I porti romani nel Mar Rosso
da Augusto al Tardoantico
Dario Nappo
Università degli Studi di Napoli Federico II
Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche
20
Dario Nappo
I porti romani nel Mar Rosso
da Augusto al Tardoantico
Federico II University Press
fedOA Press
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico / di Dario Nappo Napoli : FedOAPress, 2018. - (Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e
storico-artistiche ; 20) 220 pp. ; 24 cm.
Accesso alla versione elettronica:
http://www.fedoabooks.unina.it
ISBN: 978-88-6887-034-8
DOI: 10.6093/978-88-6887-034-8
ISSN: 2532-4608
Comitato scientifico
Francesco Aceto (Università degli Studi di Napoli Federico II), Francesco Barbagallo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Roberto Delle Donne (Università degli Studi di Napoli
Federico II), Werner Eck (Universität zu Köln), Carlo Gasparri (Università degli Studi di Napoli Federico II), Gennaro Luongo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Fernando
Marías (Universidad Autónoma de Madrid), Mark Mazower (Columbia University, New York),
Marco Meriggi (Università degli Studi di Napoli Federico II), Giovanni Montroni (Università
degli Studi di Napoli Federico II), Valerio Petrarca (Università degli Studi di Napoli Federico
II), Anna Maria Rao (Università degli Studi di Napoli Federico II), André Vauchez (Université
de Paris X-Nanterre), Giovanni Vitolo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
© 2018 FedOAPress - Federico II University Press
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Published in Italy
Prima edizione: marzo 2018
Gli E-Book di FedOAPress sono pubblicati con licenza
Creative Commons Attribution 4.0 International
Indice
Indice
Mappe
Introduzione
5
9
13
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
1. L’Egitto (323 – 30 a.C.)
2. Il regno dei Nabatei (IV a.C. ? – 106 d.C.)
19
19
31
2. L’età Altoimperiale
1. Il I secolo d.C.
37
37
1.1 Contesto generale
2.
3.
4.
5.
37
La costa egiziana nel I secolo
Il litorale arabo nel I secolo d.C.
Il quadro complessivo di I secolo
I cambiamenti strutturali di II secolo
5.1 Indizi sull’esistenza di una flotta militare nel Mar Rosso
5.2 Il ruolo del principato traianeo nel contesto del Mar Rosso
5.3 Le iscrizioni di Farasan: problemi testuali e possibili interpretazioni
6. Il sistema di tassazione nell’alto impero
6.1 Il litorale egiziano
6.2 Il litorale arabo
40
59
61
65
68
73
77
86
86
98
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
1. I cambiamenti del IV secolo
2. L’ascesa dei porti settentrionali
3. La periferia diventa centro
4. Il sistema di tassazione in epoca tardoantica
4.1 L’entità dell’aliquota
4.2 La frontiera terrestre nelle province orientali
5. Considerazioni finali sull’epoca tardoantica
5
109
109
118
142
145
154
156
162
4. L’età di passaggio, il III secolo
1. La ‘crisi’ come problema storiografico
2. I cambiamenti di III secolo
171
171
182
2.1 L’inflazione nel III secolo
182
2.2 Assenza di monete posteriori al regno di Caracalla nei ritrovamenti in India 186
2.3 Abbandono o distruzione di Coptos e Myos Hormos
188
3. Conclusioni
193
Bibliografia
Indice dei nomi
199
217
6
I porti romani nel Mar Rosso
da Augusto al Tardoantico
Mappe
Mappa fisica del Mar Rosso e delle regioni circostanti
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Mappa del Mar Rosso romano, con i principali porti
10
Mappe
Dettaglio del Deserto Orientale Egiziano e delle carovaniere
11
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Dettaglio dei porti settentrionali del Mar Rosso
12
Introduzione
Minimaque computatione miliens centena milia sestertium annis omnibus India et Seres et
paeninsula illa imperio nostro adimunt: tanti nobis deliciae et feminae constant.1
Con queste famose parole, scritte alla metà del I secolo d.C., Plinio il Vecchio
ci offre una immagine molto efficace dei traffici commerciali che collegavano
Roma con il mondo orientale. Al di là del tono di sdegno di stampo moralista,
tipico della élite romana cui Plinio apparteneva, e al di là della dubbia precisione
delle cifre proposte dall’autore,2 questa frase introduce subito nella discussione un
elemento centrale: il commercio tra Roma e l’Oriente era un affare costoso, che
richiedeva l’investimento di grandi capitali. Altrove Plinio aggiunge che, oltre ad
essere costoso, era un tipo di commercio molto redditizio, arrivando ad affermare
che fosse possibile ricavare fino a 100 volte la cifra investita inizialmente.3
Le affermazioni pliniane sono molto celebri e hanno stimolato un ricco dibattito nel corso dei secoli attorno al tema dei rapporti tra Roma e l’Oriente.4 Le
immagini delle carovane di cammelli carichi di spezie, delle navi rudimentali
che affrontavano l’impeto dei monsoni, hanno colpito la fantasia degli storici
dall’epoca più antica fino a quella moderna.5
Plin., Nat. Hist., XII, 84.
Sul tema, da ultimo Evers 2017, 69.
3
Plin., Nat. Hist., VI, 101.
4
Riferimento importante in tal senso resta Veyne 1979.
5
Si veda ad esempio Amm. Marc. (XXIII, 6, 60), che sembra fare riferimento a una ‘via della
seta’ ante litteram: Iter longissimum patet mercatoribus pervium ad Seras subinde commeantibus.
Gli storici moderni si sono divisi sulla complessiva interpretazione economica del fenomeno
del commercio internazionale in termini di globalizzazione e World Economy. Si vedano, a tal
proposito: Raschke 1978; Curtin 1984; Christian 2000, 25; Thorsten 2005, 302-304; Whitfield
2007, 205; Ruffing 2013.
1
2
13
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Per questo motivo, il commercio orientale romano è argomento già affrontato
da quello che è probabilmente il capostipite di tutti i trattati moderni di storia
romana, la monumentale The History of the Decline and Fall of the Roman Empire
di E. Gibbon, il quale definiva sprezzante i commerci tra Roma e l’India “splendid, but trifling”. È facile ritrovare nella sintetica definizione del Gibbon una eco
molto forte delle parole di Plinio e del suo giudizio moraleggiante.
Tuttavia, nel corso degli anni l’argomento, dapprima relegato in una posizione marginale nel contesto degli studi di storia antica, iniziò a guadagnare
sempre maggiore spazio nelle opere storiche. Per motivi culturali, collegati alla
situazione politica del tempo, furono gli accademici britannici i primi a interessarsi del tema. Non è per caso quindi che il capostipite dei lavori scientifici
sul commercio tra Roma e l’India fu The Commerce between the Roman Empire
and India di E.H. Warmington, pubblicato nel 1928. È curioso vedere come il
Warmington in qualche modo proiettasse sul periodo romano quelle che erano le
categorie culturali e sociali dell’Impero Britannico. Infatti, nella sua visione l’India era una sorta di appendice economica dell’Impero Romano, che la dominava
tramite una serie di colonie.6 Questa visione imperialista andò sparendo progressivamente dalla storiografia britannica successiva, specie dopo la dichiarazione
di indipendenza dell’India. Tuttavia, ancora negli anni ’50, M. Wheeler nel suo
Rome Beyond the Imperial Frontiers considerava la città di Arikamedu, sulla costa
sudorientale dell’India, di fatto una colonia romana.7
Un maggiore interesse per le dinamiche internazionali del commercio inizia
a emergere con i lavori di M.G. Raschke8 e successivamente di L. Casson,9 autore di un’edizione critica del testo del Periplus Maris Erythraei che ancora oggi
è considerata un punto di riferimento per gli studi di settore. Negli stessi anni,
altra opera fondamentale è quella di S.E. Sidebotham, Roman Economic Policy
in the Erythra Thalassa, del 1986. Con quest’opera appare per la prima volta un
concetto, quello di “economic policy” che per decenni ancora gli studiosi faticheranno a riconoscere come presente sulla scena del commercio internazionale.
Sidebotham per primo ipotizza l’esistenza di una politica economica imperiale
romana, sulla base di documenti emersi nel frattempo dalle sabbie dell’Egitto. A
6
7
8
9
Si veda, a titolo di esempio, Warmington 1928, 131, 274-292, 319-320.
Wheeler 1954.
Raschke 1978.
Casson 1989.
14
Introduzione
partire proprio dalla decade successiva, e proprio per iniziativa di Sidebotham e
altri archeologi operanti nella zona del Mar Rosso, la quantità di informazioni
disponibili sulle dinamiche economiche di quest’area inizia a incrementare in
maniera esponenziale. Gli scavi di Sidebotham a Berenice, quelli di Parker ad
Aqaba, quelli di varie missioni a Myos Hormos, insieme ad altre spedizioni in
porti minori, permettono di avere un quadro sempre più chiaro delle dinamiche
del commercio romano con le regioni del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano.
Non è un caso, infatti, che il nuovo secolo veda un proliferare di monografie sul
tema. Alla conclusione del vecchio secolo appare quella che resta la monografia
italiana più importante sul tema, Cassia Cinnamomo Ossidiana. Uomini e merci
tra Oceano Indiano e Mediterraneo, di F. De Romanis, opera di grande valore, che
affronta lo studio del commercio da una molteplicità di punti di vista, filologico,
storico, archeologico, e in cui si trovano alcune brillanti intuizioni che sono oggi
acquisite dalla storiografia.
Il 2000 vede la pubblicazione del lavoro di W. Ball Rome in the East. The
transformation of an Empire e un anno dopo lo segue Rome’s Eastern Trade di
G.K. Young. Entrambi i volumi cercano di dare voce a una visione diversa dei
commerci imperiali e dei rapporti di scambio tra Roma e i popoli orientali. Gli
anni successivi vedono infine l’apparizione dell’ottima sintesi di R. Tomber
Indo-Roman Trade del 2008, in cui l’autrice grazie alla sua enorme esperienza
nell’analisi dei tipi ceramici riesce a fornire una lettura nuova delle informazioni
ricavabili da questa particolare classe di reperti. Successivamente, va certamente
segnalato nel 2011 l’importante Berenike and the Ancient Maritime Spice Route
ancora una volta di S.E. Sidebotham, che in questo volume offre non solo una
sintesi mirabile dei risultati di quasi 20 anni di lavori archeologici nel sito di
Berenice, ma ribadisce la sua interpretazione del commercio internazionale in
termini di “global economy”. Un anno dopo appare un altro testo a suo modo
pionieristico, The Red Sea from Byzantium to the Caliphate. AD 500-1000 di T.
Power. Si tratta del primo saggio di una certa importanza a focalizzarsi principalmente sulla fase bizantina e araba del Mar Rosso, ribaltando la cronologia tipica
degli studi classici su quest’area, confinati cronologicamente all’epoca tolemaica
e romana imperiale. Venendo agli ultimi anni, la carica innovativa delle ultime
pubblicazioni sembra essersi alquanto ridotta, e in questo senso né The Roman
Empire and the Indian Ocean di R. McLaughlin (2014), né tantomeno Rethinking Classical Indo-Roman Trade di R. Gurukkal (2016) sembrano aver apportato
grandi elementi di novità alla discussione, palesando anzi entrambi gravi lacune
metodologiche e di ricerca del materiale, mentre decisamente più interessante è
15
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
l’ultima opera ad oggi pubblicata sul tema, di G. Evers.10 A questa breve rassegna
mancano molti titoli, opere collettanee, relazioni di scavo. Ho preferito concentrarmi solo sulle monografie, soprattutto per dare conto della popolarità che il
commercio tra Roma e i popoli del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano ha riscosso
tra gli studiosi negli ultimi decenni.
Resta dunque da spiegare il senso di questo lavoro e in che modo esso possa
essere considerato originale, data la grande quantità di testi già pubblicati sul
tema. Innanzitutto, si è scelto di soffermarsi su un aspetto in particolare: non
tanto il commercio in senso astratto, ma soprattutto la gestione delle installazioni portuali romane attive nella parte di Mar Rosso che Roma controllava
direttamente. Il numero e la funzione di tali porti non restarono statici, ma anzi
variarono nel tempo, da un lato rispondendo alle mutevoli esigenze commerciali
dell’area, dall’altro adattandosi alle linee di sviluppo decise dell’autorità imperiale. Per rendere più chiara questa evoluzione, si è scelto un arco cronologico molto
ampio, dalla conquista augustea dell’Egitto (30 a.C.), fino alla conclusione della
presenza imperiale romana in Egitto, avvenuta quasi sette secoli dopo, per mano
degli Arabi (ca. 640 d.C.). Lo scopo è dunque quello di verificare in che modo
l’analisi di come questo “sistema portuale” si strutturò e di come si evolse possa
fornirci indicazioni di tipo più generale su quella che era la situazione dei commerci tra il mondo mediterraneo e l’Oriente.
Considerare tutto il periodo della presenza diretta romana nel Mar Rosso è
l’unico modo per comprendere davvero le linee evolutive delle politiche commerciali nell’area, l’unica strada per apprezzare davvero quali cambiamenti ci furono
nel modo di gestire i commerci e per quale motivo. In questo lavoro si è dedicato
un ampio spazio alla trattazione della evoluzione dei commerci con l’Oriente,
a partire dal IV secolo d.C., cercando di evidenziare come la storia economica
dell’area del Mar Rosso sia un tutt’uno inscindibile, e che le varie fasi in cui essa
è suddivisibile non siano che tappe di uno sviluppo regolare e coerente. Al contrario di quello che è stato spesso affermato, non si verificò alcuna “rottura” nel
sistema commerciale romano con l’Oriente, tra III e IV secolo.
Da un punto di vista geografico, inoltre, è importante fare un chiarimento
preliminare. Definizioni come Ἐρυθρὰ Θάλασσα o Mare Rubrum nelle fonti
antiche appaiono con frequenza, ma spesso l’ambito geografico cui esse si riferiscono è piuttosto vago. Possono riferirsi, di volta in volta, a vari bracci di mare,
10
Evers 2017.
16
Introduzione
corrispondenti, oggi, al Golfo Persico, al Mar Rosso, all’Oceano Indiano o all’insieme di tutte queste entità geografiche.11 Tradizionalmente, si preferisce tradurre
genericamente tali locuzioni “Mar Rosso”, tenendo sempre presente, però, la inevitabile ambiguità che questo termine sottende.
È inoltre necessario sottolineare alcune peculiarità fisiche dell’area di cui ci
stiamo occupando in maniera specifica, il Mar Rosso, riguardanti tre aspetti:
le coste, i fondali e i venti. Una delle caratteristiche che balza all’occhio a una
prima osservazione dell’area è il fatto che le regioni costiere del Mar Rosso sono
prevalentemente desertiche per molti chilometri nell’entroterra: a Est, infatti, c’è
il Deserto Arabico, mentre a Ovest il Deserto Orientale Egiziano. Entrambi questi territori sono particolarmente ostili per l’insediamento umano ed eventuali
città che ivi fossero state fondate avrebbero dovuto fare i conti quotidianamente
con l’enorme problema del rifornimento idrico. Si tratta, dunque, di aree in cui
la vita era estremamente difficile, e questo dettaglio andrà tenuto nella giusta
considerazione. Per quanto riguarda invece le caratteristiche fisiche del braccio
di mare in senso stretto, può essere utile partire dalla testimonianza di Strabone,
il quale, nei primi decenni del I d.C., definiva il Mar Rosso δύσπλους, cioè di
difficile navigazione, in particolare per chi avesse intenzione di partire dalla parte
più settentrionale, per farvi successivamente ritorno.12
Perché Strabone riteneva che la navigazione nel Mar Rosso fosse tanto complicata? Una prima risposta è certamente data dalla presenza di acque basse e di
fondali pieni di scogli appena affioranti, che rendevano particolarmente insidioso
navigare in quel mare. Tuttavia, questa è una caratteristica comune tanto alla
parte settentrionale quanto a quella meridionale del Mar Rosso, mentre Strabone
ebbe cura di sottolineare che a Nord la navigazione presentava delle difficoltà supplementari. Il motivo di questa precisazione va ricercato nel particolare regime
dei venti: mentre a sud del 20° di latitudine Nord si alternano, in concomitanza
con i monsoni, venti in direzione Sud-Sud-Est nei mesi estivi e venti in direzione
Nord-Nord-Est nei mesi invernali, a nord di quella stessa latitudine spirano per
Sidebotham 1986a, 1; Rougé 1988, 59-60; Salles 1994, 165-188; Fauconnier 2012.
Strab., XVII, 1, 45: λέγεται […] τοῦτο δὲ πρᾶξαι διὰ τὸ τὴν Ἐρυθρὰν δύσπλουν εἶναι καὶ
μάλιστα τοῖς ἐκ τοῦ μυχοῦ πλοϊζομένοις. Il geografo, oltre a derivare questa informazione da
autori ellenistici, ebbe la possibilità di verificarne in prima persona la veridicità, allorché prese
parte alla infelice spedizione di Elio Gallo nel Mar Rosso, partita proprio dalle coste settentrionali. Si vedano anche Arnaud 2014 e De Romanis 2015. Per l’edizione di riferimento del XVII
libro di Strabone, si veda Laudenbach 2015.
11
12
17
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
tutto l’anno venti in direzione Sud-Sud-Est. Per questo motivo è evidente che,
a Sud di 20° lat. N, si può navigare col vento a favore sia in direzione Nord che
Sud (a patto di scegliere il periodo più indicato dell’anno); al contrario, risalire
verso Nord oltre il 20° lat. N comporterebbe la necessità di navigare controvento
in ogni periodo dell’anno.13 Navigare controvento non è impresa impossibile, ma
va considerato che i vascelli romani erano attrezzati solo con la cosiddetta vela
quadra, la quale consentiva di navigare controvento solo a patto di procedere
lungo una traiettoria a zig-zag, allungando di molto, conseguentemente, i tempi
di navigazione.14 A ciò si dovrà aggiungere che, nel caso del Mar Rosso, questa
operazione si sarebbe dovuta eseguire in un mare dai fondali insidiosi e dalle
coste desertiche, prive di rifornimenti idrici. D’altra parte, attraccare nei porti
più meridionali, se pure evitava ai mercanti una lunga e complessa navigazione
controvento, li obbligava a una non meno penosa traversata nel deserto. Questa
caratteristica influenzò profondamente la geografia dei commerci nel Mar Rosso,
determinando la fortuna di alcuni insediamenti e il declino di altri.
13
Per una approfondita esposizione delle caratteristiche ambientali che rendono difficoltoso
navigare nel Mar Rosso, rimando al lavoro di De Romanis 1996, 21-28. Si vedano anche Sidebotham 1986a, 51-52; Sanlaville 1988, 20; Sidebotham e Wendrich 1995, 6; De Romanis 2015,
49-50.
14
Si veda, a tal proposito, il classico studio di Casson 1971, 274.
18
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
La presenza diretta dei Romani nell’area del Mar Rosso ha inizio nel 30 a.C.,
anno in cui Ottaviano conquistò l’Egitto tolemaico, portando per la prima volta
i confini dell’Impero sulle coste del Mare Rubrum. Ma i Romani non furono
certamente i primi a sfruttare l’enorme potenziale commerciale dell’area: prima
del loro arrivo, il regno d’Egitto e quello dei Nabatei avevano gestito i traffici
con l’Oriente dal Mar Rosso. Proprio dalla storia di questi due regni sarà utile
iniziare, per evidenziare quale organizzazione trovarono i Romani al loro arrivo
e in che modo la utilizzarono per i propri fini.
1. L’Egitto (323 – 30 a.C.)
Dopo la morte di Alessandro il Grande nel 323 a.C., il suo generale Tolomeo
prese saldamente il controllo dell’Egitto, assumendo il nome di Tolomeo I Sotere
(323-283/282 a.C.) e fondando una dinastia destinata a durare quasi 300 anni.
Il significato economico dell’attività svolta dai Tolomei nel Mar Rosso è stato in
passato esagerato nella storiografia contemporanea, mentre già da alcuni decenni si è evidenziato che in questa epoca gli scambi commerciali nel Mar Rosso
furono alquanto limitati.15 È parimenti nozione acquisita che i Tolomei ebbero
una partecipazione economica nell’area del Mar Rosso piuttosto circoscritta: si
limitarono a costruire le infrastrutture necessarie a stimolare il commercio, ma
non presero parte ad esso, preferendo lasciarlo nelle mani di imprenditori privati.16 Gli interessi commerciali principali erano legati alla importazione di elefanti
da guerra e di oro dall’Africa. In particolare, i Tolomei ritennero sempre fondamentale per rinforzare i propri eserciti rifornirli costantemente con i possenti
15
7.
16
Si veda la posizione espressa da Sidebotham 1986a, 12; De Romanis 1996, 121; Power 2012,
Sidebotham 1986a, 2; Power 2012, 8.
19
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
pachidermi africani. Questi erano cacciati nelle aree a Sud dei confini egiziani,
nella regione chiamata Trogodytica: per poterli trasportare fino in Egitto furono
approntate delle imbarcazioni speciali, di enormi dimensioni e tonnellaggio, dette appunto ἐλεφαντηγοί.17
Ben poco sappiamo delle attività commerciali nell’area del Mar Rosso sotto
Tolomeo I, eccezion fatta per quanto ci tramanda Teofrasto, suo contemporaneo, in merito all’importazione in Egitto di una serie di prodotti dall’Oriente
(mirra, incenso, pepe, cassia, cinnamomo).18 Tuttavia, Teofrasto non ha le idee
molto chiare sulla esatta provenienza di alcune delle merci di cui parla; la stessa
ignoranza è palesata da altre testimonianze coeve,19 il che farebbe pensare che i
rapporti commerciali diretti tra il regno d’Egitto e l’India fossero piuttosto rari.
Un peso maggiore ebbe il regno di Tolomeo II Filadelfo (283/282-246 a.C.)
nello sviluppo dell’attività commerciale nel Mar Rosso. Si deve alla sua iniziativa,
infatti, la costruzione di una serie di porti, alcuni dei quali svolsero un ruolo di
primo piano nella gestione dei commerci nell’area per diversi secoli.
Significativamente, durante il regno del Filadelfo per la prima volta si sentì
l’esigenza di strutturare in maniera stabile una via carovaniera che congiungesse
i porti del Mar Rosso con il Nilo. Qui esistevano dei porti fluviali che fungevano
da punto di raccolta e smistamento per le merci approdate sulla costa: Coptos
(Qift) e Apollonopolis Magna (Edfu). Queste piste carovaniere nel deserto erano
sottoposte a continua sorveglianza militare e fornite di punti di approvvigionamento idrico, detti hydreumata.20 Coptos era ubicata nel punto in cui il corso
del Nilo scorre più vicino alla costa orientale dell’Egitto, mentre Apollonopolis
Magna era più a Sud.
L’importanza di infrastrutture di questo genere dovrebbe risultare immediatamente evidente. Si è detto nell’introduzione che la rotta preferita per importare le merci nel mondo mediterraneo tramite il Mar Rosso prevedeva l’approdo
17
Nonostante già Tolomeo I Sotere avesse iniziato a importare regolarmente elefanti in Egitto,
fu specialmente il figlio Tolomeo II Filadelfo ad adoprarsi per rendere costante il flusso di pachidermi dall’Africa. Non a caso, come stiamo per vedere, egli si diede da fare per creare apposite
infrastrutture capaci di gestire questo commercio in maniera ottimale. Per questo argomento in
generale, si veda Casson 1993, 247-260; Power 2012, 6-8.
18
Theophrast., De Hist. Plant., IV, 4, 8; IV, 4, 18; IV, 4, 14; VIII, 4, 2; IX, 4, 1-10; IX, 20, 1.
19
Bernard 1972, 145-147, n. 72; Sidebotham 1986a, 2.
20
Gli hydreumata erano pozzi scavati nel deserto, che servivano per rifornire periodicamente
i viandanti di acqua potabile. Si vedano Bernard 1972, 46-54; Bagnall 1976, 35; Sidebotham
1986a, 3; Young 2001, 45-46.
20
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
dei cargo nei porti meridionali dell’Egitto. Di qui, era necessario raggiungere
Alessandria, punto di distribuzione internazionale delle merci orientali. Per far
questo, le merci scaricate sulla costa erano convogliate tramite un sistema di vie
carovaniere fino alla Valle del Nilo (da qui poi erano imbarcate e spedite ad Alessandria). La costruzione di piste ben definite e ben protette lungo l’ostile deserto
orientale egiziano permetteva di percorrere in maniera relativamente agevole la
distanza tra i porti marittimi e i centri fluviali. Queste piste erano costellate di
postazioni militari che avevano ovviamente lo scopo di proteggere le carovane
che si addentravano nel deserto da possibili attacchi di banditi.
Complessivamente, nel periodo compreso tra il regno del Filadelfo e quello
di Tolomeo IV Filopatore (221-205 a.C.), le nostre fonti ricordano la fondazione
di una quindicina di porti sulla costa del Mar Rosso.21 In ordine alfabetico, essi
sono:
- Ampelona
- Arsinoe/Kleopatris
- Arsinoe presso Deire
- Arsinoe Trogodytika
- Berenice ἐπὶ δειρῆς
- Berenice Ezion Geber
- Berenice presso Sabai
- Berenice Panchrysos
- Berenice Trogodytica
- Leukos Limen
- Myos Hormos
- Nechesia
- Philoteras
- Ptolemais Theron
Si cercherà ora di fornire in maniera molto sintetica un quadro sulle informazioni che possediamo riguardo a queste installazioni.
21
Strab., XVI, 4, 7; Plin., Nat. Hist., VI, 170-175.
21
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Ampelona
Plinio cita Ampelona nel suo elenco di città nella regione arabica, lungo il
litorale del Mar Rosso, ricordando che si tratterebbe di una colonia di fondazione milesia.22 È stato ovviamente rilevato da molto tempo come sia altamente
improbabile che Mileto abbia realmente fondato una città in questa zona. Il Tarn
ipotizzò che la fondazione della città potesse ricondursi all’epoca tolemaica, e
che in seguito questa sarebbe stata colonizzata dai Milesii, proprio su richiesta di
uno dei dinasti lagidi. L’ipotesi giudicata più probabile dal Tarn stesso è che la
fondazione sia da attribuirsi a Tolomeo II, fautore di una politica molto attiva in
Arabia.23 Infine, egli suggeriva che Ampelona si potesse forse identificare con la
successiva Leuke Kome.24
Arsinoe/Kleopatris
Le maggiori informazioni su questo porto ci provengono da Strabone, che
però sembra non avere le idee chiare. Nei tre luoghi in cui ci parla di questa città,
egli riferisce:
a) che Arsinoe era detta anche Kleopatris e che era situata presso (κατά) la
foce del canale che si riversava nel Golfo di Heroonpolis (moderno Golfo
di Suez);25
b) che Kleopatris si trovava presso l’antico canale che partiva dal fiume Nilo
e sfociava nel Mar Rosso;26
c) infine, distingue le due città, dicendo che Kleopatris si trova vicino
(πλησίον) Arsinoe.27
Plin., Nat. Hist., VI, 159.
Tarn 1929, 21-22. Che la fondazione fosse da far risalire all’iniziativa di un dinasta lagide
è idea condivisa anche da Kortenbeutel 1931, 21; Sidebotham 1986a, 3. Tarn sottolineava che
Mileto fu sotto la signoria dei Tolomei dal 279 al 258 a.C. e dal 245/241 al 197 a.C. Egli ipotizzava che la fondazione della colonia avrebbe avuto luogo dopo la spedizione del Filadelfo del
277 e prima del 260 a.C., mentre Sidebotham ipotizzava che potesse essere stato Tolomeo II o
Tolomeo III.
24
Tarn 1929, 21-22; seguito in questa interpretazione anche da Sidebotham 1986a, 3.
25
Strab., XVII, 1, 25.
26
Strab., XVI, 4, 23.
27
Strab., XVII, 1, 26.
22
23
22
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
In realtà, la confusione è più apparente che reale. Con ogni probabilità le due
città erano effettivamente adiacenti l’una all’altra, sicché potevano essere confuse
o considerate come un unico agglomerato urbano; ovvero, si trattava di un’unica
città, chiamata originariamente Arsinoe e successivamente Kleopatris.28 Questa
ipotesi è suffragata dal fatto che negli Acta del Concilio di Calcedone del 451 si fa
riferimento a Cleopatris quae et Arsinoe.29 Ad esempio, Plinio e Claudio Tolomeo
conoscono solo Arsinoe, non Kleopatris.30
D’altra parte, potremmo anticipare fin d’ora che le fonti di cui disponiamo
citano, complessivamente, ben tre città ubicate sul Golfo di Heroonpolis: oltre
alle due già menzionate, va aggiunta Clysma, di cui si parlerà diffusamente nel
capitolo 3 di questo lavoro.
Arsinoe
Nel suo elenco delle città ubicate lungo le coste del Mar Rosso, Strabone fa
menzione di una Arsinoe presso Deire, aggiungendo che essa era πόλις e porto.31
Le frammentarie e generiche testimonianze ricavabili dalle altre fonti in nostro
possesso32 non consentono di poter dire molto su questo insediamento: Desanges
ha ipotizzato che il fondatore possa essere Tolomeo III,33 ma nonostante le ipotesi
avanzate dallo studioso francese, non è stato possibile pervenire ad una identificazione precisa dell’ubicazione del sito.34
28
Burstein 1989, 134, n. 2 ipotizzava che Arsinoe fosse stata rinominata Kleopatris in onore di
Cleopatra VII (51-30 a.C.).
29
Per l’edizione degli Acta, si veda Mansi 1961, vol. 6, 571.
30
Plin., Nat. Hist., V, 65; Ptolem., Geog., IV, 5, 14-15. Per un’analisi approfondita delle attestazioni riguardo a questa città nelle fonti antiche si veda Cohen 2006, 308-309.
31
Strab., XVI, 4, 14. Su Deire si vedano Strab., XVI, 4, 4; Desanges 1978, 296. Kortenbeutel
(1931, 36) riteneva che Arsinoe fosse da identificare con Berenice ἐπὶ δειρῆς; contra, Fraser
1972, vol. 2, 305. Desanges (1978, 447) ipotizzava che la città potesse essere identificata con
Arsinoe Trogoditica.
32
Pomp. Mela, III, 80; Ptolem., Geog., IV, 7, 2; Geog. Rav., II, 7, 19.
33
Desanges 1978, 297, n. 421; si confronti anche Kortenbeutel 1931, 38-39.
34
Sidebotham 2017.
23
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Arsinoe Trogodytica
Secondo Strabone,35 la città di Arsinoe si trovava tra Philoteras e Myos Hormos, nel Paese dei Trogoditi. Nella stele di Pithom (ll. 20-21) si può forse ravvisare un riferimento alla fondazione di Arsinoe (e a Philoteras), che potrebbe
collocare la fondazione stessa negli anni attorno al 270 a.C. Nulla si sa sulla
precisa ubicazione della città.36
Berenice ἐπὶ δειρῆς
È Plinio a ricordare esplicitamente questa città,37 che sarebbe da collocare
sul promontorio adiacente a Bab el-Mandeb (fauces Rubri Maris). Nulla si sa
di preciso sul fondatore della città, anche se il Desanges postula che si tratti di
Tolomeo III.38
Berenice Ezion Geber
Secondo Flavio Giuseppe, il re Salomone costruì flotte “nel Golfo Egiziano
del Mar Rosso nel punto chiamato Ezion Geber, non lontano dalla città di Aila,
ora chiamata Berenice”.39 È generalmente accettato che la Berenice di cui parla
Giuseppe sia la Aila di epoca romana, nel sito della moderna città di ‘Aqaba.40
Berenice Presso Sabai
L’identificazione di questa città è ancora lungi dall’essere chiara. Strabone
è l’unico che ne fa menzione.41 Ne è stata sostenuta, con varie argomentazioni,
Strab., XVI, 4, 5.
Non sarà qui inutile sottolineare come alcuni studiosi, a partire dal Desanges (1978, 269)
abbiano completamente negato la possibilità che questa città esistesse realmente, ipotizzando
che l’unica autentica Arsinoe esistente in antico era quella ubicata sul Golfo di Heroonpolis.
37
Plin., Nat. Hist., VI, 170. Un’altra, possibile, testimonianza è in Pomponio Mela (III, 80:
ultra Arsinoe et alia Berenice), almeno secondo l’opinione di Desanges 1978, 93.
38
Desanges 1978, 297.
39
Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 163.
40
Cohen 2006, 314.
41
Strab., XVI, 4, 10.
35
36
24
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
l’identificazione con la città di Adulis, porto principale del regno etiopico di
Axum.42
Berenice Panchrysos
È Plinio l’unica fonte che fa menzione di questa particolare città.43 Egli la
include, con Berenice ἐπὶ δειρῆς, tra le città della Trogoditica. La maggior parte
degli studiosi ritiene che si tratti di una confusione con qualche altro porto più
famoso dallo stesso nome.44 Non è possibile identificare con precisione l’ubicazione di questo porto.
Berenice Trogodytica
Secondo Plinio45 questo porto prese il suo nome dalla madre di Tolomeo II,
il quale avrebbe fondato la città nel III secolo a.C. (circa il 275 a.C.).46 Il periodo
di maggiore fioritura si colloca nel I secolo d.C., sotto il dominio romano.47 La
città fu fondata in un sito che parrebbe non essere stato abitato in precedenza.48
Strabone riferisce che non esisteva ai suoi tempi un vero e proprio porto, ma
piuttosto un punto di approdo;49 aggiunge, inoltre, che nel paese dei Trogoditi
i Tolomei cacciavano gli elefanti50 che erano da loro utilizzati in guerra. Ed è
proprio a Berenice che gli elefanti erano trasportati via mare dalle aree a Sud del
Regno d’Egitto, partendo dal porto di Tolemaide Theron, città che deve il suo
toponimo al suo coinvolgimento nel commercio di animali selvaggi.51 Da BereSi veda la rassegna operata da Cohen 2006, 315-316.
Plin., Nat. Hist., VI, 170.
44
Si confrontino, a tal proposito, le opinioni proposte da Fraser 1972, vol. 2, 305; Desanges
1978, 295; Cohen 2006, 316-318.
45
Plin., Nat. Hist., VI, 168.
46
Sidebotham e Wendrich 1995, 5; Sidebotham 2011, 7-8; Woźniak e Rądkowska 2011.
47
Come chiaramente attestato dai risultati degli scavi ivi effettuati, che hanno evidenziato un
sensibile aumento della superficie edificata, al passaggio dall’epoca tolemaica a quella romana.
Sidebotham e Wendrich 1996, 95; Sidebotham e Wendrich 1998, 119; Sidebotham 2011, 5960.
48
Sidebotham e Wendrich 2000; Sidebotham e Wendrich 2001/2002, 28-29.
49
Strab., XVII, 1, 45.
50
Strab., XVI, 4, 4. Woźniak e Rądkowska 2011.
51
Resti di elefanti sono effettivamente attestati archeologicamente in città. Sidebotham et al.
2008, 162-165; Sidebotham 2011, 53-54; Sidebotham e Zych 2012, 137.
42
43
25
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
nice, gli elefanti erano trasportati via terra fino al Nilo, al porto di Apollonopolis
Magna tramite la pista che attraversava il deserto fino al corso del fiume Nilo; lì
erano imbarcati alla volta di Alessandria.52
Il sito è stato oggetto di numerose campagne di scavo a partire dagli anni ’90,
che hanno consentito di identificare con precisione l’ubicazione della città antica,
nei pressi della moderna Ras Banas.53
Leukos Limen
Soltanto Claudio Tolomeo cita questo porto, sulla costa egiziana del Mar
Rosso.54 Nessuna informazione sulla data di fondazione o sulla sua precisa ubicazione è ricavabile dal geografo alessandrino, che si limita a una semplice elencazione di porti. Sidebotham e Casson hanno sottolineato che, non essendo il sito
citato da Strabone, né dall’anonimo autore del Periplus, si potrebbe immaginare
che esso sia stato fondato dopo la metà del I secolo d.C.55 Per quanto riguarda
l’ubicazione del sito, è stata ipotizzata l’area a sud di Quseir al-Qadim.56
Successivamente, è stata avanzata l’ipotesi che non sarebbe mai esistito alcun
sito di nome Leukos Limen: semplicemente, Tolomeo avrebbe per errore riportato in maniera non corretta il nome di Leuke Kome, nel redigere la sua lista,
trasformandolo in Leukos Limen.57
52
Si veda a tal proposito l’interessante testimonianza di P.Petrie II, 40 (= Chrest. W. 452),
databile al 224 a.C. In realtà, la corretta interpretazione del frammentario papiro è molto controversa. Non tutti gli studiosi sono concordi nell’identificare la Berenice cui si fa riferimento
nel papiro con Berenice Trogoditica. A favore di questa opinione, si veda Casson 1993, 257-258;
contra, Desanges 1978, 296. D’altra parte, l’unica prova a favore della presenza di un mercato di
elefanti a Berenice Trogoditica è un frammento di osso di elefante ritrovato durante una campagna di scavo nel 2000, per il quale si veda Sidebotham e Wendrich 2001/2002, 41. Nel sito
sono stati rinvenuti una serie di oggetti d’avorio, ma, come evidenziato dai due studiosi, questo
non permette di affermare con certezza che esistesse un fitto commercio di elefanti passante per
questo porto.
53
Sidebotham e Wendrich 1995, 5-6; Sidebotham e Wndrich 1999; O.Ber. I.
54
Ptolem., Geog., IV, 5, 15.
55
Sidebotham 1986a, 55; Casson 1989, 96.
56
Whitcomb e Johnson 1979, 4; Whitcomb e Johnson 1982a, 2; Sidebotham 1986a, 53-56;
Casson 1989, 96; Meyer 1992, 1-6.
57
Cuvigny 2003a, 28. Gli autori sottolineano un dettaglio non trascurabile per supportare la
loro teoria, e cioè che nella lista di Tolomeo Leuke Kome stranamente non è citato.
26
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
Myos Hormos
Secondo Strabone, Myos Hormos58 era ubicata a Sud di Arsinoe, aveva un
ampio porto ricurvo e tre isole erano visibili al largo della città.59 Plinio ricorda
che nei paraggi c’era una fonte.60 È ancora Strabone ad aggiungere alcune informazioni sulla vita economica della città, informandoci che era una πόλις e che in
essa era presente una stazione per i marinai,61 sottolineando come, ai suoi tempi,
circa 120 navi ogni anno partissero da Myos Hormos alla volta dell’India, laddove solo poche erano quelle che dallo stesso porto partivano in epoca tolemaica.62
Anche il Periplus Maris Erythraei cita Myos Hormos, sottolineando come esso
sia, insieme con Berenice, uno dei porti principali nel commercio con l’India.63
Riguardo alla fondazione del porto, la maggior parte degli studiosi è concorde nell’attribuirla a Tolomeo II, anche se va sottolineato che non ci sono evidenze
letterarie in merito, né tantomeno incontrovertibili prove archeologiche di una
chiara fase tolemaica del sito.64
Molto complesso è stato giungere a una sicura identificazione del sito di Myos
Hormos. Per molti anni, sulla base delle informazioni ricavabili dalle fonti a
nostra disposizione e già citate in precedenza, molti studiosi avevano pensato di
poter identificare l’antico porto con il moderno sito di ’Abu Sha’ar.65 Tuttavia,
questa ipotesi è necessariamente stata abbandonata allorché, in seguito a scavi
archeologici, si è potuto appurare che il sito di ’Abu Sha’ar è stato fondato in
Per il curioso toponimo della città, si veda De Romanis 1996, 147-150.
Strab., XVI, 4, 5.
60
Plin., Nat. Hist., VI, 168.
61
Strab., XVII, 1, 45.
62
Strab., II, 5, 12 e XVI, 4, 24. In effetti, Strabone non specifica se il numero di 120 navi sia
il totale che parte dalle sponde di Myos Hormos ogni anno, o se si tratta delle navi che hanno
lasciato il porto nel periodo in cui egli si trovava lì. Tuttavia, tra le due ipotesi sembra più ragionevole la prima.
63
PME, 1.
64
Si vedano Tarn 1929, 22; Sidebotham 1986a, 2-3; Peacock 1993, 226. In particolare, Whitcomb (1996, 759-761) ha ipotizzato che Myos Hormos tolemaica potesse essere individuata
nella moderna città di Quseir (poco più a sud di Quseir al-Qadim). L’ipotesi è accettata da
Cuvigny 2003a, mentre è stata recentemente rigettata da Peacock e Blue 2006, 5-7.
65
Si veda Casson 1989, 96, anche per la bibliografia precedente.
58
59
27
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
epoca tardoantica (inizi IV secolo), dato ovviamente inconciliabile con la storia
di Myos Hormos.66
Successivamente si è fatta largo l’ipotesi dell’identificazione con la moderna città di Quseir al-Qadim.67 Nel corso delle campagne di scavo ivi effettuate
dall’Università di Chicago (tra il 1978 e il 1982) sono stati rinvenuti almeno due
documenti che contenevano il nome di Myos Hormos.68 Nel 1994 A. Bülow-Jacobsen, H. Cuvigny e J.-L. Fournet, lavorando al sito di el-Zerqa (antica Maximianon), posto 65 km nell’entroterra, lungo la rotta Qift-Quseir, scoprirono otto
ostraka che contenevano il nome di Myos Hormos.69 Altri ostraka riportavano il
sintagma ὁδὸς Μυσορμιτική, “rotta per Myos Hormos”; un altro ostrakon rinvenuto ad el-Muweih (antica Krokodilo), sulla stessa rotta, menziona un carico
di legname per carpenteria navale destinato a Myos Hormos. In tutto, ad oggi,
si possono contare 33 ostraka rinvenuti in queste due località, che contengono il
nome di Myos Hormos.70 Questi documenti basterebbero da soli a far identificare in via definitiva Quseir al-Qadim con l’antico porto egiziano. Inoltre, in anni
successivi (tra il 1999 e il 2000) campagne di scavo portate avanti dall’Università di Southampton a Quseir hanno rinvenuto altri due documenti in loco (un
papiro databile al 93 d.C. e un ostrakon), entrambi contenenti il nome di Myos
Hormos.71 Possiamo, dunque, essere assolutamente sicuri che la città romana di
Myos Hormos corrisponde alla moderna Quseir al-Qadim.
Nechesia
Claudio Tolomeo è ancora una volta l’unica fonte a nostra disposizione sul
porto di Nechesia, che egli colloca tra Leukos Limen e Berenice.72 Non abbiamo
Sull’argomento si veda anche Bongrani Fanfoni 1997, 53-59. Per ’Abu Sha’ar, si veda infra,
pagg. 136-140.
67
Il primo a proporre decisamente questa interpretazione fu il Peacock 1993, 226-232.
68
Gli editori dei reports degli scavi americani sostennero la teoria di poter identificare Quseir
al-Qadim con Leukos Limen, proprio sulla base di testimonianze documentarie rinvenute in
situ. Per il dossier completo dei documenti rinvenuti tra il 1978 e il 1982 a Quseir al-Qadim, si
veda Bagnall 1986, 1-60.
69
Bülow-Jacobsen et al. 1994, 27-42.
70
Sul complesso dei documenti rinvenuti nella zona negli ultimi anni, si vedano Bülow-Jacobsen 1998, 65-66; Cohen 2006, 333.
71
Peacock e Blue 2006.
72
Ptolem., Geog., IV, 5, 14.
66
28
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
idea di chi abbia fondato la città, in quale periodo, o dove essa fosse situata. Il
Meredith ipotizzò una collocazione presso Wadi Mubarak;73 Sidebotham, invece, ha optato per Marsa Nakari. Egli ha anche provato a ricostruire la pista che
avrebbe congiunto Nechesia con Edfu, sul Nilo.74
A Marsa Nakari è stata effettuata una campagna di scavo che ha portato alla
luce resti di I e IV secolo d.C., ma al momento questi dati sono insufficienti per
affermare con certezza che il sito moderno corrisponda all’antica Nechesia.75
Philoteras
Strabone racconta che Philoteras fu fondata da Satyros, che stava esplorando
la Trogoditica alla ricerca di elefanti,76 senza precisare la data in cui ciò sarebbe
avvenuto, ma aggiungendo che il nome della città deriverebbe da quello della
sorella di Tolomeo II Filadelfo.77 Plinio aggiunge che il sito era chiamato anche
Aenum e lo descrive come una piccola città. Claudio Tolomeo ricorda che ivi era
un porto. L’esatta collocazione è ad oggi ignota, e gli studiosi hanno proposto
con vari argomenti i siti di Aïn Sukhna e Safaga.78 In ogni caso è impossibile
approfondire la discussione su questo insediamento.79
Ptolemais Theron
Secondo Strabone80 Ptolemais Theron fu fondata per volere di Tolomeo II da
Eumede, con lo scopo di intensificare la caccia agli elefanti, nei pressi dell’area
Meredith 1958, 103.
Sidebotham 1997, 505; Bagnall et al. 1996, 317-330; Tomber 2008, 65; Sidebotham 2017.
75
Per il resoconto degli scavi si veda Seeger 2001, 77-88; in generale, si confronti anche Jackson
2002, 85.
76
Strab., XVI, 4, 5.
77
Il Tarn (1926, 99) ipotizzò che la fondazione della città fosse anteriore al matrimonio tra
Tolomeo II e Arsinoe II, datato al 276/275 a.C.; il Kortenbeutel (1931, 24) sostenne al contrario
una datazione posteriore al 271 a.C.; il Fraser (1972, 300) ha ulteriormente spostato la data,
ipotizzando il 270 a.C. come terminus post quem; il Casson (1993, 248) si è espresso a favore di
una datazione a ridosso del 270.
78
Sidebotham 1991, 19; Jackson 2002, 80.
79
Un resoconto dettagliato sulla evidence disponibile per il sito è consultabile in Sidebotham
2017.
80
Strab., XVI, 4, 7.
73
74
29
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
in cui i grossi pachidermi erano presenti in grandi quantità. Plinio81 fornisce
alcune informazioni per identificare il sito, dicendo che esso era nei pressi del
Lago Monoleo, a una distanza di circa 602 miglia da Berenice. Il Periplus Maris
Erythraei82 descrive Ptolemais come una piccola stazione commerciale, priva di
un vero porto, ma con solo un riparo per le imbarcazioni; aggiunge inoltre che
essa era la base da cui partivano le battute di caccia all’elefante e che era un punto
di scambio internazionale di prodotti come i gusci di tartaruga e, talvolta, avorio.83 Sebbene ci sia generale accordo nel collocare Ptolemais sulla costa africana
in un’area compresa tra il 19° e il 18° di latitudine, il sito non è ancora stato identificato. Una delle ipotesi ad oggi più accreditate è che possa essere collocato nei
pressi della moderna città di Aqiq.84
Come si è visto, il ruolo principale di queste installazioni era facilitare l’importazione di oro, avorio ed elefanti da guerra dall’Etiopia; di spezie e unguenti
dalla penisola arabica.85 Più difficile stabilire la reale entità di eventuali scambi
intercorsi tra l’Egitto tolemaico e l’India. Testimonianza di contatti quantomeno
diplomatici tra l’imperatore indiano Aśoka e i regni ellenistici di Siria ed Egitto
è contenuta nel tredicesimo degli editti incisi su pietra del sovrano indiano,86 ma
nulla si può dire sulla esatta natura di questi contatti.87 Dalla rassegna operata
in precedenza, appare verisimile che in realtà gli scambi commerciali diretti con
l’India fossero alquanto rari. In effetti, si potrebbe pensare che una svolta nella
gestione dei commerci con il subcontinente indiano sia stata data dalla scoperta
del regime periodico dei monsoni da parte dei mercanti occidentali. Il problema
di identificare con precisione la data e la “paternità” di questa scoperta è stato
affrontato da molti studiosi, pur senza trovare un accordo largamente condiviso:
Plin., Nat. Hist., VI, 171.
PME, 3.
83
Su questo punto si confronti l’analisi di Casson 1989, 101-102; 108.
84
Cohen 2006, 342-343.
85
Sulle importazioni provenienti da queste regioni ricca è la documentazione papiracea: P.
Cairo Zenon 59536; P. Cairo Zenon 59176; PSI 328; PSI 628; P. Teb. I, 190; P. Teb. I, 250. Si
vedano anche: Raschke 1975, 241-246; Sidebotham 1986a, 5.
86
Per un’edizione italiana recente degli editti di Aśoka, si veda Pugliese Carratelli 2003: per
l’editto XIII, 66-68.
87
Rostovzeff 1932, 743; Raschke 1975, 242 e n. 5; Sidebotham 1986a, 7.
81
82
30
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
le ipotesi oscillano tra il 116 a.C. (viaggio di Eudosso di Cizico in India) e il 40
d.C. (viaggio di Lisia, liberto di Annio Plocamo, in Sri Lanka).88
Va comunque sottolineato che la scoperta del regime periodico dei monsoni,
pur se avvenuta in epoca tolemaica, non produsse un reale, significativo aumento
dei rapporti commerciali tra l’Egitto e l’India, né un intensificarsi dei contatti
diretti tra questi due Paesi. Possiamo ritenere senz’altro che il flusso delle merci
dall’Oriente si mantenne pressoché costante, e che la maggior parte continuò
ad arrivare in Egitto per il tramite di intermediari arabi.89 Il grande exploit delle importazioni dall’India, accompagnato da un aumento decisivo dei rapporti
commerciali diretti con il Paese asiatico, avvenne solo dopo l’annessione dell’ex
regno tolemaico all’impero romano, come vedremo in seguito.
2. Il regno dei Nabatei (IV a.C. ? – 106 d.C.)
Non conosciamo esattamente la data di formazione del Regno dei Nabatei,
una popolazione semitica originaria della Penisola Arabica, stanziati nell’area a
Sud ed Est del Mar Morto. La testimonianza più antica su di loro è quella fornita
da Diodoro Siculo. Questi, nel raccontare la campagna militare intrapresa da
Antigono Monoftalmo contro i Nabatei stessi nel 312 a.C.,90 ci offre un terminus
ante quem per collocare la nascita di questo piccolo ma significativo regno.91 A
ben leggere il testo dello storico siceliota, tuttavia, appare chiaro che le origini del
popolo nabateo risalgono di parecchi anni indietro, potendosi collocare, forse,
nel periodo di dominazione achemenide dell’area.92
Per quanto concerne il nostro discorso, possiamo asserire con certezza che,
quantomeno a partire dalla fine del I secolo a.C., essi avevano esteso il proprio
dominio e si erano ritagliati uno spazio non secondario nella regione, sia come
Sull’argomento si vedano Thiel 1967, 12; Raschke 1978, 660-663; Casson 1980, 21-36; Sidebotham 1986a, 8-9; De Romanis 1996, 140-146.
89
Si vedano Sidebotham 1986a, 8-9; De Romanis 1996, 143-146.
90
Diod. Sic., XIX, 94, 4-5. La testimonianza di Diodoro è con ogni probabilità basata sul resoconto di un testimone oculare dei fatti in questione, Geronimo di Cardia.
91
Sui rapporti tra Nabatei e i regni ellenistici, si veda Graf 2006, 47-68.
92
Sui complessi problemi della cronologia nabatea, che esulano dagli intenti di questo lavoro, si
vedano Negev 1966, 89-98; Negev 1967, 46-55; Negev 1969, 5-14; Lawlor 1974, 27-35; Negev
1976, 125-133; Bowersock 1983; Negev 1986, 1-3; Schmid 2001, 367-426.
88
31
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
potenza politica, sia (ancor più) come potenza economica, particolarmente inserita nelle rotte commerciali che dal Sud Arabia importavano vari generi di spezie
nelle varie regioni del Mediterraneo, raggiungendo un grande livello di prosperità, in particolare sotto il re Aretas IV.93 Ancora una volta è Diodoro Siculo che ci
informa dei loro traffici commerciali:94
οὐκ ὀλίγων δ᾿ ὄντων Ἀραβικῶν ἐθνῶν τῶν τὴν ἔρημον ἐπινεμόντων οὗτοι πολὺ τῶν
ἄλλων προέχουσι ταῖς εὐποριαῖς, τὸν ἀριθμὸν ὄντες οὐ πολὺ πλείους τῶν μυρίων·
εἰώθασι γὰρ αὐτῶν οὐκ ὀλίγοι κατάγειν ἐπὶ θάλασσαν λιβανωτόν τε καὶ σμύρναν
καὶ πολυτελέστατα τῶν ἀρωμάτων, διαδεχόμενοι παρὰ τῶν κομιζόντων ἐκ τῆς
Εὐδαίμονος καλουμένης Ἀραβίας.
“Delle numerose tribù arabe che portano al pascolo nel deserto i loro greggi, questi
superano di gran lunga gli altri per ricchezze, e sono non più di diecimila. Non pochi
di loro infatti sono soliti condurre al mare incenso, mirra e i più preziosi aromi che
ricevono da coloro che arrivano dall’Arabia detta Felice.”95
Secondo Diodoro la ricchezza dei Nabatei derivava esclusivamente del commercio di ἀρώματα. Essenzialmente, queste merci erano importate dal Sud Arabia tramite vie carovaniere, e si trattava di incenso e mirra. Molto più sporadici
devono essere stati gli scambi diretti con l’India.
Oltre che da Diodoro, informazioni preziose ci provengono dall’opera di
Strabone, il quale scende nel dettaglio, raccontando come i Nabatei importassero
i prodotti da due aree principali, il regno dei Minei (ubicato nel Sud-Ovest della
Penisola Arabica) e quello dei Gerreni (che vivevano nei pressi del Golfo Persico).96 Tra queste due rotte, quella che partiva del regno dei Minei (nota anche col
nome di “via dell’incenso”) è ad oggi la meglio nota. La testimonianza principale
a tal proposito è quella di Plinio il Vecchio, che attesta come l’incenso dovesse
93
94
95
96
Bowersock 1983, 59.
Diod. Sic., XIX, 94, 4-5.
Trad. A. Simonetti Agostinetti.
Strab., XVI, 4, 18.
32
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
essere trasportato attraverso il regno dei Gebbaniti,97 a loro volta inseriti con una
posizione di forza nella gestione della rotta Sud-Nord Arabia:98
Evehi non potest nisi per Gebbanitas, itaque et horum regi penditur vectigal. Caput eorum
Thomna abest a Gaza, nostri litoris in Iudaea oppido, |XXIV|XXXVII D p., quod dividitur in mansiones camelorum LXV. Sunt et quae sacerdotibus dantur portiones scribisque
regum certae. Sed praeter hos et custodes satellitesque et ostiarii et ministri populantur. Iam
quacumque iter est aliubi pro aqua, aliubi pro pabulo aut pro mansionibus variisque portoriis pendunt, ut sumptus in singulas camelos X DCLXXXVIII ad nostrum litus colligat,
iterumque imperii nostri publicanis penditur.
“L’unica strada che si può percorrere per portare l’incenso via da Sabota passa per il
territorio dei Gebbaniti, e così si paga un tributo anche al loro re. La loro capitale,
Tomma, dista da Gaza, città della Giudea posta sulle rive del Mediterraneo, 2.437 miglia e mezzo, una distanza che si percorre in 65 tappe di cammello. Anche i sacerdoti
e gli scribi del re ricevono delle parti fisse. Ma, oltre a questi, anche le guardie e i loro
aiutanti, i portieri e i servi si danno al saccheggio. Per tutto il viaggio si paga dove per
l’acqua, dove per il pascolo o per le soste e pedaggi vari: si raggiunge così la spesa di
688 denari a cammello per il viaggio fino alla costa del Mediterraneo, e poi lì si paga
ancora ai pubblicani del nostro impero.”
Il resoconto di Plinio attesta l’esistenza della rotta carovaniera e sottolinea
che trasportare le merci fino al Mediterraneo comportava forti spese. Ci sono, del
resto, anche evidenze archeologiche ed epigrafiche di contatti commerciali tra il
regno nabateo e il Sud Arabia nello stesso periodo, che testimoniano ancora una
volta il forte livello di coinvolgimento del piccolo regno nei commerci di spezie.99
L’altra rotta, quella che partiva dal Golfo Persico, traeva la sua origine dalla
città di Gerrha, situata sul Golfo omonimo, ricordata da Strabone e da Plinio.100
Strabone si diffonde maggiormente, aggiungendo che la città era in rapporti
97
Sulla situazione politica del Sud Arabia in quel tempo si vedano Groom 1981, 165-188; Casson 1989, 44-49; Breton 1999, 29-51. Sulla rotta seguita dalla “via dell’incenso”, si vedano de
Maigret 1997, 315-331; Breton 1999, 53-74.
98
Plin., Nat. Hist., XII, 32.
99
Si vedano i lavori di Mordtmann 1932, 429-430; Sedov 1992, 120.
100
Strab., XVI, 3, 3; Plin., Nat. Hist., VI, 32.
33
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
commerciali non solo con i Nabatei,101 ma pure col Regno dei Parti, cui era
geograficamente molto prossima.102 Queste, dunque, le due rotte commerciali
terrestri utilizzate dal Regno Nabateo per rifornirsi: la prima, più diretta, dal Sud
Arabia ad Aila e poi a Petra; l’altra, passando per Gerrha e poi a Nord, fino a Petra. Un discorso a parte merita la rotta marittima, maggiormente interessante per
lo scopo del presente lavoro. I porti nabatei di cui abbiamo notizia dalle nostre
fonti sono due: Aila e Leuke Kome.
Aila
Aila è citata dalle fonti letterarie di I-II secolo come porto dei Nabatei, in
rapporto al commercio di spezie dall’Arabia.103 Le indagini archeologiche degli
ultimi anni hanno permesso di identificare senza ombra di dubbio la città antica
con la moderna località di ‘Aqaba, in Giordania.104 Il porto sembrerebbe non aver
avuto un ruolo di grande importanza nel corso dell’epoca pre-romana.
Leuke Kome
Altro rilievo doveva avere il porto di Leuke Kome. La più antica attestazione
letteraria ci proviene da Strabone, il quale ci narra che in questo emporion Elio
Gallo si fermò nel 25 a.C., di ritorno dalla spedizione in Arabia.105 Il geografo
amaseno aggiunge che da Leuke Kome partiva una pista carovaniera che portava
a Petra e a Rhinokoloura (al-Arish). Il Periplus Maris Erythraei specifica che Leuke Kome si trova sulla costa araba del Mar Rosso, in posizione speculare rispetto
a Myos Hormos; aggiunge, inoltre, la menzione della pista carovaniera che con-
Su questa rotta commerciale, si vedano gli studi di Groom 1981, 197; Potts 1990, 85-97;
MacDonald 1994, 134-135.
102
Per maggiori informazioni sul coinvolgimento dei Parti nei commerci in quest’area, si veda
Potts 1996, 269-285.
103
Da notare il silenzio del Periplus su Aila, mentre il solo Strabone fa esplicito riferimento al
commercio di spezie provenienti dall’Arabia (Strab., XVI, 2, 30 e XVI, 4, 4). Cfr. anche Diod.
Sic., III, 43, 4; Plin., Nat. Hist., V, 65; Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 6, 4; Ptolem., Geog., V, 17, 1.
104
In generale su Aila si confrontino i reports degli scavi effettuati negli ultimi anni: Parker
1996, 231-257; Parker 1998, 375-394; Parker 2000a, 373-394; Parker 2002a, 409-428; Parker
2003, 321-333.
105
Strab., XVI, 4, 23-24. Sulla spedizione di Elio Gallo si veda anche Plin., Nat. Hist., VI, 160.
101
34
1. Il commercio nel Mar Rosso prima di Roma
giungeva il porto con la città di Petra.106 Non sappiamo chi fondò Leuke Kome,
né quando. L’ubicazione della città è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi
moderni, e i siti proposti per identificare l’antico porto sono dislocati lungo 600
km di costa arabica. L’ipotesi maggiormente condivisa oggi vuole che la città si
trovasse all’ingresso del Golfo di ‘Aqaba, forse nella moderna ‘Aynunah.107 In
realtà non vi è alcuna ragione obiettiva per propendere per una simile identificazione. Fondamentalmente l’individuazione di Leuke Kome ad ‘Aynunah si basa
sulla attestazione del Periplus appena ricordata, secondo cui il porto era a Est di
Myos Hormos. Fintanto che quest’ultima città era stata identificata con ’Abu
Sha’ar, l’identificazione di Leuke Kome con ‘Aynunah poteva avere un senso.
Ma ora che sappiamo per certo che Myos Hormos era in effetti molti km più a
Sud di ’Abu Sha’ar, la ubicazione di Leuke Kome va cercata altrove. Analizzando
le informazioni contenute in Strabone e nel Periplus Maris Erythraei, è possibile
giungere a identificare l’area di Leuke Kome nei pressi della città moderna di
al-Wadjh, sulla costa araba,108 in una zona in cui a breve inizieranno indagini
archeologiche alla ricerca di Leuke Kome.
È possibile che il porto sia stato realizzato per fare concorrenza ai porti egiziani e dirottare sulle coste arabe parte del flusso commerciale che normalmente
in essi confluiva, e che probabilmente era costituito in parte anche di spezie che
normalmente arrivavano a Petra tramite le piste carovaniere.109 In effetti, il Periplus Maris Erythraei attesta chiaramente che grosse quantità di incenso erano
importate via mare in Egitto dai porti sudarabici di Kanê e Moscha Limen,
PME, 19.
Si veda Kirwan 1979, 55-61; Bowersock 1983, 48; Desanges 1984, 249-260; Sidebotham
1986a, 124-126; Young 2001; McLaughlin 2014.
108
Nappo 2010 per la dimostrazione completa.
109
Eadie 1989, 117; Young 2001, 95-96. Di parere opposto Groom 1981, 207, il quale ritiene
che i Nabatei, essendo abituati a gestire i propri commerci prevalentemente tramite le piste
carovaniere, molto difficilmente avrebbero potuto pensare di costruire un porto sul Mar Rosso,
che sarebbe entrato in competizione con le installazioni carovaniere del deserto. A giudizio di
chi scrive, però, tale ipotesi è viziata da una prospettiva eccessivamente “contemporaneista”. È
del tutto logico ipotizzare, al contrario, che i Nabatei vedessero di buon occhio l’apertura di una
nuova rotta commerciale, per via di mare, che ulteriormente potenziasse le possibilità mercantili
del Regno. Del resto, si è appena visto come, anche per via di terra, coesistessero rotte differenti
e, in certa misura, in concorrenza tra loro. Più in generale, come già ribadito nell’introduzione,
va ricordato che la coesistenza di più rotte commerciali (apparentemente anche antagoniste) sia
una delle caratteristiche salienti del commercio nell’area eritrea.
