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La decorazione architettonica d’età flavia

Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 12:26 Pagina 2 La decorazione architettonica d’età flavia Patrizio Pensabene 2 Dopo l’incendio neroniano, quando la mole degli edifici ricostruiti e di nuova fattura fu tale da determinare una riorganizzazione anche delle officine e delle modalità di approvvigionamento dei marmi, si realizzò in tempi molto brevi un forte cambiamento nel repertorio e nella redazione del decoro architettonico. In effetti, lo stile e la tipologia dei capitelli e delle trabeazioni della seconda metà del I secolo d.C. mostrano di aver risentito direttamente delle nuove mode che a Roma avevano cominciato a formarsi in età neroniana: le necessità ricostruttive determinate dalla catastrofe causarono forme accelerate di produzione sicuramente nel campo dei capitelli corinzi, come risulta ora da esemplari di lesena (ffig. 1) ben databili in quanto appartenenti ai portici pilastrati che accompagnavano la Via Sacra, nel rifacimento subito seguito al 64 d.C.1 La forma delle foglie e degli altri elementi (in particolare l’orlo a corda dei caulicoli) consente di inserire questi esemplari nella tradizione giulio-claudia, che si era costituita su modelli tardo-augustei o primo-tiberiani2 di Roma; in essi, però, si registra la semplificazione dell’apparato decorativo con un appiattimento dell’acanto, una riduzione a metà altezza delle scanalature nelle foglie della seconda corona e l’introduzione di piccole zone d’ombra ottenute col trapano per separare i lobi, anche se un certo conservatorismo si mantiene in alcuni particolari, come la sopraccitata corona dei caulicoli a forma di corda. Possiamo considerare appartenenti allo stesso gruppo alcuni capitelli databili in tarda età giulio-claudia3, probabilmente anch’essi subito dopo l’incendio neroniano, con una tendenza ancora più evidente a una resa piatta dell’acanto che perde ulteriormente la sua apparenza plastica e naturalistica4: leggermente più larghe appaiono quindi le costolature centrali con solco mediano e più strette le zone d’ombra tra i lobi, appena oblique o quasi verticali; le foglie della seconda corona nascono in corrispondenza della cima delle foglie inferiori della prima corona e presentano quasi parallele le scanalature che distinguono al centro le costolature. Esiti piuttosto simili per la resa dell’acanto e dei caulicoli si trovano in capitelli del Museo Nazionale Romano, provenienti da Nemi5, e in quelli della chiesa di Santa Restituta a Napoli6 databili anch’essi nell’età giulio-claudia. Riflesso immediato di questo stile più rapido si ha nei capitelli primo-flavi reimpiegati nella Sinagoga di Ostia7. Tali cambiamenti, nati inizialmente per ragioni tecniche di lavorazione, si precisarono nell’età di Domiziano con tutte le loro novità formali riguardanti sia capitelli sia trabeazioni. Furono molti i grandi cantieri aperti nell’Urbe da quest’imperatore: prima di tutto quello per il rifacimento del Capitolium8, di cui resta un frammento di capitello corinzio in marmo pentelico, poi quello di poco successivo del Tempio di Vespasiano, di nuovo degli inizi dell’età domizianea; in seguito, l’Arco di Tito e l’Arco di Domiziano sul Clivo Palatino9, entrambi in marmo pentelico, appartenenti agli anni centrali del suo regno; all’epoca tardo-domizianea appartengono anche la Domus Flavia10 con prevalente impiego del marmo lunense, ma dove già inizia l’uso del proconnesio, e la Villa di Domiziano a Castel Gandolfo11; e infine il Foro Transitorio con uso di pentelico e lunense. Va anche citata la grande Porticus Divorum (Eutrop. VII, 23) e altri interventi nel Campo Marzio, dove i danni arre- cati dall’incendio dell’80 d.C. (D.C. 64, 24, 2) causarono la ricostruzione, tra gli altri monumenti restaurati nell’area dall’imperatore, del Portico di Ottavia12 con largo impiego, anche in questo contesto, del marmo pentelico (nel propylon di età severiana sono reimpiegati