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Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi

2018, Micologia Toscana

Riassunto: Nel presente contributo l'autore descrive sinteticamente un particolare rapporto simbiotico: quello delle micorrize. In particolare viene presentato il caso in cui sono le piante ad utilizzare i funghi per procurarsi le fonti carboniose. Questa relazione, chiamata mico-eterotrofismo, rappresenta nel continuum dei rapporti simbiotici l'estremo opposto alla condizione in cui sono i funghi a sfruttare le piante ovvero il parassitismo come comunemente inteso in micologia. Introduzione: Alcuni aspetti della biologia dei funghi sono spesso trascurati da chi, come il sottoscritto, pratica la micologia a livello sistematico e tassonomico. In questo contributo intendo affrontare appunto uno di questi aspetti, liquidato frequentemente alla dicotomia parassitismo / simbiosi: quello del rapporto, da un punto di vista funzionale, tra i funghi e le piante. In particolare, dopo aver definito meglio il concetto di simbiosi ed aver presentate sinteticamente le principali tipologie di simbiosi micorrizica, cercherò di definire quel particolare rapporto che è stato definito mico-eterotrofismo: ovvero quella particolare condizione per cui è la pianta a sfruttare, completamente o parzialmente, il fungo per ottenere le sostanze nutritive. La simbiosi: l'arte del "vivere insieme" In biologia il termine simbiosi (dal greco "vivere insieme") è utilizzato per indicare in modo generico i vari modi di convivenza tra organismi di specie diverse. Proprio in questo senso fu introdotto nel 1877 dal botanico tedesco Albert Bernhard Frank per descrivere in modo neutro il rapporto tra i funghi e le alghe nei licheni [Frank, 1877]. In base al tipo di relazione che intercorre tra le specie sono definite varie tipologie di simbiosi come, ad esempio, il mutualismo o il parassitismo. Per la cronaca, il primo autore ad introdurre queste distinzioni, sia funzionali che fisiologiche, fu un micologo: il tedesco Heinrich Anton de Bary (1879).

Associazione Gruppi Micologici Toscani Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 in attesa di ISSN - © 2018 AGMT Accettato / Accepted: 01/12/2018 Ricevuto / Received: 26/11/2018 Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi Alessio Pierotti Via P. Poccianti 12, 57125 Livorno - I alepierotti@yahoo.it Riassunto Nel presente contributo l’autore descrive sinteticamente un particolare rapporto simbiotico: quello delle micorrize. In particolare viene presentato il caso in cui sono le piante ad utilizzare i funghi per procurarsi le fonti carboniose. Questa relazione, chiamata mico-eterotrofismo, rappresenta nel continuum dei rapporti simbiotici l’estremo opposto alla condizione in cui sono i funghi a sfruttare le piante ovvero il parassitismo come comunemente inteso in micologia. Introduzione Alcuni aspetti della biologia dei funghi sono spesso trascurati da chi, come il sottoscritto, pratica la micologia a livello sistematico e tassonomico. In questo contributo intendo affrontare appunto uno di questi aspetti, liquidato frequentemente alla dicotomia parassitismo / simbiosi: quello del rapporto, da un punto di vista funzionale, tra i funghi e le piante. In particolare, dopo aver definito meglio il concetto di simbiosi ed aver presentate sinteticamente le principali tipologie di simbiosi micorrizica, cercherò di definire quel particolare rapporto che è stato definito mico-eterotrofismo: ovvero quella particolare condizione per cui è la pianta a sfruttare, completamente o parzialmente, il fungo per ottenere le sostanze nutritive. La simbiosi: l’arte del “vivere insieme” In biologia il termine simbiosi (dal greco “vivere insieme”) è utilizzato per indicare in modo generico i vari modi di convivenza tra organismi di specie diverse. Proprio in questo senso fu introdotto nel 1877 dal botanico tedesco Albert Bernhard Frank per descrivere in modo neutro il rapporto tra i funghi e le alghe nei licheni [Frank, 1877]. In base al tipo di relazione che intercorre tra le specie sono definite varie tipologie di simbiosi come, ad esempio, il mutualismo o il parassitismo. Per la cronaca, il primo autore ad introdurre queste distinzioni, sia funzionali che fisiologiche, fu un micologo: il tedesco Heinrich Anton de Bary (1879). 