106
107
35
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
mentre da Muza proveniva la mirra.110 Si è ipotizzato che la creazione del porto di
Leuke Kome sia da mettere in stretta correlazione con l’affermarsi di queste rotte
commerciali: con questa mossa i Nabatei avrebbero cercato di “riappropriarsi”
di una quota di commerci che era stata loro sottratta dalle installazioni portuali
tolemaiche.111 Quale che siano state le autentiche motivazioni che portarono alla
fondazione di questo porto, ciò che possiamo attestare con sicurezza è che esso
diventò in breve un centro di non secondaria importanza nella gestione dei traffici con il Sud Arabia, soprattutto nel periodo compreso tra I secolo a.C. e I d.C.,
come complessivamente attestato da Strabone e dal Periplus.112
Anche le rotte commerciali nabatee (come quelle tolemaiche) avevano come
punto di approdo definitivo un porto ubicato sul Mar Mediterraneo: Gaza. L’esistenza di una vera e propria rotta, che collegava i centri nabatei con la città di
Gaza è testimoniata da Plinio il Vecchio.113 Essa era costellata di stazioni e torri
costruite dai Nabatei e successivamente potenziate dai Romani114 (allorché la
Nabatea diventò provincia di Arabia, sotto Traiano), in uso quantomeno fino al
periodo severiano.115 La presenza di queste installazioni dà chiaramente la misura
dell’importanza che questo porto mediterraneo aveva per i Nabatei, che dovettero investire notevoli risorse per garantire il controllo della rotta da parte di
guarnigioni militari. D’altra parte, campagne di scavo hanno messo in evidenza
l’esistenza di collegamenti commerciali anche tra il Regno dei Nabatei e l’Egitto
tolemaico, attraverso la Penisola Sinaitica, un dato che stempererebbe in parte la
tradizionale visione di due potenze commerciali in conflitto tra di loro per dominare i traffici nel Mar Rosso.116
PME, 21, 24 (Muza); 27-28 (Kanê); 32 (Moscha Limen).
Young 2001, 95.
112
Strab., XVI, 4, 23; PME, 19. Entrambi i testi saranno riportati e commentati diffusamente
nel prosieguo di questo lavoro. In particolare, la testimonianza del Periplus, oggetto di numerosi
commenti da parte degli studiosi, sarà oggetto di una trattazione specifica nel capitolo dedicato
agli aspetti fiscali del commercio nell’area.
113
Plin., Nat. Hist., VI, 144.
114
Frank 1934, 191-280; Alt 1934, 1-78; Negev 1966, 89-98; Meshel e Tsafrir 1974, 103-118;
Meschel e Tsafrir 1975, 3-21; Cohen 1982, 240-247.
115
Cohen 1982, 246.
116
Particolare rilievo hanno, a tal proposito, i lavori dello Zayadine, che ha condotto una serie
di campagne di scavo proprio nel Sinai, tramite le quali avrebbe ricostruito l’esistenza di una
rotta commerciale ben definita tra Petra e Aila, da un lato, e Alessandria, dall’altro. Si veda
Zayadine 1985, 159-161.
110
111
36
2. L’età Altoimperiale
1. Il I secolo d.C.
1.1 Contesto generale
Dopo questa sintetica introduzione sulla fase pre-romana, possiamo passare
ora ad affrontare il periodo di dominazione diretta di Roma del Mar Rosso. Il
primo tema con cui confrontarsi è capire in che modo i Romani si introdussero nell’area: fino a che punto, cioè, utilizzarono le infrastrutture e il “modello”
ellenistici, e in che misura operarono delle modifiche per rispondere meglio alle
proprie esigenze.
Abbiamo già detto in precedenza che la storia della presenza diretta di Roma
nel Mar Rosso si può far iniziare in una data ben precisa, il 30 a.C., allorché
Ottaviano conquistò l’Egitto, trasformandolo in una provincia romana.117 I Romani poterono quindi garantirsi il controllo diretto solo di parte del Mar Rosso
occidentale, mentre il lato orientale (regno di Nabatea) restò ancora per molto
tempo formalmente indipendente. Questo elemento determinò ovviamente il destino delle installazioni portuali del Mar Rosso ed ebbe un impatto sulla politica
economica romana nell’area.
Per questo motivo, l’analisi dei porti nel Mar Rosso in epoca altoimperiale
inizierà dal lato egiziano. Nel precedente capitolo, abbiamo già visto quali fos-
L’annessione dell’Egitto all’impero non solo potenziò gli scambi commerciali attivi in quel
periodo, ma riattivò anche direttrici ormai inutilizzate. È il caso, ad esempio, dei rapporti commerciali col regno kushita, da cui fino al II secolo a.C. i Tolemei avevano importato elefanti da
guerra. Questo tipo di commerci, ormai decaduto, fu ripristinato dai nuovi signori dell’Egitto,
che riallacciarono i rapporti commerciali con Kush. Sull’argomento, si vedano Burstein 1997,
55-65; Graf 2018. Sugli aspetti salienti dell’annessione e dell’ordinamento giuridico della nuova
provincia, si veda Capponi 1975.
117
37
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
sero gli insediamenti creati dai dinasti lagidi sul Mar Rosso. Roma poté dunque
ereditare una rete che presentava già un certo grado di sviluppo, e che fu subito
sfruttata. Questo fattore, unito al considerevole aumento della domanda interna
di beni di lusso, determinerà l’esplosione di un vero e proprio “boom” commerciale.118
Nonostante l’elenco dei porti di origine tolemaica presenti sulle coste egiziane sia piuttosto lungo,119 solo un numero molto limitato di essi possono essere
annoverati tra quelli attivi in epoca romana. È bene precisare fin d’ora che un
testo di grande importanza per l’analisi che si porterà avanti in questo capitolo è
l’anonimo Periplus Maris Erythraei. Si tratta di un’opera del tutto peculiare, perché rappresenta un unicum nel panorama di ciò che è a noi pervenuto dell’antica
produzione letteraria greca e latina. È infatti la sola fonte a nostra disposizione
che ci offre una lista di emporia e punti di scalo lungo le coste delle rotte che descrive, nonché l’unica a indicare dettagli sui periodi dell’anno in cui i venti sono
più favorevoli alla navigazione, e altre informazioni pratiche, che non si ritrovano
in opere di contenuto apparentemente analogo.120
Come altri testi della tradizione geografica in lingua greca, ci è giunto tramite manoscritto unico, in un corpus attribuito ad Arriano, autore di un trattato
sull’India.121 Un’analisi puntuale del testo e dello stile dell’autore è stata tentata,
per giungere a una sicura datazione, dal Frisk quasi un secolo fa, ma con scarsi
risultati.122 Il testo risulta pieno di errori ortografici, che, a quanto pare, non sono
attribuibili al copista, ma erano già nella versione che lui ha copiato. In alcuni
casi, il copista ha anzi provveduto a operare una diortosi del testo, come peraltro
segnalato da lui stesso alla fine del manoscritto.123 Ad oggi, l’edizione ritenuta di
riferimento è ancora quella del Casson, usata anche in questo lavoro.124
Marcotte ha sostenuto con buone argomentazioni che il testo originale fosse
stato pensato come un diario personale, senza velleità letterarie. Successivamente,
118
Ball 2000, 129; Sidebotham 2011; Cobb 2015a, 366; Speidel 2017. Sulla scoperta dei monsoni, si vedano Mazzarino 1982/87, VII-XIV; De Romanis 1996, 141-143; Desanges 1996,
665-670; Tchernia 1997 = 2016; Evers 2017, 71.
119
Vd. capitolo precedente.
120
Arnaud 2012, 27. Si vedano anche Bukharin 2012 e Seland 2013.
121
Casson 1989, 5-6.
122
Frisk 1927, 38-123. Si veda anche Casevitz 1996.
123
Marcotte 2012, 12.
124
Casson 1989; Si veda anche, più recentemente, Belfiore 2004.
38
2. L’età Altoimperiale
in grazia della precisione con cui descrive i luoghi del commercio del Mar Rosso,
il Periplus sarebbe assurto a modello per le trattazioni geografiche su questa parte
del mondo. Ciò rende conto, da un lato, dell’inserimento del testo del Periplo
nel corpus arrianeo, ma anche, d’altro canto, del fatto che autori come Plinio e
Tolomeo utilizzino la nomenclatura traslitterata dei nomi esotici adottata dal
Periplo.125
La communis opinio sulla destinazione del testo è che si trattasse di un manuale per commercianti romani, redatto da un greco-egizio ai tempi di re Malikh II di Nabatea (40-70 d.C.), e si è affermata dopo i primi studi scientifici sul
testo portati avanti da Frisk,126 senza essere di fatto più messa in dubbio seriamente nei decenni successivi.127 Recentemente, questa convinzione è stata messa
in discussione da analisi più attente alla struttura del testo. Ad esempio, Belfiore
ha rilevato come alcune delle vicende descritte nel Periplo siano inconciliabili a
livello cronologico, facendo riferimento a un lasso di tempo compreso tra il 40 e
il 130 d.C.128 Se accettati, i rilievi del Belfiore chiaramente complicano ulteriormente la già difficile situazione della datazione del testo. In anni recenti, Arnaud
ha suggerito una interpretazione diversa e convincente di queste apparenti aporie
cronologiche. L’analisi dello studioso francese si basa su una serie di elementi,
come ad esempio l’esame del vocabolario tecnico utilizzato dall’autore nel testo. Arnaud infatti evidenzia che la competenza linguistica specifica dell’autore
è molto limitata, e che egli solo di rado utilizza termini tecnici tipici del mondo
marinaro o commerciale.129 Il linguaggio, in linea di massima, è ispirato a modelli letterari, anziché tecnici, potendosi verificare la presenza di omerismi e di
formule erodotee.130 In base a questi ed altri elementi, lo studioso francese ritiene
che il Periplus sia il risultato di una compilazione di più resoconti messi insieme
in una certa epoca, e non quindi il frutto del lavoro di un unico autore.131 La sua
analisi è ben fondata e probabilmente il suo valore non è stato ancora pienamente
recepito negli ultimi studi pubblicati sull’argomento.132
125
126
127
128
129
130
131
132
Marcotte 2012, 14-17. Si vedano anche Bucciantini 2012 e De Romanis 2016, 97-98.
Frisk 1928.
Per una opinione contraria alla datazione tradizionale, si veda Pirenne 1961.
Belfiore 2004, 78-80. Vedi anche Bukharin 2012.
Arnaud 2012, 34-41; De Romanis 2009.
Arnaud 2012, 42-43. Ma si veda anche Lewin e Bukharin 2004.
Arnaud 2012, 58-9.
De Romanis 2009.
39
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
2. La costa egiziana nel I secolo
Tra le fonti in nostro possesso per la prima fase di dominazione romana, il
punto di partenza obbligato resta il testo del Periplus Maris Erythraei: nonostante
i suoi limiti, esso rappresenta certamente il documento con il maggior numero
di informazioni di buon livello, sovente di prima mano, al contrario di quanto
avviene, per esempio, per opere quali la Geografia di Strabone, in cui confluirono
notizie ricavate dagli scritti di storici d’epoca anteriore. Vediamo, dunque, in che
modo l’anonimo autore del Periplus diede inizio alla sua opera:133
Τῶν ἀποδεδειγμένων ὅρμων τῆς Ἐρυθρᾶς θαλάσσης καὶ τῶν περὶ αὐτὴν ἐμπορίων
πρῶτός ἐστιν λιμὴν τῆς Αἰγύπτου Μυὸς ὅρμος, μετὰ δὲ αὐτὸν εἰσπλεόντων ἀπὸ
χιλίων ὀκτακοσίων σταδίων ἐν δεξιᾷ ἡ Βερνίκη· ἀμφοτέρων <δὲ> οἱ λιμένες ἐν τῷ
ἐσχάτῳ τῆς Αἰγύπτου κόλποι τῆς Ἐρυθρᾶς θαλάσσης κεῖνται.
“Dei porti stabiliti nel Mar Rosso, e degli scali commerciali in esso presenti, primo è
il porto egiziano di Myos Hormos. Dopo di esso, dopo una navigazione di 1.800 stadi
sulla destra, c’è Berenice. I porti di entrambi sono delle baie e si trovano sul margine
esterno della provincia d’Egitto.”
L’autore del Periplus presenta una situazione molto chiara. Al momento di
elencare i porti egiziani sul Mar Rosso, designati al commercio internazionale, si limita a indicarne due, Myos Hormos e Berenice. Per l’autore, a Nord di
Myos Hormos non c’è nulla da segnalare, mentre a Sud di Berenice si apre la
Βαρβαρικὴ χώρα, la terra abitata da popoli selvaggi e non del tutto umani, come
gli Ittiofagi, i Moscofagi e gli Agriofagi.134
Il quadro che ne deriva appare a prima vista estrememamente sintetico, per
cui sembra opportuno confrontare questa testimonianza con quelle delle altre
fonti di periodo analogo, per verificare se vi siano differenze. Strabone, ad esempio, dedica due ampi brani alla costa del Mar Rosso. Vediamone il primo:
ὅτε γοῦν Γάλλος ἐπῆρχε τῆς Αἰγύπτου, συνόντες αὐτῶι καὶ συναναβάντες μέχρι
Συήνης καὶ τῶν Αἰθιοπικῶν ὅρων ἱστοροῦμεν, ὅτι καὶ ἑκατὸν καὶ εἴκοσι νῆες
133
134
PME, 1.
PME, 2. Sulle reminescenze omeriche di questo passo, si veda Arnaud 2012, 42-43.
40
2. L’età Altoimperiale
πλέοιεν ἐκ Μυὸς ὅρμου πρὸς τὴν Ἰνδικήν, πρότερον ἐπὶ τῶν Πτολεμαϊκῶν βασιλέων
ὀλίγων παντάπασι θαρρούντων πλεῖν καὶ τὸν Ἰνδικὸν ἐμπορεύεσθαι φόρτον.135
“Ad ogni modo, quando Gallo era prefetto dell’Egitto, lo accompagnai risalendo il
Nilo fino a Syene ed alle frontiere dell’Etiopia, ed appresi che 120 vascelli stavano salpando da Myos Hormos verso l’India, quando in precedenza, sotto i Tolomei, solo in
pochi si avventuravano nel viaggio intrattenendo commerci con l’India.”
In questo primo passo, lo storico di Amasea pone l’accento sul diverso volume degli scambi commerciali in epoca ellenistica e romana, e per farlo sceglie di
confrontare il numero di navi che partono dal porto di Myos Hormos al tempo
della sua visita in Egitto con quelle che partivano dal medesimo porto in epoca
tolemaica: mentre al tempo di Strabone ben 120 navi erano in procinto di prendere la via dell’India,136 solo poche in precedenza compivano questo viaggio. La
scelta del porto di Myos Hormos è, nelle intenzioni di Strabone, non casuale.
Egli cita certamente quello che nell’area era il porto più trafficato dei suoi tempi, affinché maggiore fosse per contrasto la differenza con l’epoca tolemaica. Di
conseguenza, nell’opinione di Strabone, Myos Hormos sembrerebbe configurarsi
come porto per eccellenza sul Mar Rosso. Questa impressione appare rinforzata
da un altro passaggio della Geographia, piuttosto lungo, che si riporta per esteso
di seguito:137
Ἐντεῦθέν ἐστιν ἰσθμὸς εἰς τὴν Ἐρυθρὰν κατὰ πόλιν Βερενίκην, ἀλίμενον μέν, τῇ
δ᾿εὐκαιρίᾳ τοῦ ἰσθμοῦ καταγωγὰς ἐπιτηδείους ἔχουσαν. λέγεται δ᾿ ὁ Φιλάδελφος
πρῶτος στρατοπέδῳ τεμεῖν τὴν ὁδὸν ταύτην, ἄνυδρον οὖσαν, καὶ κατασκευάσαι
σταθμούς, ὥσπερ τοῖς ἐμπορίοις ὁδεύμασι καὶ διὰ τῶν καμήλων, τοῦτο δὲ πρᾶξαι
Strab. II, 5, 12.
È invalsa la tradizione tra gli studiosi di considerare che Strabone si riferisca a quante navi
ogni anno partissero da Myos Hormos in epoca romana. A ben vedere, però, l’autore non è
molto chiaro su questo punto. Egli non specifica, cioè, se le 120 navi di cui parla siano il totale
dei vascelli che partono da Myos Hormos in un anno, ovvero se si tratti di quelli che stavano
partendo nel momento in cui egli visitò la città. È tuttavia più probabile che la cifra sia da intendersi in riferimento al totale delle navi in un anno, dal momento che sappiamo con certezza
che ogni vascello compiva un solo viaggio all’anno in direzione dell’India, per poter sfruttare i
monsoni. Per questo motivo, è realistico immaginare che le navi romane partissero tutte in un
periodo molto circoscritto dell’anno, nel mese di luglio (Casson 1989, 15).
137
Strab., XVII, 1, 45.
135
136
41
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
διὰ τὸ τὴν Ἐρυθρὰν δύσπλουν εἶναι, καὶ μάλιστα τοῖς ἐκ τοῦ μυχοῦ πλοϊζόμενοις.
ἐφάνη δὴ τῇ πείρᾳ πολὺ τὸ χρήσιμον, καὶ νῦν ὁ Ἰνδικὸς φόρτος ἅπας καὶ ὁ Ἀράβιος
καὶ τοῦ Αἰθιοπικοῦ ὁ τῷ Ἀραβίῳ κόλπῳ κατακομιζόμενος εἰς Κοπτὸν φέρεται,
καὶ τοῦτ᾿ ἔστιν ἐμπόριον τῶν τοιούτων φορτίων. οὐκ ἄπωθεν δὲ τῆς Βερενίκης
ἐστὶ Μυὸς ὅρμος, πόλις ἔχουσα τὸ ναύσταθμον τῶν πλοϊζομένων, καὶ τῆς Κοπτοῦ
οὐ πολὺ ἀφέστηκεν ἡ καλουμένη Ἀπόλλωνος πόλις, ὥστε καὶ αἱ διοοίζουσαι
τὸν ἰσθμὸν δύο πόλεις ἑκατέρωθέν εἰσιν. ἀλλὰ νῦν ἡ Κοπτὸς καὶ ὁ Μυὸς ὅρμος
εὐδοκιμεῖ, καὶ χρῶνται τοῖς τόποις τούτοις. πρότερον μὲν οὖν ἐνυκτοπόρουν πρὸς
τὰ ἄστρα βλέποντες οἱ καμηλέμποροι καὶ καθάπερ οἱ πλέοντες ὥδευον κομίζοντες
καὶ ὕδωρ, νυνὶ δὲ καὶ ὑδρεῖα κατεσκευάκασιν, ὀρύξαντες πολὺ βάθος, καὶ ἐκ τῶν
οὐρανίων, καίπερ ὄντων σπανίων, ὅμως δεξαμενὰς πεποίηνται.
“Da lì un istmo mette in collegamento col Mar Rosso all’altezza della città di Berenice,
che non ha porto, ma tuttavia dispone di punti di approdo che, considerando il vantaggio di poter poi utilizzare l’istmo, ben si prestano a tal funzione. Si dice che il primo
ad aprire questa strada, mettendovi al lavoro l’esercito, fu il Filadelfo, il quale, poiché
non vi si trova acqua, la dotò di stazioni di rifornimento, in modo tale che i mercanti
potessero saggiarne la percorrenza con carriaggi o a dorso di cammello. Lo fece perché
il Mar Rosso presenta difficoltà per la navigazione, soprattutto a coloro che partono
dal fondo del golfo. Alla prova l’istmo si rivelò subito di grande utilità, e oggi tutte le
merci dell’India e dell’Arabia, nonché la parte delle merci dell’Etiopia che è convogliata
sul Golfo Arabico, sono trasportate a Coptos, che è l’emporio in cui vengono smistate. Non lontano da Berenice si trova Myos Hormos, una città in cui sbarcano quanti
risalgono quel tratto di mare, e non molto distante da Coptos la città chiamata Apollonopolis; pertanto le città che delimitano l’istmo sono due da una parte e due dall’altra.
Tuttavia oggi sono Coptos e Myos Hormos che godono della maggiore considerazione
ed è ad esse che che si fa capo. Un tempo dunque i mercanti percorrevano l’istmo di
notte a dorso di cammello, orientandosi con le stelle; e, come i naviganti, viaggiavano
portando con sé anche l’acqua. Oggi invece, scavando a grande profondità, sono state
messe a punto anche delle cisterne e allo stesso scopo si sono costruite delle vasche per
la raccolta delle acque piovane, per quanto scarse esse siano.”138
Il passo è interessante per molteplici spunti in esso contenuti, e si avrà modo
di tornare su di esso. Strabone, descrivendo la conformazione delle infrastrutture
138
Trad. N. Biffi.
42
2. L’età Altoimperiale
sul Mar Rosso, fa riferimento alla saggezza del Filadelfo, che ebbe a costruire
delle vie carovaniere che mettevano in comunicazione i porti sulla costa con due
porti fluviali, Coptos e Apollonopolis Magna. Il primo, in particolare, è il punto
di confluenza di merci provenienti dall’Est, attraverso il collegamento esistente
tra di esso e Myos Hormos e Berenice.
Anche per Strabone, quindi, non ci sono dubbi, i porti di maggiore importanza, se non gli unici attivi sulla costa egiziana del Mar Rosso, sono Berenice
e Myos Hormos. Il geografo inizia la sua narrazione parlando di Berenice e del
suo coinvolgimento nei traffici internazionali. Di qui trae lo spunto per elogiare
la previdenza del Filadelfo, che costruì le piste carovaniere dai porti marittimi
del Mar Rosso alle città fluviali, ubicate lungo il corso del Nilo, Apollonopolis
Magna e Coptos.139 Di quest’ultima, in particolare, Strabone dice che è collegata
a Myos Hormos, a sua volta presentato come il più importante porto egiziano
sul Mar Rosso. Quindi, Strabone parte da Berenice, ne descrive il ruolo e l’importanza, per poi precisare alla fine che, ancor più di Berenice stessa, è Myos
Hormos il porto principale dell’area.
In conclusione, possiamo affermare che Strabone certamente condivideva l’opinione dell’anonimo autore del Periplus, secondo cui Myos Hormos e Berenice
erano gli unici due porti egiziani significativamente coinvolti nel commercio internazionale con l’India.
Passiamo ora ad analizzare la terza fonte di nostro interesse, Plinio il Vecchio.
Egli, nella sua Naturalis Historia, presenta un quadro apparentemente differente
da quello osservato tanto per il Periplus che per Strabone. Plinio, infatti, nel corso
della sua articolata descrizione della costa egiziana del Mar Rosso, elenca una
serie piuttosto lunga di porti.140 Infine, però, passa a descrivere la rotta diretta per
l’India, utilizzando queste parole:141
Nec pigebit totum cursum ab Aegypto exponere nunc primum certa notitia patescente. Digna res, nullo anno minus HS / D / imperii nostri exhauriente India et merces remittente
quae apud nos centiplicato veneant. MM p. ab Alexandria abest oppidum Iuliopolis. Inde
139
Per il commento sulla saggezza del Filadelfo e la prospettiva di Strabone, si veda supra, il
capitolo precedente.
140
Plin., Nat. Hist., VI, 168. Si confronti anche l’analisi dei porti condotta nel precedente
capitolo.
141
Plin., Nat. Hist., VI, 101-104.
43
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
navigant Nilo Coptum CCCIX p. qui cursus etesiis flantibus peragitur XII diebus. A Copto camelis itur, aquationum ratione mansionibus dispostis: prima appellatur Hydreuma
XXII; secunda in monte diei itinere; tertia in altero Hydreumate a Copto LXXXV; deinde
in monte; mox ad Hydreuma Apollinis a Copto CLXXXIV; rursus in monte; mox ad Novum Hydreuma a Copto CCXXXVI. Est et aliud Hydreuma vetus – Trogodyticum nominatur – ubi praesidium excubat deverticulo duum milium; distat a Novo Hydreumate
VII. Inde Berenice oppidum, ubi portus Rubri maris, a Copto CCLVII p. sed quia maior
pars itineris conficitur noctibus propter aestus et stativis dies absumuntur, totum a Copto
Berenicen iter duodecimo die peragitur. Navigare incipiunt aestate media ante canis ortum
aut ab exortu protinus […].
“Non è superfluo dare l’itinerario completo a partire dall’Egitto ora che, per la prima
volta, se ne ha una conoscenza sicura. Effettivamente si tratta di un argomento che merita attenzione, se è vero che l’India non fa mai spendere meno di 50 milioni di sesterzi
all’anno al nostro impero in cambio di mercanzie, vendute poi qui da noi a un prezzo
cento volte superiore. A due miglia da Alessandria c’è la città di Giuliopoli; da lì, risalendo il Nilo, si giunge a Copto, a 309 miglia di tragitto che, col favore dei venti etesii,
si copre in 12 giorni. Da Copto in poi si prosegue a dorso di cammello, incontrando,
a determinati intervalli, delle stazioni per il rifornimento di acqua. La prima, a 32 miglia, si chiama Idreuma; la seconda si trova sulle montagne a un giorno di cammino;
la terza, in un’altra località detta Idreuma, a 85 miglia da Copto¸ poi se ne incontra
un’altra in una zona di montagna. Si giunge così a Idreuma di Apollo, a 184 miglia di
distanza da Copto; poi di nuovo a una stazione di montagna, infine a Idreuma nuova,
a 236 miglia da Copto. C’è anche una Idreuma Vecchia, conosciuta con il nome di
Trogloditica, dove c’è un presidio che vigila in una via laterale a due miglia da lì; si
trova a sette miglia da Idreuma Nuova. Infine si giunge alla città di Berenice, che ha un
porto sul Mar Rosso, a 257 miglia da Copto. Ma poiché, per il caldo, la maggior parte
del viaggio si fa di notte, trascorrendo le ore diurne nelle stazioni di transito, il tragitto
completo da Copto a Berenice ammonta a 12 giorni. La navigazione comincia a metà
dell’estate, prima del sorgere della costellazione del cane, o immediatamente dopo.”142
La lettura del passo per intero mostra che Plinio descrive il viaggio dalla
partenza da Alessandria fino al momento in cui le navi dirette in India levano
l’ancora, senza fare alcuna menzione della possibilità di partire da Myos Hormos,
142
Trad. Roberto Centi.
44
2. L’età Altoimperiale
ma contemplando solo Berenice come possibile terminale di partenza per l’India.
In questo senso, dunque, la sua descrizione non collima con quelle presenti nel
Periplus e in Strabone.
La rassegna delle fonti letterarie del primo secolo dell’Impero qui effettuata
permette di affermare che esse ci offrono un quadro piuttosto coerente (anche se
non privo di una certa articolazione interna). Complessivamente tutte identificano in Myos Hormos e Berenice le colonne portanti del sistema di porti egiziano
sul Mar Rosso; anche quando (come nel caso di Strabone e Plinio) viene presentata una lunga lista di porti attivi nella regione, in ultima analisi solo questi due
sono reputati davvero importanti.143
Particolarmente significativa è la testimonianza del primo paragrafo del Periplus, che sinteticamente ricorda solo i due porti e non cita neppure uno di quelli
pur ricordati da Strabone e Plinio. Questo dettaglio è molto importante perché,
al contrario di questi ultimi, l’anonimo autore del Periplus scriveva sulla base di
una maggiore conoscenza diretta della materia che stava trattando, non limitandosi a riutilizzare le opere dei geografi a lui precedenti, ma basandosi in parte
sulla sua esperienza di prima mano.144
Un archivio di testi documentari ci offre un ulteriore termine di confronto
per approfondire la nostra indagine. Nel 1930 il Tait pubblicò un dossier di
ostraka, tutti rinvenuti nella città di Coptos, databili complessivamente tra il
6 a.C. e il 62 d.C., noti con il nome di “archivio di Nikanor”.145 Si tratta di 88
documenti, di cui 64 con certezza appartenenti all’archivio. Il nome di Nikanor, figlio di Panes, ricorre in 42 testi, mentre altri personaggi nominati sono
chiaramente suoi parenti (fratelli e figli). L’origine etnica della famiglia è incerta:
potrebbero essere dei Greci assimilati agli Egizi, o viceversa Egizi ellenizzati.
Ciò che più conta, però, è comprendere la natura dei documenti: si tratta di una
serie di ricevute scritte da alcune persone (clienti) che informano Nikanor o altri
componenti della sua famiglia di aver provveduto a spedire dei prodotti a Coptos, dove la famiglia risiedeva. Nikanor gestiva un servizio di trasporti, offriva
cioè in affitto i mezzi per poter trasportare delle mercanzie da Coptos ad altre
città egiziane. Dall’epiteto καμη(λοτρόφος) che ricorre in uno degli ostraka, ri-
143
144
145
Gates-Foster 2012.
Arnaud 2012. Si veda anche quanto detto supra, pp. 38-39.
O.Petr. 220-304; O.Brüss.Berl. 7; O.Bodl. II 1969-1971.
45
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
ferito a Nikanor,146 possiamo ricavare che egli affittava cammelli, utilizzati come
bestie da soma. Per questo motivo, la sua attività commerciale era connessa col
trasporto di merci lungo le carovaniere e non, in maniera diretta, al commercio
internazionale.
Le città inserite nella rete commerciale della famiglia di Nikanor erano, ancora una volta, Myos Hormos e Berenice, come esplicitamente attestato negli
ostraka. Nikanor gestiva, dunque, da Coptos, un servizio di trasporti che collegava sistematicamente la città con i due porti egiziani sul Mar Rosso.147 L’attività
della famiglia si estende su più di mezzo secolo, coprendo integralmente la prima
metà del I secolo d.C.148 L’archivio è molto interessante sotto più punti di vista,
ma qui preme sottolineare il dato che, comparando il numero di attestazioni dei
nomi dei due porti, Myos Hormos e Berenice, si può ricavare che essi sono ricordati un numero sostanzialmente pari di volte. Dei 64 testi sicuramente ascrivibili
all’archivio di Nikanor, 59 contengono la menzione di una delle due città: 29
ostraka provengono da Berenice, 29 da Myos Hormos. Ai 58 così risultanti se ne
aggiunge un altro da Apollinis Hydreuma,149 stazione collocata sulla carovaniera
tra Coptos e Berenice.
Il Casson ebbe cura di notare che l’analisi comparata delle fonti fin qui elencate permetterebbe di evidenziare un’evoluzione nel rapporto gerarchico tra i due
porti principali della costa egiziana. Secondo lo studioso americano “in Strabo’s
day (late first century BC/early first century AD) Myos Hormos apparently was
the chief port for trade with Africa and India, for it is the only one he mentions
[…] in that connection. In the archive of Nicanor (6 BC-68 AD) Myos Hormos
and Berenice seem of equal rank. By the time the author of the Periplus was writing (mid-first century AD), Berenice clearly took precedence: it was from here
that he starts the trade routes to both Africa and India and from here that he
reckons the length of the voyage down the Red Sea.”150 Se all’elenco fornito dallo
O.Petr. 225.
Ad essere precisi un ostrakon (O.Petr. 245) fu scritto ad Apollinis Hydreuma, località ubicata, in ogni caso, sulla pista che congiungeva Coptos e Berenice.
148
Per un commento complessivo dell’archivio di Nikanor e della sua struttura, si vedano Rostovtzeff 1931, 23-26; Fuks 1951,207-216; Rostovtzeff 1957, 577, n. 18; Rathbone 1983, 82-90;
Sidebotham 1986a, 83-92; Ruffing 1993, 1-26; Adams 1995, 119-124; Alston 1997, 168-202;
Young 2001, 64-65; Ruffing 2002.
149
O.Petr. 245.
150
Casson 1989, 96-97. Si veda anche l’analisi di De Romanis 1996, 171-176.
146
147
46
2. L’età Altoimperiale
studioso americano aggiungiamo anche la già citata testimonianza di Plinio, che
individua in Berenice il principale scalo commerciale sul Mar Rosso nella propria
epoca, sembra risultare un quadro completo e chiaro dell’evoluzione relativa dei
due porti.
Eppure, prima di concludere la discussione su questo punto, vorrei soffermarmi su un dato. In realtà, è proprio l’archivio di Nikanor a fornire delle informazioni non in linea con l’interpretazione complessiva. Si è detto in precedenza
che l’archivio presenta, globalmente, una situazione di parità tra Myos Hormos
e Berenice (29 attestazioni per la prima, 29+1 per la seconda), il che sembrerebbe
indicare che, intorno alla metà del I secolo d.C., si sia assistito a una sorta di livellamento nel volume di scambi che passavano tra i due porti. Ma a ben guardare,
dall’analisi puntuale dell’archivio si può ricavare un quadro decisamente diverso.
Di seguito si fornisce uno schema esemplificativo della distribuzione delle attestazioni dei due porti nel corso del I secolo d.C.
È perfino superfluo sottolineare che l’esiguità del campione statistico implica
molta cautela nel leggere i dati qui riportati. Tuttavia, più che le cifre assolute,
12
10
8
Berenice
6
Myos Hormos
4
2
0
fino al 30 dal 30 al
d.C.
40
dal 40 al
50
dal 50 al
60
dal 60
Grafico 1: Attestazioni dei nomi di Berenice e Myos Hormos nell’archivio di Nikanor, divise
per decennio.
47
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
sembrano particolarmente interessanti i rapporti relativi alle attestazioni dei due
porti nell’archivio. Mentre fino alla fine degli anni 30 abbiamo una maggioranza
di spedizioni effettuate verso Berenice, negli anni 40-60 il rapporto si inverte
completamente, e Myos Hormos arriva a triplicare le proprie attestazioni rispetto
a Berenice.
Appare chiaro che la testimonianza dell’archivio di Nikanor, ben lungi
dall’essere in linea con quella delle fonti letterarie, è completamente opposta ad
esse. È bene sottolineare ancora una volta che la scarsità del campione a nostra
disposizione (60 ostraka per un periodo di poco più di 70 anni) non può consentire di giungere a conclusioni nette, ma va certamente sottolineato un aspetto.
L’archivio di Nikanor non è utilizzabile in alcun modo come evidence per trarre
conclusioni sul volume del commercio che passava per i due porti in questione,
per due ordini di motivi. In primo luogo, l’archivio pertiene a una sola e unica
famiglia operante a Coptos, le cui oscillazioni nel commerciare con una o l’altra
città possono essere dipese da fattori specifici, indipendenti dai flussi generali
del commercio. In secondo luogo, l’azienda di Nikanor si occupava di affittare
cammelli per il trasporto di merci, non era assolutamente coinvolta in maniera
diretta col commercio internazionale. Ciò che possiamo ricavare dai testi è che i
prodotti in essi riportati erano destinati ai porti. Quanti di essi poi prendessero
la via dell’India è impossibile sapere. Quindi l’analisi degli ostraka in questione
può solo darci informazioni su come andassero gli affari di Nikanor e della sua
famiglia, piuttosto che essere utilizzati per ricostruzioni sul commercio internazionale.151
Gli unici dati documentari che si possono efficacemente utilizzare per integrare le testimonianze letterarie provengono dall’archeologia. Fin dagli anni
’80 del secolo scorso, l’area del Mar Rosso è stata fatta oggetto di numerose
campagne archeologiche, che hanno aumentato in modo considerevole le nostre
conoscenze. L’importanza di questi lavori è cruciale per il discorso che si sta portando avanti in questa sede. Nel corso degli anni, si è accumulata una corposa
bibliografia, composta prevalentemente dai resoconti degli scavi effettuati nei
siti dell’area del Mar Rosso. Vediamo, in sintesi, quali sono i punti fermi che
possiamo ricavare da questi lavori, e in che modo essi si vadano a integrare con il
quadro fornito dalle fonti letterarie.
151
Ruffing 1993; Cuvigny 2003b.
48
2. L’età Altoimperiale
Berenice
Il sito della antica Berenice Trogoditica è noto da tempo agli studiosi; è ubicato a circa 825 km sud-sudest della città di Suez, e a 260 km a est di Assuan, nei
pressi dell’attuale Ras Banas (23° 54’ N, 35° 28’ E), alla confluenza di due piccoli
wadi che terminano in mare. Il sito è all’estremo confine meridionale dell’attuale
Repubblica d’Egitto, in una zona di non semplice accesso, al giorno d’oggi, oggetto di contesa politica tra l’Egitto e il Sudan.152 La città romana occupava una
barriera corallina che degradava nel mare, a una altitudine media di circa 2 m
s.l.m.153
La posizione di Berenice appare favorevole allo sviluppo del commercio nel
Mar Rosso. In primo luogo, la città si trova al 23° N di latitudine, non molto a
Nord di quella soglia (20° N) oltre la quale navigare nel Mar Rosso in direzione
Sud-Nord diventava molto difficile a causa dei venti contrari.154 Il promontorio di
Ras Banas occupava una posizione strategica: per quanto non offrisse un riparo
dai venti che spiravano da Nord, grazie alla sua conformazione faceva da parziale
scudo alle correnti che, da Sud, potevano causare fenomeni di insabbiamento nel
porto. Inoltre, la presenza di una laguna e la sua posizione prospiciente ne faceva
un naturale e sicuro approdo per le navi che volessero attraccarvi, anche in mancanza di un porto vero e proprio, e inoltre forniva anche un punto di riferimento
geografico facilmente individuabile per i naviganti.155 La laguna in antichità era
molto più grande di quanto non appaia oggi, il che rendeva l’approdo delle navi
relativamente agevole.156 Materiale alluvionale proveniente dai wadi e residui trasportati dal vento hanno progressivamente riempito la baia.157
La città antica copriva una superficie di circa 7 ettari, con una popolazione
stimata in circa 500 abitanti. Non sono stati rinvenuti resti di mura difensive, pur
Sidebotham e Wendrich 1995, 1; Sidebotham 2011, 7-11; O. Ber I.
Harrell 1995, 102-103; Cappers 2006.
154
Sulle condizioni meteorologiche del Mar Rosso, si confronti quanto già detto nel capitolo
precedente. Va ribadito che il sito dove fu fondata Berenice si trova nel punto più meridionale
possibile, tenendo conto dei confini del regno d’Egitto.
155
Sidebotham e Wendrich 1995, 5-6; Sidebotham 2011, 9. Questa conformazione fisica ben si
sposa con la descrizione che Strabone fa della città (XVII, 1, 45), laddove sottolinea che essa è
dotata di un approdo naturale, piuttosto che di un porto vero e proprio.
156
Harrell 1995, 112-126.
157
Woźniak e Rądkowska 2011, 505.
152
153
49
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
in presenza di una serie di torri di avvistamento.158 Gli scavi hanno evidenziato
tre periodi di maggiore prosperità del sito. Il primo, durante il primo secolo dalla
fondazione della città (che, come già ricordato, Plinio dichiara essere avvenuta
sotto il regno di Tolomeo II).159 Il secondo periodo coincide con la prima fase
di dominazione romana, lungo il I secolo d.C. Il terzo e ultimo periodo copre
invece i secoli dal IV al V.160 Della prima fase, quella tolemaica, si è già parlato
nel precedente capitolo, mentre ora si focalizzerà l’attenzione sui dati riferibili
al I-II secolo d.C. Durante gli scavi sono stati ritrovati materiali di vario tipo,
attestanti il diretto coinvolgimento della città con il commercio internazionale
durante tutti gli otto secoli della sua esistenza: ceramica proveniente dall’India e
dal Golfo Persico, vetro, prodotti di origine axumita, indiana, cingalese, tessuti
indiani, noci di cocco, riso, legno di teck, gusci di tartaruga, avorio, smeraldi.161
Si è anche ipotizzato che il sito fosse abitato in maniera stabile o semistabile da
gruppi di mercanti provenienti da varie regioni dell’area del Mar Rosso, come è
possibile ricavare dal rinvenimento di materiali scritti in varie lingue, per una
provenienza geografica complessiva che andava dall’India, all’Arabia del Sud, alle
coste del Mar Rosso e al Regno di Nabatea.162
A testimoniare lo sviluppo del sito come centro economico importante nell’area, si può includere anche la presenza di un vero e proprio porto, assente in epoca tolemaica, fatto costruire realisticamente intorno all’inizio-metà del I secolo
d.C.163 Gli scavi effettuati negli ultimi anni hanno confermato che le navi che
sostavano a Berenice erano di dimensioni cospicue, per quanto molto peculiari.
Realisticamente, infatti, misuravano non più di 19-22 m di larghezza, e fino a 60
m di lunghezza. La proporzione tra ampiezza e lunghezza dello scafo era apparentemente insolita, ma rendeva la nave più stabile e meno soggetta a ribaltamen-
Sidebotham e Wendrich 1995, 13-17; Sidebotham 2011, 9-13.
Plin., Nat. Hist., VI, 168. La data di fondazione è stata sostanzialmente confermata dagli
scavi effettuati a Berenice. Manning 2003, 34; Sidebotham 2011, 32-53; Woźniak e Rądkowska
2011, 507.
160
Sidebotham, Hense e Nouwens 2008, 161-162; Cobb 2015a, 375-376.
161
Sidebotham 2011, 221-253. In particolare, la presenza di legno di teak tra i ritrovamenti ha
indotto alcuni studiosi a ipotizzare la presenza stabile di mercanti indiani nel Mar Rosso, che
avessero anche dei propri cantieri dove costruire le navi: si veda Gurukkal 2016, 36.
162
Tomber 2008, 83-86; Sidebotham e Zych 2012, 138-141; Seland 2013.
163
Sidebotham 2008; Sidebotham 2011, 62. Coerentemente, Plinio (Nat. Hist. VI, 103: ubi
portus Rubri maris) sembrerebbe fare riferimento alla presenza di un vero e proprio porto, e non
più, come Strabone (XVII, 1, 45), ad una sorta di approdo naturale (vd. nota 49).
158
159
50
2. L’età Altoimperiale
ti. Questa caratteristica doveva risultare particolarmente utile per trasportare un
carico pesante e instabile, come ad esempio gli elefanti.164 Per quanto riguarda il
tonnellaggio, invece, è difficile poter fare ipotesi precise, allo stato attuale delle
nostre conoscenze.165
Coerentemente, altre fonti concorrono nell’indicare questo come un periodo di grande sviluppo di tutta l’area. L’archivio di Nikanor sembrerebbe fare
riferimento a un aumento dell’attività commerciale e delle attività minerarie nel
Deserto Orientale a partire dall’età dell’imperatore Tiberio, durata quantomeno
fino all’età flavia.166 Oltre a ciò, si può citare anche la evidence numismatica. Di
tutto il corpus numismatico rinvenuto a Berenice tra il 1994 e il 2001 (prima fase
delle campagne di scavo del Sidebotham) e il 2009-2010 (ripresa delle attività
di scavo a opera di una nuova missione), circa il 41% di quello identificabile è
databile al periodo tra Augusto e la dinastia flavia, con un picco nel periodo tra
Claudio e Domiziano. Le monete databili al II e III secolo rappresentano invece
solo il 9% del totale, mentre il 34% sono di IV e V secolo d.C.167 Infine, anche i
dati ricavabili dall’analisi dei depositi di rifiuti concorrono a confermare la stessa
cronologia.168
La quantità di ritrovamenti nel sito declina in maniera significativa a partire
dalla metà del II secolo d.C., il che è anche in linea con i dati che possediamo per
il resto dell’Egitto in questo periodo.169 Ai problemi interni, si devono aggiungere
i danni apportati al commercio dalla guerra in corso in questo secolo tra gli stati
di Saba’, Himyar e Hadramaut, tutti inseriti nel commercio internazionale nel
Mar Rosso.170
Tuttavia, va precisato che questo periodo di declino fu solo temporaneo, dal
momento che gli scavi archeologici hanno documentato una netta ripresa dell’attività di costruzione e del benessere della città già a partire dal tardo II secolo
Sul commercio di elefanti, si vedano Sidebotham, Hense e Nouwens 2008, 162-165; Sidebotham e Zych 2012, 137; Sidebotham 2011, 195. Per ulteriori dettagli sui rinvenimenti
di materiale associabile alla costruzione di navi recentemente rinvenuti a Berenice, si veda ora
Sidebotham et all. 2016, 329-331.
165
Sidebotham e Zych 2012, 147-151. Si veda anche Arnaud 2014.
166
Sidebotham 2011, 62; Cobb 2015a, 376-379.
167
Sidebotham 2011, 244-245.
168
Sidebotham 2011, 63.
169
Sidebotham 2011, 64.
170
Sidebotham 2011, 63.
164
51
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
d.C., epoca in cui Berenice sembra anche integrarsi con il sistema commerciale
palmireno.171
Myos Hormos
Come accennato in precedenza, è stata necessaria una lunga ricerca da parte
degli studiosi per identificare correttamente l’ubicazione di Myos Hormos con
la città egiziana di Quseir al-Qadim.172 Questa si trova a circa otto chilometri a
nord della moderna città di Quseir, circa 500 km a sud del Golfo di Suez. Come
per Berenice, si tratta di una zona di difficile accesso, e con condizioni climatiche particolarmente ostili per l’insediamento di una comunità umana stabile.173Altro tratto che accomunava i due porti era che anche Myos Hormos era di
fondazione tolemaica.174 Nel già citato passo di Strabone, il geografo di Amasea
attesta che fu Tolomeo II Filadelfo a ordinare la costruzione della città, realizzata
materialmente dal suo esercito.175 Scavi nell’area di Quseir al-Qadim sono stati
realizzati a partire dal 1978 da almeno tre diverse spedizioni, provenienti da Stati
Uniti (1978-1982),176 Francia (1994-1997)177 e Inghilterra (1999-2003).178 I dati
provenienti dai resoconti delle tre spedizioni non sono stati interpretati dalle tre
differenti équipes in maniera sempre omogenea, pur tuttavia si possono delineare
dei punti di convergenza. Nonostante le fonti attestino l’origine tolemaica della
città, le indagini archeologiche finora hanno trovato traccia di una frequentazione del sito solo a partire dal I secolo a.C.179 La città era dotata di un porto realizzato, presumibilmente, all’epoca della conquista romana e che dovette affrontare
fin da subito il grave problema della tendenza all’insabbiamento.180 L’analisi dei
reperti ceramici e documentari ha potuto confermare l’idea di un periodo di
grande fioritura del porto nel corso del I secolo. In particolare, la presenza di due
Sidebotham 2011, 64-65; Sidebotham e Zych 2012, 152.
Identificazione suggerita con validi argomenti per la prima volta da Peacock 1993.
173
Peacock e Blue 2006, 1-3.
174
Diod. Sic. III, 39, 1-2; Strab. XVI, 4.5. Per una discussione approfondita delle fonti, si veda
Cuvigny 2003a.
175
Strab. XVII, 1,45. Per il testo completo con traduzione, si veda supra, pag. 42.
176
Resoconti pubblicati in Whitcomb e Johnson 1979; 1982a; 1982b.
177
Resoconti pubblicati in Cuvigny 2003a; 2003b.
178
Resoconti pubblicati in Peacock e Blue 2006; 2011.
179
Peacock e Blue 2006, 46-58.
180
Peacock e Blue 2006, 65-84.
171
172
52
2. L’età Altoimperiale
iscrizioni in lingua Tamil è un segno della connessione diretta di Myos Hormos
con l’India, molto probabilmente con la città di Arikamedu, porto ubicato nella
parte sud orientale del Paese.181 A tal proposito, come nel caso di Berenice, è stata
anche formulata la teoria che una comunità di mercanti e/o lavoratori di origine
indiana e arabica risiedesse stabilmente in città.182 Pur non volendosi spingere ad
accogliere in toto questa ipotesi, è chiaro che i mercanti di Myos Hormos avevano rapporti commerciali con l’India.
Il Tamil non è l’unica lingua “straniera” di cui si è trovata traccia a Myos
Hormos, essendo stati ivi rinvenuti anche documenti scritti in Sudarabico (lingua parlata nell’area dell’attuale Yemen), Nabataico e Palmireno.183 Anche in
questo caso, si tratta di testimonianze del forte inserimento della città nei principali flussi commerciali gravitanti attorno all’area del Mar Rosso. Tra i documenti
scritti in greco o latino, alcuni hanno particolare rilievo, facendo chiaramente
riferimento a una stabile presenza militare romana a Myos Hormos, una guarnigione di 50-100 elementi, sottoposti a un curator praesidii.184 È stato ricavato,
dall’analisi di questi documenti, che la presenza militare avrebbe coperto il periodo dall’inizio del I secolo d.C. al primo quarto del II.185 D’altra parte, anche
Strabone attestava la presenza di una stazione navale in città, dove Elio Gallo
avrebbe fatto sbarcare le sue truppe che tornavano dalla spedizione in Arabia nel
25 a.C.186 È altresì interessante rilevare che dagli scavi realizzati non è ancora
emersa alcuna struttura che possa essere identificata come militare.187 Il I secolo
d.C. è unanimemente indicato da parte di tutti gli studiosi che si sono interessati
di Myos Hormos come il periodo di maggior frequentazione del sito. È opinione
parimenti condivisa dagli studiosi che la città sia stata abbandonata nel corso del
III secolo d.C., per non essere più frequentata per circa 12 secoli.
Whitcomb e Johnson 1979, fig. 27j; Idd. 1982, 263-264. Whitcomb 1996, 749-752. Peacock and Blue 2011, 5-9.
182
Sidebotham 1986a, 16-17; Whitcomb 1996, 753; Peacock e Blue 2011, 347.
183
Peacock e Blue 2011, 7-8.
184
Bagnall 1986, 5; Whitcomb 1996.
185
Bagnall 1986, 4.
186
Strab., XVI, 4, 24.
187
Peacock e Blue 2006, 176; di parere diverso Whitcomb 1996, 747-760; Whitcomb 1999,
658-660.
181
53
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Coptos e la carovaniera
Abbiamo visto come il sistema di porti sul Mar Rosso fosse funzionale alla
gestione dei traffici commerciali marittimi nell’area. Tuttavia, queste installazioni non avrebbero avuto alcuna utilità pratica, se non fossero state connesse con il
cuore dell’Egitto e del Mediterraneo, tramite un articolato sistema di infrastrutture. Tanto Berenice quanto Myos Hormos si trovavano in una posizione periferica, ai margini di un deserto di difficile attraversamento. Affinché potessero
essere raggiunte con regolarità, era necessaria una rete viaria provvista di punti
di ristoro e approvvigionamento idrico. Per questo motivo, il sistema portuale sul
Mar Rosso era integrato e simbiotico con una fitta rete di strade carovaniere che
attraversavano il deserto orientale.
Il terminale principale che collegava i porti sul Mar Rosso al Nilo era la città
fluviale di Coptos. Essa fin dall’epoca tolemaica svolse egregiamente il ruolo di
“cerniera” tra i porti sul Mar Rosso e la grande metropoli egiziana; si trovava
lungo il corso del Nilo, a circa 500 km in linea d’aria a sud del Cairo, nel punto in cui il fiume forma un’ampia ansa e scorre più vicino alla costa orientale
dell’Egitto.188 Questa rete fu creata fin dal tempo dei Tolomei, e poi restaurata e
ampliata dai Romani dopo la conquista del regno d’Egitto. Fu apportato anche
un cambiamento sostanziale ad essa: sotto i Tolomei, la via carovaniera che partiva da Berenice approdava ad Apollonopolis Magna, mentre in epoca romana
essa fu allacciata alla carovaniera Myos Hormos – Coptos, in modo da fare di
quest’ultima il terminale unico delle due rotte principali. L’importanza cruciale
di Coptos è ben illustrata da Strabone, che poté a ragion veduta definirla come
un ἐμπόριον,189 dove confluivano le merci dall’India, dall’Arabia e dall’Etiopia,190 nonché confermata da altre fonti di periodo imperiale.191 Secondo Plinio,
per raggiungere in nave Coptos da Alessandria lungo il corso del Nilo erano
necessari 12 giorni di navigazione.192 La città sembra aver conosciuto un forte
sviluppo nel I secolo d.C. Sono state rinvenute iscrizioni attestanti la costruzio-
Coptos 2000, 18.
Étienne 1993.
190
Strab., XVII, 1, 45: καὶ νῦν ὁ Ἰνδικὸς φόρτος ἅπαξ καὶ ὁ Ἀραβίος καὶ τοῦ Αἰθιοπικοῦ
ὁ τῷ Ἀραβίῳ κόλπῳ κατακομιζόμενος εἰς Κοπτὸν φέρεται, καὶ τοῦτ᾿ ἔστι ἐμπόριον τῶν
τοιούτων φορτίων.
191
Plin., Nat. Hist., V, 60; Ael. Arist., Aeg., 36.
192
Plin., Nat. Hist., VI, 26.
188
189
54
2. L’età Altoimperiale
ne di edifici per l’epoca di Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone.193 La
prosperità del sito è verificabile ancora nel II secolo, in particolare grazie alla presenza di mercanti palmireni.194 Coptos fu anche un centro militare importante,
in particolare contro i predoni che infestavano il deserto: Augusto vi collocò la
Legio III Cyrenaica e la città fu sede di legione fino all’epoca di Caracalla, che vi
stanziò un contingente di arcieri palmireni. In seguito, fu oggetto di riorganizzazione militare sotto gli imperatori Probo e Diocleziano.195
La nostra conoscenza complessiva della rete che collegava Coptos al Mar
Rosso è ancora incompleta, poiché solo parte delle antiche strade di collegamento è stata identificata e studiata.196 Ciò nonostante, integrando le informazioni
ricavabili dall’analisi archeologica con quanto emerge dalle nostre fonti letterarie,
è possibile ricostruire con una buona dose di approssimazione l’organizzazione
generale dell’area. È noto ad esempio che le sette strade principali realizzate in
epoca ellenistica e romana misuravano complessivamente circa 2.000 – 2.200
km, che le strade romane seguivano e sfruttavano per quanto possibile i vecchi
tracciati ellenistici, oltre a sovrapporsi tra loro, quando la cosa permetteva di risparmiare sul lavoro di costruzione.197
Le strade erano normalmente non lastricate, pratica comune per le vie di
comunicazione che attraversavano i deserti, sia in Egitto, sia in altre regioni.
Questo consentiva ovviamente di risparmiare denaro sulla loro costruzione, e
di realizzarle in tempi piuttosto brevi. Inoltre, la pavimentazione era superflua,
data la natura rocciosa del suolo, e persino pericolosa, per una strada che era
percorsa da grandi quantità di cammelli.198 Le strade erano provviste anche di
un sistema di torri di osservazione, per tenere sotto controllo l’ordine nella zona.
Erano note col nome di skopeloi, e sulle rotte principali erano molto frequenti.199
È stato calcolato che tramite queste torri di osservazione, un messaggio potesse
essere trasmesso tra Coptos e Myos Hormos (circa 180 km) in poche ore, o al
Porter e Moss 1937, 123-124.
Sidebotham 1986a, 97; Herbert e Berlin 2003, 96.
195
Herbert e Berlin 2003, 96. Si veda anche infra, capitolo 3.
196
Si vedano i contributi apportati negli anni dai lavori di Lesquier 1918; Meredith 1952; Maxfield 1996; Reddé 2002; Rathbone 2002; Bagnall e Rathbone 2004; Sidebotham 2011.
197
Sidebotham (2011, 127-128) fornisce l’elenco delle sette strade, con le relative lunghezze
approssimative.
198
Sidebotham 2011, 136.
199
Cuvigny 2003a, 216-226; Sidebotham 2011, 140-141.
193
194
55
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
massimo nell’arco di una giornata.200 La presenza di truppe romane (sia regolari
sia ausiliari) era parimenti costante, per quanto anche in questo caso sia difficile
ipotizzare un numero preciso, per una qualsiasi epoca. Sembra comunque probabile che il momento di maggior presenza militare nella zona sia stata la prima
metà del II secolo d.C.201 In base alla testimonianza di alcuni ostraka, possiamo
affermare senza dubbio che era pratica comune che uno o due soldati a cavallo
accompagnassero le carovane di mercanti lungo il loro tragitto nel deserto.202
Oltre alla presenza romana, c’è attestazione della frequentazione delle rotte da
parte di comunità alleate e dedite ai commerci. Per il periodo tra I e III secolo,
sono attestate iscrizioni di Nabatei, che si intensificano dopo il 110 d.C., in conseguenza evidentemente della annessione del regno nabataico a Roma. Si tratta
per lo più di cammellieri, che lavorano al trasporto di merci tra Coptos e il Mar
Rosso, piuttosto che nel commercio internazionale.203 Oltre ai Nabatei, grazie a
tre iscrizioni abbiamo testimonianza della presenza di truppe regolari palmirene
in servizio sulla tratta Coptos – Berenice nei primi decenni del III secolo d.C.,204
un dettaglio su cui si avrà modo di tornare infra.
Come accennato in precedenza, le due rotte più importanti per questo discorso (ma non le uniche esistenti in antico) erano quelle che collegavano, rispettivamente, Coptos con Myos Hormos e Coptos con Berenice. La più breve era la
pista che da Coptos giungeva a Myos Hormos. Si trattava di un percorso di circa
175 km, che richiedeva sette giorni di cammino.205 Questa pista fu molto battuta
per tutto il primo secolo d.C. È chiaro che si trattava di una via di grande importanza, come si ricava anche dal fatto che gli hydreumata sono ivi posti a una distanza tra loro di soli 16 km.206 Frequenti anche le torri di avvistamento, specialmente nelle zone più montagnose e nella sua parte più orientale.207 Dall’indagine
dei resti ritrovati lungo il suo corso è stato possibile ricavare che attraverso di essa
passavano le carovane che trasportavano le spezie e gli altri prodotti provenienti
Peacock e Blue 2006, 11.
Maxfield 2000, 434.
202
Cuvigny 2003b, 326-327.
203
Sidebotham 1986a, 94.
204
OGIS 639; Dijkstra e Verhoogt 1999; Maxfield 2000, 426; Cuvigny 2003b, 338; Sidebotham 2011, 153-154.
205
Strab., XVII, 1, 45.
206
Zitterkopf e Sidebotham 1989, 155-189.
207
Sidebotham 2011, 140-141.
200
201
56
2. L’età Altoimperiale
dall’Est, e che la maggior parte dei ritrovamenti risale alla prima età imperiale,
in particolare l’epoca flavia, ancora una volta in perfetta coerenza con quanto
desumibile dalla storia di Myos Hormos.208
La via che congiungeva Coptos e Berenice era strutturata in maniera del tutto
simile alla precedente, ma era molto più lunga. Plinio riferisce che erano necessari 12 giorni per attraversarla marciando, e che la sua lunghezza complessiva era
di quasi 400 km.209 Essa è stata oggetto di indagini sistematiche nel corso degli
ultimi decenni,210 durante le quali sono stati identificati molti hydreumata citati
nelle fonti antiche.211 Dai ritrovamenti ceramici si è potuto dedurre che la via fu
in uso principalmente dal I al VII secolo d.C.212
Molte erano le stazioni e i praesidia stanziati lungo le carovaniere. Queste
postazioni potevano fungere da punti di rifugio e di ristoro per coloro che affrontavano la carovaniera, essendo fornite di pozzi (hydreumata) e cisterne (lakkoi).213
I praesidia erano anche sede di distaccamenti di fanteria e cavalleria, composti da mediamente 22-24 uomini ognuno.214 Esistono ostraka che testimoniano
di soldati che fungevano da scorta per alcune carovane di mercanti, ma non è
possibile stabilire se questa fosse una attività regolare, o piuttosto eccezionale,
dovuta a circostanze particolari, su iniziativa del praefectus montis Berenicidis. È
peraltro stato suggerito che i soldati, piuttosto che proteggere i mercanti, avessero
il compito di sorvegliarli, per evitare episodi di contrabbando ed evasione fiscale.215 A ciò va aggiunta un’altra considerazione. Come suggerito a suo tempo dal
Sidebotham,216 non bisognerebbe dare per scontato che la sola, o quantomeno la
principale funzione di questi presidi fosse di supporto al commercio. Infatti, è
Brun 2002, 395-414; Sidebotham 2011, 150-151.
Plin., Nat. Hist., VI, 101-103. Interessanti informazioni sono anche ricavabili da Itin. Anton., 171.5-173.4; Tab. Peut., VIII.
210
Una interessante analisi archeologica della rotta in Sidebotham 2002b, 415-438.
211
Sidebotham e Zitterkopf 1995, 39-51; Cuvigny 2003a; 2003b; 2005.
212
Sidebotham e Zitterkopf 1995, 50. In epoca romana, dunque, piuttosto che tolemaica: dato
che non sorpenderà, tenuto conto che la pista congiungente Berenice al Nilo in epoca tolemaica
non terminava a Coptos, ma a Apollonopolis Magna, e quindi seguiva in parte un tracciato
diverso da quella di epoca romana.
213
Cuvigny 2003b, 267-273 e 353-357.
214
Cuvigny 2003b, 307-310.
215
Young 2001, 69-74; Cuvigny 2003b.
216
Sidebotham 1986a, 79.
208
209
57
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
più che probabile che uno degli scopi principali delle installazioni fosse il controllo militare del territorio egiziano, una provincia soggetta a un regime speciale.217
Il numero di praesidia ad oggi oggetto di sistematiche indagini archeologiche
è di circa dodici, e la maggior parte di essi è di fondazione di epoca flavia.218
Anche la maggior parte dei reperti scritti, provenienti da questi praesidia, è parimenti databile al periodo flavio.
Complessivamente, le varie arterie della carovaniera furono certamente in
uso fin dall’epoca tolemaica,219 ma tutto lascia immaginare che l’epoca flavia fu
un periodo di enorme sviluppo, a giudicare dal grande numero di forti fondati
(o ricostruiti) in questo lasso di tempo, nonché della grande quantità di documenti scritti parimenti attribuibili al periodo della dinastia flavia.220 È stato
ipotizzato che questo incremento nell’attività di fortificazione della rotta carovaniera in epoca flavia sia da attribuirsi a un aumento delle azioni ostili da parte
di popoli che vivevano nel deserto, nei confronti dei Romani.221 Eppure, questo
dato è omogeneo con quello che si può desumere dall’analisi di altre tipologie
di evidence, come ad esempio il corpus numismatico rinvenuto a Berenice, di I
secolo d.C., fortemente sbilanciato sull’epoca flavia.222 Il tutto lascerebbe dedurre che l’aumento di fortificazioni lungo la carovaniera sia da attribuirsi più alle
aumentate esigenze di un commercio sempre più fiorente, che a motivazioni di
tipo meramente militare e strategico. Tuttavia, su questo punto si avrà modo di
tornare infra.
Un dato interessante, che origina da questa sommaria analisi sulla presenza di
installazioni di controllo lungo le carovaniere, è quello relativo al costo di mantenimento di queste postazioni. È importante sottolineare come questi avamposti
richiedessero costantememente del personale che si occupava di mantenerli in
uso, e ciò comportava la necessità di alimentare e rifornire costantemente queste
persone, sia negli avamposti militari, sia nei porti sul Mar Rosso. È stato calcolato, ad esempio, che la sola città di Berenice, in questo periodo, richiedesse l’equivalente dell’invio ogni mese di un numero compreso tra i 200 e i 500 cammelli
217
Strabone (II, 3, 5) attesta che era necessaro un πρόσταγμα (permesso) anche solo per poter
uscire da Alessandria e recarsi in un’altra zona della provincia.
218
Cuvigny 2003a, 187-205.
219
Strab., XVII, 1, 45.
220
Cobb 2015a, 378.
221
Cuvigny 2005, 36.
222
Cfr. supra, p. 51.
58
2. L’età Altoimperiale
carichi di rifornimenti alimentari, per poter sopravvivere.223 La maggior parte
di questi carichi dovevano essere realisticamente trasportati da piccole ditte specializzate, operanti nel Deserto Orientale, come quella di Nikanor.224 Questo è
solo un esempio degli enormi sforzi organizzativi necessari a mantenere attivi dei
porti così remoti e in condizioni ambientali decisamente ostili.
