariti. Per questo scopo furono inviate navi da tutti i porti romani nel Mar Rosso, presumibilmente secondo la capacità di ognuno di allestire una flotta. In questa “graduatoria” i primi posti spettano a Clysma ed Aila, con rispettivamente 20 e 15 navi, seguite da Jotabe e Farasan con 7 a testa, e da Berenice con 2 sole navi. Altre 9 provenivano da una località definita “India” nel testo, termine con cui forse l’autore si riferiva proprio al regno axumita, o comunque a una qualche parte del Mar Rosso al di fuori del dominio diretto di Costantinopoli. Questa “graduatoria” è dunque in linea con quanto abbiamo ricavato complessivamente dall’analisi delle nostre fonti, secondo le quali nel 530 Baldry 1978, 89. 141 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico VI secolo i porti principali erano quelli del blocco settentrionale, in particolare Clysma e Aila, mentre Berenice affrontava un periodo di declino che l’avrebbe portata a scomparire dal novero delle installazioni portuali sul Mar Rosso entro il secolo successivo. 3. La periferia diventa centro Mentre i porti romani sembrano ritirarsi verso nord, contemporaneamente assistiamo a un fenomeno in qualche modo collegato, a sud. Si tratta dell’ascesa del regno di Axum, che a partire da quest’epoca occupa una posizione di rilievo nel contesto geopolitico del Mar Rosso. La formazione del regno axumita nella regione del Corno d’Africa è probabilmente da collocarsi tra il II secolo a.C. e il I d.C., al termine di un lungo processo di unificazione di vari insediamenti presenti nell’altopiano etiopico.531 Il porto principale del regno era Adulis, situata nella Baia di Zula, a circa 30 stadi (3,3 km) dal mare,532 e a otto giorni di marcia dalla capitale Axum.533 La città copriva un’area di circa 40 ettari. Il mare in questa zona è facilmente navigabile, anche grazie alla presenza di venti favorevoli.534 Le fonti greco-romane non fanno mai menzione del porto di Adulis, fino al Periplus, che per primo lo ricorda come un centro importante nel commercio del Mar Rosso, da cui si esportavano avorio (che sembra essere la merce principale), ossidiana, corna di rinoceronte, gusci di tartaruga e altri prodotti esotici.535 L’anonimo autore definisce Adulis un ἐμπóριον νóμιμον, un porto riconosciuto a livello legale. Non c’è consenso tra gli studiosi su come interpretare esattamente questa definizione, ma siccome essa è usata per soli tre porti sui 37 nominati nel testo, Casson ha suggerito che si trattasse di porti in cui il commercio avveniva secondo regole stabilite da un’autorità legale locale, a differenza di porti in cui si svolgeva un commercio regolato da convenzioni e/o accordi internazionali.536 Il Periplus sottolinea infine lo stretto legame tra Adulis e la sua metropoli Axum, il che implica che il commercio della prima fosse regolato dalla seconda. 531 532 533 534 535 536 Zazzaro 2013, 3. Oggi la distanza è di circa 7 km, a causa dell’insabbiamento del porto. Bowersock 2013, 11. Come testimoniato da PME, 4. Peacock e Blue 2007, 1-2; Zazzaro 2013, 5-6. PME, 4. Casson 1989, 274-276. 142 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Successivamente, è Plinio il Vecchio a menzionare il sito (oppidum Aduliton), collocandolo nel sinus Abalitu, nome con cui si è suggerito di identificare il golfo di Zula.537 Plinio attribuisce la fondazione di Adulis a schiavi egiziani sfuggiti ai propri padroni, e aggiunge che la città svolgeva il ruolo di intermediario commerciale tra i mercanti dei territori chiamati Barbaria (che si estendevano a sud dell’Etiopia) o i Trogoditi o gli Etiopi, e i mercanti romani.538 A partire dal III secolo, Axum vide il proprio ruolo nel contesto dei commerci interazionali crescere sempre più.539 Il regno si espande sul continente africano, arrivando a inglobare alcuni territori ad esso satelliti nel Corno d’Africa, inclusi altri porti minori che potrebbero aver integrato le funzioni di Adulis.540 L’espansione axumita si sarebbe spinta anche a controllare l’arcipelago delle isole Dahlak,541 e l’isola di Dese,542 nel tratto di mare prospiciente al porto, e il cui possesso risultava strategico per controllare le rotte marittime nella zona. Una fase nuova nell’imperialismo axumita si aprì quando iniziò l’espansione del regno in Arabia del Sud (attuale Yemen), approfittando dei conflitti scatenatisi tra i quattro regni che si contendevano la penisola arabica.543 È in questo contesto che fu probabilmente redatta l’iscrizione del cosiddetto Monumentum Adulitanum, un testo di difficile interpretazione che ci è stato preservato da Cosmas Indicopleustes. Questi nella sua Topographia Christiana afferma di aver viaggiato ad Adulis e di aver potuto vedere un’iscrizione su un trono, un monumento a carattere commemorativo,544 risalente all’epoca del dinasta lagide Tolomeo III. Il monumento doveva essere di dimensioni sufficienti a ospitare una lunga iscrizione.545 Oltre al trono, nel sito era presente anche una stele, ugualmente iscritta in greco. Cosmas interpretò le due iscrizioni come due parti di un unico testo, Plin., Nat. Hist., VI, 174; Bowersock 2013, 27. Plinio, NH, VI, 172. L’ipotesi di Plinio, peraltro basata sulla falsa etimologia greca del nome Adulis, è stata da tempo confutata dagli studiosi che si sono occupati del problema della cronologia della città (Bowersock 2013, 8; Zazzaro 2013, 3), anche se l’elemento di connessione tra l’Egitto e Adulis è stato rivalutato con buoni argomenti da De Romanis 1996, 152-156. 539 Sidebotham 2011, 261. 540 Zazzaro 2013, 5. 541 Insoll 2001. 542 Peacock e Blue 2007, 58. 543 Power 2012, 21. 544 Bowersock 2013, 15. 545 Frammenti di monumenti simili a quello di Adulis sono stati ritrovati in scavi archeologici ad Axum. Si veda Bowersock 2013, 16. 537 538 143 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico mentre sappiamo che si trattava di due documenti diversi.546 La stele risaliva effettivamente al tempo di Tolomeo III, mentre l’iscrizione sul trono era di epoca decisamente posteriore alla prima, scritta in greco e in ge’ez, celebrante la vittoria di un re aksumita sulle popolazioni dell’Arabia. Il testo, come riportato da Cosmas, è il seguente:547 “Il grande re, Tolomeo, figlio del re Tolomeo, e della regina Arsinoe, gli dei gemelli, nipote dei due sovrani re Tolomeo e della regina Berenice (...)” “(...) ed ho inviato una flotta e un esercito contro gli arabi e i Cinaedocolpiti che dimorano sull’altro lato del Mar Rosso, ed avendo deposto i sovrani di entrambi [i popoli], ho imposto su di loro un tributo e comandato loro di rendere il viaggio sicuro, sia via mare che via terra. Io così soggiogato l’ intera costa da Leuke Kome al paese dei Sabei. Io, il primo e solo dei re della mia razza ha fatto queste conquiste. Per questo successo offro ora il mio ringraziamento al mio potente Dio, Ares, che mi ha protetto, e con il cui aiuto ho sottomesso tutte le nazioni confinanti con il mio paese, a est verso il paese di incenso, e ad occidente in Etiopia e Sasu. Di queste spedizioni, alcune sono state condotte da me in persona e si sono concluse con la vittoria, [come anche] le altre che ho affidato ai miei ufficiali. Avendo portato così tutto il mondo sotto la mia autorità e alla pace, sono sceso ad Aduli ed ho offerto il sacrificio a Zeus, ad Ares e a Poseidone, che ho pregato perché protegga tutti coloro che attraversano il mare con le navi. Qui anche ho riunito tutte le mie forze e, ponendo questo trono in questo luogo, l’ ho consacrato ad Ares, nel venti settimo anno del mio regno”. L’iscrizione è di difficile interpretazione. Purtroppo, Cosmas non riporta nella sua opera il nome del monarca che la fece erigere, per cui individuarne la datazione precisa è impossibile,548 per quanto sia stata proposta con buoni argomenti che sia tratti di un documento di III secolo d.C.549 In seguito, Adulis è citata anche da fonti d’epoca più tarda come Procopio550 e il già citato Martyrium San- Bowersock 2013, 19-20. Cosmas Indicopleustes, II, 60-62. 548 Munro-Hay 1991, 79-80; Bowersock 2013, 44-45. 549 Bowersock 2013, 55. 550 Procop, Bell. Pers., I, 19, 21-22: ὁ μὲν οὖν τῶν Ὁμηριτῶν ὅρμος ἐξ οὗ ἀπαίροντες εἰώθασιν ἐς Αἰθίοπας πλεῖν Βουλικὰς ὀνομάζεται. διαπλεύσαντες δὲ ἀεὶ τὸ πέλαγος τοῦτο καταίρουσιν ἐς τῶν Ἀδουλιτῶν τὸν λιμένα. Ἄδουλις δὲ ἡ πόλις τοῦ μὲν λιμένος μέτρῳ 546 547 144 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) cti Arethae,551 entrambi di VI secolo d.C., ed entrambe attestanti l’importanza di Adulis nel commercio passante per il Mar Rosso. In questo periodo, abbondanti fonti archeologiche dimostrano la penetrazione dell’influenza axumita nel Mar Rosso, permettendoci di affermare senza ombra di dubbio che il regno era un protagonista degli scambi commerciali nel mondo del Mar Rosso.552 La sua ascesa commerciale, ovviamente, non sarà stata priva di conseguenze per gli equilibri economici nell’area. Cosmas ricorda la spedizione militare degli Etiopi in Arabia,553 supportata da Giustino I, che puntava a rendere gli Axumiti egemoni in Arabia del Sud. In questo modo, l’impero si sarebbe assicurata una testa di ponte importante sul lato orientale del Mar Rosso del Sud, chiudendo in qualche modo il cerchio dell’egemonia regionale. Si assiste quindi a una polarizzazione della presenza romana, forte sia nell’estremo nord che nell’estremo sud del Mar Rosso, quasi a cercare di controllare il Mare nella sua interezza, ma tramite la strategia di controllarne gli estremi nord e sud. Si tratta di uno scenario molto diverso da quello di epoca altoimperiale, molto più articolato. Complessivamente, potremmo dire che la presenza romana nel Mar Rosso in epoca tardoantica si fa più invasiva di quanto non fosse mai stata prima.554 4. Il sistema di tassazione in epoca tardoantica Analizzare il funzionamento del sistema di tassazione sulle merci orientali in ingresso nell’Impero in epoca tardoantica è cosa non semplice, in considerazione della frammentarietà delle informazioni a nostra disposizione. Tuttavia, esistono una serie di documenti di indubbio interesse che ci possono aiutare ad avere un’idea complessiva di come questo meccanismo funzionasse e, cosa particolarmente interessante per i nostri fini, verificare fino a che punto il sistema tardoantico sia analogo a quello che abbiamo visto essere in funzione in epoca altoimperiale. εἴκοσι σταδίων διέχει ῾τοσούτῳ γὰρ διείργεται τὸ μὴ ἐπιθαλάσσιος εἶναἰ, πόλεως δὲ Αὐξώμιδος ὁδῷ ἡμερῶν δώδεκα. 551 Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 10, 747. 552 Peacock e Blue 2007, 9-12; Power 2012, 22-23; Zazzaro 2013, 6-7. 553 Bowersock 2013, 92-105. 554 Si veda a tal proposito Speidel 2017. 145 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Punto di partenza obbligato per questa analisi sono gli arabarchi, la potente corporazione che gestiva un sistema complessivamente molto ben radicato e organizzato efficientemente. È logico pensare che questa struttura sia stata mantenuta funzionante anche in epoca tardoantica, e abbiamo in effetti almeno due testimonianze che proverebbero come gli affari degli arabarchi siano continuati indisturbati lungo tutta l’epoca di dominazione romana. Il primo testo è una legge riportata nel Codex Iustinianus, che ricorda agli arabarchi che essi non erano autorizzati in nessun caso a imporre dazi sul passaggio di animali da soma, nonostante si trattasse di una pratica consolidata. Il testo è datato al 381 d.C., e risale quindi al regno di Teodosio il Grande: Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. Usurpationem totius licentiae submovemus circa vectigal Alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum, nihilque super transductione animalium, quae sine praebitione solita minime permittenda est, temeritate per licentiam vindicari concedimus. GRAT. VALENTIN. ET THEODOS. AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG.555 Il testo, oltre ad informarci della presenza e della attività degli arabarchi in questo periodo, ci permette di avere anche una informazione su quello che doveva essere un tipico abuso perpetrato dai doganieri, quello di imporre dazi sul passaggio di animali, oltre che sul carico che essi portavano. Per questo motivo gli imperatori si preoccuparono di ribadire loro quali fossero i reali limiti della autorità che gli era concessa. Il secondo documento è invece una fattura in cui si fa menzione di una stazione della arabarchia ubicata ad Antinoe, databile al 568 d.C.: ἐν Ἀν[τ]ινόου πόλει τῇ λαμπροτάτῃ Αὐρήλιος Μαρτῖνος υἱὸς Σαβινιανοῦ, ἐκ μητρὸς Μάρθας, δοῦλος τοῦ ἐνδόξου οἴκου τοῦ πανευφήμου Ἀθανασίου πατρικίου, γενάμενος [δ]ὲ καστρις Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἀλαβάρχῃ, πράττοντι τὴν ἀρχὴν ἐπὶ ταύτης τῆς Ἀντινόου πόλεως, [Α]υρηλίῳ Κολλούτῳ βίκτορι ὀρνιθᾷ ἀπὸ τῆς πόλεως, χαίρειν.556 555 556 Cod. Just. 4, 61, 9. P. Cairo Masp. II, 67.166, ll. 4-10. 146 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Complessivamente, dunque, pur trattandosi di due soli documenti, riescono quantomeno a garantire che la istituzione della arabarchia restò in funzione praticamente per tutto il periodo di dominazione romana in Egitto. Purtroppo, va aggiunto che questi documenti, pur confermando che gli arabarchi erano coinvolti nei processi di prelievo fiscale, nulla ci dicono sulle loro funzioni in questo periodo, né ci informano se in qualche misura l’organizzazione generale di tale prelievo fosse cambiata, dopo il II secolo. In nessuno dei due documenti, ad esempio, troviamo riferimenti a Coptos o ad Alessandria, i centri d’azione principali degli arabarchi tra I e II secolo d.C. È anche vero che i pochissimi dati a disposizione ci fanno comunque propendere per un’ipotesi di continuità, perché esiste attestazione della presenza di arabarchi ad Alessandria in epoca giustinianea.557 Per quanto riguarda invece Coptos non possiamo esserne certi, ma il fatto che la corporazione sia ancora attestata fino al VI secolo inoltrato ci porta a credere che sostanzialmente l’organizzazione territoriale a cui essi facevano capo sia rimasta invariata. Del resto, il fatto che Coptos continuò a essere considerata come un centro chiave nell’economia della regione e che sia stata anche posta al centro di una complessiva riorganizzazione militare dell’area induce a ritenere che avesse conservato anche il suo ruolo di punto di registrazione per le merci provenienti dall’Oriente. Mentre per Alessandria e Coptos, quindi, si può pensare a una continuità di funzione “doganale” lungo circa sette secoli di dominazione romana, diverso è il discorso per l’altra grande “porta di ingresso” con funzione di stazione doganale collocata sul Mar Rosso, Leuke Kome. È già stato ricordato che non c’è alcuna attestazione in nessun tipo di fonte della sopravvivenza di questo porto, dopo la fine del I secolo d.C. Anche a voler prendere per buona l’ipotesi che Tolomeo nella sua lista abbia erroneamente confuso il nome di Leuke Kome con Leukos Limen,558 questo sposterebbe l’ultima testimonianza della esistenza della città al II secolo d.C. Dal momento che Leuke Kome aveva un fondamentale ruolo nella riscossione dei dazi doganali sulle merci in ingresso nell’Impero, se effettivamente il porto fu abbandonato in un’epoca non meglio definibile compresa tra fine del II e III secolo d.C., è logico aspettarsi che i Romani non abbiano rinunciato a riscuotere le ricche tasse sui beni di importazione orientale, e che con ogni probabilità si siano limitati a scegliere un altro luogo, meglio collocato, per assolvere a questa importante funzione. Questo 557 558 Iust., Nov., XI, 2. Ipotesi formulata da Cuvigny 2003a, 28. 147 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico luogo non può che essere stato Jotabe, come risulta chiaro analizzando la storia di questo insediamento.559 L’isola fu teatro di diverse campagne militari e insurrezioni, proprio a causa del suo ruolo di porta doganale. Anche se le uniche attestazioni che abbiamo dell’isola sono comprese tra il 451 e il 536, se si leggono con attenzione le testimonianze letterarie riguardanti l’isola, si può notare chiaramente che essa è ricordata solo in quanto teatro di combattimenti. Essa è citata solo per due motivi: o per segnalare che un qualche nemico se ne è impossessato, oppure per celebrarne la riconquista da parte dell’Impero. Probabilmente essa mancava dell’interesse religioso che potevano avere città come Aila o Clysma, né era un terminale commerciale: si trattava di una vera e propria stazione doganale, in certa misura analoga a Coptos, la quale a sua volta non era la destinazione ultima delle merci che ivi passavano. Il fatto che Jotabe nel 451 fosse già sede di un vescovo lascia presumere che la comunità di residenti romani nell’isola fosse ormai da tempo stabilmente organizzata. D’altra parte, la mancanza di attestazioni successive alla campagna di epoca giustinianea può essere facilmente attribuibile al fatto che in quel caso la riconquista fu definitiva, per cui Jotabe smise di suscitare l’interesse dei cronisti romani. La mancanza di riscontri archeologici sull’isola diventa quindi particolarmente grave, perché essi sarebbero stati l’unico mezzo per poter arrivare a una definizione più precisa della cronologia della dominazione romana. La identificazione di Jotabe come stazione doganale sul lato arabico del Mar Rosso non esaurisce in ogni caso la nostra analisi dell’area, perché resta da capire dove fossero tassate le merci che approdavano a Clysma, che a differenza di Berenice non era collegata a Coptos. A tal proposito, alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’isola di Jotabe fungesse da stazione doganale per entrambi i porti principali del Mar Rosso settentrionale, Aila e Clysma.560 Questa ipotesi però non può essere dimostrata positivamente, e d’altra parte Procopio riporta chiaramente che Jotabe si trovava nel Golfo di ‘Aqaba, il che renderebbe difficile ipotizzare che essa potesse effettivamente servire da dogana per entrambi i porti settentrionali. Ovviamente, una eventuale identificazione dell’isola potrebbe gettare una luce diversa su questo problema. Tutto ciò che si può affermare sulla base di una qualche documentazione è che Clysma parrebbe aver funzionato per un periodo essa stessa come stazione 559 560 Sulla storia di Jotabe, si vedano le pagg. 123-129. Si veda in particolare Sartre 1982b, 116. 