141 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 1 - Boletus edulis, esempio di specie simbionte. Foto: M. Bianchi Nell’accezione comune, il termine simbiosi è utilizzato in senso più ristretto per indicare il rapporto mutualistico ovvero quello in cui tutte le specie coinvolte traggono reciproco vantaggio dalla convivenza. In micologia per simbiosi si intende solitamente il rapporto mutualistico che si instaura tra i funghi e le radici delle piante superiori: la simbiosi micorrizica. In questo tipo di simbiosi il fungo aumenta la capacità di assorbimento di nutrienti da parte della pianta e quest’ultima fornisce al fungo le sostanze organiche da essa prodotte tramite la fotosintesi clorofilliana. La simbiosi micorrizica è probabilmente la simbiosi più importante in Natura e non soltanto da un punto di vista quantitativo, coinvolgendo la quasi totalità delle piante: la simbiosi micorrizica gioca infatti un ruolo fondamentale nel mantenimento di interi ecosistemi, aumentando ad esempio la disponibilità dei nutrienti nel terreno e proteggendo le piante coinvolte da patogeni e metalli pesanti [Harley, 1989; Dell, 2002]. Per una analisi dell’importanza della simbiosi micorrizica nell’agricoltura sostenibile, nella gestione forestale e nel recupero di siti contaminati si rimanda a Siddiqui et al. (2008). 142 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 2 - Armillaria mellea, esempio di specie parassita. Foto: M. Bianchi La letteratura sulla simbiosi micorrizica è estremamente vasta: esiste addirittura una rivista, Mycorrhiza appunto, organo ufficiale dell’International Mycorrhiza Society. Come punto di partenza per un approfondimento suggerisco i volumi di Peterson et al. (2004), Smith e Read (2008), Varma (2008), Varma e Kharkwal (2009) e Tadersoo (2017): se non diversamente specificato, i paragrafi seguenti si basano essenzialmente su questi lavori. In questo contributo, prima di presentare l’argomento principale, cercherò di illustrare sinteticamente le caratteristiche delle principali tipologie di simbiosi micorrizica: le endomicorrize, come le micorrize arbuscolari o quelle ericoidi, e le ectomicorrize. Nelle prime le ife del fungo penetrano nelle cellule delle radici; nelle seconde si limitano a colonizzarne i tessuti. Due parole sulle radici Ritengo necessario, prima di proseguire, descrivere brevemente la struttura delle radici, in modo da semplificare la comprensione dei paragrafi successivi. Come noto le radici, oltre a garantire l’ancoraggio della pianta al substrato, consentono alla Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 143 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 3 - Schematizzazione di una radice. La zona di struttura primaria è composta da tessuti maturi: il rizoderma o epidermide, dalla corteccia e dal cilindro centrale. Disegno: A. Pierotti 144 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. stessa di assorbire dal terreno acqua e sali minerali, oltre che rappresentare una riserva dei materiali nutritivi. Nelle radici si distingue una zona apicale, una zona di distensione, una zona pilifera ed una di struttura primaria. La prima, solitamente di pochi millimetri di lunghezza, è una zona di differenziazione: si tratta di un tessuto meristematico primario ovvero di un tessuto le cui cellule, inizialmente indifferenziate, crescono in dimensioni ed acquisiscono forme e funzioni differenti, permettendo la crescita delle radici. La zona apicale è protetta dall’abrasione da uno speciale tessuto di protezione detto cuffia o caliptra: le cellule più esterne di questo tessuto vanno incontro a rapida degenerazione, formando una sostanza mucillagginosa che resta attaccata alle particelle di terreno facilitando così la penetrazione della radice. Mano a