In conclusione, l’analisi complessiva delle infrastrutture presenti in Egitto
nel primo secolo della presenza romana permette di comprendere che il governo
romano decise di investire grandi risorse sul commercio internazionale nel Mar
Rosso. Considerate le enormi difficoltà logistiche oggettive legate alla manutenzione di queste infrastrutture, è chiaro che gli imperatori dovettero ritenere questo commercio come estremamente remunerativo e di fondamentale importanza
per la vita politica dell’impero. Questo elemento continuerà a contraddistinguere
la vita economica del Mar Rosso in epoca romana, come apparirà chiaro nel resto
di questo lavoro.
3. Il litorale arabo nel I secolo d.C.
Per quanto riguarda il litorale arabo nel I secolo d.C. c’è poco da aggiungere a
quanto già discusso nel capitolo precedente. Al contrario dell’Egitto tolemaico, il
Regno di Nabatea rimase indipendente da Roma fino all’inizio del II secolo d.C.
Ovviamente, questo piccolo regno cliente fu ben presto commercialmente pienamente integrato nell’economia romana,225 e i suoi porti rifornirono di merci le
città dell’Impero. L’organizzazione dei commerci restò sostanzialmente identica.
Possiamo immaginare che solo la quantità delle merci che passavano per i porti
arabi sia cambiata, aumentando in maniera proporzionale alla aumentata richiesta di merci, da parte dei consumatori romani. S’è visto che sul Mar Rosso due
erano i punti di approdo delle vie commerciali con il Sud: Aila e Leuke Kome.
223
224
225
Jackson 2002, 105.
Adams 2007, 222-225.
Parker 2002b, 78.
59
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Aila
Non è mai ricordata nel Periplus Maris Erythraei. Questo lascerebbe immaginare che Aila non fosse un porto di primaria importanza nel contesto del commercio internazionale nel I secolo d.C. Ciò nonostante, non sono poche le fonti
letterarie di I-II secolo che ad essa fanno riferimento, citandola come porto dei
Nabatei, anche se è solamente Strabone ad attestare esplicitamente l’esistenza di
rotte commerciali tra la città e l’Arabia, attraverso le quali erano importate spezie
di vario genere.226 Per avere menzione di contatti diretti tra Aila e l’India dobbiamo invece aspettare Eusebio di Cesarea, il quale contestualmente ci riporta la
notizia che qui fu fatta trasferire da Gerusalemme la Legio X Fretensis, intorno al
290.227 Questo dato non prova che il porto di Aila fosse in relazione con il commercio indiano in epoca imperiale, ma solo che esso era inserito in un sistema di
scambi commerciali tra Mar Mediterraneo e Mar Rosso.
Leuke Kome
Ben altro ruolo aveva Leuke Kome, inserito nel commercio di incenso e altri
prodotti, che provenivano dal Sud Arabia e proseguivano, passando per Petra,
fino a Rhinocolura, sulla costa palestinese. Le rotte commerciali che collegavano
la città al sud Arabia sono già state descritte.228 Qui varrà la pena sottolineare
che il volume di traffico passante per Leuke Kome raggiunse il suo zenith tra I
secolo a.C. e I d.C.,229 periodo al termine del quale si ritiene che iniziò a decrescere in maniera costante, a vantaggio di Myos Hormos, in particolare dopo la
spedizione di Elio Gallo nel 26/25 a.C. Nel Periplus si fa riferimento alla città,
226
Strabone asserisce che il viaggio da Aila al sud dell’Arabia, dove vengono prodotte le spezie,
dura settanta giorni (XVI, 2, 30 e XVI, 4, 4). Una simile lunga durata ci lascerebbe quindi
intendere che si trattasse di un viaggio via terra, e non via mare. Si vedano in generale anche le
testimonianze di Diod. Sic., III, 43, 4; Plin., Nat. Hist., V, 12; Flav. Joseph., Ant. Jud., VIII, 6,
4; Ptolem., Geog., V, 17, 1.
227
Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21: Αἰλάμ. Ἐν ἐσχάτοις ἐστι -Παλαιστίνηςπαρακειμένη τῇ πρὸς μεσημβρίαν ἐρήμῳ καὶ τῇ πρὸς αὐτὴν Ἐρυθρᾷ Θαλάσσῃ, πλῶτῃ
οὔσῃ τοῖς τε ἀπ᾿Αἰγύπτου περῶσι καὶ τοῖς ἁπὸ τῆς Ἰνδικῆς. Ἐγκάθηται δὲ αὐτότι τάγμα
᾿Ρωμαίον τὸ δέκατον. Καλεῖται δὲ νῦν Ἀϊλά. Questa testimonianza sarà oggetto di analisi
approfondita infra.
228
Si veda quanto detto nel capitolo 1.
229
Sidebotham 1991, 21.
60
2. L’età Altoimperiale
descritta come un porto di un certo rilievo nel contesto del commercio nell’area del Mar Rosso (essa, al contrario di Berenice e Myos Hormos, è definita
come ἐμπόριον, laddove i porti egiziani hanno semplicemente l’appellativo di
λιμένες). Inoltre, l’anonimo autore aggiunge che a Leuke Kome c’era una stabile
presenza militare230 (il testo parla di un ἑκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος) e
che un παραλήπτης si occupava di riscuotere in loco una tassa del 25% sulle
merci di importazione.231
4. Il quadro complessivo di I secolo
Possiamo quindi ribadire senza ombra di dubbio che, dal 30 a.C. fino alla
fine del I secolo d.C., Myos Hormos e Berenice furono gli approdi principali per
le navi provenienti dall’Oriente, la spina dorsale del sistema portuale romano
nel Mar Rosso. Secondo la maggior parte degli studiosi, la ragione principale di
questo successo sarebbe da individuare nelle posizioni geografiche dei due porti,
collocati sufficientemente a sud da essere fuori della zona in cui i venti ostacolano
particolarmente la navigazione.232 Questa spiegazione, apparentemente soddisfacente, non sembra dare ragione di alcuni dettagli di non secondaria importanza.
Il primo e più importante è che solo Berenice è realmente vicino al 20° N di latitudine, la soglia che sappiamo essere il punto critico per la navigazione nel Mar
Rosso. Myos Hormos è decisamente più a Nord, eppure pare non aver sofferto
più di tanto, almeno nel I secolo, di questa sua collocazione geografica. D’altra
parte, il fatto che le nostre fonti di questo periodo citino l’uno o l’altro come
porto principale del Mar Rosso è un’ulteriore stranezza che andrà spiegata adeguatamente. Il nodo fondamentale della questione si può individuare nel delicato
momento di passaggio tra l’epoca tolemaica e quella romana.
La massima parte dei traffici tolemaici si svolgeva con i Paesi collocati attorno all’area del Mar Rosso propriamente detto: Arabia, Etiopia, Nubia. Nel
precedente capitolo abbiamo visto come, in epoca tolemaica, il porto di Berenice
fosse stato realizzato con un preciso scopo: facilitare l’importazione di elefanti
Per la discussione se il distaccamento militare fosse nabateo o piuttosto romano si rimanda
alla seconda parte di questo capitolo.
231
La descrizione complessiva di Leuke Kome è in PME, 19. Ampio spazio sarà dedicato alla
discussione di questo passo nella parte dedicata alla tassazione.
232
Vedi supra, p. 17.
230
61
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
da guerra dalla Trogodytica. Il trasporto dei pachidermi avveniva su grandi e
pesanti navi, le ἐλεφαντηγοί. Per le loro stesse dimensioni, queste navi non dovevano essere facilmente manovrabili, soprattutto in presenza di venti contrari.
Ciò spiega perché, a tal fine, il Filadelfo pensò di costruire Berenice nel punto
più meridionale possibile del suo regno. Molto meglio trasportare i pachidermi
via terra lungo il deserto orientale, piuttosto che avventurarsi nel Nord del Mar
Rosso, lì dove le pesanti navi sarebbero andate certamente incontro a una brutta
fine. L’archeologia, come abbiamo appena visto, conferma che il primo secolo
dopo la sua fondazione fu per Berenice un periodo di intensa attività commerciale, legata all’importazione degli elefanti. Questo periodo prospero si arrestò
alla metà del II secolo a.C., in contemporanea, a ben vedere, con la decisione, da
parte di Tolomeo V (ca 205 – 180 a.C.), di sospendere le importazioni di elefanti
dall’Africa.233 Quando, all’indomani dell’annessione romana dell’Egitto (e dopo
altri 150 anni circa), Strabone scrisse la sua opera geografica, pur ricordando
l’importanza di Berenice, la presentò come un porto di secondo piano, rispetto
a Myos Hormos.
Se supponiamo che Strabone offra, negli anni ‘20 del I secolo a.C., una fotografia attendibile della situazione dei porti sul Mar Rosso, allora la sua descrizione di Myos Hormos come grande porto internazionale, punto di partenza
principale delle rotte marittime nell’area potrà essere riportata anche al periodo
tardotolemaico. Possiamo supporre che negli anni immediatamente successivi
all’annessione dell’Egitto i Romani preferirono usare Myos Hormos come punto
di partenza principale per la loro spedizioni commerciali in Oriente, come conseguenza di uno status particolare del porto, che doveva apparire agli occhi dei conquistatori come il più attrezzato e trafficato del momento. Se Myos Hormos era
quindi il porto di maggiore utilizzo da parte dei mercanti tolemaici, come si era
guadagnato questo status? L’unica risposta possibile è nella natura del commercio
La decisione di Tolomeo V può essere spiegata in vari modi. Si è pensato che i Tolomei
avessero deciso di sospendere l’importazione poiché i loro più grandi rivali, i Seleucidi, a partire
dalla fine del III secolo a.C. si trovarono impossibilitati a importare elefanti dall’India a causa
della ascesa dell’Impero Partico, che bloccò questo commercio. Posto che i Seleucidi non potevano più utilizzare questi animali in guerra, anche i Tolomei ne abbandonarono l’utilizzo. Più
verosimile è l’ipotesi che il commercio sia declinato perché, dopo un lungo periodo di regolari
importazioni dall’Etiopia, in Egitto esisteva una cospicua popolazione di elefanti in cattività,
che riproducendosi provvedevano al fabbisogno dell’esercito, rendendo inutile il periodico approvvigionamento dall’Etiopia. Si veda Sidebotham 1986a, 4; Mclaughlin 2014, 76.
233
62
2. L’età Altoimperiale
tolemaico. Esso era prevalentemente un commercio su corto e medio raggio, che
prevedeva contatti diretti e costanti solo con i Paesi del Mar Rosso propriamente
detto. Per trasportare le quantità desiderate di spezie e aromi non era necessario
ricorrere a navi di enormi proporzioni, che erano al contrario indispensabili per
trasportare gli elefanti dalla Trogodytica. Le navi che partivano e approdavano
a Myos Hormos saranno state quindi di tonnellaggio minore, per cui più facilmente manovrabili, un dettaglio non da poco per chi si volesse avventurare negli
infidi fondali del Mar Rosso, navigando controvento.234 Che una ipotesi del genere sia realistica è confermato da un altro dettaglio.
Il porto di Leuke Kome, ubicato sulla costa araba, in posizione quasi speculare rispetto a Myos Hormos, è descritto nel Periplus Maris Erythraei come un
emporio, punto di approdo di un buon numero di navi provenienti dall’Arabia e
trasportanti ἀρώματα. L’anonimo sottolinea un particolare significativo, cioè che
le navi che arrivano a Leuke Kome sono di dimensioni relativamente piccole.235
Questo dato non implica affatto che il livello dei commerci di cui Leuke Kome
era il terminale fosse basso, al contrario. Però sottolinea un dettaglio tecnico: solo
navi di piccolo tonnellaggio potevano essere utilizzate per risalire fino a Leuke
Kome. Essendo il porto nabataico situato in posizione speculare rispetto a Myos
Hormos, ecco che la situazione dei due porti appare immediatamente parallela.
La fortuna di Myos Hormos ellenistica dovette risiedere quindi nella particolare natura del commercio che ad essa faceva capo. Resta da chiarire perché
la maggior parte delle navi in epoca tolemaica si sia diretta a Myos Hormos, affrontando una parte (non maggioritaria, ma pur sempre significativa) di viaggio
controvento, piuttosto che a Berenice, ad esempio, il cui porto non fu certamente
abbandonato, pur avendo subito un periodo di relativo declino. Evidentemente,
Myos Hormos era, tra tutti i porti ellenistici, quello più vicino al corso del Nilo,
e a Coptos, il grande emporio fluviale. La possibilità di accorciare decisamente il
viaggio nell’ostile e pericoloso deserto orientale egiziano avrà ampiamente controbilanciato le difficoltà della navigazione.
Ricapitolando: nell’ultima fase tolemaica Myos Hormos funse da porto principale sul Mar Rosso, terminale più importante delle rotte che collegavano l’Egitto con i Paesi limitrofi; al contrario Berenice, specializzata nella ricezione di
234
235
Arnaud 2014; De Romanis 2015.
PME, 19.
63
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
pesanti ἐλεφαντηγοί, risentì della fine della caccia agli elefanti, e vide il livello
del commercio passante attraverso essa calare vistosamente.
Vediamo ora in che modo la situazione si sia evoluta al passaggio all’epoca
romana. Tenendo conto delle informazioni ricavabili dall’insieme delle nostre
fonti, possiamo provare a ricostruire un quadro complessivo di questo tipo. All’epoca di Strabone 120 navi partivano in un anno da Myos Hormos verso l’India.
Quante (e se) ne partissero da Berenice non è dato sapere. Il geografo sottolinea
parimenti che, mentre Myos Hormos era attrezzata con un porto, Berenice aveva
solo un approdo naturale. Strabone descrive la situazione così come essa si presenta all’incirca nell’anno 25 a.C., pochissimi anni dopo l’annessione dell’Egitto.
In quel momento, ancora nessun intervento era stato possibile da parte dell’autorità romana per cambiare le infrastrutture nell’area. Myos Hormos aveva il
gran vantaggio di essere il porto più vicino al corso del Nilo, ed era da tempo il
principale porto dell’Egitto tolemaico sul Mar Rosso. Delle 120 navi ricordate
da Strabone non abbiamo informazioni circa il tonnellaggio, ma dovevano essere
navi di dimensioni non enormi. È bene sottolineare che le fonti letterarie successive a Strabone, cioè Plinio e l’anonimo del Periplus, non mancano assolutamente di citare Myos Hormos e di descriverlo come porto di notevole importanza
(particolare rilievo a questo proposito ha proprio la testimonianza del Periplus),
ma fanno entrambe partire la rotta diretta per l’India da Berenice. Questo dato
è centrale per risolvere il problema che si sta affrontando. Le fonti di I secolo
d.C. non fanno mai riferimento a un possibile declino di Myos Hormos, né
accennano al fatto che i suoi commerci siano stati in qualche modo danneggiati
da Berenice. Mettono però in chiaro che è da quest’ultima che parte la rotta per
l’India. Va ovviamente ricordato che il commercio passante per il Mar Rosso non
si limitava agli scambi Mediterraneo – India, ma coinvolgeva una serie di Paesi
che lungo questa rotta erano collocati.
Se si assume che il livello dei commerci passante per Myos Hormos non sia
calato, allora è a Berenice che deve essersi verificato un qualche cambiamento di
rilievo. Allorché i Romani conquistarono l’Egitto, Berenice era collegata al Nilo
tramite una via carovaniera, che non terminava a Coptos (come quella proveniente da Myos Hormos), bensì a Edfu. I Romani provvidero a modificare questa
rotta, facendo in modo che terminasse a Coptos, così da collegare entrambi i
porti maggiori con il principale emporio nilotico.236
236
Cobb 2015a, 375-377.
64
2. L’età Altoimperiale
All’inizio della sua storia, Berenice aveva visto crescere la sua fortuna grazie al fatto di essere il porto più meridionale d’Egitto, e di poter risparmiare a
navi grandi e poco manovrabili una penosa risalita del Mar Rosso controvento.
In seguito alla conclusione del commercio di elefanti dall’Africa, il porto aveva
perso parte della sua capacità di attrazione commerciale. Ma con l’arrivo dei
Romani il livello complessivo delle importazioni dall’Oriente crebbe in maniera
esponenziale, così come il numero di navi che partivano dall’Egitto per arrivare
effettivamente in India, spinte dai monsoni. Tali navi che dovevano navigare
nell’Oceano aperto dovevano necessariamente essere robuste e di grosse dimensioni, altrimenti non avrebbero retto alla forza dei venti.237 Ma navi di questo tipo
potevano approdare in Egitto solo in un porto, ovviamente Berenice.
È possibile che si sia verificata una specializzazione progressiva dei due porti.
Mentre Berenice si concentrò nella gestione dei traffici diretti con l’India lungo
le rotte monsoniche, a Myos Hormos approdavano vascelli provenienti o dal Mar
Rosso in senso stretto, o dall’India, ma seguendo una rotta diversa, costiera, più
adatta a vascelli di ridotte dimensioni.
5. I cambiamenti strutturali di II secolo
Il quadro della presenza romana nel Mar Rosso appare mutato a partire dal II
secolo d.C. In questo periodo si verificarono una serie di avvenimenti che ebbero
un forte impatto sulla gestione dell’area. I Romani, infatti, estesero il proprio
controllo diretto del Mar Rosso, inglobando il regno di Nabatea nei propri domini e trasformandolo nella Provincia d’Arabia, così ottenendo il dominio su tutto
il Mar Rosso settentrionale.
L’evento s’inserisce nel contesto più ampio delle guerre dell’imperatore Traiano in Oriente. Nell’estate del 116 d.C., egli portò a compimento la sua campagna
partica e raggiunse il sito di Spasinou Charax, sulle rive del Golfo Persico. Cassio
Dione (epitomato da Xifilino) riferisce che ivi l’imperatore si sarebbe lamentato
di non essere abbastanza giovane per tentare di emulare l’impresa di Alessandro
Magno e provare a conquistare l’India:
237
Cooper 2011, 189-210.
65
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
κἀντεῦθεν ἐπ᾽ αὐτὸν τὸν ὠκεανὸν ἐλθών, τήν τε φύσιν αὐτοῦ καταμαθὼν καὶ
πλοῖόν τι ἐς Ἰνδίαν πλέον ἰδών, εἶπεν ὅτι ‘πάντως ἂν καὶ ἐπὶ τοὺς Ἰνδούς, εἰ νέος ἔτι
ἦν, ἐπεραιώθην.’ Ἰνδούς τε γὰρ ἐνενόει, καὶ τὰ ἐκείνων πράγματα ἐπολυπραγμόνει,
τόν τε Ἀλέξανδρον ἐμακάριζε.238
“E quindi giunse all’Oceano, e quando apprese la sua natura e vide una imbarcazione
che faceva rotta verso l’India, disse: ‘Se io fossi ancora giovane, senz’altro farei la traversata per l’India!’ Infatti, pensava agli Indiani e si interessava dei loro affari, e reputava
beato Alessandro.”
L’aneddoto può essere inquadrato come un riferimento romantico al mito di
Alessandro e alla fama di grande conquistatore che l’imperatore Traiano si era
guadagnato in vita e che portava la propaganda imperiale ad associare i due condottieri. Il retorico parallelismo tra le figure degli imperatori romani e il grande
Macedone, d’altra parte, non era cosa nuova.239
Una eco del discorso di Cassio Dione si individua anche nei testi di scrittori
tardoantichi, come Eutropio, Festo e Giordane,240 i quali parlano apertamente
del fatto che l’imperatore avrebbe istituito una flotta militare nel Mar Rosso (in
mari Rubro classem instituit), per attaccare i confini dell’India. L’analisi comparata dei tre testi permette di individuare le enormi somiglianze tra essi, caratteristica che lascia supporre che tutti e tre dipendano da una fonte comune.
[Traianus] usque ad Indiae fines et mare rubrum accessit atque ibi tres provincias fecit, Armeniam, Assyriam, Mesopotamiam, cum his gentibus, quae Madenam attingunt. Arabiam
postea in provinciae formam redegit. In mari Rubro classem instituit, ut per eam Indiae
fines vastaret.241
“Giunse fino ai confini dell’India e al Mar Rosso e ivi creò tre provincie, l’Armenia,
l’Assiria, la Mesopotamia insieme a quei popoli che toccano la Madena. Successivamente ridusse l’Arabia in forma di provincia. Stabilì una flotta nel Mar Rosso, per poter
con essa portare distruzione alla frontiera dell’India.
238
239
240
241
Cass. Dio LXVIII, 29, 1.
Whittaker 1998, 11-15; Parker 2008, 223-227.
Parker 2008, 222.
Eutr., Breviarium, 8, 3.
66
2. L’età Altoimperiale
Carduenos, Marcomedos obtinuit, Anthemusium, optimam Persidis regionem, Seleuciam,
Ctesiphontem, Babyloniam accepit ac tenuit, usque ad Indiae fines post Alexandrum accessit. In mari rubro classem instituit. Provincias fecit Armeniam, Mesopotamiam, Assyriam
quae inter Tigridem atque Euphraten sita, inriguis amnibus instar Aegypti fecundatur.242
“Sottomise i Cardueni, i Marcomedi, ricevette e mantenne l’Antemusio, la miglior
regione della Persia, Seleucia, Ctesifonte e la Babilonia, si spinse, dopo Alessandro, fino
ai confini dell’India. Allestì una flotta nel Mar Rosso. Rese province l’Armenia, la Mesopotamia, l’Assiria, che posta tra il Tigri e l’Eufrate è resa fertile, al pari dell’Egitto,
dai fiumi che la bagnano.”243
Traianus paene omnium imperatorum potior regnavit an. xviii m. vi. Hic enim de Dacis
Scythisque triumphavit Hiberosque et Sauromatas, Osroenos, Arabas, Bosforanos, Colchos
edomuit, postquam ad feritatem prorupissent. Seleuciam et Tesifontem Babyloniamque
pervasit et tenuit. Nec non et in mari rubro classem, unde Indiae fines vastaret, instituit
ibique suam statuam dedicavit.244
“Traiano, tra tutti gli imperatori forse il migliore, regnò per 18 anni e sei mesi. Questi
trionfò sui Daci e gli Sciti, assoggettò gli Iberi, i Sauromati, gli Osroeni, gli Arabi,
gli abitanti del Bosforo, i Colchi, dopo che questi si erano spinti a immane ferocia.
Occupò e conquistò Seleucia, Ctesifonte, e Babilonia. Allestì anche una flotta nel Mar
Rosso, per aggredire i confini dell’India e ivi dedicò una sua statua.”
I tre testi offrono un saggio di quella che dovette essere a suo tempo la propaganda imperiale sulle imprese dell’imperatore Traiano, creando un presunto collegamento tra le sue campagne vittoriose contro i Parti e una ipotetica spedizione
indiana. È significativo che i testi siano molto sintetici, e dedichino poche righe
a ogni imperatore, riportando solo i fatti ritenuti salienti per ognuno. In questo
caso, hanno scelto di riportare notizia delle campagne militari di Traiano, il che è
facilmente comprensibile, dal momento che è universalmente ricordato come un
suo tratto distintivo, quello di aver esteso i confini dell’impero per primo dopo
242
243
244
Festus, Rerum gestarum populi romani, 20.
Trad. S. Costa.
Jordanes, Romana, 267-268.
67
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
decenni di relativa stabilità.245 Oltre a ciò, però, viene anche segnalata questa
iniziativa di stabilire, presumibilmente per primo, una flotta nel Mar Rosso, con
lo scopo di fare scorrerie sulle coste indiane.246 In realtà, la presenza di una flotta
nel Mar Rosso potrebbe realisticamente risalire a diverso tempo prima del regno
di Traiano.
5.1 Indizi sull’esistenza di una flotta militare nel Mar Rosso
Gli studiosi hanno a lungo dibattuto la possibilità che esistesse una flotta
militare stanziata stabilmente nel Mar Rosso in epoca imperiale, senza giungere
a un accordo generale sul tema.247 In linea di principio, ovviamente sembrerebbe plausibile che l’Impero avesse stabilito una flotta nel Mar Rosso, per ragioni
strategiche, poiché si trattava di un mare solo parzialmente sotto il controllo
romano. A questo si aggiunga che esistono prove inconfutabili per la presenza di
una flotta stabile fin dall’epoca faraonica 248 e tolemaica.249
Indizi che puntano in direzione di una presenza navale militare romana nel
Mar Rosso esistono fin dall’epoca augustea. Sia Augusto, sia Strabone riportano
testimonianza di una spedizione militare sotto il comando del praefectus Elio
Gallo, volta a conquistare l’Arabia del sud. Nel 25 a.C. Gallo partì da Cleopatris
(nei pressi di Suez) alla testa di un esercito di 10.000 uomini, che includeva una
legione e auxiliares nabatei e giudei. Nelle sue Res Gestae, Augusto descrive la
preparazione e i risultati conseguiti da questa spedizione:
Meo iussu et auspicio ducti sunt [duo] exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et in
Ar[a]biam, quae appel[latur] Eudaemon, [maxim]aeque hos[t]ium gentis utr[iu]sque
cop[iae] caesae sunt in acie et [c]om[plur]a oppida capta. In Aethiopiam usque ad oppidum
Plin. Iun., Pan. Traian., 22-23.
Il preciso significato di termini come “Mar Rosso” e “India” in epoca tardoantica è indeterminabile, visto che questi possono essere riferiti all’ampia area geografica che andava dalle
coste dell’Africa orientale fino all’India moderna, inglobando anche la Penisola arabica. Cfr.
Schneider 2004.
247
Il primo ad avanzare tale ipotesi fu Rostovzev 1931, 25, seguito da Kortenbeutel 1931, 70-71.
Di opinione opposta, Kienast (1966, 84), Sidebotham (1986a, 67-71) e Wilson 2015.
248
Burdon 1925, 51.
249
OGIS 132 (datato al 130 a.C.).
245
246
68
2. L’età Altoimperiale
Nabata pervent[um] est, cui proxima est Meroe. In Arabiam usque in fines Sabaeorum
pro[cess]it exercitus ad oppidum Mariba.250
“Per mio ordine e sotto i miei auspici, due eserciti vennero guidati quasi contemporaneamente in Etiopia e nell’Arabia detta Felice, e vaste schiere di entrambe le popolazioni
nemiche furono uccise in campo e molte città conquistate. In Etiopia si giunse fino alla
città di Nabata, cui è prossima Meroe. In Arabia l’esercito marciò in territorio dei Sabei
fino alla città di Mariba.”251
È ben noto che, nonostante le celebrazioni trionfalistiche della propaganda
augustea,252 Strabone aveva della spedizione una idea molto differente. Egli la
ricorda come un vero e proprio fiasco.253 L’intenzione era quella di razziare l’Arabia e conseguire un grande bottino in una terra carica di ricchezze. Strabone
descrive in che modo la spedizione sia stata preparata, allestendo una flotta per
raggiungere l’Arabia del sud. A questo punto, troviamo la parte del suo resoconto
maggiormente interessante in questa sede.
ἐπὶ τούτοις μὲν οὖν ἔστειλε τὴν στρατείαν ὁ Γάλλος. ἐξηπάτησε δ᾽ αὐτὸν ὁ
τῶν Ναβαταίων ἐπίτροπος Συλλαῖος, ὑποσχόμενος μὲν ἡγήσεσθαι τὴν ὁδὸν καὶ
χορηγήσειν ἅπαντα καὶ συμπράξειν, ἅπαντα δ᾽ ἐξ ἐπιβουλῆς πράξας, καὶ οὔτε
παράπλουν ἀσφαλῆ μηνύων οὔθ᾽ ὁδόν, ἀλλὰ ἀνοδίαις καὶ κυκλοπορίαις καὶ
πάντων ἀπόροις χωρίοις ἢ ῥαχίαις ἀλιμένοις παραβάλλων ἢ χοιράδων ὑφάλων
μεσταῖς ἢ τεναγώδεσι: πλεῖστον δὲ αἱ πλημμυρίδες ἐλύπουν ἐν τοιούτοις καὶ
ταῦτα χωρίοις καὶ αἱ ἀμπώτεις. πρῶτον μὲν δὴ τοῦθ᾽ ἁμάρτημα συνέβη τὸ μακρὰ
κατασκευάσασθαι πλοῖα, μηδενὸς ὄντος μηδ᾽ ἐσομένου κατὰ θάλατταν πολέμου.
οὐδὲ γὰρ κατὰ γῆν σφόδρα πολεμισταί εἰσιν ἀλλὰ κάπηλοι μᾶλλον οἱ Ἄραβες καὶ
ἐμπορικοί, μήτι γε κατὰ θάλατταν: ὁ δ᾽ οὐκ ἔλαττον ὀγδοήκοντα ἐναυπηγήσατο
δίκροτα καὶ τριήρεις καὶ φασήλους κατὰ Κλεοπατρίδα τὴν πρὸς τῇ παλαιᾷ διώρυγι
τῇ ἀπὸ τοῦ Νείλου. γνοὺς δὲ διεψευσμένος ἐναυπηγήσατο σκευαγωγὰ ἑκατὸν καὶ
τριάκοντα, οἷς ἔπλευσεν ἔχων περὶ μυρίους πεζοὺς τῶν ἐκ τῆς Αἰγύπτου Ῥωμαίων
Aug., Res Gestae, 26
Trad. Luca Canali.
252
Sul tema dell’utilizzo propagandistico della spedizione in Arabia, si vedano i lavori di Jameson 1968; von Wissmann 1976; Sidebotham 1986b; Marek 1993; Potts 1994; Luther 1999;
Bukharin 2012.
253
Strab., XVI, 4, 22-24.
250
251
69
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
καὶ τῶν συμμάχων, ὧν ἦσαν Ἰουδαῖοι μὲν πεντακόσιοι Ναβαταῖοι δὲ χίλιοι μετὰ
τοῦ Συλλαίου.254
“Con queste premesse Gallo intraprese dunque la spedizione, ma finì vittima degli
intrighi del ministro dei Nabatei, Silleo; costui, dopo avergli promesso che gli avrebbe fatto da guida e gli avrebbe fornito il sostegno logistico e la propria cooperazione,
gestì proditoriamente l’intera faccenda e gli indicò un itinerario marittimo e terrestre
tutt’altro che immune da rischi; anzi, lo portò allo sbando su piste impraticabili e in
giri viziosi attraverso territori sprovvisti di tutto o lungo coste importuose o insidiate
da scogli sommersi o da fondali paludosi. Gravi disagi, poi, provocò a Gallo l’alternarsi
dell’alta e della bassa marea, un fenomeno che si verifica anche da queste parti. Ma il
suo primo errore fu quello di allestire una flotta di grandi navi, sebbene non dovesse
affrontare né al momento né in seguito una guerra sul mare; ché gli Arabi, se non sono
grandi combattenti sulla terraferma, ma piuttosto piccoli trafficanti e mercanti, non lo
sono nemmeno sul mare. Eppure Gallo fece costruire non meno di 80 navi, fra biremi,
triremi e vascelli leggeri, nei pressi di Cleopatris, non lontana dall’antico canale che si
diparte dal Nilo. Quando si rese conto di essersi ingannato, fece costruire centotrenta
navi da carico e vi fece imbarcare circa 10.000 soldati scelti fra quelli che erano di
stanza in Egitto e fra gli alleati, dei quali 500 erano Giudei e 1.000 Nabatei al seguito
di Silleo.”255
Successivamente, Strabone prosegue con la descrizione di come le truppe di
Gallo furono tradite da Silleo, e termina con la conclusione infruttuosa della
spedizione.256 Considerazioni sul successo o fallimento della spedizione a parte,257 la cosa più rilevante in questo contesto è che il testo di Strabone è la prima
testimonianza disponibile della presenza di una flotta militare nel Mar Rosso.
Peraltro, è interessante notare che Strabone afferma che la flotta di Gallo, sulla
Strab., XVI, 4, 23.
Trad. Nicola Biffi.
256
Strabone non è l’unica fonte di riferimento sul tema. Abbiamo anche resoconti (meno particolareggiati) di Plin., Nat. Hist., VI, 160-162; Flav. Joseph., Ant. Jud., XV, 317; Cass. Dio, LIII,
29, 3-8.
257
Per un’analisi molto interessante dell’esito della spedizione di Elio Gallo, si veda Sidebotham
1986a, 127-128; Sidebotham 1986b.
254
255
70
2. L’età Altoimperiale
via del ritorno, sbarcò a Myos Hormos.258 Questo dettaglio rinforza l’ipotesi, già
esposta in precedenza, che a Myos Hormos ci fosse una flotta militare.259
Ovviamente, non c’è modo di poter affermare se questo episodio sia rimasto
isolato, o abbia invece segnato l’inizio di una presenza militare romana stabile nel
Mar Rosso, anche se la maggior parte degli autori propende per la prima ipotesi.
Tuttavia, recentemente sono aumentati gli indizi a favore dell’ipotesi che una
presenza di una flotta romana nel Mar Rosso fosse stabile a partire dal periodo
giulio-claudio.260 Si tratta di due ostraka provenienti dall’archivio di Nikanor,
che attestano che due ufficiali romani ricevettero approvvigionamenti nei porti
Romani in Egitto, sul Mar Rosso.261
Il primo dei due è O.Petr. 296, datato al periodo 6-50 d.C., proveniente da
Myos Hormos o Berenice:262
Λούκιος Κλώδιος
τριη ̣ρ ̣αρκως (l. τριήραρχος) Νικάνωρι
Πανῆς (Πανῆτος / Πανήους). Άπέχω τοὺς γόμου̣ ̣(ς ̣)
οὓς επι ̣θ ̣ωιμ ̣ε (l. επιθῶμεν) σοι.
Lucius Clodius / trierarchos a Nikanor / figlio di Panes. Ricevo i carichi / che noi ti
avevamo affidato.
La ragione per cui questo documento non è mai stato preso in considerazione
nella discussione sulla flotta romana nel Mar Rosso, fino a prima del 2004, è la
sua natura frammentaria. Infatti, solo dopo la riedizione del testo a cura di G.
Messeri si è potuta leggere la parola τριηραρκως. Essa indica il capitano di una
trireme, una nave da guerra in dotazione alla flotta romana, capace di trasportare
un equipaggio formato da circa duecento persone.263 La presenza di un persoStrab. XVI, 4, 24.
Vedi supra, pag. 53.
260
Ricordo che l’ipotesi fu già formulata dal Rostovtzeff (1931, 25) sulla base della sola testimonianza di O.Petr. 279 (documento che sarà oggetto di discussione infra). Si veda anche Daris
1956, 244-246.
261
Per una discussione sull’archivio di Nikanor, cfr. supra, pagg. 45-46 (bibliografia nota 148).
262
Prima edizione in Tait 1930: 125, n° 296. Il testo è stato successivamente ripubblicato con
sostanziali emendamenti da Messeri (2004-05, 69-73). È all’edizione della Messeri che si fa
riferimento in questa sede.
263
Kießling, RE VII, A1, 116: trierarchos; Casson 1971, 141-147.
258
259
71
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
naggio del genere a Myos Hormos o a Berenice ovviamente rafforza l’ipotesi che
nel I secolo d.C. ci fosse una flotta militare stabilmente presente nel Mar Rosso.
Un secondo documento, appartenente allo stesso dossier di ostraka, dà maggior forza a questa ipotesi. Si tratta del O.Petr. 279, proveniente da Myos Hormos
e databile con precisione all’anno 52 d.C.264
Σατορνῖλος τεσσαράριος λυβέρ̣
νου Ἐπωνύχῳ Ἀχιλλέως χαίρειν.
ἀπέχω παρὰ σοῦ ̣ ἐπὶ Μυὸς Ὅρμου ̣
πυροῦ ἀρτάβας τρεῖς (γίνονται) γ ̣. (ἔτους) ιγ Τιβ ̣ε ̣ρ ̣ί ̣ου̣ Κλαυδίου Καίσαρος Σ ̣ε ̣β ̣α ̣στ̣ ̣οῦ̣ Γερμ ̣α ̣νικοῦ Αὐτ ̣οκρ ̣άτ̣ ̣ορο ̣ς ̣ Θὼθ ιθ ̣.
Satornilos tesserarius liburnae / a Eponichos, figlio di Achilleus, salute. / Ricevo da parte tua qui a Myos Hormos / tre artabe di grano. Anno 13 del Cesare / Tiberio Claudio
Augusto Germanico / Imperator, Thoth 19.
A differenza del precedente, questo ostrakon è stato già in passato utilizzato
come possibile indizio della presenza di una flotta militare nel Mar Rosso, ma
ancora una volta una erronea lettura ne ha inficiato la corretta interpretazione.
L’editore aveva letto il primo rigo come Σατορνῖλος τεσσαράριος κυβέρνου,
vale a dire “Satornilo, tesserarius del timoniere.” Il titolo di tesserarius può trovarsi
usato tanto in ambito militare, quanto civile.265 La restituzione del termine corretto λυβέρνου permette di scartare l’ipotesi che si tratti di un funzionario civile.
La liburna era infatti un tipo di nave da guerra, in origine usata dai pirati nel
Mare Adriatico e successivamente utilizzata anche dall’esercito romano. Era un
tipo di imbarcazione particolarmente indicato per la navigazione in acque poco
profonde, grazie alla sua eccellente manovrabilità.266 Per questo motivo, è facile
immaginare che fosse anche ottima per la navigazione nel Mar Rosso.267 Ciò
permette di identificare il tesserarius ricordato in O.Petr. 279 come un soldato
Prima edizione in Tait 1930: 125, n° 279. Si veda anche qui il commento proposto da Messeri 2004-05, 73.
265
Sidebotham 1986a, 69.
266
Pitassi 2011, 106-111.
267
Casson 1971, 340; Höckmann 1985; Medas 2004, 129-138.
264
72
2. L’età Altoimperiale
dell’esercito romano. Era un comandante di sorveglianza, che dirigeva i turni di
guardia notturni sulla nave.268
I due ostraka esaminati lascerebbero presumere che quindi una flotta stabile
nel Mar Rosso esistesse già nel I secolo d.C. Mentre Strabone cita Cleopatris
come porto di riferimento per la flotta, le testimonianze che abbiamo appena
visto lascerebbero ipotizzare che successivamente questa flotta sia stata spostata
a Myos Hormos o Berenice, o magari divisa tra i due porti, per garantire un
miglior controllo dell’area. In conclusione, sembrerebbe che la presenza di una
flotta nel Mar Rosso predati decisamente il regno di Traiano, il che ci lascia col
problema di scegliere come interpretare, di conseguenza, le testimonianze degli
scrittori tardoantichi analizzate all’inizio di questa sezione.
5.2 Il ruolo del principato traianeo nel contesto del Mar Rosso
Nonostante quindi Traiano non sia stato il primo a stabilire una flotta nel
Mar Rosso, le nostre fonti gli riconoscono un qualche tipo di primato nell’amministrazione militare di quest’area. Potremmo ipotizzare che l’impatto dell’attività dell’imperatore ispanico nella regione sia stato comunque talmente forte
da lasciare una traccia per secoli nelle fonti. È possibile infatti verificare come
le campagne di Traiano marcarono un cambiamento profondo negli equilibri
geopolitici dell’area, segnando la politica romana nell’area fino all’epoca di Marco Aurelio. Per comprendere cosa realmente sia accaduto ai tempi di Traiano, è
necessario ripercorrere brevemente le linee della sua azione militare nella zona
del Mar Rosso.
Punto di partenza obbligato è l’annessione da lui effettuata nel 106 d.C. del
regno cliente dei Nabatei, trasformato nella provincia d’Arabia. Le modalità con
cui si provvide ad annettere il piccolo reame non sono chiare, e a partire da
Bowersock si è imposta l’idea di un’annessione complessivamente pacifica, realizzata senza una vera campagna militare.269
von Domaszewski 1981; Speidel 2000, 65-96.
Bowersock 1983, 80-81. Le argomentazioni addotte dallo studioso americano paiono convincenti e ben fondate. In particolare, egli evidenzia che Traiano non assunse il titolo di Arabicus Maximus, mentre dopo la conquista della Dacia aveva assunto quello di Dacicus Maximus, il
che lascerebbe dedurre che non ci furono delle vere e proprie operazioni militari, ma solo un’annessione pacifica e indolore. Inoltre, sulle monete coniate per commemorare l’evento, compare
268
269
73
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Anche sulle motivazioni che indussero Traiano a compiere questo passo non
c’è accordo tra gli studiosi. Alcuni hanno ritenuto che l’annessione della Nabatea
potesse essere considerata parte della generale politica traianea di espansione dei
confini e del desiderio di riorganizzare una regione troppo a lungo rimasta al di
fuori del diretto controllo romano: “probably the annexation of the Nabataean
kingdom was of an administrative nature more than of a military one”.270 Un’ipotesi del genere tende a vedere nella morte dell’ultimo re nabateo Rabbel II e
nell’esaurimento della sua dinastia il pretesto per procedere all’annessione. In
più, ci sarebbero state generiche motivazioni di mantenimento della stabilità nella regione,271 e considerazioni di convenienza strategica, nell’ottica dell’imminente guerra contro i Parti.272 Altri infine hanno preferito puntare su motivazioni di
tipo economico, secondo le quali il regno nabateo sarebbe stato annesso in ragione della sua ricchezza e del suo coinvolgimento nel commercio internazionale.273
Non è possibile in questa sede riesaminare tutte le opinioni esposte dagli
studiosi,274 ma è fuor di dubbio che le successive iniziative di Traiano ebbero un
peso notevole nello sviluppo del commercio in tutta l’area del Mar Rosso settentrionale. Dopo la creazione della Provincia Arabia, la regione fu interessata da
una imponente opera di riorganizzazione strutturale.275 Si può dire senza dubbio
che l’annessione ebbe un impatto positivo sull’economia dell’Impero, portando
a una completa integrazione politica e amministrativa una regione strategica per
il controllo delle rotte commerciali con le regioni orientali extra imperiali. Una
la dicitura Arabia aquisita, non Arabia capta. Sulla questione si confrontino anche Speidel 1977,
688-730; Fiema 1987, 25-35; Freeman 1996, 91-118.
270
Spijkerman 1978, 20, n. 54; si vedano anche le analoghe opinioni di Raschke 1978, 647648; Bowersock 1983, 82; Parker 1986, 123; Strobel 1988, 256; Isaac 1992, 119.
271
Starcky 1955, 103; Graf 1978, 5-6; Parker 1986, 124.
272
Bowersock 1983, 84; Strobel 1988, 256.
273
Rey-Coquais 1978, 54; Parker 1986, 123; Eadie 1986, 243-252; Strobel 1988, 255. Addirittura, Kirkbride (1990, 256) è arrivato a sostenere che il vero obiettivo dei Romani fosse la
conquista di Aila, piuttosto che dell’intera regione nabatea. Francamente, però, questa ipotesi
pare piuttosto debole: si è visto in precedenza, infatti, che il ruolo commerciale di Aila nel I
secolo d.C. era piuttosto marginale. Difficilmente, quindi, questa città avrebbe potuto suscitare
un tale interesse da parte dei Romani.
274
Molto interessante l’opinione espressa con un certo gusto per la Realpolitik da parte di
Strabone (VI, 4, 2) che sostiene che i regni clienti erano de facto già parte dell’impero e che gli
imperatori potessero liberamente scegliere di incorporarli nei propri domini diretti, in qualsiasi
momento lo ritenessero opportuno. Si veda anche Brunt 1978, 159-191.
275
Parker 2002b, 78.
74
2. L’età Altoimperiale
nuova strada fu prontamente costruita per collegare Bosra nel nord della neonata
provincia con il Mar Rosso. I lavori iniziarono verosimilmente nel 106 d.C., e
furono portati a termine tra il 111 e il 114.276
L’attività di Traiano nell’area non si limitò all’Arabia: in Egitto, promosse il
restauro di quello che sarà successivamente noto col nome di ‘Canale di Traiano’,
il cui corso collegava il Nilo e il Mar Rosso, presso la moderna località di Suez
(antica Arsinoe/Clysma).277 Non siamo sicuri di quando precisamente il canale
fu inaugurato, anche se un terminus ante quem è fornito da un ostrakon databile
al 112 d.C.278
Si è molto discusso sul perché Traiano abbia promosso la realizzazione di
quest’opera e quali fossero i suoi reali fini: si è pensato che fosse parte del grande
disegno di conquista in Oriente, e quindi da intendersi come opera atta a creare
una via di passaggio per una flotta da usare contro i Parti;279 ovvero che l’opera
avesse il fine di promuovere i commerci in un’area fino a quel momento svantaggiata dal punto di vista commerciale.280 Non c’è nemmeno accordo se il canale
fosse effettivamente navigabile o non vada inteso, piuttosto, come un’opera per
irrigare i campi.281 Gli studiosi contrari a una interpretazione così riduttiva delle
funzioni del canale in genere fanno riferimento a un celebre passo di Luciano,
in cui si fa riferimento a un giovane che navigò da Alessandria a Clysma, e di lì
fino in India:282
ἀναπλεύσας ὁ νεανίσκος εἰς Αἴγυπτον ἄχρι τοῦ Κλύσματος πλοίου ἀναγομένου
ἐπείσθη καὶ αὐτòς εἰς Ἰνδίαν πλεῦσαι […]
Pekáry 1968, 140-142; Isaac 1992, 120.
Prima attestazione letteraria in Ptolem., Geog. IV, 5.
278
SB VI 9545.
279
Teoria che riposa su un passo di Eutropio, Brev. 8, 3.
280
Sulla storia del canale si è accumulata una ricca bibliografia. Si vedano Faville 1902-03, 6675; Calderini 1920, 43-44; Bourdon 1925; Posener 1938, 25-26; Oertel 1964, 18-52; Sijpesteijn
1963, 70-83; De Romanis 1996, 71-95; Aubert 2004, 219-252; Cooper 2009, 195-209; Aubert
2015, 33-42.
281
Quest’ultima ipotesi, ad esempio, è stata sostenuta con molto vigore da: Mayerson 1996,
119-126; Aubert 2004, 219-252; Cooper 2009, 195-209.
282
Lucian., Alex. Pseudom., 44, 16-18.
276
277
75
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
“Il giovane, una delle volte che ebbe a salpare per l’Egitto, poiché la nave risaliva fino a
Clysma, si lasciò convincere a proseguire la navigazione anche lui fino in India […]”283
Il testo lucianeo ha una natura alquanto peculiare. Non si tratta di una cronaca,
ma di un racconto di fantasia. Per questo motivo, non sembra una base affidabile.
C’è da dire che però Luciano presenta l’episodio come realistico, forse ispirandosi a
una possibilità effettivamente esistente ai suoi giorni, quella di navigare da Alessandria a Clysma.284 Più concretamente, si può rilevare come le indagini archeologiche
abbiano provato che, a prescindere dalla sua funzione, il canale restò in uso fino al
XII secolo, dimostrandosi un’infrastruttura utile alla regione.285
Affinché il canale potesse essere utilizzato, era necessaria una manutenzione
costante che ne impedisse l’insabbiamento. A tal fine fu istituita una apposita
λειτουργία, finanziata da ἐπιμεληταί, di cui resta una cospicua attestazione papiracea.286 Nessuno di questi testi, tuttavia, fa riferimento a che tipo di funzione
avesse il canale, o alla presenza di una flotta a Clysma, che collegasse questo
porto con l’India, o con altre regioni dell’area.
Ciò nonostante, anche chi accetta la teoria ‘minimalista’ di un canale aperto
solo alcuni mesi dell’anno, e il cui scopo principale era portare acqua potabile
nell’Egitto settentrionale per permettere l’irrigazione dei campi, non può certamente mancare di riscontrare l’aumento di attività a Clysma dal II secolo in
poi.287 È possibile affermare con ragionevolezza che il canale abbia svolto un
ruolo nello sviluppo economico della regione in cui Clysma si trovava, non fosse
altro perché portò una fonte costante di acqua potabile in una zona altrimenti
priva, oltre a creare una via di comunicazione tra Clysma e quantomeno il suo
immediato retroterra.288
Quanto discusso finora sembrerebbe indicare che Traiano si sia impegnato
per integrare meglio la regione del Mar Rosso nel sistema economico dell’Impero, sia tramite l’annessione di una provincia cruciale per il controllo dei traffici
Trad. V. Longo.
A tal proposito, si veda De Romanis 2015.
285
Cooper 2009, 198.
286
SB VI 9545 (32), del 112 d.C.; P.Oxy. LX 4070, del 208 circa; P.Bub. 4.69, del 221 d.C.;
SB V 7676 (= P.Cair. Isidor. 81), del 297; P.Oxy. LV 3814, della fine III /inizio IV secolo; P.Oxy.
XII 1462, del 332; SB V 7756 (= P.Lond. inv. 2474), del 358/9; PSI 689, del 420/1; PSI 87, del
423; P.Wash. 7, del V o VI secolo.
287
Sull’argomento, cfr. infra, pag. 130.
288
Cooper 2009, 197.
283
284
76
2. L’età Altoimperiale
commerciali (la Nabatea), che fu subito fornita di un sistema viario che la connesse saldamente con le province limitrofe, sia tramite la costruzione di un canale
che pose fine all’isolamento del porto di Clysma. Se a tutto ciò aggiungiamo
l’impegno bellico di Traiano contro i Parti, è facile capire perché nelle fonti a
nostra disposizione resti un’eco di un collegamento tra l’imperatore e l’India.
Tuttavia, le fonti tarde esaminate parlano precisamente dell’allestimento di una
flotta nel Mar Rosso, a sua volta associata alla possibilità di raggiungere l’India e
svolgere attività militari.
Una risposta a questi interrogativi potrebbe provenire da alcune recenti scoperte epigrafiche. A partire dal 2003, infatti, un team di archeologi francesi ha
riportato alla luce delle iscrizioni latine, rinvenute nell’arcipelago delle isole Farasan. L’arcipelago è composto da due isole principali e circa duecento isolette
minori, si trova nel sud del Mar Rosso, a 500 km a Nord dello stretto di Bâb
al-Mandeb, vicino alla costa dell’Arabia Saudita, Stato di cui le isole sono parte,
in un’area molto prossima alla linea di confine con lo Yemen.289 Dista circa 1.000
km dal confine della provincia romana più vicina, quella egiziana.290
Le iscrizioni, entrambe in latino, sono i primi documenti noti che sembrerebbero dimostrare la presenza di un distaccamento militare romano nell’arcipelago.
Sfortunatamente, sulla lettura e l’interpretazione corrette dei due testi non esiste
consenso presso gli specialisti. Si cercherà di rendere sinteticamente conto dello
stato attuale delle conoscenze in merito.
5.3 Le iscrizioni di Farasan: problemi testuali e possibili interpretazioni
La prima iscrizione a essere rinvenuta è anche quella più completa delle due.
Il testo è stato pubblicato più volte dal Villeneuve291 archeologo responsabile anche del ritrovamento dell’epigrafe. Al momento, l’ultima versione è la seguente:292
Cooper e Zazzaro 2014 per un resoconto dettagliato del materiale archeologico ritrovato
complessivamente nell’arcipelago e un’interpretazione del contesto storico.
290
Per un’ampia descrizione dell’area geografica in cui l’arcipelago è situato si veda Villeneuve,
Philipps, Facey 2004b, 143-149.
291
Per le varie versioni, si veda Villeneuve 2004; 2005; 2007; Villeneuve, Philipps, Facey
2004a; 2004b.
292
L’epigrafe è stata edita in una prima versione in Villeneuve, Philipps, Facey 2004a, 239-250;
Villeneuve, Philipps, Facey 2004b, 143-190. Successivamente, diverse correzioni all’interpre289
77
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Imp(eratori) Caes(ari) Tito Ael(io) Hadr(iano)
Antonino Aug(usto) Pio Pont(ifici)
Maxim(o) trib(unicia) pot(estate) VII co(n)s(uli) III,
P(atri) P(atriae), vexill(atio) Leg(ionis) II Tr(aianae) Fortis
et auxil(ia) eius ca.stre. n.s. e. s. q(ue) .su.b. praef(ecto) Ferresani po.r. t. u.s.
et Pont(i ?) Hercul(is) fec(erunt) e. t. d. [ed(icaverunt)]
L’epigrafe presenta nelle prime quattro righe una dedica (posta probabilmente
alla base di un qualche piccolo monumento o edificio) all’imperatore Antonino
Pio, la cui titolatura consente di datare il testo tra il 10 dicembre 143 e il 9 dicembre 144 d.C.293 Le righe successive ricordano gli attori impegnati nella costruzione dell’edificio in questione: una vexillatio della legio II Traiana Fortis, i suoi
auxilia e infine dei personaggi la cui denominazione nel testo è poco perspicua,
risolta dall’editore con castrenses. In effetti, la parte centrale del testo è quella che
presenta le maggiori difficoltà testuali. Nel penultimo rigo il documento attesta
l’esistenza di un praefectus Ferresani portus (?), carica assolutamente ignota da
altre fonti, senza però che si faccia il nome del prefetto stesso. L’anonimo funzionario è prefetto di un distretto definito portus Ferresanus: mentre la lettura del
toponimo è sicura, e ci informa sulla continuità toponomastica del sito dall’epoca romana ai giorni nostri, solo la p di portus è leggibile nel testo con una certa
chiarezza. La parola Ferresani, d’altra parte, ci assicura che la pietra fu incisa sul
posto, e quindi il documento è stato rinvenuto in loco.
Decisamente più problematico lo scioglimento dell’abbreviazione Pont() Hercul(). Secondo l’editore, si tratterebbe di un toponimo, Pontus Herculis, che costituirebbe un hapax. Il Villeneuve ipotizza che si tratti della definizione geografica
della parte finale del Mar Rosso, ribattezzata in onore di Ercole, in omaggio alle
sue dodici fatiche, e segnatamente quella connessa al recupero dei pomi d’oro
delle Esperidi.294 Successivamente, però, questa interpretazione è stata duramente
contestata dal Bukharin, che le ha mosso una critica molto serrata. Sulla base di
considerazioni di carattere epigrafico e geografico, il Bukharin scarta decisamen-
tazione e alla lettura del documento sono state apportate in Villeneuve 2007: è a quest’ultima
edizione che fa riferimento il testo qui presentato.
293
Villeneuve 2004, 422.
294
Si veda al proposito Villeneuve 2004, 426-428. Questa lettura e la conseguente interpretazione sono accettate anche da Speidel 2007 e Lewin 2007.
78
2. L’età Altoimperiale
te l’ipotesi Pontus Herculis, e opta invece per la lettura Pontifex Herculis.295 Tale
interpretazione ha il conforto di alcuni riscontri nella documentazione, anche
se nemmeno questa permette di sciogliere tutti i punti critici legati alla corretta
lettura e interpretazione dell’epigrafe, la quale probabilmente necessiterebbe di
una nuova lettura, basata sull’analisi del testo originale, e non sulle fotografie
disponibili nel corredo della prima edizione del testo.296
Qualche anno dopo le prime edizioni del testo da parte del Villeneuve, anche
M. Spiedel ha fornito una nuova lettura dell’iscrizione, fornendo alcuni spunti
molto interessanti. Il testo così come ricostruito dallo studioso tedesco è il seguente:297
Imp(eratore) Caes(are) Tito Ael(io) Hadr(iano)
Antonino Aug(usto) Pio, pont(ifice)
max(imo), trib(unicia) pot(estate) VII, c(o)s(ule) III,
p(atre) p(atriae), vexill(atio) leg(ionis) II Tr(aianae) Fortis
et auxil(iares) eius castr[a sub ---]
Avito. praef(ecto) Ferresani po..r .tu. .s (?)
et Pont(i) Hercul(is) fec(erunt) .et. d.[ed(icaverunt)]
La versione di Speidel presenta alcune soluzioni interessanti. Ad esempio,
la dedica all’imperatore Antonio Pio è sciolta in ablativo, e non in dativo, sulla
base di confronti tipologici con altre iscrizioni simili. Inoltre, alla riga 3, la abbreviazione c(o)s(ule) è frutto di lettura CS, mentre nella edizione del Villeneuve
era presente la consueta forma COS, sciolta dal Villeneuve in co(n)s(uli), sempre
in dativo.298 D’altra parte, va detto che la lettura complessivamente proposta da
Speidel ha il vantaggio di rendere chiaro l’oggetto della dedica all’imperatore,
espresso alla l. 5 dalla parola castra. Inoltre, se la sua lettura fosse corretta, avremmo anche un nome da associare alla figura del praefectus Ferresani portus: si tratterebbe di un certo Avitus, come riportato alla linea 6. In conclusione, possiamo
affermare che si tratta di un testo che necessita ancora uno studio approfondito, e
per il quale sarebbe auspicabile una nuova e definitiva edizione del testo. Va detto
295
296
297
298
Bukharin 2009-10.
Disponibili in Villeneuve 2004.
Speidel 2007.
Speidel 2007, 637-638. Si vedano le critiche di Bukharin 2011, 2.
79
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
che però, pur tenendo conto di tutte le letture ancora incerte, è possibile ricavare
alcuni dati dall’analisi delle versioni pur provvisorie dell’epigrafe.
Volendo quindi fare il punto della situazione, possiamo così sintetizzare i
dati certi. L’epigrafe è databile agli anni 143-144, sotto il principato di Antonino
Pio, e attesta la presenza di una vexillatio della Legio II Traiana Fortis stanziata
nell’arcipelago. Quest’ultima fu creata da Traiano intorno al 100 d.C. e collocata
di stanza in Egitto non più tardi del 128. A partire da Antonino Pio, inoltre, essa
fu l’unica legione di base in questa provincia.299 Quindi, i soldati presenti nell’arcipelago di Farasan sotto Antonino Pio provenivano con certezza dalle legioni in
forza alla provincia d’Egitto, e potremmo aggiungere che il loro punto di contatto più prossimo all’Impero dovesse essere, in quel momento, il porto romano di
Berenice, il più vicino alle isole.300
Pochi anni dopo la scoperta della prima, anche una seconda epigrafe fu rinvenuta nell’isola. Sfortunatamente, si tratta di un reperto in pessimo stato di
conservazione, e sulla sua superficie si possono a malapena leggere poche lettere,
nell’angolo destro basso della pietra. Dopo alcuni tentativi iniziali,301 della porzione superstite dell’epigrafe è stata proposta la seguente lettura:302
---] VI FERR
---] PR PR
Apparentemente, non sembra che molto si possa trarre dalla lettura di un
frammento tanto breve, le uniche tre parole presenti in maniera leggibile sono
per di più abbreviate. Ciò nonostante, gli editori non hanno rinunciato a provare
a fornirne una interpretazione. Il Villeneuve parte nella sua analisi dall’ultima
porzione del frammento, precisamente dalla doppia abbreviazione PR PR, che, a
suo giudizio, si può sciogliere solo con pr(o) pr(aetore). Se questa interpretazione
è corretta, il sintagma fa riferimento a una provincia governata da un legatus Augusti pro praetore. Le province più vicine alle isole Farasan sono quelle di Arabia
e quella di Egitto. In quest’ultima l’autorità imperiale era rappresentata da un
praefectus, e non da un legatus Augusti, come invece avveniva in Arabia. È quindi
299
300
301
302
Devijver 1974, 452-492; Daris 2000, 359-363.
Villeneuve, Facey e Philipps 2004b, 170.
Villeneuve 2005, 290; 2007, 23.
Villeneuve 2007, 13-27; Speidel 2007, 639.
80
2. L’età Altoimperiale
possibile che nell’epigrafe sia presente un riferimento alla provincia d’Arabia, cosa
che potrebbe permettere anche di sciogliere la parte precedente del frammento in
[ ... legio] VI Ferr(ata).
La storia di questa legione è, purtroppo, alquanto complessa. Originariamente stanziata in Siria, partecipò certamente alla campagna partica di Traiano e fu
successivamente spostata per un breve periodo in Arabia, prima di essere ancora
una volta trasferita in Giudea.303 Questi spostamenti avvennero in un lasso di
tempo non precisabile compreso tra il principato di Traiano e quello di Adriano.
Abbiamo però un punto fermo: grazie a una iscrizione proveniente da Gerasa
possiamo essere sicuri che il passaggio dalla provincia di Siria a quella di Arabia fu realizzato prima del 119 d.C.304 Sfortunatamente, non sappiamo quando
la legio VI Ferrata si spostò dall’Arabia alla Giudea, sappiamo solo che questo
avvenne prima del 139 d.C., e che il suo posto in Arabia fu preso dalla legio III
Cyrenaica.305 Pertanto, la ricostruzione finale proposta dal Villeneuve sarebbe:
[..... vexill(atio) leg(ionis)] VI Ferr(atae)
[sub ......... leg(ato) Aug(usti)] pr(o) pr(aetore)
A causa delle condizioni estrememamente frammentarie del reperto, è impossibile esprimere un giudizio definitivo sulla bontà di questa ricostruzione, per
quanto possa certamente essere ritenuta plausibile.306 Ricapitolando, le due iscrizioni rinvenute nell’arcipelago di Farasan attestano con certezza la presenza di
una vexillatio della legio II Traiana Fortis nelle isole, nel 143-144. La legione era
in quel momento di stanza in Egitto. Inoltre, la seconda epigrafe potrebbe (ma
in maniera molto più dubitativa) attestare la presenza, in una data imprecisabile
prima del 139, della Legio VI Ferrata.
L’arrivo di quest’ultima in Arabia è certo a partire dal 119 (ma potrebbe essere ancora anteriore), quindi potremmo ipotizzare che o fu spostata in Arabia
da Traiano per difendere la nuova provincia da poco creata, o fu ivi posta da
Adriano, probabilmente nel quadro della riorganizzazione generale delle province orientali, dopo l’abbandono dei territori conquistati da Traiano contro i Parti.
303
304
305
306
27.
Per la storia della Legio VI Ferrata si vedano Keppie 1986, 413; Cotton 2000, 351-357.
Testo in Cotton 2000, 354-356.
A sua volta di stanza a Coptos fin dal tempo di Augusto. Si veda supra, pag. 55.
AE, 1640. Per altre possibili ricorstruzioni proposte del testo, si veda Villeneuve 2007, 24-
81
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Quindi, la presenza militare romana a Farasan potrebbe estendersi o dagli ultimi
anni del principato di Traiano o dall’inizio di quello di Adriano, fino almeno al
principato di Antonino il Pio.307
È stata anche proposta l’ipotesi che le isole Farasan fossero già parte del regno nabataico, e per questo passarono di diritto sotto il controllo romano, nel
momento della creazione della provincia Arabia.308 In realtà, allo stato attuale
della documentazione, non esiste alcuna prova per sostenere tale ipotesi, che in
effetti non ha trovato il consenso degli studiosi,309 non riposando su alcun tipo
di evidence documentaria o archeologica.