148 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) doganale. Il testo dell’editto di Anastasio cui si è già fatto riferimento in precedenza parrebbe delineare proprio un simile scenario. Si riporta nuovamente la parte iniziale del testo: Αὐτοκράτωρ Καῖσαρ [Φλαούϊος ?] Ἀναστάσιος, Εὐσε[βὴ]ς, Νικήτης [Τροπαιοῦχος Μέγισ]τος, ἀεὶ Σεβαστòς Αὔγουστος, δέδωκεν τ[οὺς ὑπογεγραμμένους θείους] τύπους· Ὥστε τὸν δοῦκα μóνα λαμβάνειν τὰ ἀφωρι[σ]μ[έ]να αὐτῷ κατὰ τò ἀρχαῖον ἔθος ὑπὲρ ἀννωνῶν καὶ καπίτ[ω]ν ἐκ τοῦ δημοσίου καὶ ἐκ τοῦ μέρους τῆς δωδεκάτης καὶ ἀπò ‹τοῦ› κομμερκιαρίου [γ]ε τòν ἐν [Μεσοπ]οταμίᾳ καὶ ἀπò τοῦ Κλύσματος [τ] òν ἐν Παλ[αισ]τίνῃ, καὶ μ[ηδὲν ἄλλο] ἐξ οἵας δήποτε αἰτίας λαμβάνειν.561 “L’imperatore Cesare [Flavio ?] Anastasio, Pio, Vincitore, Trionfatore Massimo, per sempre Sebastòs Augusto, ha emanato le sacre leggi scritte qui sotto: Che solo il dux riceva quanto fissato per lui secondo l’antica consuetudine per l’annona e il foraggio, dal tesoro pubblico, e dalla parte della dodicesima, e dal commerciarius per il dux di Mesopotamia e (da quello di ?) Clysma per il dux di Palestina; che essi non ricevano niente altro, per nessun motivo.” Il testo stabilisce che due duces, quello di Mesopotamia e quello di Palestina, possono prelevare parte del loro rifornimento, rispettivamente, ἀπò ‹τοῦ› κομμερκιαρίου (τòν ἐν Μεσοποταμίᾳ) e ἀπò τοῦ Κλύσματος (τὸν ἐν Παλαιστίνῃ). Almeno uno dei due duces, quello di Mesopotamia, trae certamente parte dei suoi proventi da un non meglio precisato commerciarius.562 Più spinoso interpretare correttamente il caso del dux Palaestinae: il testo mostra in questo punto una certa ambiguità, non fornendo la certezza che un commerciarius fosse di stanza anche a Clysma. Appare chiaro, a questo punto, come sia fondamentale capire cosa si nasconda dietro il termine commerciarius. Per i riferimenti al testo dell’editto, si veda supra, n. 494. In questo momento mi preme sottolineare come non debba essere considerato sorprendente che un dux potesse esigere delle imposte da un funzionario che, come il nome chiaramente denuncia, era coinvolto con il commercio estero. La situazione è analoga, per esempio, a quanto accadeva nell’Ellesponto e nel Bosforo, dove, sempre sotto Anastasio, le navi che attraversavano lo stretto erano tenute a pagare un’imposta alla flotta imperiale, che in cambio garantiva protezione. Si veda Stein 1949, 196-197. 561 562 149 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Si tratta di una figura creata, molto probabilmente, proprio da Anastasio, sotto il cui regno appare per la prima volta nella nostra documentazione. La più antica testimonianza databile con precisione è, infatti, quella di Malalas che racconta come l’imperatore, nel 507, per risolvere i gravi problemi della città di Antiochia, abbia affidato la carica di comes Orientis (κóμης ἀνατολῆς) all’ex-commerciarius Procopio.563 Le uniche altre due testimonianze che riguardano questa figura, comprese in un orizzonte cronologico non posteriore agli inizi del VII secolo, sono l’editto di Anastasio qui oggetto di esame e un passo di Giovanni Mosco, in cui si ricorda un commerciarius di Tiro, ingiustamente accusato di dilapidare i beni a lui affidati.564 Ad oggi, gli studiosi non sono giunti ad interpretare la genesi e le funzioni di questa figura in maniera concorde. Sarebbe molto complesso ripercorrere nel dettaglio la storia degli studi in merito alla questione. Potremmo sinteticamente ricordare come il primo ad occuparsi del problema fu il Millet, il quale ipotizzò che i commerciarii fossero stati inizialmente dei mercanti che operavano per conto dello Stato, facendosi carico di gestire il commercio della seta dalle frontiere orientali dell’Impero, ed ereditando in tutto le funzioni del comes commerciorum.565 Solo dopo, a partire dal VII secolo, essi avrebbero assunto anche la fun- 563 Johan. Malal., Chronogr., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, 396: Τούτων δὲ γνωσθέντων τῷ αὐτῷ Ἀναστασίῳ βασιλεῖ, προηγάγετο κóμετα ἀνατολῆς τòν ἀπò κομμερκιαρίων Προκóπιον τòν Ἀντιοχέα. 564 Iohan. Mosch., Patrum spirituale, PG, 87/3, 186, col. 3064 A. In realtà, Antoniadis-Bibicou 1963, 158, n. 1, inseriva anche un’altra fonte tra quelle pertinenti a questo periodo, il papiro BGU, III 972, su cui si legge: (Αὐρηλίῳ) Διοσκóρῳ γραμματεῖ ἔθνου(ς) Βλεμμέου ἀπò κομερκίω ̣(ν…). La studiosa proponeva di correggere l’ultima parte in ἀπὸ κομερκια ̣(ρίων). Tuttavia, la correzione non è giustificabile paleograficamente. 565 Il comes commerciorum è una figura attestata a partire dal IV secolo, in una legge (Cod. Just. IV, 40, 2) databile tra il 383 e il 392 (si veda a tal proposito Seek 1919, 124), ma che fa riferimento a disposizioni già stabilite in precedenza. Il comes commerciorum era a capo dei commercia disposti in determinati punti lungo la frontiera. In Oriente, è attestato un unico comes commerciorum per Orientem et Aegyptum (Not. Dig. Or., XIII, 6-7). Oltre a fungere da supervisore generale sul commercio dall’estero, era l’unico autorizzato a comprare seta dai mercanti forestieri. Per le attestazioni di carattere giuridico, oltre al già citato Cod. Just. IV, 40, 2 (fine IV secolo), vanno ricordate anche IV, 63, 6 (inizi V); I, 52, 1 (anno 439). Si vedano Lallemand 1964, 143-144; Stock 1978, 599-609; Delmaire 1989, 283-285; Lee 1993, 63. 150 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) zione di esattori d’imposta.566 La teoria del Millet fu sostanzialmente accettata da tutti gli studiosi che negli anni successivi si occuparono del problema.567 Successivamente, la Antoniadis-Bibicou, partendo ancora una volta dalla tesi del Millet, sostenne che i commerciarii avessero avuto compiti di esattori di imposta sulle merci in circolazione fin dal momento della loro creazione, basando, tra l’altro, la sua ipotesi proprio sulla sua analisi dell’editto di Anastasio.568 A partire dagli anni ’80, la questione venne ripresa da altri autorevoli studiosi. Oikonomides in qualche modo tornò alle posizioni precedenti alla Antoniadis-Bibicou, accettando l’ipotesi di “derivazione” dei commerciarii dai comites commerciorum, sostenendo che i primi non fossero null’altro che una sorta di evoluzione naturale dei secondi, ma proponendo che il ruolo svolto originariamente dai commerciarii fosse quello di imprenditori privati, e che avrebbero ricevuto in appalto dall’imperatore il diritto di vendere alcuni prodotti, tra cui la seta. D’altra parte, lo studioso immaginava che successivamente (a partire dal VII secolo) questa figura potesse aver assunto le funzioni di un vero e proprio agente doganale.569 Oikonomides ipotizzava che il termine greco κομμερκιάριος non fosse altro che la “volgarizzazione” del latino comes commerciorum.570 Nettamente diversa la posizione espressa pochi anni dopo dal Delmaire. A suo giudizio, il fatto che i commerciarii avessero dei fondi a loro disposizione non obbligava a ritenere che essi avessero mai avuto compiti di natura fiscale. Si trattava, piuttosto, di “magazzinieri” imperiali, «des courtiers privilégiés chargés des achats au nom de l’empereur dans les commercia et de la gestion de ces produits».571 Lo studioso francese, in questo modo, rigettava completamente l’ipotesi che i commerciarii potessero essere considerati degli agenti doganali. È interessante Millet 1924, 303-327. Rouillard 1930, 283; Laurent 1933, 335, n. 1; Stein 1949, 214-215; Karayannopoulos 1958, 164-165. 568 Si veda Antoniadis-Bibicou 1963, 158-164, in particolare 164: «ils (scil. les commerciaires) ont été chargés dès début, d’une part, des fonctions des comites commerciorum et, d’autre part, de la perception – soit directement, soit au moyen de leurs collaborateurs – des taxes frappant la circulation et la vente des merchandises». L’opinione della studiosa francese è accettata anche da Durliat 1982, 8 e soprattutto da Sartre 1982b, 117-118, il quale, pur dichiarando di rifarsi alla definizione di Stein, accetta, di fatto, anche la versione della Antoniadis-Bibicou, quando ammette che il commerciarius avesse funzione di ispettore di dogana. 569 Oikonomides 1986, 33-53, particolarmente 34-35. Opinione ripresa da Laiou 2002, 706. 570 Oikonomides 1986, 35. 571 Delmaire 1989, 297. 566 567 151 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico notare come anche il Delmaire adombrasse l’ipotesi di una volgarizzazione del titolo latino comes commerciorum in κομμερκιάριος.572 Successivamente, il Brandes ha sostenuto che i commerciarii sarebbero stati funzionari fiscali incaricati di percepire il prelievo in natura da parte della popolazione, stoccarlo nelle loro ἀποθῆκαι e distribuirlo all’esercito.573 Non si può aver qui la presunzione di giungere a conclusioni definitive su un tema talmente complesso. Si proverà, quindi, a partire dai punti che sembrano maggiormente sicuri. In primo luogo, è effettivamente evidente che vi dovesse essere un rapporto abbastanza stretto tra i comites commerciorum e i commerciarii: i primi scompaiono dalla nostra documentazione dopo l’apparizione dei secondi. Che i commerciarii, inoltre, avessero a che fare con l’importazione di merci dall’estero pare un altro punto incontestabile. Oltre alla ubicazione geografica di questi funzionari (attestati sempre in luoghi connessi con il commercio internazionale), in questa fase cronologica è fondamentale la testimonianza di una Novella (probabilmente) giustinianea, citata come fonte da tutti gli studiosi che si sono occupati del problema.574 Il testo, intitolato Περὶ Μετάξης, regolamenta la vendita e l’acquisto della seta all’interno dell’Impero, attività che deve essere gestita unicamente dal commerciarius, unico ad averne il diritto. Il provvedimento giustinianeo ricorda da vicino quello, cui si è fatto già riferimento, dell’epoca degli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, riferito al comes commerciorum, descritto a sua volta come l’unico autorizzato a commerciare seta.575 Comunque si voglia interpretare nel dettaglio le informazioni ricavabili dalla Novella, non si può negare che essa sia una prova determinante del coinvolgimento del commerciarius nel commercio internazionale, di cui la seta era certamente il prodotto più importante. Questo particolare aumenta fortemente le analogie tra le figure del comes commerciorum e del commerciarius. L’insieme di queste considerazioni rende plausibile una interpretazione di tipo più “tradizionale” della figura del commerciarius (sulla scia, in sintesi, di Millet, Antoniadis-Bibicou e Oikonomides), tendendo a scartare, invece, le ipotesi Delmaire 1989, 294. Brandes 2002, 239-255; posizione ribadita successivamente in: Brandes 2005, 31-47. 574 Imp. Iustiniani PP. A., Novellae, ed. C.E. Zachariae von Lingenthal, II, Leipzig 1881, p. 293. Sulla precisa datazione della novella non c’è sicurezza: l’editore la attribuiva al regno di Giustiniano I, e questa ipotesi è ancora oggi accettata dalla maggioranza degli studiosi. 575 Cod. Just. IV, 40, 2: Comparandi serici a barbaris facultatem omnibus, sicut iam praeceptum est, praeter comitem commerciorum etiamnunc iubemus auferri. 572 573 152 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) del Delmaire e, soprattutto, del Brandes. Come si accennava in precedenza, le ipotesi di Millet, Antoniadis-Bibicou e Oikonomides hanno una serie di punti in comune: l’interpretazione del rapporto di derivazione dal comes commerciorum al commerciarius; l’attribuzione a quest’ultimo, almeno a partire dal VII secolo, di compiti di natura fiscale; il suo coinvolgimento diretto nei traffici internazionali. L’unico nodo da sciogliere è se esso abbia avuto in realtà fin dall’inizio funzioni di esattore fiscale (come vorrebbe la Antoniadis-Bibicou), ovvero se questa caratteristica si sia sviluppata solo a partire dal VII secolo (secondo le tesi di Millet e Oikonomides). Le poche fonti a nostra disposizione per il VI secolo non consentono di propendere decisamente per alcuna delle due soluzioni. Ciò che conta in questa sede, però, è la possibilità di affermare che il commerciarius, a prescindere dalle sue specifiche funzioni, avesse certamente dei fondi a sua disposizione, parte dei quali, come abbiamo visto, doveva cedere al dux. Il problema fondamentale, per capire il ruolo giocato da Clysma in questo contesto, è tradurre correttamente l’espressione ἀπò τοῦ Κλύσματος. Alcuni studiosi hanno interpretato il passaggio come se fosse in realtà sottinteso ἀπὸ (τοῦ κομμερκιαρίου) τοῦ Κλύσματος, trovando in questo la conferma che anche a Clysma fosse presente il nuovo funzionario.576 D’altra parte, c’è stato chi ha preferito interpretare il testo in maniera più letterale, escludendo conseguentemente la presenza di un commerciarius.577 Fermo restando il discorso già fatto in precedenza, sulla particolare stringatezza del testo in questo punto, è più prudente attenersi ad una traduzione letterale. Il dato che ne emerge quindi in maniera incontestabile è che il dux Palaestinae traeva parte del suo approvvigionamento da Clysma.578 Questo condurrebbe a ipotizzare che Clysma abbia svolto la funzione di stazione doganale. Si tratta dell’ultimo tassello necessario per comporre il mosaico della geografia della tassazione nel Mar Rosso tardoantico. In pratica, la base esistente in età altoimperiale fu adeguata alle modifiche geografiche nell’area. La nuova disposizione dei porti ricollocati a Nord richiedeva che anche le dogane fossero ridistribuite sul territorio. Così, mentre Coptos continuò a mantenere il suo ruolo, in connessione con Berenice, sul lato arabo gli antichi compiti di A favore di questa interpretazione Stein, Antoniadis-Bibicou, Sartre, Mayerson. In particolare Oikonomides, Delmaire, Brandes. 578 Città perlatro situata al di fuori dei confini della sua provincia, nella Augustamnica II, facente capo alla diocesi d’Egitto. Si veda Hierokles, Synekdemos, 728, 7 (ed. Burchardt, p. 45). 576 577 153 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Leuke Kome furono ereditati da Jotabe, più vicina ad Aila. L’elemento veramente nuovo è però la creazione di una nuova dogana a Clysma, che non ha diretti riscontri nella organizzazione altoimperiale, ma è piuttosto il frutto della nuova disposizione geografica. 4.1 L’entità dell’aliquota Nel precedente capitolo abbiamo visto che nei primi secoli dell’età imperiale, almeno fino all’epoca degli Antonini, l’aliquota sul valore delle merci di importazione orientale era del 25%, e che la tassa era conseguentemente chiamata tetarte. La documentazione in nostro possesso per il periodo a partire dal IV secolo d.C. permette di indagare se questa aliquota cambiò, e in che modo. Alcune costituzioni del Codex Theodosianus e del Codex Iustinianus parlano di una imposta definita octava, di cui gli studiosi hanno dato interpretazioni discordanti. La maggior parte di essi ritiene che si tratti di una imposta sulle importazioni;579 altri hanno pensato che fosse una tassa sulle vendite;580 si è anche infine ipotizzato che essa fosse una imposta sulle vendite e sulle importazioni insieme.581 Che la octava sia una imposta ad valorem gravante sulle importazioni dall’estero (e quindi, equivalente tardoantico della τετάρτη altoimperiale) è dimostrato da una legge del 381, indirizzata da Teodosio al comes sacrarum largitionum d’Oriente, con cui si raccomanda che gli octavarii riscuotano il vectigal solo su quanto gli ambasciatori delle gentes devotae importano dai loro Paesi, non invece su quanto, acquistato ex Romano solo, essi riesportano alle loro regioni: Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. A legatis gentium devotarum ex his tantum speciebus, quas de locis propriis, unde conveniunt, huc deportant, octavarii vectigal accipiant: quas vero ex Romano solo, quae sunt tamen lege concessae, ad propria deferunt, has habeant a praestatione immunes ac liberas. * GRAT. VALENTIN. ET THEODOS. AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG.* 582 Si vedano a tal proposito le opinioni di Marquardt 1884, 276-277; Rostovtzeff 1902, 503; Stein 1949, p. 214, n. 1; Karayannopoulos 1958, 163-167; Jones 1974, 641; Delmaire 1989, 305-309. 580 Si vedano Millet 1932, 625-643, seguito da Piganiol 1972, 376 e da De Laet 1949, 463-467. 581 Antoniadis Bibicou 1963, 59-74. 582 Cod. Theod. IV, 13, 8 (= Cod. Iust. IV, 61, 8). 579 154 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Un’altra legge, databile tra il 366 e il 369, dell’imperatore Valente era volta ad impedire che i militari cercassero di ottenere esenzioni fiscali dal pagamento della octava, quando compravano merci al di fuori dei confini: Imperatores Valentinianus, Valens, Gratianus. Ex praestatione vectigalium nullius omnino nomine quicquam minuatur, quin octavas more solito constitutas omne hominum genus, quod commerciis voluerit interesse, dependat, nulla super hoc militarium personarum exceptione facienda. * VALENTIN. VALENS ET GRAT. AAA. AD ARCHELAUM COM. ORIENTIS. * 583 D’altro canto, la legge già citata sul divieto agli arabarchi di imporre tasse sul passaggio di animali da soma si inserisce proprio in questo contesto, ed è riportata sia nel Codex Theodosianus che nel Codex Iustinianus, associata alle precedenti due.584 Il riferimento contenuto al vectigal alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum deve essere inteso proprio come la octava pagata in Egitto, ad Alessandria,585 proprio alla arabarchia, come prima avveniva con la tetarte. Se può quindi essere considerato certo che in epoca tardoantica la octava andò a sostituire la τετάρτη, ancora nulla si è detto per capire quando questo cambiamento avvenne esattamente. È purtroppo difficile dare una risposta a questo problema. Un terminus post quem ci è fornito dalla già menzionata iscrizione siriana del 174, che ricorda un tal L. Antonio Callistrato, qualificato col titolo di τεταρτώνης.586 Il terminus ante quem è invece ovviamente fornito dalla legge del 366-369, data a partire dalla quale possiamo essere sicuri dell’esistenza di una tassa chiamata octava. Tra il 174 e il 366 non abbiamo alcuna attestazione della τετάρτη, ma ne abbiamo forse alcune della octava, a partire dalla tarda età Severiana. Un vectigal octavarum è difatti menzionato in una legge di Severo Alessandro datata al 227.587 È stato proposto, sulla base di questo testo e di una Cod. Theod. IV, 13, 6 (= Cod. Iust. IV, 61, 7). Cod. Theod. IV, 13, 9 (= Cod. Iust. IV, 61, 9). Non a caso il Seeck (1919, 125) aveva proposto di unire questa legge a quella riportata in Cod. Theod. IV, 16, 8, datandole entrambe al 6 luglio 381. 585 Per la riscossione della octava in Alessandria in epoca tardoantica, si veda Sophr., Miracula SS. Cyri et Iohannis, 1, PG LXXXVII, col. 3424; per la presenza di un arabarca ad Alessandria in età tardoantica (giustinianea), si veda Iust, Nov., XI, 2. 