molti elementi architettonici in pentelico sia nel frontone, sia nelle colonne composte da rocchi di fusti diversi: l’intervento severiano non si limitò all’iscrizione sull’architrave, ma riguardò il rifacimento di tutto il propylon assemblando pezzi di reimpiego dal portico della fase domizianea). La conseguenza di tali lavori presso le officine marmorarie, occupate nell’edilizia imperiale, fu il rilancio della ricerca di effetti decorativi basati sull’esuberanza dell’ornato che invase tutte le modanature delle cornici e del fregio, l’indulgenza verso il chiaroscuro, ottenuto in modo facile e rapido con profonde scanalature di trapano – scelta che alla base, come si è detto, ha l’esigenza di affrettare i modi di lavorazione data la mole degli interventi –, ancora la preferenza verso alcuni motivi decorativi, che, se già si trovavano precedentemente (per esempio nel Tempio dei Dioscuri) e sono in uso nell’età giulio-claudia, ora diventano predominanti, quali i kymatia di foglie acantizzanti, la vegetalizzazione degli anthemia a tralci intermittenti, degli elementi del kyma lesbio continuo e talvolta anche del kyma ionico composto da ovuli alternati a freccette. Ancora, nell’età domizianea, si assiste all’introduzione sempre più frequente dei trofei d’armi, di aquile o di cornucopie nei capitelli (cfr. gli esemplari riutilizzati nel Portico degli Dei Consenti o un frammento di capitello di lesena in giallo antico dal Palatino e un altro dal Foro della Pace), nelle trabeazioni e nei pilastri. Nei capitelli corinzi e compositi la definitiva perdita di un’aspirazione al naturalismo e all’eleganza plastica si traduce in foglie di acanto piatte, fortemente chiaroscurate dalle scanalature che scavano le nervature, e con zone d’ombra tra i lobi strette e verticali. A Roma si deve distinguere la qualità dell’ornato architettonico dei grandi templi a cui era affidato il messaggio dell’ideologia che presiedeva al principato di Domiziano, come si nota nel Tempio di Vespasiano13 dalla qualità degli ornati scolpiti nelle modanature delle trabeazioni e nei capitelli della Domus Flavia sul Palatino (ffig. 2) e delle ville imperiali, quali quella di Domiziano a Castel Gandolfo (ffigg. 3, 4), dove lo stile è più corrente e forse ancora più esuberante il chiaroscuro che non nei grandi templi. Una particolare attenzione va dedicata ai capitelli del Tempio di Vespasiano in quanto essi appartengono a un tipo caratterizzante l’architettura templare monumentale dell’età domizianea, dove si trova con un numero abbastanza limitato di varianti relative soprattutto a particolari come la decorazione dell’abaco con kyma ionico e baccellature o dell’orlo del caule con un kyma lesbico continuo. Inoltre, tutti i capitelli domizianei di grandi dimensioni presentano, nelle due corone di foglie, tre profonde scanalature verticali ai lati della spessa nervatura centrale, che è sottolineata da una lunga scanalatura mediana e da brevi e profondi intagli obliqui ai lati, allo scopo di rendere una sorta di membrana vegetale che riveste la costolatura principale: elemento questo che non si ritrova nei capitelli di minori dimensioni e di stile più corrente quali gli esemplari della Domus Flavia, che inoltre non presentano Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 12:26 Pagina 3 1. Portici della Via Sacra, capitello corinzio di lesena. 2. Palatino, Paedagogium, capitello corinzio. 3. Antiquarium di Castel Gandolfo, capitello corinzio di lesena. 4. Museo di Castel Gandolfo, capitello corinzio dal teatro. 