Sulla motivazione che indusse la creazione di un presidio militare romano
nell’arcipelago, l’opinione più consolidata è quella di Villeneuve, che ha connesso
la presenza militare alle campagne contro i pirati nel Mar Rosso.310 Tale ipotesi,
non priva di un certo fondamento, manca però di spiegare perché solo nel corso
del II secolo gli imperatori romani sentirono questa esigenza, dal momento che
il problema della pirateria era stato avvertito come molto grave fin dal secolo
precedente.311
Una spiegazione a mio parere più convincente su quello che fu il reale motivo
dell’installazione di basi militare nell’arcipelago di Farasan potrebbe essere cercata proprio nel contesto della politica traianea nel Mar Rosso. In quest’ottica,
le sintetiche affermazioni di Festo ed Eutropio, secondo i quali Traiano avrebbe
istituito una flotta nel Mar Rosso, con cui attaccare le popolazioni Indiane, piuttosto che all’aneddoto semileggendario di un Traiano che rimpiange di essere
così anziano da non poter ripercorrere le gesta di Alessandro Magno, potrebbe
essere riferito a un fatto ben più concreto: la creazione, in effetti, di una flotta nel
Mar Rosso (inteso in senso proprio), che ebbe effettivamente il ruolo di operare
Secondo De Procé (2017, 142-145), la stabile presenza di una guarnigione romana sarebbe
ulteriormente comprovata dal rinvenimento, in loco, di alcuni frammenti architettonici, che
presenterebbero decorazioni derivate da tipologie attestate nella contemporanea provincia d’Egitto.
308
Speidel 2007, 637.
309
Si veda la critica espressa da Bukharin 2011, 6.
310
Villeneuve 2004. Posizione ribadita in Villeneuve 2005, 292. Contra, Bukharin 2009-10,
117.
311
Plinio il Vecchio riferisce che a bordo delle navi mercantili operanti nel Mar Rosso venivano
imbarcati anche dei contingenti di arcieri, per proteggere i vascelli dai possibili attacchi di pirati
(Nat. Hist., VI, 101): quippe omnibus annis navigatur sagittariorum cohortibus inpositis; etenim
piratae maxime infestabant.
307
82
2. L’età Altoimperiale
nell’area per conquistare alcuni posti periferici, ma ritenuti evidentemente parte
della sfera di influenza romana. La presenza di drappelli a Farasan potrebbe essere solo un esempio di una rete ben più estesa di postazioni militari, di cui per
ora non si ha traccia.
In questo senso, l’annessione del Regno di Nabatea e la sua integrazione nel
sistema viario romano, la restaurazione del canale dal Nilo al Mar Rosso, e l’occupazione delle isole Farasan non sarebbero da interpretarsi come azioni indipendenti, ma come singole parti di un piano complessivo di riorganizzazione
dell’area eritrea. Tutti gli aspetti della politica di Traiano in Oriente sembrano
infatti essere molto coerenti tra di essi, nel momento in cui li si consideri da una
prospettiva unitaria, quella di assicurarsi uno stretto controllo nella regione del
Mar Rosso. È incerto se si possa arrivare a parlare un “piano strategico generale”
di Traiano per la regione, però sembra chiaro che insieme a considerazioni di
tipo amministrativo e militare, anche interessi di tipo economico potrebbero aver
influito sull’intervento traianeo. Un controllo più stretto dal punto di vista militare e infrastrutturale del Mar Rosso avrebbe avuto necessariamente una ricaduta
notevole anche sulla qualità dei commerci nell’area.
A giudicare dalle testimonianze disponibili, si potrebbe immaginare che questo schema generale, messo in atto da Traiano, sia stato seguito con coerenza dai
suoi immediati successori, almeno Adriano e Antonino Pio. In questo senso, è
significativa la cronologia delle epigrafi di Farasan, che parlano di una presenza
stabile romana nell’area almeno fino al 144 d.C. Esistono poi altri indizi che
fanno pensare che il livello dei commerci tra Roma e l’India si mantenne alto
durante il II secolo d.C. Da un lato, le fonti letterarie contemporanee sembrano
dimostrare un interesse specifico per i popoli ubicati al di fuori del mondo romano, specialmente oltre i suoi confini orientali. Opere come gli Indica, i Parthica, la Anabasi di Alessandro di Arriano dimostrano un rinnovato interesse verso
l’Oriente. Altri autori contemporanei, come Giovenale e Luciano disseminano le
loro opere di riferimenti all’India, con dettagli precisi sui prodotti, la cultura e la
religione del subcontinente.
Senza dubbio, però, l’autore che rappresenta la prova migliore dell’aumento
di conoscenza rispetto all’India è Claudio Tolomeo: nella sua opera geografica,
egli dimostra una conoscenza dell’Oriente asiatico decisamente superiore a quella
delle epoche precedenti. Non solo Claudio Tolomeo è più preciso dei suoi predecessori (Strabone, Plinio, anche talora il Periplus Maris Erythraei), ma descrive
anche regioni che gli autori precedenti non avevano mai menzionato nei propri
lavori, come ad esempio l’Estremo Oriente asiatico. Si può ipotizzare ragionavol83
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
mente che Tolomeo ottenne queste informazioni da viaggiatori e mercanti che
erano esperti di Oriente, il che ci fa immaginare che le relazioni tra Roma e il
lontano Oriente si fossero intensificate in questo periodo.312
Nello stesso contesto politico e culturale troviamo anche la prima attestazione di un contatto diretto tra l’impero romano e la Cina; nell’anno 166 d.C. una
“ambasceria” romana raggiunse la Cina, apparentemente per aprire un canale
commerciale diretto tra i due imperi. La testimonianza è riportata nella HouHan-Shu, le “Cronache della dinastia Han”, al capitolo 88:313
“Loro [i Romani] assomigliano al popolo del Regno Intermedio, e per questo il loro
regno è chiamato Da Qin [‘Grande Cina’]. Il loro Paese produce grandi quantità di oro
e argento, e tante cose preziose e rare. […] Producono monete d’oro e d’argento. Dieci
monete d’argento valgono quanto una d’oro. Essi commerciano con Anxi [il Regno dei
Parti] e Tianzhu [India nord-occidentale] via mare. Il loro margine di profitto è di dieci
a uno. Il loro re ha sempre avuto il desiderio di mandare una spedizione in Cina, ma
Anxi, volendo mantenere il controllo delle sete cinesi dai molti colori, impediva loro
l’accesso, in modo che i Romani non potessero arrivare in Cina.”
La descrizione dell’Impero Romano presente nel testo cinese è certamente peculiare, e le interpretazioni degli storici sono discordanti sull’affidabilità di questi
dati.314 Inoltre, non è chiaro se questa ambasceria inviata in Cina fosse composta
da emissari dell’imperatore, o non si trattasse piuttosto di commercianti privati
che di propria iniziativa avessero raggiunto la corte Han.315 Tuttavia, è possibile
ricavare due informazioni di un certo interesse: certamente la spedizione si giovò
delle condizioni favorevoli per il commercio con l’Oriente create fin dall’epoca di
Traiano.316 Inoltre, la fonte cinese afferma che i mercanti romani per lungo tempo avrebbero voluto stabilire un commercio diretto con la Cina per aumentare i
loro profitti, ma non era mai stato possibile a causa delle interferenze dei Parti. In
effetti, stabilire un contatto diretto con la Cina sarebbe stato molto conveniente
per i commercianti occidentali.
312
313
314
315
316
Sidebotham 1986a, 142-143; Sidebotham 2011, 14-16.
Hirth 1885, 41; Hill 2015.
Speidel e Kolb 2015.
Hoppál 2011.
Thorley 1971.
84
2. L’età Altoimperiale
Un tentativo di aggirare i Parti potrebbe essere stato da questi ultimi percepito come ostile, e non è forse una coincidenza che nella centennale storia delle
difficili relazioni tra l’impero romano e quello partico, quest’ultimo prese l’iniziativa di aprire le ostilità solo in una occasione, nel 161 d.C.,317 un periodo in
cui la presenza romana nel Mar Rosso e nell’Oceano indiano aveva raggiunto il
suo punto più alto e il commercio era fiorente. Ovviamente, è impossibile ipotizzare che la ragione principale per la guerra fosse commerciale (il casus belli era la
situazione armena),318 ma si potrebbe immaginare che la situazione commerciale
abbia reso gli Arsacidi anche più aggressivi nei confronti dei Romani.
Tirando le somme, potremmo dire che i primi due secoli di presenza romana nel Mar Rosso non furono caratterizzati da una gestione statica dei Romani
dell’organizzazione dell’area.319 Al contrario, abbiamo visto come si sia trattato di
un periodo caratterizzato da grande dinamismo. All’arrivo di Roma esistevano
già delle infrastrutture che furono subito sfruttate dai nuovi dominatori d’Egitto.
Potremmo quindi distinguere due fasi: una prima fase giulio-claudia e flavia, e
una seconda fase di epoca antonina. Durante la prima fase, si consolidò il ruolo
di Myos Hormos e di Berenice come grandi porti internazionali. Oltre a ciò, possiamo verificare l’attuazione di un imponente programma di razionalizzazione e
potenziamento delle infrastrutture che collegavano i porti al resto della provincia. L’abbandono definitivo dei porti minori e soprattutto la scelta di puntare su
Coptos come unico centro di collegamento tra il Nilo e il Mar Rosso vanno nel
senso della razionalizzazione delle comunicazioni nell’area. Inoltre, specialmente
sotto i Flavi, fu forte lo sforzo di potenziare le strutture di collegamento tra Nilo
e Mar Rosso, come dimostra la creazione in questo periodo di molti forti e postazioni lungo le carovaniere nel Deserto Orientale. Nel secolo successivo, invece, si
venne a delineare una linea di sviluppo diversa, anche se probabilmente non del
tutto nuova. Forse riprendendo il vecchio progetto egemonico già di Augusto, a
partire dall’epoca di Traiano la presenza romana sembra espandersi fortemente
sulle acque del Mar Rosso, arrivando a controllare avamposti remoti come le isole
Farasan. Il progetto egemonico, apparentemente accantonato dopo la sfortunata
317
318
319
Hist. Aug., vita Marc. Aurel. 8.6; Birley 2000, 121; Flinterman 1997, 281.
Sicker 2000, 169.
Rostovtzeff 1932.
85
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
spedizione di Elio Gallo, prende nuovo vigore, assicurando a Roma una posizione di forza nel Mar Rosso almeno fino alla metà del II secolo, se non oltre.320
6. Il sistema di tassazione nell’alto impero
6.1 Il litorale egiziano
Il ruolo chiave che la provincia d’Egitto svolgeva nella gestione dell’imponente volume dei traffici commerciali che collegavano l’impero di Roma con il
Remoto Oriente è ormai chiaro. Proprio a causa di questa importanza commerciale, la provincia aveva anche un ruolo centrale nella riscossione dei tributi che
pesavano su questo tipo di commercio. Fino a poco più di trenta anni or sono,
ben poco era noto di questo sistema di controlli doganali: le nostre uniche fonti
di conoscenza erano di tipo letterario, e non fornivano informazioni molto precise. Esse erano sostanzialmente tre:
a) Strabone attesta che sulle merci di provenienza indiana gravavano tasse
doppie e pesanti.321
b) Il Periplus Maris Erythraei ricorda che nel porto nabateo di Leuke Kome
un παραλήτης riscuoteva una tassa del 25%.322
c) Una serie di iscrizioni da Palmyra provano che una tassa della stessa entità, su merci di importazione straniera, era riscossa anche nella importante città siriana.323
In particolare le informazioni desumibili dal Periplus e dalle inscrizioni palmirene avevano indotto gli studiosi a credere che la stessa aliquota fosse applicata
alle tasse gravanti sulle merci che giungevano ai porti egiziani del Mar Rosso.324
Tomber 2018.
Strab. 17, 1, 13.
322
PME 19: ὅρμος ἐστὶν ἔτερος καὶ φρούριον, ὃ λέγεται Λευκὴ κώμη […] ἔχει ἐμπορίου
τινὰ καὶ αὐτὴ τάξιν τοῖς ἀπὸ τῆς Ἀραβίας ἐξαρτιζομένοις εἰς αὐτὴν πλοίοις οὐ μεγάλοις.
διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν καὶ εἰς αὐτὴν παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν εἰσφερομένων
φορτίων καὶ ἐκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος ἀποστέλλεται. Per l’interpretazione di questo
passo, si veda infra, pag. 99.
323
AE 1947, nn. 179; 180. Si veda Starcky 1949, nn. 29; 113.
324
De Laet 1949, 307-309; Raschke 1978, 1018 nt. 1515.
320
321
86
2. L’età Altoimperiale
Nel 1985, la pubblicazione di un papiro di eccezionale importanza (il P. Vindob. G 40.822)325 ha confermato in via definitiva questa ipotesi, attestando che
ad Alessandria era riscossa una tassa del 25% sulle merci importate dall’India,
chiamata nel testo τετάρτη.326 Il papiro vindobonense, databile al II secolo d.C.,
contiene in realtà due documenti distinti, anche se correlati: uno sul recto e uno
sul verso. Sul recto è conservata parte di un contratto tra un uomo d’affari e un
mercante, che regola le condizioni di un viaggio commerciale a Muziris (uno
dei principali porti indiani), finanziato dall’uomo d’affari, tramite un prestito
ipotecario. L’uomo d’affari, oltre a provvedere al finanziamento, concede sostegno logistico al mercante, attraverso suoi agenti dislocati ad Alessandria, a Coptos e in un porto del Mar Rosso.327 Dalla lettura del testo, risulta che le merci
importate dall’India, dopo essere approdate in un porto del Mar Rosso e aver
attraversato il deserto orientale egiziano, entravano nelle ἐπὶ Κόπτου δημοσίαι
παραλημπτικαὶ ἀποθῆκαι, passandovi sotto la ἐξουσία e la σφραγίς del creditore.328 Successivamente, dopo aver disceso il Nilo fino ad Alessandria, entravano,
sempre sotto la ἐξουσία e la σφραγίς del creditore, nella ἐν Ἀλεξανδρείᾳ τῆς
τετάρτης παραλημπτικὴ ἀποθήκη.329 Nel verso, invece, troviamo i calcoli relativi alla τιμή delle merci importate dalla nave Hermapollon (che rientrava dal
suo viaggio commerciale in India), cioè l’imponibile su cui si doveva calcolare
l’importo del dazio (τέλος). Il calcolo della τιμή è elaborato prima per ciascuno
dei sei φορτία separatamente, poi, alla fine, le varie τιμαί si sommano nella τιμή
complessiva di tutto il carico. Tuttavia, essendo la prima colonna del testo pressoché integralmente perduta, ci restano solamente i calcoli relativi alle τιμαί di
325
Il papiro è stato successivamente ripubblicato in SB XVIII 13.167. Gli studi specifici su
questo documento sono molti; la prima edizione fu a cura di Harrauer e Sijpesteijn 1985, 124155. Si vedano anche Thür 1987, 229-245; Thür 1988, 229-233; Casson 1986, 73-79; Casson
1990, 195-206; Foraboschi e Gara 1989, 280-282; Casson 1991; Purpura 1996, 368-375; De
Romanis 1996, 183-196; De Romanis 1998, 11-60; Rathbone 2000, 39-50; Rathbone 2002,
179-198; Wilson 2009; De Romanis 2012a, 75-101; Ruffing 2013; De Romanis 2014; Cobb
2015b; Evers 2017, 99-109.
326
P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, l. 8: εἰς τὴν [ἐν Ἀλεξ]ανδρείᾳ τῆς τετάρτης
παραλημπτικὴν ἀποθήκην. Sulla tetarte come tassa, si veda Jördens 2009, 355-367.
327
P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, ll. 1; 5-6; 8-9; 15; 24-25 (ἐπίτροποι ἢ φροντισταί).
328
De Romanis 1996, 183-196.
329
P. Vindob. G 40.822, recto, colonna II, ll. 3-7.
87
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
tre φορτία: nardo gangetico, avorio e σχιδαί.330 Recentemente, il De Romanis ha
proposto un convincente tentativo di identificare le altre tre mercanzie, sulla base
dei frammenti sopravvissuti del testo del papiro.331 Oltre a queste informazioni,
nel testo troviamo anche l’indicazione riguardante la τιμή complessiva di tutto il
carico, che ammonta a ben 1.154 talenti e 2.852 dracme.332
In base alle informazioni ricavabili dal papiro, possiamo desumere che all’arrivo nei porti egiziani non si procedesse materialmente alla riscossione delle imposte dovute. Lo stoccaggio, la classificazione e i calcoli per la tassazione erano
certamente effettuati a Coptos, dove però ancora una volta la τετάρτη non era
ancora riscossa: questa tassa era infatti da pagarsi ad Alessandria, prima che le
merci venissero distribuite in tutto l’Impero. Il testo del papiro, infatti, ricorda
la presenza di ἀποθῆκαι per lo stoccaggio delle merci tanto a Coptos quanto ad
Alessandria, anche se fa esplicita menzione della tassa chiamata τετάρτη solo in
riferimento a quest’ultima città. Inoltre, va aggiunto che il documento, essendo
mutilo, nulla ci dice riguardo ad eventuali adempimenti fiscali cui si sarebbe
dovuto far fronte nei porti sul Mar Rosso, allo sbarco.
A tal proposito, infatti, gli editori del papiro ipotizzarono che una prima
τετάρτη fosse riscossa allorché la nave approdava in uno dei porti egiziani. A
questa se ne sarebbe aggiunta una seconda, prelevata ad Alessandria. Questa ricostruzione si basava sul già citato luogo straboniano, in cui il geografo parla, a proposito delle tasse che gravavano in Egitto sulle merci di importazione orientale, di
tasse doppie, in ingresso e in uscita (dalla provincia): τέλη διπλάσια εἰσαγωγικὰ
ed ἐξαγωγικά. Assumendo che la τετάρτη di Alessandria dovesse necessariamente coincidere con i τέλη ἐξαγωγικά ricordati da Strabone, ne conseguiva
che dovesse esistere una tassa “gemella” (come proverebbe l’aggettivo διπλάσιος,
usato dal geografo greco), corrispondente, invece, ai τέλη εἰσαγωγικὰ: questa
τετάρτη “in ingresso”, doveva evidentemente essere riscossa in uno dei porti sul
Mar Rosso.333
330
L’interpretazione di questo termine non è univoca, anche se l’ipotesi più probabile è che si
trattasse di frammenti d’avorio. Si vedano Rathbone 2000, 45 e De Romanis 2017.
331
De Romanis 2012a, 75-101.
332
P. Vindob. G 40.822, verso colonna II, l. 29. Per inciso, le τιμαί dei tre φορτία superstiti
dell’elenco, corrispondono all’11,29% del totale.
333
Harrauer e Sijpesteijn 1985, 140: “Aus den Worten ὥστε τὰ τέλη διπλάσια συνάγεται, τὰ
μὲν εἰσαγωγικὰ, τὰ δὲ ἐξαγωγικά, hätte man ableiten dürfen, daß auch beim Verlassen Ägyptens 25% als Abgabe zu entrichten waren, da ja bei der Einfuhr in Leuke Kome die 25% erhoben
88
2. L’età Altoimperiale
L’ampia lacuna nel recto del papiro impedisce di esprimere con sicurezza un
parere su questa ricostruzione. Tuttavia, pare molto più convincente l’ipotesi
alternativa proposta in anni successivi, secondo cui non si può pensare a una
duplice τετάρτη riscossa sia ad Alessandria sia nei porti del Mar Rosso: la tassa
del 25% era riscossa esclusivamente ad Alessandria e va conseguentemente identificata con i τέλη εἰσαγωγικὰ ricordati da Strabone, laddove i τέλη ἐξαγωγικά
andranno identificati con le normali tasse che colpivano i beni in uscita dalla
provincia (con un’aliquota del 2,5%).
Concentrare le operazioni di tassazione in ingresso a Coptos aveva certamente il vantaggio di snellire e razionalizzare l’intero processo, perché nella città
fluviale confluivano tanto le merci scaricate a Berenice quanto quelle da Myos
Hormos.
Dunque, all’arrivo nei porti egiziani, le merci erano scaricate e, verosimilmente, sottoposte a una qualche procedura di registrazione, ma non subivano
alcuna tassazione; lo stoccaggio e (forse) la classificazione erano effettuati a Coptos, mentre la τετάρτη andava pagata invece ad Alessandria, prima che le merci
venissero distribuite in tutto l’Impero.
In aggiunta a tutto ciò, il P. Vindob. G 40.822 cita un qualche pagamento effettuato πλείω ὑπὲρ τῆς τεταρτολογίας, con un’aliquota dello 0,25% sull’avorio
e del 2,88% sulle σχιδαί (mentre il nardo gangetico non è incluso in questa lista).
Di queste aliquote si dice esplicitamente che erano state prelevate dagli arabarchi.334 Questa informazione introduce un nuovo attore, finora mai menzionato,
nel quadro che stiamo delineando.
La funzione e la storia della corporazione nota col nome di ἀραβαρχία (o
ἀλαβαρχία),335 è stata oggetto di studi fin dagli inizi del XX secolo, ma solo in
anni recenti l’aumento della documentazione a nostra disposizione ha permesso
wurden. Strabo’s Text hat ja διπλάσια, nicht δίς. Unser Papyrus macht es sehr wahrscheinlich,
daß Güter bei der Einfuhr und bei der Ausfuhr mit jeweils 25% Zoll belastet wurden.” La stessa
posizione è ripresa in Sijpesteijn 1987, 5.
334
P. Vindob. G 40.822, verso, colonna II, ll. 11-12.
335
Il nome è attestato in due forme: ἀραβαρχία e ἀλαβαρχία. Un tempo si riteneva che esse
facessero riferimento a due realtà diverse: la ἀραβαρχία sarebbe stata una organizzazione inserita nella gestione del prelievo fiscale in Egitto (come vedremo tra poco), mentre si riteneva che
la ἀλαβαρχία fosse l’organizzazione che faceva capo alla vita religiosa degli Ebrei residenti in
Alessandria. Ad oggi, questa ipotesi è stata riconosciuta del tutto errata dagli studiosi, alla luce
delle testimonianze emerse nel corso degli anni, tra cui fondamentale è l’iscrizione rinvenuta
a Zagarolo ed edita da Sabbatini Tumolesi 1993, 55-61. L’esistenza di due forme distinte del
89
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
di formulare teorie articolate. La prima difficoltà da risolvere è stata quella relativa al significato e all’origine di questo nome, chiaramente strutturato in maniera
singolare. In realtà, a sciogliere il dubbio dell’origine della denominazione di
ἀραβαρχία è di grande aiuto un passo di Strabone, il quale, parlando dell’Egitto,
chiarisce come ‘Arabia’ sia il nome con cui si indicava tutta la regione egiziana a
Est del fiume Nilo:
Ἐντεῦθεν δὴ ὁ Νεῖλός ἐστιν ὁ ὑπὲρ τοῦ Δέλτα· τούτου δὴ τὰ μὲν δεξιὰ καλοῦσι
Λιβύην ἀναπλέοντι, ὥσπερ καὶ τὰ περὶ τὴν Ἀλεξάνδρειαν καὶ τὴν Μαρεῶτιν, τὰ
δ᾿ἐν ἀριστερᾷ Ἀραβίαν.336
“Quando da lì si riparte, il Nilo è ormai a ridosso del Delta. Risalendo, a destra si ha
la Libia, nome che pertiene anche all’area intorno ad Alessandria e alla Mareotis; a
sinistra l’Arabia.”337
Quindi, la ἀραβαρχία sarebbe una qualche associazione che si caratterizza
per essere fortemente radicata in un particolare territorio, cioè la parte orientale
dell’Egitto. A ben vedere, in effetti, anche le fonti documentarie e letterarie a
nostra disposizione confermano questa delimitazione geografica, attestando la
presenza di arabarchi in quattro località dell’Egitto: Alessandria, Pelusio, Antinoe e Coptos.338
La definizione del loro ambito geografico d’azione, però, ancora non chiarisce
quale fosse l’effettivo ruolo di questi individui. Nelle opere che di essi si sono
occupate si trovano definizioni sempre molto concise e, talvolta, in contrasto tra
loro. Tra le varie, potremmo citare: “des fermiers généraux d’Égypte”;339 “des fermiers des douanes terrestres de l’Égypte”;340 “des sortes de contrôleurs généraux
des douanes de la frontière arabique”;341 “des personnages qui s’occupaient des
nome, dunque, andrà ricondotta a un semplice fenomeno di alternanza delle due “liquide” λ e
ρ: cfr. Mayser 1906, 188-189; Gignac 1976, 102-107.
336
Strab., XVII, 1, 30.
337
Trad. N. Biffi.
338
Flav. Joseph., Ant. Iud., 1, 20, 147; SB V 8904; Sabbatini Tumolesi 1993, 55-61; P. Cairo
Masp. II, 67.166.
339
Demougin 1992, 585.
340
Sartre 1991, 418.
341
Mélèze Modrzejewski 1997, 256.
90
2. L’età Altoimperiale
nomades, des routes à péages et de la migration des troupeaux à la limite du désert”;342 “publicani, private contractors”.343
È chiaro, in ogni caso, che gli arabarchi sono stati unanimemente messi
in connessione con l’organizzazione doganale dell’Egitto. I documenti su cui,
tradizionalmente, questa associazione si è basata sono tre. In primo luogo, una
iscrizione risalente all’epoca di Domiziano, e rinvenuta a Coptos, contenente le
tariffe da pagare per l’ἀποστόλιον, una tassa riscossa dagli arabarchi.344 Il secondo documento è una legge del Codex Iustinianus che ricorda ai doganieri della
arabarchia che in nessun caso è possibile imporre tasse sul passaggio di animali,
eccetto quelli destinati al trasporto dei rifornimenti di viveri.345 Il terzo è una
fattura (datata al 568 d.C.) che fa menzione di una stazione dell’arabarchia ad
Antinoe.346 Combinando le informazioni ricavabili da P. Vindob. G 40.822 e da
OGIS II, 674, appare chiaro che gli arabarchi avevano una postazione a Coptos,
dove erano incaricati di riscuotere una tassa chiamata ἀποστόλιον.
L’iscrizione OGIS II 674, comunemente nota col nome di ‘tariffa di Cop347
tos’ , riporta infatti un rescritto del prefetto d’Egitto Mettio Rufo, datato 10
maggio 90 d.C., dove si dichiara che ivi sono contenuti gli importi che gli addetti
alla riscossione di una gabella chiamata ἀποστόλιον dovevano esigere.348 Dopo
Delmaire 1989, 286-287.
Rathbone 2002, 183. Si vedano anche Burkhalter 1999; Ruffing 2013 ed Evers 2017, 109113.
344
OGIS II, 674. In particolare, si vedano le ll. 2-9: ὅσα δεῖ τοὺς μισθ[ω]τὰς τοῦ ἐν Κόπτωι
ὑποπείπτοντος τῆι ἀπαβαρχία ἀποστολίου πράσσειν κατὰ τὸν γνώμον[α] τῇδε τῆι στήληι
ἐνκεχαρακται διὰ Λουκίου Ἀντιστίου Ἀσιατικοῦ ἐπάρχου ὄρους βερενείκης. Sull’importanza di questo documento si avrà modo di ritornare infra.
345
C. Just. 4, 61, 9: Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. Usurpationem totius licentiae submovemus circa vectigal Alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum,
nihilque super transductione animalium, quae sine praebitione solita minime permittenda est, temeritate per licentiam vindicari concedimus. GRAT. VALENTIN. ET THEODOS. AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG.
346
P. Cairo Masp. II, 67.166. In particolare, le linee 4-10: ἐν Ἀν[τ]ινόου πόλει τῇ λαμπροτάτῃ
Αὐρήλιος Μαρτῖνος υἱὸς Σαβινιανοῦ, ἐκ μητρὸς Μάρθας, δοῦλος τοῦ ἐνδόξου οἴκου
τοῦ πανευφήμου Ἀθανασίου πατρικίου, γενάμενος [δ]ὲ καστρις Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ
ἀλαβάρχῃ, πράττοντι τὴν ἀρχὴν ἐπὶ ταύτης τῆς Ἀντινόου πόλεως, [Α]υρηλίῳ Κολλούτῳ
βίκτορι ὀρνιθᾷ ἀπὸ τῆς πόλεως, χαίρειν.
347
OGIS II 674; ripubblicata in SB V, 8904. Il primo a indicare questa iscrizione con l’epiteto
di «der Tarif von Koptos», fu Wilcken: cfr. O.Wilck., 347.
348
OGIS II 674, ll. 2-4: ὅσα δεῖ τοὺς μισθ[ω]τὰς τοῦ ἐν Κόπτωι ὑποπείπτοντος τῆι ἀπαβαρχία
ἀποστολίου πράσσειν κατὰ τὸν γνώμον[α].
342
343
91
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
l’introduzione della tassa, troviamo una ventina di rubriche che elencano gli importi da riscuotere. Queste rubriche si dividono in due gruppi distinti. Il primo349
elenca gli importi che determinate categorie di viaggiatori dovevano pagare, in
funzione del loro sesso e della loro professione; il secondo350 gli importi (decisamente più bassi) che andavano pagati per un’altra tassa, il πιττάκιον, la quale
ricadeva su uomini, animali e veicoli che si avviassero lungo la via del deserto.
I problemi legati all’interpretazione della tassa chiamata ἀποστόλιον sono
molteplici: in cosa essa consistesse, chi fossero gli individui tenuti a pagarla e,
soprattutto, per qual motivo, sono problemi ancora irrisolti. L’editore della tariffa
pensò per primo che l’ἀποστόλιον fosse una tassa che coloro che viaggiavano
lungo le piste nel deserto nel tratto Coptos - Mar Rosso pagavano all’arrivo a
Coptos.351 Questa interpretazione fu in seguito sostanzialmente ripresa anche dal
Wilcken,352 il quale si spinse a sostenere che la tassa fosse stata imposta dallo Stato
per coprire le spese necessarie al mantenimento delle truppe militari nel deserto
orientale, che garantivano la sicurezza lungo le piste carovaniere.353 Un momento fondamentale nella discussione fu rappresentato dallo studio di Uxcull-Gyllenband e Wallace, i quali sostennero la teoria che il termine ἀποστόλιον derivasse da ἀπόστολος, e designasse dunque un importo da pagare per ottenere un
lasciapassare necessario a viaggiare sulla pista da Coptos al Mar Rosso.354
Negli anni successivi, la discussione sulla natura dell’ἀποστόλιον si arenò, e
si andò cristallizzando la communis opinio secondo la quale la ‘tariffa di Coptos’
(e conseguentemente l’ἀποστόλιον) avrebbe riguardato semplicemente i diritti di
pedaggio che erano tenuti a pagare gli individui che utilizzavano la pista caro-
OGIS II 674, ll. 9-20.
OGIS II 674, ll. 21-32.
351
Hogarth 1896, 32: «I would suggest that up to l. 20 the items due are to be paid on arrival
at Coptos: from l. 20 to l. 30 they are to be paid in advance before departure. Lines 30-32 refer
to a local use of the road as an approach to cemeteries in the eastern desert».
352
Wilcken 1899, 349: «Hogarth hat scharfsinnig erkannt, dass die Sätze bis Z. 20 bei der
Ankunft in Koptos, die späteren vor der Abreise von Koptos ebendort zu entrichten waren. Ich
meine, dieselben Gebühren werden, vermutlich in derselben Höhe, auch in Berenike zu zahlen
gewesen sein, wo wohl gleichfalls ein entsprechender Tarif publicirt gewesen sein mag».
353
Wilcken 1899, 348.
354
Uxcull-Gyllenband 1934, 64; Wallace 1938, 273: «The pass purchased at Coptos did not
entitle its recipient to leave Egypt, but to travel over the road from Coptos to one of the ports
of the Red Sea».
349
350
92
2. L’età Altoimperiale
vaniera da Coptos ai porti del Mar Rosso,355 quindi per spostamenti all’interno
della provincia. Tale ipotesi sembra a tutt’oggi la più convincente, ed è quella che
si segue in questo lavoro.356 In base a questo quadro, a Coptos dunque sarebbe
esistita una forma di controllo che riguardava coloro che intraprendevano la via
del Mar Rosso, partendo dal Nilo. Questa ipotesi è rinforzata da una serie di
documenti rinvenuti in anni ben più recenti rispetto alla Tariffa di Coptos, e
dall’altro capo della carovaniera Nilo-Mar Rosso.
Fino a non molto tempo fa, ben poco era invece noto riguardo alla organizzazione della fiscalità lungo le rotte carovaniere e nei porti del Mar Rosso. Questa lacuna è
stata corretta da un corpus di documenti rinvenuti a partire dai primi anni 2000 negli
scavi archeologici condotti a Berenice. Si tratta di un gruppo di ostraka rinvenuti nel
sito archeologico e pubblicati da Roger Bagnall.357 Questi reperti hanno fornito preziose informazioni sul funzionamento della dogana in uscita di Berenice.
Complessivamente, il corpus di ostraka è composto da circa 260 documenti
pubblicati. La maggior parte di essi è databile al primo secolo d.C.358 Non sono
tutti omogenei tra di loro per tema e struttura, e in questo lavoro ci si concentrerà
solo su quelli di argomento fiscale.
Si tratta di una serie di lasciapassare che accompagnavano mercanti che
esportavano merci da Berenice, per caricarle su navi destinate a lasciare il porto,
alla volta dell’India. Parte di questi prodotti sarà certamene stata usata per il
consumo delle truppe di bordo, ma la maggior parte di essi era invece destinata
all’esportazione.359 Le ricevute dei lasciapassare furono emesse in un non precisabile punto della rotta dal Nilo a Berenice (Coptos, verisimilmente) ed erano da
355
Tra gli esempi più autorevoli potremo citare: Bernard 1984, 199: «Tarif de droits à payer
à l’alabarque pour les personnes, les animaux et le matériel passant par Koptos»; Sidebotham
1986a, 35: «The Coptos Tariff is not a list of tax rates, but rates levied for use of one of the roads
leading from Coptos to a Red Sea port»; Rathbone 2002, 184: «Another levy of the arabarchy
collected at Koptos by its lessees (misthôtai) was the apostolion (apostolos-charge) for use of the
desert routes to and from the Red Sea ports»; Young 2001, 50: «The apostolion mentioned in the
inscription may represent a kind of pass or ticket of the sort that was required for travel in many
parts of Egypt under the Romans».
356
Opinione divergente è rinvenibile in Burkhalter 2002, 199-230. Si vd. anche Purpura 2002,
130-154.
357
Bagnall et all. 2000, Bagnall et all. 2005. Ai documenti raccolti in questi due volume si farà
di seguito riferimenco con l’abbreviazione O.Berenike.
358
Bagnall et all. 2000, 3.
359
Bagnall et all. 2000, 8.
93
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
consegnarsi ai funzionari che si occupavano della dogana di Berenice; questo significa, come sottolineato dagli editori degli ostraka, che “the amounts due were
collected in the valley [i.e. at Koptos], with the goods then free to pass through
the gate in Berenike.”360
Innanzitutto, questi documenti hanno dimostrato per la prima volta al di là
di ogni dubbio l’esistenza di una dogana nella città di Berenice. Le tasse erano
pagate altrove, ma a Berenice c’era una forma di controllo finale.
Questi lasciapassare possono essere divisi in quattro gruppi, in base alla loro
struttura base:
1) NN a NN, quintanensis, saluti; per favore, lascia passare NN che trasporta una quantità X di una certa mercanzia
2) NN a NN (nessun titolo specificato) saluti; per favore, lascia passare NN
che trasporta una quantità X di una certa mercanzia
3) NN a coloro che sono presso la dogana, saluti; per favore, lascia passare
NN che trasporta una quantità X di una certa mercanzia
4) Epaphroditos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare
a NN, quintanensis, saluti; per favore, lascia passare NN, schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare, che trasporta una quantità
X di una certa mercanzia.
A ben vedere, i gruppi 1-3 rappresentano solo varianti minori rispetto a uno
schema generale, che include uno scrivente, che si rivolge a un funzionario, chiedendo un lasciapassare per delle persone che traspostano quantità prestabilite di
alcune mercanzie (le più comunemente attestate sono vino, olio, aceto). I destinatari sono a volte identificati dal titolo di quintanensis (gruppo 1); a volte soltanto
dal loro nome proprio (gruppo 2); altre volte, infine, essi sono semplicemente
definiti come “quelli della dogana”, senza che né il nome proprio, né il titolo
vengano esplicitati (gruppo 3). Si riportano degli esempi per ogni gruppo, presi
dal “dossier di Andouros” (O. Berenike 50-67):
Ἀνδουρωι κουιντ(αησίωι)· πάρες
Τιβερίου Κλαυδ(ίου) [Ἀχιλλέως] Δωρίωνος
Παουῶτι Παοῦτος ἰταλικὰ
δέκα, (γίνεται) ἰταλ(ικὰ) ι. (O. Berenike 51)
360
Bagnall et all. 2000, 5.
94
2. L’età Altoimperiale
“Ad Andouros, quintanensis. Lascia passare per Tiberius Claudius [Achilleus] Dorion,
per Paouos figlio di Paouos, 10 italika, totale 10 ital(ika).”
Per il secondo gruppo, un esempio dal “dossier di Sosibios” (O.Berenike
1-35):
Σωσίβιος Ἀνδουρω(ι) χα(ίρειν) πάρες Ἀνδουρω(ι)
Παχ( ) οἴνου ἰταλ(ικὰ) ϛ. (O. Berenike 11)
“Sosibios ad Andouros, salute. Lascia passare per Andouros figlio di Pach( ) 6 italika
di vino.”
Per il terzo gruppo, un esempio dal “dossier di Robaos” (O. Berenike 36-49):
[Ῥ]οβαος τοῖς ἐπὶ τ[ῇ πύλῃ χα(ίρειν)]
πάρετε Ἀρυώθηι [εἰς]
[ἐ]ξαρτισμὸν ῥόδ(ια) η. (O. Berenike 36)
“Robaos a quelli presso la dogana, salute. Lascia passare per Haryothes per approvvigionamento, 8 rhodia.”
Dall’analisi della struttura di queste tre tipologie di documenti si può ricavare che i quintanenses corrispondono agli agenti doganali. Gli editori dei testi
hanno già sottolineato che l’espressione “le persone presso la dogana” è pobabilmente utilizzata da un mittente che non conosce il nome del funzionario a cui
si sta rivolgendo,361 e ci permette di comprendere che gli ostraka erano utilizzati
dai mercanti come lasciapassare per la dogana di Berenice, e d’altro canto, che i
funzionari che si occupavano di controllare questo passaggio erano appunto detti
quintanenses.
L’ultimo gruppo di documenti, invece, ci permette di addentrarci in un ulteriore aspetto. La struttura del gruppo 4, pur di fatto rientrando nello schema
generale, presenta infatti alcuni tratti peculiari. Infatti, il mittente è sempre un
certo “Epaphroditos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare”,
che si rivolge al quintanensis Pakoibis, richiedendo un lasciapassare per delle per-
361
Bagnall et all. 2000, 8-12.
95
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
sone che appartengono allo stesso gruppo di schiavi cui apparteneva lo scrivente
(O. Berenike 184-88). La prima peculiarità è che in questi documenti lo scrivente
non è solo identificato dal suo nome, ma anche, e forse in maniera più significativa, dal suo essere parte di un gruppo di schiavi che è connesso con Amneistos,
membro della familia Caesaris. Una caratteristica ancora più peculiare è che,
con la sola eccezione di O. Berenike 184, tutti gli altri ostraka sono dei moduli
precompilati, in cui è stato lasciato uno spazio vuoto per aggiungere poi solo
successivamente il nome della persona che trasportava vino, nonché della precisa
quantità di keramia di vino:
Ἐπαφ[ρόδει]τος Δ[ηλίου Ἀ]ειμνήστ[ου]
Καίσαρος Πακοίβι κοιντανησίωι χ(αίρειν)·
πάρες uacat τῶν Δηλίο[υ]
Ἀειμνήστου Καίσαρος [οἴ]νου πτολεμμα(ικοῦ).
κερά[μια] uacat (O. Ber. 186).
“Epaphrodeitos schiavo di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare, a Pakoibis
quintanensis, salute. Lascia passare per (uacat) di quelli di Delias schiavo di Aeimnestos
schiavo di Cesare, (uacat) keramia di vino Ptolemaico.”
Gli editori del dossier hanno avanzato l’ipotesi che “since all forms ended
up in the rubbish heap at Berenike, they might have been used without actually
having been filled in.”362 Le persone che trasportano il vino, i cui nomi sarebbero
dovuti essere aggiunti in un momento successivo, sono tutti identificati come
τῶν Δηλίο[υ] Ἀειμνήστου Καίσαρος, “degli uomini di Delias schiavo di Aeimnestos schiavo di Cesare”. Anche lo scrivente, Epaphroditos, è identificato come
schiavo dello stesso Delias. Il dossier sembra quindi gettare luce sul tema del
coinvolgimento della familia Caesaris nella gestione dei traffici con l’oriente. Per
quanto il legame non sia certamente diretto (vi sono vari livelli tra Epafrodeitos e
Cesare), il dettaglio sembra degno di nota. D’altra parte, se è vero che questo tipo
di commercio permetteva di realizzare grossi guadagni, non sembra fuori luogo
ipotizzare che anche l’imperatore o elementi a lui legati abbiano avuto interesse a
prendere parte a queste imprese commerciali.
362
Bagnall et all. 2005, 74.
96
2. L’età Altoimperiale
La eccezione presente negli ostraka di Berenice potrebbe forse trovare un parallelismo nel dossier di Nikanor. Anche nel caso di quest’ultimo, infatti, tutti i
testi hanno uno schema generale molto omogeneo, che però subisce una modifica nel caso in cui la persona indicata nel testo sia uno schiavo dell’imperatore. Lo
schema base può essere riassunto in questo modo:
(Nome del ricevente) a Nikanor/membro della famiglia. Ho ricevuto da parte tua a
(nome città) (lista mercanzie), sul conto di (nome proprietario ditta commerciale). Data.
A titolo di esempio, si veda O. Petrie 256:
Κρόνιος Ἑρμίου Νικάνορι
Πανήτου χ(αίρειν). παρέλαβον παρὰ
σοῦ ἐπὶ Μυὸς Ὅρμ ̣(ου) εἰς ̣ τ ̣ὸν Π ̣ανίσκ(ου)
τοῦ Παμί(νιος) λόγον πυροῦ ἀρτάβας ̣
τρεῖς (γίνονται) (ἀρτάβαι) γ. (ἔτους) δ Γαίου Καίσ ̣α ̣ρος
Σεβαστοῦ Αὐτοκράτορος Παχὼν
κδ.
Tuttavia, alcuni documenti presentano una leggera variante a questo schema,
che risulta così essere:
(Nome del ricevente), schiavo di Cesare, a Nikanor. Ho ricevuto da parte tua qui a
(nome città) (lista mercanzie), sul mio conto personale. Data.
A titolo di esempio, si veda O. Petrie 238:
Ἀν ̣ίκητος Κομμούνου Τιβερίου Καίσαρος
Σεβαστοῦ
̣ Φιλοστράτῳ Πανήους χα(ίρειν). ἔχω
παρὰ σοῦ ἐπὶ Βερνίκης ἃ ἐπέθηκέ σοι
Ἀγαθοκλῆς Ἀσκληπιάδου εἰς τὸν ἐμὸν
λόγον ὧν ̣ καὶ τὸ φόρετρον ἀπέσχες
ἐπὶ Κό ̣πτ[ο]υ
̣
οἴνου Πτολεμαικὰ ἓξ
[ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ (ἔτους)] κ ̣ Τιβε(ρίου) Καίσαρο(ς) Σεβα(στοῦ) Τῦβι δ ̣.
In che modo quindi le situazioni presenti nel dossier di Nikanor e in quello
di Berenice possono essere considerate parallele? In entrambi vediamo che lo
97
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
status dello scrivente non è normalmente specificato, a meno che non si tratti
di uno schiavo collegabile all’imperatore. Solo in questo caso, infatti, abbiamo
notizie su queste figure. Altro parallelismo è che in entrambi i dossier, quando il
protagonista della transazione è uno schiavo imperiale, questi sembra godere di
maggiore libertà rispetto agli altri attori commerciali che vengono registrati nelle
altre ricevute.
Per fornire un’interpretazione sicura di queste similitudini, occorrerebbe avere un numero maggiore di documenti, tuttavia è possibile fissare alcuni punti. Il
primo è che l’imperatore aveva certamente interessi economici diretti in questo
commercio, tanto da utilizzare suoi schiavi come commercianti nell’area.363 Il
secondo punto è che gli schiavi imperiali sembrerebbero aver goduto di canali
speciali per condurre questo commercio, in una maniera che non è precisamente
definibile, ma che sembra essere adombrata dagli schemi differenti ad essi riservati nei documenti che li vedono protagonisti.
6.2 Il litorale arabo
Passiamo ora ad analizzare il funzionamento dell’imposizione fiscale sull’altro lato del Mar Rosso, quello arabico. In un noto passo della sua opera, l’anonimo autore del Periplus Maris Erythraei, passando a parlare del commercio sul
litorale arabo, descrive il porto nabateo di Leuke Kome, presentandolo come
un centro di grande rilievo nel commercio internazionale: di qui le mercanzie
provenienti via mare dal Sud della penisola araba venivano trasportate fino alla
capitale dello Stato nabateo, Petra.364 Nel corso della sua descrizione, l’anonimo aggiunge che nel porto erano di stanza un funzionario che prelevava una
imposta del 25% sulle merci di importazione (παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν
εἰσφερομένων φορτίων), e un centurione (ἑκατοντάρχης), incaricato di vigilare
sulle procedure collegate all’esazione fiscale; di entrambi, il testo precisa che si
trovavano a Leuke Kome διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν:
Ipotesi già formulata a suo tempo da Sidebotham 1986a.
Da Petra l’iter delle mercanzie proseguiva fino a Rhinokolura, porto sulla costa palestinese
del Mediterraneo: cfr. Strab., XVI, 4, 24.
363
364
98
2. L’età Altoimperiale
ὅρμος ἐστὶν ἔτερος καὶ φρούριον, ὃ λέγεται Λευκὴ Κώμη, δι᾿ ἧς ἐστὶν εἰς Πέτραν
πρὸς Μαλίχαν, βασιλέα Ναβαταίων, ἀνάβασις. ἔχει δὲ ἐμπορίου τινὰ καὶ αὐτὴ
τάξιν τοῖς ἀπὸ τῆς Ἀραβίας ἐξαρτιζομένοις εἰς αὐτὴν πλοίοις οὐ μεγάλοις. διὸ καὶ
παραφυλακῆς χάριν καὶ εἰς αὐτὴν παραλήπτης τῆς τετάρτης τῶν εἰσφερομένων
φορτίων καὶ ἑκατοντάρχης μετὰ στρατεύματος ἀποστέλλεται (Periplus 19).
“C’è un altro porto con un forte, chiamato Leuke Kome, attraverso il quale c’è una
pista che conduce per via di terra fino a Petra e a Malchus, re dei Nabatei. Questo porto
ha anche la funzione di porto commerciale per i vascelli di non grandi dimensioni che
ivi giungono carichi di mercanzie dall’Arabia. Per questo motivo, per protezione c’è
collocato (a Leuke Kome) un doganiere incaricato di riscuotere la tetarte, e anche un
centurione con un gruppo di soldati.”
La totalità degli studiosi che si sono confrontati con questo passo ha focalizzato la propria attenzione su un punto nodale, e cioè se il παραλήπτης e lo
ἑκατοντάρχης citati nel testo fossero funzionari romani, o piuttosto nabatei e,
conseguentemente, se Leuke Kome fosse parte dell’Impero Romano o del regno
dei Nabatei, al tempo in cui l’anonimo scrisse la sua opera. È da questo primo
problema che si dovrà partire per poter utilizzare adeguatamente la testimonianza del Periplus.
Strabone attesta che nel 25 a.C., anno della infruttuosa spedizione di Elio
Gallo nella Arabia Felix, il porto di Leuke Kome era parte integrante del regno
nabateo. Qui confluivano la navi cariche di incenso provenienti dal Sud Arabia.365 Lo stesso quadro commerciale è descritto dal Periplus: ancora nel I secolo
d.C. Leuke Kome era un porto in cui navi “non grandi” provenienti da Sud
scaricavano le loro spezie arabiche. Tuttavia il testo ricorda la presenza di due
funzionari, il παραλήπτης e lo ἑκατοντάρχης, l’ultimo dei quali sembrerebbe
tradire nel proprio nome (equivalente del latino centurio)366 la dipendenza diretta
dalla amministrazione romana.
Il primo tra gli studiosi più recenti a confrontarsi col problema della ‘nazionalità’ del παραλήπτης e dello ἑκατοντάρχης fu il Bowersock.367 Così egli si
esprimeva sul problema:
365
366
367
Strab., XVI, 4, 23.
Cfr. Mason 1974, 41-42.
Per la bibliografia precedente si veda Raschke 1978, 982.
99
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
«He (l’autore del Periplus, scil.) notes further that there was a customs station at the
port of Leuke Kome on the coast of the Hejāz,
̣
with a centurion (ἑκατοντάρχης) in
charge of the city. With the great Nabatean settlement inland at Madā’in S ̣ālih ̣, as well
as other Nabatean installations in the Hejāz,
̣
it is inconceivable that the port of Leuke
Kome was being administrated by Roman officials. The customs officer, collecting a
tax of twenty-five percent, must have been a Nabatean official employing rates that can
be paralleled in the customs regulations at Palmyra. The presence of a centurion is no
indication of a member of Roman army. On the contrary, it is clear from the Nabatean
terminology for military officers that “centurion” had been taken over by the Nabateans as a title, so that a Nabatean qnt ̣ryn’ at Leuke Kome would make a perfect sense.»368
La posizione del Bowersock è chiara e, almeno apparentemente, fondata su
ragionamenti dettati dal buonsenso. I due funzionari sarebbero certamente nabatei, per due motivi: in primo luogo, sarebbe impossibile ipotizzare che Leuke Kome fosse amministrata da funzionari romani, essendo parte del Regno di
Nabatea;369 in secondo luogo, lo studioso sottolinea un particolare importante,
cioè che presso l’esercito nabateo era invalso l’uso di utilizzare termini di origine
romana e/o tolemaica per indicare i gradi degli ufficiali.370
Questa interpretazione complessiva ha avuto un certo successo tra coloro che
successivamente si sono occupati del problema: ad essa, ad esempio, fanno esplicitamente riferimento Casson nella sua edizione del Periplus Maris Erythraei371
e De Romanis nel suo importante volume sui commerci nell’area eritrea.372 Ciò
nonostante ritengo che si potrebbero muovere almeno due obiezioni a questa
ricostruzione.
In primo luogo, l’esistenza di postazioni militari romane al di fuori dei confini dell’Impero, con funzione strategica, non è affatto da considerarsi come un’ipotesi inverosimile, tutt’altro:373 a voler restare nell’ambito geografico eritreo, ba-
Bowersock 1983, 70-71.
Bowersock (1983, 75) compara l’amministrazione di Leuke Kome a quella di altre postazioni doganali, come ad esempio Hegra. Secondo lo studioso, Hegra era infatti amministrata da
funzionari nabatei, non romani.
370
Pratica attestata epigraficamente da CIS II, 217, dove si ricorda la presenza di un ufficiale
nabateo che si fregia del titolo di QNT ̣RYN’ a Madā’in S ̣ālih ̣.
371
Casson 1989, 145.
372
De Romanis 1996, 193 n. 96.
373
In realtà si tratta di una pratica ben attestata. Si veda, a tal proposito, la rassegna fornita da
Raschke 1978, 982-983, nn. 1351-1352. Non a caso, lo studioso era favorevole a vedere nelle due
368
369
100
2. L’età Altoimperiale
sterà ricordare la già menzionata vexillatio della Legio II Traiana Fortis di stanza
nelle isole Farasan.374 Se la ricostruzione offerta supra è convincente, dovremmo
interpretare la presenza di militari romani nell’arcipelago come un chiaro segno
della volontà di controllare i traffici commerciali nel Sud del Mar Rosso (in un’area, cioè al di fuori del diretto controllo politico di Roma). Si tratterebbe, quindi,
di un caso assolutamente parallelo a quello del porto di Leuke Kome.
D’altra parte, è pur vero che i Nabatei utilizzavano termini romani per i gradi
dell’esercito, ma forse non si è tenuto nella giusta considerazione un dettaglio non
secondario, e cioè che l’autore del Periplus era un residente egiziano di lingua
greca, e non un Nabateo. Pertanto, la sua prospettiva era quella di un suddito
dell’Impero Romano di lingua greca e quindi la cosa più logica è che abbia usato
il temine ἑκατοντάρχης in senso proprio, a indicare specificamente un ufficiale
romano. Se supponiamo che l’anonimo autore abbia vissuto in Egitto, sotto la
dominazione romana, è chiaro che ha avuto modo di conoscere perfettamente
gli eserciti di Roma ed è realistico che egli abbia effettivamente riconosciuto nel
militare che manteneva l’ordine a Leuke Kome un centurione romano.
Alcuni anni dopo il Bowersock, fu il Sidebotham a tornare sull’argomento,
esprimendo una posizione decisamente più cauta, e affermando che non si potesse stabilire con certezza se il παραλήπτης e lo ἑκατοντάρχης fossero funzionari
romani o nabatei. Lo studioso, pur non ignorando la già citata usanza nabatea di
designare i gradi dei propri ufficiali con nomi presi a prestito dal mondo tolemaico e romano, sottolineava ancora una volta come fosse una pratica ampliamente adottata dai Romani quella di dislocare truppe e agenti doganali negli Stati
clienti.375
In anni più recenti, lo Young è tornato nuovamente sul problema, ribaltando
completamente la tesi del Bowersock. Partendo dal presupposto che, come ricavabile da P. Vindob. G. 40.822 per l’Egitto e dalle iscrizioni siriache per Palmira,
i Romani in ogni caso imponevano una tassa del 25% sulle merci di importazione orientale, in ingresso nell’Impero, lo Young si è espresso contro l’ipotesi che
i due funzionari menzionati nel Periplus fossero nabatei. Egli introdusse nella
discussione anche un brano di Plinio il Vecchio, in cui si dice che le merci importate dall’Arabia, una volta entrate nell’Impero, vengono tutte convogliate a
figure citate nel Periplus due funzionari romani.
374
Per la discussione dettagliata su Farasan, si veda supra, pagg. 77-82.
375
Sidebotham 1986a, 106-107.
101
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Gaza.376 Quindi, se i Romani non prelevavano alcuna tassa a Leuke Kome, era a
Gaza che la famosa τετάρτη sarebbe stata pagata. Questa ipotesi, però, creerebbe
uno scenario alquanto irrealistico:
«If the merchants had to pay a 25% duty on their imports at Leuke Kome upon entering the Nabatean Kingdom, and then again on entering Roman territory (possibly at
Gaza, Pliny NH 12.32), this would seem to amount to a total of 50%, not counting
other imposts and portoria which were no doubt considerable. It would clearly be foolish for merchants to send their wares to Leuke Kome rather than to Egyptian Red Sea
ports of Myos Hormos and Berenike, where they would only have to pay the τετάρτη
once, at Alexandria.»377
Lo studioso sembra aver centrato un punto nodale della questione: una situazione in cui i mercanti fossero costretti a pagare la τετάρτη due volte, arrivando
a consegnare il 50% del valore del proprio carico in tasse, sembra decisamente
irrealistica.378
Per comprendere meglio il tipo di organizzazione esistente a Leuke Kome può
essere utile compararne il caso con ciò che sappiamo relativamente ad altri posti di
frontiera in qualche misura analoghi al porto nabateo, inserendo nella discussione
proprio i testi epigrafici palmireni a cui anche lo Young fa riferimento.
Lo status di Palmyra all’interno dell’Impero è singolare e, per certi versi, assimilabile a quello del regno di Nabatea: anche la città siriaca, pur essendo stata
assorbita formalmente nei confini della provincia di Siria in un’epoca imprecisabile attorno al principato di Tiberio, godeva di una sua parziale autonomia, deci-
Plin., Nat. Hist., XII, 32.
Young 1997, 267.
378
Strabone (17, 1, 13) riferendosi alle tasse che gravavano sulle merci indiane in Egitto, afferma τὰ τέλη διπλάσια συνάγεται τὰ μὲν εἰσαγωγικὰ τὰ δὲ ἐξαγωγικά. Il De Romanis ha
interpretato questo testo come “tasse doppie sulle merci, quando entrano e quando escono dalla
provincia”. Una interpretazione del genere confermerebbe l’ipotesi della tassazione doppia, per
una aliquota complessiva del 50% del valore delle merci. Personalmente, preferisco tradurre il
passo straboniano con “un doppio quantitativo di tasse viene riscosso, che deriva da un lato dalle importazioni, dall’altro dalle esportazioni”. Questa traduzione mi pare anche più coerente col
contesto generale del brano straboniano, nonché con la evidence discussa in precedenza, proveniente da Berenice, che conferma l’esistenza di una dogana in città, in cui venivano controllate
le merci in uscita dalla provincia e dirette in India (si vd. supra, pagg. 93-98).
376
377
102
2. L’età Altoimperiale
samente superiore a quella di cui fruivano le normali città dell’Impero.379 Negli
anni ’40 furono rinvenute nell’area della città due epigrafi di particolare interesse,
che attestano la presenza in città di due funzionari, ognuno dei quali portava la
qualifica di τεταρτώνης, ovvero “incaricato di riscuotere la τετάρτη”.380
La prima, datata al 161 d.C., è una dedica bilingue (greco – palmireno) a
Marco Emilio Marciano Asclepiade, del quale ci viene detto che ricopriva la
carica di βουλευτής ad Antiochia, oltre a essere un τεταρτώνης, carica di cui
non si esplicita dove essa fosse effettivamente svolta. La dedica è posta da parte
di mercanti provenienti da Spasinou Charax, importante porto commerciale nel
Golfo Persico, posto nei pressi della foce del fiume Tigri:381
Μᾶρκον Αἰμίλιον Μαρκιανὸν
Ἀσκληπιάδην Ἀντιοχέων βουλευτὴν τεταρτώνην οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι προηγουμένου αὐτῶν Νεση Βωλιαδους ἔτους βου´ μηνὶ Πανήμωι.
Il secondo testo è un’iscrizione trilingue, latino – greco – palmireno ed è
dello stesso periodo del precedente, datandosi al 174 d.C.382 Il personaggio che
in esso è ricordato si chiama Lucio Antonio Callistrato; di lui non sappiamo se
svolgesse altre funzioni oltre a quella di τεταρτώνης. Anche in questo caso, la
dedica è posta da un mercante, come esplicitato dal testo. Del dedicante non è
fornito il nome, né altre informazioni:383
L(ucio) Antonio Callis
trato manc(eps) ĪĪĪĪ merc(?)
Galenus actor
Λ(ουκιῳ) Ἀντώνιῳ Καλ-
Rostovtzeff 1932b; Ruffing 2013; Graf 2018, 481-496.
AE 1947, nn. 179; 180. Per un commento si vedano Seyrig 1941; Starcky 1949, nn. 29; 113;
De Romanis 2004.
381
AE 1947, n. 179. Si riporta la sola versione greca.
382
In questo caso, la datazione dell’epigrafe è registrata solo nel testo palmireno, che non è qui
riportato.
383
AE 1947, n. 180.
379
380
103
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
λιστράτῳ τεταρτώνῃ Γαλῆνος πραγματευτὴς ἰδίος.
I due testi attestano chiaramente che la τετάρτη era riscossa anche lungo il
confine siriano, sulle merci di importazione orientale. La prima iscrizione fornisce delle indicazioni sul tragitto che le merci facevano per entrare nell’Impero.
Dopo essere state trasportate via mare fino al Golfo Persico, erano scaricate a
Spasinou Charax, e di qui risalivano il corso del fiume Eufrate per poi giungere a
Palmira ed essere sottoposte alla consueta tassazione. Che l’imposta fosse riscossa
a Palmira è dimostrato chiaramente dal fatto che lì la dedica fu posta, anche se
il personaggio in essa nominato, Marco Emilio Marciano Asclepiade (cittadino
romano, ma di chiara origine greca), faceva parte della βουλή di Antiochia e
doveva quindi risiedere lì, piuttosto che a Palmira. I dedicanti si definiscono
οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι προηγουμένου αὐτῶν Νεση
Βωλιαδους, perifrasi che sembrerebbe rimandare a una organizzazione del viaggio da Spasinou Charax a Palmira sotto forma di carovana, guidata da un certo
Nese figlio di Boliades.
L’iscrizione può essere agevolmente accostata a un gruppo di altre analoghe,
tutte rinvenute a Palmira, apposte da membri di carovane provenienti dal territorio partico, e in particolare da Spasinou Charax, che rafforzano l’idea di un imponente traffico commerciale che dalle coste del Golfo Persico portava a Palmira
(e di qui nell’Impero) una cospicua quantità di merci orientali.384
La seconda dedica non aggiunge molti elementi al quadro appena descritto:
anche in questo caso, il destinatario della dedica è un cittadino romano di origine greca, Lucio Antonio Callistrato. Di costui non sappiamo se svolgesse altri
ruoli istituzionali, oltre a quello di τεταρτώνης; in compenso, però, l’epigrafe ci
attesta la traduzione ufficiale di questo titolo in latino: manceps IIII merc., dove
l’abbreviazione merc. potrebbe essere sciolta in mercaturae, mercatus, più probabilmente mercium, o qualche altro termine di analogo significato.
Le analogie tra le due iscrizioni palmirene (peraltro quasi coeve) si possono così sintetizzare. In entrambi i casi un mercante (o un gruppo di mercanti)
384
Per un elenco esaustivo di tutte le iscrizioni, si veda Gawlinowski 1994, 32-33.
104
2. L’età Altoimperiale
coinvolti presumibilmente con l’importazione di merci orientali nell’Impero385
ha apposto una dedica a un τεταρτώνης nella città in cui questi svolgeva il suo
compito: Palmira. I personaggi destinatari delle due dediche sembrano appartenere alla élite urbana siriana.
Essi infatti sono cittadini romani, come attestano i tria nomina canonici, ma
di origine greca, come denunciano i loro cognomina: discendenti, quindi, della
minoranza ellenica che aveva a sua tempo costituito il ceto dirigente dei regni
ellenistici sorti dopo la morte di Alessandro Magno. Di uno dei due, Marco
Emilio Marciano Asclepiade, sappiamo anche che fu membro della βουλή di Antiochia, il che conferma l’idea di personaggi di spicco della comunità locale. L’analogia appare evidente con gli arabarchi d’Egitto. Anch’essi erano esponenti di
gruppi ricchi e potenti, la cui posizione di privilegio risaliva ai tempi dei Tolomei.
Del resto è già stato sottolineato come, per poter svolgere il ruolo di arabarca
(o, a questo punto, τεταρτώνης) era necessario disporre di sostanze ingentissime. I due personaggi ricordati a Palmira sono fatti oggetto di dediche speciali;
sfortunatamente, nel testo delle due iscrizioni non si specificano i motivi per cui
essi meritarono la riconoscenza dei mercanti siriani. Una suggestione potrebbe
essere pensare che essi avessero fornito un supporto logistico proprio ai mercanti
per affrontare il pur difficile viaggio da Spasinou Charax a Palmira,386 così come
i loro colleghi arabarchi erano probabilmente coinvolti nella gestione del supporto logistico ai mercanti che attraversavano il deserto orientale egiziano. Non
possiamo però esserne certi, e la domanda potrà avere difficilmente risposta, in
mancanza di nuove scoperte epigrafiche.