586 Cfr. supra, cap. II. 587 Cod. Iust. 65, 7: Imperator Alexander Severus. Si, cum Hermes vectigal octavarum in quinquennium conduceret, fidem tuam obligasti posteaque spatio eius temporis expleto, cum idem Hermes 583 584 155 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico serie di iscrizioni rinvenute in Pannonia, di poter collocare la istituzione della octava proprio al III secolo e, più precisamente, all’età severiana, contro la communis opinio che questo cambiamento non possa essere avvenuto prima dell’età di Costantino il Grande.588 In conclusione, possiamo affermare con certezza che l’aliquota per il prelievo fiscale sulle merci di importazione dall’estero, al passaggio tra l’età altoimperiale e quella tardoantica, si sia dimezzata, passando dal 25% al 12,5%. Il momento preciso in cui questo fenomeno si verificò non è precisabile con certezza, anche se alcuni indizi lascerebbero intuire che esso possa essere collocato tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C. La riduzione significativa dell’aliquota è un elemento di non poco conto, e può essere interpretato come il risultato di una lunga contrattazione tra mercanti e Stato, per giungere a un accordo che permettesse ai primi di ridurre le enormi spese coinvolte nel processo di acquisizione delle loro merci, e al secondo di non rinunciare a una importante fonte di entrate su merci di alto valore.589 4.2 La frontiera terrestre nelle province orientali Per completare il discorso sulla tassazione manca di verificare il funzionamento delle frontiere terrestri, in modo da poterlo confrontare infine con quello di epoca altoimperiale. Nel precedente capitolo abbiamo visto come l’ingresso delle merci nell’Impero per via di terra fosse gestito attraverso una serie di “porte” prestabilite, la principale delle quali era Palmira, in Siria. È d’altra parte noto che nel 272 d.C. la città subì la dura repressione di Aureliano, che in due riprese sconfisse la ambiziosa regina Palmira e spense i residui focolai di ribellione nella città.590 Non in conductionem ut idoneus detinerentur, non consensisti, sed cautionem tibi reddi postulasti, non oportere te posterioris temporis periculo adstringi competens iudex non ignorabit. 588 Si veda l’opinione di De Romanis 1998, 51-54. 589 De Romanis 1998, 55. Wilson 2015, 28-29 ha ipotizzato che la riduzione dell’aliquota testimonierebbe l’ammissione indiretta, da parte dell’autorità imperiale, di non essere più in grado di garantire siucurezza ai mercanti come un tempo. A causa delle maggiori difficoltà, si sarebbe dimezzata l’aliquota per incentivare i mercanti a continuare a portare avanti i loro traffici. 590 Zosim., I, 50-53; Script. Hist. Aug., Vita Aureliani, 22, 6 e 25, 1-3. Cfr, Dodgeon e Lieu 1991, 89-91. 156 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) abbiamo idea di quali provvedimenti furono presi (se pure ve ne furono) per porre rimedio alla temporanea uscita di scena di Palmira sul fronte orientale. Dopo poco più di venti anni, una serie di eventi bellici determinerà una nuova organizzazione della dogana sul confine orientale. Sotto il regno di Diocleziano, nel 295, il sovrano persiano Narsete approfittò di un periodo difficile per l’Impero e spodestò dal trono d’Armenia il re filoromano Tiridate III. L’anno dopo il caesar di Diocleziano, Galerio, mosse guerra a Narsete per recuperare le posizioni perdute.591 I due eserciti si affrontarono in un luogo non precisato della Mesopotamia, tra Callinico e Carre e quello romano ne uscì sconfitto. La situazione fu ribaltata nel 297, quando Diocleziano poté fornire rinforzi a Galerio, che nel 298 entrò vittorioso in Armenia, sconfiggendo l’armata di Narsete, catturandone la famiglia, e dirigendosi poi a Sud, lungo il corso del Tigri, fino a Ctesifonte. Infine tornò indietro risalendo il corso dell’Eufrate, per ricongiungersi con le forze guidate da Diocleziano.592 Nel 299, anche su suggerimento di Diocleziano, Galerio stipulò un trattato di pace col nemico, che prevedeva le seguenti condizioni: cinque satrapie persiane a oriente dell’alta Mesopotamia sarebbero passate a Roma (Intilene, Sophene, Arzanene, Corduene e Zabdicene); il Tigri avrebbe segnato il confine tra i due Stati; la fortezza di Zintha, situata sui confini della Media, sarebbe rientrata nei confini dell’Armenia, riassegnata a Tiridate III; il re dell’Iberia sarebbe stato scelto da Roma; la città di Nisibis, lungo il corso del Tigri (e situata allora in territorio romano), sarebbe divenuto l’unico punto autorizzato di commercio fra Persia e Roma.593 Non è chiaro cosa significasse attribuire le cinque satrapie a Roma, visto che esse si trovavano molto a est del fiume Tigri; non è da escludere che in questi territori Roma esercitasse ora una sorta di protettorato, non una vera e propria occupazione militare.594 591 Lact., De mort. pers., 9, 6-8; Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 33-36; Eutr., 9, 24; Amm., XIV, 11, 10 e XXII, 4, 8 e 5, 11; Script. Hist. Aug., Vita Cari, 9, 3. Cfr. pure Dodgeon e Lieu 1991, 125-131. 592 Per la narrazione dettagliata della campagna di Galerio e Diocleziano contro i Persiani, si vedano anche Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 34-6; Eutr., Brev., 9, 25. Tra le opere moderne si vedano: Blockley 1992, 5-7; Millar 1993, 178; Badel e Bérenger 1998, 59-61; Southern 2001, 151 e 243-244. 593 L’unica fonte che riporta estesamente i vari punti del trattato è Petr. Patric., Fr. 14 (FHG IV, p. 189). Si vedano anche Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 34-6; Eutr., Brev., 9, 25. 594 Cfr. Millar 1993, 178. 157 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Il secondo punto riguarda l’estensione dei territori romani, a Nord della provincia di Mesopotamia, fino al Tigri. Nonostante alcune fonti insinuino che il potere romano si fosse esteso anche a est del fiume,595 tutti i resti di fortificazioni romane rinvenute in questa zona sono a ovest.596Le clausole riguardanti l’Armenia e l’Iberia servivano a rinforzare gli stati satelliti di Roma. Ma il punto di maggiore interesse per noi è il fatto che Nisibis divenne l’unico punto di commercio autorizzato tra i due imperi: τόπον τῶν συναλλαγμάτων, come la definisce Petrus Patricius.597 L’inserimento di questa clausola nel trattato di pace con i Persiani non fu certamente casuale, ma frutto di una scelta ben precisa effettuata da Diocleziano. Abbiamo appena ricordato che Palmira, un tempo fulcro del commercio internazionale nell’area, si trovava in quel momento in condizioni di forte declino. Lo stesso Diocleziano pose in città la sede di una guarnigione, presumibilmente nel tentativo di accelerarne la ripresa, ma inutilmente.598 Sembra dunque logico ritenere che proprio il venir meno di Palmira fu uno dei motivi che indusse Diocleziano dopo la sua vittoria sui Persiani a imporre a questi ultimi che tutto il traffico commerciale proveniente dalla Persia, che in precedenza passava da Palmira, entrasse nell’Impero tramite la sola Nisibis. Si è anche sostenuto che tra le motivazioni che spinsero Diocleziano a convogliare tutto il traffico commerciale a Nisibis ci sarebbe stata quella di tenere sotto controllo i mercanti, potenziali spie: “[…] it nevertheless guaranteed for the Romans a large customs income, gave them the ability better to monitor and control the movements of merchants (always regarded as potential spies and of particular concern to Diocletian) […].”599 La sistemazione data complessivamente da Diocleziano alla frontiera persiana rimase immutata per più di sessant’anni, fino al 363, anno della sfortunata spedizione di Giuliano, chiusa con la completa disfatta romana, cui fece seguito l’umiliante pace conclusa da Gioviano con Shapur II, tra le cui clausole la più gravosa e odiosa fu, a giudizio unanime di tutte le fonti, proprio la consegna di Nisibis in mano persiana.600 Fest., Brev., 25: Persae […] Mesopotamiam cum Transtigritanis regionibus reddiderunt. Cfr. Millar 1993, 178. 597 Petr. Patric., Fr. 14 (FHG IV, p. 189). 598 Lewin 1990, 147, n. 28. 599 Blockley 1992, 6. 600 Il contraccolpo psicologico della perdita di Nisibis per i contemporanei fu enorme, e ne restò traccia negli autori bizantini fino in epoca molto avanzata, sicché sarebbe quasi impossibile 595 596 158 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) È chiaro che, a partire da questa data, Nisibis perse il suo status di porta di ingresso per le merci orientali nel mondo romano. Non sappiamo come i due imperi rivali riorganizzarono la questione dei punti di accesso per i mercanti immediatamente dopo il 363. Il primo documento che riparli esplicitamente della questione è datato al 408-409, quando un nuovo trattato fu stipulato tra Teodosio II e Yezdegerd I,601 nel quale si precisava che gli unici punti in cui erano consentiti scambi commerciali tra i due imperi erano Artaxata e Nisibis sul lato persiano, e Callinicum (odierna Raqqa) su quello romano: Mercatores tam imperio nostro quam Persarum regi subiectos ultra ea loca, in quibus foederis tempore cum memorata natione nobis convenit, nundinas exercere minime oportet, ne alieni regni, quod non convenit, scrutentur arcana. Nullus igitur posthac imperio nostro subiectus ultra Nisibin Callinicum et Artaxatam emendi sive vendendi species causa proficisci audeat nec praeter memoratas civitates cum Persa merces existimet commutandas. Sciente utroque qui contrahit et species, quae praeter haec loca fuerint venumdatae vel comparatae, sacro aerario nostro vindicandas et praeter earum ac pretii amissionem, quod fuerit numeratum vel commutatum, exilii se poenae sempiternae subdendum. Non defutura contra iudices eorumque apparitores per singulos contractus, qui extra memorata loca fuerint agitati, triginta librarum auri condemnatione, per quorum limitem ad inhibita loca mercandi gratia Romanus vel Persa commeaverit […].602 Ad una attenta lettura, però, il testo del trattato del 408-409, nel limitare la possibilità di effettuare scambi commerciali solo all’interno di queste tre città, sembra fare riferimento ad una prassi già consolidata, per cui è ipotizzabile che la sostituzione di Nisibis con Callinicum quale frontiera doganale sul lato romano fosse stata effettuata molto precocemente, forse negli anni immediatamente suc- citare tutte le fonti che abbiano trattato l’argomento. Si vedano, solo a titolo d’esempio, Amm. Marc., XXV, 9, 3; Ephrem Syrus, Hymni contra Julianum, II, 15-22 e 27; Epit. de Caes., 43; Eutr., Brev., X, 16, 1-2; Zosim., III, 33, 5; Jos. Styl., Chron., 7; Johan. Malal., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, pp. 335-337; Agath., Hist., IV, 25, 6-7; Zonar., XIII, 14, 6. Si vedano anche Dodgeon e Lieu 1991, 231-274; Greatrex e Lieu 2002, 1-19. 601 Socrat. Schol., Hist. Eccles., VII, 8; Sozom., Hist. Eccles., IX, 4. 602 Cod. Just., IV, 63, 4. È facile notare, leggendo il testo del trattato, la persistente esigenza avvertita dagli imperatori romani di evitare atti di spionaggio da parte di sedicenti mercanti provenienti dalla Persia. 159 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico cessivi al trattato di Gioviano, o comunque entro la fine del IV secolo.603 Questa situazione persisté immutata ancora per molto tempo. In almeno altre due occasioni successive, infatti, si verificarono attriti tra i due imperi, senza conseguenze sullo status quo della regione. La prima volta nel 422, quando Helione, il magister officiorum di Teodosio fu inviato presso Yezdegerd I con il precipuo scopo di rinnovare il trattato di pace tra i due imperi, cosa che puntualmente avvenne.604 Dopo circa venti anni, sotto il regno di Teodosio II, i Persiani mossero di nuovo guerra ai Romani, ma il conflitto si risolse ben presto in un rinnovato trattato di pace, siglato nel 442, che ancora una volta non faceva altro che confermare i vecchi termini dell’accordo.605 Per tutto il secolo, in pratica, non abbiamo alcun tipo di documentazione che possa farci pensare che vi furono ulteriori modifiche su questa frontiera, e d’altra parte i rapporti diplomatici tra l’Impero Romano e quello Persiano furono relativamente buoni, nonostante un paio di momenti di tensione cui si è appena accennato. Ben diversa la situazione sotto il regno di Anastasio. Nel 502, dopo diversi anni di tensione sulla frontiera, scoppiò la guerra frontale tra i due imperi, che si risolse fondamentalmente in un nulla di fatto, dopo tre anni di combattimenti. Entro il 506 si giunse alla pace tra le due compagini. In realtà, il grande successo di Anastasio in questa campagna militare fu l’essere riuscito a costruire, tra il 505 e il 507, una nuova città-fortezza sul confine romano-persiano, conosciuta come Dara o Anastasiopoli.606 L’imperatore però non acconsentì mai che essa fosse aperta al commercio col potente vicino, nonostante le ripetute richieste sasanidi in tal senso. Fu solo dopo molti anni, in seguito alla nuova pace siglata da Giu- Non è forse inutile ricordare come già Ammiano Marcellino (XXII, 3, 7), in anni di poco posteriori alla pace del 363, descriva la “ricchezza dei commerci di Callinicum.” 604 Socr., Hist. Eccl., 7, 20; Cedren., 1, 599; Blockley 1992, 57. 605 Cfr. Blockley 1992, 61. 606 La costruzione di Dara sulla frontiera, a soli diciotto chilometri da Nisibis, ebbe una notevole importanza strategica, in quanto colmava un vuoto difensivo ormai cronico, risalente alla perdita romana proprio di quella piazzaforte nel 363: a tal proposito, si veda Greatrex 1998, 120-122. Questa importanza nella coscienza dei contemporanei è attestata dall’abbondante celebrazione degli storiografi: Jos. Styl., Chron., 90; Evagr., Hist. Eccl., III, 37; Ps.-Zachar., Hist. Eccl., VII, 6; Theod. Lect., Hist. Eccl., p. 157; Procop., De Bell. Pers., I, 10; Procop., De Aedificiis, II, 1; Marcell. Comes, Chron., a.518; Ioann. Nikiu, Chron., 89. 603 160 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) stiniano I con i Persiani, nel 562, che Dara fu aperta al commercio con l’estero, come ci testimonia Menandro:607 Ε´ διετυπώθη, ὥστε τοὺς Σαρακηνοὺς καὶ τοὺς ὁποιουσοῦν βαρβάρους ἐμπóρους ἑκατέρας πολιτείας μὴ διὰ ξένων ἀτραπῶν ποιεῖσθαι τὰς πορείας, μᾶλλον μὲν οὖν διὰ τῆς Νισίβεως καὶ τοῦ Δάρας, μήτε μὴν ἄνευ κελεύσεως ἀρχικῆς ἰέναι κατὰ τὴν ἀλλοδαπήν. “Quinto punto. Si concorda che i Saraceni e tutti gli altri mercanti barbari di ognuno dei due stati non potranno viaggiare per strade non ufficiali, ma dovranno passare tutti per Nisibis e Dara, e non potranno passare la frontiera per andare in territorio straniero senza un permesso ufficiale.” Questa organizzazione non subì più alcuna modifica. All’inizio del VII secolo si verificò l’ultimo grande scontro tra i due imperi. Dopo che i Persiani si impossessarono di buona parte delle province orientali dell’Impero di Costantinopoli, nel 622 Eraclio diede il via alla definitiva riscossa romana nella regione, terminata nel 628.608 L’anno dopo l’imperatore stipulò un trattato di pace con Cosroe II Parvez, confermandolo nuovo imperatore dei Persiani. Tuttavia i dettagli di questo accordo non sono chiari e non sappiamo nemmeno fino a che punto esso divenne operativo,609 dal momento che le fortune di Cosroe terminarono ben presto, essendo egli ucciso da una congiura in quello stesso anno. Le poche fonti che fanno riferimento al trattato di pace610 lasciano intuire che fosse ristabilito lo status quo ante bellum e chiariscono che il potere romano nelle province orientali sembrasse in quel momento saldo come mai prima, ora che il più pericoloso dei nemici era stato finalmente battuto e ridotto in condizione di sudditanza.611 Per una strana ironia del destino, era invece ormai imminente l’arrivo dell’ondata araba che avrebbe cancellato per sempre lo Stato persiano ed estromesso definitivamente i Romani tanto dal Mar Rosso quanto dalle province orientali 607 Menan., Excerpta, ed. Niebhur, Bonn, 360-361 (= ed. Blockley, Liverpool, fr. 6,1 righe 332336). Si veda anche Vasiliev 1950, 359-360. 608 Dignas e Winter 2007, 115-118. 609 Greatrex e Lieu 2002, 226-227. 610 Chron. Pasch, anno 628; Theoph., (ed. De Boor), 327. 611 Greatrex e Lieu 2002, 227-228. 161 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico in Asia Minore, dando inizio a una nuova era nella storia delle civiltà del Mediterraneo.612 5. Considerazioni finali sull’epoca tardoantica È ora il momento di provare a tirare le fila di quanto detto finora in questo capitolo. Il sistema portuale romano sul Mar Rosso in epoca tardoantica appare caratterizzato da una serie di elementi. Dall’analisi dei dati presi in esame emerge un quadro decisamente articolato. In primo luogo, va ribadito che il sistema portuale tardoantico, pur sensibilmente differente da quello altoimperiale, non può essere considerato in alcun modo come scarsamente efficiente o “decadente”, rispetto al precedente. Si possono anzi ravvisare delle analogie con la ratio alla base del precedente modello di sviluppo. Nei primi due-tre secoli della dominazione romana nel Mar Rosso, si andò costituendo un sistema imperniato su tre porti principali. Due di essi erano ubicati sulla costa egiziana, Myos Hormos e Berenice, collegati a loro volta entrambi con il porto fluviale di Coptos e, tramite esso, ad Alessandria e al Mar Mediterraneo. Il terzo porto era Leuke Kome, viceversa collocato sulla costa araba del Mar Rosso, in un primo momento formalmente parte del Regno dei Nabatei, ma controllato strettamente dai Romani. Successivamente, anche il porto nabataico divenne parte integrante dell’Impero, in seguito alle campagne militari orientali di Traiano. In questo stesso periodo l’Impero vide la sua massima espansione nel Mar Rosso, arrivando ad annettere, o quantomeno a controllare, anche le remote isole Farasan, presumibilmente con lo scopo di tenere sotto controllo in maniera più capillare la porzione meridionale del Mare. Sappiamo che in un periodo non meglio definibile compreso tra la fine del II e l’inizio del IV secolo questo sistema subì un consistente cambiamento. Ben due dei principali porti altoimperiali, Myos Hormos e Leuke Kome, uscirono di scena, per motivi non chiari. Più a Sud, Berenice, dopo una parentesi difficile che coincide solo in parte con il III secolo, conobbe un consistente rilancio e vide la sua prosperità crescere e mantenersi fino al VI secolo inoltrato. A Nord, comincia l’imprevedibile ascesa dei porti finora ai margini dello sviluppo commerciale nell’area: Clysma sul lato egiziano, Aila e Jotabe su quello arabo. A ciò va aggiun- 612 Kaegi 2003, 213. 