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COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Gianfranco Miro Gori
Carlo De Maria
(a cura di)
Cinema e Resistenza
Immagini della società italiana, autori e
percorsi biografici dal fascismo alla Repubblica
Postfazione di Goffredo Fofi
OttocentoDuemila
2019
Italia-Europa-Mondo, 5
OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria
Italia-Europa-Mondo, 5
In copertina:
Roberto Rossellini, foto tratta da Goffredo Fofi, I grandi registi della storia del cinema, Roma,
Donzelli, 2008.
Gianfranco Miro Gori e
Carlo De Maria
(a cura di)
Cinema e Resistenza
Immagini della società italiana, autori e percorsi
biografici dal fascismo alla Repubblica
Postfazione di Goffredo Fofi
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COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Bologna 2019
Volume promosso dall’Istituto
storico della Resistenza e dell’Età
contemporanea di Forlì-Cesena.
Progetto grafico
Bradypus
ISSN:
ISBN:
2284-4368
978-88-98392-91-9
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Cinema e Resistenza
Immagini della società italiana, autori e percorsi
biografici dal fascismo alla Repubblica
INDICE GENERALE
Prefazione
Carlo De Maria
7
Introduzione
Gianfranco Miro Gori
9
Dalla cronaca all’epica alla storia: i film italiani sulla Resistenza
tra il 1945 e il 1950
Gualtiero De Santi
13
Immagini (e suoni) di una guerra civile
Gianfranco Miro Gori
29
Tra visione e occultamento:
percorsi nella produzione documentaristica resistenziale
Ivelise Perniola
39
Proiettando la Resistenza: la rappresentazione
della Resistenza nel cinema italiano e francese (1945-2000)
Carlo Ugolotti
47
Sulle tracce della Resistenza: i cinegiornali
Silvio Celli
63
Il cinema di Alessandro Blasetti dopo la guerra:
“Un giorno nella vita” e “Fabiola”
Alberto Malfitano
79
L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime:
l’esperienza di “Pattuglia”
Domenico Guzzo
89
Postfazione
Goffredo Fofi
107
Gli autori
115
Indice dei nomi
117
Cinema e Resistenza. Immagini della società italiana,
autori e percorsi biografici dal fascismo alla Repubblica
a cura di Gianfranco Miro Gori, Carlo De Maria
Roma (BraDypUS) 2019
ISBN 978-88-98392-91-9
p. 89-106
L’approdo antifascista della
meglio gioventù del regime:
l’esperienza di “Pattuglia”
DOMENICO GUZZO
Il 1° marzo 1953 esce il n. 4 della rivista di settore “Cinema Nuovo”: al suo interno, un articolo intitolato Proposte per un film contiene un soggetto firmato dal
critico cinematografico Renzo Renzi1. Ispirato ai racconti di Renzo Biason2, questo plot denominato L’Armata s’Agapò si ripromette di narrare il disonorevole
comportamento delle truppe italiane in Grecia, gravato da barbare ingiustizie
(come la fucilazione di ostaggi), atroci incompetenze (quali le ripetute decisioni
di mandare la cavalleria al massacro) e meschine vessazioni (dal colossale giro
di prostituzione alla requisizione coatta di beni alimentari)3.
In base alla legislazione vigente, risalente al “Codice Rocco” di epoca mussoliniana4, sia il redattore Renzi che il direttore responsabile della testata, Guido
Aristarco, si ritrovano accusati di «vilipendio delle forze armate» e finiscono in
carcere, attendendo di venir processati da un tribunale militare. La loro pesante
condanna – 8 mesi a Renzi e 4 ad Aristarco – fa però scoppiare una vasta mobilitazione d’opinione che spinge infine le autorità giudiziarie ad annullare, dopo
Per un profilo bio-professionale di Renzo Renzi, si veda: Daniele Dottorini, Renzi Renzo, in Enciclopedia del Cinema, Roma, Treccani, 2004.
1
Pittore e critico d’arte, il veneto Biason era stato fatto prigioniero dai tedeschi – e deportato
in vari campi di concentramento tra Paesi Bassi e Polonia – nel quadro dello sbandamento delle
truppe italiane in Grecia dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Nel 1953, darà alle
stampe per Einaudi il romanzo Sagapò, basato sui suoi ricordi di guerra.
2
Cfr. Giovanni Giraudi, La resistenza dei militari italiani all’estero: Grecia continentale e isole dello
Jonio, Roma, Ministero della Difesa, 1995; Mario Cervi, Storia della guerra di Grecia, Milano, Rizzoli,
2005.
3
Cfr. Loredana Garlati (a cura di), L’inconscio inquisitorio. L’eredità del codice Rocco nella cultura
processualpenalistica italiana, Milano, Giuffrè, 2014.
4
90
Cinema e Resistenza
quaranta giorni nel penitenziario di Peschiera del Garda, la pena; preparando
altresì il terreno per una modifica in chiave de-fascistizzante del codice penale5:
nel 1957, infatti, verrà revocata la giurisdizione della magistratura militare sui
reati di vilipendio6.
Per curiosa concomitanza storica, Renzo Renzi e – con ben più alta esposizione mediatica – Guido Aristarco si ritrovano così a chiudere simbolicamente i postumi di quello stesso processo di demistificazione comunicazionale che li aveva
visti sottoscrittori esattamente un decennio addietro e che aveva contribuito, fra
le molteplici istanze di fronda e di critica eretica germinate sotto l’eccentrico
cappello del dicastero Bottai all’Educazione Nazionale7, a far cortocircuitare la
pretesa monistica, esteriorizzante ed eugenetica della cultura fascista, proprio
nella fase in cui il regime tentava lo scatto decisivo verso l’impianto totalitario8.
In effetti Aristarco – che sin dai primissimi anni Cinquanta si era avvicinato
a posizioni d’estetica “lukácsiana”9 e che aveva fondato “Cinema Nuovo” nel dicembre 1952 dopo esser stato “dimissionato” da caporedattore di “Cinema” per
aver difeso la pellicola (tardo)neorealista Umberto D.10 dagli obliqui strali del già
potentissimo Giulio Andreotti, in quel frangente sottosegretario della Presidenza
Cfr. Aristarco e Renzi furono denunciati da Pacciardi. Una trista parabola: da antifascista a aspirante missino, in “Avanti!”, 13 settembre 1953; Un’assemblea di giornalisti per il caso Aristarco-Renzi,
in “Corriere della Sera”, 17 settembre 1953; Lorenzo Pellizzari, Liberi ma non basta (Guido Aristarco
e Renzo Renzi), in “Cinema nuovo. Rassegna Quindicinale di Cultura”, 1953, n. 21.
5
6
Modifica del 30 luglio 1957 all’art. 290, stabilito il 19 ottobre 1930.
Sulla posizione di apertura giovanile espressa dal Bottai, si veda: Giovanni Fioridi Della Lena,
Università e fascismo, in “Critica fascista”, 1 agosto 1930.
7
Cfr. Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo: contributo alla storia di una generazione, Milano, Feltrinelli, 1962; Francesco Malgeri e Gabriele De Rosa, Giuseppe Bottai e “Critica
fascista”, San Giovanni Valdarno, Luciano Landi, 1980; Francesco Leoni, Il dissenso nel fascismo dal
1924 al 1939, Napoli, Guida, 1983; Alessia Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto: il dizionario di politica del Partito nazionale fascista (1940), Milano, Unicopli, 2000; Fabio Foresti (a cura
di), Credere, obbedire, combattere: il regime linguistico nel Ventennio, Bologna, Pendragon, 2003;
Vito Zagarrio, “Primato”. Arte, cultura, cinema del fascismo attraverso una rivista esemplare, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2007; Enrico Tiozzo, La pubblicistica italiana e la censura fascista,
Roma, Aracne, 2011.