Le similitudini tra la situazione in Siria e quella in Egitto non si limitano
allo status sociale degli esattori, ma riguardano anche la gestione complessiva del
sistema di trasporto e tassazione delle merci importate. In entrambi i casi abbiamo un gruppo di mercanti che arrivano via mare ad un porto dell’area eritrea;
385
Anche se nel caso della seconda epigrafe non è detto esplicitamente che il dedicante è in
rapporti commerciali con i Paesi dell’Est, ma solo che è un actor, è evidente che egli si occupasse
di importare merci dall’Oriente. Solo sulle merci di provenienza orientale, infatti, ricadeva la
τετάρτη.
386
La cosa sembrerebbe almeno possibile nel caso di Marco Emilio Marciano Asclepiade,
la cui dedica è apposta specificamente da οἱ ἀναβάντες ἀπὸ Σπασινου Χαρακος ἔμποροι
προηγουμένου αὐτῶν Νεση Βωλιαδους, quasi a sottolineare che questi mercanti che viaggiarono tutti insieme difficilmente sarebbero riusciti a completare il loro viaggio, senza l’aiuto
dell’Antiocheno.
105
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
successivamente, le merci sono scaricate e trasportate nell’entroterra grazie a un
fiume, dai mercanti organizzati in gruppi di carovane. Infine, i prodotti vengono
portati in una città, dove vengono sottoposti alla tassazione del 25% (Alessandria
in Egitto, Palmira in Siria). I parallelismi tra le due situazioni appaiono evidenti.
Ciò nonostante, non deve sfuggire una differenza fondamentale tra le due
situazioni: mentre nel caso dell’Egitto lo sbarco delle navi avveniva in territorio
romano (Myos Hormos o Berenice), il primo punto di approdo per i mercanti
che sceglievano di entrare nell’Impero tramite la provincia di Siria era in territorio partico. Ciò avrà comportato, verosimilmente, una imposta da pagare al fisco
partico all’arrivo a Spasinou Charax, che si andava a sommare alla τετάρτη da
pagare a Palmira: il tutto sembrerebbe rendere decisamente meno conveniente
l’approdo nel Golfo Persico, piuttosto che nel Mar Rosso. Tuttavia, si deve tenere
conto anche di altri elementi ugualmente importanti, e cioè che i costi complessivi per i mercanti erano ben lungi dall’esaurirsi col pagamento delle tasse: a
queste andavano aggiunte, ad esempio, le enormi spese di viaggio. In definitiva,
il viaggio per l’India partendo dal Golfo Persico era decisamente più breve, per i
mercanti che si muovessero dalla provincia di Siria. Tenuto conto di questa differenza, si può senz’altro affermare che le somiglianze tra il sistema in uso in Egitto
e quello in uso lungo il confine siriano restano cospicue.
Tirando le fila del discorso fatto sinora, bisogna comprendere in che modo le
iscrizioni palmirene ci chiariscono la situazione di Leuke Kome. Finora abbiamo
visto che in due punti nodali del commercio internazionale con l’Oriente i Romani
avevano approntato delle stazioni doganali (Palmira in Siria, Alessandria e in certa
misura Coptos in Egitto), dove veniva riscossa sempre la stessa tassa, la τετάρτη.
La documentazione attesta senza ombra di dubbio lo stesso tipo di tassa a
Leuke Kome, sui prodotti di importazione arabica. Meno chiaro è se dal testo del
Periplus si possa ricavare anche la presenza di un ufficiale e un agente doganale
romani. Eppure, è la natura stessa della τετάρτη che dovrebbe farci propendere
a credere che il centurio di Leuke Kome fosse effettivamente romano e che i Romani avessero un controllo diretto, nella seconda metà del I secolo, sul Regno di
Nabatea, al punto di imporre delle proprie tasse nel porto principale del piccolo
Stato cliente e di provvedere tramite militari romani al mantenimento dell’ordine e della sicurezza nell’area. Questo è infatti, stando alle parole dell’anonimo, il
compito principale del παραλήπτης e dello ἑκατοντάρχης, che si trovano a Leuke Kome διὸ καὶ παραφυλακῆς χάριν. Si è già avuto modo di dire come il caso
del centurione romano a Leuke Kome possa essere in qualche modo comparato
con quello della vexillatio romana a Farasan: in entrambi i casi si tratta di un
106
2. L’età Altoimperiale
avamposto romano in un’area tecnicamente al di fuori dei confini dell’Impero,
con funzione di mantenere sotto controllo una certa area. Oltre a ciò, la τετάρτη
che era prelevata a Leuke Kome era certamente una tassa romana.387
Anzi, a questo punto potremmo spingerci ad affermare che tra I e II secolo
si realizzò una vera e propria unificazione doganale, tramite la quale Roma prelevava la stessa aliquota sulle merci di provenienza orientale, a prescindere da
quale fosse il tragitto che esse seguissero. E che, inoltre, proprio i percorsi che le
merci dovevano seguire per entrare nell’Impero fossero assolutamente strutturati
in modo tale da fare in modo che nessuno sfuggisse alla tassazione. I mercanti erano cioè forzati a passare tramite alcuni punti chiave, dove materialmente
tutta la tassazione si svolgeva. Concentrare i flussi commerciali passanti per una
provincia tutti in un’unica città doveva avere il vantaggio di poter effettuare più
facilmente e rapidamente le operazioni di tassazione.
Uno schema del genere è evidente per l’Egitto: qui i mercanti, dopo l’approdo
in uno dei porti del Mar Rosso dovevano necessariamente passare a Coptos e
di lì ad Alessandria, punto di passaggio obbligato dove la tassazione era materialmente effettuata. La stessa cosa sembrerebbe per il confine con il Regno dei
Parti: i mercanti che provengono da Spasinou Charax arrivavano a Palmira, dove
le loro merci erano sottoposte a tassazione. Il funzionario che qui lavorava come
esattore non era un Palmireno, ma un Antiocheno. Se egli per svolgere il suo
lavoro doveva operare a Palmira, evidentemente questa doveva essere l’unica dogana esistente nella zona, quantomeno nella provincia di Siria. Analogo è il caso
di Leuke Kome. Il Periplus attesta che il porto, a differenza di quelli egiziani, ha
uno statuto particolare, in virtù del quale è presente una dogana. Del resto Leuke
Kome era l’unico approdo possibile, sulla costa araba, per le navi che trasportavano le mercanzie orientali. L’unica alternativa seria per chi volesse risalire dal sud
dell’Arabia fino al Regno di Nabatea era affrontare le piste nel deserto, le quali
però terminavano ad Hegra, altro avamposto doganale, in cui la presenza stabile
di soldati romani è attestata, anche se poco chiari sono i dettagli.
Il sistema era dunque strutturato in maniera da unificare l’aliquota sulle merci orientali, a prescindere da dove esse entrassero nell’impero, e in più faceva in
modo che in poche città strategiche passasse tutto il flusso di merci, in modo da
tenere meglio sotto controllo i mercanti e i loro prodotti.
387
D’altra parte, anche a Palmyra erano romani gli esattori della tetarte. Si veda anche Graf
2018, 489.
107
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
1. I cambiamenti del IV secolo
Il quadro che emerge dall’analisi della situazione dal IV secolo d.C. è profondamente diverso da quello di età imperiale. Il dato che appare evidente dall’analisi delle fonti di età tardoantica è il ruolo di primo piano svolto dai porti ubicati
nella parte più settentrionale del Mar Rosso, ben più a Nord del 20° parallelo,
soglia che costituiva una sorta di punto critico per le navi impegnate a risalire il
Mar Rosso fino ai suoi recessi settentrionali.388
Per motivi di contesto ambientale i porti settentrionali erano oggettivamente
poco funzionali per la navigazione nel Mar Rosso, il che spiega il successo delle
installazioni più meridionali. Il tardo sviluppo degli attracchi settentrionali costituisce una caratteristica interessante, anche se è finora rimasto ai margini della
storiografia sul Mar Rosso.389 La maggior parte dei lavori che si sono occupati di
questo tema, in effetti, ha limitato l’analisi ai primi tre secoli della presenza romana nel Mar Rosso, spingendosi non oltre l’età dei Severi, riservando ben poco
spazio a una sommaria trattazione dei commerci in epoca tardoantica, risolvendo
la pratica con la semplicistica definizione di un periodo di crisi, in cui il livello dei
commerci internazionali ebbe una notevole riduzione.390
Questa interpretazione è molto forte nella storia degli studi, nonostante negli
ultimi decenni la quantità di informazioni sulla fase tarda dell’impero romano a
disposizione per quest’area sia aumentata in modo significativo, grazie soprattutto agli scavi archeologici portati avanti nella regione a partire dalla fine del secolo
Cfr. supra, Introduzione.
Tra le poche eccezioni, vanno segnalati Ward 2007 e, in modo diverso, Power 2012.
390
Warmington 1928; Miller 1969; Sidebotham 1986a; Singh 1988; Young 2001; Tomber
2008; MacLaughlin 2014; Gurukkal 2016 seguono tutti una periodizzazione di questo tipo.
388
389
109
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
scorso. In particolare alcune di queste campagne di scavo, come quelle condotte
ad Aila e Berenice, unite a una più accurata analisi delle fonti letterarie tardoantiche, hanno chiarito che la definizione dell’epoca tardoantica come un periodo di
drastica riduzione del volume delle importazioni complessive dall’Oriente è certamente azzardata.391 Analizzeremo quindi nel dettaglio le evidenze documentarie di vario tipo che sono in nostro possesso, per comporre il quadro geografico
del Mar Rosso tardoantico. Successivamente, si passerà all’interpretazione dei
dati per cercare di comprendere il dettaglio del funzionamento di questo sistema.
Per cominciare, cerchiamo di verificare quale fu la sorte di quelli che abbiamo identificato essere i tre porti principali di epoca altoimperiale, cioè Berenice e
Myos Hormos sulla costa egiziana, e Leuke Kome su quella araba. All’elenco va
poi aggiunto il porto fluviale di Coptos, col suo ruolo vitale per mantenere in uso
gli approdi sulla costa egiziana.
Berenice
Gli scavi portati avanti dalle missioni coordinate dal Sidebotham hanno approfondito estensivamente la fase tarda della cronologia del sito, anche se di ciò
relativamente poco è stato pubblicato.392 In particolare, è risultato evidente che
la città conobbe un periodo di netta ripresa a partire dalla metà del IV secolo. Il
periodo di prosperità economica è attestato archeologicamente, e si estende fino
ad almeno la metà del V secolo, seguito da un periodo di stagnazione e successivamente di abbandono della città. Anche se la quantità di materiali ceramici
relativi al I secolo d.C. è superiore a quella di IV-VI secolo, nella sua fase tarda
Berenice sembra conoscere un significativo sviluppo urbanistico.393
L’impianto della città tardoantica appare essere decisamente più ampio di
quello di epoca altoimperiale e, ancor più, tolemaica. Parte degli edifici tardi fu
realizzata riutilizzando porzioni di costruzioni precedenti, come di consueto in
quell’epoca. In generale, si può verificare il tentativo di trovare una soluzione al
problema del progressivo insabbiamento della città, innalzando artificialmente
l’altitudine della stessa, grazie all’uso di materiali di risulta.394 L’area di costruIn tal senso, molto significativo il lavoro di Power 2012.
La maggior parte delle informazioni disponibili sono in Sidebotham 2002a; si veda inoltre
Sidebotham 2011, 259-282.
393
Sidebotham 2002a, 218.
394
Sidebotham 2011, 262.
391
392
110
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
zione più recente presenta un impianto urbanistico regolare, ippodameo. Questo farebbe presupporre che una qualche autorità centrale abbia sovrinteso alla
ricostruzione di Berenice in epoca tardoromana. Se si sia trattato di un potere
politico locale, provinciale o imperiale, o piuttosto dell’azione di una élite o di un
gruppo di imprenditori indigeni non è dato di sapere, sulla base dei dati finora
a disposizione.395 È chiaro che avere un’informazione di questo tipo rappresenterebbe un grosso passo avanti nella comprensione delle dinamiche economiche
che regolavano la vita non solo di Berenice, ma anche degli altri porti dell’area
del Mar Rosso.
Le indagini archeologiche hanno evidenziato un importante cambiamento
demografico nel sito della Berenice tardoantica. Grazie allo studio delle sepolture
in città, è stato possibile rilevare che in epoca alto imperiale gli abitanti di Berenice erano prevalentemente persone che provenivano dall’area nilotica dell’Egitto,
che giungevano a Berenice per affari, tramite la pista che partiva da Coptos. In
questo senso, l’esistenza di una tassa sul trasporto dei cadaveri a Coptos è indicativa del fatto che molti residenti a Berenice chiedessero poi di essere sepolti nelle
aree di origine.396 Durante la fase tardoantica la situazione cambiò, e la maggior
parte dei residenti provenivano dalle aree immediatamente circostanti la città, e
dal deserto orientale, come provato dall’aumento del numero di sepolture rinvenute nell’area della città in questo periodo.397 Inoltre, anche in epoca tarda esistono indizi di una presenza stabile o semi stabile di mercanti indiani a Berenice.398
D’altra parte, mentre non mancano indicazioni sul sistema di rifornimento
idrico della città in epoca imperiale, del tutto ignoto è come esso funzionasse in
epoca tarda.399 Per quanto riguarda l’approvvigionamento di cibo, si può presumere che esso venisse prodotto in parte in loco e in parte importato dall’esterno,
via mare.
Venendo agli aspetti più strettamente legati al commercio, la rinascita urbana
è direttamente legata a una rifioritura economica della città e al suo coinvolgimento nei traffici con l’Oriente. Le fonti contemporanee continuano a citare Berenice come porto di primaria importanza nei commerci con l’Oriente e le testimonianze archeologiche vanno nella stessa direzione, aumentando anzi proprio a
395
396
397
398
399
Sidebotham 2002a, 227-229.
La tariffa di Coptos, si veda supra, pagg. 91-92, con la relativa bibliografia.
Sidebotham 2011, 260-264.
Sidebotham 2011, 261-262.
Sidebotham 2003, 87-116.
111
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
partire dal IV secolo.400 Una quantità di ritrovamenti, come monete, brandelli di
tessuti, resti di flora e fauna, indicano chiaramente che i contatti con l’Oceano
Indiano erano frequenti, anche se sembra che nella fase tardoantica si siano particolarmente intensificati quelli con lo Sri Lanka, che potrebbe essere diventato il
principale punto di approdo per i mercanti provenienti da Berenice.401 Va anche
considerato che almeno parte di questi scambi si sarebbero potuti verificare in
maniera indiretta, tramite intermediari, circostanza suggerita dalla abbondante
quantità di reperti che fanno pensare a intensi contatti commerciali tra Berenice
e il regno axumita.402
Nonostante i contatti con le altre aree del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano
in epoca tardoantica fossero frequenti, quelli con le città del Mediterraneo si
andarono affievolendo. Nei primi due secoli della nostra era intensi, seppur indiretti, erano stati i contatti tra il porto egiziano e molte aree del Mediterraneo
centrale ed occidentale, come la Gallia, l’Africa e l’Italia, così come frequenti
furono le connessioni con i principali porti del Mediterraneo orientale. Dalla
seconda metà del IV secolo d.C., in base all’analisi dei rinvenimenti ceramici
appare evidente che i contatti con le installazioni del Mediterraneo si ridussero,
limitandosi all’area orientale. Questo dato però non riguarda solo Berenice, ma
tutto l’Egitto tardoantico e va messo in relazione con le condizioni economiche
e politiche precarie dell’Occidente romano.403
L’ultima fase della vita di Berenice si andò esaurendo a partire dalla prima
metà del VI secolo d.C., quando la città fu abbandonata definitivamente.404 Tra
le possibili cause del suo definitivo declino ci potrebbero essere il progressivo,
inesorabile insabbiamento del porto, la concorrenza di altri centri commerciali
come Adulis, nonché gli effetti della peste descritta da Procopio, che potrebbe
aver inferto il colpo di grazia alle fortune economiche della città.405
Sidebotham 1997, 503-509.
Tomber 2008, 161-170; Sidebotham 2011, 261; Power 2012, 38.
402
Sidebotham 1997, 508; Sidebotham 2002a, 231; Sidebotham 2011, 274.
403
Sidebotham 2002a, 233-234.
404
Sidebotham 2011, 279.
405
Procop., Bell. Pers., II, 22, 1-23, 21; II, 24, 8. Si vedano anche Keys 1999, 17-24; Sidebotham
2002a, 220; Sidebotham 2011, 280-282.
400
401
112
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Myos Hormos e Leuke Kome
Entrambi i porti scompaiono dalle nostri fonti di epoca tardoantica, per cui
non abbiamo informazioni scritte sulla loro sorte o sul loro eventuale abbandono. Tuttavia, è certo che nessuno dei due fosse operativo nella fase tarda del
controllo romano sul Mar Rosso. Il porto su cui abbiamo maggiori informazioni
è ovviamente Myos Hormos, grazie alle già citate campagne di scavo che hanno
interessato il sito di Quseir Al-Qadim. Esse hanno permesso di accertare che
la città fu sicuramente abbandonata entro il III secolo, per non essere mai più
abitata nuovamente. Tuttavia, i motivi dell’abbandono di quello che è ritenuto
da molti studiosi il principale porto romano sul Mar Rosso tra I e II secolo non
sono chiari.
In un certo senso anche più misterioso è il caso di Leuke Kome. In questo
caso non c’è il conforto dei dati archeologici, anche perché il sito non è ancora
stato individuato con certezza.406 Il porto scompare dalle nostre attestazioni letterarie posteriori al I secolo, per cui è facile ipotizzare che con ogni probabilità
esso fu abbandonato nel corso del II o del III secolo, forse affetto dagli stessi
problemi di Myos Hormos, o forse in seguito agli assestamenti successivi alla
conquista della Nabatea da parte di Traiano.
Sia per Myos Hormos sia per Leuke Kome, la maggior parte degli studiosi
ha ipotizzato che essi furono colpiti dalle conseguenze della grave crisi che colpì
l’Impero nel III secolo d.C., e da cui non si sarebbero più ripresi. L’analisi del
Ward sintetizza bene l’opinione più diffusa su questo tema al momento: “However, the nature of Red Sea trade changed as a result of the decline of imperial
authority, insecurity, and economic downturn during third century crisis. Myos
Hormos and Leuke Kome were abandoned, and the Aksumite Kingdom rose to
prominence. Merchants from the Roman Empire may have abandoned direct
trade with India, although the causes and the results of this transformation are
still largely mysterious.”407
406
407
Nappo 2010.
Ward 2007, 161; opinioni simili sono espresse da Young 2001, 125-130.
113
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Coptos
La storia di Coptos in epoca tardoantica è complessa e per certi versi contraddittoria. La città alla fine dell’epoca altoimperiale aveva uno status considerevole:
μητρόπολις del νομός in cui essa si trovava (condizione che, peraltro, manterrà
anche in epoca tardoantica), la sua posizione strategica alla confluenza di una
serie di rotte commerciali le assicurava la prosperità economica, e una rete di
postazioni militari la proteggeva da eventuali attacchi provenienti dal deserto.
A partire dalla fine del III secolo d.C. le nostre informazioni documentarie su
Coptos diminuiscono sensibilmente: i testi epigrafici e papirologici provenienti
da essa o ad essa facenti riferimento diventano decisamente più rari, e anche le
fonti letterarie latine e greche sono avare di accenni alla storia della città. Questo
fenomeno è probabilmente ascrivibile ai travagliati eventi politico-militari in cui
Coptos e tutta la Tebaide furono coinvolte fin dalla fine del III secolo, che segnarono negativamente la città, come riportato nelle nostre fonti latine e greche, laddove quelle copte cristiane non mancano di ribadire la prosperità e importanza
che il sito aveva ancora in epoca tardoantica.408
Buona parte dei problemi di Coptos sono da ricondursi al suo coinvolgimento in fenomeni di ribellione verificatesi in Egitto alla fine del III secolo, per
ben due volte. La prima si ebbe negli anni intorno al 290: la rivolta fu repressa
violentemente in una data compresa tra il 291 e il 293-94 dall’imperatore in persona, Diocleziano o il suo caesar Galerio.409 Coptos prese parte all’insurrezione
e ne fu anzi il centro principale, per poi essere infine punita dai tetrarchi per la
sua infedeltà.
Pochi anni dopo (296/297) ci fu un tentativo di secessione capeggiato da
L. Domizio Domiziano, e dal suo complice, il corrector Aurelio Achilleo.410 La
rivolta si estese a tutto l’Egitto e Domiziano arrivò persino ad autoproclamarsi
imperatore ad Alessandria. Grazie a un dossier di papiri sappiamo che anche in
questo caso Coptos fu coinvolta nella rivolta.411 Ma anche in questo caso Diocleziano stroncò ogni velleità secessionista. Egli cinse d’assedio Alessandria stessa
nel 298, si recò poi nell’Alto Egitto e soggiornò per un periodo a Coptos. Non
Fournet 2000, 196.
Barnes 1976, 174-193; Fournet 2000, 198; Leadbetter 2002, 85-88; Sidebotham 2011, 260.
410
Sulla datazione e le vicende di questa rivolta resta fondamentale il contributo di Thomas
1976, 253-279.
411
P.Mich. III, 220.
408
409
114
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
sappiamo se furono presi ulteriori provvedimenti contro la città, che certamente
non restò impunita per essersi ribellata due volte all’autorità imperiale in meno
di dieci anni.
Tra le conseguenze della repressione imperiale in seguito a questo periodo
alquanto turbolento, le fonti riportano l’assedio e la distruzione di Coptos, avvenuta per mano di Galerio.412 La tesi della distruzione definitiva di Coptos ha
avuto parecchio seguito in parte degli studiosi ed è stata considerata uno dei motivi principali del declino di Myos Hormos e Berenice.413 In realtà, nonostante le
esplicite testimonianze delle fonti letterarie che parlano di distruzione della città,
non ci sono prove concrete che essa abbia subito danni strutturali considerevoli.
Probabilmente la punizione dei tetrarchi fu severa, ma di tipo diverso da quello
che le testimonianze letterarie lasciano intuire. A fornire interessanti indizi per
comprendere i retroscena di quanto avvenne abbiamo la testimonianza di un
papiro da Panopolis, datato al 300 d.C., che cita un κάστρα τῆς Ποτεκόπτου414
toponimo non altrimenti conosciuto. La spiegazione proposta dall’editore per
interpretare il toponimo sembra ragionevole: “Coptos was the centre of a revolt
against Diocletian – either the rebellion of Domitianus or an earlier rising – and
the city was taken and destroyed by the Emperor. I suggest that, as punishment
for the city, it was proposed to abolish its name and substitute another, and that
pending a decision on its new name it was referred to officially as ἡ ποτὲ Κόπτος,
‘the former Coptos’.”415
Una leggera variante a questa interpretazione è stata successivamente fornita
dal Fournet: “on peut aussi penser que Coptos s’est vue tout simplement privée
de nom en signe de ce que j’appellerais une « damnatio memoriae toponimique »,
Girolamo, Chronic., a.226: Busiris et Coptus contra Romanos rebellantes ad solum usque subversae sunt; Theoph., Chronogr., p. 7, ll. 23-25 ed. De Boor (= anno Mundi 5782): Τούτῳ τῷ
ἔτει Διοκλητιανὸς καὶ Μαξιμιανὸς ὁ Ἐρκούλιος Ὁβουσίριν καὶ Κόπτον, πόλεις ἐν Θήβαις
τῆς Αἰγύπτου, εἰς ἔδαφος κατέσκαψαν ἀποστατησάσας τῆς Ῥωμαίων ἀρχῆς; Zonar., XII,
31: Βουσίρεως δὲ καὶ Κόπτου πολέων Αἰγυπτιακῶν περὶ τὰς ἐκεῖ Θήβας οἰκουμένων
εἰς ἀποστασίαν ἐκκλινασῶν, ὁ Διοκλητιανὸς ἐκστρατεύσας κατ᾿αὐτῶν εἷλέ τε αὐτὰς καὶ
κατέσκαψεν; Cedr., 266D: τῷ ζ ἔτει αὐτῶν τὴν Βουσίριν καὶ τὴν Κόπτον, πόλεις ἐν Θήβαις
τῆς Αἰγύπτου, ἀποστατησάσας τῆς Ῥωμαίων ἀρχῆς, εἰς ἔδαφος κατέσκαψαν. Il fatto che i
tre autori greci utilizzino le stesse parole è un chiaro segnale del fatto che fanno tutti capo ad
una fonte comune.
413
Si veda a tal proposito Sidebotham 2011, 260-261.
414
P.Panop.Beatty 2, 162; 187; 193.
415
P.Panop.Beatty 2, 162, nota.
412
115
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
qui pourrait aller de pair avec la destruction qu’elle aurait subie d’après quelques
sources litteraires – destruction probablement plus symbolique que réelle.”416 Lo
studioso francese fa anche notare che in quegli stessi anni anche ad altre due
città nei pressi di Coptos fu cambiato nome: Kaine diventò Massimianoupolis,
laddove Apollonoupolis Parva diventò Diocletianoupolis, in questo caso evidentemente per rendere omaggio a due città che si erano dimostrate fedeli duranti le
insurrezioni di fine III secolo.417
Si sarebbe trattato, nel caso di Coptos, di una simbolica cancellazione della
città, piuttosto che di una sua effettiva distruzione, come le fonti antiche lascerebbero intendere. Il quadro che esse offrono risentirebbe quindi di uno stereotipo, e
sarebbe frutto di una esagerazione retorica, come ebbe già modo di sottolineare a
suo tempo il Bowman: in realtà la città sopravvisse e recuperò la sua importanza,
fino a diventare la sede del vescovo locale.418
In ogni caso la repressione tetrarchica dovette per un periodo tarpare le ali
allo sviluppo economico della città, che fu però proprio dai tetrarchi messa al
centro di un poderoso programma di potenziamento delle difese militari, che
si andava a iscrivere nel più vasto programma di riorganizzazione militare della
frontiera sud egiziana.419 Non è un caso che in questi anni faccia la sua comparsa
nella documentazione la definizione κάστρα τοῦ Κόπτου, attestata nel già citato
papiro del 300,420 nonché in uno del primo quarto del IV secolo da Hermoupolis.421 L’idea di una militarizzazione della città in epoca tarda è anche confermata dai dati archeologici in nostro possesso.422 Non si conosce con precisione la
composizione dei reparti militari stanziati in città. Il papiro del 300 non dà informazioni chiare, mentre maggiori dettagli sono contenuti in una iscrizione del
316, rinvenuta a Coptos, che attesta la presenza di una vexillatio della Legio III
Gallica e della Legio I Illyrica.423 La Notitia Dignitatum riporta invece la presenza
in città di alcuni distaccamenti della Legio I Valentiniana e di equites sagittarii
Fournet 2002, 53.
Fournet 2000, 198; Fournet 2002, 54-55.
418
Bowman 1984, 35.
419
Bowman 1978, 25-38.
420
P.Panop.Beatty 2, ll. 162; 187; 193.
421
SPP, XX, 84, verso, col. 1, l. 13. Peraltro questo testo ci informa che ben presto Coptos poté
recuperare il suo nome originale.
422
Fournet 2000, 199.
423
Bernard 1984, n° 91.
416
417
116
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
indigenae.424 L’ultimo documento che parla di presenza militare a Coptos è un
dossier di ostraka di Aphrodito che attesta la presenza di buccellarii.425
A partire dal IV secolo in avanti, dunque, Coptos ritornò a recitare un ruolo
significativo nella regione, anche se diverso da quello che aveva avuto fino a un
secolo prima. Fu potenziato il suo ruolo di baluardo militare contro le incursioni
dei Blemmii, anche in considerazione dell’arretramento del limes sud-egiziano
operato da Diocleziano. Il suo ruolo di porto fluviale sul Nilo non venne meno,
ma sicuramente la scomparsa di Myos Hormos dal novero dei porti internazionali dovette contribuire a ridurre il traffico commerciale passante da Coptos a
partire dal III secolo. Le vicissitudini legate al periodo tetrarchico gettarono certamente la città in un periodo buio, da cui però si riprese con una certa rapidità.
Tempo dopo, una nuova tappa significativa nella storia della città fu segnata
da un nuovo cambio toponomastico. Sotto l’imperatore Giustiniano, infatti, la
città fu ribattezzata Giustinianopoli, come sarebbe attestato da Giorgio di Cipro: Κόντω (l. Κοπτὼ) ἤτοι Ἰουστινιανούπολις.426 Non abbiamo purtroppo
altre attestazioni di questo toponimo, né letterarie, né documentarie,427 e resta
altresì difficile capire i motivi che spinsero Giustiniano I a ribattezzare la città
col suo nome. Tutto ciò che si può dire al riguardo è limitarsi a sottolineare che
il regno di Giustiniano fu caratterizzato da un significativo interesse per l’area
di Coptos e del deserto orientale egiziano in genere, area in cui fu riavviato lo
sfruttamento delle miniere auree.428 Oltre a ciò, nell’epoca compresa tra Giustino
e Giustiniano, furono frequenti i momenti di attriti militari con le popolazioni
ostili, residenti nella zona, come gli Himyiariti, per contrastare i quali si giunse a stringere alleanza con gli antichi nemici Blemmii. È possibile, quindi, che
proprio per il ruolo chiave nella gestione di un’area divenuta così delicata Coptos
sia stata onorata con l’apposizione del nome imperiale nel suo toponimo.429 Ciò
che pare particolarmente interessante è che la testimonianza di Giorgio di Cipro
Not. Dig. Or., XXXI 18, 19, 26, 36.
Gascou e Worp 1990, 217-244, n° 16, 20, 21 e 25.
426
Georg. Cipr., 772.
427
In verità, si è anche proposto di ravvisare un’altra attestazione di questo nuovo toponimo di
Coptos in un papiro contenente un contratto, databile al 711 o al 726 (Schiller , n° 5, l. 159).
Tuttavia, la Ἰουστινιανούπολις a cui nel testo si fa riferimento potrebbe essere più probabilmente un’altra città, con lo stesso toponimo, situata nei pressi del delta del Nilo. Si veda Fournet
2002, 56-57.
428
Fournet 2002, 57-58.
429
Fournet 2002, 59-60.
424
425
117
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
attesterebbe un nuovo periodo di forte interesse nei confronti della città e la sua
importanza strategica dal punto di vista militare che, a partire dall’epoca di Diocleziano, arriva fino almeno a quella di Giustiniano I.
In conclusione, dei tre porti principali di epoca altoimperiale, solo uno era
ancora attivo e fiorente a partire dal IV secolo, Berenice. E a questo punto appare
chiaro perché il più meridionale dei porti egiziani abbia subito un periodo di relativo declino tra III e inizio IV secolo: il periodo difficile attraversato da Coptos
ebbe certamente delle conseguenze negative sulla prosperità di Berenice, che era
pressoché inutilizzabile senza il collegamento col fiume Nilo fornito dalla città
fluviale. Nel corso del IV secolo, le due città poterono reciprocamente sostenere la
propria rinascita economica. Questa rinascita, però, avvenne in un quadro molto
diverso da quello che aveva caratterizzato i primi due secoli e mezzo del dominio
diretto di Roma nell’area.
2. L’ascesa dei porti settentrionali
Lo sviluppo considerevole del volume di traffici con l’Oriente nei porti romani nel Mar Rosso settentrionale in epoca tardoantica può risultare sorprendente,
specie alla luce di quanto si è detto sulla geografia particolarmente ostile tipica di
questa zona, e della difficoltà di navigarvi controvento. Prima di fornire una spiegazione complessiva per questo fenomeno è necessario analizzare nel dettaglio la
storia di questi porti, nel corso dell’epoca tardoantica, per poi passare a valutare
il fenomeno nel suo insieme.
Aila
Lungo tutta l’età tardoantica il ruolo di Aila è testimoniato da molteplici dati
concordanti, tutti volti a identificare nella città un centro di notevole importanza, dal significativo ruolo strategico e commerciale.430 Sono tre gli ambiti in cui il
nome della città sembra avere svolto un ruolo preminente: militare, commerciale
e religioso. I primi due sono ovviamente quelli maggiormente connessi con l’argomento di questo lavoro.
430
Ward 2007, 163-164.
118
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Per quanto riguarda il primo ambito, quello militare, va ricordato che fu in
seguito alla campagna militare di Traiano e la conseguente annessione del regno
di Nabatea nel 106, che la città divenne parte dell’impero e diventò terminale
della via Nova Traiana.431 Successivamente, va menzionata la testimonianza di
Eusebio di Cesarea, il quale ricorda come la grande riorganizzazione militare di
epoca tetrarchica non abbia mancato di coinvolgere Aila. Qui, infatti, negli anni
attorno al 290 l’imperatore Diocleziano fece trasferire la Legio X Fretensis, precedentemente ubicata a Gerusalemme:
Αἰλάμ. Ἐν ἐσχάτοις ἐστι -Παλαιστίνης- παρακειμένη τῇ πρὸς μεσημβρίαν ἐρήμῳ
καὶ τῇ πρὸς αὐτὴν Ἐρυθρᾷ Θαλάσσῃ, πλῶτῃ οὔσῃ τοῖς τε ἀπ᾿Αἰγύπτου περῶσι καὶ
τοῖς ἁπὸ τῆς Ἰνδικῆς. Ἐγκάθηται δὲ αὐτότι τάγμα ᾿Ρωμαίον τὸ δέκατον. Καλεῖται
δὲ νῦν Ἀϊλά.432
“Ailam. Si trova sui confini (della Palestina) situata presso il deserto a sud e il Mar Rosso, navigabile per quelli che provengono dall’Egitto e per quelli che tornano dall’India.
È sede della decima Legione romana. Ora è chiamata Aila.”
L’evento indica chiaramente che lo status della città era cambiato definitivamente: quello che per secoli era stato un porto secondario del Regno dei Nabatei
e poi della provincia d’Arabia era ormai diventato un importante centro militare
della regione.433 Coerentemente con questo dato, va ricordato che Diocleziano
promosse la costruzione di una strada ad uso militare, la Strata Diocletiana, che
agganciandosi al punto più settentrionale della via Nova Traiana andava a creare
un unico asse che da Aila raggiungeva il fiume Eufrate, correndo più o meno parallelo al limes romano-persiano. Questo asse ovviamente aveva una valenza strategica primaria perché consentiva di agevolare i movimenti dell’esercito romano
su quel fronte e Aila ne divenne uno dei due terminali, alloggiando per di più
un’intera legione.434 La crescita della città è testimoniata anche dalla fondazione
in loco di una chiesa nell’anno 300, una delle più antiche del mondo.435
Power 2012, 28.
Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21.
433
Parker 2000b, 128-134.
434
Per una riflessione generale sul tema della ristrutturazione militare di IV secolo nella provincia Arabiae, si veda Parker 1989, 355-372; Parker 2000c, 372-374.
435
Power 2012, 29.
431
432
119
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Nel corso di una campagna di scavo negli anni ’80 è stata rinvenuta in situ
una iscrizione piuttosto frammentaria nei pressi di un edificio, databile tra il 317
e il 326, la quale parrebbe alludere proprio alla presenza della Legio X Fretensis
in città.436 Che la legione fosse ancora presente due secoli dopo lo testimonia la
Notitia Dignitatum, che riporta ancora alla fine del V secolo il distaccamento ad
Aila. La legio rimase in effetti in città fino alla grande riorganizzazione militare
di Giustiniano, nella prima metà del VI secolo.437 La produzione industriale aumentò nel IV e nel V secolo, come attestato dai dati archeologici e dall’aumento
dell’attività mineraria nella regione.438 Anche i commerci aumentarono a partire
dal IV secolo, come attesta la presenza di anfore provenienti da Gaza e dall’Egitto, dal Mediterraneo, in particolare ceramica fine africana ed egiziana.439 A
sugellare la fioritura economica del sito, proprio all’inizio del IV secolo esso fu
insignito del titolo di città.440
Ulteriore conferma del ruolo strategico svolto da Aila è fornita dalla testimonianza della Tabula Peutingeriana, la quale descrive la città come punto di
congiunzione tra importanti rotte: una che essenzialmente segue la via Nova
Traiana, a NordEst fino alla Transgiordania; una a Nord attraverso il Negev, fino
alla Palestina; e una terza via attraverso il Sud, per il Sinai, fino all’Egitto.
Per quanto riguarda più da vicino le fortune commerciali di Aila, possiamo
innanzitutto avvalerci delle testimonianze di una serie di scrittori antichi, i quali
non mancano di mettere esplicitamente in connessione il porto con i commerci
internazionali diretti in Oriente. Il primo è proprio Eusebio di Cesarea, nel passo
appena esaminato supra.441 Va però sottolineato come la maggior parte di esse
risalgano prevalentemente al VI secolo, in particolar modo al periodo successivo
al regno di Anastasio I. A tal proposito, ad esempio, è molto generoso di informazioni Procopio di Cesarea, il quale nel primo dei suoi libri di Bella menziona più
volte Aila,442 sottolineando il ruolo della città in relazione al commercio passante
per l’area del Mar Rosso.443
436
437
438
439
440
441
442
443
MacAdam 1989, 163-172.
Parker 1996, 234-235.
Parker 1997, 40; Parker 2006, 228.
Parker 1998, 388-389; Parker 2000a, 392-393; 2003, 332; Ward 2007, 163.
Lewin 2002, 321-322.
Euseb., Onom., E. Klosterman, 6, 17-21.
Procop., Bell. Pers., I, 19, 3-4; I, 19, 19.
Procop., Bell. Pers., I, 19, 23-26.
120
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Dello stesso periodo è Antoninus Placentinus, il quale ancora nel 570 ricorda
come ad Aila approdassero navi provenienti dall’India, cariche di spezie:
De monte Syna usque in Arabiam civitatem, quae vocatur Abela (= Aila), sunt mansiones
VII. In Abela autem descendentes naves de India cum diversis aromatibus. Visum est nobis
per Aegyptum reverti.444
“Dal monte Sina fino alla città araba che chiamano Abela sono sette mansiones. In Abela discendono navi dall’India con diversi aromi. Decidemmo di tornare per l’Egitto.”
Certamente la più nota tra le fonti di questo periodo è l’opera di Cosmas Indicopleustes, il quale nella sua Topographia Christiana ricorda come ai suoi tempi
i mercanti di Aila (insieme con quelli di Alessandria) fossero attivi nell’area del
Mar Rosso, in particolare presso l’emporio axumita di Adulis:
Ἐν τῇ Ἀδούλῃ τῇ καλουμένῃ τῶν Αἰθιόπων πόλει, παραλίῳ τυγκανούσῃ ὡς ἀπὸ
μιλίων δύο, λιμένι ὑπαρχούσῃ τοῦ Ἀξωμιτῶν ἔθνους, ἔνθα καὶ τὴν ἐμπορίαν
ποιούμεθα οἱ ἀπὸ Ἀλεξανδρείας καὶ ἀπὸ Ἐλᾶ ἐμπορευόμενοι […].445
“Nella città degli Etiopi chiamata Adulis, che si trova sulla costa a circa due miglia, che
è un porto del popolo degli Axumiti, dove anche facciamo commercio noi mercanti
provenienti da Alessandria e da Ela.”
Si tratta delle testimonianze più tarde in nostro possesso, prima dell’arrivo
degli Arabi, avvenuto pochi decenni dopo, nel 630. È certamente significativo
che, quando la città fu infine conquistata dalle truppe arabe, Maometto in persona dovette fornire garanzie per la flotta e per le carovane terrestri e marittime,
segno di un ancora fortissimo legame di Aila con il commercio.446
Un quadro più articolato sulla storia della città dal IV secolo in poi può essere delineato a partire dai dati acquisiti tramite scavi archeologici. Sotto questo
punto di vista, va detto che fin dalla metà degli anni ’80 in particolare, gli scavi
condotti dal Parker hanno portato un notevole contributo al nostro livello di
444
445
446
Antonin. Placent., CCSL, vol. 175, pag. 172, par. 40.
Cosm. Indicop., II, 54.
Zayadine 1994, 489; Power 2012.
121
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
comprensione generale del sito. In maniera non dissimile da quanto rilevato a
proposito di Berenice, parrebbe che il sito d’epoca bizantina (IV-VII secolo) si
sia ingrandito nel corso della sua storia ben più di quello d’epoca romana, come
lascerebbe intuire l’invasione di una porzione dell’area cimiteriale da parte dell’abitato.447 L’analisi dei reperti ceramici rinvenuti in città permette di comprendere
in quali direttrici commerciali essa fosse inserita e, in misura minore, quale fosse
il livello raggiunto da questi scambi. Buona parte della ceramica databile tra
III e VII secolo (60%) è di origine africana (destinata a declinare dal V secolo)
e una cospicua minoranza è ceramica rossa egiziana (a partire dal IV secolo);
tra i gruppi minoritari, ne troviamo di produzione axumita, dall’Etiopia.448 Per
quanto riguarda le importazioni di anfore, a partire dal IV secolo il loro numero incrementa in maniera sensibile: troviamo contenitori di olio dal Nord della
Siria, dall’Asia minore, e dalla Palestina.449 Tuttavia, i due tipi di gran lunga più
comuni attestati ad Aila sono le anfore tipo Gaza (classi 48 e 49) e le anfore egiziane (classi 52-53).450 Le prime trasportavano principalmente vino, oltre a olio di
oliva e di sesamo.451 La tipologia egiziana è la più attestata in assoluto, con i suoi
1.600 frammenti, più della metà di tutti i frammenti di anfore importate ritrovati: anche in questo caso, si tratta di recipienti per il trasporto di vino.452 L’importazione delle anfore egiziane andò avanti fino al VII secolo. Un ultimo accenno
va fatto alla produzione locale di epoca tarda, molto abbondante: le cosiddette
anfore “Aila-Axum”, attestate dal tardo IV all’inizio del VII secolo. Centinaia di
frammenti ne sono stati ritrovati ad Aila, ma anche nei principali siti archeologici, lungo la costa del Mar Rosso, in Egitto, Yemen, Eritrea ed Etiopia, risultando
attestati, ad esempio, ancora nel VI secolo a Berenice.453 Questo quadro permette
di comprendere i forti legami commerciali che Aila, in epoca tardoantica, ebbe
con tutto l’oriente romano, svolgendo il ruolo di grande nodo commerciale.454 La
presenza della ceramica tipo Aila-Axum in tutto il bacino del Mar Rosso ne è
Parker 1998, 381.
Parker 2002a, 423-425.
449
Peacock e Williams 1986, 185-192; Ward 2007, 163.
450
Parker 2002a, 424.
451
Peacock e Williams 1986, 196-199.
452
Peacock e Williams 1986, 204-207.
453
Wilding 1989, 314; Sibebotham e Wendrich 1996, 159-161.
454
Per una sintesi aggiornata dei resoconti di scavo ad Aila l’ultimo testo per ora a disposizione
è Parker 2003, 321-333.
447
448
122
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
un segnale evidente, ed andrà messa in relazione alla già citata testimonianza di
Cosmas Indicopleustes, il quale sottolinea la presenza di mercanti provenienti da
Aila nel porto di Adulis, il principale approdo axumita.455
Jotabe
A partire almeno dal V secolo, un’altra località ubicata proprio nei pressi
del Golfo di Aqaba pare aver assunto un’importante funzione, nel contesto del
commercio internazionale eritreo. Si tratta dell’isola di Jotabe. Purtroppo, non
disponiamo, allo stato attuale, di dati sufficienti a delineare in maniera abbastanza chiara la storia di questo insediamento. Cercheremo, dunque, di evidenziare i
pochi punti fermi. Il primo e fondamentale nodo da sciogliere riguarda l’identificazione del sito. L’unica delle nostre fonti letterarie a fornire qualche indicazione
precisa sull’ubicazione di Jotabe è Procopio. Egli, nel primo libro dei suoi Bella,
attesta che l’isola si trovava a una distanza di 1.000 stadi dal porto di Aila: […] ἐς
τὴν Ἰοτάβην καλουμένην νῆσον, Αἰλᾶ πόλεως σταδίους οὐχ ἧσσον ἢ χιλίους
διέχουσαν.456
Sulla base di quest’unica informazione, senza il conforto di alcun dato archeologico, alcuni studiosi hanno proposto di identificare Jotabe con la moderna
isola di Tirān, posta proprio all’ingresso del Golfo di Aqaba, distante da Aila
all’incirca 1.000 stadi. Tuttavia, successive indagini archeologiche condotte a
Tirān tra il 1956 e il 1957 non hanno portato alla luce alcuna testimonianza che
possa far pensare a una frequentazione dell’isola in epoca antica; oltre a ciò, essa
presenta caratteristiche ambientali poco favorevoli, essendo scarsamente provvista di acqua e costantemente battuta da venti ostili.457
In anni successivi è stata poi avanzata l’ipotesi di poter identificare Jotabe
con l’isola di Ğeziret Fira‘un, apparentemente sulla base di dati provenienti da
455
Cosm. Indicop., II, 54. L’importanza del regno axumita nel contesto del commercio eritreo
in epoca tardoantica è stato sottolineato giustamente dagli studiosi. Tuttavia, andrà ricordato
che già nel Periplus Maris Erythraei, che si riferisce alla situazione di I secolo d.C., si parla di
Adulis come di un porto di importanza notevole. Si veda, a tal proposito, Burstein 1997, 79-82;
Peacock e Blue 2007; Zazzaro 2013; Zazzaro et all. 2014.
456
Procop., Bell. Pers., I, 19, 3.
457
Rothenberg e Aharoni 1961, 162.
123
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
scavo archeologico.458 La prima difficoltà che questa identificazione comporta è
che Ğeziret Fira‘un è collocata a non più di 17 km da Aila; come se ciò non bastasse, gli scavi archeologici condotti nel sito hanno riportato alla luce solo resti
di epoca mamelucca e crociata. Per questi motivi, anche l’identificazione con
Ğeziret Fira‘un non può essere presa in seria considerazione.459 Ad oggi, dunque,
l’ubicazione dell’isola resta ignota.
Altro fondamentale problema è comprendere per quanto tempo l’isola ricadde entro la sfera di influenza romana. Le fonti antiche ne fanno menzione esclusivamente in un lasso di tempo compreso tra il 451 e il 536.460 Questo non vuol
dire, è bene precisarlo, che al di fuori di questi limiti cronologici non sia esistita
una comunità sull’isola: semplicemente, questo è l’unico periodo per cui disponiamo di una qualche documentazione. Tutte le nostre fonti sono concordi nel
definire l’isola come una stazione doganale, in cui passavano le merci in arrivo
dall’India per essere tassate e smistate nei vari porti.461
Il primo autore a parlare dell’isola è il sofista Malco di Filadelfia. Questi
polemizza fortemente contro l’imperatore Leone per il suo atteggiamento troppo
remissivo nei confronti dei nemici esterni allo Stato e riferisce di come, nel 473,
il capo arabo Amorkesos sia riuscito a strappare Jotabe al controllo di Costantinopoli:
ἐν δὲ τοῖς Πέρσαις ἦν ὁ Ἀμóρκεσος τοῦ Νομαλίου γένους· καὶ εἴτε τιμῆς οὐ
τυγχάνων ἐν τῇ Περσίδι γῇ ἢ ἄλλως τὴν Ῥωμαίων χώραν βελτίω νενομικὼς,
ἐκλιπὼν τὴν Περσίδα εἰς τὴν γείτονα Πέρσαις Ἀραβίαν ἐλαύνει, κἀντεῦθεν
Si vedano, a tal proposito, Rothenberg e Aharoni 1961, 80-86; Solzbacher 1989, 178-181;
Mayerson 1992, 3.
459
Mayerson, 1992, 3; Successivamente, in Mayerson 1995, 33-35, lo studioso ha proposto una
ipotesi alquanto singolare, per provare a identificare l’antica Jotabe. Egli, analizzando i passi
degli autori antichi che parlano dell’insediamento, ha provato a dimostrare che in effetti la maggior parte di essi non attesta in maniera esplicita che Jotabe fosse un’isola, e che in particolare
le campagne militari intraprese dai comandanti romani per riassoggettare Jotabe sono descritte come spedizioni terrestri, piuttosto che marittime. Tuttavia, questa bizzarra ipotesi collide
quantomeno con la esplicita affermazione di Procopio, che definisce Jotabe un’isola, lasciando
apparentemente ben pochi dubbi al riguardo.
460
Abel 1938, 533-534: le due date che delimitano questo periodo sono quelle del Concilio di
Calcedone (451) e della Sinodo di Gerusalemme (536), ai quali entrambi partecipò un “vescovo
di Jotabe”.
461
Malchus, 2.404-06; Theoph., Chronogr. (ed. De Boor 1883), p. 141, 15-18; Choricius, Laud.
Arat. et Steph. (ed. Foerster e Richsteig 1929), p. 65, 22-23 e p. 67, 17-19.
458
124
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
ὁρμώμενος προνομὰς ἐποιεῖτο καὶ πολέμους Ῥωμαίων μὲν οὐδενὶ, τοῖς δὲ ἀεὶ
ἐν ποσὶν εὑρισκομένοις Σαρακηνοῖς· ἀφ’ὧν καὶ τὴν δύναμιν αὔξων προῄει κατὰ
μικρòν. μίαν δὲ τῶν Ῥωμαίων παρεσπάσατο νῆσον Ἰοτάβην ὄνομα, καὶ τοὺς
δεκατελóγους ἐκβαλὼν τῶν Ῥωμαίων αὐτòς ἔσχε τῆν νῆσον, καὶ τὰ τέλη ταύτης
λαμβάνων χρημάτων εὐπóρησεν οὐκ ὀλίγων ἐντεῦθεν.462
“Tra i Persiani c’era Amorkesos, della tribù di Nomalios: questi lasciò la Persia e si
diresse verso quella parte dell’Arabia che con la Persia confina. Partendo da lì, egli fece
scorrerie e attacchi, non contro i Romani, ma contro i Saraceni in cui si imbatteva. Da
ciò il suo potere aumentava poco a poco. Egli si impadronì di una delle isole dei Romani, chiamata Jotabe, e avendo espulsi gli esattori delle tasse romani, tenne in pugno
l’isola, e accumulò una grande ricchezza esigendo le tasse.”
Dunque, Amorkesos sembra assumere un atteggiamento alquanto contraddittorio: prima sceglie di passare dalla parte dei Romani e poi si impossessa di una delle loro isole. In realtà, il vero scopo del saraceno è chiarito poche righe dopo, quando Malco afferma che ὁ αὐτòς Ἀμóρκεσος τῶν πλησίον
ἀφελóμενος κωμῶν ἐπεθύμει Ῥωμαίοις ὑπóσπονδος γενέσθαι καὶ φύλαρχος
τῶν ὑπò Πετραίαν ὑπò Ῥωμαίοις ὄντων Σαρακηνῶν.463 Pertanto, l’obiettivo di
Amorkesos era di essere riconosciuto quale ὑπóσπονδος καὶ φύλαρχος, imponendo con la forza la sua alleanza a Leone. L’azzardo fu premiato dal successo,
perché, come Malco ricorda polemicamente, l’imperatore concesse senza troppa
difficoltà il titolo di φύλαρχος al capo saraceno,464 a patto che questi accettasse
di convertirsi alla religione cristiana.465
Malch., (edizione di R.C. Blockley, The Fragmentary Classicising Historians of the Later Roman Empire, Liverpool 1983) fr. 1, 7-16.
463
Malch., fr. 1, 17-19.
464
Sulla figura di Amorkesos in genere e sul significato della sua vicenda, nel contesto delle
relazioni tra impero romano e tribù barbare alleate, si vedano Letsios 1989, 525-538. Interessante discussione sulla valenza del titolo di φύλαρχος durante l’epoca altobizantina in Mayerson
1991, 291-295.
465
Malch., fr. 1, 33-44. L’autore sottolinea anche come ad Amorkesos fu infine concesso non
solo il controllo dell’isola, ma anche ἄλλας κώμας πλείονας. Nonostante la disapprovazione di
Malco, la storia di Amorkesos è un tipico esempio di come Costantinopoli utilizzasse la cristianizzazione come strumento di controllo dei territori di frontiera e di alleanza con le popolazioni
che vivevano in quelle zone. Si veda Cameron 2012, 175.
462
125
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Un particolare che è fondamentale ai fini della comprensione dell’episodio
è che, fino all’arrivo di Amorkesos sull’isola, erano ivi presenti dei personaggi
che Malco definisce usando un termine particolare, δεκατελóγοι. Questo termine, insieme ad altri sostantivi di analoga derivazione come δεκατευτήριον,
δεκατευτής, o il verbo δεκατεύειν, si trova attestato essenzialmente nelle fonti
di V e VI secolo.466 Essi fanno tutti riferimento alla riscossione di dazi doganali,
e possono essere interpretati semplicemente come sinonimi di “doganiere”, senza alcun riferimento ad una precisa percentuale (10%), che rappresenterebbe la
quota da pagare.467 A Jotabe c’era quindi una postazione doganale, dove degli
addetti definiti δεκατολóγοι riscuotevano dazi su tutte le merci che entravano
nell’impero. Questi funzionari statali furono allontanati da Amorkesos, allorché
questi si insediò a Jotabe, impadronendosi anche dei proventi doganali, come
ricordato da Malco: καὶ τὰ τέλη ταύτης λαμβάνων χρημάτων εὐπóρησεν οὐκ
ὀλίγων ἐντεῦθεν. In conclusione, in base a quanto riportato da Malco possiamo
dedurre una serie di punti fermi.
Innnanzitutto, possiamo affermare che prima del 473,468 l’isola rientrava
certamente nei domini dell’Impero Romano d’Oriente, che qui riscuoteva tasse
doganali sulle merci di importazione estera, per mezzo di agenti definiti nel testo
δεκατολóγοι. A partire dal 473, invece, l’isola divenne possesso di un φύλαρχος
saraceno: ciò non comportò una sua completa fuoriuscita dall’orbita politica
dell’Impero, però essa smise di fornire il suo gettito fiscale, di cui si impadronì
Amorkesos.
Si veda a tal proposito la ricca documentazione discussa da Antoniadis-Bibicou 1963, 75-95.
Ancora una volta, fondamentale resta il lavoro di Antoniadis-Bibicou 1963, 92-95. Secondo
la studiosa, in questo periodo la tassa che veniva imposta alle merci in entrata gravava per 1/8
del valore complessivo, e i funzionari addetti alla riscossione erano conseguentemente chiamati
octavarii. Si veda, in ogni caso, anche l’interpretazione di Mayerson 1992, 3, il quale non fa
riferimento al testo della Antoniadis-Bibicou, per cui parrebbe essere arrivato in maniera autonoma alla medesima conclusione: «The word […] has no connection with the specific amount
levied on cargoes coming into the port. […] During this period, customs duties on imports and
exports were charged at the rate of 12,5% - an eight (octava) of the value of the merchandise
received or shipped».
468
Il dato cronologico è perfettamente in linea con quanto sappiamo dalla presenza, al Concilio
di Calcedonia del 451 d.C., di un vescovo proveniente da Jotabe. Si tratta, come già evidenziato
in precedenza, della più antica testimonianza di una presenza romana sull’isola. Si potrebbe
anche aggiungere che questo insediamento doveva essere ormai abbastanza consolidato nel sito,
essendo questo ormai nel 451 già diventato sede episcopale.
466
467
126
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Il nome di Jotabe ricompare dopo circa un quarto di secolo, intorno al 498,
quando, per iniziativa dell’imperatore Anastasio, l’isola fu riconquistata da Romanus, dux di Palestina. Teofane Confessore descrive l’episodio in un passo della
sua Chronographia: Romanus intraprese una campagna contro alcuni capi saraceni (Σκηνιτοί, nel testo), che avevano compiuto scorrerie nella sua provincia.469
La sua impresa fu coronata dalla riconquista di Jotabe e l’importanza dell’evento
è sottolineato adeguatamente da Teofane:
τóτε καὶ τὴν νῆσον Ἰοτάβην, κειμένην ἐν τῷ κόλπῳ τῆς ἐρυθρᾶς θαλάσσης καὶ
ὑποτελῆ φóροις οὐκ ὀλίγοις ὑπάρχουσαν βασιλεῖ Ῥωμαίων, κατασχεθεῖσαν δὲ
μεταξὺ ὑπò τῶν Σκηνιτῶν Ἀράβων, μάχαις ἰσχυραῖς ὁ Ῥωμανòς ἠλευθέρωσεν,
αὖθις τοῖς Ῥωμαίοις πραγματευταῖς δοὺς αὐτονóμως οἰκεῖν τὴν νῆσον καὶ τὰ ἐξ
Ἰνδῶν ἐκπορεύεσθαι φορτία, καὶ τòν τεταγμένον βασιλεῖ φóρον εἰσάγειν.470
Una corretta interpretazione della parola πραγματευτής è fondamentale per
comprendere il senso del contesto. Si potrebbe tradurla semplicemente come
“mercante”, o “mercante specializzato in commercio a lunga distanza.”471 Tuttavia, il contesto del brano sembra richiedere un’analisi più approfondita, per la
quale sarebbe utile effettuare una comparazione con le attestazioni documentarie
disponibili. La parola è spesso usata in connessione con attività commerciali,472
come equivalente greco del latino actor,473 con il significato di funzionario, o
agente, spesso coinvolto nel processo di esazione delle tasse e dei tributi. Le testimonianze papiracee offrono molti esempi di uso con quest’ultimo significato,474 ma alcuni attestano un uso ancora più specifico e tecnico della parola, per
Theoph. (ed De Boor 1881), p. 141, 1-11. Di devastanti incursioni di Arabi in Mesopotamia,
Fenicia e Palestina in questo periodo ci parlano chiaramente anche Giovanni di Nikiu, Chron.,
89, 33, Cirillo di Scitopoli, Vita Abraami, ed. E. Schwartz, pag. 244 ed Evagrio, Hist. Eccl.,
III, 36, il quale ricorda che gli Sceniti furono sconfitti “dai comandanti di ciascuna regione e
dovettero successivamente umiliarsi tutti alla pace con i Romani (trad. F. Carcione)”, ma non fa
alcun accenno alla riconquista di Jotabe.
470
Theoph., pag. 141, 12-17.
471
Safrai 1994, 189; Laiou 2002, 708-710.
472
Rozenfeld 2005, 127-136.
473
Harper 2011, 120-125.
474
Si vedano, ad esempio, P.Mich.Inv. 3275; 3778; 6185; 6902; O.Mich.Inv. 4267; P.Corn.Inv.
I 80.
469
127
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
significare “esattore di tasse”: BGU I 356,475 P.Kell. I 15, P.Lips. I 64, O.Kell.
25476 e P.Oxy. XLII 3041. Dato il contesto cui fa riferimento il testo di Teofane,
questa interpretazione sembra quella maggiormente appropriata. Questo però significa anche che la parola πραγματευτής sarebbe di fatto un equivalente dei
δεκατελóγοι di cui parla Malco. Se è accettabile questa interpretazione, possiamo interpretare il testo di Teofane in maniera più pregnante:
“L’isola di Iotabe, che è collocata nel Golfo del Mar Rosso e sotto il controllo dell’imperatore romano per (la riscossione di) tributi non piccoli, e che era stata nel frattempo
occupata dagli Arabi Sceniti, venne liberata con violente campagne militari da Romanus. Egli poi concesse a esattori romani di vivere nuovamente in maniera autonoma
sull’isola, per esportare mercanzie dall’India, e pagare all’imperatore il dovuto tributo.”
Teofane pare avere ben chiaro che il vantaggio principale (se non l’unico) nell’aver riconquistato l’isola consiste nell’aver riguadagnato all’Impero un’importante
fonte di gettito fiscale (φóροις οὐκ ὀλίγοις). Dopo il ristabilimento del potere
imperiale, l’isola fu affidata a mercanti romani (Ῥωμαίοις πραγματευταῖς), che
vivevano lì secondo un regime di semi-indipendenza (αὐτονóμως), ed avevano
rapporti commerciali con l’India.
Informazioni più dettagliate (le ultime, in ordine cronologico, in nostro possesso) ci vengono da Procopio di Cesarea e Coricio di Gaza e riguardano entrambe
avvenimenti accaduti sotto il regno di Giustiniano I (527-565). Il primo dei due,
in un passo della sua opera dedicato ad una rapida descrizione del Mar Rosso,
ci offre la già citata indicazione sulla localizzazione dell’isola, che si troverebbe a
“non meno di mille stadi da Aila”,477 e dopo aggiunge: ἔνθα Ἑβραῖοι αὐτόνομοι
μὲν ἐκ παλαιοῦ ᾤκηντο, ἐπὶ τούτου δὲ Ἰουστινιανοῦ βασιλεύοντος κατήκοοι
Ῥωμαίων γεγένηνται.478 Quindi, per Procopio, una comunità di Ebrei, da molto
tempo (ἐκ παλαιοῦ) si era stabilita nell’isola, vivendo in autonomia, finché, al
tempo di Giustiniano, si provvide a riportarli sotto il dominio romano.479 Non è
Attestato un πραγματευτὴς πύλης Φιλαδελφίας (= agente della dogana di Filadelfia)
Tutti attestano un πραγματευτὴς χρυσαργύρου.
477
Procop., Bell. Pers., I, 19, 3.
478
Procop., Bell. Pers., I, 19, 4.
479
La presenza di una comunità di Ebrei a Jotabe è confermata anche da un’epigrafe rinvenuta
nella penisola del Sinai, insieme a rappresentazioni di oggetti cultuali ebraici, su cui si legge:
475
476
128
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
una coincidenza se Procopio usa quasi la stessa parola di Teofane, per descrivere
la condizione degli Ebrei che risiedevano a Jotabe (αὐτóνομοι – αὐτονóμως).
Questi mercanti ebrei dovevano coincidere del tutto, o almeno in parte, con
i Ῥωμαίοι πραγματευταί di cui parla Teofane, cui fu affidata l’isola dopo l’intervento di Romanus. Essi, però, approfittarono della condizione di αὐτóνομοι
di cui fruivano, se, come ci informa Coricio di Gaza, si resero colpevoli di gravi
atti di insubordinazione, prendendo a pretesto motivi di ordine religioso, tanto
che Aratius, dux di Palestina, come già il suo predecessore Romanus, dovette
intervenire con decisione per riportare l’ordine sull’isola.480
Nel narrare come si svolsero i fatti, Coricio fornisce una brevissima descrizione dell’isola che, come al solito, si riduce alla fondamentale menzione delle tasse
che essa produce grazie alle attività mercantili che la collegano all’India: νῆσóς
ἐστιν ὄνομα μὲν Ἰοτάβη, τò δὲ ἔργον αὐτῆς ὑποδοχὴ φορτίων τῶν Ἰνδικῶν,
ὧν μέγας φóρος τὰ τέλη. Successivamente, si passa a raccontare di come gli
Ebrei si siano ribellati al potere dell’imperatore e si siano impossessati dei ricchi
proventi doganali che spettavano al sovrano. Infine, dopo un lungo panegirico
di Aratius e la descrizione delle attività belliche, Coricio giunge all’epilogo della
vicenda: ancora una volta, l’isola torna nelle mani dell’impero, e Aratius la assegna a uomini fidati che riscuotano regolari tasse per l’imperatore (παραδέδωκας
ἀνδράσι πιστοῖς τὸ χωρίον ἀργυρολογεῖν βασιλεῖ τεταγμένοις). Anche Coricio, come Teofane, chiarisce con quel βασιλεῖ chi fosse il soggetto che traeva il
massimo profitto da tutto ciò.481 Dopo questo episodio, il nome di Jotabe semplicemente scompare dalle nostre fonti.