162 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) ta l’installazione di ‘Abu Sha’ar, fondata presumibilmente proprio nel IV secolo, con lo scopo di fornire un supporto militare per rendere più sicura la zona. Lo sviluppo dei porti settentrionali va spiegato. Proprio la posizione geografica svantaggiata di questi porti è stata in passato utilizzata come prova per affermare che il commercio con l’Oriente in epoca tardoantica fosse assolutamente decadente e ridotto nel volume complessivo. Prima di affrontare questo tema, tuttavia, può essere utile insistere ancora sull’analisi complessiva del quadro ricavabile dall’analisi dell’epoca tardoantica, per individuare quali ne siano le caratteristiche principali. Innanzitutto, la cronologia. È chiaro che non possiamo considerare l’età tardoantica come un blocco uniforme, durante il quale non vi furono cambiamenti di rilievo nella gestione e nella prosperità del commercio nell’area. Al contrario, come già avvenuto per l’epoca altoimperiale, è possibile individuare dei momenti di cambiamento ed evoluzione. Un primo periodo di particolare interesse è rappresentato dall’epoca tetrarchica. È noto che sotto Diocleziano l’Impero, scrollatisi di dosso gli ultimi residui di una crisi istituzionale che durava da alcuni decenni, recuperò la solidità e fu avviata la costruzione di una forma statale che poi caratterizzerà tutta l’epoca tardoantica. Nell’arco dei primi dieci anni di governo, Diocleziano ristabilì la sicurezza all’interno dei confini, ponendo fine a ogni residuo tentativo di usurpazione, sia in Occidente sia in Oriente. La sua azione fu energica in Egitto, dove seppe sedare le rivolte che avevano come proprio centro Coptos, riuscendo da un lato a punire la città, ma inserendola poi saggiamente nel nuovo sistema difensivo dell’area, di cui essa divenne il perno. Nelle province orientali, importanti furono le sue iniziative contro i Persiani e la realizzazione della Strata Diocletiana.613 Per quanto concerne questa ricerca si può dire che gli effetti della politica di Diocleziano e Costantino nell’area del Mar Rosso si possono leggere facilmente nella storia dei porti, oggetto del nostro studio. Aila, ad esempio, fu prescelta come sede della Legio X Fretensis proprio da Diocleziano, e gli scavi archeologici hanno chiaramente dimostrato che, a partire dall’inizio del IV secolo, il sito vide crescere il suo livello di prosperità in maniera considerevole. Ancora, la nascita di un sito come ‘Abu Sha’ar si colloca proprio negli anni della seconda tetrarchia. La stessa Coptos, pur punita per aver partecipato a una serie di rivolte, fu fortificata e messa al centro del sistema difensivo 613 Lewin 2002, 96-98. 163 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico del deserto orientale. Allo stesso modo per Clysma e Berenice ci sono chiari segnali che a partire dal IV secolo i due siti conobbero un periodo di crescita del loro livello di benessere materiale. In questo contesto va collocata la citata testimonianza di Epifanio, che ricorda Clysma, Aila e Berenice come i tre porti principali del Mar Rosso. Un nuovo momento di prosperità può essere individuato nel periodo tra il regno di Anastasio I e quello di Giustiniano I. Il primo è noto per essere stato uno dei più brillanti amministratori della cosa pubblica che la storia romana ricordi.614 Oltre a provvedere a una generale riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato e ad aumentare le entrate statali, si impegnò a promuovere una politica di massiccio intervento pubblico a favore delle città colpite da catastrofi naturali o pestilenze,615 nonché di generale alleggerimento della pressione fiscale. A tal proposito il suo provvedimento più celebre fu certamente la abolizione della auri argentive lustralis collatio, o χρυσάργυρον, la pesante tassa616 istituita da Costantino I,617 che gravava 614 Per una visione generale dell’opera politica di Anastasio I, si vedano il fondamentale Capizzi 1969, e anche Rubin 1989; Haarer 2006. 615 Si veda, a titolo di esempio, quanto riportato da: Jos. Styl., Chron., 42; Malal., Chronogr., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, 394, 406 e 409; Evagr, Hist. Eccl., III, 37; Johan. Nikiu, Chron., 89, 23-32. 616 Per un’informazione di base sulla esatta natura di questa tassa, cfr. Karayannopoulos 1958, 129-137; Delmaire 1985, 120-129; Delmaire 1989, 354-374; Bagnall 1992, 15-17 (= Bagnall 1993, 153-154); Fikhman 1994, 29, n. 46. Assai ricche sono le attestazioni documentarie che ci offrono eloquenti informazioni sul modo in cui le comunità di contribuenti si organizzassero per far fronte al pagamento della odiosa imposta. Si vedano P.Lips. 64 (= W.Chr. 281); PSI VIII, 884; PSI XII, 1265; P.Ross.Georg. V, 27 e 28; P.Erl, 35; P.Oxy. XLVIII, 3415; P.Oxy. XLIX, 3480; P.Oxy. L, 3577; P.Oxy. LXIII, 4381. Di interesse particolare altre due testimonianze. In P.Oxy. LXIII, 4393 troviamo descritto il triste caso di una vedova che si rivolge al πάτηρ πόλεως implorando di essere aiutata a raccogliere il denaro per pagare la tassa troppo esosa per le sue possibilità. Analogamente, Jos. Styl., Chron., 31 riferisce che i soli artigiani di Edessa dovevano pagare alla scadenza un quantitativo d’oro pari a 150 libbre. 617 Che l’istituzione della esosa tassa fosse da attribuire a Costantino non v’è alcun dubbio. Tuttavia il riconoscimento di questa poco lusinghiera paternità fu oggetto di una curiosa polemica già in antico. Il pagano Zosimo (II, 38, 2), infatti, ne attribuì l’istituzione all’imperatore Costantino. Successivamente, il cristiano Evagrio (Hist. Eccl., III, 40; seguito anche da Niceforo Callisto, XVI, 41, che ne riprende le argomentazioni) si scagliò polemicamente proprio contro Zosimo, accusandolo di faziosità contro il primo imperatore cristiano. Secondo Evagrio, infatti, il χρυσάργυρον sarebbe stato introdotto da un precedente imperatore, mentre Costantino si sarebbe limitato a riformare parzialmente questa istituzione. In epoca moderna, questa ipotesi fu accolta da Lécrivan 1903, 331-334, il quale, sulla base di alcuni luoghi della Historia Augusta, 164 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) ogni quattro anni618 non solo sui commercianti, ma su tutti coloro che offrivano un qualche tipo di servizio e il cui compenso fosse in moneta, inclusi mendicanti e meretrici.619 Anastasio la abrogò nel maggio del 498,620 generando, a quanto pare, grande entusiasmo nei suoi sudditi.621 D’altra parte, l’imperatore avviò la realizzazione di una serie di provvedimenti mirati a rafforzare il potere romano su tutto il attribuì l’istituzione della tassa a Severo Alessandro. Sull’argomento si vedano anche Damsholt 1977, 89-102; Delmaire 1989, 355; Baldini 2004, 349-372. 618 La tassa era riscossa ogni quattro anni. Tutte le nostre fonti, eccetto Libanio, parlano di una cadenza quadriennale: Zos., II, 38, 2; Evagr., Hist. Eccl., III, 39; Niceph. Callist., XVI, 40; Cedren., p. 627 B; Jos. Styl., 31. Si vedano Delmaire 1985, 120-129; Delmaire 1989, 358-359; Bagnall 1992, 15-17 (= Bagnall 1993, 153-154); Delmaire 1995, 132. 619 Significative, a tal proposito, le definizioni che le nostre fonti documentarie danno della tassa: in P.Oxy. XLIX, 3480; PSI XII, 1265; P.Lips. 64; P.Mich. inv. 3708 è indicata con la locuzione χρυσάργυρον πραγματευτικόν; in P.Lips. 34 v°; P.Ross.Georg. V, 27; e in Basil., Ep., 88 troviamo πραγματευτικὸν χρυσίον; mentre in C.Th. XIII, 4, 4, si usa l’espressione collatio negotiatorum, e in C.Th. XVI, 2, 10, negotiatorum dispendia. 620 Il testo dell’editto di abolizione si trova in Cod. Iust., XI, 1, 1-2, ma senza data. Nessuna datazione è parimenti fornita da Evagrio (Hist. Eccl., III, 39-41), Procopio di Gaza (Panegyr., 13), Prisciano di Cesarea (De Laud. Anast. Imper., vv. 149-170), nonostante che tutti ricordino l’avvenimento con parole di lode per l’imperatore. Zosimo (II, 38) riporta erroneamente le data del 501, mentre Malalas (Chron., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, p. 398) la cita dopo un aneddoto verificatosi dopo il terzo consolato dell’imperatore (507), probabilmente confuso col secondo (498). Più precisa la data fornita da Cirillo di Scytopoli (Vita Sabae, 54, ed. E. Schwartz, Leipzig 1939, p. 99), che colloca il provvedimento 13 anni prima la venuta del santo a Costantinopoli (avvenuta nel 512). Ma la datazione esatta è fornita dalle fonti siriache (il cui determinante apporto nella risoluzione del problema è stato definitivamente dimostrato da Nöldeke 1904, 135): Josué Stilita (Chron., 31), e il Chronicum Edessenum (74), il quale ultimo precisa anche che l’abolizione avvenne nel mese di Îyâr (maggio). Sulle motivazioni che spinsero Anastasio a prendere questa decisione i pareri dei moderni sono divisi. I commentatori cristiani suoi contemporanei (già citati nelle righe precedenti) attribuirono il motivo alla pia religiosità dell’imperatore, che non avrebbe tollerato che lo Stato traesse profitto dall’immorale professione delle meretrici. Realisticamente, dobbiamo immaginare che Anastasio abbia tenuto conto di motivi più pratici, anche se, a mio avviso, sarebbe un errore negare una componente morale nella sua decisione, tenuto conto della profonda religiosità dell’imperatore (su cui si veda almeno, tra i lavori più recenti, Capizzi 2000, 88-97). 621 Due testimonianze sono certamente significative a tal proposito. Priscian., De Laud. Anast. Imper., vv. 149-155: Nunc hominum generi laetissima saecula currunt, / quos inopes dudum faciebant iussa nefanda, / quae propter multi sedes fugere parentum, / quae pater et dominus terrae delevit in aevum, / argenti relevans atque auri pondere mundum; / perpetuoque parans sibi maxima praemia caeli / divitias temnit, quo prodest omnibus unus; Jos. Styl., Chron., 31 ricorda che gli Edesseni tutti festeggiarono per una settimana l’evento e stabilirono di celebrarne la ricorrenza ogni anno e che, ovviamente, i più felici furono i mercanti. 165 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico fronte orientale. Vanno lette in questo senso le campagne militari contro i Persiani, le quali, pur non portando ad alcuna conquista territoriale, ripristinarono l’autorità romana nell’area, in ribasso dai tempi di Giuliano, oltre a portare alla costruzione della città fortezza di Dara.622 Nel Mar Rosso, Anastasio ristabilì l’autorità romana contro le popolazioni arabe che minacciavano gli interessi commerciali dell’Impero, riassicurando allo Stato le importanti rendite fiscali provenienti da Jotabe. Il suo successore, Giustino I, che pure difettava delle capacità amministrative di Anastasio, si diede da fare a sua volta per garantire la supremazia romana nell’area del Mar Rosso, con una accorta politica nell’area dell’Africa Orientale. Egli infatti si impegnò per guadagnare l’emergente potenza axumita all’alleanza con l’Impero. Facendo leva sulla comunanza religiosa tra Axumiti e Romani, Giustino riuscì ad integrare il loro Stato nella politica di Costantinopoli. Il più celebre e significativo episodio è quello narrato nel Martyrium Arethae et sociorum. Gli Axumiti tra il 522 e il 525 ebbero a condurre una serie di guerre con gli Himyariti, stanziati nell’area dell’attuale Yemen. In questo conflitto Axum fu spalleggiata da Costantinopoli,623 come dimostrato nel passo del Marthyrium citato in precedenza. È chiaro che a Giustino non sfuggivano le implicazioni politiche che un successo militare nell’area avrebbe comportato. Estendendo il potere axumita su entrambi i lati del Mar Rosso meridionale, si otteneva una forma di “protettorato” romano su tutto il bacino del Mar Rosso. Non è casuale, in questo contesto, la ricomparsa di Farasan nella nostra documentazione, per la prima volta dai tempi degli imperatori Antonini. Il trend positivo sembra essere continuato sotto Giustiniano I. È noto che sotto questo imperatore l’Impero raggiunse la sua massima espansione. In particolare furono colte importanti vittorie contro i Persiani,624 fu compiuta una nuova spedizione contro Jotabe per riportarla sotto il controllo di Costantinopoli, e fu potenziato il processo di integrazione del regno axumita nella sfera di influenza romana, portando avanti le linee politiche del tempo di Giustino.625 Se confrontiamo il contesto storico generale con le fonti letterarie in nostro possesso, vediamo che il quadro complessivo è assolutamente coerente. Sono proprio le fonti letterarie di V-VI secolo quelle più ricche di particolari sul ruolo dei porti ro- 622 623 624 625 Dignas e Winter 2007, 100-106. Evans 1996, 112-113. Evans 1996, 114-117; Dignas e Winter 2007, 106-109. Evans 1996, 113-114. 166 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) mani, ed attestano chiaramente che queste installazioni erano terminali commerciali di rilievo per le merci di importazione orientale. Le testimonianze di Procopio, Egeria (tramite Pietro Diacono), Antoninus Placentinus e Cosmas Indicopleustes sono a questo proposito le più indicative, ma ad esse vanno aggiunte le informazioni ricavabili dalla documentazione archeologica (in particolare Aila e Berenice) e dei documenti rinvenuti, come l’editto di Anastasio e le iscrizioni da ’Abu Sha’ar. Per comprendere i forti legami commerciali tra Costantinopoli e Axum, oltre alla esplicita testimonianza di Cosmas Indicopleustes, vale la pena di ricordare come le analisi numismatiche abbiano rilevato che la monetazione axumita sia una stretta imitazione di quella romana, per quanto concerne tipi monetali e peso.626 Proprio la forte integrazione dello Stato axumita all’Impero fa intuire che tra V e VI secolo Costantinopoli arrivò a controllare, in maniera più o meno diretta, un’amplissima porzione del Mar Rosso stesso, raggiungendo un grado di penetrazione politica in esso sperimentato, forse, solo nel II secolo d.C. Un secondo aspetto su cui ora fermare l’attenzione è il carattere fortemente militare delle installazioni portuali nel Mar Rosso in epoca tardoantica. È certamente vero che l’area era già stata fortemente interessata dalla presenza militare nel I e nel II secolo d.C. Abbiamo già ricordato le truppe dislocate lungo la carovaniera Coptos <-> Berenice / Myos Hormos, nonché la presenza nella stessa Coptos di un praefectus Berenicidis montis; in Nabatea (poi provincia d’Arabia) un centurione romano era perennemente stanziato a Leuke Kome, mentre un altro distaccamento era dislocato a Hegra. Eppure, la militarizzazione dell’area eritrea appare più marcata a partire dal IV secolo. È il caso di sottolineare come sia Coptos che Clysma siano ricordati nelle fonti come castra, vere e proprie città militari. Aila, d’altra parte, fu scelta come sede della Legio X Fretensis, e collegata tramite la via Nova Traiana e la Strata Diocletiana al sistema di fortificazioni esistente sul limes romano-persiano. ’Abu Sha’ar era a sua volta in un limes interno, costruito col fine di migliorare la sicurezza dell’area orientale dell’Egitto.627 Lo sviluppo della presenza militare romana nell’area ci consente, da un lato, di sottolineare ancora una volta come i porti più settentrionali abbiano svolto, in questo periodo, un ruolo di primo piano, come illustra chiaramente la proliferazione di postazioni militari nell’area settentrionale dell’Egitto, tra ’Abu Sha’ar 626 627 Bausi 2006, 83-98; Metlich 2006, 99-104. Sidebotham 2017, 139-145. 167 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico e Clysma, e ad Aila. D’altro canto, il cospicuo investimento di uomini e mezzi nell’area chiarisce che senza dubbio ci fosse una accorta regia statale dietro questo sviluppo. Con ciò non si intende dire che lo Stato avesse pilotato direttamente lo sviluppo delle installazioni settentrionali, ma che quantomeno si deve ammettere che si adoperò perché questo sviluppo potesse andare avanti in un contesto il più favorevole possibile. Gli interventi operati nell’area del Mar Rosso sono in effetti coordinati in maniera tale che è possibile individuare una complessiva volontà romana di controllare a fondo il commercio nell’area. Volontà che, pur conoscendo alti e bassi nella sua concreta realizzazione, rimase comunque mirata verso l’obiettivo finale di fare del Mar Rosso una sorta di Mare Internum, circondato in ogni lato da province o Stati alleati di Roma. Questo ci porta a riflettere su un ultimo aspetto, quello della tassazione, su cui è necessario spendere le ultime parole di questa sezione. Con l’analisi portata avanti in questo capitolo si è cercato di evidenziare le caratteristiche del sistema di tassazione tardoantico, e la sua strutturazione geografica. Appare chiaro che esso è fondamentalmente il figlio diretto del sistema utilizzato in età altoimperiale. La filosofia alla base è la stessa, e si fonda sull’idea di creare delle “porte” prestabilite di accesso all’Impero, attraverso cui far passare tutte le merci in ingresso. Nell’area del Mar Rosso parte del vecchio sistema sopravvisse, con il mantenimento della struttura della arabarchia, che con ogni probabilità continuò ad operare tra Coptos e Alessandria. Sul lato arabo, le prerogative di Leuke Kome furono presumibilmente ereditate da Jotabe, mentre la vera novità è Clysma, inserita nel sistema per la prima volta, a testimoniare un cambio nelle rotte commerciali della zona. Nella frontiera terrestre, pur al variare delle città deputate ad assolvere l’incarico, fu sempre fatto salvo il principio di avere un unico punto di scambio autorizzato sulla frontiera tra i due imperi: Nisibis fino al 363, poi Callinicum fino al 562, anno in cui anche Dara fu aperta al commercio con i Persiani, rappresentando la sola deroga al principio dell’unica porta d’ingresso. È possibile notare che gli imperatori romani di questo periodo ebbero cura di sottolineare che questo tipo di organizzazione aveva anche lo scopo di impedire infiltrazioni di spie nell’Impero. Questa particolare attenzione al problema, più che a un eccesso di dirigismo da parte dello Stato tardoantico, andrà spiegata con il cambio politico avvenuto in Oriente a partire dall’inizio del III secolo. Alla tutto sommato amichevole dinastia degli Arsacidi parti era succeduta quella degli aggressivi Sasanidi persiani. Una maggiore attenzione sulla frontiera orientale era imposta dalle circostanze, dati i frequenti conflitti tra i due imperi. 168 3. L’età tardoantica (IV-VI secolo) Dall’analisi portata avanti finora sull’epoca tardoantica, appare chiaro che alcuni elementi non sono ancora stati spiegati adeguatamente. Ad esempio, la domanda di fondo che dovrebbe a questo punto trovare necessariamente una risposta è perché la geografia portuale del Mar Rosso appare così fortemente cambiata in epoca tardoantica. Perché, in altre parole, un sistema che si era dimostrato affidabile per più di due secoli fu abbandonato? Abbiamo chiuso l’analisi del precedente capitolo descrivendo la geografia portuale del Mar Rosso nel II secolo d.C. Qui abbiamo ricominciato descrivendo quella di IV secolo: il quadro appare mutato in maniera rilevante. È ora fondamentale capire cosa avvenne nel mezzo, verificare quali furono effettivamente le dinamiche che portarono ad abbandonare dei porti utilizzati per 200 anni e più e a utilizzare degli altri, fino a quel momento di scarsa importanza, posti peraltro in una posizione geografica sfavorevole. Il tentativo di spiegare questa modifica sarà lo scopo principale del prossimo capitolo. 169 4. L’età di passaggio, il III secolo 1. La ‘crisi’ come problema storiografico Nel precedente capitolo abbiamo analizzato i dati relativi all’evoluzione dei porti in epoca tardoantica. Si è provato a evidenziare quali furono i momenti di maggior sviluppo dei porti romani a partire dal IV secolo. Abbiamo anche sottolineato le profonde differenze tra lo scenario di IV-VII d.C. secolo con quello di I a.C.