8
Cfr. György Lukács, Riflessioni per un’estetica del cinema, in Id., Scritti di sociologia della letteratura, Milano, Mondadori, 1976 [1913]; Guido Aristarco, Marx, il cinema e la critica del film, Milano, Feltrinelli, 1979; Roberto De Gaetano, Teorie del cinema in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2005, p. 35 e ss. Sulle transizioni al marxismo di una parte dell’intellighenzia fascista, si veda: Mirella
Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte, 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2009. Sui più
generali processi di riposizionamento antifascista attivatisi nel tardo Ventennio, cfr. Luca La Rovere,
L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfascismo (1943-1948), Torino,
Bollati Boringhieri, 2008; Mariuccia Salvati, Passaggi. Italiani dal fascismo alla Repubblica, Roma,
Carocci, 2016.
9
10
Guido Aristarco, Umberto D., in “Cinema”, 1952, n. 80.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
91
del Consiglio con delega allo Spettacolo11 – era stato nel gennaio 1943 curatore
con Fernaldo Di Giammatteo12 di un numero monografico speciale che aveva clamorosamente abiurato, dall’interno della koiné littoria, la mitopoiesi integralista
di un «cinema in camicia nera»13.
In questo senso, il caso de L’Armata s’Agapò si pone come il completamento
morale di una decennale campagna d’emancipazione della “settima arte” italiana – ben inteso, solo una delle molteplici, e spesso concorrenti, che ne hanno
innervato la strutturazione teorica e compositiva lungo la prima metà del Novecento – volta a liberare l’autorialità registica ed attoriale dai catafalchi dell’epica e dell’escapismo (propri della produzione del Ventennio), mantenendola
comunque capace di elaborare “politicamente” – senza riduzionismi veristi e
cronache documentarie – la carne viva della coesistenza umana14.
Contrarietà peraltro pubblicamente esplicitata: «Se è vero che il male si può combattere anche
mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti – erroneamente
– a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita
legislazione sociale. é stato detto in questo dopoguerra che la cinematografia deve realisticamente
configurarsi al vero, non rappresentando una società irreale, bugiarda e caramellata. Principio in
sé accettevole per un tipo di produzione, ma sempre con il limite di equilibrio, di oggettività e di
proporzione senza del quale ci si perde nelle vie disgregatrici dello scetticismo e della disperazione», Giulio Andreotti, Piaghe sociali e necessità di redenzione, in “Libertas”, 28 febbraio 1952. Da
ricordare come giunsero attacchi al film anche dalle fila del Partito comunista: cfr. Pietro Ingrao,
Cinema realistico, in “Rinascita”, 2 febbraio 1952. Lo stesso organo di stampa che due anni più tardi
citerà Guido Aristarco fra i propri campioni, vittima dell’epurazione maccartista contro le riviste
cinematografiche italiane, cfr. L’offensiva del maccartismo contro il cinema italiano, in “Rinascita”,
1954, n. 8-9, p. 630.
11
Cfr. Daniele Dottorini, Di Giammatteo Fernaldo, in Enciclopedia del Cinema, Roma, Treccani,
2003.
12
Cfr. Renzo Renzi, Tra le righe dei giornali dei Guf. Testimonianze di una generazione, in “Emilia”,
1953, n. 22. Per un quadro ricostruttivo d’insieme e per la letteratura relativa al cinema in epoca
fascista, rimando a: Domenico Guzzo, Cinematografia, in Carlo De Maria (a cura di), Fascismo e società italiana. Temi e parole chiave, Bologna, Bradypus, 2016, pp. 121-140.
13
Su questo particolare filone critico e concettuale, innestato in posizione continuativamente dialettica alla vague neorealista, che avrà le opere di Luchino Visconti quale principale concretizzatore, si vedano: Italo Calvino, Il realismo italiano nel cinema e nella narrativa, in “Cinema Nuovo”,
1953, n. 10; Ugo Finetti, Cenni sulla critica marxista e il neorealismo, in Lino Micciché (a cura di), Il
neorealismo cinematografico italiano, Padova, Marsilio, 1975, pp. 262-173; Fiamma Lussana, Neorealismo critico: politica e cultura della crisi in Luchino Visconti, in “Studi Storici”, 2002, n. 4, pp. 10831103; Gian Piero Brunetta, Il cinema neorealista italiano. Storia economica, politica e culturale,
Roma-Bari, Laterza, 2009.
14
92
Cinema e Resistenza
Dall’avanguardia della “provincia fascista”: l’insopprimibile inquietudine della generazione del decennale
Il fascicolo d’inizio 1943 s’intitolava evocativamente Invito alle immagini ed apparteneva alla rivista “Pattuglia”, «mensile di politica arti lettere del Guf di Forlì»,
che in virtù di tale peculiare radicamento editoriale poteva godere di una straordinaria risonanza su scala nazionale15. Non determinata solo dal muovere dalla
“città del duce” – peraltro priva di sede universitaria – ma anche e soprattutto
dalla capacità unica di agglutinare sinergicamente il forgiarsi intellettuale della
“migliore gioventù” della nazione fascista selezionata dai Littoriali della Cultura
e dell’Arte (istituiti nell’aprile 1934)16.
Avveniva, vale a dire, che la cosiddetta generazione del decennale – ovvero
la prima, e fatalmente ultima, leva di italiani integralmente cresciuta nel sistema educativo littorio (perchè nata a cavallo della “marcia su Roma”) e pertanto
destinata ad assurgere a classe dirigente post-mussoliniana, in qualità di “uomini
nuovi” alla testa della “Italia nuova”17 – trovasse in Forlì un’agorà ricca, visibile
e sperimentatrice come neppure Roma capitale dell’Impero era in grado di offrire18. Questo perché nella configurazione “organicista” e “omeostatica” dell’articolazione statuale fascista19, la periferia e la campagna giocavano un fondamentale ruolo di bilanciamento rispetto ai prorompenti processi d’inurbamento
metropolitano sospinti dall’inesorabile penetrazione in Occidente dello spirito
fordista: in un’ottica di “terza via” fra capitale e soviet, la modernizzazione materiale viene calmierata dalla tradizione spirituale, la sofisticazione tecnologica
Sui Gruppi universitari fascisti, posti alle dirette dipendenze del Partito nazionale fascista, si
vedano: Luca La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria
fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; Simone Duranti, Lo spirito gregario. I Gruppi universitari
fascisti tra politica e propaganda (1930-1940), Roma, Donzelli, 2008. Sulla specifica sovraesposizione di Forlì in epoca fascista, si veda: Andrea Guiso, La «città del Duce». Stato, poteri locali ed élites
a Forlì durante il fascismo, Lungro di Cosenza, Marco, 2009.
15
Su queste manifestazioni competitive nazionali fra membri dei GUF, cfr. Giovanni Lazzari, I Littoriali della cultura e dell’arte. Intellettuali e potere durante il fascismo, Napoli, Liguori, 1979; Ugoberto Alfassio Grimaldi e Marina Addis Saba, Cultura a passo romano. Storia e strategie dei Littoriali
della cultura e dell’arte, Milano, Feltrinelli, 1983; Nino Tripodi, Italia fascista in piedi! Memorie di
un littore, Roma, Settimo Sigillo, 2006. Per uno sguardo sulle intenzioni coeve, si veda: Tommaso
Accardi, Littoriali della cultura e il problema dei Giovani, in “L’Assalto”, 28 agosto 1934.