015_01_Pensabene.eps BN X FOTOLITO ricreare fondo a dx e sx 015_02_Pensabene.eps BN 3 015_03_Pensabene.eps BN 015_04_Pensabene.eps BN Ingrandita al 115,8% I. testatina Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 12:26 Pagina 4 015_06_Pensabene.eps BN 015_05_Pensabene.eps BN 4 mai l’impressione di profondità spaziale, dovuta ai vari piani su cui si dispongono gli elementi decorativi che si ritrova invece nei capitelli del Tempio di Vespasiano e in quelli delle stesse grandi dimensioni, appartenenti al Tempio di Venere Genitrice. Se, dunque, i capitelli del Tempio di Vespasiano rispetto a quelli della Domus Flavia e in parte rispetto a quelli del Foro di Nerva si distinguono per la ricchezza e la particolarità delle varianti decorative, tuttavia la limitazione delle varianti soltanto ai particolari decorativi e non a elementi strutturali del capitello (come invece si era spesso verificato in età giulio-claudia) deriva dall’alto grado di specializzazione che raggiunsero le officine urbane, impegnate continuamente nei grandi cantieri dell’epoca: si era, dunque, creata una divisione del lavoro all’interno delle officine di scultori specializzati in determinate parti architettoniche con scarso spazio all’inventiva che avrebbe potuto rallentare l’organizzazione del lavoro. Di una qualità minore, ma sempre sostenuta, appaiono gli elementi superstiti della villa di Domiziano a Sabaudia, dove è più evidente la dialettica tra capi officina più esperti e maestranze meno attente nella trasmissione dei motivi. In definitiva, si venne a creare, in età domizianea, sostanzialmente un tipo di capitello “corrente” standard, con poche varianti, che venne a costituire un fattore di facilitazione nell’esecuzione di un gran numero di capitelli da impiegare in uno stesso edificio o in cantieri contemporanei: in tal modo l’elemento più importante per l’architetto divenne quello di fissare le misure dei capitelli e dei singoli elementi dell’elevato in rapporto all’altezza dell’edificio, esigenza di “normalizzazione” che dunque è estesa a tutte le parti architettoniche dei più importanti monumenti pubblici del periodo14. Per i capitelli corinzieggianti si riscontra una continuità iconografica e in parte anche stilistica con quelli di epoca augustea, sebbene, apparentemente, siano più spesso utilizzati i marmi colorati: in epoca flavia troviamo capitelli in marmo africano, come l’esemplare proveniente dal Palatino o un capitello di lesena, dallo stesso contesto, in pavonazzetto, di cui si nota la ripresa di motivi giulio-claudii su un marmo colorato. Nei capitelli a lira per esempio è evidente una coerenza stilistica con i predecessori augustei. Osserviamo che questa maggiore continuità della tradizione dei capitelli corinzieggianti si oppone invece alla standardizzazione e “normalizzazione’ dei capitelli compositi flavi, che in età augustea e giulio-claudia conservavano ancora una maggiore libertà e freschezza redazionale nell’introduzione di varianti e nella resa dei motivi vegetali. I. testatina Anche per quanto riguarda gli elementi della trabeazione si riconoscono due tendenze stilistiche: una più “classicista” e una più corrente. Della prima sono testimonianza le cornici del Tempio di Vespasiano e dell’Arco di Tito15, in cui l’anthemion si presenta, solitamente sulla sima o sulla corona, molto ricco e pieno di elementi vegetali che incentivano l’effetto chiaroscurale; si verifica una maggior vegetalizzazione dell’ornato e l’introduzione del motivo del Blattkymation, soprattutto sulla sima, nonché un kyma ionico caratterizzato dalla presenza della freccetta come elemento separatore. Citiamo l’esempio del Tempio di Vespasiano16 dove le cornici del fronte (ffig. 5) presentano un kyma ionico normale come prima modanatura della sottocornice sotto il quale seguono i dentelli, un sottile kyma di foglie rovesce e un kyma ionico vegetalizzato. in quanto gli sgusci e gli ovuli sono del tutto avvolti da foglie d’acanto; gli ovuli, inoltre, sono scolpiti con calici rovesci e girali contrapposti con rosette; sotto segue l’ultima modanatura, costituita da una altro sottile kyma di foglie rovesce. L’altra tendenza, quella corrente, è sottolineata anche nella redazione dei capitelli, in cui si nota una perdita della gerarchia tra gli elementi dei vari motivi decorativi: l’anthemion, per esempio, che decora la sima è reso spesso con un’uniformità di proporzioni tra il calice e gli steli. La redazione di questo stile corrente