-II d.C., ma resta ancora da rispondere a importanti domande circa il vero e proprio funzionamento del sistema tardoantico. Si è insistito molto sull’ascesa commerciale dei porti collocati nella parte più settentrionale del Mar Rosso, identificando questa come la caratteristica principale del periodo tardo. Eppure rivelare questa struttura non è sufficiente a rendere conto della peculiare conformazione del sistema portuale sul Mar Rosso dal IV secolo in poi. Le caratteristiche fisico-geografiche del Mare erano sfavorevoli a una navigazione in direzione Sud-Nord, e questo aspetto aveva determinato, dall’era tolemaica fino al II secolo d.C., il mancato sviluppo delle installazioni portuali nel Nord del Mar Rosso, nonostante gli sforzi che pure furono fatti da alcuni sovrani (si pensi ad esempio a Tolomeo II e al suo tentativo di aprire un canale navigabile congiungente il Nilo col Golfo di Suez).628 Eppure una difficoltà così grave sembra in qualche modo essere superata dal IV secolo d.C. in poi. La soluzione a questo enigma va ricercata cronologicamente nel periodo intermedio tra i due che sono stati analizzati, il III secolo d.C., epoca in cui si sarebbero dovuti verificare i cambiamenti che trasformarono il sistema altoimperiale in quello tardoantico. 628 A tal proposito, si veda quanto già detto supra, cap. I. 171 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Il III secolo è stato identificato da molto tempo come il “punto di svolta” nella storia della gestione del Mar Rosso da parte dei Romani, e più in generale del commercio tra il loro Impero e l’India. In questo senso, la communis opinio per cui il III secolo sarebbe stato un periodo di profonda crisi politica, militare ed economica ha svolto un ruolo determinante nel formare le teorie elaborate dagli studiosi. Fino ad oggi, ha complessivamente regnato indisturbata l’opinione per cui, mentre tra I e II secolo d.C. il volume dei commerci tra Impero Romano e India avrebbe raggiunto livelli altissimi, a partire dal IV secolo il volume si sarebbe ridotto di molto. Nel mezzo, la “crisi di III secolo”, che avrebbe messo l’Impero economicamente e militarmente in ginocchio, causando il quasi totale crollo dei contatti commerciali con l’Oriente e la distruzione dei porti principali nel Mar Rosso. Dal IV secolo l’Impero, giovandosi di una ritrovata stabilità economica e politica, avrebbe tentato di riallacciare i contatti con l’Oriente, ma questa volta utilizzando i porti settentrionali del Mar Rosso, pur geograficamente svantaggiati, perché questi erano gli unici rimasti a disposizione. Il volume complessivo degli scambi, tuttavia, sarebbe rimasto basso, anche a causa della concorrenza di Axumiti e Persiani, ormai divenuti i padroni delle rotte commerciali con l’India. Se diamo una rapida occhiata ad alcune delle opinioni espresse nei principali testi che nell’ultimo secolo si sono occupati di questo argomento, possiamo verificare la pressoché totale unanimità dei pareri espressi sulla questione. Tra i primi a occuparsi dell’argomento fu il Warmington. Egli, nel suo The Commerce between the Roman Empire and India, dedicava poche pagine a quello che aveva significativamente indicato come un periodo di declino, iniziato con la morte di Marco Aurelio. Lo studioso, a proposito del commercio con l’India nel corso del III secolo, così si esprimeva: “[…] The Roman Empire as a whole suffered a steady economic and political decline […]. Egypt shared in the troubles and was unable to protect the desert-routes, and after the cruel treatment of Alexandria by Caracalla, direct sea-trade between the Roman Empire and India almost ceased to exist […] and discoveries of coins in India become very few for reigns succeeding that of Aurelius, and cease altogether between Caracalla and Constantius II with the exeptions of mostly isolated discoveries in the north of India, reflecting, if anything, the activity of Palmyra. We must not forget however that barter now became a general system of trade, and Roman subjects could go to India under the protection of the Axumites, for along the sea-route across the Indian Ocean control of the traffic passed once more into the hands of foreigners – the Arabians and still more the Axumites, who took 172 4. L’età di passaggio, il III secolo the place of the Egyptian Greeks and became the middlemen for the Indian seatrade with Egypt.”629 A proposito della ripresa commerciale in epoca bizantina, invece, lo studioso si esprimeva in questi termini: “Aela, Clysma, and especially Berenice revived in importance, but the so-called trade with the ‘Indians’ was in reality trade with the Ethiopians, and even under Justinian in the sixth century Byzantine subjects visited not India so much as Arabia and the Axumite realm (particularly Adulis), and the ignorance now shewn about India was truly prodigious.”630 Nell’analisi dello studioso inglese sono presenti già tutti gli elementi che caratterizzeranno l’analisi di questo periodo nelle opere degli autori successivi: il terzo secolo come periodo di totale declino del commercio con l’Oriente; la comparsa di intermediari (gli Axumiti) che avrebbero agito come concorrenti commerciali dei Romani, costringendo questi ultimi a sottostare alle proprie condizioni; il declino in epoca tardoantica, nonostante le sporadiche testimonianze di un revival commerciale a partire dal IV secolo; l’ignoranza geografica mostrata dai Romani di IV-VII secolo riguardo l’India, ulteriore prova di un ridotto contatto commerciale diretto col subcontinente. Ultimo aspetto da non sottovalutare, la grande importanza riservata alle monete romane ritrovate in India, le quali sarebbero un testimone oggettivo e fedele delle variazioni subite nei flussi commerciali tra Occidente e Oriente, e che mostrerebbero anch’esse chiaramente che dopo la fine del II secolo la presenza romana in India divenne assolutamente sporadica. Le opinioni del Warmington furono riprese successivamente dalla totalità degli studiosi che si occuparono del problema, come risulterà chiaro dal proseguire della nostra rapida carrellata. Il più celebre dei libri scritti sul tema dei rapporti commerciali tra mondo romano e l’Est è certamente il testo di S.E. Sidebotham, Roman Economic Policy in the Erythra Thalassa, ancora oggi spesso citato come punto di riferimento in numerosi lavori. Anche il testo del Sidebotham fondamentalmente non si occupa di estendere la sua analisi all’epoca tardoantica, dichiarando nel sottotitolo i limiti cronologici in cui l’opera si inserisce (30 a.C – 217 d.C.), eppure in alcune parti del suo lavoro l’autore non rinunciava ad esprimere alcune valutazioni di massima: “The fact that no Roman coins later than Caracalla have been found in the east and central Andhra regions of India – an area where the Roman traders 629 630 Warmington 1928, 136-137. Warmington 1928, 139-140. 173 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico were active in the second century – and that very few coins of third century emperors after Caracalla have been found in India at all suggest that Roman trade in coins with India virtually ceased after the second or third decades of the third century. The trade seems to have fallen into the hands of middlemen who may have preferred trading in barter.”631 Come si vede, anche in Sidebotham tornano sinteticamente i concetti già espressi decenni prima dal Warmington: il declino, quasi la sparizione del commercio nel terzo secolo; l’ascesa commerciale di intermediari nell’area del Mar Rosso; l’assenza di monete romane in India dopo l’epoca dei Severi, in particolare da Caracalla in poi. Il nuovo secolo non porta un sostanziale cambiamento nelle opinioni degli studiosi. Un testo significativo in merito è il volume pubblicato da G.K. Young, dal titolo Rome’s Eastern Trade, il quale per primo ha spinto il proprio orizzonte cronologico al di là del III secolo, facendo arrivare la propria trattazione fino alla abdicazione di Dioclaziano (305 d.C.). Anche nel testo dello Young, tuttavia, l’epoca posteriore al II secolo d.C. è trattata in maniera alquanto sintetica, riprendendo ancora una volta gli schemi facenti capo fondamentalmente al Warmington: “There is considerable evidence to show that the Egyptian Red Sea trade suffered a marked downturn in the later third century. This is not to say that the trade ceased altogether: there is still evidence that the commerce through the Red Sea ports was active at that time in the Historia Augusta. Nonetheless there is good reason to believe that the volume of commerce passing through the Egyptian Red Sea ports declined significantly at this time.”632 Notiamo nelle affermazioni dello Young per la prima volta un ammorbidimento della canonica opinione riguardo al terzo secolo. Egli non parla di “totale cessazione” dei commerci in questo periodo, ma di “riduzione”. Lo studioso prosegue poi la sua analisi, riportando nella sua discussione alcuni dei tipici argomenti che abbiamo già evidenziato in precedenza: “This decline in volume of traffic using the Egyptian Red Sea ports also appears to parallel developments in the coin evidence from India. [..] there are no Roman coins at all from the later third century. […] the apparent coincidence of the disappearance of Roman coins from India with the decline of the Egyptian Red Sea ports would seem to indicate a general downturn in the Red Sea commerce in the later third century. […] There are several 631 632 Sidebotham 1986a, 172. Young 2001, 82. 174 4. L’età di passaggio, il III secolo reasons why the civil wars and economic crisis of the third century might have had a damaging effect on the eastern long-distance trade. The greater prevalence of warfare would, of course, impede the trade severely. It has already been seen that the trade began to prosper in a period of peace and Roman prosperity beginning in the later first century BC; it should hardly surprise us that the resurgence of internal warfare in the third century would damage the trade. Similarly, the rampant inflation which gripped the Roman world throughout the third century would have armed international commerce as the buying power of Roman currency collapsed.”633 Mentre il giudizio complessivo dello Young sul III secolo è sostanzialmente analogo a quello degli studiosi che si sono occupati dell’argomento prima di lui, alquanto diversa è l’opinione sulla ripresa commerciale che si sarebbe verificata a partire dal IV secolo: “The discovery of Persian and Axumite coins from this period [il IV secolo d.C., n.d.r.] at various points concerned with the Indian Ocean trade indicates that these traders were certainly active at this time, and there are literary references to competition between Roman and Persian traders in the Indian Ocean during this period as well. Nonetheless it would be greatly overstating the case to contend that the trade was now entirely in the hands of the Persian and Axumite ‘middlemen’, as the aforementioned literary reference certainly describes Roman traders being present in Sri Lanka. While it is certain that Persian and Axumite traders were now also active in the Indian Ocean, there is no reason to suppose that the Roman merchants were absent.”634 Si avverte in queste parole che, nel momento in cui lo Young scriveva, la generale considerazione da parte degli studiosi nei confronti dell’epoca tardoantica era in corso di cambiamento, in particolare grazie agli scavi portati avanti dalle équipes di Sidebotham e Wendrich a Berenice, e di Parker ad Aila, i cui risultati iniziavano a gettare nuova luce sulla storia post IV secolo delle installazioni portuali romane nel Mar Rosso. Tuttavia, c’è da notare che i risultati delle indagini archeologiche degli ultimi decenni non hanno ancora portato a un radicale cambio di prospettiva nel modo di valutare la presenza romana nel Mar Rosso in epoca tardoantica. Di questa permanenza di un punto di vista legato fortemente allo stereotipo della crisi e della decadenza, a partire dal III secolo d.C., se ne ha un ottimo esempio in una delle ultime monografie dedicate ai commerci nel Mar Rosso pubblicata 633 634 Young 2001, 83. Young 2001, 88. 175 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico in lingua inglese. Si tratta del testo di di R. McLaughlin, The Roman Empire and the Indian Ocean. The Ancient World Economy of the Kingdoms of Africa, Arabia and India.635 Nonostante il titolo piuttosto ambizioso, il volume non è scientificamente al livello di quelli precedentemente citati, e palesa in realtà una serie di errori e imprecisioni per lo meno sorprendenti. Per quanto il taglio sia molto divulgativo e l’autore non fornisca se non raramente delucidazioni metodologiche sulle conclusioni alquanto perentorie a cui giunge, è interessante notare che anche in questo volume si ripete il paradigma del commercio romano con l’India completamente decaduto a partire dal III secolo, e ancor di più in epoca tardoantica. In effetti, il volume tralascia completamente di dedicare dello spazio a questa fase della storia romana, concludendo laconicamente: “Between AD 235 and 284, the Roman Empire entered an era known to modern historians as the ‘Crisis of the Third Century’, the ‘Military Anarchy’, or the ‘Imperial Crisis’. In a fifty-year period there were over twenty-five claimants to the title of Emperor and the Roman army fought repeated civil wars that devastated the Legions and diminished their long-established military expertise. When the available income of the Roman government was unable to meet its military costs the silver coinage was debased. By the end of the third century AD the denarius contained only minute quantities of silver and serious price inflation took hold in Roman markets. The Roman State was forced to develop a larger bureaucratic tax-system to extract essential resources from its subject populations. […] During the fourth century the Roman Empire split into two separate regimes […].”636 In realtà, come si avrà modo di analizzare infra, molte della affermazioni generali riguardo il III secolo fatte dal McLaughlin sono basate su stereotipi storiografici che sono stati abbandonati da tempo. Conseguentemente, le sue interpretazioni dei fenomeni commerciali nel Mar Rosso dell’era post-Marco Aurelio appaiono datate e più vicine a quelle espresse genericamente dal Warmington, che a quelle di monografie più recenti. In ogni caso, secondo il McLaughlin la serie di fattori da lui elencata avrebbe portato alla fine degli scambi internazionali tra Roma e l’Oriente, determinando il crollo di quella ‘World Economy’ che aveva caratterizzato i primi due secoli di vita dell’Impero.637 635 636 637 McLaughlin 2014. McLaughlin 2014, 224-225. Si veda a tal proposito l’interessante studio di Morony 2004. 176 4. L’età di passaggio, il III secolo L’unico elemento in controtendenza, in questa sintetica rassegna bibliografica, è il testo di T. Power, The Red Sea from Byzantium to the Caliphate. AD 500-1000.638 Come è chiaro fin dal titolo, il volume spezza la tradizionale cronologia del Mar Rosso, che vede una discontinuità forte tra il periodo Romano/ Bizantino da un lato, e quello arabo dall’altro. Nelle pagine iniziali del suo lavoro, il Power lamenta proprio la scarsa attenzione che i classicisti hanno riservato all’analisi della fase tardoantica del Mar Rosso: “The study of the early roman ‘India trade’ has tended to overshadow that of the late Roman period. Indeed, the Periplus has become so much cited that it has assumed a virtually normative position in the discourse. […] Tomber’s recent study includes a rare synthesis of the late Roman red Sea ‘India trade’ based largely on the ceramic evidence, yet it is striking that classical archaeologists have thus far neglected to write a definitive monograph on the subject.”639 Ci sono delle opinioni di fondo condivise relativamente al III secolo come epoca di transizione verso una nuova fase dello sviluppo dei commerci con l’Oriente. Tutti i testi esaminati sottolineano alcuni aspetti, come il declino politico ed economico dell’Impero in questo periodo, cui avrebbe fatto seguito una fortissima inflazione, che avrebbe avuto negative ricadute sul commercio internazionale con i Paesi dell’Oriente. Prova principale di questo trend negativo sarebbe la mancanza di monete romane in India databili dal regno Caracalla in poi. Di seguito si cercherà di verificare se effettivamente l’ipotesi del declino generale dei commerci romani nel Mar Rosso dal III secolo in poi sia accettabile, cercando di capire in primo luogo se le fondamenta su cui essa si basa siano effettivamente solide o meno. Questo comporta necessariamente un confronto con quello che è un complesso e annoso problema storiografico, la definizione di quella che fu la cosiddetta “crisi di terzo secolo”, sul cui riguardo gli studiosi sono ben lungi dall’essere d’accordo. Il tema è ampio e ad esso sono state dedicate molte monografie, per cui qui di seguito si cercherà di circoscrivere l’analisi a quegli aspetti maggiormente rilevanti per l’argomento di questo lavoro. L’idea che il mondo romano sia stato oggetto di una ‘crisi’ durante il III secolo d.C. trae origine, in certa misura, dalle testimonianze riportate dagli stessi contemporanei, le quali, pur non numerosissime, presentano un quadro a tinte 638 639 Power 2012, peraltro curiosamente ignorato totalmente da McLaughlin 2014. Power 2012, 7-8. 177 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico fosche di questo periodo.640 Queste testimonianze hanno costituito la base su cui si è costruita una vulgata del III secolo come età della crisi per eccellenza del mondo romano, fin dai tempi del Gibbon e della sua monumentale History of Decline and Fall of the Roman Empire.641 In effetti, ragioni per indicare questa come un’epoca difficile ve ne sono. Nel cinquantennio compreso tra il 235 (morte di Alessandro Severo) e il 285 (definitiva conquista del potere da parte di Diocleziano) l’Impero sperimentò un periodo molto travagliato, affrontando una serie di minacce che ne misero a repentaglio la stessa esistenza.642 Tuttavia gli studiosi non hanno mai raggiunto un accordo su quelle che furono le reali proporzioni della crisi e neppure se esso sia il termine più adatto a designare i convulsi accadimenti di questo periodo. Se proviamo a verificare in che modo il tema sia stato trattato nell’ultimo secolo, si nota chiaramente che il concetto di crisi sembra essere stato progressivamente “diluito” in quello di “trasformazione”, più neutrale. Nella vecchia edizione della Cambridge Ancient History, il volume XII, del 1939, era intitolato The Imperial Crisis and Recovery, 193-324, quasi a suggerire che il periodo di crisi fosse durato per ben 131 anni, mentre il capitolo affidato ad Andreas Alföldi è intitolato “The crisis of the Empire (AD 249-270)”,643 restringendo di fatto l’ambito cronologico a soli 21 anni. La parola “crisi” è utilizzata peraltro come una sorta di “contenitore”, di cui non si fornisce una precisa descrizione, come un modo di descrivere un periodo che è ovviamente travagliato e complesso. Compare qui immediatamente una delle caratteristiche più evidenti della storiografia sull’argomento, e cioè la difficoltà nel definire precisamente i limiti cronologici e semantici del fenomeno. La parola “crisi” è presente ancora in un lavoro del MacMullen del 1976, Roman Government’s Response to Crisis AD 235-337.644 Possiamo subito notare come la ripartizione cronologica scelta dal MacMullen sia diversa da quella della Per una raccolta e un commento dettagliato delle fonti letterarie disponibili, si veda Alföldy 1989, 319-340. 