LE DECLAMATIONES MINORES:
FUNZIONE E TRADIZIONE DI UN LIBRO DI SCUOLA
1. Demonstranda via est: un manuale pratico di declamazione
Le Declamazioni minori, attribuite dalla tradizione a Quintiliano, sono un
libro di scuola, un testo destinato alle antiche scuole di retorica e finalizzato
ad allenare gli studenti all’esercizio più difficile tra quelli previsti dal loro per
corso di formazione, ovvero la declamazione. Declamare significava recitare ad
alta voce un discorso in classe, davanti al maestro e ai compagni 1, e costituiva
l’ultimo e più complesso passaggio prima di accedere all’attività forense. La
declamazione di scuola sollecitava così lo studente a recuperare, per integrarli
in una composizione complessa, gli esercizi più semplici, appresi nelle fasi precedenti della formazione: i progymnasmata, che potevano consistere, ad esempio, nell’elaborare una descrizione (ekphrasis), nello sviluppo di una singola
argomentazione (anaskeué e kataskeué), o nell’immaginare con quali parole un
certo personaggio avrebbe commentato una determinata situazione (ethopoiia) 2.
Anche al declamatore era richiesto di immedesimarsi in un personaggio per
sostenerne il punto di vista in una situazione fittizia, che, a seconda delle sue
caratteristiche, dava luogo a due diversi tipi di discorso: la suasoria e la con
troversia. La prima tipologia, considerata più semplice, richiedeva di calarsi
in uno scenario storico (più raramente mitico) per convincere un personaggio
celebre – come Annibale o Alessandro – a prendere una decisione importante in
un momento cruciale per le sorti collettive; il futuro oratore si allenava così a
svolgere il compito di consigliere efficace, capace di orientare le deliberazioni
di un’assemblea o anche del princeps. Il secondo e più complesso esercizio,
la controversia, comportava invece uno scenario di tipo giudiziario: in questo
1
Su questo e altri aspetti della routine scolastica legata alla declamazione, si veda Stramaglia
2010 con una sintesi della bibliografia sull’argomento.
2
Su questi e altri esercizi, si veda il glossario di Berardi 2017, in part. 51-62 (anaskeué),
125-140 (ekphrasis), 154-166 (kataskeué), 154-166 (ethopoiia).
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XII
Introduzione
caso il declamatore era sollecitato ad assumere il ruolo dell’accusa o della
difesa in una causa fittizia. Le Declamazioni minori – almeno nella forma a
noi pervenuta – contengono solo questo secondo genere di discorso, del resto
decisamente prevalente anche nelle altre raccolte latine di declamazioni, e
quindi, presumibilmente, più rispondente alle esigenze degli allievi.
A parte questo punto di contatto, tuttavia, le Minores rappresentano un caso
a sé nel panorama della declamazione latina: l’impianto di questa raccolta non
trova riscontro né nell’antologia di Seneca Padre – di fatto una raccolta di brevi
pezzi di bravura di declamatori esperti, accompagnata dai commenti di quello
che potrebbe essere oggi definito un critico letterario – né negli scarni excerpta
di Calpurnio Flacco e tantomeno nell’altra e più tarda raccolta giuntaci sotto
il nome di Quintiliano, le Declamazioni maggiori, diciannove controversie
interamente svolte e prive di corredo didattico.
Le Declamazioni minori consistono invece in 145 testi – quello che resta
degli originari 338 –, ognuno dei quali si incentra su un tema di declamazione 3,
ossia il breve testo narrativo (thema secondo la terminologia impiegata nella
raccolta) che riepiloga la situazione conflittuale rispetto alla quale occorre
prendere posizione per svolgere il discorso di parte. Il thema è tipicamente
preceduto da un titolo 4 e seguito (anche se non sempre) dal suo svolgimento;
inoltre è spesso accompagnato da un sermo, ossia da una sintetica spiegazione
del maestro di retorica 5. Spetta a Michael Winterbottom il merito di aver dato il
giusto rilievo alla peculiarità di questa struttura 6, che riproduce una pratica ben
nota alla riflessione antica – quella che consiste nel ‘far vedere’ (demonstrare)
come si applica concretamente una tecnica 7 – e impiegata in diversi campi del
3
Sul thema (o argumentum) si vedano Questa 1984, 40-43 (per la somiglianza, sul piano
pragmatico e formale, tra i themata e le narrationes dei prologhi comici), van Mal-Maeder 2007,
8-24 (il tema come paratesto), Pianezzola 2007, 257 s. e quindi Pasetti 2015, 162-164 (per il tema
come microtesto narrativo).