mano che la zona apicale si allunga, i tessuti formati ed ancora in fase di maturazione costituiscono la zona di estensione. Subito al di sopra di quest’ultima si trova la zona pilifera. I peli radicali sono strutture specializzate nell’assorbimento. In particolare, grazie alla presenza nella loro parete di sostanze mucillagginose, mostrano una elevata affinità per l’acqua. Grazie alle loro piccole dimensioni, i peli radicali riescono a penetrare nei più piccoli interstizi del suolo, garantendo così una massima capacità assorbente. Nella zona di struttura primaria, la radice ‘matura’, con cellule e tessuti ormai completamente differenziati, distinguiamo tre parti: l’epidermide o rizoderma, la corteccia o cilindro corticale e il cilindro centrale. Il rizoderma è un tessuto monostratificato: analogamente all’epidermide del fusto, ha funzione protettiva; le sue cellule però non sono chitinizzate. Nel rizoderma mancano ovviamente gli stomi: la traspirazione, così come l’attività fotosintetica, nelle radici è ovviamente del tutto assente. La corteccia è invece un tessuto pluristratificato con cellule di tipo parenchimatico ovvero con cellule a parete sottile, con forma poliedrica e contenenti un grande vacuolo centrale. Lo strato a ridosso del cilindro centrale è costituito da cellule più piccole che costituiscono un particolare tessuto, detto endodermide, praticamente privo di spazi intercellulari. Il cilindro centrale o stele contiene il sistema vascolare della radice ed è costituito da due tessuti: lo xilema, adibito al trasporto dell’acqua, e il floema, adibito invece al trasporto delle sostanze nutritive. Le micorrize arbuscolari Le micorrize arbuscolari sono sicuramente la tipologia di simbiosi micorrizica più comune Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 145 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. in Natura: coinvolgono infatti l’80-90 % di tutte le piante vascolari. Recenti studi hanno dimostrato inoltre la presenza di micorrize arbuscolari anche in alcune piante nonvascolari [Read et al., 2000]. Una pianta può formare micorrize arbuscolari con più funghi, uno stesso fungo può essere associato simultaneamente a più piante. Da un punto di vista micologico, la capacità di formare questo tipo di associazione, a fronte dell’enorme numero di piante coinvolte, è limitata esclusivamente ai funghi appartenenti al subphylum Glomeromycotina (C. Walker & Schüßler) Spatafora & Stajich [Spatafora et al., 2016; vedi anche Schüßler et al., 2001]. Questi funghi, mancanti di forme a riproduzione sessuata, sono biotrofi obbligatori: il loro ciclo vitale non può quindi completarsi in assenza dell’unione con una pianta dalla quale dipendono completamente. Una condizione questa che ha limitato lo sviluppo delle conoscenze sulla loro biologia [Bonfante, 2012]. Le micorrize arbuscolari svolgono un ruolo fondamentale negli ecosistemi agricoli, dove concorrono a definire la fertilità e la stabilità del terreno, controllando anche la qualità della comunità vegetale migliorandone la diversità e la produttività [Powell & Bagyaraj, 1984; van der Heijden et al., 1998]. Per questo i funghi coinvolti sono considerati come biofertilizzatori e rivestono un notevole interesse negli studi sull’agricoltura sostenibile [Lumini et al., 2011]. Per maggiori approfondimenti sulle micorrize arbuscolari, oltre ai testi citati nell’introduzione, rimando a Koltai & Kapulnik (2008). Come accennato, nelle micorrize arbuscolari le ife del fungo entrano nella radice attraverso il rizoderma grazie a particolari strutture dette appressori. Una stessa ifa può penetrare nella radice in più punti. Una volta raggiunta la zona corticale le ife penetrano all’interno delle cellule parenchimatiche ramificandosi e assumendo un aspetto arbuscolare (da cui il nome micorrize arbuscolari). Se le ife penetrano direttamente nelle cellule senza diffondersi negli spazi intercellulari della corteccia si parla di micorrize arbuscolari di tipo Paris; se invece si diffondono in questi spazi si parla di tipo Arum [Gallaud, 