641 Si vedano, per una sintetica panoramica sul dibattito storiografico riguardo a questo argomento, almeno: Mazza 1970; Chambers 1966, 30-58; Demandt 1984; Alföldy 1989; Lo Cascio 1993, 248-249; Drinkwater 2005, 28-66; Liebeschuetz 2007, 11-20. 642 Celebre la efficace immagine evocata dal Mazzarino (1973, 534-543), secondo il quale l’Impero si trovò ridotto a un “torso” di quello che era stato una volta il suo territorio. 643 Alföldi 1939, 165-231. 644 Macmullen 1976. 640 178 4. L’età di passaggio, il III secolo Cambridge Ancient History, mentre il termine è ancora una volta usato in maniera vaga, come sintesi per indicare una situazione precaria che, come suggerito dal titolo del testo, il governo romano dovette ad un certo punto affrontare. Non molti anni dopo, Geza Alföldy per la prima volta pose il concetto di crisi davvero al centro dell’indagine storiografica.645 Egli puntò l’attenzione sulla percezione che i contemporanei avevano dei tempi in cui si trovarono a vivere. Analizzando prevalentemente fonti cristiane (pur senza trascurare quelle di ambito pagano), egli trasse la conclusione che i Romani di III secolo ebbero la chiara percezione di vivere in un periodo di grave difficoltà e di crisi sociale, arrivando a interpretare questi fenomeni come presagi della imminente fine del mondo. È solo in anni recenti, invece, che il concetto di crisi è stato decisamente rimesso in discussione, arrivando a negare che esso possa descrivere adeguatamente lo scenario di III secolo. In tal senso, uno dei primi testi che si segnalò fu certamente il lavoro dello Strobel, edito nel 1993,646 che ebbe anche il merito di utilizzare il concetto di crisi come un vero e proprio modello storiografico, e non solo come “contenitore”.647 Egli rigettava l’idea di crisi nel terzo secolo, e in particolare confutava le argomentazioni di Geza Alföldy, sostenendo che le testimonianze raccolte da quest’ultimo nel suo libro non fossero utilizzabili per sostenere l’idea che i Romani di III secolo avessero l’impressione di vivere in un periodo di crisi irrimediabile, ma evidenziassero piuttosto i problemi che singole persone o gruppi di persone (ad esempio i Cristiani, sottoposti a persecuzioni) potevano aver riscontrato in quel determinato periodo. Infine, lo Strobel esprimeva anche sfiducia sulla validità del metodo adoperato dallo Alföldi: partendo dalla convinzione che l’autentica natura di un’epoca di crisi può essere compiutamente riconosciuta solo quando questa epoca sia giunta a termine, egli dubitava che i Romani di III secolo fossero nella posizione di poter esprimere giudizi significativi sulla loro epoca. La conclusione dello Strobel è che in effetti non vi fu alcuna crisi nel corso del III secolo, e che esso possa essere considerato complessivamente un’epoca relativamente stabile,648 arrivando infine persino a negare l’ipotesi che Alföldy 1989. Strobel 1993. 647 Strobel 1993, 32: “ob das ‘3. Jahrhundert’ als Modell einer historischen Krise gesehen werder kann, also nicht nur in einer sachlichen Retrospektive des Historikers, sondern in der erlebten Gegenwart in der Geschichtswahrnehmung der Zeitgenossen.” 648 Strobel 1993, 347: “Aber selbst im Vergleich mit dem mittelalterlichen und dem neuzeitlichen Europa haben wir in der betrachten Periode ein bemerkenswert stabiles System vor uns.” 645 646 179 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico si sia verificato in questo periodo un “cambiamento accelerato” (beschleunigter Wandel), ribadendo che “cambiamento strutturale” (Strukturwandel) è il termine più appropriato per descrivere il fenomeno.649 Nel 1999 fu il Witschel a tornare sull’argomento,650 nel suo lavoro che si prefiggeva di realizzare una ricognizione generale delle condizioni sociali del mondo romano nel III secolo, analizzando non solo le testimonianze letterarie, ma anche quelle provenienti da scavi archeologici. Piuttosto che occuparsi della storia politica dell’Impero, egli cercò di delineare la storia delle singole regioni, mettendo in evidenza quali furono i risultati del cambiamento in ognuna di esse, sottolineandone le relative differenze. Egli sostenne che, nonostante per certi versi il mondo romano a partire dal IV secolo risultasse profondamente diverso da quello di II secolo, le strutture portanti fossero rimaste immutate. Dato ancora più importante, egli sottolineò come molti degli sviluppi caratterizzanti il III secolo erano in realtà partiti nel secolo precedente. Nonostante il Witschel dichiarasse di non trovare sorprendente che molti studiosi considerassero il periodo tra il 250/60 e il 280/90 come un’epoca di crisi,651 la sua personale conclusione era che crisi non vi fosse stata per nulla.652 A suggellare la parabola evolutiva del concetto di “crisi di III secolo” è infine la nuova edizione della Cambridge Ancient History, volume XII, che reca lo stesso identico titolo del XII volume della edizione precedente. Questa volta, tuttavia, il capitolo in esso contenuto e dedicato alle difficoltà di III secolo ha un titolo decisamente più neutro: Maximinus to Diocletian and the Crisis,653 laddove l’autore, J. Drinkwater, non manca di sottolineare come il termine “crisi” non dovrebbe essere utilizzato per descrivere il complesso dei fenomeni occorsi nel III secolo, mentre la parola più adatta a tale scopo sarebbe “trasformazione”, o “cambiamento”.654 Strobel 1993, 346-347. Witschel 1999. 651 Witschel 1999, 375. 652 Witschel 1999, 377: “Das römische Reich sah also im 4. Jh. an nicht wenigen Punkten anders als im 2. Jh. Viele dieser Veränderungen betrafen eher Äußerlichkeiten, während die politischen, sozialen und wirtschaftlichen Grundstrukturen in einem bei der Schwere der militärischen Probleme in 3. Jh. erstaunlichen Umfang erhalten blieben.” 653 Drinkwater 2005, 28-66. 654 Drinkwater 2005, 64. 649 650 180 4. L’età di passaggio, il III secolo Stessa opinione è contenuta in un’altra opera di recente pubblicazione, che si confronta con l’argomento: The Roman Empire at Bay, AD 180-395, di D. Potter.655 L’autore esprime l’idea che sia necessario sostituire il concetto di crisi con quello di cambiamento e trasformazione graduale.656 Questo recente e radicale cambiamento nel giudizio sul III secolo trae origine da due fenomeni. Da un lato, vi sono ragioni non propriamente “oggettive”, riconducibili alla congerie culturale contemporanea, che tende a rivalutare fortemente tutta la antichità “non classica”, in reazione a secoli di venerazione per quella “classica”, considerata l’esempio per eccellenza di perfezione e oggetto privilegiato dello studio dello storico.657 Dall’altro lato, la maggiore attenzione che si è dedicata nel corso degli ultimi decenni allo studio della cultura materiale delle singole province dell’Impero ha permesso di comprendere meglio nel dettaglio la società romana di III secolo, evidenziando le profonde differenze esistenti tra le singole province.658 Per quanto concerne questo ultimo aspetto, va detto che in particolare le province orientali dell’Impero, oggetto di questo lavoro, sembrano tra le meno coinvolte in fenomeni che si possano definire genericamente come “crisi”.659 Potter 2004. Analogamente si sono espressi in anni recenti anche Cameron 1998, 9-31; Horden e Purcell 2000, 339. 657 Sulle implicazioni culturali nell’analisi della crisi di III secolo, si veda ora la lucida analisi di Liebeschuetz 2007; in generale, sulla rivalutazione della tarda antichità, si veda ancora Giardina 1990, 157-180 più recentemente Athanassiadi 2006, 311-324. 658 Si veda a tal proposito Lo Cascio 1993, 247-252, il quale tuttavia sottolinea (pp. 250-251) come: “Una eccessiva insistenza sulla diversità degli sviluppi regionali e sui casi di continuata prosperità può far perdere di vista, tuttavia, la necessità di una considerazione complessiva delle condizioni dell’Impero in quanto realtà politica unitaria e, almeno per quegli aspetti direttamente connessi con l’esistenza dello Stato, anche economica unitaria. Anche a volere ammettere la non generalizzabilità, nello spazio, di una crisi di vaste proporzioni e il carattere sostanzialmente episodico delle sue manifestazioni, legato a specifiche congiunture (per esempio belliche), rimane pur sempre accertato che i decenni centrali del III secolo vedono messa seriamente a repentaglio la sopravvivenza dell’Impero come organismo unitario […]. 659 Si vedano i saggi contenuti in Lewin e Pellegrini 2006, integralmente dedicati all’argomento. 655 656 181 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico 2. I cambiamenti di III secolo Nonostante questo complessivo cambio di prospettiva sul problema della “crisi”, abbiamo visto in precedenza che l’opinione generalmente condivisa dagli studiosi è che le difficili condizioni economiche caratteristiche del III secolo avrebbero danneggiato il commercio nel Mar Rosso. A tal proposito, sono tre i punti fondamentali su cui si basa questa ipotesi: L’inflazione incontrollabile che avrebbe colpito la moneta romana in questo periodo avrebbe severamente compromesso la capacità di spesa dei Romani, limitando conseguentemente la domanda di beni di lusso provenienti dall’Oriente. Le monete romane ritrovate in India non sono posteriori all’epoca di Settimio Severo o Caracalla, il che lascerebbe presumere che dopo la prima età Severiana vi fu una contrazione notevole degli scambi commerciali diretti tra il Mediterraneo e l’India. Alcuni porti dell’area eritrea, come Myos Hormos e Coptos, furono distrutti abbandonati o distrutti durante il III secolo, per cui o assumiamo che questo fu il risultato di una crisi commerciale, o che ne fu la premessa. Smontare ognuno di questi tre punti è la necessaria premessa che ci porterà a fornire un’interpretazione diversa per il mutato scenario economico di epoca tardoantica. 2.1 L’inflazione nel III secolo “It is still the normal view that there was serious price-inflation in the Roman Empire of the third century A.D., that is inflation at a rate and of a duration which disrupted economic structures. This supposed price-inflation is only one element in a grand economic model whose other principal elements are increased state expenditure, mainly on the army, monetary inflation arising through debasement and increased supply, in terms of its face value, of the coinage, and increased taxation, with a consequent public and private tendency to revert to an economy in kind.”660 660 Rathbone 1996, 321. 182 4. L’età di passaggio, il III secolo Con queste parole il Rathbone descriveva quella che ancora negli anni ‘90 del secolo scorso era l’opinione maggiormente diffusa tra gli studiosi di storia romana, secondo la quale il III secolo sarebbe stato un periodo in cui l’inflazione della moneta romana avrebbe generato un catastrofico e incontrollato aumento dei prezzi, espressi in unità di conto. Questa spirale inflazionistica si sarebbe innescata a partire dalle riforme monetarie di Caracalla, fino a raggiungere livelli inauditi alla fine del III secolo, quando Diocleziano, per porre fine a questa tendenza pluridecennale, avrebbe emanato il suo celebre Edictum de pretiis rerum venalium. Abbiamo visto come questa teoria sia stata largamente seguita da coloro che si sono interessati dei commerci tra Roma e l’India, per spiegare il supposto calo della domanda di prodotti orientali nel III secolo: l’inflazione inarrestabile del III secolo avrebbe eroso il valore della moneta argentea e, conseguentemente, avrebbe ridotto di molto la capacità di spesa dei cittadini dell’Impero; ragione per cui nel III secolo si sarebbe verificata una stagnazione nell’ambito dei commerci con l’Oriente. In realtà, questa interpretazione riposa su un’ipotesi ormai obsoleta, quella che il III secolo d.C. sia stato dominato quasi interamente da una grave crisi inflattiva, conseguenza del rapido processo di svalutazione del valore intrinseco della moneta argentea, promosso a partire dalla dinastia dei Severi. Tale ipotesi, per quanto abbia ancora dei sostenitori, è stata negli anni messa in seria discussione da alcuni dei maggiori esperti tra gli studiosi di economia antica. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, si sono moltiplicati gli studi che puntano a scollegare i due fenomeni (svalutazione e inflazione), e a precisarne le effettive caratteristiche.661 Non c’è qui lo spazio per ripercorrere tutte le tappe di un dibattito storiografico lungo e acceso, ma si cercherà di fornire un sintetico quadro della situazione. È un dato acquisito che i prezzi nell’impero romano rimasero alquanto stabili per i primi due secoli dell’era imperiale, con una inflazione media annua inferiore all’1%.662 Tale periodo di grande stabilità dei prezzi ebbe una battuta d’arresto già alla fine del II secolo d.C. Come sintetizzato dal Rathbone: “The price bands for other goods and wages display a remarkable stability from the AD 70s to the 160s, and then again from the 190s to AD 274. […] The 661 Si vedano, ad esempio, i lavori di Lo Cascio 1993, 247-282; Rathbone 1996, 321-340; Lo Cascio 1997, 161-182; Banaji 2001, 45-60; Christiansen 2004, 112-113; Morley 2007; Verboven 2007, 245-257; Scheidel 2009; Temin 2013, 70-91; Temin 2014. 662 Rathbone 1997; 2007; Scheidel 2009. 183 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico sharp doubling of prices and wages in the later second century is best explained as a sign of temporary economic dislocation caused by the Antonine plague.”663 Anche se la sintesi di Rathbone in effetti non spiega in che modo l’inflazione sarebbe una conseguenza della peste Antonina,664 restano validi i parametri cronologici fissati dalla sua indagine. Quindi, dopo la parentesi antonina, i prezzi ritornano stabili dagli anni di Severo fino al 274. Questo dato è interessante per la nostra disamina. È noto come a partire dalle riforme di età Severiana la moneta romana argentea subì un notevole debasement della propria componente di metallo fino. Questo processo continuò in maniera costante durante tutto l’arco del III secolo, finché si arrivò al punto che, attorno al 270 d.C., le monete argentee contenevano appena l’1% di metallo fino. Parallelamente, il peso della moneta aurea fu ridotto più volte, nel 215, nel 238 e nel 267. Le teorie economiche tradizionali hanno sempre teso a mettere in relazione diretta il debasement della moneta e la crescita dell’inflazione. In realtà, come suggerito da Howgego in un classico studio, sarebbe il caso di “be cautious about theories which imply a simple relationship between the coin supply and prices.”665 Non a caso, gli studi più recenti sembrano escludere che si possa parlare di una inflazione grave per il periodo che va dalla metà del II secolo alla fine del III. Secondo il Verboven: “Monetarist theory predicts that Gresham’s law provokes inflation because sellers anticipate that they will be paid in bad money and raise their prices in response. However, it now seems almost certain that such monetary inflation did not occur before at least the second half of the century. Papyri show price stability until ca. 274 CE, while inscriptions indicate that at least until the 250s there was no structural inflation in the West. The presence in hoards until the 260s of denarii alongside antoniniani and Antonine and early Severan denarii alongside younger denarii, indicates that it was not worthwhile for private persons to melt down their coins and consequently that the price of silver bullion had not (yet) surged. The absence of inflation […] indicates that price levels were little dependent on changes in the silver currency”.666 663 664 665 666 Rathbone 2007, 713. A tal proposito, si veda Lo Cascio 2007, 646. Howgego 1995, 123. Si veda anche Lendon 1990. Verboven 2007, 252. 184 4. L’età di passaggio, il III secolo Secondo i calcoli proposti dal Temin, ad esempio, e a loro volta basati sui dati di Duncan Jones,667 l’inflazione media annua per il periodo 150-300 d.C. si sarebbe aggirata su un tasso del 4%.668 Ciò significa un tipo di inflazione che sarebbe certamente stata percepita dai consumatori romani, ma decisamente lontana da qualsiasi definizione di ‘iperinflazione’ o ‘superinflazione’ applicata a questo periodo. Secondo il classico studio di Cagan, infatti, si può parlare di iperinflazione solo in presenza di un tasso di almeno il 50% al mese di inflazione.669 Un tasso come quello ipotizzato dal Temin, oltre a non essere nemmeno lontanamente comparabile con l’iperinflazione, rientra in un ordine di grandezza totalmente diverso. C’è da aggiungere a questa ricostruzione che in effetti la documentazione disponibile sembra individuare un periodo di prezzi relativamente stabili fino al 274, anno della riforma monetaria di Aureliano.670 Questa riforma fu la prima, in cinquanta anni, ad aumentare la percentuale di metallo fino contenuta nella moneta argentea, e non ad abbassarlo, riportandolo a circa il 4-5%.671 In seguito a questa riforma, in effetti, ci sarebbe stata una impennata dei prezzi.672 Questo proverebbe che il periodo di lungo debasement dalla fine del II alla fine del III secolo non avrebbe prodotto una seria inflazione, e conseguentemente neppure una perdita del potere di acquisto da parte dei consumatori romani.673 Quanto detto finora, ben lungi dall’esaurire la complessa discussione riguardo alle complesse vicende monetali del III secolo, dovrebbe quantomeno chiarire che il primo dei punti individuati, secondo il quale il commercio con l’Oriente nel III secolo avrebbe subito una battuta d’arresto a causa dell’inflazione, è sicuramente fallace, perché per buona parte del III secolo stesso non si verificò alcuna particolare spinta inflazionistica. Fu solo a partire dal 274 che si determinò una vertiginosa crescita dei prezzi, ma a questa altezza cronologica, secondo i pareri espressi dalla maggioranza degli studiosi, il commercio con l’Oriente sarebbe Duncan Jones 1982, 66. Temin 2013, 77-78; Temin 2014, 194-195. 669 Cagan 1956. 670 Rathbone 1996, 321-339; Temin 2013, 78-80. 671 Per una dettagliata discussione sulle conseguenze della riforma di Aureliano sui prezzi, si veda Lo Cascio 1993, 161-182. 