16
Cfr. Aldo Grandi, I Giovani di Mussolini, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2003; Luca Giansanti, Generazione littoria. Il fascismo e gli universitari (1918-1942), Milano, Lampi di Stampa, 2018.
17
Cfr. Giovanni Tassani, Fabrizio Pompei, Umberto Dante, Una generazione in fermento. Arte e vita
a fine ventennio, Roma, Palombi, 2010.
18
19
Cfr. Il fascismo ha fatto dell’Italia un’unità granitica, in “Corriere della Sera”, 25 marzo 1936.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
93
dai cicli naturali della terra, la metropoli dalla provincia20. La diffusione dei cento
campanili e dei diecimila borghi rurali deve tendere così a pareggiare la concentrazione massificante dei puntuali agglomerati milionari.
Ecco che se Roma è per missione universale epicentro della metropoli italia21
na , allora Forlì – non a caso, per genealogia mussoliniana decretata “piccola
Roma”22 – si erge ad avanguardia, finanche “eterotopia”, della provincia nazionale23. Campione morale di quel paese minore che ha saputo conservare la giusta
misura fra le virtù civiche del municipalismo e la bucolicità dei fertili contadi –
riannodando inoltre nella propria cultura territoriale il “piccone risanatore” con
i miti d’italianità cesarei, danteschi, mazziniani e garibaldini24 – la «capitale della
provincia fascista»25 non soccombe alla metropoli malgrado inferiorità di mezzi
e risorse, ma anzi si propende a suo contraltare culturale potendo contare su
una minore dispersione di energie, su più brevi ed efficienti catene di comando,
su relazioni ancora viscerali con l’èthnos italico, e soprattutto su una maggiore
distanza dalle cortigianerie, dalle ingerenze e dai conformismi dei Palazzi del
potere centrale26.
Cfr. Benito Mussolini, Sfollare le città, in “Il Popolo d’Italia”, 22 dicembre 1928. Per gli studi in materia, si vedano: Anna Treves, La politica antiurbana del fascismo e un secolo di resistenza all’urbanizzazione, in Alberto Mioni (a cura di), Urbanistica fascista. Ricerche e saggi sulle città e il territorio
e sulle politiche urbane in Italia tra le due guerre, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 313-330; Dario
Padovan, Organicismo sociologico, pianificazione e corporativismo in Italia durante il fascismo, in
“Rassegna italiana di sociologia”, 2007, n. 4, pp. 681-718; Danilo Breschi, Mussolini e la città. Il fascismo tra antiurbanesimo e modernità, Milano, Luni Editrice, 2018.
20
Cfr. Alessandro Bacchiani, Roma nel pensiero di Benito Mussolini, in “Capitolium”, 1925, n. 7; Funzione mondiale di Roma, in “Corriere della Sera”, 7 febbraio 1933; Dreams of Empire Kindle Rome,
in “New York Times”, 25 agosto 1935.
21
Cfr. Ferruccio Canali, Iniziative di Regime e trasformazioni territoriali nella “provincia del Duce”
(1922-1942), in “Storia urbana”, 1994, n. 66, pp. 73-90; Id., Architetti romani nella “Città del Duce”, in
“Memoria e Ricerca”, 1995, n. 6, pp. 164-191.
22
Cfr. Domenico Guzzo, Forlì come “eterotopia” della provincia fascista. La “piccola Roma” nella
propaganda del Luce, in Gianfranco Miro Gori e Carlo De Maria (a cura di), Il cinema nel fascismo,
Roma, Bradypus, 2017, pp. 85-104.
23
Cfr. Romke Visser, Fascist Doctrine and the Cult of the Romanità, in “Journal of Contemporary
History”, 1992, vol. 27, pp. 5-22; Stefano Albertini, Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell’Italia fascista, in “The Italianist”, 1996, n. 1, pp. 117-142; Alberto Maria Banti, Sublime madre
nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2014.
24
Cfr. L’ora della Romagna, in “Corriere della Sera”, 5 agosto 1928; Pellegrinaggi nella terra del
Duce, in “La Stampa”, 12 ottobre 1936.
25
Cfr. La Romagna in una conferenza di A. Mussolini, in “Corriere della Sera”, 16 marzo 1928. Per
la letteratura, si vedano: Paul Corner, Italia fascista. Politica e opinione popolare sotto la dittatura,
Roma, Carocci, 2015; Mario Proli, “Meta ideale di ogni italiano”: la costruzione della “terra del duce”
vista attraverso cronache e immagini, in Massimo Lodovici (a cura di), Fascismi in Emilia Romagna,
Cesena, Il Ponte Vecchio, 1998, pp. 103-128; Michele Dau, Mussolini l’anticittadino. Città, società e
fascismo, Roma, Castelvecchi, 2012.
26
94
Cinema e Resistenza
Su “Pattuglia” – che è poi l’ultimo precipitato di una più vasta progettualità
editoriale accesasi nel dicembre 1939 con la fondazione del mensile locale “Via
Consolare. Quaderni politico-culturali del Guf di Forlì”, poi trasformatosi due anni
appresso in organo nazionale ufficiale mutando la testata in “Spettacolo. Rivista
mensile dei cine/teatri/guf d’Italia” – scrivono infatti i più promettenti studenti
universitari e i più brillanti giovani intellettuali della penisola, nel quadro di una
dinamica invertita che vede veneziani, milanesi, bolognesi, genovesi, fiorentini,
romani, napoletani e palermitani rivolgersi alla periferica Forlì27. I contributori
di “Corrente”, la rivista meneghina di Ernesto Treccani soppressa d’autorità nel
194028, trovano per esempio rifugio su “Pattuglia” e i suoi supplementi, mentre ci si
mette in fila per veder pubblicate sui fogli forlivesi le proprie opere prime, come
sarà il caso de La commedia della gente di Italo Calvino29. Volendone citare solo
alcuni, si ritrovano nomi divenuti poi nel dopoguerra vette della cultura e della
politica nazionale: Guido Aristarco, Paolo Grassi, Turi Vasile, Ugo Betti, Vittorio
Bonicelli, Dino Del Bo, Diego Fabbri, Carlo Lizzani, Alberto Perrini, Renzo Renzi,
Gianni Testori, Maurizio Barendson, Egidio Bonfante, Fernaldo Di Giammatteo,
Antonio Ghirelli, Domenico Paolella, Beniamino Joppolo, Renato May, Massimo
Mida, Sergio Sollima, Giorgio Napolitano, Enrico Prampolini, Giorgio Strelher,
Mario Verdone, Glauco Viazzi, Giuseppe Patroni Griffi, Glauco Pellegrini, Ernesto
Treccani, Umberto Barbaro, Antonio Pietrangeli, Renato Guttuso, Domenico Purificato, Francesco Pasinetti, Mario Tobino. Ciò che li attira è proprio l’esigenza
di uno “spazio vitale”, di un abbeveramento alle terragne fonti “provinciali” del
genio e della beltà italica che promette contestualmente, grazie alla specificità
dei “lombi romagnoli”, di elargire una prima voce pubblica al di fuori dell’assordante coro metropolitano30: laddove si può avere l’impressione che «tutto slitta
verso i grandi concentramenti d’industria applicata all’intelligenza»31, ovvero in
direzione di quella «metropoli, che appariva una volta come una cittadella decisamente anticonformistica, contro formule e pregiudizi» e invece adesso è «tutto
un pantano di formule, di modi, preconcetti. I rappresentanti di quello che una
volta si chiamava a ragione provincialismo si trovano con facilità nelle metropoli
e spesso rappresentano la tendenza più di moda»; al punto da augurarsi «che a
Cfr. Armando Ravaglioli, Un crocevia di provincia. Via Consolare, Spettacolo, Pattuglia: i giornali
forlivesi per la gioventù dell’ultima stagione del fascismo, Roma, Roma Centro Storico, 1984.