4
Ancora poco chiara l’origine dei titoli: come nota Dingel (1988, 17-20), di alcuni, ad es.
quelli già presenti nell’Institutio, è ben documentata la circolazione nella scuola; non si può pertanto escludere che, almeno in certi casi, i titoli risalgano all’autore delle Minores; potrebbero
poi essere stati integrati e/o manipolati in seguito, quando le Minores furono trascritte assieme
alla raccolta di Seneca Padre e agli Excerpta di Calpurnio Flacco: a quel punto i titoli, che nella
circolazione orale avevano un’importanza relativa, divennero necessari per agevolare la fruizione
dei testi attraverso la lettura, come rileva Imber 1997, 113.
5
‘Spiegazione’ è la parola che abbiamo scelto per rendere sermo nella nostra traduzione.
Sulle diverse funzioni del sermo, che può mancare, anticipare la declamatio, seguirla, o anche
sostituirla, rinvio a Dingel 1988, 12 s.; Winterbottom 2018, 74 produce dati precisi sulla casistica:
«in 58 of these [145 declamations] (40%) there is declamatio but no sermo; in 13 (9%) there is
sermo but no declamatio. Where a single sermo is present it most often precedes declamatio (36
cases, 25%). In 7 cases (nearly 5%) a single sermo follows declamatio».
6
Winterbottom 1984, xi.
7
Un’interessante panoramica sul demonstrare, che coinvolge anche la prosa tecnica (ma
senza riferimenti specifici al nostro testo), nella raccolta di saggi curata da ArmisenMarchetti
2005. Quintiliano stesso utilizza demonstro in riferimento al maestro che ‘fa vedere’ ai suoi allievi
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XIII
sapere, ma, almeno per quanto riguarda la didattica della declamazione, priva di
riscontri immediati nella manualistica retorica a noi pervenuta, specialmente sul
versante latino. Un termine di confronto particolarmente calzante, individuato
dallo stesso Winterbottom 8, è costituito dal trattato Quaestionum divisiones
del retore greco Sopatro: si tratta, anche in questo caso, di una raccolta di
temi declamatori seguiti da uno svolgimento in cui si alternano indicazioni di
carattere teorico ed esempi di discorso. L’opera di Sopatro, tuttavia, si distingue
per una notevole cura dei dettagli e per lo sfoggio di numerosi termini tecnici:
in sintesi, presenta le caratteristiche di un manuale scritto da un professionista
per un pubblico di persone competenti 9.
Ben diverse le caratteristiche formali delle Declamationes minores, che
lasciano non di rado spiazzato il lettore per la presenza di brachilogie, salti
logici, o, all’opposto, ripetizioni apparentemente poco funzionali. Questa informalità sembrerebbe accomunare la raccolta pseudo-quintilianea a due testi papiracei segnalati, più di recente, da Antonio Stramaglia 10: il primo, databile al I
sec. d.C., contiene un’intera declamazione con due brevi inserti di commento 11;
l’altro, del secolo successivo, è composto di tre frammenti, uno dei quali
inedito, e contiene alcuni temi declamatori pure corredati da brevi riflessioni
metaretoriche 12. Le caratteristiche materiali e formali del primo papiro lasciano
supporre che si tratti di appunti presi per uso privato da un retore 13, e anche il
secondo testo sembra compatibile con questa destinazione.
Per quanto riguarda le Minores, le asperità formali in passato hanno indotto
a credere che all’opera sia mancata un’accurata revisione: da qui la supposi-
come si declama: (2,6,2) plus proderit demonstrasse rectam protinus viam (sc. declamandi) quam
revocare ab errore iam lapsos. Ma il verbo è impiegato nella stessa accezione anche dal maestro
delle Minores, che si rivolge ai suoi allievi: 247,1 demonstranda vobis est via.