672 Haklai-Rotemberg 2011, 1-39. 673 Bagnall 1985. 667 668 185 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico dovuto essere già entrato in crisi da almeno un quarantennio. L’argomentazione inflazionistica non può quindi che essere rigettata. 2.2 Assenza di monete posteriori al regno di Caracalla nei ritrovamenti in India Anche questo aspetto è stato utilizzato costantemente dagli studiosi per dimostrare l’affievolirsi degli scambi commerciali con l’Oriente nel III secolo. Si è sottolineato che i ripostigli monetali rinvenuti in India sono ricchi di monete auree di epoca Giulio-Claudia, mentre più scarse sono le attestazioni di monete di epoca successiva. A partire dai Severi si ebbe una marcata flessione, mentre sono praticamente irreperibili monete posteriori al principato di Caracalla, fino alla fine del III secolo d.C. La presenza di monete romane in India ritorna a essere regolare a partire dall’epoca di Diocleziano e, ancor più, di Costantino, aspetto che dimostrerebbe la ripresa dei rapporti commerciali tra il Mediterraneo e l’India a partire dall’inizio del IV secolo. L’abitudine di utilizzare le monete come elemento per datare un sito o un rinvenimento è alquanto pericolosa, in quanto facilmente può dare luogo a equivoci anche grossolani. La presenza di una moneta databile a un determinato anno in un ripostiglio non implica la datazione di quel ritrovamento all’anno impresso sulla moneta, ma solamente un terminus post quem. Utilizzare dati relativi al quantitativo di monete augustee o neroniane rinvenute nei siti indiani per ricavarne indicazioni sul trend dei commerci tra Mediterraneo e India all’epoca di questi due imperatori è una operazione assolutamente scorretta, nonostante analisi di questo tipo non siano infrequenti nei lavori che trattano questo tema. Secondo i dati numismatici interpretati in questo modo, il commercio tra Mediterraneo e India ebbe un boom tra Augusto e Claudio, sarebbe poi declinato a partire da Nerone, mantenendosi più o meno stabile fino agli Antonini. A partire dai Severi vi fu una nuova fase declinante, culminata nel III secolo. A partire dal IV il commercio riprese stabilmente, pur non raggiungendo i livelli toccati nel I secolo d.C.674 674 Si veda Turner 1989 per il primo tentativo di analizzare in maniera dettagliata il corpus di monete romane trovate in India. 186 4. L’età di passaggio, il III secolo Questa ricostruzione basata su dati numismatici apparentemente obiettivi è molto approssimativa. In primo luogo, è necessario ricordare che il numero complessivo di monete romane auree e argentee ritrovate in India non supera le 7.000 unità,675 il che costituisce un campione non molto ampio.676 L’interpretazione tradizionale, esposta nella maniera più compiuta dalla Turner, riposa sul fatto che la maggior parte delle monete ritrovate in India fu coniata al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio: si tratta dell’83% del numero totale di quelle databili ai primi tre secoli della nostra era. La maggior parte delle monete augustee e tiberiane sono denarii, normalmente in condizioni fior di conio, e principalmente di due soli tipi numismatici, CL CAESAR (Augusto) and PONTIF MAXIM (Tiberio).677 La prima obiezione è però che, come attestato dalle nostre fonti, le monete non erano gli unici prodotti esportati dai Romani per acquistare merci indiane: troviamo infatti anche vino, olio, tessili, vetro tra le principali merci d’esportazione.678 Questo vuol dire che non è possibile stabilire una relazione diretta diminuzione delle monete romane post Tiberio in India = riduzione del volume dei traffici Roma-India.679 Oltre a ciò, è stato notato opportunamente che la stragrande maggioranza delle monete romane di epoca augustea e tiberiana sono state rinvenute in un’area relativamente ridotta, nella regione di Coimbatore, il che getta qualche dubbio sull’attendibilità statistica di questo campione.680 Nel capitolo 2 di questo lavoro è stata proposta l’ipotesi che sotto gli imperatori Antonini probabilmente Roma raggiunse il suo massimo grado di penetrazione nel Mar Rosso, arrivando a controllare le remote isole Farasan e a stabilire Ad oggi il conteggio più dettagliato, pur con tutti i problemi metodologici, resta quello effettuato da Suresh 2004. 676 Sulla validità scientifica del campione ‘indiano’ come evidence archeolgica, si vedano le forti e motivate perplessità metodologiche espresse da Meyer 2007. 677 A tal proposito, Bolin (1958, 73) ipotizzò che le monete fior di conio fossero ottenute dai mercanti “direct from the mint or from money-changers with large stocks of newly minted aurei and denarii, and taken on board and shipped to India”; l’ipotesi fu ulteriormente sviluppata da Crawford (1980, 207-218) che propose che solo i membri della familia Caesaris avessero accesso a un contingente di monete coniate specificamente per essere poi esportate in India. Entrambe queste ipotesi sono state poi dimostrate erronee dagli studiosi. Si vedano in particolare MacDowall 2012 e De Romanis 2012b, 170-171. 678 PME, 6. 679 De Romanis 2006. 680 MacDowall 2003, 41-43. 675 187 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico persino contatti commerciali diretti con la Cina. Il quadro emerso dall’analisi condotta finora sembra in aperto contrasto con quanto si può ricavare dall’analisi dell’evidence numismatica. Oltre a ciò, si potrebbe anche aggiungere che l’errore di fondo è contare le monete in termini di numero assoluto, e non di valore assoluto. Dopo l’epoca neroniana sembra che le monete romane più apprezzate in India fossero gli aurei e non i denarii, per questo motivo bisognerebbe tenere in conto che un aureus aveva il valore nominale di 25 denarii. Inoltre, è stato ipotizzato che le monete romane esportate in India siano utilizzabili più come metro per comprendere le speculazioni del mercato interno sul cambio tra oro e argento, che non come indicatori dei volumi di traffici tra Roma e India.681 2.3 Abbandono o distruzione di Coptos e Myos Hormos Non c’è motivo alcuno per ritenere che Coptos sia stata distrutta dai tetrarchi in seguito alle confuse vicende di fine III secolo. È vero che a partire dalla fine del III secolo d.C. le nostre informazioni documentarie sulla città diminuiscono sensibilmente, ma abbiamo visto nel precedente capitolo che la città, pur attraversando un periodo difficile durante il III secolo, recuperò una posizione di rilievo nel quadro dell’area egiziana, già con i tetrarchi.682 Diverso è invece il discorso per quanto riguarda Myos Hormos. Questo porto scompare dalle nostre fonti dal III secolo d.C. e abbiamo visto come il suo declino sia stato associato alla crisi di III secolo. I risultati delle indagini archeologiche hanno però offerto un quadro notevolmente diverso da quello ipotizzato tradizionalmente dagli studiosi. Infatti, è risultato chiaro che la città iniziò il suo periodo di declino e progressivo abbandono molto presto, già nel II secolo d.C. Ad esempio, la zona del porto mostra segni chiari d’uso fino alla fine del I secolo, mentre alcune zone dedicate alla produzione e vendita restarono frequentate e attive fino al II.683 681 682 683 Nappo 2018. Diversa interpretazione in De Romanis 2012b. Cfr. supra, capitolo 3. Peacock e Blue 2006, 67-94; Cobb 2015a, 376. 188 4. L’età di passaggio, il III secolo Analizzando i resoconti di scavo in maniera dettagliata, si ottiene un quadro più chiaro.684 Nell’area del porto (trincee 7, 10, 12, 14, 15) ci sono evidenti segnali di frequentazione tra il I secolo a.C. e il I d.C., mentre l’area è abbandonata chiaramente entro la metà del II secolo d.C. In città (trincee 2, 8, 17) ci sono: resti di un edificio con funzione pubblica, dismesso alla fine del I secolo d.C.; una struttura di un negozio, presumibilmente di un fornaio, costruito nel I secolo d.C. e parzialmente abbandonato prima del III secolo; infine, una struttura privata costruita nel I secolo d.C., successivamente crollata e mai più ricostruita. L’immondezzaio (trincea 6) ha restituito principalmente materiali databili al I e all’inizio del II secolo d.C. L’arco cronologico coperto dai reperti ceramici è coerentemente compreso tra il I secolo a.C. e il II d.C. Documenti scritti provengono da un periodo che va dal I a.C. al III d.C., con una concentrazione molto forte tra I e inizio II d.C. Per terminare, sono state rinvenute in situ circa 200 monete, la maggior parte delle quali (63%) databili al I secolo d.C., mentre la quasi totalità delle rimanenti oscillano tra l’epoca tolemaica e l’inizio del II secolo d.C., mentre una sola moneta è datata al III secolo d.C. È improbabile che i problemi di Myos Hormos siano da collegare alle vicende di Coptos, perché a ben vedere la fase calante della prima iniziò ben prima del periodo travagliato della seconda. Inoltre, se le vicende di Coptos e Myos Hormos fossero correlate, alla stessa maniera in cui lo sono quelle di Coptos e Berenice, ci dovremmo aspettare che alla ripresa economica di Coptos abbia fatto seguito anche quella di Myos Hormos, cosa che invece non avvenne. È chiaro quindi che la sorte di Myos Hormos non fu segnata dal temporaneo crollo del sistema carovaniero Mar Rosso – Nilo, ma da un qualche altro fattore. La cronologia di Myos Hormos combacia piuttosto con quella della creazione del canale di Traiano da un lato, e con quella dell’ascesa delle installazioni portuali del nord del Mar Rosso, dall’altro. È importante a tal proposito comprendere a fondo la natura di una installazione come Myos Hormos. Abbiamo detto all’inizio di questo lavoro che il motivo fondamentale per cui i porti più meridionali ubicati sul Mar Rosso, cioè Berenice e Myos Hormos, svolsero un ruolo di primo piano nel contesto del commercio con l’Oriente, tra I secolo a.C. e II d.C., fu la loro collocazione geo- I dati discussi di seguito sono ricavabili nel loro complesso da: Peacock e Blue 2006, 67-94 e 116-154; Peacock e Blue 2011, 11-42, 45-56, 85-120 e 179-209; Van Rengan 2011, 335-358; Sidebotham 2011, 353-360; Cobb 2015a. 684 189 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico grafica. È sempre bene ricordare la soglia del 20° parallelo Nord, al di sopra della quale i venti spirano costantemente nel Mar Rosso da Nord verso Sud. Abbiamo anche visto che Myos Hormos e Berenice consentivano, grazie alla loro collocazione, di ridurre al minimo il viaggio controvento, risparmiando ai naviganti una serie di pericoli. Ma a ben vedere solo Berenice è davvero ubicato poco più a Nord della soglia del 20° parallelo. Myos Hormos è molto al di là di questo limite, e per raggiungere questo porto occorreva fare una parte di viaggio controvento. Myos Hormos aveva tuttavia il vantaggio di essere collocato nel punto più vicino possibile al corso del fiume Nilo, in modo che il viaggio nel deserto orientale per raggiungere Coptos risultasse considerevolmente più breve di quello da fare partendo da Berenice. Questo ci porta a ipotizzare che in epoca altoimperiale solo le navi di non grandi dimensioni approdassero a Myos Hormos, perché per esse era più semplice risalire il Mar Rosso controvento, mentre quelle di grosso tonnellaggio approdavano di preferenza a Berenice. Myos Hormos era, dunque, un porto “di compromesso”: non era abbastanza a Sud da evitare la navigazione controvento, ma era vicino a Coptos, e quindi aveva il vantaggio di ridurre i tempi delle marcia nel deserto orientale, senza peraltro eliminarli. Quando Clysma fu messa nelle condizioni di poter essere pienamente utilizzato come porto, il destino di Myos Hormos era ormai definitivamente segnato. Il “porto di compromesso” non abbastanza a Sud da evitare i venti, e non abbastanza a Nord da evitare il deserto, fu semplicemente soppiantato da Clysma, che a questo punto aveva il grande vantaggio di essere collegato in maniera quasi diretta con Alessandria, evitando in questo modo la pur sempre difficile traversata del deserto orientale. Questo ragionamento può essere esteso anche al lato arabico del Mar Rosso romano. Si è accennato in precedenza che Leuke Kome pare aver subito sorte analoga a Myos Hormos. Nonostante le informazioni sulla sopravvivenza di questo porto dopo la fine del I secolo siano molto tenui, riducendosi alla sola possibile testimonianza di Tolomeo, è comunque ipotizzabile con una certa ragionevolezza che Leuke Kome sia stato abbandonato in un momento non precisabile tra II e III secolo, che è quanto avvenne anche a Myos Hormos. Essendo i due porti in posizione speculare, la cosa più semplice da pensare è che le loro sorti siano state analoghe: anche Leuke Kome fu rimpiazzato da Jotabe. Contestuale alla sua scomparsa è l’ascesa commerciale di Aila, che inizia proprio a fine III secolo, se non prima. La decisione di Diocleziano di trasferirvi la Legio X Fretensis non 190 4. L’età di passaggio, il III secolo deve essere vista solo come punto di partenza dello sviluppo delle città, ma anche come ratifica di un processo già iniziato in precedenza. Mentre per Myos Hormos e Leuke Kome abbiamo parlato di una sostituzione, diversa è la situazione più a Sud, dove effettivamente Coptos e Berenice subirono un periodo di relativa crisi. Entrambe le città risentirono delle turbolenze interne, dovute alle scorrerie delle popolazioni nomadi che abitavano il deserto, come i Blemmii, che in questo periodo sono ricordati più volte come fonte di problemi per le città dell’Alto Egitto. In più, i tentativi di usurpazione del potere imperiale di cui Coptos fu complice causarono alla città la punizione dei tetrarchi che, per quanto ben più lieve di quello che le fonti lasciano intendere, dovette pur sempre avere qualche conseguenza. Eppure, nonostante le traversie occorse ad alcuni dei porti principali del Mar Rosso e le complesse vicende politiche, non abbiamo elementi seri per immaginare che il volume delle importazioni dall’Oriente abbia subito una seria diminuzione in questo periodo. Gli unici indizi a favore di questa tesi sarebbero quelli già discussi della inflazione e della mancanza di monete romane in India, che abbiamo visto non essere attendibili. D’altra parte, abbiamo al contrario alcuni elementi che lascerebbero pensare che il commercio con l’Oriente andasse avanti nel III secolo a ritmo quantomeno soddisfacente, tant’è che la sua gestione faceva ancora gola. A tal proposito sono interessanti due episodi. All’epoca della rivolta di Palmira, capeggiata dalla regina Zenobia, la importante città orientale fece di tutto per sottoporre l’Egitto al proprio diretto controllo, per ragioni eminentemente commerciali.685 Palmira era a quei tempi inserita nel redditizio commercio con l’Oriente per via di terra, ed è logico che vedesse di buon occhio il controllo anche delle rotte marittime, per potersi garantire in pratica il monopolio di questa attività. Se in quegli anni il volume dei commerci con l’Oriente si fosse ridotto in maniera sensibile, i Palmireni non avrebbero avuto tanto interesse nel controllarlo. In questo contesto si inserisce anche una testimonianza della Historia Augusta, a proposito di un certo Firmo, personaggio coinvolto in una delle molte trame che in quegli anni erano ordite per ottenere il potere imperiale. Egli è presentato come un personaggio ricchissimo, che doveva la sua fortuna al proprio coinvolgimento nei commerci con l’Oriente: 685 Young 2001, 180-182. 191 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Iste (scil. Firmus) Zenobiae amicus ac socius, qui Alexandriam Aegyptiorum incitatus furore pervasit et quem Aurelianus solita virtutum suarum felicitate contrivit. De huius divitiis multa dicuntur. […] Idem et cum Blemmyis societatem maximam tenuit et cum Saracenis. Naves quoque ad Indos negotiatorias saepe misit.686 “Questi (Firmo) era amico e alleato di Zenobia, che spinto da folle ambizione, si impadronì di Alessandria d’Egitto e che Aureliano annientò con il consueto successo che accompagnava il suo valore. Molto si racconta a proposito delle sue ricchezze. […] Egli aveva strettissime relazioni anche con i Blemmii e i Saraceni. Inviava inoltre spesso in India delle navi mercantili.” Il caso di Firmo è molto interessante, perché ci consente di comprendere correttamente il senso dell’evoluzione dei rapporti economici nel Mar Rosso a partire dal III secolo. Egli era uomo ricchissimo, coinvolto nei traffici commerciali con l’India, e aveva dei partners commerciali apparentemente insoliti. Era infatti amicus ac socius di Zenobia, con cui aveva anche accordi di tipo politico,687 ma oltre a ciò societatem maximam tenuit sia con i Blemmii che con i “Saraceni”. Gli accordi commerciali di Firmo con questi gruppi etnici non sono sorprendenti, anzi sono un chiaro segnale dei cambiamenti che si stavano verificando nel Mar Rosso e nelle regioni ad esso prossime. Abbiamo già visto, parlando di Berenice, come in epoca tardoantica la composizione etnica della città sia cambiata, e come sia aumentata la popolazione di provenienza regionale. Proprio i Blemmii sono uno dei gruppi etnici più attestati dalla evidence archeologica emersa dalla Berenice tardoantica.688 In effetti, una delle caratteristiche principali dei commerci nel Mar Rosso a partire dal III secolo è la maggiore integrazione nel sistema economico di altri attori commerciali già da tempo presenti, come gli Axumiti,689 unico potere costituito, alternativo a Roma a sud dell’Egitto, e gli Arabi dell’impero degli Himyariti.690 Questi popoli reclamarono a partire dal III secolo il proprio ruolo Hist. Aug., Quadr. Tyr., III, 1-3. In Hist. Aug., Vita Aurel., V si sostiene esplicitamente che egli fosse parte del partito di Zenobia. 688 Sidebotham 2011, 266-270. 689 Per una interessante analisi dell’attività commerciale axumita in questo periodo, si vedano Munro-Hay 1996; Burstein 1997, 89-93. 