Clysma
Clysma era invece ubicata sulla costa egiziana, in prossimità dell’attuale città
di Suez. Come abbiamo visto in precedenza, nell’area si è cercato di collocare
il sito di almeno due porti di età ellenistico-romana, Arsinoe e Cleopatris. Le
«Akrabos, figlio di Samuele di Maqna, del “figlio di Sadia”, di Jotabe». A tal proposito, si veda
Rothenberg e Aharoni 1961, 181.
480
Choric. Gaz., Laud. Arat. et Steph., ed. Foerster e Richtsteig, 67-75.
481
Non sarà un caso che iniziative per recuperare l’isola furono prese, nel caso di Anastasio,
da un imperatore accorto amministratore, proprio nello stesso anno in cui abrogò la collatio
lustralis; e da Giustiniano, perennemente alla ricerca di fondi per finanziare le sue onerosissime
campagne militari nel Mediterraneo.
129
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
fonti antiche parlano in complesso di tre città ubicate nel Golfo di Suez. Mentre
le attestazioni dei toponimi Arsinoe e Cleopatris sono limitate all’epoca tardo
tolemaica e alto-imperiale, il toponimo Clysma è attestato solo a partire dal II secolo, per la prima volta in Claudio Tolomeo,482 il quale però la definisce un forte
(κάστρον), non un porto.483 Tolomeo fa anche menzione del canale di Traiano,
collegante proprio Clysma e il Nilo. L’unico testo posteriore al II secolo d.C. che
ricorda uno dei nomi più antichi di Clysma è la Tabula Peutingeriana, che attesta
nei pressi del Golfo di Suez la presenza di due città, una di nome Arsinoe e un’altra di nome Clysma.484 Una parte degli studiosi ha quindi pensato che in realtà
sia esistito un unico sito collocato nel Golfo di Suez, che avrebbe cambiato nome
nel corso della sua storia, e che quindi i tre differenti toponimi si riferirebbero a
uno stesso insediamento, in differenti epoche.485 Questa pare l’ipotesi più verisimile, anche in considerazione del fatto che è possibile, come visto, effettivamente
verificare che il toponimo sembra variare in funzione dell’epoca, piuttosto che
della posizione geografica.
D’altra parte, in questo caso l’archeologia non può fornire molto aiuto per
dirimere la questione. Il sito è stato oggetto di indagini archeologiche solo tra
il 1930 e il 1932, ma i risultati, pubblicati negli anni ’60,486 sono insufficienti
a garantire un’adeguata comprensione del contesto. In effetti, c’è stato anche
chi ha dubitato che i limitati saggi di scavo effettuati negli anni ’30 avessero
davvero indagato il preciso sito di Clysma, piuttosto che qualche altra città nelle
vicinanze.487 In effetti, lo stesso Bruyère nei suoi resoconti indicava sette diversi
toponimi con cui si poteva ipotizzare di identificarlo.488
Ptolem., Geog., IV, 5, 54.
Stessa definizione anche in un papiro del 176 d.C., P.Hamb. 39. Si veda Fink 1971, 299.
484
Tab. Peut., VIII, 4. Sotto questo punto di vista la Tabula non può essere considerato un
documento attendibile. Sono infatti noti altri casi di toponimi ormai scomparsi al tempo della
redazione della mappa, che pure furono inclusi al suo interno. Il caso più celebre è certamente
quello delle città vesuviane distrutte dall’eruzione del 79 d.C., eppure regolarmente riportate
nella Tabula. Per una edizione critica della Tabula, si veda Prontera 2003.
485
Sidebotham 1986a, 3, 49.
486
Bruyère 1966.
487
Si veda, a tal proposito, la posizione molto critica, nei confronti degli scavi francesi, espressa
da Mayerson 1996, 119, n. 2.
488
Anche se va preso in considerazione che il Bruyère propendeva, alla fine delle sue ricerche,
per identificare senza alcun dubbio il sito da lui scavato con l’antica Clysma. Cfr. Bruyère 1966,
11-35.
482
483
130
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
I dati che emergono dai diari di scavo sono alquanto inconcludenti e spesso
le affermazioni che vi troviamo non poggiano su prove realmente fondate. In sintesi, possiamo evidenziare pochi dati certi: il sito è di fondazione tolemaica (Tolomeo II), ma raggiunse il suo periodo di massimo sviluppo a partire dal regno
di Diocleziano fino al VII secolo, quando cadde in mano araba. Questa affermazione poggia, tra l’altro, su quello che pare essere uno dei dati apparentemente
più chiari degli scavi francesi: l’elenco delle monete rinvenute nel sito è costituito di circa 300 monete databili dal IV al VII secolo, contro una sola moneta,
dell’imperatore Adriano, in rappresentanza di tutto il periodo precedente.489 Un
dato di questo tipo è ovviamente di scarsa utilità per l’evidente incompletezza di
informazioni sulle precise circostanze del ritrovamento.
Per avere un quadro più articolato dell’evoluzione di Clysma non resta che
rivolgersi alle fonti letterarie e documentarie. Abbiamo visto come le più antiche,
in cui il nome della città fa la sua apparizione, risalgano al II secolo. Mentre Tolomeo riporta il nome della città, definendola un κάστρον, Luciano di Samosata,
invece, in una sua opera satirica narra di un giovane uomo che, imbarcatosi ad
Alessandria d’Egitto, navigò fino a Clysma e, di qui, fino in India: ἀναπλεύσας
ὁ νεανίσκος εἰς Αἴγυπτον ἄχρι τοῦ Κλύσματος πλοίου ἀναγομένου ἐπείσθη
καὶ αὐτòς εἰς Ἰνδίαν πλεῦσαι […].490 Nei secoli tra il II e il IV d.C. le menzioni
letterarie di Clysma svaniscono, per poi ricomparire in testi di carattere religioso.
Queste opere, prevalentemente appartenenti al genere letterario degli itineraria, non fanno menzione di alcuna rotta commerciale che partisse da Clysma,
ma la citano quasi esclusivamente come tappa di pellegrinaggio per i fedeli che
visitavano i luoghi santi, in particolare il punto in cui Mosé attraversò il Mar
Rosso, fuggendo dall’Egitto.491
A partire dal V secolo la situazione muta abbastanza nettamente, e la città
viene spesso ricordata come porto di primaria importanza per i traffici commerciali con l’Oriente. A tal proposito la testimonianza più famosa e articolata è
senza dubbio quella di Pietro Diacono, vissuto nell’XI secolo, autore di un’opera
intitolata Liber de Locis Sanctis, che riprende lo schema degli itineraria religiosi di
Bruyère 1966, 88-94.
Lucian., Alex. Pseudom., 44, 16-18. Si tratta, peraltro, dell’unico testo che paia fare un riferimento preciso al canale di Traiano come via di collegamento diretta tra Alessandria, Clysma
e, di qui, all’India.
491
Si vedano Euseb., Onom., ed. E. Klosterman, p. 44; Philostorgius, Hist. Eccles., ed. J. Bidez,
p. 35 (a proposito del quale, si veda anche Pigulewskaja 1969, 76).
489
490
131
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
epoca romana. La maggior parte degli studiosi ritiene che Pietro Diacono abbia
elaborato la sua descrizione di Clysma sulla base del resoconto della pellegrina
Egeria, che compì un viaggio in Terra Santa nel corso del V secolo. In effetti, nel
suo Itinerarium Egeria cita esplicitamente Clysma e dice di aver visitato la città,492
ma non fa alcun accenno a un suo ruolo nel commercio con l’India. È stato quindi ipotizzato che Pietro Diacono per il suo resoconto avesse a disposizione una
versione dello Itinerarium Egeriae più ampia di quella a noi pervenuta. Il testo di
Pietro Diacono recita:
Clesma autem ipsa in ripa est, id est super mare; nam portus mittit ad Indiam vel excipit
venientes naves de India; alibi enim nusquam in Romano solo accessum habent naves de
India nisi ibi. Naves autem ibi et multae et ingentes sunt; quia portus famosus est pro advenientibus ibi mercatoribus de India. Nam et ille agens in rebus, quem logotetem appellant,
id est, qui singulis annis legatus ad Indiam vadit iussu imperatoris Romani, ibi ergo sedes
habet, et naves ipsius ibi stant.493
“Invece Clysma è sulla costa, cioè sul mare; infatti è un porto che manda navi in India
e accoglie navi che tornano dall’India; in nessun altro luogo dell’Impero romano le
navi che tornano dall’India arrivano, se non qui. E quindi le navi che ivi si trovano
sono molte e di grandi dimensioni; infatti si tratta di un porto famoso per i mercanti
che vi provengono dall’India. Lì ha la sua sede un agens in rebus, che viene chiamato
logotetes, che una volta all’anno va in India per volontà dell’imperatore romano, e le sue
navi sono lì (a Clysma).”
Come si vede, il testo contiene un resoconto piuttosto dettagliato, che presenta una città interessata da un intenso scambio commerciale con l’India. Ad
un periodo analogo risale anche un interessante documento epigrafico. Si tratta
di un editto promulgato dall’imperatore Anastasio I, in un anno imprecisato del
suo regno. Il testo è stato oggetto di studio da parte di molti studiosi, e si avrà
modo di tornarvi su infra. La parte iniziale del testo recita:494
Itinerarium Egeriae, VI, 4 – VII, 9;
Petr. Diac., Liber de locis sanctis, CCSL, vol. 175, p. 101. Sull’analisi del complesso rapporto
tra il testo di Egeria e quello di Pietro Diacono, si veda Brandes 2002, 614-621.
494
Per il testo dell’editto, si veda principalmente SEG 32, 1982, n° 1554. Si vedano anche SEG
30, 1980, n° 1710; SEG 34, 1984, n° 1507.
492
493
132
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Αὐτοκράτωρ Καῖσαρ [Φλαούϊος ?] Ἀναστάσιος, Εὐσε[βὴ]ς, Νικήτης [Τροπαιοῦχος
Μέγισ]τος, ἀεὶ Σεβαστòς Αὔγουστος, δέδωκεν τ[οὺς ὑπογεγραμμένους θείους]
τύπους·
Ὥστε τὸν δοῦκα μóνα λαμβάνειν τὰ ἀφωρι[σ]μ[έ]να αὐτῷ κατὰ τò ἀρχαῖον ἔθος
ὑπὲρ ἀννωνῶν καὶ καπίτ[ω]ν ἐκ τοῦ δημοσίου καὶ ἐκ τοῦ μέρους τῆς δωδεκάτης
καὶ ἀπò ‹τοῦ› κομμερκιαρίου [γ]ε τòν ἐν [Μεσοπ]οταμίᾳ καὶ ἀπò τοῦ Κλύσματος [τ]
òν ἐν Παλ[αισ]τίνῃ, καὶ μ[ηδὲν ἄλλο] ἐξ οἵας δήποτε αἰτίας λαμβάνειν.
L’editto legifera in tema di rifornimenti spettanti ai duces delle varie province
dell’Impero. In esso si stabilisce che il dux di Mesopotamia ha diritto ad avere
rifornimenti da parte di un κομμερκιάριος, mentre quello di Palestina aveva
diritto a essere rifornito da Clysma. L’interpretazione precisa di questo testo è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi moderni,495 e maggiore spazio sarà ad
esso dedicato infra. Per ora basterà evidenziare che il testo in pratica lascia capire
in maniera piuttosto chiara che Clysma era coinvolta nel processo di riscossione
di dazi doganali, per cui si può dedurne facilmente che la sua importanza come
porto doveva essere grande.
Anche per Clysma, la testimonianza letteraria più recente attestante la vitalità
del commercio internazionale è dovuta ad Antoninus Placentinus, il quale racconta anche di aver ivi comprato alcuni prodotti provenienti proprio dall’India:
Ibi est et civitas modica, ubi etiam et de India naves veniunt. […] Illic accepimus nuces
plenas virides, quae de India veniunt, quas de paradiso credunt homines esse.496
“Lì si trova una piccola città, dove provengono anche navi dall’India. […] Lì abbiamo
preso delle noci mature, che sono importate dall’India, e gli uomini credono che provengano dal Paradiso.”
Come si è potuto già notare per Aila, ci sono tracce di una continuità d’uso
ancora in epoca araba,497 il che lascerebbe intuire che il porto dovesse essere ri-
495
Per la bibliografia di riferimento sull’iscrizione, si vedano Antoniadis-Bibicou 1963, 157164; Sartre 1982b, n° 9046; Oikonomides 1986, 33-53; Delmaire 1989, 283-290; Brandes
2002, 239-255; Haarer 2006, 45-48.
496
Antonini Piacentini Itinerarium, CCSL, vol. 175, p. 169.
497
P.Lond. 1326 (datato 710) e P.Lond. 1465 (databile tra il 709 e il 714).
133
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
masto in condizioni pienamente soddisfacenti e dotato di una flotta eccellente
fino all’estrema fase di dominazione romana.498
Il nome di Clysma è associato indissolubilmente al canale che Traiano fece realizzare e che congiungeva la città con il corso del fiume Nilo, presso Babylon.499
Nel corso degli anni molti studiosi si sono confrontati con questo tema, pur senza arrivare a conclusioni largamente condivise.500 È in effetti a tutt’oggi ancora
oggetto di dibattito se il canale rimase davvero aperto costantemente dal momento della sua realizzazione fino alla conquista araba dell’Egitto,501 e se esso sia
mai stato utilizzato come via di comunicazione commerciale oppure solamente
come canale di irrigazione. Vediamo innanzitutto di analizzare i documenti a
nostra disposizione.
Che il canale sia stato realizzato da Traiano lo attesta esplicitamente Tolomeo.502 L’unica fonte letteraria che parli esplicitamente di un viaggio in barca da
Alessandria a Clysma tramite il canale, con successiva partenza verso l’India è
di poco successiva: si tratta di Luciano di Samosata e del passo già ricordato del
suo Alexander Pseudomantis.503 Si tratta quindi di una base troppo esile per poter
pensare di trarne delle conclusioni fondate. Altre informazioni vanno necessariamente ricavate da altro tipo di documenti.
Il canale richiedeva infatti periodici e costanti lavori di manutenzione per
scongiurare il pericolo che esso si insabbiasse, motivo per cui fu istituita un’apposita λειτουργία, a cui sovrintendevano degli ἐπιμεληταῖ. Una serie di papiri
cronologicamente compresi tra il II e il VI secolo comprova la regolarità con cui
questi lavori erano effettuati, reclutando anche lavoratori stagionali.504
Jackson 2002, 76-78.
Per il tracciato del canale, si veda il fondamentale recente studio di Aubert 2004, 219-252.
Si veda anche quanto già detto al Capitolo 1.
500
Per una bibliografia di riferimento sul problema, si vedano Calderini 1920, 37-62; Bourdon
1925; Sijpestein 1963, 70-83; De Romanis 1996, 71-95; Cooper 2009; Aubert 2015; De Romanis 2015.
501
Secondo la testimonianza del cronista arabo Al-Maqrizi il canale sarebbe stato fatto insabbiare solo nel IX secolo. Si vedano al proposito Sijpestein 1963, 73; Sidebotham 1991, 16;
Cooper 2009; De Romanis 2015.
502
Ptolem., Geog., IV, 5.
503
Lucian., Alexand. Pseudom., 44, 16-18.
504
Le testimonianze in tal senso sono cospicue e distribuite in maniera piuttosto regolare nel
tempo. Anno 112: SB VI, 9545; anno 208 (ca.): P.Oxy. LX, 4070; anno 221: P.Bub. IV, 1; anno
297: SB V, 7676 (= P.Cair.Isidor., 81); fine III/inizio IV secolo: P.Oxy. LV, 3814; anno 332:
498
499
134
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Sfortunatamente, però, nessuno dei testi cui si fa qui riferimento accenna a
una flotta mercantile a Clysma, né tantomeno a scambi commerciali con l’India
o con qualche Paese del Mar Rosso. L’unica informazione certa che se ne può
ricavare è che il canale di Traiano esisteva ancora ed era regolarmente sottoposto
a manutenzione. Questo ha indotto più di uno studioso a ritenere che il canale
fosse utilizzato solo come opera idraulica per garantire l’irrigazione dei campi
nel Nord dell’Egitto. A tal proposito, molto significativa la posizione espressa
dal Mayerson: “whether the canal was navigable at that time is unknown and
whether the cleaning was designed to irrigate new lands along its route is equally unknown.”505 Sulla stessa lunghezza d’onda recentemente l’Adams: “[…] the
Trajan’s Canal was not a regular transport route. It may have only been open
during the Nile flood, and was probably only used for specific and usually military purposes.”506
L’Adams in effetti ammette la possibilità che il canale di Clysma fosse usato,
se non per scopi commerciali, quantomeno militari. Questa ipotesi riposa evidentemente sulla testimonianza di due papiri, datati entrambi agli anni intorno
al 710 d.C.,507 epoca in cui l’Egitto era ormai in mano araba. I due testi comprovano che ai loro tempi a Clysma era effettivamente stanziata una flotta, dato che
suggerirebbe la presenza di una flotta ivi anche in epoca tardoromana. Di qui l’ipotesi del canale usato come via di comunicazione militare, e non commerciale,
tra Alessandria e il Mar Rosso.
Il problema è che però le ipotesi del Mayerson e dell’Adams sembrano prescindere da un dato ineliminabile: l’ascesa delle fortune commerciali di Clysma
proprio in seguito alla realizzazione del canale. Non può essere considerata una
mera coincidenza che esse inizino a crescere proprio a partire dal II secolo, per
poi raggiungere un picco in epoca tardoantica. In questo senso, decisamente più
ragionevole l’ipotesi proposta dall’Aubert in un recente saggio: “Il est clair que le
commerce oriental était d’une grande importance économique et sociale pour le
monde romain. Il suffit que les routes du désert Oriental, entre la vallée du Nil
et la côte de la mer Rouge, aient été bloquées ou menacées pendant une certaine
période par de pillards ou de rebelles, comme cela a été le cas au IIIe siècle ap.
P.Oxy. XII, 1426; anno 358/359: SB V, 7756 (= P.Lond.Inv., 2574); anno 420/421: PSI 689;
anno 423: PSI 87; data non precisabile tra V e VI secolo: P.Wash. I, 7.
505
Mayerson 1996, 121. Contra Young 2001, 75-79.
506
Adams 2007, 35.
507
P.Lond. 1326 (datato 710) e P.Lond. 1465 (databile tra il 709 e il 714).
135
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
J.-C. jusqu’à l’époque de Dioclétien, pour que la solution du canal redevienne
d’actualité […]. Il n’est pas nécessaire de supposer que le canal ait été ouvert de
manière permanente sur tout son tracé.”508
Il canale di Traiano potrebbe essere stato aperto solo in alcuni periodi, principalmente per le esigenze di rifornimento idrico della regione, e usato solo occasionalmente come via di comunicazione, ma connessa comunque ai commerci
con l’Oriente. L’uso a fini commerciali di questa via di comunicazione appare
quindi un elemento da accettare senza dubbio, a meno di voler negare una serie
di dati determinanti.
‘Abu Sha’ar
Proseguendo la nostra analisi della costa egiziana, possiamo rilevare la presenza di un nuovo sito, ‘Abu Sha’ar, ubicato presso la città di Deir Umm Deheis
(27° 22’ N, 33° 41’ E). Il sito è noto agli studiosi fin dall’inizio del XIX secolo,
e per lungo tempo si è pensato di poterlo identificare con la antica città di Myos
Hormos.509 Essendo questa ormai localizzata con certezza nel sito di Quseir
al-Qadim, la vecchia interpretazione è stata abandonata, anche se per ora non è
ancora stato scoperto il nome antico di ’Abu Sha’ar. Per questa ragione, è chiaramente impossibile sperare di ricavare una qualche informazione sul sito nelle
fonti letterarie a nostra disposizione. Tutto ciò che di esso sappiamo proviene
dalle indagini archeologiche realizzate nell’area, principalmente a partire dagli
anni ’80 del XX secolo. Gli scavi effettuato in situ hanno portato alla luce un insediamento nato, presumibilmente, nel IV secolo, attorno a un forte ivi costruito
in epoca tetrarchica, misurante 77 x 64 m, con mura alte 4 m e spesse 1,5 m.510
Si tratta dunque di un insediamento a carattere eminentemente militare.
Sono soprattutto i resti epigrafici a fornirci preziose informazioni su di esso.
Ad esempio, la “data di nascita” dell’insediamento ci viene precisata da una monumentale iscrizione, ubicata originariamente su una delle due porte di accesso
al forte, che conserva i nomi degli imperatori Galerio (305-311), Licinio I (308-
Aubert 2004, 247. Una posizione non dissimile aveva espresso, pochi anni prima, anche
Young 2001, 77: “While it might initially be difficult to imagine what other use the canal might
have had aside from its commercial function, it is still doubtful that we could with justification
call it a deliberate attempt to foster the Red Sea trade.”
509
Si veda la discussione già riportata supra, Capitolo 1.
510
Sidebotham 1994, 133; Bagnall e Sheridan 1994a, 159-160; Sidebotham 1996a, 773-783.
508
136
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
324), Massimino II (309-313) e Costantino I (306-337), nonché del comandante, Aurelio Massimino, già noto col titolo di dux Aegypti Thebaidos utrarumque
Libyarum, attestato dal 308/309 a Luxor.511 La presenza di questi quattro imperatori nella dedica ci consente di datare l’epigrafe agli anni 309-311, periodo in
cui il forte fu realizzato, o, forse, ricostruito.512 L’iscrizione recita:513
Im[p. Ca]esar G[alerius Valerius Maximianus P.F.
Invictus Aug. et Imp. Caesar]
[Val. Lic]inianus Lic[inius P.F. inv. Aug. et Imp.
Caesar Gal. Val. Maximinus P.F. Aug. et]
Fl. Val. Constantinus f[il. Augg.
indefe[…]…[
--]anis limitibus apta in lito[
curante Aurel. Max[imino duce Aegypti Thebaidos
utrarumque Lybiarum
La seconda parte della iscrizione risulta particolarmente interessante per
comprendere quale fosse la natura dell’insediamento. Il primo rigo del secondo frammento è stato integrato limitibus apta in lito[re]. La ricostruzione è ragionevole e proverebbe che ‘Abu Sha’ar fosse parte di un vero e proprio limes.
Questa affermazione potrebbe sembrare a prima vista bizzarra, data la posizione
geografica di ’Abu Sha’ar, ben lontana dalla frontiera egiziana. A tal proposito,
converrà fare riferimento a un noto studio di Benjamin Isaac sull’argomento; egli
sosteneva che nel IV secolo “the term limes is attested as a formal administrative concept, denoting a frontier district administred by a military commander,
dux.”514 La parola limes avrebbe quindi assunto un significato amministrativo,
quello di un “distretto di frontiera” amministrato da un dux. ‘Abu Sha’ar era
Cfr. AÉ 1934, nn. 7 e 8; Bagnall e Sheridan 1994a, 161.
Sidebotham 1994, 143.
513
Per la ricostruzione del testo, si segue Bagnall e Sheridan 1994a, 159-160.
514
Cfr. Isaac 1988, 133; sulla questione generale del significato del termine limes si veda anche
lo studio di Mayerson 1989, 287-291. Per l’interpretazione della frammentaria epigrafe, si veda,
innanzitutto Bagnall e Sheridan 1994a, 160-161. In anni recenti è tornato sul documento anche
Reddé (2002, 393), sostanzialmente confermando la linea interpretativa facente capo a Isaac e
già accolta dagli editori dell’epigrafe.
511
512
137
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
considerabile come un distretto di frontiera, essendo esso collocato sulla costa
del Mar Rosso, da cui poteva servire come caposaldo militare per controllare il
deserto orientale.515 In più, esso, come attesta l’iscrizione, era legato alla figura
di un dux, altro elemento fondamentale secondo la ricostruzione dello Isaac. Il
capo militare in questione è Aurelio Massimino, noto per essere stato nominato
dux Aegypti Thebaidos utrarumque Lybiarum. Si tratta di una figura creata dallo
stesso Diocleziano con l’intento specifico di contrastare le scorrerie dei Blemmii
nel deserto orientale egiziano.516 Ed è proprio questo il senso che è sotteso alla
definizione di limes, applicata nella zona di ‘Abu Sha’ar: un limes interno, eppure
vitale e importante, sottoposto a periodici e fastidiosi attacchi dei Blemmii, per
contrastare i quali fu creata la figura del dux Aegypti Thebaidos utrarumque Lybiarum. Possiamo immaginare, quindi, che il forte di ’Abu Sha’ar fosse un tassello
del distretto militare di un’unità amministrativa, frutto della grande ristrutturazione del sistema militare di confine, operata complessivamente da Diocleziano
e Costantino I.517 Lo scopo di questa installazione sarebbe stato controllare le
scorrerie delle bellicose tribù nomadi dei Blemmii e dei Nobadi.518 Quindi si
tratterebbe di una postazione militare, non di un porto, come si era ritenuto ai
tempi della scoperta del sito.519
Il punto successivo da chiarire è perché nel IV secolo si avvertì la esigenza di
creare una simile installazione militare in quell’area, considerato che già nel Sud
dell’Egitto (ad esempio a Coptos) erano stati presi provvedimenti per potenziare
le difese romane contro le scorrerie dei barbari. Sotto questo punto di vista, può
chiarire la situazione il frammento di un’altra epigrafe, forse in origine unita alla
precedente. Il breve testo superstite recita:520
]NOVAMAXIMI[
]VMMERCATOR[
Power 2012, 33.
Cfr. AÉ 1934, nn. 7 e 8, che attesta la presenza dello stesso Massimino nel 309/310 a Luxor
con questo incarico; si veda pure Bagnall e Sheridan 1994a, 161.
517
Jackson 2002, 79.
518
Sidebotham 1994, 157-158.
519
Power 2012, 33.
520
Ancora una volta, si segue il testo e il commento fornito da Bagnall e Sheridan 1994a, 162163.
515
516
138
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Gli editori propendono per integrare il primo rigo in questo modo: Nova Maximi[ana. Se ne suggerisce, inoltre, un ipotetico ulteriore completamento: Ala]
Nova Maximi[ana, nome di una unità cammellata in uso nell’area. L’iscrizione
attesterebbe, dunque, la presenza di un distaccamento militare con questo nome
nel forte. Per quanto concerne il secondo rigo, ne è stata suggerita la ricostruzione: ad us]um mercator[um.
Se l’interpretazione complessiva è corretta, se ne potrebbe dedurre che l’occupazione militare del sito nel IV secolo fosse stata realizzata a beneficio dei
mercanti, sia per proteggerli, sia per fornire loro un punto di approdo. Il confronto risulta immediato col complesso sistema di fortificazioni, esistente proprio
nell’Est dell’Egitto, tra I-II secolo d.C., che aveva anche lo scopo di proteggere i
mercanti impegnati a trasportare le merci verso il Nilo.521 I mercatores ricordati
nell’iscrizione erano con ogni probabilità coinvolti nel commercio con l’India o,
certamente, con l’area del Mar Rosso.522 Il forte fu occupato per quasi tutto il IV
secolo e poi nuovamente dal V fino agli inizi del VII, ma in questa seconda fase
rinacque come monastero, rifugio per monaci eremiti.523 Uno dei documenti più
interessanti di questa fase estrema è certamente un altro frammento di iscrizione,
risalente al VI secolo, che si riporta di seguito:
ἐγὼ Ἀνδρέας ̣ [
ἰν ̣δικοπλεύσ ̣[της
ἦλθον ὧ ̣δε .. [
Παῦν[ι.]
̣
ἰνδ(ικτίονος) θ̅ [
«Io Andrea … “colui che navigò in India”, giungo qui … Pauni -, nona indizione …»
È poco chiaro in che modo vada interpretato l’appellativo di ἰνδικοπλεύστης:
̣
gli editori sono propensi a credere che l’India cui si fa riferimento qui corrisponda piuttosto all’area della Etiopia moderna, cosa plausibile, in considerazione del
cambiamento semantico che la parola India subì in questo periodo.524 In ogni
caso, l’iscrizione può essere considerata la prova della persistenza di scambi com-
521
522
523
524
Sidebotham 2017, 139-143.
Bagnall e Sheridan 1994a, 162-163.
Sidebotham 1994, 156; Jackson 2002, 79; Ray 2012, xvii.
Bagnall e Sheridan 1994b, 112.
139
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
merciali passanti (se non originati) da ‘Abu Sha’ar, quantomeno col sud del Mar
Rosso, ancora nel VI secolo.
Marsa Nakari
Il porto di Marsa Nakari è normalmente identificato con l’antica Nechesia. Dopo una prima fase di sviluppo in epoca tolemaica e nella primissima
fase romana, il sito sembra conoscere un nuovo momento di espansione in epoca
tardoantica. In particolare il materiale rinvenuto nel sito databile alla fase tardo
romana è molto abbondante.526 Anche questo sito ha prodotto materiali normalmente associati con la presenza di Blemmii (ceramica del deserto orientale), e
databili al periodo tra il V e il VII secolo.527 Tuttavia, i dati disponibili su questo
sito sono ancora alquanto incompleti e non permettono di giungere a conclusioni
definitive riguardo alla sua storia. È stato ipotizzato con buone argomentazioni
che la ripresa tardoantica di questo insediamento potrebbe essere messa in collegamento con le riforme amministrative di Diocleziano nel sud dell’Egitto, in
particolare con la sua decisione di arretrare a nord la frontiera e consentire alle
popolazioni seminomadi esterne all’impero di stabilirsi all’interno di esso, con
funzione di difesa dei confini.528
525
Isole Farasan
Un elemento molto interessante è la ricomparsa, in epoca tardoantica, delle
isole Farasan nella nostra documentazione. Nel Martyrium Arethae et sociorum
è contenuto un riferimento diretto all’arcipelago. Secondo la testimonianza di
questo testo, l’imperatore Giustino I nel 525 promise aiuti militari agli alleati
cristiani Axumiti, in lotta con gli Himyariti dello Yemen, di fede ebraica. Gli
aiuti militari furono spediti via mare tramite una flotta, composta di 60 navi
mercantili: di queste, 20 appartenevano a Clysma, 15 ad Aila, 9 all’India, 7 a
Jotabe, 7 all’isola di Farasan, 2 a Berenice:529
525
526
527
528
529
Seeger 2001.
Sidebotham 2002a, 239.
Power 2012, 34.
Power 2012, 36-37.
Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 10, 747.
140
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Ἔτυχην δὲ πρωῒ τòν θεράποντα τοῦ Θεοῦ Ἐλεσβαὰ συνάξαι ἐκ πάσης βασιλείας
αὐτοῦ καὶ ἄλλων ἐθνῶν, πλῆθος χιλιάδων ἑκατòν εἴκοσι. Καὶ κατ’οἰκονομίαν
τοῦ σωτῆρος, εἰσῆλθεν πλοῖα τῶν ἐμπóρων Ῥωμαίων καὶ Περσῶν καὶ Αἰθιóπων,
καὶ ἐκ τῶν νήσων Φαρσὰν, ἑξήκοντα· οὔτως, ἁπò μὲν Ἀειλὰ τῆς πόλεως πλοῖα
δεκαπέντε, ἀπò τοῦ Κλύσματος εἴκοσι, ἀπò Ἰοταβῆς ἑπτὰ, ἀπò Βερωνίκης δύο,
ἀπò τῆς Φαρσὰν ἑπτὰ, ἁπò Ἰνδίας ἐννέα.
“Al mattino il servo di Dio Elesbaà riuscì a mettere insieme un numero di 120.000
uomini, raccogliendoli da tutto il suo regno e da alter nazioni. E, secondo la volontà del
Salvatore, giunsero navi da mercanti Romani, Persiani ed Etiopi e dalle isole Farasan,
60 in totale: così, 15 navi dalla città di Aila, 20 da Clysma, sette da Jotabe, da Berenice
due, dalle Farasan sette, e nove dall’India.”
Non è semplice, sulla base di questa sola testimonianza, capire quale fosse il
reale rapporto tra l’Impero e le isole Farasan nel VI secolo. Prima della scoperta
delle iscrizioni di epoca antonina nell’arcipelago, si riteneva che le isole Farasan
fossero piuttosto nell’area di influenza di Axum.530 Ma il ritrovamento di quei
documenti obbliga a prendere in considerazione l’ipotesi che esse nel VI secolo
fossero (nuovamente ?) ricadute nella sfera di influenza romana, pur senza voler
pensare a uno stabile controllo imperiale delle isole dall’epoca di Traiano fino a
quella di Giustino.
La testimonianza del Martyrium Arethae è poi interessante per almeno un
altro motivo. Esso sembra fornire, per così dire, una graduatoria dei porti romani nel Mar Rosso nel primo quarto del VI secolo d.C. Difatti, il passo narra
di come una flotta di 60 navi sia stata allestita per soccorrere il regno di Axum
nella guerra contro gli Himyariti. Per questo scopo furono inviate navi da tutti i
porti romani nel Mar Rosso, presumibilmente secondo la capacità di ognuno di
allestire una flotta. In questa “graduatoria” i primi posti spettano a Clysma ed
Aila, con rispettivamente 20 e 15 navi, seguite da Jotabe e Farasan con 7 a testa,
e da Berenice con 2 sole navi. Altre 9 provenivano da una località definita “India” nel testo, termine con cui forse l’autore si riferiva proprio al regno axumita,
o comunque a una qualche parte del Mar Rosso al di fuori del dominio diretto
di Costantinopoli. Questa “graduatoria” è dunque in linea con quanto abbiamo ricavato complessivamente dall’analisi delle nostre fonti, secondo le quali nel
530
Baldry 1978, 89.
141
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
VI secolo i porti principali erano quelli del blocco settentrionale, in particolare
Clysma e Aila, mentre Berenice affrontava un periodo di declino che l’avrebbe
portata a scomparire dal novero delle installazioni portuali sul Mar Rosso entro
il secolo successivo.
3. La periferia diventa centro
Mentre i porti romani sembrano ritirarsi verso nord, contemporaneamente
assistiamo a un fenomeno in qualche modo collegato, a sud. Si tratta dell’ascesa
del regno di Axum, che a partire da quest’epoca occupa una posizione di rilievo
nel contesto geopolitico del Mar Rosso. La formazione del regno axumita nella
regione del Corno d’Africa è probabilmente da collocarsi tra il II secolo a.C. e
il I d.C., al termine di un lungo processo di unificazione di vari insediamenti
presenti nell’altopiano etiopico.531 Il porto principale del regno era Adulis, situata
nella Baia di Zula, a circa 30 stadi (3,3 km) dal mare,532 e a otto giorni di marcia
dalla capitale Axum.533 La città copriva un’area di circa 40 ettari. Il mare in questa zona è facilmente navigabile, anche grazie alla presenza di venti favorevoli.534
Le fonti greco-romane non fanno mai menzione del porto di Adulis, fino al
Periplus, che per primo lo ricorda come un centro importante nel commercio del
Mar Rosso, da cui si esportavano avorio (che sembra essere la merce principale),
ossidiana, corna di rinoceronte, gusci di tartaruga e altri prodotti esotici.535 L’anonimo autore definisce Adulis un ἐμπóριον νóμιμον, un porto riconosciuto a
livello legale. Non c’è consenso tra gli studiosi su come interpretare esattamente
questa definizione, ma siccome essa è usata per soli tre porti sui 37 nominati nel
testo, Casson ha suggerito che si trattasse di porti in cui il commercio avveniva
secondo regole stabilite da un’autorità legale locale, a differenza di porti in cui si
svolgeva un commercio regolato da convenzioni e/o accordi internazionali.536 Il
Periplus sottolinea infine lo stretto legame tra Adulis e la sua metropoli Axum, il
che implica che il commercio della prima fosse regolato dalla seconda.
531
532
533
534
535
536
Zazzaro 2013, 3.
Oggi la distanza è di circa 7 km, a causa dell’insabbiamento del porto. Bowersock 2013, 11.
Come testimoniato da PME, 4.
Peacock e Blue 2007, 1-2; Zazzaro 2013, 5-6.
PME, 4.
Casson 1989, 274-276.
142
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Successivamente, è Plinio il Vecchio a menzionare il sito (oppidum Aduliton),
collocandolo nel sinus Abalitu, nome con cui si è suggerito di identificare il golfo
di Zula.537 Plinio attribuisce la fondazione di Adulis a schiavi egiziani sfuggiti ai
propri padroni, e aggiunge che la città svolgeva il ruolo di intermediario commerciale tra i mercanti dei territori chiamati Barbaria (che si estendevano a sud
dell’Etiopia) o i Trogoditi o gli Etiopi, e i mercanti romani.538
A partire dal III secolo, Axum vide il proprio ruolo nel contesto dei commerci
interazionali crescere sempre più.539 Il regno si espande sul continente africano, arrivando a inglobare alcuni territori ad esso satelliti nel Corno d’Africa,
inclusi altri porti minori che potrebbero aver integrato le funzioni di Adulis.540
L’espansione axumita si sarebbe spinta anche a controllare l’arcipelago delle isole
Dahlak,541 e l’isola di Dese,542 nel tratto di mare prospiciente al porto, e il cui
possesso risultava strategico per controllare le rotte marittime nella zona.
Una fase nuova nell’imperialismo axumita si aprì quando iniziò l’espansione
del regno in Arabia del Sud (attuale Yemen), approfittando dei conflitti scatenatisi tra i quattro regni che si contendevano la penisola arabica.543 È in questo contesto che fu probabilmente redatta l’iscrizione del cosiddetto Monumentum Adulitanum, un testo di difficile interpretazione che ci è stato preservato da Cosmas
Indicopleustes. Questi nella sua Topographia Christiana afferma di aver viaggiato
ad Adulis e di aver potuto vedere un’iscrizione su un trono, un monumento a
carattere commemorativo,544 risalente all’epoca del dinasta lagide Tolomeo III.
Il monumento doveva essere di dimensioni sufficienti a ospitare una lunga iscrizione.545 Oltre al trono, nel sito era presente anche una stele, ugualmente iscritta
in greco. Cosmas interpretò le due iscrizioni come due parti di un unico testo,
Plin., Nat. Hist., VI, 174; Bowersock 2013, 27.
Plinio, NH, VI, 172. L’ipotesi di Plinio, peraltro basata sulla falsa etimologia greca del nome
Adulis, è stata da tempo confutata dagli studiosi che si sono occupati del problema della cronologia della città (Bowersock 2013, 8; Zazzaro 2013, 3), anche se l’elemento di connessione tra
l’Egitto e Adulis è stato rivalutato con buoni argomenti da De Romanis 1996, 152-156.
539
Sidebotham 2011, 261.
540
Zazzaro 2013, 5.
541
Insoll 2001.
542
Peacock e Blue 2007, 58.
543
Power 2012, 21.
544
Bowersock 2013, 15.
545
Frammenti di monumenti simili a quello di Adulis sono stati ritrovati in scavi archeologici
ad Axum. Si veda Bowersock 2013, 16.
537
538
143
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
mentre sappiamo che si trattava di due documenti diversi.546 La stele risaliva effettivamente al tempo di Tolomeo III, mentre l’iscrizione sul trono era di epoca
decisamente posteriore alla prima, scritta in greco e in ge’ez, celebrante la vittoria
di un re aksumita sulle popolazioni dell’Arabia. Il testo, come riportato da Cosmas, è il seguente:547
“Il grande re, Tolomeo, figlio del re Tolomeo, e della regina Arsinoe, gli dei gemelli, nipote
dei due sovrani re Tolomeo e della regina Berenice (...)”
“(...) ed ho inviato una flotta e un esercito contro gli arabi e i Cinaedocolpiti che dimorano
sull’altro lato del Mar Rosso, ed avendo deposto i sovrani di entrambi [i popoli], ho imposto
su di loro un tributo e comandato loro di rendere il viaggio sicuro, sia via mare che via terra.
Io così soggiogato l’ intera costa da Leuke Kome al paese dei Sabei. Io, il primo e solo dei re
della mia razza ha fatto queste conquiste. Per questo successo offro ora il mio ringraziamento al mio potente Dio, Ares, che mi ha protetto, e con il cui aiuto ho sottomesso tutte le
nazioni confinanti con il mio paese, a est verso il paese di incenso, e ad occidente in Etiopia
e Sasu. Di queste spedizioni, alcune sono state condotte da me in persona e si sono concluse
con la vittoria, [come anche] le altre che ho affidato ai miei ufficiali. Avendo portato così
tutto il mondo sotto la mia autorità e alla pace, sono sceso ad Aduli ed ho offerto il sacrificio
a Zeus, ad Ares e a Poseidone, che ho pregato perché protegga tutti coloro che attraversano il
mare con le navi. Qui anche ho riunito tutte le mie forze e, ponendo questo trono in questo
luogo, l’ ho consacrato ad Ares, nel venti settimo anno del mio regno”.
L’iscrizione è di difficile interpretazione. Purtroppo, Cosmas non riporta nella sua opera il nome del monarca che la fece erigere, per cui individuarne la datazione precisa è impossibile,548 per quanto sia stata proposta con buoni argomenti
che sia tratti di un documento di III secolo d.C.549 In seguito, Adulis è citata
anche da fonti d’epoca più tarda come Procopio550 e il già citato Martyrium San-
Bowersock 2013, 19-20.
Cosmas Indicopleustes, II, 60-62.
548
Munro-Hay 1991, 79-80; Bowersock 2013, 44-45.
549
Bowersock 2013, 55.
550
Procop, Bell. Pers., I, 19, 21-22: ὁ μὲν οὖν τῶν Ὁμηριτῶν ὅρμος ἐξ οὗ ἀπαίροντες
εἰώθασιν ἐς Αἰθίοπας πλεῖν Βουλικὰς ὀνομάζεται. διαπλεύσαντες δὲ ἀεὶ τὸ πέλαγος τοῦτο
καταίρουσιν ἐς τῶν Ἀδουλιτῶν τὸν λιμένα. Ἄδουλις δὲ ἡ πόλις τοῦ μὲν λιμένος μέτρῳ
546
547
144
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
cti Arethae,551 entrambi di VI secolo d.C., ed entrambe attestanti l’importanza di
Adulis nel commercio passante per il Mar Rosso. In questo periodo, abbondanti
fonti archeologiche dimostrano la penetrazione dell’influenza axumita nel Mar
Rosso, permettendoci di affermare senza ombra di dubbio che il regno era un
protagonista degli scambi commerciali nel mondo del Mar Rosso.552 La sua ascesa commerciale, ovviamente, non sarà stata priva di conseguenze per gli equilibri
economici nell’area.
Cosmas ricorda la spedizione militare degli Etiopi in Arabia,553 supportata da
Giustino I, che puntava a rendere gli Axumiti egemoni in Arabia del Sud. In questo modo, l’impero si sarebbe assicurata una testa di ponte importante sul lato
orientale del Mar Rosso del Sud, chiudendo in qualche modo il cerchio dell’egemonia regionale. Si assiste quindi a una polarizzazione della presenza romana,
forte sia nell’estremo nord che nell’estremo sud del Mar Rosso, quasi a cercare
di controllare il Mare nella sua interezza, ma tramite la strategia di controllarne
gli estremi nord e sud. Si tratta di uno scenario molto diverso da quello di epoca
altoimperiale, molto più articolato. Complessivamente, potremmo dire che la
presenza romana nel Mar Rosso in epoca tardoantica si fa più invasiva di quanto
non fosse mai stata prima.554
4. Il sistema di tassazione in epoca tardoantica
Analizzare il funzionamento del sistema di tassazione sulle merci orientali in
ingresso nell’Impero in epoca tardoantica è cosa non semplice, in considerazione
della frammentarietà delle informazioni a nostra disposizione. Tuttavia, esistono
una serie di documenti di indubbio interesse che ci possono aiutare ad avere un’idea complessiva di come questo meccanismo funzionasse e, cosa particolarmente
interessante per i nostri fini, verificare fino a che punto il sistema tardoantico sia
analogo a quello che abbiamo visto essere in funzione in epoca altoimperiale.
εἴκοσι σταδίων διέχει ῾τοσούτῳ γὰρ διείργεται τὸ μὴ ἐπιθαλάσσιος εἶναἰ, πόλεως δὲ
Αὐξώμιδος ὁδῷ ἡμερῶν δώδεκα.
551
Martyrium Arethae, in Acta Sanctorum, Octobris, vol. 10, 747.
552
Peacock e Blue 2007, 9-12; Power 2012, 22-23; Zazzaro 2013, 6-7.
553
Bowersock 2013, 92-105.
554
Si veda a tal proposito Speidel 2017.
145
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Punto di partenza obbligato per questa analisi sono gli arabarchi, la potente corporazione che gestiva un sistema complessivamente molto ben radicato e
organizzato efficientemente. È logico pensare che questa struttura sia stata mantenuta funzionante anche in epoca tardoantica, e abbiamo in effetti almeno due
testimonianze che proverebbero come gli affari degli arabarchi siano continuati
indisturbati lungo tutta l’epoca di dominazione romana.
Il primo testo è una legge riportata nel Codex Iustinianus, che ricorda agli arabarchi che essi non erano autorizzati in nessun caso a imporre dazi sul passaggio
di animali da soma, nonostante si trattasse di una pratica consolidata. Il testo è
datato al 381 d.C., e risale quindi al regno di Teodosio il Grande:
Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. Usurpationem totius licentiae submovemus circa vectigal Alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum, nihilque super transductione animalium, quae sine praebitione solita minime permittenda est,
temeritate per licentiam vindicari concedimus. GRAT. VALENTIN. ET THEODOS.
AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG.555
Il testo, oltre ad informarci della presenza e della attività degli arabarchi in
questo periodo, ci permette di avere anche una informazione su quello che doveva essere un tipico abuso perpetrato dai doganieri, quello di imporre dazi sul
passaggio di animali, oltre che sul carico che essi portavano. Per questo motivo
gli imperatori si preoccuparono di ribadire loro quali fossero i reali limiti della
autorità che gli era concessa.
Il secondo documento è invece una fattura in cui si fa menzione di una stazione della arabarchia ubicata ad Antinoe, databile al 568 d.C.:
ἐν Ἀν[τ]ινόου πόλει τῇ λαμπροτάτῃ Αὐρήλιος Μαρτῖνος υἱὸς Σαβινιανοῦ, ἐκ
μητρὸς Μάρθας, δοῦλος τοῦ ἐνδόξου οἴκου τοῦ πανευφήμου Ἀθανασίου πατρικίου,
γενάμενος [δ]ὲ καστρις Ἰωάννῃ τῷ ἐνδοξοτάτῳ ἀλαβάρχῃ, πράττοντι τὴν ἀρχὴν
ἐπὶ ταύτης τῆς Ἀντινόου πόλεως, [Α]υρηλίῳ Κολλούτῳ βίκτορι ὀρνιθᾷ ἀπὸ τῆς
πόλεως, χαίρειν.556
555
556
Cod. Just. 4, 61, 9.
P. Cairo Masp. II, 67.166, ll. 4-10.
146
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Complessivamente, dunque, pur trattandosi di due soli documenti, riescono
quantomeno a garantire che la istituzione della arabarchia restò in funzione praticamente per tutto il periodo di dominazione romana in Egitto. Purtroppo, va
aggiunto che questi documenti, pur confermando che gli arabarchi erano coinvolti nei processi di prelievo fiscale, nulla ci dicono sulle loro funzioni in questo
periodo, né ci informano se in qualche misura l’organizzazione generale di tale
prelievo fosse cambiata, dopo il II secolo. In nessuno dei due documenti, ad esempio, troviamo riferimenti a Coptos o ad Alessandria, i centri d’azione principali
degli arabarchi tra I e II secolo d.C. È anche vero che i pochissimi dati a disposizione ci fanno comunque propendere per un’ipotesi di continuità, perché esiste
attestazione della presenza di arabarchi ad Alessandria in epoca giustinianea.557
Per quanto riguarda invece Coptos non possiamo esserne certi, ma il fatto che la
corporazione sia ancora attestata fino al VI secolo inoltrato ci porta a credere che
sostanzialmente l’organizzazione territoriale a cui essi facevano capo sia rimasta
invariata. Del resto, il fatto che Coptos continuò a essere considerata come un
centro chiave nell’economia della regione e che sia stata anche posta al centro di
una complessiva riorganizzazione militare dell’area induce a ritenere che avesse
conservato anche il suo ruolo di punto di registrazione per le merci provenienti
dall’Oriente. Mentre per Alessandria e Coptos, quindi, si può pensare a una continuità di funzione “doganale” lungo circa sette secoli di dominazione romana,
diverso è il discorso per l’altra grande “porta di ingresso” con funzione di stazione
doganale collocata sul Mar Rosso, Leuke Kome.
È già stato ricordato che non c’è alcuna attestazione in nessun tipo di fonte
della sopravvivenza di questo porto, dopo la fine del I secolo d.C. Anche a voler
prendere per buona l’ipotesi che Tolomeo nella sua lista abbia erroneamente confuso il nome di Leuke Kome con Leukos Limen,558 questo sposterebbe l’ultima
testimonianza della esistenza della città al II secolo d.C. Dal momento che Leuke
Kome aveva un fondamentale ruolo nella riscossione dei dazi doganali sulle merci in ingresso nell’Impero, se effettivamente il porto fu abbandonato in un’epoca
non meglio definibile compresa tra fine del II e III secolo d.C., è logico aspettarsi
che i Romani non abbiano rinunciato a riscuotere le ricche tasse sui beni di importazione orientale, e che con ogni probabilità si siano limitati a scegliere un
altro luogo, meglio collocato, per assolvere a questa importante funzione. Questo
557
558
Iust., Nov., XI, 2.
Ipotesi formulata da Cuvigny 2003a, 28.
147
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
luogo non può che essere stato Jotabe, come risulta chiaro analizzando la storia
di questo insediamento.559
L’isola fu teatro di diverse campagne militari e insurrezioni, proprio a causa
del suo ruolo di porta doganale. Anche se le uniche attestazioni che abbiamo
dell’isola sono comprese tra il 451 e il 536, se si leggono con attenzione le testimonianze letterarie riguardanti l’isola, si può notare chiaramente che essa è ricordata solo in quanto teatro di combattimenti. Essa è citata solo per due motivi: o
per segnalare che un qualche nemico se ne è impossessato, oppure per celebrarne
la riconquista da parte dell’Impero. Probabilmente essa mancava dell’interesse
religioso che potevano avere città come Aila o Clysma, né era un terminale commerciale: si trattava di una vera e propria stazione doganale, in certa misura
analoga a Coptos, la quale a sua volta non era la destinazione ultima delle merci
che ivi passavano. Il fatto che Jotabe nel 451 fosse già sede di un vescovo lascia
presumere che la comunità di residenti romani nell’isola fosse ormai da tempo
stabilmente organizzata. D’altra parte, la mancanza di attestazioni successive alla
campagna di epoca giustinianea può essere facilmente attribuibile al fatto che in
quel caso la riconquista fu definitiva, per cui Jotabe smise di suscitare l’interesse dei cronisti romani. La mancanza di riscontri archeologici sull’isola diventa
quindi particolarmente grave, perché essi sarebbero stati l’unico mezzo per poter
arrivare a una definizione più precisa della cronologia della dominazione romana.
La identificazione di Jotabe come stazione doganale sul lato arabico del Mar
Rosso non esaurisce in ogni caso la nostra analisi dell’area, perché resta da capire
dove fossero tassate le merci che approdavano a Clysma, che a differenza di Berenice non era collegata a Coptos. A tal proposito, alcuni studiosi hanno ipotizzato
che l’isola di Jotabe fungesse da stazione doganale per entrambi i porti principali
del Mar Rosso settentrionale, Aila e Clysma.560 Questa ipotesi però non può essere dimostrata positivamente, e d’altra parte Procopio riporta chiaramente che
Jotabe si trovava nel Golfo di ‘Aqaba, il che renderebbe difficile ipotizzare che
essa potesse effettivamente servire da dogana per entrambi i porti settentrionali.
Ovviamente, una eventuale identificazione dell’isola potrebbe gettare una luce
diversa su questo problema.
Tutto ciò che si può affermare sulla base di una qualche documentazione è
che Clysma parrebbe aver funzionato per un periodo essa stessa come stazione
559
560
Sulla storia di Jotabe, si vedano le pagg. 123-129.
Si veda in particolare Sartre 1982b, 116.
148
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
doganale. Il testo dell’editto di Anastasio cui si è già fatto riferimento in precedenza parrebbe delineare proprio un simile scenario. Si riporta nuovamente la
parte iniziale del testo:
Αὐτοκράτωρ Καῖσαρ [Φλαούϊος ?] Ἀναστάσιος, Εὐσε[βὴ]ς, Νικήτης [Τροπαιοῦχος
Μέγισ]τος, ἀεὶ Σεβαστòς Αὔγουστος, δέδωκεν τ[οὺς ὑπογεγραμμένους θείους]
τύπους·
Ὥστε τὸν δοῦκα μóνα λαμβάνειν τὰ ἀφωρι[σ]μ[έ]να αὐτῷ κατὰ τò ἀρχαῖον ἔθος
ὑπὲρ ἀννωνῶν καὶ καπίτ[ω]ν ἐκ τοῦ δημοσίου καὶ ἐκ τοῦ μέρους τῆς δωδεκάτης
καὶ ἀπò ‹τοῦ› κομμερκιαρίου [γ]ε τòν ἐν [Μεσοπ]οταμίᾳ καὶ ἀπò τοῦ Κλύσματος [τ]
òν ἐν Παλ[αισ]τίνῃ, καὶ μ[ηδὲν ἄλλο] ἐξ οἵας δήποτε αἰτίας λαμβάνειν.561
“L’imperatore Cesare [Flavio ?] Anastasio, Pio, Vincitore, Trionfatore Massimo, per
sempre Sebastòs Augusto, ha emanato le sacre leggi scritte qui sotto:
Che solo il dux riceva quanto fissato per lui secondo l’antica consuetudine per l’annona
e il foraggio, dal tesoro pubblico, e dalla parte della dodicesima, e dal commerciarius
per il dux di Mesopotamia e (da quello di ?) Clysma per il dux di Palestina; che essi non
ricevano niente altro, per nessun motivo.”
Il testo stabilisce che due duces, quello di Mesopotamia e quello di Palestina, possono prelevare parte del loro rifornimento, rispettivamente, ἀπò
‹τοῦ› κομμερκιαρίου (τòν ἐν Μεσοποταμίᾳ) e ἀπò τοῦ Κλύσματος (τὸν ἐν
Παλαιστίνῃ). Almeno uno dei due duces, quello di Mesopotamia, trae certamente parte dei suoi proventi da un non meglio precisato commerciarius.562 Più spinoso interpretare correttamente il caso del dux Palaestinae: il testo mostra in questo
punto una certa ambiguità, non fornendo la certezza che un commerciarius fosse
di stanza anche a Clysma. Appare chiaro, a questo punto, come sia fondamentale
capire cosa si nasconda dietro il termine commerciarius.
Per i riferimenti al testo dell’editto, si veda supra, n. 494.
In questo momento mi preme sottolineare come non debba essere considerato sorprendente
che un dux potesse esigere delle imposte da un funzionario che, come il nome chiaramente
denuncia, era coinvolto con il commercio estero. La situazione è analoga, per esempio, a quanto
accadeva nell’Ellesponto e nel Bosforo, dove, sempre sotto Anastasio, le navi che attraversavano
lo stretto erano tenute a pagare un’imposta alla flotta imperiale, che in cambio garantiva protezione. Si veda Stein 1949, 196-197.
561
562
149
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Si tratta di una figura creata, molto probabilmente, proprio da Anastasio,
sotto il cui regno appare per la prima volta nella nostra documentazione. La
più antica testimonianza databile con precisione è, infatti, quella di Malalas che
racconta come l’imperatore, nel 507, per risolvere i gravi problemi della città di
Antiochia, abbia affidato la carica di comes Orientis (κóμης ἀνατολῆς) all’ex-commerciarius Procopio.563 Le uniche altre due testimonianze che riguardano questa
figura, comprese in un orizzonte cronologico non posteriore agli inizi del VII
secolo, sono l’editto di Anastasio qui oggetto di esame e un passo di Giovanni
Mosco, in cui si ricorda un commerciarius di Tiro, ingiustamente accusato di
dilapidare i beni a lui affidati.564
Ad oggi, gli studiosi non sono giunti ad interpretare la genesi e le funzioni
di questa figura in maniera concorde. Sarebbe molto complesso ripercorrere nel
dettaglio la storia degli studi in merito alla questione. Potremmo sinteticamente
ricordare come il primo ad occuparsi del problema fu il Millet, il quale ipotizzò
che i commerciarii fossero stati inizialmente dei mercanti che operavano per conto dello Stato, facendosi carico di gestire il commercio della seta dalle frontiere
orientali dell’Impero, ed ereditando in tutto le funzioni del comes commerciorum.565 Solo dopo, a partire dal VII secolo, essi avrebbero assunto anche la fun-
563
Johan. Malal., Chronogr., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, 396: Τούτων δὲ γνωσθέντων
τῷ αὐτῷ Ἀναστασίῳ βασιλεῖ, προηγάγετο κóμετα ἀνατολῆς τòν ἀπò κομμερκιαρίων
Προκóπιον τòν Ἀντιοχέα.
564
Iohan. Mosch., Patrum spirituale, PG, 87/3, 186, col. 3064 A. In realtà, Antoniadis-Bibicou
1963, 158, n. 1, inseriva anche un’altra fonte tra quelle pertinenti a questo periodo, il papiro BGU, III 972, su cui si legge: (Αὐρηλίῳ) Διοσκóρῳ γραμματεῖ ἔθνου(ς) Βλεμμέου ἀπò
κομερκίω ̣(ν…). La studiosa proponeva di correggere l’ultima parte in ἀπὸ κομερκια ̣(ρίων).
Tuttavia, la correzione non è giustificabile paleograficamente.
565
Il comes commerciorum è una figura attestata a partire dal IV secolo, in una legge (Cod.
Just. IV, 40, 2) databile tra il 383 e il 392 (si veda a tal proposito Seek 1919, 124), ma che fa
riferimento a disposizioni già stabilite in precedenza. Il comes commerciorum era a capo dei commercia disposti in determinati punti lungo la frontiera. In Oriente, è attestato un unico comes
commerciorum per Orientem et Aegyptum (Not. Dig. Or., XIII, 6-7). Oltre a fungere da supervisore generale sul commercio dall’estero, era l’unico autorizzato a comprare seta dai mercanti
forestieri. Per le attestazioni di carattere giuridico, oltre al già citato Cod. Just. IV, 40, 2 (fine
IV secolo), vanno ricordate anche IV, 63, 6 (inizi V); I, 52, 1 (anno 439). Si vedano Lallemand
1964, 143-144; Stock 1978, 599-609; Delmaire 1989, 283-285; Lee 1993, 63.
150
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
zione di esattori d’imposta.566 La teoria del Millet fu sostanzialmente accettata
da tutti gli studiosi che negli anni successivi si occuparono del problema.567
Successivamente, la Antoniadis-Bibicou, partendo ancora una volta dalla tesi
del Millet, sostenne che i commerciarii avessero avuto compiti di esattori di imposta sulle merci in circolazione fin dal momento della loro creazione, basando,
tra l’altro, la sua ipotesi proprio sulla sua analisi dell’editto di Anastasio.568
A partire dagli anni ’80, la questione venne ripresa da altri autorevoli studiosi. Oikonomides in qualche modo tornò alle posizioni precedenti alla Antoniadis-Bibicou, accettando l’ipotesi di “derivazione” dei commerciarii dai comites
commerciorum, sostenendo che i primi non fossero null’altro che una sorta di
evoluzione naturale dei secondi, ma proponendo che il ruolo svolto originariamente dai commerciarii fosse quello di imprenditori privati, e che avrebbero ricevuto in appalto dall’imperatore il diritto di vendere alcuni prodotti, tra cui la
seta. D’altra parte, lo studioso immaginava che successivamente (a partire dal
VII secolo) questa figura potesse aver assunto le funzioni di un vero e proprio
agente doganale.569 Oikonomides ipotizzava che il termine greco κομμερκιάριος
non fosse altro che la “volgarizzazione” del latino comes commerciorum.570
Nettamente diversa la posizione espressa pochi anni dopo dal Delmaire. A
suo giudizio, il fatto che i commerciarii avessero dei fondi a loro disposizione non
obbligava a ritenere che essi avessero mai avuto compiti di natura fiscale. Si trattava, piuttosto, di “magazzinieri” imperiali, «des courtiers privilégiés chargés des
achats au nom de l’empereur dans les commercia et de la gestion de ces produits».571 Lo studioso francese, in questo modo, rigettava completamente l’ipotesi che
i commerciarii potessero essere considerati degli agenti doganali. È interessante
Millet 1924, 303-327.
Rouillard 1930, 283; Laurent 1933, 335, n. 1; Stein 1949, 214-215; Karayannopoulos 1958,
164-165.
568
Si veda Antoniadis-Bibicou 1963, 158-164, in particolare 164: «ils (scil. les commerciaires)
ont été chargés dès début, d’une part, des fonctions des comites commerciorum et, d’autre part,
de la perception – soit directement, soit au moyen de leurs collaborateurs – des taxes frappant
la circulation et la vente des merchandises». L’opinione della studiosa francese è accettata anche
da Durliat 1982, 8 e soprattutto da Sartre 1982b, 117-118, il quale, pur dichiarando di rifarsi
alla definizione di Stein, accetta, di fatto, anche la versione della Antoniadis-Bibicou, quando
ammette che il commerciarius avesse funzione di ispettore di dogana.
569
Oikonomides 1986, 33-53, particolarmente 34-35. Opinione ripresa da Laiou 2002, 706.
570
Oikonomides 1986, 35.
571
Delmaire 1989, 297.
566
567
151
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
notare come anche il Delmaire adombrasse l’ipotesi di una volgarizzazione del
titolo latino comes commerciorum in κομμερκιάριος.572
Successivamente, il Brandes ha sostenuto che i commerciarii sarebbero stati
funzionari fiscali incaricati di percepire il prelievo in natura da parte della popolazione, stoccarlo nelle loro ἀποθῆκαι e distribuirlo all’esercito.573 Non si può
aver qui la presunzione di giungere a conclusioni definitive su un tema talmente
complesso. Si proverà, quindi, a partire dai punti che sembrano maggiormente sicuri. In primo luogo, è effettivamente evidente che vi dovesse essere un rapporto
abbastanza stretto tra i comites commerciorum e i commerciarii: i primi scompaiono dalla nostra documentazione dopo l’apparizione dei secondi. Che i commerciarii, inoltre, avessero a che fare con l’importazione di merci dall’estero pare un
altro punto incontestabile. Oltre alla ubicazione geografica di questi funzionari
(attestati sempre in luoghi connessi con il commercio internazionale), in questa
fase cronologica è fondamentale la testimonianza di una Novella (probabilmente)
giustinianea, citata come fonte da tutti gli studiosi che si sono occupati del problema.574 Il testo, intitolato Περὶ Μετάξης, regolamenta la vendita e l’acquisto
della seta all’interno dell’Impero, attività che deve essere gestita unicamente dal
commerciarius, unico ad averne il diritto. Il provvedimento giustinianeo ricorda
da vicino quello, cui si è fatto già riferimento, dell’epoca degli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, riferito al comes commerciorum, descritto a sua volta
come l’unico autorizzato a commerciare seta.575 Comunque si voglia interpretare
nel dettaglio le informazioni ricavabili dalla Novella, non si può negare che essa
sia una prova determinante del coinvolgimento del commerciarius nel commercio
internazionale, di cui la seta era certamente il prodotto più importante. Questo
particolare aumenta fortemente le analogie tra le figure del comes commerciorum
e del commerciarius.