1905]. La formazione di un tipo piuttosto che dell’altro sembra dipendere esclusivamente dalle caratteristiche della pianta ospite. Viene prodotto anche un micelio extraradicale che forma nuove spore. Le radici interessate dalla simbiosi arbuscolare non subiscono variazioni morfologiche significative: può però aumentare il grado di ramificazione e lo sviluppo dimensionale. Subisce variazioni invece, in risposta all’invasione delle ife del fungo, l’organizzazione interna delle singole cellule. Gli arbuscoli, la cui vita è piuttosto breve, nell’ordine di 15 giorni, sono l’interfaccia di scambio tra fungo e pianta. Alcuni funghi formano anche delle vescicole, particolari 146 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. strutture con funzioni di riserva: per questo in passato questa associazione micorrizica era detta vescicolo-arbuscolare, definizione abbandonata perché rappresentativa soltanto di alcune situazioni [Walker, 1995]. Le micorrize arbuscolari sono molto antiche; la prima evidenza di arbuscoli morfologicamente identici a quelli attuali è stata scoperta in fossili di Aglaophyton provenienti dalla Rhynie Chert: un deposito sedimentario risalente al primo Devoniano scoperto agli inizi del XX secolo nei pressi del villaggio scozzese di Rhynie [Taylor et al., 1995]. Poiché l’orologio molecolare data l’origine dei glomeromiceti a 350-460 milioni di anni fa, alcuni studiosi reputano che questi funghi abbiano giocato un ruolo fondamentale nella colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante (si veda, ad esempio, Heckman et al., 2001). Le micorrize ericoidi Le micorrize ericoidi rappresentano un particolare tipo di simbiosi endomicorrizica che interessa le famiglie Ericaceae Juss., Epacridaceae Brown e Empetraceae Hook. & Lindl. dell’ordine Ericales Bercht. & J. Presl. Le piante di queste famiglie, generalmente arbusti perenni o piccoli alberi con foglie dure e coriacee, formano radici laterali molto specializzate, dal diametro decisamente ridotto (tanto da meritarsi il nome di ‘hair roots’ ovvero radici capello) e prive di crescita secondaria. Queste radici si caratterizzano per una anatomia semplificata: consistono infatti di uno stretto cilindro vascolare, di uno o due strati di cellule corticali e di una epidermide formata da uno strato di cellule rigonfie. Proprio queste ultime sono coinvolte nella simbiosi: le ife dei funghi coinvolti penetrano al loro interno formando particolari strutture a gomitolo. Nelle micorrize ericoidi, che arrivano a colonizzare l’80 % dell’apparato radicale della pianta ospite, il micelio extraradicale è molto limitato: probabilmente a causa della grande estensione del sistema radicale [Read, 1996]. Per quanto riguarda il partner fungino, le micorrize ericoidi sono state considerate a lungo una associazione molto specifica, limitata ad alcuni ascomiceti ed in particolare al complesso di Pezoloma ericae (Reid) Baral. I moderni studi molecolari, che permettono di identificare anche i ‘miceli sterili’, hanno permesso di ampliare notevolmente la lista dei funghi coinvolti [Straker, 1996]. Alcuni di questi funghi possono formare anche ectomicorrize [Vrålstad et al., 2000]. Una delle caratteristiche delle micorrize ericoidi è la capacità di mobilitare fosfati, composti azotati e ferro anche se presenti nel terreno a basse concentrazioni; in ambienti contaminati, le micorrize ericoidi hanno dimostrato una grande capacità di proteggere la Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 147 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. pianta ospite dai metalli pesanti [Mitchell & Gibson, 2006]. In relazione a quest’ultimo aspetto, le micorrize ericoidi rappresentano un modello fondamentale per lo studio delle basi molecolari dell’interazione tra funghi e metalli tossici [Perotto et al., 2002]. In base all’orologio molecolare, le micorrize ericoidi sembrano risalire a 140 milioni di anni fa [Cullings, 1996]. Per un approfondimento sulle micorrize ericoidi rimando in particolare a Read (1996) e Kohout (2017). Le ectomicorrize