8
Cf. Winterbottom 1984, xi e 2018, 73 e n. 1; meno stringente il confronto con Coricio
di Gaza (Ibid., xi-xii), le cui declamazioni sono spesso accompagnate da commenti preliminari
(protheoriai), attestati peraltro anche per alcuni discorsi di Libanio, Imerio e Temistio. In questi
casi tuttavia il contesto cambia: Coricio si esibisce nella declamazione per un pubblico non di soli
studenti, condividendo con gli ascoltatori opinioni personali sui temi e sui personaggi del discorso
(Penella 2009, 13-16).
9
Sul manuale di Sopatro, si vedano anche Stramaglia 2010, 145-147; 149-151 e soprattutto
Maggiorini 2012, in particolare 25-41; l’opera di Sopatro è chiaramente concepita per il pubblico
della scuola, ma, a differenza delle Minores non lascia il minimo spazio all’implicito ed è pensata
per essere fruita in autonomia da un lettore esperto, a cui anche il momento ‘applicativo’ viene
illustrato in tutti i dettagli.
10
Stramaglia 2016, 143, n. 103.
11
Si tratta di P. Lond. Lit. 138 = M.-P.3 2515. Una nuova edizione con commento è ora disponibile in Russo 2013.
12
PSI II 148 + P.Lond.Lit. 140 + P.Oxy.inv. 115/A [22]b (= M.-P.3 2551 + 2516 +ined.).
L’edizione complessiva, in corso di stampa, è curata Daniela Colomo, a cui vanno i miei ringraziaziamenti per avermi fornito preziose informazioni sullo sviluppo del suo lavoro.
13
Si vedano in proposito le osservazioni di Russo 2013, 303.
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XIV
Introduzione
zione di Ritter 14, che le Minores possano essere identificate con i duo... libri
artis rhetoricae pubblicati a nome di Quintiliano – come lui stesso riferisce
nell’Institutio (1 pr. 7) – da allievi del retore che avevano divulgato (senza
permesso) gli appunti presi alle sue lezioni. Ma la peculiare fisionomia delle
Minores si spiega assai meglio sulla base dell’ipotesi, già avanzata da Leo, ma
persuasivamente sviluppata da Winterbottom, che la raccolta sia costituita non
dagli appunti di uno o più allievi di retorica, bensì dal materiale predisposto da
un retore per tenere le sue lezioni 15: «The doublets and floating passages will
arise from the second thoughts that the Master will have added in his margins
over a long teaching career. The sermones will be the notes, to be expanded in
front of the class, on the treatment of each topic. The declamationes will be fair
copies for dictation or performance» 16.
2. Il sermo del maestro
Vale la pena di soffermarsi sui sermones, che si riferiscono a una situazione
comunicativa ben precisa: quella in cui un insegnante fornisce istruzioni ai
suoi alunni interpellandoli direttamente. Si spiega così il tratto formale più
evidente di queste sezioni del testo, ossia la frequenza e la varietà di espressioni
prescrittive (e.g. 244,5 facere oportet; 247,1 brevissime... comprehendite; 252,2
Quaeremus ergo...; 298,1 custodienda est amici persona; 328,1 necesse est nos
ab ea [sc. persona] incipere) 17. La scelta stessa del termine sermo presuppone,
del resto, che la comunicazione avvenga in praesentia dell’interlocutore: e
in effetti, come è stato notato, il maestro introduce nelle sue spiegazioni fre
quenti riferimenti alla situazione di enunciazione, lasciando intravedere la consuetudine quotidiana con una classe di giovani allievi, ascoltati e seguiti nei
loro progressi 18; da qui anche la ricorrente presenza del ‘voi’, evidentemente
riferito agli allievi della scuola di retorica. Questo elemento caratterizza fortemente la raccolta pseudoquintilianea, distinguendola sia dai testi papiracei
menzionati sopra, in cui il tratto formale è assente, sia dall’opera di Sopatro,
14
Ritter 1881, 255 s.; ulteriori riferimenti alla circolazione di questa teoria in Winterbottom
1984, xii, n. 3.