27
28
Cfr. Raffaele De Grada, Il movimento di Corrente, Milano, Edizioni del Milione, 1952.
Cfr. Italo Calvino a Walter Ronchi, lettera, Sanremo, 19 aprile 1943, riportata in Tassani, Pompei,
Dante, Una generazione in fermento, cit. p. 43.
29
L’editoriale non firmato del primo numero di “Pattuglia” s’intitolerà emblematicamente Provincia italiana. Si veda anche: Enrico Camporesi, Sperimentali in provincia, in “Pattuglia”, 1942, n. 9-10.
30
31
Armando Ravaglioli, Slittamento alla metropoli, in “Pattuglia”, 1942, n. 4.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
95
vent’anni di distanza si ripeta una marcia sulla metropoli o sulle metropoli, compiuta dalle nuove forze della cultura italiana»32.
Facendo leva sulle parole d’ordine e gli immaginari veicolati dallo stesso regime e portanti sull’eterno rigenerarsi della rivoluzione fascista33, la generazione
del decennale si concepisce e agisce infatti come una tendenza, una corrente
stoica e modernista che ambisce alla piena maturazione dell’era littoria, emancipandola dalle truci vestigia squadriste e depurandola da clientelismi e carrierismi34: è la “meglio gioventù” istruita dalla pedagogia gentiliana e formata
dalla mistica mussoliniana35 che si compone in una informale fronda lealista e
s’incarica di «bombardare il quartiere generale della nomenklatura» per mantenere il fascismo nel solco movimentista, anti-borghese e filo-latino36. Come
le eresie avevano sempre fatto nei confronti del Papato, cercando di riportare
la Chiesa a Cristo37. Le riviste forlivesi si permettono allora, nel clima del Patto
d’Acciaio e nel pieno sforzo bellico38, di adattare e diffondere – sotto la cura di
Giovanni Testori e Paolo Grassi – opere di autori all’indice: quali A Pablo Picasso
del comunista francese Paul Éluard (299 copie nel febbraio 1943 e ristampa in
giugno seguente a grande richiesta); l’Orfeo del libertino e omosessuale Jean
Cocteau, l’Epistolario inedito fra due intellettuali morti giovani in odore di antifascismo, Dino Garrone e Edoardo Persico39; le pièces di un dichiarato dissidente
già passato per il confino come Beniamino Joppolo40. Ma si osa anche dissacrare
il culto fideistico del «credere, obbedire, combattere», con lazzi sbeffeggianti
32
Carlo De Roberto, Esaurimento della metropoli, in “Pattuglia”, 1942, n. 7.
Cfr. L’Italia “paese dei giovani”, in “Corriere della Sera”, 21 aprile 1926; Il Fascismo è sempre
Giovinezza, in “La Stampa”, 18 luglio 1938.
33
34
Cfr. Alessandro Orengo, Per una futura classe dirigente, in “Pattuglia”, 1942, n. 11-12.
Cfr. Daniele Marchesini, La scuola dei gerarchi. Mistica fascista: storia, problemi, istituzioni, Milano, Feltrinelli, 1976; Tomas Carini, Niccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista, 1930-1943, Milano,
Mursia, 2009.
35
Cfr. Mario Sechi, Il mito della nuova cultura. Giovani, realismo e politica negli anni Trenta, Manduria, Lacaita, 1984.
36
Si vedano le interessanti riflessioni contenute in: Paolo Buchignani, Un fascismo impossibile.
L’eresia di Berto Ricci nella cultura del Ventennio, Bologna, Il Mulino, 1994.
37
Cfr. Marina Addis Saba, Gioventù italiana del littorio. La stampa dei giovani nella guerra fascista,
Milano, Feltrinelli, 1973.
38
Su queste due figure d’intellettuali stoici, che diventeranno un modello per molti “gufini” di fine
Ventennio, si vedano: Anna Panicali, Appunti sul realismo degli anni Trenta: Dino Garrone, in “Angelo Novus”, 1972, n. 23, pp. 55-79; Francesca Franco, Persico Edoardo, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Treccani, 2015.
39
Cfr. Katia Trifirò, Dal Futurismo all’assurdo. L’arte totale di Beniamino Joppolo, Firenze, Le Lettere, 2012.
40
96
Cinema e Resistenza
rivolti frontalmente all’oppressione dei «gerarchi racchioni»41 e con puntute rivendicazioni di autonoma coscienza, se non addirittura di «bonifica», rispetto
all’irregimentazione di stampo teutonico42:
prima di fare sfilare un plotone, dobbiamo avere la certezza che sono uomini quelli
che marciano, e non automi […] limitare ogni superfluo dinamismo esteriore, ogni indulgenza estetizzante, e scavare l’uomo. Poggiare prima sulla sua intelligenza e sulla
sua coscienza che sui suoi muscoli43.
Il “cinema cinematografico” per salvare la libertà dello spirito
dalla propaganda
In questa battaglia d’idee e parole per una catarsi della civilizzazione nazionale – secondo i giovani fascisti agglutinati attorno a “Pattuglia”, allontanatasi
troppo dalla propria culla latino-mediterranea e per questo persasi nelle nebbiose rigidità nibelunghe44 – è l’arte latamente intesa a rappresentare il campo
d’azione decisivo: esercizio supremo dello spirito, creazione magnifica scaturita
dall’insondabile incontro tra cultura e educazione, specchio mistico dell’errare
terreno, l’arte è la chiave di volta morale dei tempi presenti. All’indomani del
bombardamento di Parigi, in luogo di cantare il peana della vittoria, il mensile
del Guf di Forlì argomenta che «anche sotto le rovine fumanti, l’influenza francese fa sentire la sua non scaduta presenza. La grande battaglia dello spirito e della civiltà esige da tutti gli italiani una preparazione cosciente, non parole inutili
di una verbosa propaganda; ma educazione e cultura»45. Capace di dialogare con
«Vivere senza gerarchi intorno/ vivere/ degli ordini del giorno/ senza comunicati/ senza multe e
penalizzazioni/ non dovere fare l’amore con quei gerarchi/ così racchioni/ vivere/ finché c’è gioventù/ che poi donna fascista/ diventi allor e poi non si vive più», Lazzi satirici, in “Pattuglia”, 1942, n. 7.
41
«La pratica dell’educazione giovanile vide una gran disattenzione per gli imperativi interiori,
a vantaggio di una preparazione spettacolare e muscolare. Non ci si accorse che si impoverivano
con ciò, come si sono impoverite, le possibilità della generazione giovane, quindi della generazione
rivoluzionaria», Armando Ravaglioli, Bonifica umana, in “Pattuglia di punta”, 1941, n. 2.
42
43
Walter Ronchi, Costume educativo, in “Pattuglia”, 1942, n. 11-12.
44
Cfr. Per noi, in “Pattuglia”, 1942, n. 7.