690 Una efficace sintesi su questo problema è fornita da Sidebotham 1996b. 686 687 192 4. L’età di passaggio, il III secolo nel panorama commerciale eritreo, e con essi l’Impero Romano si trovò ad interagire in maniera diversa. La presenza di questi nuovi attori commerciali nel Mar Rosso per tutta l’epoca tardoantica ha fatto parlare di una decadenza del sistema commerciale romano nell’area: si è voluto interpretare il fenomeno in termini di perdita del monopolio commerciale da parte dei Romani. Le opinioni riportate supra dei principali testi che si sono occupati di questo tema confermano che l’opinione più diffusa in merito è quella di una decadenza romana, che avrebbe agevolato la comparsa di questi intermediari. In realtà le cose sembrano essere state alquanto differenti. Innanzitutto, va ricordato che in particolare gli Axumiti furono stretti alleati politici e commerciali dei Romani, e che il loro regno fu assolutamente inglobato nella sfera di influenza economica dell’Impero.691 Si tratta, in certa misura, di un caso analogo a quello che era accaduto tempo prima con i Nabatei. Il regno Nabataico, pur indipendente da Roma, era parte integrante del suo Commonwealth commerciale. Allo stesso modo, in epoca tarda, si realizzò una profonda integrazione di Axum e del suo porto principale Adulis nel sistema economico romano.692 3. Conclusioni Il sistema portuale romano nel Mar Rosso, nella sua forma caratteristica tardoantica, e cioè dal IV secolo in poi, è perfettamente strutturato per sfruttare al massimo la situazione economica e commerciale ad esso contemporanea. Dai porti più settentrionali (Clysma e Aila) partivano, infatti, vascelli destinati prevalentemente alla navigazione nel Mar Rosso, che approdavano ad Adulis, porto axumita, come testimoniato dalle fonti letterarie e archeologiche.693 La organizzazione complessiva che qui si vuole proporre come modello per il funzionamento del sistema portuale del Mar Rosso in epoca tardoantica è così strutturata: 1) Viaggi commerciali interni al Mar Rosso. Per questo tipo di contatti le navi partivano essenzialmente dai porti più settentrionali, Clysma e 691 692 693 Nappo 2009. Zazzaro e Manzo 2012; Zazzaro 2013, 7-9. Zazzaro et all. 2014. 193 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Aila, per raggiungere Adulis, approdo axumita. La pratica è ben attestata dalle fonti letterarie e, nel caso di Aila, corroborata dai ritrovamenti archeologici. Tecnicamente, i vantaggi nello strutturare un viaggio in questo modo erano molteplici. Innanzitutto, il tempo risparmiato: invece di partire dagli approdi settentrionali per raggiungere direttamente l’India, era molto più breve il viaggio ad Adulis, laddove i mercanti etiopi si incaricavano di far pervenire le mercanzie di origine indiana. In secondo luogo, un viaggio limitato al Mar Rosso poteva essere effettuato con navi leggere, particolarmente utili per muoversi nei fondali insidiosi caratteristici in particolar modo della parte più settentrionale del Mare. Ancora, l’eliminazione del lungo trasporto via terra delle mercanzie lungo il deserto orientale egiziano e quello arabico: arrivando a Clysma o Aila le merci erano già vicine alle loro destinazioni finali, cioè rispettivamente Alessandria e Gaza. Per tutta questa serie di motivi nel corso dell’epoca tardoantica si realizzò una efficace fusione tra il sistema portuale romano e quello etiopico, generando una nuova rotta commerciale. 2) Viaggi commerciali verso l’India propria. Questo tipo di viaggi non scomparve, a partire dal IV secolo. È probabile che divenisse più raro, rispetto all’epoca precedente, in virtù della convenienza della nuova rotta appena discussa. Tuttavia, i contatti diretti con l’India continuarono, ed è evidente che il recupero e il mantenimento dell’asse Berenice – Coptos sia stato funzionale a questo scopo. Come già in epoca altoimperiale, Berenice era il punto migliore per far partire le navi dirette in India. In primo luogo, le navi che dovevano affrontare il viaggio nell’oceano, spinte dai monsoni, dovevano essere robuste e pesanti, quindi si sarebbero trovate comunque in difficoltà a risalire fin nei recessi settentrionali del Mar Rosso.694 L’approdo a Berenice consentiva invece di evitare una lunga risalita del Mar Rosso, sfruttando la carovaniera. Nonostante le due rotte siano coesistite per tutta l’epoca tardoantica, la seconda opzione (viaggio diretto Berenice – India) fu delle due la prima ad essere abbandonata. Mentre, infatti, gli scavi archeologici hanno indicato chiaramente che il sito di Berenice fu abbandonato nel corso del VI secolo, Clysma e Aila sopravvissero e passarono sotto il dominio arabo ancora in condizioni di efficienza. 694 De Romanis 2015. 194 4. L’età di passaggio, il III secolo Questa organizzazione, lungi dal poter essere definita in termini di decadenza o regresso, fu al contrario molto efficiente. L’Impero Romano tardoantico fu un fortissimo importatore di beni provenienti dalle regioni orientali, anche più di quello che era stato l’Impero Romano nei primi secoli della nostra era. Le notizie delle fonti letterarie sulla quantità di mercanzie “indiane” introdotte nell’Impero e, ancora di più, i dati di scavo che dimostrano livelli di sviluppo inediti per i porti tardoantichi, confermano chiaramente questa idea e inducono a riflettere sulla opportunità di riesaminare definitivamente la questione dei rapporti commerciali tra il mondo mediterraneo e l’Oceano Indiano, abbandonando definitivamente schemi interpretativi ormai inadeguati alla realtà delle nuove evidenze documentarie ed archeologiche. L’insieme di queste considerazioni ci porta a ridefinire complessivamente l’analisi del III secolo, in rapporto all’area del Mar Rosso. Abbiamo visto che i fondamenti su cui si basa la tradizionale interpretazione di questo periodo non sono solidi: la supposta inflazione, la mancanza di monete romane di III secolo in India, l’abbandono di Myos Hormos e la distruzione di Coptos, tutti questi fenomeni non sembrano dare ragione di quanto accade nel Mar Rosso. Il III secolo risulta essere quindi piuttosto un’epoca di cambiamento ed evoluzione, per i commerci nel Mar Rosso. A voler essere precisi, però, si dovrebbe sottolineare come questo cambiamento abbia tratto le sue origini in avvenimenti di II secolo. L’evoluzione del sistema altoimperiale in quello tardoantico è stato quindi un processo graduale e relativamente lento, avendo impiegato quasi due secoli per completarsi. Riepilogando, quindi, nel II secolo si gettarono le basi per determinare l’ascesa commerciale dei porti più settentrionali del Mar Rosso (Clysma e Aila), ciò che decretò la fine di quelli “intermedi” (Myos Hormos e Leuke Kome). Il punto fondamentale di svolta resta la costruzione del Canale di Traiano, opera su cui qui si ritorna per l’ultima volta. In precedenza è già stato dato ampiamente conto del ricco dibattito storiografico sul canale e sulle sue funzioni. Alla luce di quanto visto in questo lavoro, è necessario individuare nella realizzazione di questa opera e nella politica traianaea, proseguita dai suoi successori, il punto di svolta dell’organizzazione del Mar Rosso romano. Infatti, il canale determinò la polarizzazione del sistema, rendendolo più efficiente. Creando un collegamento con i porti del Nord, chiudeva i conti con un equivoco secolare, la presenza di porti che abbiamo definito di compromesso, quali Myos Hormos e Leuke Kome. Essi iniziano il loro inarrestabile declino proprio nel II secolo. Dopo questo periodo, il sistema si inizia a ridisegnare, puntando a usare dei 195 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico porti vicini al Mediterraneo (Aila e Clysma) per commerci all’interno del Mar Rosso, mentre Berenice resta porto privilegiato per i contatti con l’India. Ma non c’è solo questo. Sempre nel II secolo, viene finalmente ripreso con più forza il vecchio programma augusteo di espandere la presenza romana nel sud del Mar Rosso. Questa volta l’obiettivo fu perseguito con una strategia diversa, di cui la postazione delle Farasan è la testimonianza più chiara. Presumibilmente la politica di Traiano di penetrazione al sud andò avanti anche dopo la sua morte, almeno fino al tempo di Antonino Pio. È possibile che in effetti abbia subito una battuta d’arresto nel III secolo, ma è pur vero che non esistono prove oggettive di ciò. Quel che è invece è palese è che la polarizzazione del sistema portuale andò avanti e fu rinforzata ulteriormente da Diocleziano e dai suoi successori. La testimonianza del Martyrium Arethae sembra persino lasciar intuire che in qualche modo il livello di controllo romano del Mar rosso non subì alcun regresso significativo tra il II e il V secolo, anche se sarebbero necessarie ulteriori prove per affermare con certezza tale ipotesi. Un ulteriore elemento di interesse è la riduzione della tassa sulle merci di importazione orientale (aliquota abbassata dal 25% al 12,5%), che avvenne proprio in epoca tardoantica.695 È possibile che essa sia il prodotto di una “compensazione”: lo Stato che era entrato in maniera decisa nella gestione del commercio con l’estero (si pensi anche ad esempio al monopolio sulla seta), riconosceva una parziale compensazione ai mercanti privati, alleggerendo le tasse a cui essi erano soggetti. È significativo notare che il declino definitivo di Berenice inizia nello stesso periodo in cui la penetrazione nel Mar Rosso fu completa e la rotta “interna” Aila/ Clysma <-> Adulis dovette diventare per forza di cose quella più battuta. Questo punto ci permette di delineare un ultimo stadio evolutivo del sistema portuale romano sul Mar Rosso, che abbraccia cronologicamente la fase da Anastasio I in poi. Anastasio, Giustino e Giustiniano si impegnarono complessivamente per restaurare il controllo romano dell’area eritrea, impostare le relazioni con i Persiani su una base favorevole a Costantinopoli, potenziare gli alleati axumiti, aiutandoli anche a conquistare il lato arabico del Mar Rosso. In questa fase estrema della presenza romana nell’area eritrea, si verificò quindi il massimo sforzo per rendere il Mare Rubrum un Mare Nostrum, così come lo era stato il Mediterraneo: per via di controllo diretto o mediato, infatti, tutta l’area fu sottoposta al potere bi- 695 Si veda quanto detto supra, capitolo 3. 196 4. L’età di passaggio, il III secolo zantino. In questo senso, il progressivo abbandono dei contatti diretti con l’India assume un valore diverso: non più di decadenza commerciale e di conoscenza geografica, quanto piuttosto di scelta consapevole. Era ormai più che sufficiente per i mercanti romani viaggiare all’interno del Mar Rosso, un mare dominato dai Romei, all’interno del quale i loro alleati si incaricavano di far pervenire le merci necessarie per i consumi dell’Impero, probabilmente sotto il costante controllo di figure ufficiali della amministrazione romana, se la interpretazione qui offerta del ruolo del logoteta di Clysma è corretta. La fase tarda della presenza romana nel Mar Rosso fu quindi un’epoca vitale e prospera per il commercio. È significativo che anche le recenti campagne di scavo in corso confermino questa impressione. I dati provenienti dai porti romani sono già stati discussi ampiamente, ma va aggiunto che proprio negli ultimissimi anni interessanti rinvenimenti archeologici effettuati su suolo indiano puntano chiaramente nella direzione di abbandonare i vecchi schemi interpretativi e a riconoscere la realtà di un’epoca di sviluppo commerciale.696 La ricerca storiografica su questa fase dei commerci nel Mar Rosso è ancora alle prime fasi, ma l’orientamento generale sta mutando e questo filone sarà certamente fonte di notevoli progressi nei prossimi decenni. La fase tardoantica della presenza romana nel Mar Rosso fu l’evoluzione delle premesse di epoca imperiale, e gli elementi di continuità tra questi due momenti sono probabilmente superiori a quelli di rottura, come sarà certamente confermato dai dati che proverranno dagli scavi in corso in questi anni. 696 Si veda ora Tomber 2004, 393-402; Tomber 2007, 972-988. 197 Bibliografia Abel, F.M. 1938. “L’ile de Jotabé.” Revue Biblique 47, 510-538. 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Alessandria 21; 26; 36; 44; 54; 58; 75-76; 8790; 106-107; 114; 121; 131; 134-135; 147; 155; 162; 168; 190; 192; 194 Anastasio 120; 127; 129; 132; 149-151; 160; 164-167; 196 Antonino Pio 78-80; 82-83; 196 Arsinoe 21-24; 27; 29; 75; 129-130; 144. Aśoka 30 Augusto 51; 55; 68; 81; 85; 186-187 Aureliano 156; 185; 192 Avorio 26; 30; 50; 88-89; 142 Axum 25; 122-123; 140-143; 145; 166-167; 172-173; 175; 193 Bab al-Mandeb 77 Babylon 134 Berenice 15; 21; 23-27; 30; 40; 42-54; 56-58; 61-65; 71-73; 80; 85; 89; 93-95; 97; 106; 110-112; 115; 118; 122; 140-142; 144; 148; 153; 162; 164; 167; 173; 175; 189-194; 196 Blemmii 117; 138; 140; 191-192 Canale di Traiano 130-131; 134-136; 171; 189; 195 Caracalla 55; 172-174; 177; 182-183; 186 Charax 65; 103-107 Clysma 23; 75-77; 129-142; 148-149; 153154; 162; 164; 167-168; 173; 190; 193-197 Coptos 20; 42-43; 45-46; 48; 54-57; 63-64; 81; 85; 87-93; 106-107; 110-111; 114-118; 138; 147-48; 153; 162-163; 167-168; 182; 188-191; 194-195 Dahlak 143 Diocleziano 55; 114; 117-119; 131; 138; 140; 157-158; 163; 178; 183; 186; 190; 196 Ebrei 89; 128-129 Edfu 20; 29; 64 Elefanti 19-20; 25-26; 29-30; 37; 51; 61-65; 117 Elesbaà 141 Elio Gallo 17; 34; 41; 53; 60; 68; 70; 86; 99 Farasan 77; 80-83; 85; 101; 106; 140-141; 162; 166; 187; 196 Firmo 191-192 Flavi (dinastia) 51; 57-58 Gaza 33; 36; 102; 120; 122; 128-129; 194 Giustino 117; 140-141; 145; 166; 196 Giustiniano 117-118; 120; 128-129; 152; 164; 166; 196 Hegra 100; 107; 167 Hermapollon 87 Hydreumata 20; 56-57 Incenso 20; 32-33; 35; 60; 99; 144 India 13-17; 20; 27; 30-32; 38; 41-46; 48; 50; 53-54; 60; 62; 64-68; 75-77; 83-87; 93; 106; 113; 119; 121; 124; 128-129; 131-135; 139-141; 172-177; 182-183; 186-188; 191192; 194-197 Jotabe 123-129; 140-141; 148; 154; 162; 166; 168; 190 Kleopatris 21-23 Leuke Kome 22; 26; 34-36; 59-61; 63; 86; 88; 98-102; 106-107; 110; 113; 144; 147; 154; 162; 167-168; 190-191; 195 Liburna 72 Mesopotamia 66-67; 127, 133, 149; 157-158 Monete 51; 73; 84; 112; 131; 173-174; 177; 182; 186-189; 191; 195 Muziris 87 Myos Hormos 15; 21; 24; 27-28; 34-35; 4048; 52-57; 60-65; 71-73; 85; 89; 102; 106; 217 I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico 110; 113; 115; 117; 136; 162; 167; 182; 188191; 195 Nabatei 19; 31-36; 56; 60; 68; 70; 73; 99-101; 119; 162; 193 Nerone 55; 186 Nikanor 45-48; 51; 59; 71; 97 Octava 126; 154-156 Palestina 119-120; 122; 127; 129; 133; 149 Palmyra 86; 100; 102; 107; 172 Parti 34; 67; 74-75; 77; 81; 84-85; 107; 168 Pepe 20 Petra 34-36; 60; 98-99; 146 Seta 13; 150-152; 196 Settimio Severo 182 Silleo 70 Siria 30; 81; 102; 105-107; 122; 156 Sri Lanka 31; 112; 175 τετάρτη 86-89; 98-99; 102-107; 154-155 Tiberio 51; 55; 72; 102; 187 Tolomeo II 20; 22; 25; 27; 29; 50; 52; 131; 171 Tolomeo III 22-24; 143-144 Traiano 36; 65-68; 73-77; 80-85; 113; 119; 130-131; 134-136; 141; 162; 189; 196 Zenobia 191-192 Zula 142-143 218 Università degli Studi di Napoli Federico II Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche 1 La costruzione della verità giudiziaria, a cura di Marcella Marmo, Luigi Musella 2 Scritture femminili e Storia, a cura di Laura Guidi 3 Roberto P. Violi, La formazione della Democrazia Cristiana a Napoli (agosto 1943 – gennaio 1944) 4 Andrea D’Onofrio, Razza, sangue e suolo. Utopie della razza e progetti eugenetici nel ruralismo nazista 5 Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale, a cura di Laura Guidi 6 Maria Rosaria Rescigno, All’origine di una burocrazia moderna. Il personale del Ministero delle Finanze nel Mezzogiorno di primo Ottocento 7 Gli uomini e le cose, I, Figure di restauratori e casi di restauro in Italia tra XVIII e XX secolo, atti del Convegno nazionale di studi (Napoli, 18-20 aprile 2007), a cura di Paola D’Alconzo 8 Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona, a cura di Francesco Senatore, Francesco Storti 9 Flavia Luise, L’Archivio privato D’Avalos Tutti i testi sono sottoposti a peer review secondo la modalità del doppio cieco (double blind) 10 Nuovi studi su Kyme eolica: produzioni e rotte trasmarine, a cura di Lucia A. Scatozza Höricht 11 Pierluigi Totaro, Modernizzazione e potere locale: l’azione politica di Fiorentino Sullo in Irpinia. 1943-1958 12 Alessandro Tuccillo, Il commercio infame: Antischiavismo e diritti dell’uomo nel Settecento italiano 13 Alethia: Precatio e primo libro, introduzione, testo latino, traduzione e commento, a cura di Claudio Mario Vittorio, Alessia D’Auria 14 Prima e dopo Cavour: La musica tra Stato Sabaudo e Italia Unita (18481870), atti del Convegno internazionale (Napoli, 11-12 novembre 2011), a cura di Enrico Careri, Enrica Donisi 15 Tra insegnamento e ricerca. Entre enseignement et recherche: La storia della Rivoluzione francese. L’histoire de la Révolution française, a cura di Anna Maria Rao 16 Marco Maria Aterrano, Mediterranean-First? La pianificazione strategica anglo-americana e le origini dell’occupazione alleata in Italia (1939-1943) 17 Parlamenti di guerra (1914-1945). Caso italiano e contesto europeo, a cura di Marco Meriggi 18 Italo Iasiello, Napoli da capitale a periferia. Archeologia e mercato antiquario in Campania nella seconda metà dell’Ottocento 19 Piero Ventura, La capitale dei privilegi. Governo spagnolo, burocrazia e cittadinanza a Napoli nel Cinquecento 20 Dario Nappo, I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico Università degli Studi di Napoli Federico II Pubblicazioni del Dipartimento di Studi umanistici Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storicoartistiche 20 Il volume punta a inserirsi nel contesto generale degli studi sul commercio che collegava l’antica Roma con i Paesi dell’Oriente, quali Arabia, Etiopia e India. La monografia si concentra sull’analisi della vita e dell’evoluzione delle installazioni portuali ubicate sul Mar Rosso e controllate da Roma, punti di collegamento tra Oriente e Occidente, le porte attraverso cui le mercanzie orientali entravano nei mercati romani. Mantenere in vita questi insediamenti, collocati in punti remoti e di difficile accesso dell’Impero, richiedeva un grosso sforzo economico, nonché una certa capacità di pianificare investimenti e linee di sviluppo. Nel corso dei secoli, la geografia portuale del Mar Rosso romano cambiò sensibilmente. Tale cambiamento, avvenuto durante la fase tardoantica di dominazione romana è normalmente percepito come un sintomo del declino del potere romano nell’area. Questo lavoro, per la prima volta, spinge l’analisi oltre la soglia considerata di declino, indagando approfonditamente le dinamiche economiche dell’era tardoantica, e dimostrando che essa non fu una fase di recessione economica, ma piuttosto di riorganizzazione. Il volume si propone quindi di giungere a una nuova e più completa comprensione della politica economica romana nel Mar Rosso tra i secoli I a.C. e VI d.C. Dario Nappo (10 Settembre 1979) si è laureato in Lettere Classiche nel 2003 presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Successivamente, ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia Antica presso lo stesso ateneo, nel 2008. L’oggetto dei suoi studi è stata la storia economica del mondo romano, e più dettagliatamente il commercio internazionale tra Roma e l’India e il suo impatto sulla vita economica dell’Impero. Successivamente, ha lavorato presso varie università straniere e italiane, prima come research fellow alla University of Oxford (2008-2010), successivamente come ricercatore post-doc alla Universitat Autònoma de Barcelona (2012-2014), poi come ricercatore TDA presso l’Università di Torino (2013-2016). Attualmente, è borsista presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. ISBN 978-88-6887-034-8 DOI 10.6093/978-88-6887-034-8 ISBN 978-88-6887-034-8