15
Leo 1960, 257 [1912, 117] pensa a hypomnemata elaborati da Quintiliano stesso per uso
personale e pubblicati dopo la sua morte: «Vielmehr waren diese ὑπομνήματα nur für den Privatgebrauch aufgezeichnet unf für diesen auch mit Nachträgen versehen worden. In umbestimmter
Zeit ist das Manuscript gefunden worden, vielleicht lange nach dem Tode des Aufzeichners in Besitz seiner Familie»; inoltre, p. 261 [120] «Ich halte es nach alledem für sehr wahrscheinlich dass
der Lehrer... in der Tat, wie die Handschriften berichten, Quintilian gewesen ist».
16
Winterbottom 1984, xiii.
17
Altri esempi in Oppliger 2016, 104.
18
Oppliger 2016 fornisce diversi esempi del riferimento alla situazione comunicativa (pp.
105 s., ad 316,1 sicut paulo ante...) e al rapporto consuetudinario con la classe (p. 106, ad 316,7
Nolo quisquam me reprehendat tamquam vobis locum non dem). Sulla possibile ambiguità di questi riferimenti, cf. Winterbottom 2018, 79 (ad 314,3).
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XV
dove invece le prescrizioni sono rivolte a un destinatario costantemente indicato
con il ‘tu’: in questo caso, dunque, come avviene tipicamente in testi tecnici
non concepiti per uso privato, il referente è il generico fruitore del manuale,
una specie di ‘destinatario interno’ pensato dal retore come il recettore ideale
dei suoi insegnamenti e dunque anche privo di una fisionomia precisa 19. Il riferimento diretto alla routine scolastica trova piuttosto riscontro in certe tipologie
di trattatistica grammaticale dove le interazioni quotidiane tra il docente e gli
allievi a lui affidati vengono evocate talora in modo spontaneo, senza essere
sottoposte a una rigorosa formalizzazione 20.
La moderna riflessione linguistica sulle diverse tipologie testuali collegate
alla necessità di comunicare contenuti tecnici può offrire qualche spunto utile
per comprendere che certe peculiarità formali dei sermones 21, spesso interpretate sulla base di categorie estetiche – come la ‘trascuratezza’ tipica degli
appunti non rivisti dall’autore per la pubblicazione – sono pienamente funzionali a comunicare contenuti tecnici in una situazione specifica. Occorre
tener conto, nel nostro caso, della relazione ‘verticale’22 che lega l’emittente
(un retore professionista) ai suoi destinatari (studenti solo parzialmente esperti
della disciplina), dell’orientamento eminentemente pratico del testo, che fornisce indicazioni per l’esecuzione di un esercizio, infine della peculiarità della
situazione in cui le indicazioni vengono fornite: lo scritto si presta a essere integrato da chi guida l’esecuzione dell’esercizio con ulteriori spiegazioni fornite
oralmente. Ne deriva un livello di astrazione relativamente basso, caratteristico
della comunicazione didattica 23, soprattutto se volta, come in questo caso,
all’applicazione, più che all’approfondimento dei concetti teorici implicati. Le
conseguenze sul piano formale non mancano; ci limitamo qui a fornire qualche
esempio di tratti formali spesso rilevati nel sermo 24, che in questo quadro possono risultare più funzionali:
– una certa economia di tecnicismi retorici: si spiegano così le rare occorrenze
di color, in contrasto, come rileva Winterbottom, con l’applicazione concreta
19
Interessanti, sotto questo aspetto, le osservazioni di Kaster 2010, 156-158 a margine del
manuale tardoantico di Pompeo: proprio l’affiorare della seconda persona singolare è il segnale
che non sempre gli insegnamenti del maestro possono essere calati direttamente nel contesto della
classe.
20
Un riscontro interessante è ancora il caso di Pompeo, su cui cf. Kaster 2010, 139-168:
particolarmente interessante il problema dell’«audience», che sembra oscillare tra gli allievi della
classe di grammatica (referenti del ‘voi’) e un destinatario più esperto, presumibilmente un inse
gnante, potenziale fruitore del manuale (referente del ‘tu’), cf. 154161; in proposito, cf. anche
Zago 2010.