45
Bombardamento di Parigi, in “Pattuglia”, 1942, n. 7.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
97
le tensioni contingenti e di penetrare nel profondo dell’animo umano, l’arte è poi
essenzialmente politica perché getta luce sulle dinamiche futuribili:
Tutta l’arte, tutta la cultura di quest’ultimo trentennio – l’arte dei nostri artisti, la cultura dei nostri intellettuali – è lo specchio di una lotta audace, fra un passato e un avvenire, che ha trovato, nell’oggi, le forme più sofferte di una volontà ansiosa di pervenire a
mete precise, anche se non definitive […]. Per noi cultura è dunque libertà dello spirito.
[…] Solo in una atmosfera di non limitata libertà dello spirito […] il donarsi ad una causa
e ad una idea non soffrirà di passeggere coercizioni esteriori e di violenze retoriche,
ma sarà totale ed intimo, proficuo per i successivi sviluppi di esse.
Francamente […] la politica di cultura non è certo stata all’altezza dei tempi e degli
italiani […], si sono creati dei tabù e dei campi minati in cui era fisicamente pericoloso
avventurarsi; si è voluto inoltre agire di prepotenza e senza convinzione sulla costituzione spirituale e morale degli italiani46.
Per la sua capacità di “parlare” universalmente e direttamente alle masse, la
multi-sensorialità, la complessità tecnologica e la sua riproducibilità infinita, il
cinema è sicuramente la forma d’arte più moderna e potente: la vera cifra del XX
secolo47. Ma la sua pratica nell’Italia littoria appare ai “frondisti” come incompiuta e condizionata: ancora ancillare alla prossemica del teatro, persistentemente
incapace d’integrare il sonoro in un progetto narrativo unitario, sminuita dallo
strapotere affaristico dei produttori e dalle committenze propagandistiche di regime. Lontanissima da quella prosopopea ufficiale che vedrebbe già emerso un
“cinema nuovo” di livello internazionale alimentato dalla rivoluzione fascista. E
non si tratta di percezioni lasciate intuire fra le righe degli articoli, ma di esplicite e drastiche invettive: il numero di “Spettacolo” uscito in febbraio-marzo 1943
ne contiene probabilmente la più varia espressione. Da Fernaldo Di Giammatteo che bellamente afferma il cinema italiano non aver fino ad allora prodotto
neppure un singolo capolavoro, pertanto rimanendo ancora insufficiente a determinare la cultura nazionale; ad Enrico Camporesi che addita una produzione
troppo disarmonica ed acerba, zavorrata da clientelismi e demagogie, foriera di
film “teatrali” o “letterari” non pronti a fungere da principio educatore al bello;
fino a Massimo Mida e Sergio Sollima che si arrischiano ad indicare autori e sistemi di riferimento, salvando da una nefasta ed imperante china melodrammatica
solo De Sica, Cervi, Lattuada, Visconti, Blasetti, e rifiutando il modello tedesco
oppresso da statalismo e «imperativi della razza» per preferirgli gli esempi ame-
46
Politica di cultura, in “Pattuglia”, 1943, n. 7-8.
Cfr. Antonio Ghirelli, Premesse politiche del film, in “Pattuglia”, 1942, n. 11-12; Renzo Renzi, Presenza dell’invisibile, in “Spettacolo”, 1943, n. 3-4.
47
98
Cinema e Resistenza
ricani e francesi che invece lavorano «liberamente» sull’attore a partire da una
corrispondenza naturale con il personaggio da interpretare48.
Il fascicolo Invito alle immagini si pone in questo senso come il tentativo di
organizzare una tesi proattiva, in grado d’intervenire sulle lacune e le distorsioni
del “cinema in camicia nera”, elevandolo di conseguenza a quella funzione di
faro di civilizzazione delle masse che sarebbe stata conquistata solo con la definitiva emancipazione a “settima arte” dall’allora vigente stato ibrido di «teatro
o romanzo filmato»49. Coordinati dal ventiquattrenne Aristarco e dal ventenne
Di Giammatteo, 25 giovani eccellenze dell’intellettualità fascista50 si ritrovano a
comporre un compiuto discorso metodologico che muove in primis dall’affermazione di alcuni “assiomi” teorici e dalla professionalizzazione del mestiere della
critica: i primi dovrebbero definire l’epistemologia, la seconda l’ermeneutica di
una disciplina narrativo-figurativa che nel dopoguerra «dovrà avere un ruolo di
catarsi, divenendo arte collettiva e non più solo fatto collettivo»51. Ciò significa “ripartire” dalle istanze proprie della proiezione filmica, tenendo un piede in
Bela Balazs per ciò che attiene al sistema narrativo – che deve sempre poggiare
sull’agire di immagini in un’atmosfera «consustanziale», e mai trasposta o riadattata, ai meccanismi cognitivi dello spettatore – e l’altro in Vsevolod Illarionovič
Pudovkin per gli aspetti della tecnica, che trova nel sonoro «il lubrificante e la
cremagliera della sintesi estetica»52. Da lì bisognerebbe operare sull’elaborazione e sul riconoscimento pubblico di “buone pratiche”, tramite l’attività “scientifica” di critici non più «meri cultori della domenica prestati da altre arti», ma
divenuti autentici “addetti ai lavori” preparati a divulgare popolarmente forma e
contenuto delle opere53. La risultante di questo sforzo binario sarebbe la promozione di un «cinema cinematografico», ovvero di un montato artistico d’immagini
Fernaldo Di Giammatteo, Il cinema e la cultura; Enrico Camporesi, Il cinema come arte; Massimo
Mida e Sergio Sollima, Il male del cinema, in “Spettacolo”, 1943, n. 3-4.
48
Cfr. Enrico Camporesi, Cinema e teatro, e Svatopluk Jezek, Le caratteristiche della narrazione
letteraria e cinematografica, in “Pattuglia”, 1943, n. 3-4.
49
Francesco Pasinetti, Walter Ronchi, Glauco Viazzi, Renato May, Umberto Barbaro, Antonio Pietrangeli, Roberto Paolella, Virgilio Sabel, Guido Guerrasio, Gianni Puccini, Massimo Mida, Osvaldo
Campassi, Renato Giani, Enrico Emanuelli, Enrico Camporesi, Egidio Bonfante, Biri Mazzini, Vittorio
Frosoni, Antonio Ghirelli, Maurizio Barendson, Franco Berutti, Milziade Torelli, Gastone Toschi, Ugo
Casiraghi, Glauco Pellegrini.
50
51
Maurizio Barendson, Di fronte alla realtà, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
Bela Balazs, Sulla sostanza del film; Biri Mazzini, Revisione del sonoro, in “Pattuglia”, 1943, n.s.:
Invito alle immagini.
52
Ugo Casiraghi, Funzione della critica; Glauco Pellegrini, La critica, domani, in “Pattuglia”, 1943,
n.s.: Invito alle immagini.
53
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
99
sonore, poeticamente inanellate con le più moderne tecniche, per restituire senza adulazioni o cinismi l’intelligenza profonda di una storia umana54.
Sollecitare l’adesione in piena libertà di spirito a tali “buone pratiche autoriali” e contestualmente educare gli spettatori a discernere una pellicola creativamente ideata e magistralmente girata, andrebbe d’altronde ad incidere sull’intero circuito del mercato, stringendo a tenaglia l’opportunismo degli investitori
privati e la capziosità del committente statale, che perderebbero incentivo a
produrre opere di facile escapismo o di mendace mitizzazione rivolte esclusivamente alla “pancia” degli italiani55. In sintesi, razionalizzare sotto la spinta dei
giovani le energie della “rivoluzione fascista”56 verso un “cinema cinematografico” si tradurrebbe nella germinazione di un «canone minore» capace di coinvolgere la sensibilità popolare in un movimento ascendente al bello e all’etico, e di
sciogliere pertanto il nefasto dilemma tra realizzazione artistica e commercializzazione industriale57.