si contraddistingue, poi, per una nuova propensione per il chiaroscuro e per il cd. horror vacui, ovvia conseguenza della perdita di gerarchia sopraccitata. Esempi noti sono le cornici della Domus Flavia, provenienti dal Palatino17 (ffig. 6). In tutte e due le tendenze, comunque, si può notare l’introduzione di motivi nuovi o ripresi dalla tradizione giulio-claudia e usati più frequentemente quali per esempio il cd. Scherenkymation, il kyma lesbio continuo18, che si trova come modanatura di separazione o per incorniciare cassettoni come nel caso di un frammento di cornice con mensole proveniente dai recenti scavi del Foro della Pace o in una cornice in marmo proconnesio da Nemi (ffig. 7); il kyma lesbio continuo vegetalizzato19 che trova le prime sparse testimonianze in epoca augustea e diventa, in epoca domizianea, uno dei motivi ricorrenti come decorazione della sima, come è visibile in un altro frammento dal teatro di Castel Gandolfo (ffig. 8), o per incorniciare cassettoni o lacunari o a separare le modanature tra le fasce negli architravi, come è ben osservabile in uno dei due frammenti di fregio-architrave con vittoria tauroctona, dai portici del Foro della Pace (ffig. 9). Anche i dentelli della sottocornice presentano frequentemente, dall’epoca di Vespasiano in poi, nello spazio di risulta una deco- Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 5. Tabularium, cornice dal Tempio di Vespasiano. 12:26 Pagina 5 015_07_Pensabene.eps BN 015_09_Pensabene.eps BN 6. Nemi, particolare di soffitto a cassettoni di cornice. 7. Museo di Castel Gandolfo, frammento di cornice del teatro. 9. Nemi, frammento di cornice angolare. 8. Foro della Pace, frammento di fregio-architrave con vittoria tauroctona. X Autore e Redazione: attenzione: anticipato la figura 9 per poter fare grande la figura 8 5 015_08_Pensabene.eps BN Ingrandita al 114,5% I. testatina Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 12:26 Pagina 6 015_11_Pensabene.eps BN 015_10_Pensabene.eps BN X NUNZIO NON posso ingrandire 6 015_12_Pensabene.eps BN 015_13_Pensabene.eps BN 10. Palatino, Paedagogium, frammento di cornice. 11. Antiquarium di Castel Gandolfo, frammento di cornice. 12. Frammento di sottocornice con fusarole a cappelletto, tra la Basilica Aemilia e il Foro della Pace. 13. Largo Corrado Ricci, capitello corinzio. 14. Particolare del fregioarchitrave della vittoria tauroctona, dal Foro della Pace, in situ. I. testatina 015_14_Pensabene.eps BN Ct_Divo_Vesp_15_Pensabene_LT 13-02-2009 12:26 Pagina 7 razione detta ad occhiali, consistente nella consueta sbarretta su cui sono stati apportati due forellini di trapano contigui20 (ffig. 10). Un’ultima osservazione su questo motivo riguarda la tendenza, soprattutto sulla produzione più corrente ma non solo, a ridurre d’importanza i dentelli nella sequenza delle modanature della sottocornice, dove essi non hanno più la centralità e le maggiori dimensioni, rispetto alle altre modanature decorate della sottocornice, che erano visibili in età augustea, ma presentano ora un diverso schema gerarchico con altezza più proporzionata rispetto alle altre modanature. Il processo va di pari passo a una riduzione di altezza della parte superiore della cornice (“sopracornice”) in rapporto a quella inferiore (“sottocornice”), in modo che entrambe le due parti assumessero un più equilibrato rapporto dimensionale, che ha come conseguenza anche la riduzione della lunghezza delle mensole21. Altri due motivi decorativi molto diffusi in età flavia sono: il cosiddetto “can corrente”, introdotto soprattutto ad ornare la corona 22 o, come si osserva in una cornice della Villa Imperiale di Castel Gandolfo, nella caratteristica decorazione del listello finale che conclude la sima (ffig. 11); e le fusarole a cappelletto, con i vertici congiunti e le basi più larghe congiunte alle perline oblunghe ma ben arrotondate (ffig. 12). Un’ultima osservazione va fatta in merito alla continuità dello stile flavio, soprattutto nella sua versione più