21
Ad es. Roelcke 20052; sull’utilità di applicare queste categorie di analisi linguistica alla
prosa tecnica antica, si veda Langslow 2005, 288 s.
22
Per la comunicazione verticale, Roelcke 20052, 38-42.
23
Cf. Roelcke 20052.
24
Penso soprattutto al commento di Winterbottom 1984, molto accurato nella registrazione
degli elementi formali, come pure la sintesi di Winterbottom 2018.
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Introduzione
XVI
dei colores nella raccolta 25; più in generale gli astratti (la marca più tipica delle
lingue tecniche) non abbondano nel sermo: il termine tecnico più frequente
sembra essere controversia (poco meno di trenta occorrenze), che potremmo
anche considerare una ‘parola tema’; segue quaestio (circa venti), quindi
persona (una dozzina). Tra i termini meno frequenti figurano locus (4), status (2),
suasoria (2), figuratio (1). Come si è visto, l’esiguità di attestazioni non comporta
necessariamente che i concetti corrispondenti non siano implicati negli esempi
di declamatio 26; significa solo che il maestro sceglie di non metterli a fuoco nei
sermones, privilegiando altri elementi. D’altra parte diversi astratti subiscono la
concorrenza dei verbi corrispondenti, più direttamente funzionali all’‘operatività’:
troviamo così coloro (2 occorrenze) accanto a color (2), comparo (3), accanto a
comparatio (6); probo (6), accanto a probatio (1); ago (4), accanto ad actio (4).
Questo tratto, in particolare, segna la distanza rispetto al già menzionato manuale
di Sopatro, la cui sovrabbondanza di tecnicismi è chiaro indizio di una diversa
situazione comunicativa, che potrebbe essere definita ‘orizzontale’ (da esperto ad
esperto) e in absentia (il destinatario implicito è un lettore in grado di utilizzare
autonomamente il testo scritto); l’economia di tecnicismi trova invece riscontro
nei testi papiracei richiamati sopra.
– il frequente ricorso alla deissi del discorso per richiamare i concetti esposti
(247,4 <cum... > illud ‘a parentibus tradita’ non necessarium in finitione uxoris
sit) o anche esemplificati nella declamatio, quando il sermo segue un esempio di
declamazione appena svolto (271,10 Post haec dicemus...; 273,13 Haec de iure;
illa iam de circumscriptione huius sponsoris; 308,16 Hoc ad verba legis, illud
ad voluntatem); il ricorso a questo tipo di deissi, che sul piano dello stile può
apparire un segno di scarsa eleganza, rientra nella logica della dimostrazione
pratica e – proprio come il ricorso alle forme verbali – consente di economizzare
i tecnicismi astratti.
– l’organizzazione dei precetti in elenchi, anche piuttosto lunghi: l’effetto è
una chiara scansione della successione e della gerarchia delle operazioni da compiere (ad es. 266,1-4 initia communia habet controversia… Secuntur et illa…
Secunda illa quaestio est… Deinde comparabimus… Postea veniemus ad id…
Insequetur denique illud… Illud <quoque> quaeramus…; 270,4-5 dicemus…
Deinde dicemus… Subiungemus… Sequitur… Post haec licebit…). Notevole la
tendenza a enfatizzare le conclusioni, sia all’interno di un singolo sermo (249,1
Summum quod in omnibus controversiis est, utrum aequius sit; 255,1 Summum:
illud propter quod lex fertur periculosum esse), sia nella sequenza dei sermones
che, nella trattazione di un singolo tema declamatorio, si alternano con esempi
25
Winterbottom 2018, 77 s.
Se accenni alla teoria degli status affiorano solo in corrispondenza delle occorrenze del
termine (320,1-2), come osserva Winterbottom 2018, 71, n. 3, nella pratica la casistica degli status
esplorata nel libro VII dell’Institutio è ampiamente messa in pratica nelle declamationes; considerazioni analoghe sono possibili per i colores e i loci, cf. Winterbottom 2018, rispettivamente 77 e 82.