In termini fattuali, l’eretico invito alle immagini guidato da Aristarco e Di
Giammatteo58 preme per una re-immersione purificatrice nella fonte prima della
narrazione filmica: il documentario. Non guardando tanto alla lezione nazionale
di Roberto Omegna, che per costitutiva finalità non può avventurarsi fuori dallo
stretto alveo scientifico59, ma piuttosto a quella estera di Robert Flaherty, reputata in grado di elevare “romanticamente” la cronaca naturalista alla dimensione
atavica del dramma umano60. Ma spogliarsi del patinato per riabbracciare l’essenziale minimalità, sempre secondo il cenacolo di “Pattuglia”, non si traduce
nella sottoscrizione delle avvisaglie proto-veriste apparse nel 1941 con la cosiddetta «trilogia militare della guerra sul mare»61: al contrario il rigetto del lavoro
di De Robertis e Rossellini è nettissimo.
Renato May, Cinema cinematografico; Germaine Dulac, Visività del cinema; Glauco Viazzi, Poesia e Poeticità delle immagini, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
54
Franco Berruti, Per un nuovo espressionismo; Francesco Pasinetti, Per un ritorno al cinema, in
“Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
55
Sull’autopercezione di questi giovani come “pretoriani” dell’essenza della rivoluzione fascista, si
veda: Armando Ravaglioli, Difesa della Rivoluzione, in “Pattuglia”, 1942, n. 4.
56
Antonio Ghirelli e Maurizio Barendson, Autonomia del cinema. Uno pseudodilemma: arte o industria, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
57
58
Guido Aristarco, Invito alle immagini, editoriale, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
Cfr. Simone Sperduto, Roberto Omegna e l’Istituto Luce. Il cinema scientifico ed educativo dell’Italia fascista, Roma, Herald, 2016.
59
Osvaldo Campassi, Robert Flaherty. Dal documentario alle immagini pure, in “Pattuglia”, 1943,
n.s.: Invito alle immagini.
60
Si tratta di tre film commissionati fra il 1941 e il 1942 dal Centro Cinematografico del Ministero
della Marina, diretto proprio da Francesco De Robertis, che saranno poi annoverati dalla critica fra
61
100
Cinema e Resistenza
Si è voluto vedere nei documentari (sic) come Uomini sul fondo e poi La nave bianca
una via, un preciso indirizzo. E non ci si è accorti invece che in questo modo si veniva
a negare al cinema italiano quelle doti di inventiva fantasia che sono eminentemente
nostre, di noi italiani62.
C’è in questo brusco distanziarsi, non lenito da una condivisa alterità «alla retorica di regime ed alla spettacolarità bellicista»63, l’ammissione di un nervo scoperto nel progetto del “cinema cinematografico”: l’estrema difficoltà a trattare
de visu questioni di stringente politica corrente – rinunciando allo schermo protettivo della sofisticazione allusiva e dell’allegoria indiretta – per timore di dover
fare, ora e subito, i conti con una nomenklatura imborghesita e filonazista, il cui
dominio si vorrebbe spazzare presto via, ma con la quale non si è ancora pronti a
sperimentare una rottura dissidente64. Irrisolto posizionamento estetico-morale
che viene senza troppi patemi stigmatizzato dal prestigioso pezzo di Umberto
Barbaro e di Antonio Pietrangeli – insegnanti di punta del Centro sperimentale
di cinematografia (CSC) – i quali, a stonatura dell’allineamento dei restanti saggi,
rimproverano un’eccessiva rigidità formalistica dell’approccio di Aristarco e soci,
suscettibile di far perdere di vista la primaria funzione maieutica della “settima
arte” italica65.
Rispetto alla parola d’ordine del cinema cinematografico, il ragionamento di Barbaro
si sposta prima sul peso sociale dell’azione cinematografica, anche di quella non colta, quindi si sofferma sui contenuti dell’opera, conservando un abbondante spazio per
il cinema politico. «Un contenutismo non volgare intende la qualità dell’opera condizionata dalla volontà di esprimere con quel mezzo una particolare concezione e
sostiene che questa concezione particolare colandosi nella forma dà a questa vibrazione comunicativa calore, intensità e altezza di livello artistico». C’è diffidenza verso
la valorizzazione della forma, verso il porre al centro un problema formale: «il valore
suggestivo dell’arte è sostenuto anche dai tecnicisti e positivisti della poesia pura e del
formalismo; ma per questi, assurdamente, la poesia fornirebbe stimoli non di pensiero
o di azione, ma stimoli fantastici e a loro volta poetici». Complesse prese di posizione
che chiamano apparentemente in causa tutto il dibattito estetico del primo mezzo
secolo, ma in realtà vanno a porre il problema dell’egemonia culturale e politica in
Italia dentro il declino del fascismo. Declino che, paradossalmente, significa, alla luce
dell’intervento di Barbaro e Pietrangeli, una sorta di resurrezione delle idee del fasci-
i lavori precursori del filone neorealista: Uomini sul fondo (De Robertis, 1941), La nave bianca (Rossellini, 1941), Alfa tau! (De Robertis, 1942).
62
Walter Ronchi, Clima per le immagini, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
Gian Piero Brunetta, Cinema italiano dal sonoro a Salò, in Storia del cinema mondiale, vol. III,
Torino, Einaudi, 2000, p. 355.
63
64
Cfr. Milziade Torelli, In morale n. 1, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
65
Umberto Barbaro e Antonio Pietrangeli, Confusioni, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
101
smo di sinistra dentro nuovi contesti in cui veniva riproposta la vecchia aspirazione
al realismo e all’arte di impegno politico sociale (“l’arte come moralità efficiente”). Si
tratterà di un blocco forte, spregiudicato, disposto a rilasciare patenti e certificati di
antifascismo, il cui perno sarà l’operazione calibratissima realizzata da Roberto Rossellini […] Roma città aperta66.
In effetti, questi primi mesi del 1943 lasciano balenare l’avvio di quel processo
di riposizionamento rispetto al regime in crisi, che nel post-25 luglio garantirà ai
più lungimiranti un salvacondotto professionale. Il comunista Barbaro – pur protetto dal direttore del CSC, Luigi Chiarini – inizia allora a muovere passi pubblici
proprio per rendere evidente la sua vicinanza al “verismo didascalico” e la sua
distanza dal “calligrafismo” cesellato e sostanzialmente apolitico67 di Chiarini, in
vista della stagione di impegno e ricostruzione radicale che pare profilarsi con
l’approssimarsi della vittoria alleata68. I giovani di “Pattuglia”, invece, da buona
generazione del decennale palesano un maggiore impaccio nello svincolarsi e
per questo cercano d’indorare la propria critica con atti di deferenza verso il solo
filone che, destreggiandosi tra “telefoni bianchi” e “kolossal di propaganda”, aveva operato per affermare l’autonomia espressionista del cinema nel Ventennio:
così, delle quattro sceneggiature con relativi trattamenti, poste in appendice al
numero speciale, che dovrebbero rappresentare un corretto caso di studio, ben
tre sono a firma Luigi Chiarini69. Ma poi quando si tratta d’impalmare degli autentici campioni filmici della metodologia in questione, ci si dirige clamorosamente
nel campo del nemico plutocratico: si smania per le lezioni immortali di Lang e
di Dreyer; si idolatrano Carné, Duvivier, Clair e Rénoir, considerati esempi insuperati di «maestrìa tecnica, fluidità nel montaggio, resa emotiva, compattezza e
costanza stilistica»70.