L’insieme di queste considerazioni rende plausibile una interpretazione di
tipo più “tradizionale” della figura del commerciarius (sulla scia, in sintesi, di Millet, Antoniadis-Bibicou e Oikonomides), tendendo a scartare, invece, le ipotesi
Delmaire 1989, 294.
Brandes 2002, 239-255; posizione ribadita successivamente in: Brandes 2005, 31-47.
574
Imp. Iustiniani PP. A., Novellae, ed. C.E. Zachariae von Lingenthal, II, Leipzig 1881, p.
293. Sulla precisa datazione della novella non c’è sicurezza: l’editore la attribuiva al regno di
Giustiniano I, e questa ipotesi è ancora oggi accettata dalla maggioranza degli studiosi.
575
Cod. Just. IV, 40, 2: Comparandi serici a barbaris facultatem omnibus, sicut iam praeceptum
est, praeter comitem commerciorum etiamnunc iubemus auferri.
572
573
152
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
del Delmaire e, soprattutto, del Brandes. Come si accennava in precedenza, le
ipotesi di Millet, Antoniadis-Bibicou e Oikonomides hanno una serie di punti in
comune: l’interpretazione del rapporto di derivazione dal comes commerciorum al
commerciarius; l’attribuzione a quest’ultimo, almeno a partire dal VII secolo, di
compiti di natura fiscale; il suo coinvolgimento diretto nei traffici internazionali.
L’unico nodo da sciogliere è se esso abbia avuto in realtà fin dall’inizio funzioni
di esattore fiscale (come vorrebbe la Antoniadis-Bibicou), ovvero se questa caratteristica si sia sviluppata solo a partire dal VII secolo (secondo le tesi di Millet e
Oikonomides). Le poche fonti a nostra disposizione per il VI secolo non consentono di propendere decisamente per alcuna delle due soluzioni. Ciò che conta in
questa sede, però, è la possibilità di affermare che il commerciarius, a prescindere
dalle sue specifiche funzioni, avesse certamente dei fondi a sua disposizione, parte dei quali, come abbiamo visto, doveva cedere al dux.
Il problema fondamentale, per capire il ruolo giocato da Clysma in questo
contesto, è tradurre correttamente l’espressione ἀπò τοῦ Κλύσματος. Alcuni studiosi hanno interpretato il passaggio come se fosse in realtà sottinteso ἀπὸ (τοῦ
κομμερκιαρίου) τοῦ Κλύσματος, trovando in questo la conferma che anche a
Clysma fosse presente il nuovo funzionario.576 D’altra parte, c’è stato chi ha preferito interpretare il testo in maniera più letterale, escludendo conseguentemente
la presenza di un commerciarius.577 Fermo restando il discorso già fatto in precedenza, sulla particolare stringatezza del testo in questo punto, è più prudente
attenersi ad una traduzione letterale. Il dato che ne emerge quindi in maniera
incontestabile è che il dux Palaestinae traeva parte del suo approvvigionamento
da Clysma.578
Questo condurrebbe a ipotizzare che Clysma abbia svolto la funzione di stazione doganale. Si tratta dell’ultimo tassello necessario per comporre il mosaico
della geografia della tassazione nel Mar Rosso tardoantico. In pratica, la base
esistente in età altoimperiale fu adeguata alle modifiche geografiche nell’area. La
nuova disposizione dei porti ricollocati a Nord richiedeva che anche le dogane
fossero ridistribuite sul territorio. Così, mentre Coptos continuò a mantenere
il suo ruolo, in connessione con Berenice, sul lato arabo gli antichi compiti di
A favore di questa interpretazione Stein, Antoniadis-Bibicou, Sartre, Mayerson.
In particolare Oikonomides, Delmaire, Brandes.
578
Città perlatro situata al di fuori dei confini della sua provincia, nella Augustamnica II, facente capo alla diocesi d’Egitto. Si veda Hierokles, Synekdemos, 728, 7 (ed. Burchardt, p. 45).
576
577
153
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Leuke Kome furono ereditati da Jotabe, più vicina ad Aila. L’elemento veramente
nuovo è però la creazione di una nuova dogana a Clysma, che non ha diretti
riscontri nella organizzazione altoimperiale, ma è piuttosto il frutto della nuova
disposizione geografica.
4.1 L’entità dell’aliquota
Nel precedente capitolo abbiamo visto che nei primi secoli dell’età imperiale,
almeno fino all’epoca degli Antonini, l’aliquota sul valore delle merci di importazione orientale era del 25%, e che la tassa era conseguentemente chiamata tetarte.
La documentazione in nostro possesso per il periodo a partire dal IV secolo d.C.
permette di indagare se questa aliquota cambiò, e in che modo.
Alcune costituzioni del Codex Theodosianus e del Codex Iustinianus parlano
di una imposta definita octava, di cui gli studiosi hanno dato interpretazioni
discordanti. La maggior parte di essi ritiene che si tratti di una imposta sulle importazioni;579 altri hanno pensato che fosse una tassa sulle vendite;580 si è anche
infine ipotizzato che essa fosse una imposta sulle vendite e sulle importazioni
insieme.581 Che la octava sia una imposta ad valorem gravante sulle importazioni dall’estero (e quindi, equivalente tardoantico della τετάρτη altoimperiale) è
dimostrato da una legge del 381, indirizzata da Teodosio al comes sacrarum largitionum d’Oriente, con cui si raccomanda che gli octavarii riscuotano il vectigal
solo su quanto gli ambasciatori delle gentes devotae importano dai loro Paesi, non
invece su quanto, acquistato ex Romano solo, essi riesportano alle loro regioni:
Imperatores Gratianus, Valentinianus, Theodosius. A legatis gentium devotarum ex his
tantum speciebus, quas de locis propriis, unde conveniunt, huc deportant, octavarii vectigal
accipiant: quas vero ex Romano solo, quae sunt tamen lege concessae, ad propria deferunt,
has habeant a praestatione immunes ac liberas. * GRAT. VALENTIN. ET THEODOS.
AAA. PALLADIO COM. SACR. LARG.* 582
Si vedano a tal proposito le opinioni di Marquardt 1884, 276-277; Rostovtzeff 1902, 503;
Stein 1949, p. 214, n. 1; Karayannopoulos 1958, 163-167; Jones 1974, 641; Delmaire 1989,
305-309.
580
Si vedano Millet 1932, 625-643, seguito da Piganiol 1972, 376 e da De Laet 1949, 463-467.
581
Antoniadis Bibicou 1963, 59-74.
582
Cod. Theod. IV, 13, 8 (= Cod. Iust. IV, 61, 8).
579
154
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Un’altra legge, databile tra il 366 e il 369, dell’imperatore Valente era volta
ad impedire che i militari cercassero di ottenere esenzioni fiscali dal pagamento
della octava, quando compravano merci al di fuori dei confini:
Imperatores Valentinianus, Valens, Gratianus. Ex praestatione vectigalium nullius omnino nomine quicquam minuatur, quin octavas more solito constitutas omne hominum
genus, quod commerciis voluerit interesse, dependat, nulla super hoc militarium personarum exceptione facienda. * VALENTIN. VALENS ET GRAT. AAA. AD ARCHELAUM
COM. ORIENTIS. * 583
D’altro canto, la legge già citata sul divieto agli arabarchi di imporre tasse sul
passaggio di animali da soma si inserisce proprio in questo contesto, ed è riportata sia nel Codex Theodosianus che nel Codex Iustinianus, associata alle precedenti
due.584 Il riferimento contenuto al vectigal alabarchiae per Aegyptum atque Augustamnicam constitutum deve essere inteso proprio come la octava pagata in Egitto,
ad Alessandria,585 proprio alla arabarchia, come prima avveniva con la tetarte.
Se può quindi essere considerato certo che in epoca tardoantica la octava
andò a sostituire la τετάρτη, ancora nulla si è detto per capire quando questo
cambiamento avvenne esattamente. È purtroppo difficile dare una risposta a
questo problema. Un terminus post quem ci è fornito dalla già menzionata iscrizione siriana del 174, che ricorda un tal L. Antonio Callistrato, qualificato col
titolo di τεταρτώνης.586 Il terminus ante quem è invece ovviamente fornito dalla
legge del 366-369, data a partire dalla quale possiamo essere sicuri dell’esistenza
di una tassa chiamata octava. Tra il 174 e il 366 non abbiamo alcuna attestazione
della τετάρτη, ma ne abbiamo forse alcune della octava, a partire dalla tarda età
Severiana. Un vectigal octavarum è difatti menzionato in una legge di Severo
Alessandro datata al 227.587 È stato proposto, sulla base di questo testo e di una
Cod. Theod. IV, 13, 6 (= Cod. Iust. IV, 61, 7).
Cod. Theod. IV, 13, 9 (= Cod. Iust. IV, 61, 9). Non a caso il Seeck (1919, 125) aveva proposto
di unire questa legge a quella riportata in Cod. Theod. IV, 16, 8, datandole entrambe al 6 luglio
381.
585
Per la riscossione della octava in Alessandria in epoca tardoantica, si veda Sophr., Miracula
SS. Cyri et Iohannis, 1, PG LXXXVII, col. 3424; per la presenza di un arabarca ad Alessandria
in età tardoantica (giustinianea), si veda Iust, Nov., XI, 2.
586
Cfr. supra, cap. II.
587
Cod. Iust. 65, 7: Imperator Alexander Severus. Si, cum Hermes vectigal octavarum in quinquennium conduceret, fidem tuam obligasti posteaque spatio eius temporis expleto, cum idem Hermes
583
584
155
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
serie di iscrizioni rinvenute in Pannonia, di poter collocare la istituzione della
octava proprio al III secolo e, più precisamente, all’età severiana, contro la communis opinio che questo cambiamento non possa essere avvenuto prima dell’età
di Costantino il Grande.588
In conclusione, possiamo affermare con certezza che l’aliquota per il prelievo
fiscale sulle merci di importazione dall’estero, al passaggio tra l’età altoimperiale
e quella tardoantica, si sia dimezzata, passando dal 25% al 12,5%. Il momento
preciso in cui questo fenomeno si verificò non è precisabile con certezza, anche
se alcuni indizi lascerebbero intuire che esso possa essere collocato tra la fine del
II e l’inizio del III secolo d.C.
La riduzione significativa dell’aliquota è un elemento di non poco conto, e
può essere interpretato come il risultato di una lunga contrattazione tra mercanti
e Stato, per giungere a un accordo che permettesse ai primi di ridurre le enormi
spese coinvolte nel processo di acquisizione delle loro merci, e al secondo di non
rinunciare a una importante fonte di entrate su merci di alto valore.589
4.2 La frontiera terrestre nelle province orientali
Per completare il discorso sulla tassazione manca di verificare il funzionamento delle frontiere terrestri, in modo da poterlo confrontare infine con quello
di epoca altoimperiale.
Nel precedente capitolo abbiamo visto come l’ingresso delle merci nell’Impero per via di terra fosse gestito attraverso una serie di “porte” prestabilite, la
principale delle quali era Palmira, in Siria. È d’altra parte noto che nel 272 d.C.
la città subì la dura repressione di Aureliano, che in due riprese sconfisse la ambiziosa regina Palmira e spense i residui focolai di ribellione nella città.590 Non
in conductionem ut idoneus detinerentur, non consensisti, sed cautionem tibi reddi postulasti, non
oportere te posterioris temporis periculo adstringi competens iudex non ignorabit.
588
Si veda l’opinione di De Romanis 1998, 51-54.
589
De Romanis 1998, 55. Wilson 2015, 28-29 ha ipotizzato che la riduzione dell’aliquota testimonierebbe l’ammissione indiretta, da parte dell’autorità imperiale, di non essere più in grado
di garantire siucurezza ai mercanti come un tempo. A causa delle maggiori difficoltà, si sarebbe
dimezzata l’aliquota per incentivare i mercanti a continuare a portare avanti i loro traffici.
590
Zosim., I, 50-53; Script. Hist. Aug., Vita Aureliani, 22, 6 e 25, 1-3. Cfr, Dodgeon e Lieu
1991, 89-91.
156
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
abbiamo idea di quali provvedimenti furono presi (se pure ve ne furono) per
porre rimedio alla temporanea uscita di scena di Palmira sul fronte orientale.
Dopo poco più di venti anni, una serie di eventi bellici determinerà una nuova
organizzazione della dogana sul confine orientale.
Sotto il regno di Diocleziano, nel 295, il sovrano persiano Narsete approfittò
di un periodo difficile per l’Impero e spodestò dal trono d’Armenia il re filoromano Tiridate III. L’anno dopo il caesar di Diocleziano, Galerio, mosse guerra a
Narsete per recuperare le posizioni perdute.591 I due eserciti si affrontarono in un
luogo non precisato della Mesopotamia, tra Callinico e Carre e quello romano ne
uscì sconfitto. La situazione fu ribaltata nel 297, quando Diocleziano poté fornire
rinforzi a Galerio, che nel 298 entrò vittorioso in Armenia, sconfiggendo l’armata di Narsete, catturandone la famiglia, e dirigendosi poi a Sud, lungo il corso del
Tigri, fino a Ctesifonte. Infine tornò indietro risalendo il corso dell’Eufrate, per
ricongiungersi con le forze guidate da Diocleziano.592
Nel 299, anche su suggerimento di Diocleziano, Galerio stipulò un trattato
di pace col nemico, che prevedeva le seguenti condizioni: cinque satrapie persiane
a oriente dell’alta Mesopotamia sarebbero passate a Roma (Intilene, Sophene, Arzanene, Corduene e Zabdicene); il Tigri avrebbe segnato il confine tra i due Stati;
la fortezza di Zintha, situata sui confini della Media, sarebbe rientrata nei confini
dell’Armenia, riassegnata a Tiridate III; il re dell’Iberia sarebbe stato scelto da
Roma; la città di Nisibis, lungo il corso del Tigri (e situata allora in territorio
romano), sarebbe divenuto l’unico punto autorizzato di commercio fra Persia
e Roma.593 Non è chiaro cosa significasse attribuire le cinque satrapie a Roma,
visto che esse si trovavano molto a est del fiume Tigri; non è da escludere che
in questi territori Roma esercitasse ora una sorta di protettorato, non una vera e
propria occupazione militare.594
591
Lact., De mort. pers., 9, 6-8; Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 33-36; Eutr., 9, 24; Amm., XIV,
11, 10 e XXII, 4, 8 e 5, 11; Script. Hist. Aug., Vita Cari, 9, 3. Cfr. pure Dodgeon e Lieu 1991,
125-131.
592
Per la narrazione dettagliata della campagna di Galerio e Diocleziano contro i Persiani, si
vedano anche Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 34-6; Eutr., Brev., 9, 25. Tra le opere moderne si
vedano: Blockley 1992, 5-7; Millar 1993, 178; Badel e Bérenger 1998, 59-61; Southern 2001,
151 e 243-244.
593
L’unica fonte che riporta estesamente i vari punti del trattato è Petr. Patric., Fr. 14 (FHG IV,
p. 189). Si vedano anche Aur. Vict., Lib. de Caes., 39, 34-6; Eutr., Brev., 9, 25.
594
Cfr. Millar 1993, 178.
157
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Il secondo punto riguarda l’estensione dei territori romani, a Nord della provincia di Mesopotamia, fino al Tigri. Nonostante alcune fonti insinuino che il
potere romano si fosse esteso anche a est del fiume,595 tutti i resti di fortificazioni
romane rinvenute in questa zona sono a ovest.596Le clausole riguardanti l’Armenia e l’Iberia servivano a rinforzare gli stati satelliti di Roma. Ma il punto di
maggiore interesse per noi è il fatto che Nisibis divenne l’unico punto di commercio autorizzato tra i due imperi: τόπον τῶν συναλλαγμάτων, come la definisce Petrus Patricius.597 L’inserimento di questa clausola nel trattato di pace con i
Persiani non fu certamente casuale, ma frutto di una scelta ben precisa effettuata
da Diocleziano. Abbiamo appena ricordato che Palmira, un tempo fulcro del
commercio internazionale nell’area, si trovava in quel momento in condizioni di
forte declino. Lo stesso Diocleziano pose in città la sede di una guarnigione, presumibilmente nel tentativo di accelerarne la ripresa, ma inutilmente.598 Sembra
dunque logico ritenere che proprio il venir meno di Palmira fu uno dei motivi
che indusse Diocleziano dopo la sua vittoria sui Persiani a imporre a questi ultimi che tutto il traffico commerciale proveniente dalla Persia, che in precedenza
passava da Palmira, entrasse nell’Impero tramite la sola Nisibis.
Si è anche sostenuto che tra le motivazioni che spinsero Diocleziano a convogliare tutto il traffico commerciale a Nisibis ci sarebbe stata quella di tenere
sotto controllo i mercanti, potenziali spie: “[…] it nevertheless guaranteed for
the Romans a large customs income, gave them the ability better to monitor and
control the movements of merchants (always regarded as potential spies and of
particular concern to Diocletian) […].”599
La sistemazione data complessivamente da Diocleziano alla frontiera persiana rimase immutata per più di sessant’anni, fino al 363, anno della sfortunata
spedizione di Giuliano, chiusa con la completa disfatta romana, cui fece seguito
l’umiliante pace conclusa da Gioviano con Shapur II, tra le cui clausole la più
gravosa e odiosa fu, a giudizio unanime di tutte le fonti, proprio la consegna di
Nisibis in mano persiana.600
Fest., Brev., 25: Persae […] Mesopotamiam cum Transtigritanis regionibus reddiderunt.
Cfr. Millar 1993, 178.
597
Petr. Patric., Fr. 14 (FHG IV, p. 189).
598
Lewin 1990, 147, n. 28.
599
Blockley 1992, 6.
600
Il contraccolpo psicologico della perdita di Nisibis per i contemporanei fu enorme, e ne restò traccia negli autori bizantini fino in epoca molto avanzata, sicché sarebbe quasi impossibile
595
596
158
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
È chiaro che, a partire da questa data, Nisibis perse il suo status di porta di
ingresso per le merci orientali nel mondo romano. Non sappiamo come i due
imperi rivali riorganizzarono la questione dei punti di accesso per i mercanti immediatamente dopo il 363. Il primo documento che riparli esplicitamente della
questione è datato al 408-409, quando un nuovo trattato fu stipulato tra Teodosio II e Yezdegerd I,601 nel quale si precisava che gli unici punti in cui erano
consentiti scambi commerciali tra i due imperi erano Artaxata e Nisibis sul lato
persiano, e Callinicum (odierna Raqqa) su quello romano:
Mercatores tam imperio nostro quam Persarum regi subiectos ultra ea loca, in quibus
foederis tempore cum memorata natione nobis convenit, nundinas exercere minime oportet, ne alieni regni, quod non convenit, scrutentur arcana. Nullus igitur posthac imperio
nostro subiectus ultra Nisibin Callinicum et Artaxatam emendi sive vendendi species causa
proficisci audeat nec praeter memoratas civitates cum Persa merces existimet commutandas.
Sciente utroque qui contrahit et species, quae praeter haec loca fuerint venumdatae vel
comparatae, sacro aerario nostro vindicandas et praeter earum ac pretii amissionem, quod
fuerit numeratum vel commutatum, exilii se poenae sempiternae subdendum. Non defutura contra iudices eorumque apparitores per singulos contractus, qui extra memorata loca
fuerint agitati, triginta librarum auri condemnatione, per quorum limitem ad inhibita
loca mercandi gratia Romanus vel Persa commeaverit […].602
Ad una attenta lettura, però, il testo del trattato del 408-409, nel limitare la
possibilità di effettuare scambi commerciali solo all’interno di queste tre città,
sembra fare riferimento ad una prassi già consolidata, per cui è ipotizzabile che la
sostituzione di Nisibis con Callinicum quale frontiera doganale sul lato romano
fosse stata effettuata molto precocemente, forse negli anni immediatamente suc-
citare tutte le fonti che abbiano trattato l’argomento. Si vedano, solo a titolo d’esempio, Amm.
Marc., XXV, 9, 3; Ephrem Syrus, Hymni contra Julianum, II, 15-22 e 27; Epit. de Caes., 43;
Eutr., Brev., X, 16, 1-2; Zosim., III, 33, 5; Jos. Styl., Chron., 7; Johan. Malal., ed. L. Dindorf,
Bonnae 1831, pp. 335-337; Agath., Hist., IV, 25, 6-7; Zonar., XIII, 14, 6. Si vedano anche Dodgeon e Lieu 1991, 231-274; Greatrex e Lieu 2002, 1-19.
601
Socrat. Schol., Hist. Eccles., VII, 8; Sozom., Hist. Eccles., IX, 4.
602
Cod. Just., IV, 63, 4. È facile notare, leggendo il testo del trattato, la persistente esigenza
avvertita dagli imperatori romani di evitare atti di spionaggio da parte di sedicenti mercanti
provenienti dalla Persia.
159
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
cessivi al trattato di Gioviano, o comunque entro la fine del IV secolo.603 Questa
situazione persisté immutata ancora per molto tempo. In almeno altre due occasioni successive, infatti, si verificarono attriti tra i due imperi, senza conseguenze
sullo status quo della regione. La prima volta nel 422, quando Helione, il magister
officiorum di Teodosio fu inviato presso Yezdegerd I con il precipuo scopo di
rinnovare il trattato di pace tra i due imperi, cosa che puntualmente avvenne.604
Dopo circa venti anni, sotto il regno di Teodosio II, i Persiani mossero di nuovo
guerra ai Romani, ma il conflitto si risolse ben presto in un rinnovato trattato
di pace, siglato nel 442, che ancora una volta non faceva altro che confermare i
vecchi termini dell’accordo.605
Per tutto il secolo, in pratica, non abbiamo alcun tipo di documentazione
che possa farci pensare che vi furono ulteriori modifiche su questa frontiera, e
d’altra parte i rapporti diplomatici tra l’Impero Romano e quello Persiano furono
relativamente buoni, nonostante un paio di momenti di tensione cui si è appena
accennato.
Ben diversa la situazione sotto il regno di Anastasio. Nel 502, dopo diversi
anni di tensione sulla frontiera, scoppiò la guerra frontale tra i due imperi, che si
risolse fondamentalmente in un nulla di fatto, dopo tre anni di combattimenti.
Entro il 506 si giunse alla pace tra le due compagini. In realtà, il grande successo
di Anastasio in questa campagna militare fu l’essere riuscito a costruire, tra il 505
e il 507, una nuova città-fortezza sul confine romano-persiano, conosciuta come
Dara o Anastasiopoli.606 L’imperatore però non acconsentì mai che essa fosse
aperta al commercio col potente vicino, nonostante le ripetute richieste sasanidi
in tal senso. Fu solo dopo molti anni, in seguito alla nuova pace siglata da Giu-
Non è forse inutile ricordare come già Ammiano Marcellino (XXII, 3, 7), in anni di poco
posteriori alla pace del 363, descriva la “ricchezza dei commerci di Callinicum.”
604
Socr., Hist. Eccl., 7, 20; Cedren., 1, 599; Blockley 1992, 57.
605
Cfr. Blockley 1992, 61.
606
La costruzione di Dara sulla frontiera, a soli diciotto chilometri da Nisibis, ebbe una notevole importanza strategica, in quanto colmava un vuoto difensivo ormai cronico, risalente alla
perdita romana proprio di quella piazzaforte nel 363: a tal proposito, si veda Greatrex 1998,
120-122. Questa importanza nella coscienza dei contemporanei è attestata dall’abbondante celebrazione degli storiografi: Jos. Styl., Chron., 90; Evagr., Hist. Eccl., III, 37; Ps.-Zachar., Hist.
Eccl., VII, 6; Theod. Lect., Hist. Eccl., p. 157; Procop., De Bell. Pers., I, 10; Procop., De Aedificiis, II, 1; Marcell. Comes, Chron., a.518; Ioann. Nikiu, Chron., 89.
603
160
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
stiniano I con i Persiani, nel 562, che Dara fu aperta al commercio con l’estero,
come ci testimonia Menandro:607
Ε´ διετυπώθη, ὥστε τοὺς Σαρακηνοὺς καὶ τοὺς ὁποιουσοῦν βαρβάρους ἐμπóρους
ἑκατέρας πολιτείας μὴ διὰ ξένων ἀτραπῶν ποιεῖσθαι τὰς πορείας, μᾶλλον μὲν οὖν
διὰ τῆς Νισίβεως καὶ τοῦ Δάρας, μήτε μὴν ἄνευ κελεύσεως ἀρχικῆς ἰέναι κατὰ τὴν
ἀλλοδαπήν.
“Quinto punto. Si concorda che i Saraceni e tutti gli altri mercanti barbari di ognuno
dei due stati non potranno viaggiare per strade non ufficiali, ma dovranno passare tutti
per Nisibis e Dara, e non potranno passare la frontiera per andare in territorio straniero
senza un permesso ufficiale.”
Questa organizzazione non subì più alcuna modifica. All’inizio del VII secolo
si verificò l’ultimo grande scontro tra i due imperi. Dopo che i Persiani si impossessarono di buona parte delle province orientali dell’Impero di Costantinopoli,
nel 622 Eraclio diede il via alla definitiva riscossa romana nella regione, terminata nel 628.608 L’anno dopo l’imperatore stipulò un trattato di pace con Cosroe
II Parvez, confermandolo nuovo imperatore dei Persiani. Tuttavia i dettagli di
questo accordo non sono chiari e non sappiamo nemmeno fino a che punto esso
divenne operativo,609 dal momento che le fortune di Cosroe terminarono ben
presto, essendo egli ucciso da una congiura in quello stesso anno. Le poche fonti
che fanno riferimento al trattato di pace610 lasciano intuire che fosse ristabilito lo
status quo ante bellum e chiariscono che il potere romano nelle province orientali
sembrasse in quel momento saldo come mai prima, ora che il più pericoloso dei
nemici era stato finalmente battuto e ridotto in condizione di sudditanza.611
Per una strana ironia del destino, era invece ormai imminente l’arrivo dell’ondata araba che avrebbe cancellato per sempre lo Stato persiano ed estromesso
definitivamente i Romani tanto dal Mar Rosso quanto dalle province orientali
607
Menan., Excerpta, ed. Niebhur, Bonn, 360-361 (= ed. Blockley, Liverpool, fr. 6,1 righe 332336). Si veda anche Vasiliev 1950, 359-360.
608
Dignas e Winter 2007, 115-118.
609
Greatrex e Lieu 2002, 226-227.
610
Chron. Pasch, anno 628; Theoph., (ed. De Boor), 327.
611
Greatrex e Lieu 2002, 227-228.
161
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
in Asia Minore, dando inizio a una nuova era nella storia delle civiltà del Mediterraneo.612
5. Considerazioni finali sull’epoca tardoantica
È ora il momento di provare a tirare le fila di quanto detto finora in questo
capitolo. Il sistema portuale romano sul Mar Rosso in epoca tardoantica appare
caratterizzato da una serie di elementi. Dall’analisi dei dati presi in esame emerge un quadro decisamente articolato. In primo luogo, va ribadito che il sistema
portuale tardoantico, pur sensibilmente differente da quello altoimperiale, non
può essere considerato in alcun modo come scarsamente efficiente o “decadente”,
rispetto al precedente. Si possono anzi ravvisare delle analogie con la ratio alla
base del precedente modello di sviluppo.
Nei primi due-tre secoli della dominazione romana nel Mar Rosso, si andò
costituendo un sistema imperniato su tre porti principali. Due di essi erano ubicati sulla costa egiziana, Myos Hormos e Berenice, collegati a loro volta entrambi
con il porto fluviale di Coptos e, tramite esso, ad Alessandria e al Mar Mediterraneo. Il terzo porto era Leuke Kome, viceversa collocato sulla costa araba del
Mar Rosso, in un primo momento formalmente parte del Regno dei Nabatei, ma
controllato strettamente dai Romani. Successivamente, anche il porto nabataico
divenne parte integrante dell’Impero, in seguito alle campagne militari orientali
di Traiano. In questo stesso periodo l’Impero vide la sua massima espansione nel
Mar Rosso, arrivando ad annettere, o quantomeno a controllare, anche le remote
isole Farasan, presumibilmente con lo scopo di tenere sotto controllo in maniera
più capillare la porzione meridionale del Mare.
Sappiamo che in un periodo non meglio definibile compreso tra la fine del
II e l’inizio del IV secolo questo sistema subì un consistente cambiamento. Ben
due dei principali porti altoimperiali, Myos Hormos e Leuke Kome, uscirono di
scena, per motivi non chiari. Più a Sud, Berenice, dopo una parentesi difficile che
coincide solo in parte con il III secolo, conobbe un consistente rilancio e vide la
sua prosperità crescere e mantenersi fino al VI secolo inoltrato. A Nord, comincia l’imprevedibile ascesa dei porti finora ai margini dello sviluppo commerciale
nell’area: Clysma sul lato egiziano, Aila e Jotabe su quello arabo. A ciò va aggiun-
612
Kaegi 2003, 213.
162
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
ta l’installazione di ‘Abu Sha’ar, fondata presumibilmente proprio nel IV secolo,
con lo scopo di fornire un supporto militare per rendere più sicura la zona. Lo
sviluppo dei porti settentrionali va spiegato. Proprio la posizione geografica svantaggiata di questi porti è stata in passato utilizzata come prova per affermare che
il commercio con l’Oriente in epoca tardoantica fosse assolutamente decadente e
ridotto nel volume complessivo.
Prima di affrontare questo tema, tuttavia, può essere utile insistere ancora
sull’analisi complessiva del quadro ricavabile dall’analisi dell’epoca tardoantica,
per individuare quali ne siano le caratteristiche principali. Innanzitutto, la cronologia. È chiaro che non possiamo considerare l’età tardoantica come un blocco
uniforme, durante il quale non vi furono cambiamenti di rilievo nella gestione
e nella prosperità del commercio nell’area. Al contrario, come già avvenuto per
l’epoca altoimperiale, è possibile individuare dei momenti di cambiamento ed
evoluzione. Un primo periodo di particolare interesse è rappresentato dall’epoca
tetrarchica. È noto che sotto Diocleziano l’Impero, scrollatisi di dosso gli ultimi
residui di una crisi istituzionale che durava da alcuni decenni, recuperò la solidità
e fu avviata la costruzione di una forma statale che poi caratterizzerà tutta l’epoca
tardoantica.
Nell’arco dei primi dieci anni di governo, Diocleziano ristabilì la sicurezza
all’interno dei confini, ponendo fine a ogni residuo tentativo di usurpazione,
sia in Occidente sia in Oriente. La sua azione fu energica in Egitto, dove seppe
sedare le rivolte che avevano come proprio centro Coptos, riuscendo da un lato
a punire la città, ma inserendola poi saggiamente nel nuovo sistema difensivo
dell’area, di cui essa divenne il perno. Nelle province orientali, importanti furono
le sue iniziative contro i Persiani e la realizzazione della Strata Diocletiana.613 Per
quanto concerne questa ricerca si può dire che gli effetti della politica di Diocleziano e Costantino nell’area del Mar Rosso si possono leggere facilmente nella
storia dei porti, oggetto del nostro studio.
Aila, ad esempio, fu prescelta come sede della Legio X Fretensis proprio da
Diocleziano, e gli scavi archeologici hanno chiaramente dimostrato che, a partire
dall’inizio del IV secolo, il sito vide crescere il suo livello di prosperità in maniera
considerevole. Ancora, la nascita di un sito come ‘Abu Sha’ar si colloca proprio
negli anni della seconda tetrarchia. La stessa Coptos, pur punita per aver partecipato a una serie di rivolte, fu fortificata e messa al centro del sistema difensivo
613
Lewin 2002, 96-98.
163
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
del deserto orientale. Allo stesso modo per Clysma e Berenice ci sono chiari
segnali che a partire dal IV secolo i due siti conobbero un periodo di crescita
del loro livello di benessere materiale. In questo contesto va collocata la citata
testimonianza di Epifanio, che ricorda Clysma, Aila e Berenice come i tre porti
principali del Mar Rosso.
Un nuovo momento di prosperità può essere individuato nel periodo tra il regno di Anastasio I e quello di Giustiniano I. Il primo è noto per essere stato uno dei
più brillanti amministratori della cosa pubblica che la storia romana ricordi.614 Oltre a provvedere a una generale riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato e
ad aumentare le entrate statali, si impegnò a promuovere una politica di massiccio
intervento pubblico a favore delle città colpite da catastrofi naturali o pestilenze,615
nonché di generale alleggerimento della pressione fiscale. A tal proposito il suo
provvedimento più celebre fu certamente la abolizione della auri argentive lustralis
collatio, o χρυσάργυρον, la pesante tassa616 istituita da Costantino I,617 che gravava
614
Per una visione generale dell’opera politica di Anastasio I, si vedano il fondamentale Capizzi
1969, e anche Rubin 1989; Haarer 2006.
615
Si veda, a titolo di esempio, quanto riportato da: Jos. Styl., Chron., 42; Malal., Chronogr.,
ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, 394, 406 e 409; Evagr, Hist. Eccl., III, 37; Johan. Nikiu, Chron.,
89, 23-32.
616
Per un’informazione di base sulla esatta natura di questa tassa, cfr. Karayannopoulos 1958,
129-137; Delmaire 1985, 120-129; Delmaire 1989, 354-374; Bagnall 1992, 15-17 (= Bagnall
1993, 153-154); Fikhman 1994, 29, n. 46. Assai ricche sono le attestazioni documentarie che ci
offrono eloquenti informazioni sul modo in cui le comunità di contribuenti si organizzassero
per far fronte al pagamento della odiosa imposta. Si vedano P.Lips. 64 (= W.Chr. 281); PSI VIII,
884; PSI XII, 1265; P.Ross.Georg. V, 27 e 28; P.Erl, 35; P.Oxy. XLVIII, 3415; P.Oxy. XLIX,
3480; P.Oxy. L, 3577; P.Oxy. LXIII, 4381. Di interesse particolare altre due testimonianze.
In P.Oxy. LXIII, 4393 troviamo descritto il triste caso di una vedova che si rivolge al πάτηρ
πόλεως implorando di essere aiutata a raccogliere il denaro per pagare la tassa troppo esosa per
le sue possibilità. Analogamente, Jos. Styl., Chron., 31 riferisce che i soli artigiani di Edessa
dovevano pagare alla scadenza un quantitativo d’oro pari a 150 libbre.
617
Che l’istituzione della esosa tassa fosse da attribuire a Costantino non v’è alcun dubbio.
Tuttavia il riconoscimento di questa poco lusinghiera paternità fu oggetto di una curiosa polemica già in antico. Il pagano Zosimo (II, 38, 2), infatti, ne attribuì l’istituzione all’imperatore
Costantino. Successivamente, il cristiano Evagrio (Hist. Eccl., III, 40; seguito anche da Niceforo
Callisto, XVI, 41, che ne riprende le argomentazioni) si scagliò polemicamente proprio contro
Zosimo, accusandolo di faziosità contro il primo imperatore cristiano. Secondo Evagrio, infatti,
il χρυσάργυρον sarebbe stato introdotto da un precedente imperatore, mentre Costantino si
sarebbe limitato a riformare parzialmente questa istituzione. In epoca moderna, questa ipotesi
fu accolta da Lécrivan 1903, 331-334, il quale, sulla base di alcuni luoghi della Historia Augusta,
164
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
ogni quattro anni618 non solo sui commercianti, ma su tutti coloro che offrivano
un qualche tipo di servizio e il cui compenso fosse in moneta, inclusi mendicanti e
meretrici.619 Anastasio la abrogò nel maggio del 498,620 generando, a quanto pare,
grande entusiasmo nei suoi sudditi.621 D’altra parte, l’imperatore avviò la realizzazione di una serie di provvedimenti mirati a rafforzare il potere romano su tutto il
attribuì l’istituzione della tassa a Severo Alessandro. Sull’argomento si vedano anche Damsholt
1977, 89-102; Delmaire 1989, 355; Baldini 2004, 349-372.
618
La tassa era riscossa ogni quattro anni. Tutte le nostre fonti, eccetto Libanio, parlano di
una cadenza quadriennale: Zos., II, 38, 2; Evagr., Hist. Eccl., III, 39; Niceph. Callist., XVI, 40;
Cedren., p. 627 B; Jos. Styl., 31. Si vedano Delmaire 1985, 120-129; Delmaire 1989, 358-359;
Bagnall 1992, 15-17 (= Bagnall 1993, 153-154); Delmaire 1995, 132.
619
Significative, a tal proposito, le definizioni che le nostre fonti documentarie danno della
tassa: in P.Oxy. XLIX, 3480; PSI XII, 1265; P.Lips. 64; P.Mich. inv. 3708 è indicata con la
locuzione χρυσάργυρον πραγματευτικόν; in P.Lips. 34 v°; P.Ross.Georg. V, 27; e in Basil., Ep.,
88 troviamo πραγματευτικὸν χρυσίον; mentre in C.Th. XIII, 4, 4, si usa l’espressione collatio
negotiatorum, e in C.Th. XVI, 2, 10, negotiatorum dispendia.
620
Il testo dell’editto di abolizione si trova in Cod. Iust., XI, 1, 1-2, ma senza data. Nessuna
datazione è parimenti fornita da Evagrio (Hist. Eccl., III, 39-41), Procopio di Gaza (Panegyr.,
13), Prisciano di Cesarea (De Laud. Anast. Imper., vv. 149-170), nonostante che tutti ricordino
l’avvenimento con parole di lode per l’imperatore. Zosimo (II, 38) riporta erroneamente le data
del 501, mentre Malalas (Chron., ed. L. Dindorf, Bonnae 1831, p. 398) la cita dopo un aneddoto
verificatosi dopo il terzo consolato dell’imperatore (507), probabilmente confuso col secondo
(498). Più precisa la data fornita da Cirillo di Scytopoli (Vita Sabae, 54, ed. E. Schwartz, Leipzig
1939, p. 99), che colloca il provvedimento 13 anni prima la venuta del santo a Costantinopoli
(avvenuta nel 512). Ma la datazione esatta è fornita dalle fonti siriache (il cui determinante apporto nella risoluzione del problema è stato definitivamente dimostrato da Nöldeke 1904, 135):
Josué Stilita (Chron., 31), e il Chronicum Edessenum (74), il quale ultimo precisa anche che l’abolizione avvenne nel mese di Îyâr (maggio). Sulle motivazioni che spinsero Anastasio a prendere
questa decisione i pareri dei moderni sono divisi. I commentatori cristiani suoi contemporanei
(già citati nelle righe precedenti) attribuirono il motivo alla pia religiosità dell’imperatore, che
non avrebbe tollerato che lo Stato traesse profitto dall’immorale professione delle meretrici.
Realisticamente, dobbiamo immaginare che Anastasio abbia tenuto conto di motivi più pratici,
anche se, a mio avviso, sarebbe un errore negare una componente morale nella sua decisione,
tenuto conto della profonda religiosità dell’imperatore (su cui si veda almeno, tra i lavori più
recenti, Capizzi 2000, 88-97).
621
Due testimonianze sono certamente significative a tal proposito. Priscian., De Laud. Anast.
Imper., vv. 149-155: Nunc hominum generi laetissima saecula currunt, / quos inopes dudum faciebant iussa nefanda, / quae propter multi sedes fugere parentum, / quae pater et dominus terrae
delevit in aevum, / argenti relevans atque auri pondere mundum; / perpetuoque parans sibi maxima
praemia caeli / divitias temnit, quo prodest omnibus unus; Jos. Styl., Chron., 31 ricorda che gli
Edesseni tutti festeggiarono per una settimana l’evento e stabilirono di celebrarne la ricorrenza
ogni anno e che, ovviamente, i più felici furono i mercanti.
165
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
fronte orientale. Vanno lette in questo senso le campagne militari contro i Persiani,
le quali, pur non portando ad alcuna conquista territoriale, ripristinarono l’autorità
romana nell’area, in ribasso dai tempi di Giuliano, oltre a portare alla costruzione
della città fortezza di Dara.622 Nel Mar Rosso, Anastasio ristabilì l’autorità romana
contro le popolazioni arabe che minacciavano gli interessi commerciali dell’Impero, riassicurando allo Stato le importanti rendite fiscali provenienti da Jotabe.
Il suo successore, Giustino I, che pure difettava delle capacità amministrative di Anastasio, si diede da fare a sua volta per garantire la supremazia romana
nell’area del Mar Rosso, con una accorta politica nell’area dell’Africa Orientale.
Egli infatti si impegnò per guadagnare l’emergente potenza axumita all’alleanza
con l’Impero. Facendo leva sulla comunanza religiosa tra Axumiti e Romani,
Giustino riuscì ad integrare il loro Stato nella politica di Costantinopoli. Il più
celebre e significativo episodio è quello narrato nel Martyrium Arethae et sociorum. Gli Axumiti tra il 522 e il 525 ebbero a condurre una serie di guerre con
gli Himyariti, stanziati nell’area dell’attuale Yemen. In questo conflitto Axum
fu spalleggiata da Costantinopoli,623 come dimostrato nel passo del Marthyrium
citato in precedenza. È chiaro che a Giustino non sfuggivano le implicazioni
politiche che un successo militare nell’area avrebbe comportato. Estendendo il
potere axumita su entrambi i lati del Mar Rosso meridionale, si otteneva una
forma di “protettorato” romano su tutto il bacino del Mar Rosso. Non è casuale,
in questo contesto, la ricomparsa di Farasan nella nostra documentazione, per la
prima volta dai tempi degli imperatori Antonini.
Il trend positivo sembra essere continuato sotto Giustiniano I. È noto che sotto questo imperatore l’Impero raggiunse la sua massima espansione. In particolare furono colte importanti vittorie contro i Persiani,624 fu compiuta una nuova
spedizione contro Jotabe per riportarla sotto il controllo di Costantinopoli, e fu
potenziato il processo di integrazione del regno axumita nella sfera di influenza
romana, portando avanti le linee politiche del tempo di Giustino.625
Se confrontiamo il contesto storico generale con le fonti letterarie in nostro possesso, vediamo che il quadro complessivo è assolutamente coerente. Sono proprio le
fonti letterarie di V-VI secolo quelle più ricche di particolari sul ruolo dei porti ro-
622
623
624
625
Dignas e Winter 2007, 100-106.
Evans 1996, 112-113.
Evans 1996, 114-117; Dignas e Winter 2007, 106-109.
Evans 1996, 113-114.
166
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
mani, ed attestano chiaramente che queste installazioni erano terminali commerciali di rilievo per le merci di importazione orientale. Le testimonianze di Procopio,
Egeria (tramite Pietro Diacono), Antoninus Placentinus e Cosmas Indicopleustes
sono a questo proposito le più indicative, ma ad esse vanno aggiunte le informazioni ricavabili dalla documentazione archeologica (in particolare Aila e Berenice)
e dei documenti rinvenuti, come l’editto di Anastasio e le iscrizioni da ’Abu Sha’ar.
Per comprendere i forti legami commerciali tra Costantinopoli e Axum, oltre alla
esplicita testimonianza di Cosmas Indicopleustes, vale la pena di ricordare come le
analisi numismatiche abbiano rilevato che la monetazione axumita sia una stretta
imitazione di quella romana, per quanto concerne tipi monetali e peso.626
Proprio la forte integrazione dello Stato axumita all’Impero fa intuire che tra
V e VI secolo Costantinopoli arrivò a controllare, in maniera più o meno diretta,
un’amplissima porzione del Mar Rosso stesso, raggiungendo un grado di penetrazione politica in esso sperimentato, forse, solo nel II secolo d.C.
Un secondo aspetto su cui ora fermare l’attenzione è il carattere fortemente
militare delle installazioni portuali nel Mar Rosso in epoca tardoantica. È certamente vero che l’area era già stata fortemente interessata dalla presenza militare
nel I e nel II secolo d.C. Abbiamo già ricordato le truppe dislocate lungo la carovaniera Coptos <-> Berenice / Myos Hormos, nonché la presenza nella stessa
Coptos di un praefectus Berenicidis montis; in Nabatea (poi provincia d’Arabia)
un centurione romano era perennemente stanziato a Leuke Kome, mentre un
altro distaccamento era dislocato a Hegra.
Eppure, la militarizzazione dell’area eritrea appare più marcata a partire dal
IV secolo. È il caso di sottolineare come sia Coptos che Clysma siano ricordati
nelle fonti come castra, vere e proprie città militari. Aila, d’altra parte, fu scelta
come sede della Legio X Fretensis, e collegata tramite la via Nova Traiana e la
Strata Diocletiana al sistema di fortificazioni esistente sul limes romano-persiano.
’Abu Sha’ar era a sua volta in un limes interno, costruito col fine di migliorare la
sicurezza dell’area orientale dell’Egitto.627
Lo sviluppo della presenza militare romana nell’area ci consente, da un lato,
di sottolineare ancora una volta come i porti più settentrionali abbiano svolto, in
questo periodo, un ruolo di primo piano, come illustra chiaramente la proliferazione di postazioni militari nell’area settentrionale dell’Egitto, tra ’Abu Sha’ar
626
627
Bausi 2006, 83-98; Metlich 2006, 99-104.
Sidebotham 2017, 139-145.
167
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
e Clysma, e ad Aila. D’altro canto, il cospicuo investimento di uomini e mezzi
nell’area chiarisce che senza dubbio ci fosse una accorta regia statale dietro questo
sviluppo. Con ciò non si intende dire che lo Stato avesse pilotato direttamente lo
sviluppo delle installazioni settentrionali, ma che quantomeno si deve ammettere
che si adoperò perché questo sviluppo potesse andare avanti in un contesto il più
favorevole possibile. Gli interventi operati nell’area del Mar Rosso sono in effetti
coordinati in maniera tale che è possibile individuare una complessiva volontà
romana di controllare a fondo il commercio nell’area. Volontà che, pur conoscendo alti e bassi nella sua concreta realizzazione, rimase comunque mirata verso
l’obiettivo finale di fare del Mar Rosso una sorta di Mare Internum, circondato
in ogni lato da province o Stati alleati di Roma.
Questo ci porta a riflettere su un ultimo aspetto, quello della tassazione, su
cui è necessario spendere le ultime parole di questa sezione. Con l’analisi portata
avanti in questo capitolo si è cercato di evidenziare le caratteristiche del sistema
di tassazione tardoantico, e la sua strutturazione geografica.
Appare chiaro che esso è fondamentalmente il figlio diretto del sistema utilizzato in età altoimperiale. La filosofia alla base è la stessa, e si fonda sull’idea di
creare delle “porte” prestabilite di accesso all’Impero, attraverso cui far passare
tutte le merci in ingresso. Nell’area del Mar Rosso parte del vecchio sistema
sopravvisse, con il mantenimento della struttura della arabarchia, che con ogni
probabilità continuò ad operare tra Coptos e Alessandria. Sul lato arabo, le prerogative di Leuke Kome furono presumibilmente ereditate da Jotabe, mentre la
vera novità è Clysma, inserita nel sistema per la prima volta, a testimoniare un
cambio nelle rotte commerciali della zona.
Nella frontiera terrestre, pur al variare delle città deputate ad assolvere l’incarico, fu sempre fatto salvo il principio di avere un unico punto di scambio
autorizzato sulla frontiera tra i due imperi: Nisibis fino al 363, poi Callinicum
fino al 562, anno in cui anche Dara fu aperta al commercio con i Persiani, rappresentando la sola deroga al principio dell’unica porta d’ingresso.
È possibile notare che gli imperatori romani di questo periodo ebbero cura di
sottolineare che questo tipo di organizzazione aveva anche lo scopo di impedire
infiltrazioni di spie nell’Impero. Questa particolare attenzione al problema, più
che a un eccesso di dirigismo da parte dello Stato tardoantico, andrà spiegata con
il cambio politico avvenuto in Oriente a partire dall’inizio del III secolo. Alla
tutto sommato amichevole dinastia degli Arsacidi parti era succeduta quella degli aggressivi Sasanidi persiani. Una maggiore attenzione sulla frontiera orientale
era imposta dalle circostanze, dati i frequenti conflitti tra i due imperi.
168
3. L’età tardoantica (IV-VI secolo)
Dall’analisi portata avanti finora sull’epoca tardoantica, appare chiaro che
alcuni elementi non sono ancora stati spiegati adeguatamente. Ad esempio, la
domanda di fondo che dovrebbe a questo punto trovare necessariamente una
risposta è perché la geografia portuale del Mar Rosso appare così fortemente
cambiata in epoca tardoantica. Perché, in altre parole, un sistema che si era dimostrato affidabile per più di due secoli fu abbandonato? Abbiamo chiuso l’analisi del precedente capitolo descrivendo la geografia portuale del Mar Rosso nel II
secolo d.C. Qui abbiamo ricominciato descrivendo quella di IV secolo: il quadro
appare mutato in maniera rilevante. È ora fondamentale capire cosa avvenne
nel mezzo, verificare quali furono effettivamente le dinamiche che portarono ad
abbandonare dei porti utilizzati per 200 anni e più e a utilizzare degli altri, fino
a quel momento di scarsa importanza, posti peraltro in una posizione geografica
sfavorevole. Il tentativo di spiegare questa modifica sarà lo scopo principale del
prossimo capitolo.
169
4. L’età di passaggio, il III secolo
1. La ‘crisi’ come problema storiografico
Nel precedente capitolo abbiamo analizzato i dati relativi all’evoluzione dei
porti in epoca tardoantica. Si è provato a evidenziare quali furono i momenti di
maggior sviluppo dei porti romani a partire dal IV secolo. Abbiamo anche sottolineato le profonde differenze tra lo scenario di IV-VII d.C. secolo con quello di
I a.C.-II d.C., ma resta ancora da rispondere a importanti domande circa il vero
e proprio funzionamento del sistema tardoantico. Si è insistito molto sull’ascesa commerciale dei porti collocati nella parte più settentrionale del Mar Rosso,
identificando questa come la caratteristica principale del periodo tardo. Eppure
rivelare questa struttura non è sufficiente a rendere conto della peculiare conformazione del sistema portuale sul Mar Rosso dal IV secolo in poi. Le caratteristiche fisico-geografiche del Mare erano sfavorevoli a una navigazione in direzione
Sud-Nord, e questo aspetto aveva determinato, dall’era tolemaica fino al II secolo
d.C., il mancato sviluppo delle installazioni portuali nel Nord del Mar Rosso,
nonostante gli sforzi che pure furono fatti da alcuni sovrani (si pensi ad esempio a
Tolomeo II e al suo tentativo di aprire un canale navigabile congiungente il Nilo
col Golfo di Suez).628 Eppure una difficoltà così grave sembra in qualche modo
essere superata dal IV secolo d.C. in poi. La soluzione a questo enigma va ricercata cronologicamente nel periodo intermedio tra i due che sono stati analizzati,
il III secolo d.C., epoca in cui si sarebbero dovuti verificare i cambiamenti che
trasformarono il sistema altoimperiale in quello tardoantico.
628
A tal proposito, si veda quanto già detto supra, cap. I.
171
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Il III secolo è stato identificato da molto tempo come il “punto di svolta”
nella storia della gestione del Mar Rosso da parte dei Romani, e più in generale
del commercio tra il loro Impero e l’India. In questo senso, la communis opinio
per cui il III secolo sarebbe stato un periodo di profonda crisi politica, militare ed
economica ha svolto un ruolo determinante nel formare le teorie elaborate dagli
studiosi. Fino ad oggi, ha complessivamente regnato indisturbata l’opinione per
cui, mentre tra I e II secolo d.C. il volume dei commerci tra Impero Romano
e India avrebbe raggiunto livelli altissimi, a partire dal IV secolo il volume si
sarebbe ridotto di molto. Nel mezzo, la “crisi di III secolo”, che avrebbe messo
l’Impero economicamente e militarmente in ginocchio, causando il quasi totale
crollo dei contatti commerciali con l’Oriente e la distruzione dei porti principali
nel Mar Rosso.
Dal IV secolo l’Impero, giovandosi di una ritrovata stabilità economica e
politica, avrebbe tentato di riallacciare i contatti con l’Oriente, ma questa volta
utilizzando i porti settentrionali del Mar Rosso, pur geograficamente svantaggiati, perché questi erano gli unici rimasti a disposizione. Il volume complessivo
degli scambi, tuttavia, sarebbe rimasto basso, anche a causa della concorrenza di
Axumiti e Persiani, ormai divenuti i padroni delle rotte commerciali con l’India.
Se diamo una rapida occhiata ad alcune delle opinioni espresse nei principali testi
che nell’ultimo secolo si sono occupati di questo argomento, possiamo verificare
la pressoché totale unanimità dei pareri espressi sulla questione.
Tra i primi a occuparsi dell’argomento fu il Warmington. Egli, nel suo The
Commerce between the Roman Empire and India, dedicava poche pagine a quello
che aveva significativamente indicato come un periodo di declino, iniziato con
la morte di Marco Aurelio. Lo studioso, a proposito del commercio con l’India
nel corso del III secolo, così si esprimeva: “[…] The Roman Empire as a whole
suffered a steady economic and political decline […]. Egypt shared in the troubles and was unable to protect the desert-routes, and after the cruel treatment
of Alexandria by Caracalla, direct sea-trade between the Roman Empire and
India almost ceased to exist […] and discoveries of coins in India become very
few for reigns succeeding that of Aurelius, and cease altogether between Caracalla and Constantius II with the exeptions of mostly isolated discoveries in the
north of India, reflecting, if anything, the activity of Palmyra. We must not
forget however that barter now became a general system of trade, and Roman
subjects could go to India under the protection of the Axumites, for along the
sea-route across the Indian Ocean control of the traffic passed once more into
the hands of foreigners – the Arabians and still more the Axumites, who took
172
4. L’età di passaggio, il III secolo
the place of the Egyptian Greeks and became the middlemen for the Indian seatrade with Egypt.”629 A proposito della ripresa commerciale in epoca bizantina,
invece, lo studioso si esprimeva in questi termini: “Aela, Clysma, and especially
Berenice revived in importance, but the so-called trade with the ‘Indians’ was in
reality trade with the Ethiopians, and even under Justinian in the sixth century
Byzantine subjects visited not India so much as Arabia and the Axumite realm
(particularly Adulis), and the ignorance now shewn about India was truly prodigious.”630
Nell’analisi dello studioso inglese sono presenti già tutti gli elementi che caratterizzeranno l’analisi di questo periodo nelle opere degli autori successivi: il terzo
secolo come periodo di totale declino del commercio con l’Oriente; la comparsa
di intermediari (gli Axumiti) che avrebbero agito come concorrenti commerciali dei Romani, costringendo questi ultimi a sottostare alle proprie condizioni;
il declino in epoca tardoantica, nonostante le sporadiche testimonianze di un
revival commerciale a partire dal IV secolo; l’ignoranza geografica mostrata dai
Romani di IV-VII secolo riguardo l’India, ulteriore prova di un ridotto contatto
commerciale diretto col subcontinente. Ultimo aspetto da non sottovalutare, la
grande importanza riservata alle monete romane ritrovate in India, le quali sarebbero un testimone oggettivo e fedele delle variazioni subite nei flussi commerciali
tra Occidente e Oriente, e che mostrerebbero anch’esse chiaramente che dopo la
fine del II secolo la presenza romana in India divenne assolutamente sporadica.
Le opinioni del Warmington furono riprese successivamente dalla totalità degli
studiosi che si occuparono del problema, come risulterà chiaro dal proseguire
della nostra rapida carrellata.
Il più celebre dei libri scritti sul tema dei rapporti commerciali tra mondo
romano e l’Est è certamente il testo di S.E. Sidebotham, Roman Economic Policy
in the Erythra Thalassa, ancora oggi spesso citato come punto di riferimento in
numerosi lavori. Anche il testo del Sidebotham fondamentalmente non si occupa di estendere la sua analisi all’epoca tardoantica, dichiarando nel sottotitolo i
limiti cronologici in cui l’opera si inserisce (30 a.C – 217 d.C.), eppure in alcune
parti del suo lavoro l’autore non rinunciava ad esprimere alcune valutazioni di
massima: “The fact that no Roman coins later than Caracalla have been found in
the east and central Andhra regions of India – an area where the Roman traders
629
630
Warmington 1928, 136-137.
Warmington 1928, 139-140.
173
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
were active in the second century – and that very few coins of third century emperors after Caracalla have been found in India at all suggest that Roman trade
in coins with India virtually ceased after the second or third decades of the third
century. The trade seems to have fallen into the hands of middlemen who may
have preferred trading in barter.”631
Come si vede, anche in Sidebotham tornano sinteticamente i concetti già
espressi decenni prima dal Warmington: il declino, quasi la sparizione del commercio nel terzo secolo; l’ascesa commerciale di intermediari nell’area del Mar
Rosso; l’assenza di monete romane in India dopo l’epoca dei Severi, in particolare
da Caracalla in poi.
Il nuovo secolo non porta un sostanziale cambiamento nelle opinioni degli
studiosi. Un testo significativo in merito è il volume pubblicato da G.K. Young,
dal titolo Rome’s Eastern Trade, il quale per primo ha spinto il proprio orizzonte
cronologico al di là del III secolo, facendo arrivare la propria trattazione fino alla
abdicazione di Dioclaziano (305 d.C.). Anche nel testo dello Young, tuttavia,
l’epoca posteriore al II secolo d.C. è trattata in maniera alquanto sintetica, riprendendo ancora una volta gli schemi facenti capo fondamentalmente al Warmington: “There is considerable evidence to show that the Egyptian Red Sea trade
suffered a marked downturn in the later third century. This is not to say that
the trade ceased altogether: there is still evidence that the commerce through
the Red Sea ports was active at that time in the Historia Augusta. Nonetheless
there is good reason to believe that the volume of commerce passing through
the Egyptian Red Sea ports declined significantly at this time.”632 Notiamo nelle
affermazioni dello Young per la prima volta un ammorbidimento della canonica
opinione riguardo al terzo secolo. Egli non parla di “totale cessazione” dei commerci in questo periodo, ma di “riduzione”. Lo studioso prosegue poi la sua analisi, riportando nella sua discussione alcuni dei tipici argomenti che abbiamo già
evidenziato in precedenza: “This decline in volume of traffic using the Egyptian
Red Sea ports also appears to parallel developments in the coin evidence from
India. [..] there are no Roman coins at all from the later third century. […] the
apparent coincidence of the disappearance of Roman coins from India with the
decline of the Egyptian Red Sea ports would seem to indicate a general downturn in the Red Sea commerce in the later third century. […] There are several
631
632
Sidebotham 1986a, 172.
Young 2001, 82.
174
4. L’età di passaggio, il III secolo
reasons why the civil wars and economic crisis of the third century might have
had a damaging effect on the eastern long-distance trade. The greater prevalence
of warfare would, of course, impede the trade severely. It has already been seen
that the trade began to prosper in a period of peace and Roman prosperity beginning in the later first century BC; it should hardly surprise us that the resurgence
of internal warfare in the third century would damage the trade. Similarly, the
rampant inflation which gripped the Roman world throughout the third century would have armed international commerce as the buying power of Roman
currency collapsed.”633 Mentre il giudizio complessivo dello Young sul III secolo
è sostanzialmente analogo a quello degli studiosi che si sono occupati dell’argomento prima di lui, alquanto diversa è l’opinione sulla ripresa commerciale che si
sarebbe verificata a partire dal IV secolo: “The discovery of Persian and Axumite
coins from this period [il IV secolo d.C., n.d.r.] at various points concerned with
the Indian Ocean trade indicates that these traders were certainly active at this
time, and there are literary references to competition between Roman and Persian traders in the Indian Ocean during this period as well. Nonetheless it would
be greatly overstating the case to contend that the trade was now entirely in the
hands of the Persian and Axumite ‘middlemen’, as the aforementioned literary
reference certainly describes Roman traders being present in Sri Lanka. While
it is certain that Persian and Axumite traders were now also active in the Indian
Ocean, there is no reason to suppose that the Roman merchants were absent.”634
Si avverte in queste parole che, nel momento in cui lo Young scriveva, la generale
considerazione da parte degli studiosi nei confronti dell’epoca tardoantica era in
corso di cambiamento, in particolare grazie agli scavi portati avanti dalle équipes
di Sidebotham e Wendrich a Berenice, e di Parker ad Aila, i cui risultati iniziavano a gettare nuova luce sulla storia post IV secolo delle installazioni portuali
romane nel Mar Rosso.
Tuttavia, c’è da notare che i risultati delle indagini archeologiche degli ultimi decenni non hanno ancora portato a un radicale cambio di prospettiva nel
modo di valutare la presenza romana nel Mar Rosso in epoca tardoantica. Di
questa permanenza di un punto di vista legato fortemente allo stereotipo della
crisi e della decadenza, a partire dal III secolo d.C., se ne ha un ottimo esempio
in una delle ultime monografie dedicate ai commerci nel Mar Rosso pubblicata
633
634
Young 2001, 83.
Young 2001, 88.
175
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
in lingua inglese. Si tratta del testo di di R. McLaughlin, The Roman Empire and
the Indian Ocean. The Ancient World Economy of the Kingdoms of Africa, Arabia
and India.635 Nonostante il titolo piuttosto ambizioso, il volume non è scientificamente al livello di quelli precedentemente citati, e palesa in realtà una serie
di errori e imprecisioni per lo meno sorprendenti. Per quanto il taglio sia molto
divulgativo e l’autore non fornisca se non raramente delucidazioni metodologiche sulle conclusioni alquanto perentorie a cui giunge, è interessante notare che
anche in questo volume si ripete il paradigma del commercio romano con l’India
completamente decaduto a partire dal III secolo, e ancor di più in epoca tardoantica. In effetti, il volume tralascia completamente di dedicare dello spazio a
questa fase della storia romana, concludendo laconicamente: “Between AD 235
and 284, the Roman Empire entered an era known to modern historians as the
‘Crisis of the Third Century’, the ‘Military Anarchy’, or the ‘Imperial Crisis’. In
a fifty-year period there were over twenty-five claimants to the title of Emperor
and the Roman army fought repeated civil wars that devastated the Legions and
diminished their long-established military expertise. When the available income
of the Roman government was unable to meet its military costs the silver coinage was debased. By the end of the third century AD the denarius contained
only minute quantities of silver and serious price inflation took hold in Roman
markets. The Roman State was forced to develop a larger bureaucratic tax-system to extract essential resources from its subject populations. […] During the
fourth century the Roman Empire split into two separate regimes […].”636 In
realtà, come si avrà modo di analizzare infra, molte della affermazioni generali
riguardo il III secolo fatte dal McLaughlin sono basate su stereotipi storiografici
che sono stati abbandonati da tempo. Conseguentemente, le sue interpretazioni
dei fenomeni commerciali nel Mar Rosso dell’era post-Marco Aurelio appaiono
datate e più vicine a quelle espresse genericamente dal Warmington, che a quelle
di monografie più recenti. In ogni caso, secondo il McLaughlin la serie di fattori
da lui elencata avrebbe portato alla fine degli scambi internazionali tra Roma e
l’Oriente, determinando il crollo di quella ‘World Economy’ che aveva caratterizzato i primi due secoli di vita dell’Impero.637
635
636
637
McLaughlin 2014.