corrente, nel corso di tutta l’età imperiale. Questo fenomeno è, per esempio, ben riscontrabile nei capitelli del Tempio di Vesta23 dove all’opera è un’officina che conserva la tradizione flavia nell’iconografia e nella resa, ma tradisce alcune atrofizzazioni del repertorio vegetale tipiche del II secolo d.C.; lo stesso fenomeno è apprezzabile nei capitelli appartenenti alla fase severiana del Foro della Pace, come l’esemplare conservato a Largo Corrado Ricci, che plausibilmente doveva appartenere alla decorazione dei portici (ffig. 13). Si è, infatti, rivelato che, successivamente, quando si è intervenuti nel restauro di edifici di età flavia è avvenuta un’imitazione dei modelli presenti nei monumenti da restaurare, che tradisce nella sua resa stilistica l’epoca diversa. Un esempio molto chiaro viene dal Foro della Pace dove i due frammenti di fregio-architrave raffiguranti una vittoria tauroctona presentano le stesse dimensioni e la stessa successione di modanature nell’apparato ornamentale, ma la resa stilistica per quello più tardo è meno fresca e più disegnativa24 (ffig. 14). In conclusione, si può affermare che i lavori di edilizia monumentale promossi da Domiziano si tradussero nell’affermazione di uno stile decorativo architettonico ben distinguibile dai periodi precedenti. Nei capitelli corinzi si avverte la resa volumetrica massiccia, la sporgenza plastica degli elementi vegetali fortemente trapanati e l’apparizione di tendenze antinaturalistiche già nell’acanto: in particolare si rileva la meccanicità della posizione delle due corone di foglie, la scelta stilistica basata sul contrasto tra la zona centrale piatta e scanalata e il contorno articolato in lobi a fogliette allungate, e ancora la riduzione delle foglie superiori con costolature distinte da scanalature verticali e parallele che non raggiungono la base della foglia, ma si arrestano a metà altezza lasciando liscia la parte inferiore tra le foglie della prima corona. Nelle cornici avviene un processo simile per la gerarchia delle modanature, dove l’estrema vegetalizzazione rivela quell’horror vacui caratteristico dell’epoca. Il mezzo stilistico con cui si realizza ciò è il chiaroscuro reso possibile da un uso spregiudicato del trapano. Il linguaggio dell’intero repertorio decorativo si trasforma quindi profondamente dal naturalismo precedente a una forma sempre più incentrata sull’apparenza e sugli effetti della luce nell’intaglio del marmo. note 1 Ferrandes 2006, p. 41, fig. 4. 2 Cfr gli esemplari della Basilica Emilia nella fase del rinnovamento del 22 d.C., Heilmeyer 1970, p.126, tav. 44,3. 3 Per il tipo cfr. Pensabene 1973, n. 214 e Pensabene 1982, nn. 27-28, 30, 32. 4 Heilmeyer 1970, p. 133. 5 Lupi 1991, pp. 2-3, nn. 4, 5. 6 Heilmeyer 1970, pp. 116-129, tav. 47,1-2; Pensabene 1997, p. 203 (in biblio 1996-97, pp. 3-88). 7 Pensabene 1973, nn. 232-234; cfr. invece per una datazione adrianea Freyberger 1990, p. 74, tav. 24b. 8 Marquard 1889, pp. 19-25; Hülsen 1898, pp. 217-218, fig. 5. 9 Sulla formazione dello stile domizianeo dei capitelli corinzi si veda da ultimo Freyberger 1990, pp. 4-7. 10 Freyberger 1990, pp. 7-20. 11 Liverani 1989, p. 30. (manca voce in biblio gen.) 12 Lauter 1980-1981, pp. 37-46. 13 De Angeli 1992, pp. 149 sgg. 14 De Angeli 1992, p. 152. 15 Cfr n. 14 e Blanckenhagen 1940, p. 39; Pfanner 1983, tav. 24,7-10. 16 De Angeli 1992, p. 99, fig. 100. 17 Cfr. Leon 1971, p. 263, tav. 120 o Mattern 2001, p. 22 con bibl. prec. 18 Ganzert 1983, pp.196 sg. (manca voce in biblio gen.) 19 Mattern 2001, p. 57. 20 Per ultimo Mattern 2001, pp. 67 sgg. con bibl. prec. 21 Su tali osservazioni cfr. da ultimo De Angeli 1992, pp. 153-154. 22 Come è visibile nel frammento di cornice proveniente dalla Domus Flavia della figura 6. 23 Caprioli 2007, pp. 151 sgg. con bibl. prec. 24 Si noti, in particolare, la resa del kyma lesbio vegetalizzato, principalmente delegata alla trapanatura, in confronto con quella più plastica del frammento di età flavia (ffig. 9). I. testatina 7