Umberto Dante, A ovest di Berlino, in Tassani, Pompei, Dante, Una generazione in fermento, cit.
pp. 153-154.
66
67
Cfr. Andrea Martini, La bella forma. Poggioli, i calligrafici e dintorni, Venezia, Marsilio, 1992.
Cfr. Paolo Buchignani, Avanguardie durante il fascismo. Umberto Barbaro, il realismo, l’immaginario, in “Il Mulino”, 1987, n. 5; Giuliana Muscio, Da Pudovkin al neorealismo. La riflessione teorica
sulla sceneggiatura e il contributo di Umberto Barbaro, in “Studi Novecenteschi”, 2004, n. 67-68.
68
69
Via delle cinque lune; La bella addormentata; La peccatrice. La quarta opera selezionata è Film
n. 8 (astratto dipinto a mano. Da una poesia di Philippe Soupault) di Luigi Veronesi e Anna Gobbi,
del 1943 poi andata distrutta.
70
Massimo Mida, Narrare per immagini, in “Pattuglia”, 1943, n.s.: Invito alle immagini.
102
Cinema e Resistenza
L’approdo antifascista: il superamento degli ultimi tabù e la scelta della rottura
A testimonianza di quanto forti e clamorose, seppur fra qualche goffo camuffamento di facciata, risultarono le tesi di Invito alle immagini, arriverà nella primavera 1943 una ventata nazionale d’incendiarie polemiche, quasi una prova
generale di quanto sarebbe accaduto dieci anni dopo con L’Armata s’Agapò. Nel
clima di latente disfattismo che stava pervadendo la società italiana dopo la
sconfitta dell’Asse (2 febbraio 1943) a Stalingrado e l’avvicinarsi dello sbarco
anglo-americano in Sicilia (poi avvenuto il 10 luglio), testate generaliste e di settore si avviluppano in una disfida sull’interpretazione politica da assegnare alle
esternazioni della “migliore gioventù littoria”.
“La Stampa” e il “Corriere della Sera” – tramite la brillante penna di Giò Ponti – prendono apertamente le difese del cenacolo di “Pattuglia”, vedendo nella
drastica destrutturazione di una industria nostrana compromessa dall’opportunismo commerciale ed affastellata di autori inani, l’innesco di una campagna di
rigenerazione dell’arte italiana guidata dalla futura classe dirigente del paese71.
Su un piano di critica costruttiva, si pone invece la rivista di riferimento della
cultura cinematografica italiana, “Bianco e Nero” edita dal CSC, che ripartendo
dall’ammonimento coevo di Barbaro e Piatrangeli, insiste nel contemperare l’apprezzamento per l’impegno di una preservazione artistica dell’opera secondo
canoni di moderna estetica, con la messa in guardia verso l’integralismo di certi
assunti relativi ad una purezza assoluta del cinema che rischiano di annichilire
il potenziale educativo e sociale del film per eccessiva astrazione dalle esigenze
del comparto produttivo e del gusto ancora vigente fra le masse72. A stroncare
rudemente, anzi a «manganellare», la pubblicazione forlivese ci pensano allora
i fogli patinati legati al circuito del divismo escapista73 e soprattutto gli organi
della destra squadrista e filonazista: l’attacco più pesante si riscontra sulle pagine de “Il Tevere”, in un lungo articolo firmato da un giovane Giorgio Almirante.
Al di là dell’inconcludente «vacuità dei saggi», ci si concentra sul «pericoloso
estetismo internazionalista» e sulla «passione perversa per il cinema realista
francese» dei redattori, che costringerebbe ad «oscuri pensieri»: richiamarsi ad
un «sedicente cinema puro» ricavato da «decadenti modelli stranieri di stampo
piccolo-borghese» non può far altro, infatti, che accendere «fuochi di sovversio-
Dietro lo schermo – “Invito alle immagini” – Una pattuglia di affermazioni e di proteste, in “La
Stampa”, 17 marzo 1943; Giò Ponti, Edizioni numerate, in “Corriere della Sera”, 28 maggio 1943.
71
72
Rassegna della stampa – Idee dei giovani sul cinema, in “Bianco e Nero”, 1943, n. 1.
73
Mino Doletti, Dissolvenze. Parole, in “Film”, 31 marzo 1943.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
103
ne intellettualoide», rischiando d’incrinare ogni sforzo di tutela della rivoluzione
fascista durante l’impresa bellica74.
E non a caso sarà lungo il piano inclinato che conduce all’autorialità transalpina, sempre più agitata come totem di una libertà dello spirito latino di fronte
all’inesorabile consumarsi dell’apocalisse littoria, che i contributori di Invito alle
immagini compiranno quell’ultimo decisivo passo all’antifascismo. Già nel numero successivo di “Pattuglia”, uscito in marzo 1943, la scelta di campo ideologica,
mediata attraverso il velo del discorso cinematografico, si fa chiara e coraggiosa:
I soliti impressionabili ci fanno ancora sorridere quando affermano che nel cinema francese si presentiva la prossima tragedia che avrebbe sconvolto la nazione gallica. Non ci
stupiremo se, tra qualche tempo si leggesse sotto un classico film di Duvivier e di Rénoir:
a forza di Duvivier dei Rénoir la Francia è giunta alla tragedia. Altro che tragedia: con
Rénoir, Duvivier, Carné la Francia è giunta ad una invidiabile civiltà cinematografica75.
Mentre contemporaneamente nella rivista “sorella” del progetto editoriale forlivese, quella “Spettacolo” che è anche organo nazionale ufficiale dei Cine-teatriguf, s’individua nel «miglior Blasetti» (ovvero nella sua produzione più popolare
ed antiretorica) l’emblema di una dolorosa ma necessaria disillusione dall’epopea totalitaria: in special modo, il suo ultimo film Quattro passi fra le nuvole, viene elevato a viatico della “traversata nel deserto della propaganda”. Conterrebbe (grazie a Gino Cervi) duttilità e solidità attoriali, un montaggio intelligente e
coinvolgente, una narrazione ironica e fantastica ma priva di sofismi, una fruibilità complessiva capace di saldare in sé «tutte le esigenze culturali, intellettuali
e spettacolari di una data collettività»76.
Dal donare cittadinanza ad un disallineato “canone minore ed introspettivo”
– integralmente avulso dall’esteriorità unanimista, magniloquente e volontarista
della cultura fascista – all’abiura della propria missione di “migliore gioventù”
del regime, il passo è ormai brevissimo77. Il direttore de facto di “Pattuglia”, Walter Ronchi compone l’editoriale del marzo 1943 facendo appello all’intelligenza
della generazione del decennale che rischia di rimanere bruciata assieme all’autodafé dell’imperialismo mussoliniano:
74
Giorgio Almirante, Fotogrammi, in “Il Tevere”, 18 marzo 1943.
75
Redazionale, in “Pattuglia”, 1943, n. 5-6. A rinforzo si vedano gli articoli usciti parallelamente
sull’altra rivista del Guf forlivese: Glauco Viazzi, «Golem» di Duvivier; Baldo Bandini, Ricordi sparsi
da «L’Angelo del Male» di Rénoir, in “Spettacolo”, 1943, n. 3-4.