Le ectomicorrize sono meno diffuse delle micorrize arbuscolari: da sole rappresentano meno del 5% di tutte le simbiosi micorriziche. Le ectomicorrize interessano infatti soltanto alcune famiglie di piante dal portamento arbustivo o di albero, come le Pinaceae Spreng. ex Rudolphi o le Fagaceae Dumort. Una lista dettagliata, anche se datata, delle piante coinvolte in questo tipo di associazione si trova in Smith e Read (1997). Un singolo albero o arbusto può essere associato contemporaneamente con più di quindici diversi funghi ectomicorrizici [Saari et al., 2005]. I funghi coinvolti in questo tipo di associazione sono circa 7.000, tra basidiomiceti e ascomiceti [Molina et al., 1992; Tadersoo et al., 2009]. Di questi l’80% circa forma strutture riproduttive epigee: ovvero i funghi che finiscono nei cestini dei cercatori o sotto la lente degli appassionati micologici. Anche alcuni zigomiceti possono formare ectomicorrize. Alcuni dei funghi coinvolti mostrano una elevata specificità verso la pianta ospite. Per un approfondimento sulle specie fungine coinvolte nelle ectomicorrize rimando a Tadersoo e Smith (2017). Le ectomicorrize svolgono in particolare un ruolo fondamentale negli ecosistemi forestali [Boroujeni & Hemmatinezhad, 2015; Futai et al.2008]. Da un punto di vista morfologico e funzionale, le ectomicorrize manifestano una notevole variabilità, come è logico aspettarsi visto l’enorme numero di funghi coinvolti. Un tentativo di classificare le ectomicorrize su base morfologica ed ecologica è stato proposto da Agerer (2001). Gli elementi distintivi di questo tipo di associazione sono tre: il mantello o micoclena, il reticolo di Hartig ed il cosiddetto micelio extra-radicale. Il mantello è uno spesso strato di ife fungine che si forma attorno alla porzione radicale delle radici della pianta ospite. Le caratteristiche del mantello, dal colore fino alla struttura microscopica, sono spesso utilizzate per identificare il fungo simbionte. Il mantello ha una evidente funzione protettiva: ad esempio preserva le radici da situazioni di stress idrico ed impedisce l’ingresso di patogeni. Le sue ife hanno inoltre funzione di deposito 148 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 4 - Ectomicorriza di Amanita sp. Fonte: Wikipedia delle sostanze nutrienti. Le ife del mantello a contatto con la radice penetrano nella stessa per formare il cosiddetto reticolo di Hartig, dal biologo tedesco Robert Julius Hartig che lo descrisse per la prima volta. In molte angiosperme il reticolo si sviluppa soltanto tra le cellule del rizoderma; nelle conifere si sviluppa anche tra quelle della corteccia. In alcune piante, come ad esempio in Pisonia grandis R. Br., il reticolo non si sviluppa delegando la sua principale funzione, quella di interfaccia di scambio tra il fungo e la pianta, alla parte interna del mantello. Sempre dal mantello si sviluppa anche il cosiddetto micelio extra-radicale, che può associarsi ad altre radici della stessa pianta o ad altre piante. Molto variabile nella sua struttura, il micelio extra-radicale ha un ruolo fondamentale nella mobilitazione, assorbimento e trasporto delle sostanze minerali e dell’acqua dal suolo verso la pianta. In alcuni casi le ife del micelio extra-radicale penetrano nelle rocce sgretolandole. In altri le ife sono associate a batteri, posizionati sulla loro superficie a cui aderiscono attraverso uno speciale biofilm, capaci di degradare idrocarburi e altri inquinanti [Sarand et al., Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 149 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. 