McLaughlin 2014, 224-225.
Si veda a tal proposito l’interessante studio di Morony 2004.
176
4. L’età di passaggio, il III secolo
L’unico elemento in controtendenza, in questa sintetica rassegna bibliografica, è il testo di T. Power, The Red Sea from Byzantium to the Caliphate. AD
500-1000.638 Come è chiaro fin dal titolo, il volume spezza la tradizionale cronologia del Mar Rosso, che vede una discontinuità forte tra il periodo Romano/
Bizantino da un lato, e quello arabo dall’altro. Nelle pagine iniziali del suo lavoro, il Power lamenta proprio la scarsa attenzione che i classicisti hanno riservato
all’analisi della fase tardoantica del Mar Rosso: “The study of the early roman
‘India trade’ has tended to overshadow that of the late Roman period. Indeed,
the Periplus has become so much cited that it has assumed a virtually normative
position in the discourse. […] Tomber’s recent study includes a rare synthesis of
the late Roman red Sea ‘India trade’ based largely on the ceramic evidence, yet it
is striking that classical archaeologists have thus far neglected to write a definitive
monograph on the subject.”639
Ci sono delle opinioni di fondo condivise relativamente al III secolo come
epoca di transizione verso una nuova fase dello sviluppo dei commerci con l’Oriente. Tutti i testi esaminati sottolineano alcuni aspetti, come il declino politico
ed economico dell’Impero in questo periodo, cui avrebbe fatto seguito una fortissima inflazione, che avrebbe avuto negative ricadute sul commercio internazionale con i Paesi dell’Oriente. Prova principale di questo trend negativo sarebbe
la mancanza di monete romane in India databili dal regno Caracalla in poi. Di
seguito si cercherà di verificare se effettivamente l’ipotesi del declino generale dei
commerci romani nel Mar Rosso dal III secolo in poi sia accettabile, cercando
di capire in primo luogo se le fondamenta su cui essa si basa siano effettivamente
solide o meno. Questo comporta necessariamente un confronto con quello che
è un complesso e annoso problema storiografico, la definizione di quella che fu
la cosiddetta “crisi di terzo secolo”, sul cui riguardo gli studiosi sono ben lungi
dall’essere d’accordo. Il tema è ampio e ad esso sono state dedicate molte monografie, per cui qui di seguito si cercherà di circoscrivere l’analisi a quegli aspetti
maggiormente rilevanti per l’argomento di questo lavoro.
L’idea che il mondo romano sia stato oggetto di una ‘crisi’ durante il III secolo d.C. trae origine, in certa misura, dalle testimonianze riportate dagli stessi
contemporanei, le quali, pur non numerosissime, presentano un quadro a tinte
638
639
Power 2012, peraltro curiosamente ignorato totalmente da McLaughlin 2014.
Power 2012, 7-8.
177
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
fosche di questo periodo.640 Queste testimonianze hanno costituito la base su
cui si è costruita una vulgata del III secolo come età della crisi per eccellenza del
mondo romano, fin dai tempi del Gibbon e della sua monumentale History of
Decline and Fall of the Roman Empire.641 In effetti, ragioni per indicare questa
come un’epoca difficile ve ne sono. Nel cinquantennio compreso tra il 235 (morte
di Alessandro Severo) e il 285 (definitiva conquista del potere da parte di Diocleziano) l’Impero sperimentò un periodo molto travagliato, affrontando una serie
di minacce che ne misero a repentaglio la stessa esistenza.642
Tuttavia gli studiosi non hanno mai raggiunto un accordo su quelle che furono le reali proporzioni della crisi e neppure se esso sia il termine più adatto a
designare i convulsi accadimenti di questo periodo. Se proviamo a verificare in
che modo il tema sia stato trattato nell’ultimo secolo, si nota chiaramente che il
concetto di crisi sembra essere stato progressivamente “diluito” in quello di “trasformazione”, più neutrale.
Nella vecchia edizione della Cambridge Ancient History, il volume XII, del
1939, era intitolato The Imperial Crisis and Recovery, 193-324, quasi a suggerire
che il periodo di crisi fosse durato per ben 131 anni, mentre il capitolo affidato ad
Andreas Alföldi è intitolato “The crisis of the Empire (AD 249-270)”,643 restringendo di fatto l’ambito cronologico a soli 21 anni. La parola “crisi” è utilizzata
peraltro come una sorta di “contenitore”, di cui non si fornisce una precisa descrizione, come un modo di descrivere un periodo che è ovviamente travagliato e
complesso. Compare qui immediatamente una delle caratteristiche più evidenti
della storiografia sull’argomento, e cioè la difficoltà nel definire precisamente i
limiti cronologici e semantici del fenomeno.
La parola “crisi” è presente ancora in un lavoro del MacMullen del 1976,
Roman Government’s Response to Crisis AD 235-337.644 Possiamo subito notare
come la ripartizione cronologica scelta dal MacMullen sia diversa da quella della
Per una raccolta e un commento dettagliato delle fonti letterarie disponibili, si veda Alföldy
1989, 319-340.
641
Si vedano, per una sintetica panoramica sul dibattito storiografico riguardo a questo argomento, almeno: Mazza 1970; Chambers 1966, 30-58; Demandt 1984; Alföldy 1989; Lo Cascio
1993, 248-249; Drinkwater 2005, 28-66; Liebeschuetz 2007, 11-20.
642
Celebre la efficace immagine evocata dal Mazzarino (1973, 534-543), secondo il quale l’Impero si trovò ridotto a un “torso” di quello che era stato una volta il suo territorio.
643
Alföldi 1939, 165-231.
644
Macmullen 1976.
640
178
4. L’età di passaggio, il III secolo
Cambridge Ancient History, mentre il termine è ancora una volta usato in maniera
vaga, come sintesi per indicare una situazione precaria che, come suggerito dal
titolo del testo, il governo romano dovette ad un certo punto affrontare.
Non molti anni dopo, Geza Alföldy per la prima volta pose il concetto di
crisi davvero al centro dell’indagine storiografica.645 Egli puntò l’attenzione sulla
percezione che i contemporanei avevano dei tempi in cui si trovarono a vivere.
Analizzando prevalentemente fonti cristiane (pur senza trascurare quelle di ambito pagano), egli trasse la conclusione che i Romani di III secolo ebbero la chiara
percezione di vivere in un periodo di grave difficoltà e di crisi sociale, arrivando
a interpretare questi fenomeni come presagi della imminente fine del mondo.
È solo in anni recenti, invece, che il concetto di crisi è stato decisamente
rimesso in discussione, arrivando a negare che esso possa descrivere adeguatamente lo scenario di III secolo. In tal senso, uno dei primi testi che si segnalò fu
certamente il lavoro dello Strobel, edito nel 1993,646 che ebbe anche il merito di
utilizzare il concetto di crisi come un vero e proprio modello storiografico, e non
solo come “contenitore”.647 Egli rigettava l’idea di crisi nel terzo secolo, e in particolare confutava le argomentazioni di Geza Alföldy, sostenendo che le testimonianze raccolte da quest’ultimo nel suo libro non fossero utilizzabili per sostenere
l’idea che i Romani di III secolo avessero l’impressione di vivere in un periodo
di crisi irrimediabile, ma evidenziassero piuttosto i problemi che singole persone
o gruppi di persone (ad esempio i Cristiani, sottoposti a persecuzioni) potevano
aver riscontrato in quel determinato periodo. Infine, lo Strobel esprimeva anche
sfiducia sulla validità del metodo adoperato dallo Alföldi: partendo dalla convinzione che l’autentica natura di un’epoca di crisi può essere compiutamente
riconosciuta solo quando questa epoca sia giunta a termine, egli dubitava che i
Romani di III secolo fossero nella posizione di poter esprimere giudizi significativi sulla loro epoca. La conclusione dello Strobel è che in effetti non vi fu alcuna
crisi nel corso del III secolo, e che esso possa essere considerato complessivamente
un’epoca relativamente stabile,648 arrivando infine persino a negare l’ipotesi che
Alföldy 1989.
Strobel 1993.
647
Strobel 1993, 32: “ob das ‘3. Jahrhundert’ als Modell einer historischen Krise gesehen werder kann, also nicht nur in einer sachlichen Retrospektive des Historikers, sondern in der erlebten Gegenwart in der Geschichtswahrnehmung der Zeitgenossen.”
648
Strobel 1993, 347: “Aber selbst im Vergleich mit dem mittelalterlichen und dem neuzeitlichen Europa haben wir in der betrachten Periode ein bemerkenswert stabiles System vor uns.”
645
646
179
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
si sia verificato in questo periodo un “cambiamento accelerato” (beschleunigter
Wandel), ribadendo che “cambiamento strutturale” (Strukturwandel) è il termine più appropriato per descrivere il fenomeno.649
Nel 1999 fu il Witschel a tornare sull’argomento,650 nel suo lavoro che si prefiggeva di realizzare una ricognizione generale delle condizioni sociali del mondo
romano nel III secolo, analizzando non solo le testimonianze letterarie, ma anche
quelle provenienti da scavi archeologici. Piuttosto che occuparsi della storia politica dell’Impero, egli cercò di delineare la storia delle singole regioni, mettendo in
evidenza quali furono i risultati del cambiamento in ognuna di esse, sottolineandone le relative differenze. Egli sostenne che, nonostante per certi versi il mondo
romano a partire dal IV secolo risultasse profondamente diverso da quello di II
secolo, le strutture portanti fossero rimaste immutate. Dato ancora più importante, egli sottolineò come molti degli sviluppi caratterizzanti il III secolo erano
in realtà partiti nel secolo precedente. Nonostante il Witschel dichiarasse di non
trovare sorprendente che molti studiosi considerassero il periodo tra il 250/60 e
il 280/90 come un’epoca di crisi,651 la sua personale conclusione era che crisi non
vi fosse stata per nulla.652
A suggellare la parabola evolutiva del concetto di “crisi di III secolo” è infine la nuova edizione della Cambridge Ancient History, volume XII, che reca lo
stesso identico titolo del XII volume della edizione precedente. Questa volta,
tuttavia, il capitolo in esso contenuto e dedicato alle difficoltà di III secolo ha un
titolo decisamente più neutro: Maximinus to Diocletian and the Crisis,653 laddove
l’autore, J. Drinkwater, non manca di sottolineare come il termine “crisi” non
dovrebbe essere utilizzato per descrivere il complesso dei fenomeni occorsi nel
III secolo, mentre la parola più adatta a tale scopo sarebbe “trasformazione”, o
“cambiamento”.654
Strobel 1993, 346-347.
Witschel 1999.
651
Witschel 1999, 375.
652
Witschel 1999, 377: “Das römische Reich sah also im 4. Jh. an nicht wenigen Punkten
anders als im 2. Jh. Viele dieser Veränderungen betrafen eher Äußerlichkeiten, während die
politischen, sozialen und wirtschaftlichen Grundstrukturen in einem bei der Schwere der militärischen Probleme in 3. Jh. erstaunlichen Umfang erhalten blieben.”
653
Drinkwater 2005, 28-66.
654
Drinkwater 2005, 64.
649
650
180
4. L’età di passaggio, il III secolo
Stessa opinione è contenuta in un’altra opera di recente pubblicazione, che si
confronta con l’argomento: The Roman Empire at Bay, AD 180-395, di D. Potter.655 L’autore esprime l’idea che sia necessario sostituire il concetto di crisi con
quello di cambiamento e trasformazione graduale.656
Questo recente e radicale cambiamento nel giudizio sul III secolo trae origine da due fenomeni. Da un lato, vi sono ragioni non propriamente “oggettive”, riconducibili alla congerie culturale contemporanea, che tende a rivalutare
fortemente tutta la antichità “non classica”, in reazione a secoli di venerazione
per quella “classica”, considerata l’esempio per eccellenza di perfezione e oggetto
privilegiato dello studio dello storico.657
Dall’altro lato, la maggiore attenzione che si è dedicata nel corso degli ultimi
decenni allo studio della cultura materiale delle singole province dell’Impero ha
permesso di comprendere meglio nel dettaglio la società romana di III secolo,
evidenziando le profonde differenze esistenti tra le singole province.658 Per quanto
concerne questo ultimo aspetto, va detto che in particolare le province orientali
dell’Impero, oggetto di questo lavoro, sembrano tra le meno coinvolte in fenomeni che si possano definire genericamente come “crisi”.659
Potter 2004.
Analogamente si sono espressi in anni recenti anche Cameron 1998, 9-31; Horden e Purcell
2000, 339.
657
Sulle implicazioni culturali nell’analisi della crisi di III secolo, si veda ora la lucida analisi di
Liebeschuetz 2007; in generale, sulla rivalutazione della tarda antichità, si veda ancora Giardina
1990, 157-180 più recentemente Athanassiadi 2006, 311-324.
658
Si veda a tal proposito Lo Cascio 1993, 247-252, il quale tuttavia sottolinea (pp. 250-251)
come: “Una eccessiva insistenza sulla diversità degli sviluppi regionali e sui casi di continuata
prosperità può far perdere di vista, tuttavia, la necessità di una considerazione complessiva delle
condizioni dell’Impero in quanto realtà politica unitaria e, almeno per quegli aspetti direttamente connessi con l’esistenza dello Stato, anche economica unitaria. Anche a volere ammettere
la non generalizzabilità, nello spazio, di una crisi di vaste proporzioni e il carattere sostanzialmente episodico delle sue manifestazioni, legato a specifiche congiunture (per esempio belliche),
rimane pur sempre accertato che i decenni centrali del III secolo vedono messa seriamente a
repentaglio la sopravvivenza dell’Impero come organismo unitario […].
659
Si vedano i saggi contenuti in Lewin e Pellegrini 2006, integralmente dedicati all’argomento.
655
656
181
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
2. I cambiamenti di III secolo
Nonostante questo complessivo cambio di prospettiva sul problema della
“crisi”, abbiamo visto in precedenza che l’opinione generalmente condivisa dagli studiosi è che le difficili condizioni economiche caratteristiche del III secolo
avrebbero danneggiato il commercio nel Mar Rosso. A tal proposito, sono tre i
punti fondamentali su cui si basa questa ipotesi:
L’inflazione incontrollabile che avrebbe colpito la moneta romana in questo
periodo avrebbe severamente compromesso la capacità di spesa dei Romani, limitando conseguentemente la domanda di beni di lusso provenienti dall’Oriente.
Le monete romane ritrovate in India non sono posteriori all’epoca di Settimio Severo o Caracalla, il che lascerebbe presumere che dopo la prima età
Severiana vi fu una contrazione notevole degli scambi commerciali diretti tra il
Mediterraneo e l’India.
Alcuni porti dell’area eritrea, come Myos Hormos e Coptos, furono distrutti
abbandonati o distrutti durante il III secolo, per cui o assumiamo che questo fu
il risultato di una crisi commerciale, o che ne fu la premessa.
Smontare ognuno di questi tre punti è la necessaria premessa che ci porterà
a fornire un’interpretazione diversa per il mutato scenario economico di epoca
tardoantica.
2.1 L’inflazione nel III secolo
“It is still the normal view that there was serious price-inflation in the Roman
Empire of the third century A.D., that is inflation at a rate and of a duration
which disrupted economic structures. This supposed price-inflation is only one
element in a grand economic model whose other principal elements are increased
state expenditure, mainly on the army, monetary inflation arising through debasement and increased supply, in terms of its face value, of the coinage, and
increased taxation, with a consequent public and private tendency to revert to an
economy in kind.”660
660
Rathbone 1996, 321.
182
4. L’età di passaggio, il III secolo
Con queste parole il Rathbone descriveva quella che ancora negli anni ‘90
del secolo scorso era l’opinione maggiormente diffusa tra gli studiosi di storia
romana, secondo la quale il III secolo sarebbe stato un periodo in cui l’inflazione
della moneta romana avrebbe generato un catastrofico e incontrollato aumento
dei prezzi, espressi in unità di conto. Questa spirale inflazionistica si sarebbe innescata a partire dalle riforme monetarie di Caracalla, fino a raggiungere livelli
inauditi alla fine del III secolo, quando Diocleziano, per porre fine a questa tendenza pluridecennale, avrebbe emanato il suo celebre Edictum de pretiis rerum venalium. Abbiamo visto come questa teoria sia stata largamente seguita da coloro
che si sono interessati dei commerci tra Roma e l’India, per spiegare il supposto
calo della domanda di prodotti orientali nel III secolo: l’inflazione inarrestabile
del III secolo avrebbe eroso il valore della moneta argentea e, conseguentemente,
avrebbe ridotto di molto la capacità di spesa dei cittadini dell’Impero; ragione per
cui nel III secolo si sarebbe verificata una stagnazione nell’ambito dei commerci
con l’Oriente.
In realtà, questa interpretazione riposa su un’ipotesi ormai obsoleta, quella
che il III secolo d.C. sia stato dominato quasi interamente da una grave crisi
inflattiva, conseguenza del rapido processo di svalutazione del valore intrinseco
della moneta argentea, promosso a partire dalla dinastia dei Severi. Tale ipotesi, per quanto abbia ancora dei sostenitori, è stata negli anni messa in seria
discussione da alcuni dei maggiori esperti tra gli studiosi di economia antica. A
partire dagli anni ’90 del secolo scorso, si sono moltiplicati gli studi che puntano
a scollegare i due fenomeni (svalutazione e inflazione), e a precisarne le effettive
caratteristiche.661 Non c’è qui lo spazio per ripercorrere tutte le tappe di un dibattito storiografico lungo e acceso, ma si cercherà di fornire un sintetico quadro
della situazione. È un dato acquisito che i prezzi nell’impero romano rimasero
alquanto stabili per i primi due secoli dell’era imperiale, con una inflazione media annua inferiore all’1%.662 Tale periodo di grande stabilità dei prezzi ebbe una
battuta d’arresto già alla fine del II secolo d.C. Come sintetizzato dal Rathbone:
“The price bands for other goods and wages display a remarkable stability from
the AD 70s to the 160s, and then again from the 190s to AD 274. […] The
661
Si vedano, ad esempio, i lavori di Lo Cascio 1993, 247-282; Rathbone 1996, 321-340; Lo
Cascio 1997, 161-182; Banaji 2001, 45-60; Christiansen 2004, 112-113; Morley 2007; Verboven 2007, 245-257; Scheidel 2009; Temin 2013, 70-91; Temin 2014.
662
Rathbone 1997; 2007; Scheidel 2009.
183
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
sharp doubling of prices and wages in the later second century is best explained
as a sign of temporary economic dislocation caused by the Antonine plague.”663
Anche se la sintesi di Rathbone in effetti non spiega in che modo l’inflazione
sarebbe una conseguenza della peste Antonina,664 restano validi i parametri cronologici fissati dalla sua indagine. Quindi, dopo la parentesi antonina, i prezzi
ritornano stabili dagli anni di Severo fino al 274. Questo dato è interessante per
la nostra disamina.
È noto come a partire dalle riforme di età Severiana la moneta romana argentea subì un notevole debasement della propria componente di metallo fino.
Questo processo continuò in maniera costante durante tutto l’arco del III secolo,
finché si arrivò al punto che, attorno al 270 d.C., le monete argentee contenevano
appena l’1% di metallo fino. Parallelamente, il peso della moneta aurea fu ridotto
più volte, nel 215, nel 238 e nel 267. Le teorie economiche tradizionali hanno
sempre teso a mettere in relazione diretta il debasement della moneta e la crescita dell’inflazione. In realtà, come suggerito da Howgego in un classico studio,
sarebbe il caso di “be cautious about theories which imply a simple relationship
between the coin supply and prices.”665
Non a caso, gli studi più recenti sembrano escludere che si possa parlare di
una inflazione grave per il periodo che va dalla metà del II secolo alla fine del
III. Secondo il Verboven: “Monetarist theory predicts that Gresham’s law provokes inflation because sellers anticipate that they will be paid in bad money and
raise their prices in response. However, it now seems almost certain that such
monetary inflation did not occur before at least the second half of the century.
Papyri show price stability until ca. 274 CE, while inscriptions indicate that at
least until the 250s there was no structural inflation in the West. The presence
in hoards until the 260s of denarii alongside antoniniani and Antonine and early
Severan denarii alongside younger denarii, indicates that it was not worthwhile
for private persons to melt down their coins and consequently that the price of
silver bullion had not (yet) surged. The absence of inflation […] indicates that
price levels were little dependent on changes in the silver currency”.666
663
664
665
666
Rathbone 2007, 713.
A tal proposito, si veda Lo Cascio 2007, 646.
Howgego 1995, 123. Si veda anche Lendon 1990.
Verboven 2007, 252.
184
4. L’età di passaggio, il III secolo
Secondo i calcoli proposti dal Temin, ad esempio, e a loro volta basati sui
dati di Duncan Jones,667 l’inflazione media annua per il periodo 150-300 d.C.
si sarebbe aggirata su un tasso del 4%.668 Ciò significa un tipo di inflazione
che sarebbe certamente stata percepita dai consumatori romani, ma decisamente
lontana da qualsiasi definizione di ‘iperinflazione’ o ‘superinflazione’ applicata
a questo periodo. Secondo il classico studio di Cagan, infatti, si può parlare di
iperinflazione solo in presenza di un tasso di almeno il 50% al mese di inflazione.669 Un tasso come quello ipotizzato dal Temin, oltre a non essere nemmeno
lontanamente comparabile con l’iperinflazione, rientra in un ordine di grandezza
totalmente diverso.
C’è da aggiungere a questa ricostruzione che in effetti la documentazione
disponibile sembra individuare un periodo di prezzi relativamente stabili fino al
274, anno della riforma monetaria di Aureliano.670 Questa riforma fu la prima,
in cinquanta anni, ad aumentare la percentuale di metallo fino contenuta nella
moneta argentea, e non ad abbassarlo, riportandolo a circa il 4-5%.671 In seguito
a questa riforma, in effetti, ci sarebbe stata una impennata dei prezzi.672 Questo
proverebbe che il periodo di lungo debasement dalla fine del II alla fine del III
secolo non avrebbe prodotto una seria inflazione, e conseguentemente neppure
una perdita del potere di acquisto da parte dei consumatori romani.673
Quanto detto finora, ben lungi dall’esaurire la complessa discussione riguardo alle complesse vicende monetali del III secolo, dovrebbe quantomeno chiarire
che il primo dei punti individuati, secondo il quale il commercio con l’Oriente
nel III secolo avrebbe subito una battuta d’arresto a causa dell’inflazione, è sicuramente fallace, perché per buona parte del III secolo stesso non si verificò alcuna
particolare spinta inflazionistica. Fu solo a partire dal 274 che si determinò una
vertiginosa crescita dei prezzi, ma a questa altezza cronologica, secondo i pareri
espressi dalla maggioranza degli studiosi, il commercio con l’Oriente sarebbe
Duncan Jones 1982, 66.
Temin 2013, 77-78; Temin 2014, 194-195.
669
Cagan 1956.
670
Rathbone 1996, 321-339; Temin 2013, 78-80.
671
Per una dettagliata discussione sulle conseguenze della riforma di Aureliano sui prezzi, si
veda Lo Cascio 1993, 161-182.
672
Haklai-Rotemberg 2011, 1-39.
673
Bagnall 1985.
667
668
185
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
dovuto essere già entrato in crisi da almeno un quarantennio. L’argomentazione
inflazionistica non può quindi che essere rigettata.
2.2 Assenza di monete posteriori al regno di Caracalla nei ritrovamenti in
India
Anche questo aspetto è stato utilizzato costantemente dagli studiosi per dimostrare l’affievolirsi degli scambi commerciali con l’Oriente nel III secolo. Si
è sottolineato che i ripostigli monetali rinvenuti in India sono ricchi di monete
auree di epoca Giulio-Claudia, mentre più scarse sono le attestazioni di monete
di epoca successiva. A partire dai Severi si ebbe una marcata flessione, mentre
sono praticamente irreperibili monete posteriori al principato di Caracalla, fino
alla fine del III secolo d.C. La presenza di monete romane in India ritorna a
essere regolare a partire dall’epoca di Diocleziano e, ancor più, di Costantino,
aspetto che dimostrerebbe la ripresa dei rapporti commerciali tra il Mediterraneo
e l’India a partire dall’inizio del IV secolo.
L’abitudine di utilizzare le monete come elemento per datare un sito o un rinvenimento è alquanto pericolosa, in quanto facilmente può dare luogo a equivoci
anche grossolani. La presenza di una moneta databile a un determinato anno in
un ripostiglio non implica la datazione di quel ritrovamento all’anno impresso
sulla moneta, ma solamente un terminus post quem. Utilizzare dati relativi al
quantitativo di monete augustee o neroniane rinvenute nei siti indiani per ricavarne indicazioni sul trend dei commerci tra Mediterraneo e India all’epoca
di questi due imperatori è una operazione assolutamente scorretta, nonostante
analisi di questo tipo non siano infrequenti nei lavori che trattano questo tema.
Secondo i dati numismatici interpretati in questo modo, il commercio tra
Mediterraneo e India ebbe un boom tra Augusto e Claudio, sarebbe poi declinato a partire da Nerone, mantenendosi più o meno stabile fino agli Antonini.
A partire dai Severi vi fu una nuova fase declinante, culminata nel III secolo. A
partire dal IV il commercio riprese stabilmente, pur non raggiungendo i livelli
toccati nel I secolo d.C.674
674
Si veda Turner 1989 per il primo tentativo di analizzare in maniera dettagliata il corpus di
monete romane trovate in India.
186
4. L’età di passaggio, il III secolo
Questa ricostruzione basata su dati numismatici apparentemente obiettivi è
molto approssimativa. In primo luogo, è necessario ricordare che il numero complessivo di monete romane auree e argentee ritrovate in India non supera le 7.000
unità,675 il che costituisce un campione non molto ampio.676 L’interpretazione
tradizionale, esposta nella maniera più compiuta dalla Turner, riposa sul fatto che
la maggior parte delle monete ritrovate in India fu coniata al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio: si tratta dell’83% del numero totale di quelle databili
ai primi tre secoli della nostra era. La maggior parte delle monete augustee e tiberiane sono denarii, normalmente in condizioni fior di conio, e principalmente
di due soli tipi numismatici, CL CAESAR (Augusto) and PONTIF MAXIM
(Tiberio).677
La prima obiezione è però che, come attestato dalle nostre fonti, le monete
non erano gli unici prodotti esportati dai Romani per acquistare merci indiane:
troviamo infatti anche vino, olio, tessili, vetro tra le principali merci d’esportazione.678 Questo vuol dire che non è possibile stabilire una relazione diretta
diminuzione delle monete romane post Tiberio in India = riduzione del volume
dei traffici Roma-India.679 Oltre a ciò, è stato notato opportunamente che la
stragrande maggioranza delle monete romane di epoca augustea e tiberiana sono
state rinvenute in un’area relativamente ridotta, nella regione di Coimbatore, il
che getta qualche dubbio sull’attendibilità statistica di questo campione.680
Nel capitolo 2 di questo lavoro è stata proposta l’ipotesi che sotto gli imperatori Antonini probabilmente Roma raggiunse il suo massimo grado di penetrazione nel Mar Rosso, arrivando a controllare le remote isole Farasan e a stabilire
Ad oggi il conteggio più dettagliato, pur con tutti i problemi metodologici, resta quello
effettuato da Suresh 2004.
676
Sulla validità scientifica del campione ‘indiano’ come evidence archeolgica, si vedano le forti
e motivate perplessità metodologiche espresse da Meyer 2007.
677
A tal proposito, Bolin (1958, 73) ipotizzò che le monete fior di conio fossero ottenute dai
mercanti “direct from the mint or from money-changers with large stocks of newly minted
aurei and denarii, and taken on board and shipped to India”; l’ipotesi fu ulteriormente sviluppata da Crawford (1980, 207-218) che propose che solo i membri della familia Caesaris avessero
accesso a un contingente di monete coniate specificamente per essere poi esportate in India. Entrambe queste ipotesi sono state poi dimostrate erronee dagli studiosi. Si vedano in particolare
MacDowall 2012 e De Romanis 2012b, 170-171.
678
PME, 6.
679
De Romanis 2006.
680
MacDowall 2003, 41-43.
675
187
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
persino contatti commerciali diretti con la Cina. Il quadro emerso dall’analisi
condotta finora sembra in aperto contrasto con quanto si può ricavare dall’analisi
dell’evidence numismatica.
Oltre a ciò, si potrebbe anche aggiungere che l’errore di fondo è contare le
monete in termini di numero assoluto, e non di valore assoluto. Dopo l’epoca
neroniana sembra che le monete romane più apprezzate in India fossero gli aurei
e non i denarii, per questo motivo bisognerebbe tenere in conto che un aureus
aveva il valore nominale di 25 denarii. Inoltre, è stato ipotizzato che le monete
romane esportate in India siano utilizzabili più come metro per comprendere
le speculazioni del mercato interno sul cambio tra oro e argento, che non come
indicatori dei volumi di traffici tra Roma e India.681
2.3 Abbandono o distruzione di Coptos e Myos Hormos
Non c’è motivo alcuno per ritenere che Coptos sia stata distrutta dai tetrarchi
in seguito alle confuse vicende di fine III secolo. È vero che a partire dalla fine
del III secolo d.C. le nostre informazioni documentarie sulla città diminuiscono
sensibilmente, ma abbiamo visto nel precedente capitolo che la città, pur attraversando un periodo difficile durante il III secolo, recuperò una posizione di rilievo
nel quadro dell’area egiziana, già con i tetrarchi.682
Diverso è invece il discorso per quanto riguarda Myos Hormos. Questo porto scompare dalle nostre fonti dal III secolo d.C. e abbiamo visto come il suo
declino sia stato associato alla crisi di III secolo. I risultati delle indagini archeologiche hanno però offerto un quadro notevolmente diverso da quello ipotizzato
tradizionalmente dagli studiosi. Infatti, è risultato chiaro che la città iniziò il suo
periodo di declino e progressivo abbandono molto presto, già nel II secolo d.C.
Ad esempio, la zona del porto mostra segni chiari d’uso fino alla fine del I secolo,
mentre alcune zone dedicate alla produzione e vendita restarono frequentate e
attive fino al II.683
681
682
683
Nappo 2018. Diversa interpretazione in De Romanis 2012b.
Cfr. supra, capitolo 3.
Peacock e Blue 2006, 67-94; Cobb 2015a, 376.
188
4. L’età di passaggio, il III secolo
Analizzando i resoconti di scavo in maniera dettagliata, si ottiene un quadro
più chiaro.684 Nell’area del porto (trincee 7, 10, 12, 14, 15) ci sono evidenti segnali di frequentazione tra il I secolo a.C. e il I d.C., mentre l’area è abbandonata
chiaramente entro la metà del II secolo d.C. In città (trincee 2, 8, 17) ci sono:
resti di un edificio con funzione pubblica, dismesso alla fine del I secolo d.C.;
una struttura di un negozio, presumibilmente di un fornaio, costruito nel I secolo d.C. e parzialmente abbandonato prima del III secolo; infine, una struttura
privata costruita nel I secolo d.C., successivamente crollata e mai più ricostruita.
L’immondezzaio (trincea 6) ha restituito principalmente materiali databili al I
e all’inizio del II secolo d.C. L’arco cronologico coperto dai reperti ceramici è
coerentemente compreso tra il I secolo a.C. e il II d.C. Documenti scritti provengono da un periodo che va dal I a.C. al III d.C., con una concentrazione molto
forte tra I e inizio II d.C. Per terminare, sono state rinvenute in situ circa 200 monete, la maggior parte delle quali (63%) databili al I secolo d.C., mentre la quasi
totalità delle rimanenti oscillano tra l’epoca tolemaica e l’inizio del II secolo d.C.,
mentre una sola moneta è datata al III secolo d.C.
È improbabile che i problemi di Myos Hormos siano da collegare alle vicende di Coptos, perché a ben vedere la fase calante della prima iniziò ben prima
del periodo travagliato della seconda. Inoltre, se le vicende di Coptos e Myos
Hormos fossero correlate, alla stessa maniera in cui lo sono quelle di Coptos e
Berenice, ci dovremmo aspettare che alla ripresa economica di Coptos abbia fatto
seguito anche quella di Myos Hormos, cosa che invece non avvenne.
È chiaro quindi che la sorte di Myos Hormos non fu segnata dal temporaneo
crollo del sistema carovaniero Mar Rosso – Nilo, ma da un qualche altro fattore.
La cronologia di Myos Hormos combacia piuttosto con quella della creazione del
canale di Traiano da un lato, e con quella dell’ascesa delle installazioni portuali
del nord del Mar Rosso, dall’altro.
È importante a tal proposito comprendere a fondo la natura di una installazione come Myos Hormos. Abbiamo detto all’inizio di questo lavoro che il
motivo fondamentale per cui i porti più meridionali ubicati sul Mar Rosso, cioè
Berenice e Myos Hormos, svolsero un ruolo di primo piano nel contesto del
commercio con l’Oriente, tra I secolo a.C. e II d.C., fu la loro collocazione geo-
I dati discussi di seguito sono ricavabili nel loro complesso da: Peacock e Blue 2006, 67-94
e 116-154; Peacock e Blue 2011, 11-42, 45-56, 85-120 e 179-209; Van Rengan 2011, 335-358;
Sidebotham 2011, 353-360; Cobb 2015a.
684
189
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
grafica. È sempre bene ricordare la soglia del 20° parallelo Nord, al di sopra della
quale i venti spirano costantemente nel Mar Rosso da Nord verso Sud. Abbiamo
anche visto che Myos Hormos e Berenice consentivano, grazie alla loro collocazione, di ridurre al minimo il viaggio controvento, risparmiando ai naviganti una
serie di pericoli.
Ma a ben vedere solo Berenice è davvero ubicato poco più a Nord della soglia
del 20° parallelo. Myos Hormos è molto al di là di questo limite, e per raggiungere questo porto occorreva fare una parte di viaggio controvento. Myos Hormos
aveva tuttavia il vantaggio di essere collocato nel punto più vicino possibile al
corso del fiume Nilo, in modo che il viaggio nel deserto orientale per raggiungere Coptos risultasse considerevolmente più breve di quello da fare partendo
da Berenice. Questo ci porta a ipotizzare che in epoca altoimperiale solo le navi
di non grandi dimensioni approdassero a Myos Hormos, perché per esse era più
semplice risalire il Mar Rosso controvento, mentre quelle di grosso tonnellaggio
approdavano di preferenza a Berenice. Myos Hormos era, dunque, un porto “di
compromesso”: non era abbastanza a Sud da evitare la navigazione controvento,
ma era vicino a Coptos, e quindi aveva il vantaggio di ridurre i tempi delle marcia
nel deserto orientale, senza peraltro eliminarli.
Quando Clysma fu messa nelle condizioni di poter essere pienamente utilizzato come porto, il destino di Myos Hormos era ormai definitivamente segnato.
Il “porto di compromesso” non abbastanza a Sud da evitare i venti, e non abbastanza a Nord da evitare il deserto, fu semplicemente soppiantato da Clysma, che
a questo punto aveva il grande vantaggio di essere collegato in maniera quasi diretta con Alessandria, evitando in questo modo la pur sempre difficile traversata
del deserto orientale.
Questo ragionamento può essere esteso anche al lato arabico del Mar Rosso
romano. Si è accennato in precedenza che Leuke Kome pare aver subito sorte
analoga a Myos Hormos. Nonostante le informazioni sulla sopravvivenza di questo porto dopo la fine del I secolo siano molto tenui, riducendosi alla sola possibile testimonianza di Tolomeo, è comunque ipotizzabile con una certa ragionevolezza che Leuke Kome sia stato abbandonato in un momento non precisabile tra
II e III secolo, che è quanto avvenne anche a Myos Hormos. Essendo i due porti
in posizione speculare, la cosa più semplice da pensare è che le loro sorti siano
state analoghe: anche Leuke Kome fu rimpiazzato da Jotabe. Contestuale alla
sua scomparsa è l’ascesa commerciale di Aila, che inizia proprio a fine III secolo,
se non prima. La decisione di Diocleziano di trasferirvi la Legio X Fretensis non
190
4. L’età di passaggio, il III secolo
deve essere vista solo come punto di partenza dello sviluppo delle città, ma anche
come ratifica di un processo già iniziato in precedenza.
Mentre per Myos Hormos e Leuke Kome abbiamo parlato di una sostituzione, diversa è la situazione più a Sud, dove effettivamente Coptos e Berenice subirono un periodo di relativa crisi. Entrambe le città risentirono delle turbolenze
interne, dovute alle scorrerie delle popolazioni nomadi che abitavano il deserto,
come i Blemmii, che in questo periodo sono ricordati più volte come fonte di
problemi per le città dell’Alto Egitto. In più, i tentativi di usurpazione del potere
imperiale di cui Coptos fu complice causarono alla città la punizione dei tetrarchi che, per quanto ben più lieve di quello che le fonti lasciano intendere, dovette
pur sempre avere qualche conseguenza.
Eppure, nonostante le traversie occorse ad alcuni dei porti principali del Mar
Rosso e le complesse vicende politiche, non abbiamo elementi seri per immaginare che il volume delle importazioni dall’Oriente abbia subito una seria diminuzione in questo periodo. Gli unici indizi a favore di questa tesi sarebbero quelli
già discussi della inflazione e della mancanza di monete romane in India, che
abbiamo visto non essere attendibili. D’altra parte, abbiamo al contrario alcuni
elementi che lascerebbero pensare che il commercio con l’Oriente andasse avanti
nel III secolo a ritmo quantomeno soddisfacente, tant’è che la sua gestione faceva
ancora gola. A tal proposito sono interessanti due episodi.
All’epoca della rivolta di Palmira, capeggiata dalla regina Zenobia, la importante città orientale fece di tutto per sottoporre l’Egitto al proprio diretto
controllo, per ragioni eminentemente commerciali.685 Palmira era a quei tempi
inserita nel redditizio commercio con l’Oriente per via di terra, ed è logico che
vedesse di buon occhio il controllo anche delle rotte marittime, per potersi garantire in pratica il monopolio di questa attività. Se in quegli anni il volume dei
commerci con l’Oriente si fosse ridotto in maniera sensibile, i Palmireni non
avrebbero avuto tanto interesse nel controllarlo.
In questo contesto si inserisce anche una testimonianza della Historia Augusta, a proposito di un certo Firmo, personaggio coinvolto in una delle molte
trame che in quegli anni erano ordite per ottenere il potere imperiale. Egli è presentato come un personaggio ricchissimo, che doveva la sua fortuna al proprio
coinvolgimento nei commerci con l’Oriente:
685
Young 2001, 180-182.
191
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Iste (scil. Firmus) Zenobiae amicus ac socius, qui Alexandriam Aegyptiorum incitatus
furore pervasit et quem Aurelianus solita virtutum suarum felicitate contrivit. De huius
divitiis multa dicuntur. […] Idem et cum Blemmyis societatem maximam tenuit et cum
Saracenis. Naves quoque ad Indos negotiatorias saepe misit.686
“Questi (Firmo) era amico e alleato di Zenobia, che spinto da folle ambizione, si impadronì di Alessandria d’Egitto e che Aureliano annientò con il consueto successo che
accompagnava il suo valore. Molto si racconta a proposito delle sue ricchezze. […] Egli
aveva strettissime relazioni anche con i Blemmii e i Saraceni. Inviava inoltre spesso in
India delle navi mercantili.”
Il caso di Firmo è molto interessante, perché ci consente di comprendere correttamente il senso dell’evoluzione dei rapporti economici nel Mar Rosso a partire dal III secolo. Egli era uomo ricchissimo, coinvolto nei traffici commerciali
con l’India, e aveva dei partners commerciali apparentemente insoliti. Era infatti
amicus ac socius di Zenobia, con cui aveva anche accordi di tipo politico,687 ma
oltre a ciò societatem maximam tenuit sia con i Blemmii che con i “Saraceni”. Gli
accordi commerciali di Firmo con questi gruppi etnici non sono sorprendenti,
anzi sono un chiaro segnale dei cambiamenti che si stavano verificando nel Mar
Rosso e nelle regioni ad esso prossime. Abbiamo già visto, parlando di Berenice, come in epoca tardoantica la composizione etnica della città sia cambiata, e
come sia aumentata la popolazione di provenienza regionale. Proprio i Blemmii
sono uno dei gruppi etnici più attestati dalla evidence archeologica emersa dalla
Berenice tardoantica.688
In effetti, una delle caratteristiche principali dei commerci nel Mar Rosso
a partire dal III secolo è la maggiore integrazione nel sistema economico di altri attori commerciali già da tempo presenti, come gli Axumiti,689 unico potere
costituito, alternativo a Roma a sud dell’Egitto, e gli Arabi dell’impero degli
Himyariti.690 Questi popoli reclamarono a partire dal III secolo il proprio ruolo
Hist. Aug., Quadr. Tyr., III, 1-3.
In Hist. Aug., Vita Aurel., V si sostiene esplicitamente che egli fosse parte del partito di
Zenobia.
688
Sidebotham 2011, 266-270.
689
Per una interessante analisi dell’attività commerciale axumita in questo periodo, si vedano
Munro-Hay 1996; Burstein 1997, 89-93.
690
Una efficace sintesi su questo problema è fornita da Sidebotham 1996b.
686
687
192
4. L’età di passaggio, il III secolo
nel panorama commerciale eritreo, e con essi l’Impero Romano si trovò ad interagire in maniera diversa.
La presenza di questi nuovi attori commerciali nel Mar Rosso per tutta l’epoca tardoantica ha fatto parlare di una decadenza del sistema commerciale romano
nell’area: si è voluto interpretare il fenomeno in termini di perdita del monopolio
commerciale da parte dei Romani. Le opinioni riportate supra dei principali testi
che si sono occupati di questo tema confermano che l’opinione più diffusa in
merito è quella di una decadenza romana, che avrebbe agevolato la comparsa di
questi intermediari. In realtà le cose sembrano essere state alquanto differenti.
Innanzitutto, va ricordato che in particolare gli Axumiti furono stretti alleati
politici e commerciali dei Romani, e che il loro regno fu assolutamente inglobato
nella sfera di influenza economica dell’Impero.691 Si tratta, in certa misura, di
un caso analogo a quello che era accaduto tempo prima con i Nabatei. Il regno
Nabataico, pur indipendente da Roma, era parte integrante del suo Commonwealth commerciale. Allo stesso modo, in epoca tarda, si realizzò una profonda
integrazione di Axum e del suo porto principale Adulis nel sistema economico
romano.692
3. Conclusioni
Il sistema portuale romano nel Mar Rosso, nella sua forma caratteristica tardoantica, e cioè dal IV secolo in poi, è perfettamente strutturato per sfruttare
al massimo la situazione economica e commerciale ad esso contemporanea. Dai
porti più settentrionali (Clysma e Aila) partivano, infatti, vascelli destinati prevalentemente alla navigazione nel Mar Rosso, che approdavano ad Adulis, porto
axumita, come testimoniato dalle fonti letterarie e archeologiche.693
La organizzazione complessiva che qui si vuole proporre come modello per il
funzionamento del sistema portuale del Mar Rosso in epoca tardoantica è così
strutturata:
1) Viaggi commerciali interni al Mar Rosso. Per questo tipo di contatti
le navi partivano essenzialmente dai porti più settentrionali, Clysma e
691
692
693
Nappo 2009.
Zazzaro e Manzo 2012; Zazzaro 2013, 7-9.
Zazzaro et all. 2014.
193
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Aila, per raggiungere Adulis, approdo axumita. La pratica è ben attestata dalle fonti letterarie e, nel caso di Aila, corroborata dai ritrovamenti
archeologici. Tecnicamente, i vantaggi nello strutturare un viaggio in
questo modo erano molteplici. Innanzitutto, il tempo risparmiato: invece
di partire dagli approdi settentrionali per raggiungere direttamente l’India, era molto più breve il viaggio ad Adulis, laddove i mercanti etiopi si
incaricavano di far pervenire le mercanzie di origine indiana. In secondo
luogo, un viaggio limitato al Mar Rosso poteva essere effettuato con navi
leggere, particolarmente utili per muoversi nei fondali insidiosi caratteristici in particolar modo della parte più settentrionale del Mare. Ancora, l’eliminazione del lungo trasporto via terra delle mercanzie lungo il
deserto orientale egiziano e quello arabico: arrivando a Clysma o Aila le
merci erano già vicine alle loro destinazioni finali, cioè rispettivamente
Alessandria e Gaza. Per tutta questa serie di motivi nel corso dell’epoca
tardoantica si realizzò una efficace fusione tra il sistema portuale romano
e quello etiopico, generando una nuova rotta commerciale.
2) Viaggi commerciali verso l’India propria. Questo tipo di viaggi non
scomparve, a partire dal IV secolo. È probabile che divenisse più raro,
rispetto all’epoca precedente, in virtù della convenienza della nuova rotta
appena discussa. Tuttavia, i contatti diretti con l’India continuarono, ed
è evidente che il recupero e il mantenimento dell’asse Berenice – Coptos
sia stato funzionale a questo scopo. Come già in epoca altoimperiale,
Berenice era il punto migliore per far partire le navi dirette in India.
In primo luogo, le navi che dovevano affrontare il viaggio nell’oceano,
spinte dai monsoni, dovevano essere robuste e pesanti, quindi si sarebbero trovate comunque in difficoltà a risalire fin nei recessi settentrionali
del Mar Rosso.694 L’approdo a Berenice consentiva invece di evitare una
lunga risalita del Mar Rosso, sfruttando la carovaniera.
Nonostante le due rotte siano coesistite per tutta l’epoca tardoantica, la seconda opzione (viaggio diretto Berenice – India) fu delle due la prima ad essere
abbandonata. Mentre, infatti, gli scavi archeologici hanno indicato chiaramente
che il sito di Berenice fu abbandonato nel corso del VI secolo, Clysma e Aila sopravvissero e passarono sotto il dominio arabo ancora in condizioni di efficienza.
694
De Romanis 2015.
194
4. L’età di passaggio, il III secolo
Questa organizzazione, lungi dal poter essere definita in termini di decadenza o regresso, fu al contrario molto efficiente. L’Impero Romano tardoantico fu
un fortissimo importatore di beni provenienti dalle regioni orientali, anche più di
quello che era stato l’Impero Romano nei primi secoli della nostra era. Le notizie
delle fonti letterarie sulla quantità di mercanzie “indiane” introdotte nell’Impero
e, ancora di più, i dati di scavo che dimostrano livelli di sviluppo inediti per i
porti tardoantichi, confermano chiaramente questa idea e inducono a riflettere
sulla opportunità di riesaminare definitivamente la questione dei rapporti commerciali tra il mondo mediterraneo e l’Oceano Indiano, abbandonando definitivamente schemi interpretativi ormai inadeguati alla realtà delle nuove evidenze
documentarie ed archeologiche.
L’insieme di queste considerazioni ci porta a ridefinire complessivamente l’analisi del III secolo, in rapporto all’area del Mar Rosso. Abbiamo visto che i
fondamenti su cui si basa la tradizionale interpretazione di questo periodo non
sono solidi: la supposta inflazione, la mancanza di monete romane di III secolo
in India, l’abbandono di Myos Hormos e la distruzione di Coptos, tutti questi
fenomeni non sembrano dare ragione di quanto accade nel Mar Rosso. Il III secolo risulta essere quindi piuttosto un’epoca di cambiamento ed evoluzione, per
i commerci nel Mar Rosso. A voler essere precisi, però, si dovrebbe sottolineare
come questo cambiamento abbia tratto le sue origini in avvenimenti di II secolo.
L’evoluzione del sistema altoimperiale in quello tardoantico è stato quindi un
processo graduale e relativamente lento, avendo impiegato quasi due secoli per
completarsi.
Riepilogando, quindi, nel II secolo si gettarono le basi per determinare l’ascesa commerciale dei porti più settentrionali del Mar Rosso (Clysma e Aila), ciò
che decretò la fine di quelli “intermedi” (Myos Hormos e Leuke Kome).
Il punto fondamentale di svolta resta la costruzione del Canale di Traiano,
opera su cui qui si ritorna per l’ultima volta. In precedenza è già stato dato ampiamente conto del ricco dibattito storiografico sul canale e sulle sue funzioni.
Alla luce di quanto visto in questo lavoro, è necessario individuare nella realizzazione di questa opera e nella politica traianaea, proseguita dai suoi successori,
il punto di svolta dell’organizzazione del Mar Rosso romano. Infatti, il canale
determinò la polarizzazione del sistema, rendendolo più efficiente. Creando un
collegamento con i porti del Nord, chiudeva i conti con un equivoco secolare,
la presenza di porti che abbiamo definito di compromesso, quali Myos Hormos
e Leuke Kome. Essi iniziano il loro inarrestabile declino proprio nel II secolo.
Dopo questo periodo, il sistema si inizia a ridisegnare, puntando a usare dei
195
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
porti vicini al Mediterraneo (Aila e Clysma) per commerci all’interno del Mar
Rosso, mentre Berenice resta porto privilegiato per i contatti con l’India. Ma
non c’è solo questo. Sempre nel II secolo, viene finalmente ripreso con più forza
il vecchio programma augusteo di espandere la presenza romana nel sud del
Mar Rosso. Questa volta l’obiettivo fu perseguito con una strategia diversa, di
cui la postazione delle Farasan è la testimonianza più chiara. Presumibilmente la
politica di Traiano di penetrazione al sud andò avanti anche dopo la sua morte,
almeno fino al tempo di Antonino Pio. È possibile che in effetti abbia subito una
battuta d’arresto nel III secolo, ma è pur vero che non esistono prove oggettive
di ciò. Quel che è invece è palese è che la polarizzazione del sistema portuale
andò avanti e fu rinforzata ulteriormente da Diocleziano e dai suoi successori. La
testimonianza del Martyrium Arethae sembra persino lasciar intuire che in qualche modo il livello di controllo romano del Mar rosso non subì alcun regresso
significativo tra il II e il V secolo, anche se sarebbero necessarie ulteriori prove per
affermare con certezza tale ipotesi.
Un ulteriore elemento di interesse è la riduzione della tassa sulle merci di importazione orientale (aliquota abbassata dal 25% al 12,5%), che avvenne proprio
in epoca tardoantica.695 È possibile che essa sia il prodotto di una “compensazione”: lo Stato che era entrato in maniera decisa nella gestione del commercio
con l’estero (si pensi anche ad esempio al monopolio sulla seta), riconosceva una
parziale compensazione ai mercanti privati, alleggerendo le tasse a cui essi erano
soggetti.
È significativo notare che il declino definitivo di Berenice inizia nello stesso
periodo in cui la penetrazione nel Mar Rosso fu completa e la rotta “interna” Aila/
Clysma <-> Adulis dovette diventare per forza di cose quella più battuta. Questo
punto ci permette di delineare un ultimo stadio evolutivo del sistema portuale
romano sul Mar Rosso, che abbraccia cronologicamente la fase da Anastasio I in
poi. Anastasio, Giustino e Giustiniano si impegnarono complessivamente per restaurare il controllo romano dell’area eritrea, impostare le relazioni con i Persiani
su una base favorevole a Costantinopoli, potenziare gli alleati axumiti, aiutandoli
anche a conquistare il lato arabico del Mar Rosso. In questa fase estrema della
presenza romana nell’area eritrea, si verificò quindi il massimo sforzo per rendere
il Mare Rubrum un Mare Nostrum, così come lo era stato il Mediterraneo: per
via di controllo diretto o mediato, infatti, tutta l’area fu sottoposta al potere bi-
695
Si veda quanto detto supra, capitolo 3.
196
4. L’età di passaggio, il III secolo
zantino. In questo senso, il progressivo abbandono dei contatti diretti con l’India
assume un valore diverso: non più di decadenza commerciale e di conoscenza geografica, quanto piuttosto di scelta consapevole. Era ormai più che sufficiente per
i mercanti romani viaggiare all’interno del Mar Rosso, un mare dominato dai
Romei, all’interno del quale i loro alleati si incaricavano di far pervenire le merci
necessarie per i consumi dell’Impero, probabilmente sotto il costante controllo
di figure ufficiali della amministrazione romana, se la interpretazione qui offerta
del ruolo del logoteta di Clysma è corretta.
La fase tarda della presenza romana nel Mar Rosso fu quindi un’epoca vitale
e prospera per il commercio. È significativo che anche le recenti campagne di scavo in corso confermino questa impressione. I dati provenienti dai porti romani
sono già stati discussi ampiamente, ma va aggiunto che proprio negli ultimissimi
anni interessanti rinvenimenti archeologici effettuati su suolo indiano puntano
chiaramente nella direzione di abbandonare i vecchi schemi interpretativi e a
riconoscere la realtà di un’epoca di sviluppo commerciale.696 La ricerca storiografica su questa fase dei commerci nel Mar Rosso è ancora alle prime fasi, ma
l’orientamento generale sta mutando e questo filone sarà certamente fonte di notevoli progressi nei prossimi decenni. La fase tardoantica della presenza romana
nel Mar Rosso fu l’evoluzione delle premesse di epoca imperiale, e gli elementi
di continuità tra questi due momenti sono probabilmente superiori a quelli di
rottura, come sarà certamente confermato dai dati che proverranno dagli scavi
in corso in questi anni.
696
Si veda ora Tomber 2004, 393-402; Tomber 2007, 972-988.
197
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5, 507-590.
Zitterkopf, R.E. e S.E. Sidebotham 1989. “Stations and Towers on the Quseir – Nile Road.”
JEA 75, 155-189.
216
Indice dei nomi
Abu Sha’ar 27-28; 35; 136-140; 163; 167
Adriano 81-83; 131
Adulis 25; 112; 121; 123; 142-145; 173; 193194; 196
Aila 24; 34; 36; 59-60; 74; 110; 118-124; 128;
133; 140-142; 148; 154; 162-164; 167-168;
175-176; 190; 193-196.
Alessandria 21; 26; 36; 44; 54; 58; 75-76; 8790; 106-107; 114; 121; 131; 134-135; 147;
155; 162; 168; 190; 192; 194
Anastasio 120; 127; 129; 132; 149-151; 160;
164-167; 196
Antonino Pio 78-80; 82-83; 196
Arsinoe 21-24; 27; 29; 75; 129-130; 144.
Aśoka 30
Augusto 51; 55; 68; 81; 85; 186-187
Aureliano 156; 185; 192
Avorio 26; 30; 50; 88-89; 142
Axum 25; 122-123; 140-143; 145; 166-167;
172-173; 175; 193
Bab al-Mandeb 77
Babylon 134
Berenice 15; 21; 23-27; 30; 40; 42-54; 56-58;
61-65; 71-73; 80; 85; 89; 93-95; 97; 106;
110-112; 115; 118; 122; 140-142; 144; 148;
153; 162; 164; 167; 173; 175; 189-194; 196
Blemmii 117; 138; 140; 191-192
Canale di Traiano 130-131; 134-136; 171;
189; 195
Caracalla 55; 172-174; 177; 182-183; 186
Charax 65; 103-107
Clysma 23; 75-77; 129-142; 148-149; 153154; 162; 164; 167-168; 173; 190; 193-197
Coptos 20; 42-43; 45-46; 48; 54-57; 63-64;
81; 85; 87-93; 106-107; 110-111; 114-118;
138; 147-48; 153; 162-163; 167-168; 182;
188-191; 194-195
Dahlak 143
Diocleziano 55; 114; 117-119; 131; 138; 140;
157-158; 163; 178; 183; 186; 190; 196
Ebrei 89; 128-129
Edfu 20; 29; 64
Elefanti 19-20; 25-26; 29-30; 37; 51; 61-65;
117
Elesbaà 141
Elio Gallo 17; 34; 41; 53; 60; 68; 70; 86; 99
Farasan 77; 80-83; 85; 101; 106; 140-141;
162; 166; 187; 196
Firmo 191-192
Flavi (dinastia) 51; 57-58
Gaza 33; 36; 102; 120; 122; 128-129; 194
Giustino 117; 140-141; 145; 166; 196
Giustiniano 117-118; 120; 128-129; 152; 164;
166; 196
Hegra 100; 107; 167
Hermapollon 87
Hydreumata 20; 56-57
Incenso 20; 32-33; 35; 60; 99; 144
India 13-17; 20; 27; 30-32; 38; 41-46; 48; 50;
53-54; 60; 62; 64-68; 75-77; 83-87; 93;
106; 113; 119; 121; 124; 128-129; 131-135;
139-141; 172-177; 182-183; 186-188; 191192; 194-197
Jotabe 123-129; 140-141; 148; 154; 162; 166;
168; 190
Kleopatris 21-23
Leuke Kome 22; 26; 34-36; 59-61; 63; 86;
88; 98-102; 106-107; 110; 113; 144; 147;
154; 162; 167-168; 190-191; 195
Liburna 72
Mesopotamia 66-67; 127, 133, 149; 157-158
Monete 51; 73; 84; 112; 131; 173-174; 177;
182; 186-189; 191; 195
Muziris 87
Myos Hormos 15; 21; 24; 27-28; 34-35; 4048; 52-57; 60-65; 71-73; 85; 89; 102; 106;
217
I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
110; 113; 115; 117; 136; 162; 167; 182; 188191; 195
Nabatei 19; 31-36; 56; 60; 68; 70; 73; 99-101;
119; 162; 193
Nerone 55; 186
Nikanor 45-48; 51; 59; 71; 97
Octava 126; 154-156
Palestina 119-120; 122; 127; 129; 133; 149
Palmyra 86; 100; 102; 107; 172
Parti 34; 67; 74-75; 77; 81; 84-85; 107; 168
Pepe 20
Petra 34-36; 60; 98-99; 146
Seta 13; 150-152; 196
Settimio Severo 182
Silleo 70
Siria 30; 81; 102; 105-107; 122; 156
Sri Lanka 31; 112; 175
τετάρτη 86-89; 98-99; 102-107; 154-155
Tiberio 51; 55; 72; 102; 187
Tolomeo II 20; 22; 25; 27; 29; 50; 52; 131;
171
Tolomeo III 22-24; 143-144
Traiano 36; 65-68; 73-77; 80-85; 113; 119;
130-131; 134-136; 141; 162; 189; 196
Zenobia 191-192
Zula 142-143
218
Università degli Studi di Napoli Federico II
Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche
1
La costruzione della verità giudiziaria, a cura di Marcella Marmo, Luigi Musella
2
Scritture femminili e Storia, a cura di Laura Guidi
3
Roberto P. Violi, La formazione della Democrazia Cristiana a Napoli (agosto
1943 – gennaio 1944)
4
Andrea D’Onofrio, Razza, sangue e suolo. Utopie della razza e progetti eugenetici nel ruralismo nazista
5
Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo
conflitto mondiale, a cura di Laura Guidi
6
Maria Rosaria Rescigno, All’origine di una burocrazia moderna. Il personale
del Ministero delle Finanze nel Mezzogiorno di primo Ottocento
7
Gli uomini e le cose, I, Figure di restauratori e casi di restauro in Italia tra
XVIII e XX secolo, atti del Convegno nazionale di studi (Napoli, 18-20
aprile 2007), a cura di Paola D’Alconzo
8
Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona, a cura di Francesco
Senatore, Francesco Storti
9
Flavia Luise, L’Archivio privato D’Avalos
Tutti i testi sono sottoposti a peer review secondo la modalità del doppio cieco (double blind)
10 Nuovi studi su Kyme eolica: produzioni e rotte trasmarine, a cura di Lucia A.
Scatozza Höricht
11 Pierluigi Totaro, Modernizzazione e potere locale: l’azione politica di Fiorentino Sullo in Irpinia. 1943-1958
12 Alessandro Tuccillo, Il commercio infame: Antischiavismo e diritti dell’uomo
nel Settecento italiano
13 Alethia: Precatio e primo libro, introduzione, testo latino, traduzione e commento, a cura di Claudio Mario Vittorio, Alessia D’Auria
14 Prima e dopo Cavour: La musica tra Stato Sabaudo e Italia Unita (18481870), atti del Convegno internazionale (Napoli, 11-12 novembre 2011), a
cura di Enrico Careri, Enrica Donisi
15 Tra insegnamento e ricerca. Entre enseignement et recherche: La storia della Rivoluzione francese. L’histoire de la Révolution française, a cura di Anna Maria Rao
16 Marco Maria Aterrano, Mediterranean-First? La pianificazione strategica
anglo-americana e le origini dell’occupazione alleata in Italia (1939-1943)
17 Parlamenti di guerra (1914-1945). Caso italiano e contesto europeo, a cura di
Marco Meriggi
18 Italo Iasiello, Napoli da capitale a periferia. Archeologia e mercato antiquario
in Campania nella seconda metà dell’Ottocento
19 Piero Ventura, La capitale dei privilegi. Governo spagnolo, burocrazia e cittadinanza a Napoli nel Cinquecento
20 Dario Nappo, I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico
Università degli Studi di Napoli Federico II
Pubblicazioni del Dipartimento di Studi umanistici
Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storicoartistiche 20
Il volume punta a inserirsi nel contesto generale degli studi sul
commercio che collegava l’antica Roma con i Paesi dell’Oriente,
quali Arabia, Etiopia e India. La monografia si concentra sull’analisi
della vita e dell’evoluzione delle installazioni portuali ubicate sul Mar
Rosso e controllate da Roma, punti di collegamento tra Oriente e Occidente, le porte attraverso cui le mercanzie orientali entravano nei
mercati romani. Mantenere in vita questi insediamenti, collocati in
punti remoti e di difficile accesso dell’Impero, richiedeva un grosso
sforzo economico, nonché una certa capacità di pianificare investimenti e linee di sviluppo. Nel corso dei secoli, la geografia portuale
del Mar Rosso romano cambiò sensibilmente. Tale cambiamento,
avvenuto durante la fase tardoantica di dominazione romana è normalmente percepito come un sintomo del declino del potere romano
nell’area. Questo lavoro, per la prima volta, spinge l’analisi oltre la soglia considerata di declino, indagando approfonditamente le dinamiche economiche dell’era tardoantica, e dimostrando che essa non fu
una fase di recessione economica, ma piuttosto di riorganizzazione.
Il volume si propone quindi di giungere a una nuova e più completa
comprensione della politica economica romana nel Mar Rosso tra i
secoli I a.C. e VI d.C.
Dario Nappo (10 Settembre 1979) si è laureato in Lettere Classiche nel 2003 presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Successivamente, ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia Antica presso lo stesso ateneo, nel 2008.
L’oggetto dei suoi studi è stata la storia economica del mondo romano, e più dettagliatamente il commercio internazionale tra Roma e l’India e il suo impatto
sulla vita economica dell’Impero.
Successivamente, ha lavorato presso varie università straniere e italiane, prima
come research fellow alla University of Oxford (2008-2010), successivamente
come ricercatore post-doc alla Universitat Autònoma de Barcelona (2012-2014),
poi come ricercatore TDA presso l’Università di Torino (2013-2016). Attualmente, è borsista presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
ISBN 978-88-6887-034-8
DOI 10.6093/978-88-6887-034-8
ISBN 978-88-6887-034-8