76
Maurizio Barendson, Quattro passi fra le nuvole, in “Spettacolo”, 1943, n. 3-4.
Cfr. Franco Busetto, Studenti universitari negli anni del Duce. Il consenso, le contraddizioni, la
rottura, Padova, Il Poligrafico, 2002.
77
104
Cinema e Resistenza
i migliori giovani stanno dimostrando come l’evolversi rapido delle situazioni, la necessità di pronti cambiamenti, il bisogno di impensate deviazioni non li abbiano assolutamente presi alla sprovvista, ma come essi sempre, coscienti e aderenti al tempo,
abbiano conservato quella intelligenza che potremmo definire «attuale», improntata
alle esigenze del momento, capace di usufruire tempestivamente delle più intime risorse. […]
Non è […] da stupirsi se qualcuno – e questo qualcuno è l’ammalato del tempo più
difficile da curare perché sicuro della sua perfetta salute – perdura sopra convinzioni
che gli avvenimenti hanno dimostrato sorpassate, rimanendo cocciutamente attaccato
a modi di agire e di pensare che solo dati periodi di tempo possono – ammesso che lo
possano – storicamente giustificare (i periodi degli evviva e del tutto va bene). Sono
in fondo questi ultimi gli assenti, coloro che sono rimasti indietro anni di profonde
conquiste, gli affascinati di una maniera esteriore e conciliante i propri personalissimi
desideri con una pratica appariscente, troppo ricca di parole78.
Il fascicolo successivo, maggio-giugno 1943, intitolato Omaggio alla pittura –
e scandalosamente glorificante l’opera e la memoria dell’ebreo anarcoide trapiantato in Francia, Amedeo Modigliani – si concede addirittura di omettere la
specificazione Guf nel sottopancia, trasformandolo proditoriamente in un asettico “Mensile di politica lettere arti”. Nell’apertura si decreta candidamente come
«cultura […] per noi latini è soprattutto una decisiva prova di umanità che ci distingue da quella fredda e calcolata alla quale sembra aspirino altri popoli»79.
Nell’editoriale si definisce ormai «spazzatura» ogni fideistico richiamo all’ordine80, mentre Gigi Ghirotti azzarda persino auspicare «di uscire dall’alveo del nazionalismo, non per negarlo, ma per superarlo in un atto di fede nella solidarietà
del mondo»81.
La misura è adesso colma e in data 13 luglio 1943 arriva la soppressione d’autorità della rivista da parte della federazione fascista forlivese: appena dieci
giorni dopo, Benito Mussolini sarà costretto a rinunciare alla sua carica dittatoriale, e due mesi appresso l’Italia firmerà armistizio e passaggio di campo nella
Seconda guerra mondiale.
È l’eterogenesi dei fini; è l’approdo antifascista, quasi a tempo scaduto, della
leva di “uomini nuovi” allevati e formati dalla rivoluzione in “camicia nera”.
Se sappiamo anche noi, finalmente, guardare oltre il contingente per seguire una continuità più alta, vedremo che dentro questi ragazzi in divisa nera c’è stata un’alba vera,
78
Walter Ronchi, Intelligenza, in “Pattuglia”, 1943, n. 5-6.
79
Politica di cultura, cit.
80
Walter Ronchi, Spazzatura, in “Pattuglia”, 1943, n. 7-8.
81
Gigi Ghirotti, Superabilità del nazionalismo, in “Pattuglia”, 1943, n. 7-8.
Domenico Guzzo, L’approdo antifascista della meglio gioventù del regime: l’esperienza di “Pattuglia”
uno sforzo duro e solitario nel tentativo di costruire sé stessi, di trovare le coordinate,
di tenersi attaccati alla modernità.
Occorrerà prendere atto che da questi atteggiamenti complessi, travagliati, nasce la
gran parte dell’Italia dei dopoguerra. Grazie a “Pattuglia” e ad altri sforzi analoghi vivi
all’interno del fascismo questa Italia non parte da zero, non si pensa fuori dall’Europa,
non nasce nell’inerzia spirituale. […]
L’anima nera, archetipica, putrida e irriducibile del fascismo sopravvive in altri: nello
sforzo di negazione, di annientamento dei distinguo, di occultamento o stravolgimento
dell’accaduto82.
82
Dante, A ovest di Berlino, cit.
105
OttocentoDuemila
Italia-Europa-Mondo, 5
Il cinema è stato ricchissimo di spunti e di capolavori negli
anni immediatamente successivi alla guerra e riconsiderarlo,
oggi, significa soprattutto approfondire il tema del complesso
passaggio dal fascismo alla Repubblica, dalla guerra al
dopoguerra. Come evidenzia Carlo De Maria nella prefazione,
il presente lavoro pone una peculiare attenzione alla pluralità delle vite e alla varietà dei percorsi biografici che si
addensano attorno a un grande evento spartiacque come la
Seconda guerra mondiale, davanti al quale ciascuno fu
costretto a fare i conti con se stesso e con la storia. Concentrandosi, in particolare, sul cinema della Resistenza, i saggi
qui proposti ne offrono una lettura fondata sulla classica
suddivisione tra film narrativi, documentari e cinegiornali, a
opera rispettivamente di Gualtiero De Santi, Ivelise Perniola,
Silvio Celli. Sulla fiction ritorna Gianfranco Miro Gori portando
l’attenzione sul tema della «guerra civile». Carlo Ugolotti
esplora la Resistenza italiana e francese nei film narrativi e
non. Alberto Malfitano, servendosi dei documenti del fondo
Blasetti presso la cineteca di Bologna, si concentra sui film
“pacifisti” blasettiani dell’immediato dopoguerra. Domenico
Guzzo analizza l’originale esperienza di “Pattuglia”, rivista
forlivese dei Guf che raccolse la miglior gioventù dell’epoca
nel campo del cinema e dello spettacolo. Goffredo Fofi
conclude autobiograficamente con una lettura fuori dal coro.
Gianfranco Miro Gori, poeta e saggista, ha ideato e diretto la Cineteca
del comune di Rimini ed è stato sindaco di San Mauro Pascoli suo
comune natale. Tra i libri da lui pubblicati, soprattutto in campo
cinematografico, gli ultimi sono: Le radici di Fellini romagnolo del
mondo, Il Ponte Vecchio, 2016; Il cinema nel fascismo, curatela con
Carlo De Maria, Bradypus, 2017; Rimini nel cinema. Immagini e suoni
di una storia ultracentenaria, Interno4, 2018.
Carlo De Maria è Ricercatore “senior” presso il Dipartimento di Storia
Culture Civiltà dell’Università di Bologna, dove insegna Storia
contemporanea nel Corso di laurea in Lingue e letterature straniere.
Inoltre, è Professore a contratto di Didattica della storia all’Università
di Urbino. Dirige l’Istituto storico di Forlì-Cesena e presiede l’Associazione Clionet. Le sue più recenti monografie sono Le biblioteche
nell’Italia fascista (Biblion, 2016) e Una famiglia anarchica. La vita dei
Berneri tra affetti, impegno ed esilio nell’Europa del Novecento
(Viella, 2019).
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Testi di: Silvio Celli, Carlo De Maria, Gualtiero De Santi, Goffredo Fofi,
Gianfranco Miro Gori, Domenico Guzzo, Alberto Malfitano, Ivelise
Perniola, Carlo Ugolotti.
€ 20,00