1998]. A differenza di quanto avviene nelle micorrize arbuscolari, le radici colonizzate da funghi ectomicorrizici subiscono profondi cambiamenti: la crescita apicale è inibita e la regione apicale tende a biforcarsi ed assumere una forma coralloide. La prima testimonianza di ectomicorrize si trova in fossili di pino rinvenuti nella Princepton Chert nella British Columbia datati a 50 milioni di anni fa [LaPage et al., 1997]. Le ectendomicorrize e le micorrize arbutoidi Come accennato, nelle ectomicorrize le ife dei funghi si limitano a diffondersi tra i tessuti della pianta ospite senza penetrare nelle loro cellule. Esistono però delle eccezioni a questa regola: le ectendomicorrize e le micorrize arbutoidi. In queste associazioni, le ife del reticolo di Hartig penetrano nelle cellule della pianta ospite. Le ectendomicorrize interessano esclusivamente i generi Pinus L. e Larix Mill. [Yu et al., 2001]. I funghi coinvolti sono stati inizialmente isolati in coltura (E-strain fungi): soltanto le moderne tecniche di biologia molecolare hanno permesso il loro riconoscimento. La maggior parte degli isolati appartiene a due sole specie: Wilcoxina mikolae (Chin S. Yang & H. E. Wilcox) Chin S. Yang & Korg e W. rehmii Chin S. Yang & Korg [Egger et al., 1991; Egger, 1996]. Le micorrize arbutoidi sono formate da alcune ericacee: in particolare dalle piante dei generi Arbutus L. (da cui il nome) e Arctostaphylos Adans. Molti funghi che formano ectomicorrize sono capaci di formare anche questo tipo di associazione [Molina & Trappe, 1982]. Strutturalmente le ectendomicorrize e le micorrize arbutoidi sono simili alle ectomicorrize: nelle prime però le ife del reticolo di Hartig penetrano all’interno delle cellule del rizoderma e della corteccia. Nelle micorrize arbutoidi la formazione di strutture intracellulari è limitata alle cellule del rizoderma. Anche in questo tipo di associazione si osservano le strutture tipiche delle ectomicorrize: le ife fungine però penetrano nelle cellule del rizoderma. La simbiosi come continuum Prendendo a prestito una definizione della teoria dei giochi, la simbiosi micorrizica e più in generale il mutualismo possono essere definiti una strategia “win-win”: ogni specie coinvolta trae vantaggio dal rapporto instaurato. Da un punto di vista evolutivo il mutualismo deve però essere inteso come uno sfruttamento reciproco che produce benefici per tutte le specie coinvolte [Herre et al., 1999]. Il mutualismo sarebbe quindi, in altre parole, un punto di equilibrio: nel nostro caso, tra lo sfruttamento della pianta da 150 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 5 - La simbiosi come un continuum. Il mutualismo è il punto di equilibrio tra lo sfruttamento reciproco dei partner coinvolti. Modificata da Bronstain (1994) parte del fungo e quello del fungo da parte della pianta [Bronstein, 1994; vedi figura 5]. Un equilibrio peraltro dinamico, visto che alcune piante possono comportarsi da partner mutualistico o da parassita a seconda delle condizioni ambientali. Se la condizione per cui un fungo sfrutta una pianta senza concedere niente in cambio è ben nota alla maggior parte degli appassionati micologici, il viceversa lo è decisamente meno. Il caso in cui è la pianta a sfruttare il fungo prende il nome di mico-eterotrofismo, termine coniato nel 1994 da Jonathan Laeke. Le origini delle nostre conoscenze su questa particolare condizione possono essere fatte risalire al dibattito ottocentesco sullo status di possibile parassita dei faggi ipotizzato per Hypopitys monotropa Crantz: una pianta priva di clorofilla. Un lavoro fondamentale a proposito fu quello di Franz Kamienski che nel 1882 dimostrò che le radici di H. monotropa erano connesse a quelle dei faggi tramite le ife di un fungo, fornendo quella che può essere definita la prima ambigua descrizione di una micorriza. L’impulso maggiore allo studio dello sfruttamento da parte delle piante dei funghi venne con la scoperta della particolare biologia delle orchidee. Le micorrize delle orchidee La famiglia Orchidaceae Juss., con approssimativamente 450 generi ed oltre 20.000 specie, è sicuramente una delle famiglie più rappresentative dell’intero mondo vegetale. Come noto i semi delle orchidee sono molto piccoli: un adattamento spinto per favorirne la diffusione per mezzo del vento. Questi semi contengono un piccolo embrione indifferenziato privo di radici e della regione di crescita contenente cellule meristematiche. Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 151 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Per germinare, mancando di sufficienti sostanze di riserva, i semi delle orchidee hanno bisogno di essere colonizzati da funghi saprofiti appartenenti agli ordini Ceratobasidiales Jülich, Tulasnellales Rea e Sebacinales M. Weiss, Selosse, Rexer, A. Urb. & Oberw. (per un approfondimento sui funghi coinvolti e più in generale sulle micorrize delle orchidee rimandiamo a Jacquemyn et al., 2017). Le ife del fungo, venute a contatto con un seme, entrano nello stesso e formano gomitoli all’interno delle sue cellule. Dopo essere stato colonizzato dalle ife fungine, l’embrione forma una regione meristematica apicale e sviluppa in un corpo tuberoide detto protocormo, proseguendo poi il suo sviluppo [Peterson et al., 1998]. A differenza delle simbiosi micorriziche, il fungo cede alla pianta non soltanto sostanze minerali e acqua, ma anche sostanze organiche, senza ricavarne niente in cambio. Una volta che si sviluppano le radici, queste possono essere colonizzate da altri funghi. Cephalanthera damasonium, ad esempio, forma micorrize con almeno undici diverse specie [Pecoraro et al., 2017]. Alcune orchidee restano ipogee per più di una stagione o per l’intera fase vegetativa del loro ciclo vitale. Queste orchidee dipendono quindi interamente dai funghi per il loro sostentamento. Moltissime sviluppano invece normali organi fotosintetici. Questo non significa però che rinuncino alla loro capacità di sfruttare il partner fungino: Cephalanthera damasonium (Mill.) Druce e C. rubra (L.) Rich, ad esempio, continuano a sfruttare i funghi che le hanno fatte germinare quando si trovano in condizioni di scarsa luminosità [Preiss et al., 2010]. Il mico-eterotrofismo Le orchidee sono un classico esempio di mico-eterotrofismo, in tutte le sue declinazioni. Questa tipologia di associazione è stata recentemente oggetto di una monografia curata nel 2013 da Vincent S. F. T. Merckx (per un primo approccio rimando a Merckx et al., 2009). Le piante coinvolte sono circa 23.000: di queste circa 510 dipendono esclusivamente dai funghi per il loro sostentamento (mico-eterotrofismo completo). Altre, come abbiamo visto per le orchidee, dipendono dai funghi soltanto durante i primi stadi di sviluppo (mico-eterotrofismo iniziale); altre ancora, come le citate Cephalanthera, combinano la capacità fotosintetica con il mico-eterotrofismo [Merckx et al., 2013]. Alcune piante sfruttano funghi saprofiti, altre funghi micorrizici. Le strutture di interazione tra pianta e fungo variano notevolmente [Imhof et al., 2013]. Monotropa uniflora L., ad esempio, manifesta una stretta affinità con le russulacee [Bidartondo, 2005; Yang & 152 Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Figura 6 - Monotropa uniflora L.: il "fiore fantasma". Questa pianta priva di clorofilla, diffusa principalmente nelle regioni temperate del Nord e del Sud America, sfrutta funghi dei generi Russula Pers. e Lactarius Pers. per ottenere le sostanze nutrienti di cui ha bisogno per il suo sviluppo. Foto: S. Ross - Fonte: Wikipedia Micologia Toscana 0, 2018: 141-158 153 A. Pierotti: Il mico-eterotrofismo: quando le piante parassitano i funghi. Pfister, 2006; Kong et al., 2015]. Le piante mico-eterotrofe, chiamate in passato epi-parassite (si veda, ad esempio, Björkman, 1960), non devono essere confuse con le piante parassite: queste ultime ottengono le sostanze nutrienti direttamente da altre piante, senza l’intermediazione dei funghi [Heide-Jørgensen, 2008]. Il mico-eterotrofismo e il parassitismo, così come l’autotrofia, sono linee evolutive distinte. Ovviamente si osserva un certo grado di convergenza morfologica tra le piante completamente mico-eterotrofe e quelle parassite, come, ad esempio, le foglie estremamente ridotte, la completa o quasi assenza di clorofilla e la produzione di un numero enorme di semi. Ringraziamenti L'Autore ringrazia Marco Bianchi per le foto concesse. Bibliografia Agerer R., 2001. Exploration types of ectomycorrhizae. 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