26
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XVII
di declamatio per puntualizzare via via i problemi da affrontare (299,1 Ultima...
qualitas, in qua totius controversiae vires sunt; 374,7 Ultimae partes aequitatis;
376,6 Ultima comparatio puellarum).
– la ripetizione enfatica delle istruzioni, che qualificano l’orientamento appli
cativo del sermo: abbondano così anafore ed epifore incentrate sulle formule
prescrittive, ad es. 247,1 videte quid utraque pars velit, quid utraque pars dicat;
266,6 Dicemus hoc esse pro nobis, dicemus hoc esse pro re publica; 280,1 Nam
primum omnium dicendum est ei adversus socerum; deinde ita dicendum...;
338,2 prima parte efficimus ut omnia audiat iudex, summa parte efficimus ut
meminerit eorum quae audierit.
– la tendenza all’ellissi ‘del risparmio’27, una caratteristica evidente anche nei
temi declamatori: l’omissione di strutture ricorrenti e quindi facilmente deducibili senza compromettere l’efficacia della comunicazione consente di mettere
immediatamente a fuoco gli elementi rilevanti. Un caso tipico, diffuso in tutta
la raccolta, è la soppressione degli elementi introduttivi delle quaestiones: ad
es. il tipo An semper cum adultero prius agere necesse sit. An hic egerit... An....
(249,1), a fronte del tipo Quaestiones illae sunt: an... an.... (281,1) 28.
Nonostante queste caratteristiche ricorrano nella maggior parte dei sermones,
la loro distribuzione non è sempre omogenea. Un caso limite 29 è senz’altro il
sermo della Minor 338: particolarmente ampio (§§ 1-7) 30, sviluppa una riflessione sul proemio e sull’epilogo dall’andamento insolitamente espositivo;
sul piano formale spicca qui un raro esempio di anafora funzionale a enfatizzare
l’enunciazione 31, e non la prescrizione (338,1 Prohoemium propriam formam,
propriam legem, proprium modum habet); si nota inoltre un’insolita densità di
tecnicismi 32. Il passo, dunque, produce una sintesi della doctrina quintilianea
che eccede i limiti delle secche indicazioni date di norma nel sermo; potrebbe
trattarsi, secondo Winterbottom, di una ‘scheda’, uno strumento di servizio
destinato a sostituire la consultazione dell’Institutio 33. In ogni caso, come è stato ben chiarito da Dingel, anche questo sermo rimane saldamente agganciato
alla sua declamatio; gli elementi prescrittivi non mancano e provvedono anzi a
‘curvare’ la teoria esposta nell’Institutio in funzione dell’esercizio 34.
27
Su questa caratteristica propria del sermo (ossia della comunicazione diretta) in quanto
tale, osservazioni interessanti già in Hofmann 20033, 135, n. 1 a proposito della lingua d’uso.
28
L’oscillazione è spesso rilevata in Winterbottom 1984.
29
Evidenziato da Dingel 1988 e Winterbottom 2018, 77-79.
30
Su un centinaio di sermones, solo una quindicina superano la misura media di 1/2 paragrafi.
31
Notato da Winterbottom 2018, 77.
32
Tra cui i termini chiave prohoemium ed epilogus, attestati solo qui nella raccolta.
33
Cf. Winterbottom 2018, 78 «Perhaps... what we have here is a ‘handout’ preserved for
future reference, as a substitute for consultation of multiple places of the enormous Institutio»; da
qui l’ipotesi (Ibid.) che l’opera comprendesse in origine ‘schede’ analoghe riguardanti le partes
orationis o la narratio.
34
Dingel 1988, 36 s. sottolinea come il maestro selezioni quegli aspetti della teoria quinti-
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XVIII
Introduzione
All’estremo opposto collocherei quei sermones (particolarmente concentrati
nella sezione 351-361) in cui ogni riferimento teorico-enunciativo viene meno,
tanto da comportare una totale assenza di tecnicisimi retorici. Il maestro si limita
infatti a riassumere, in forma indiretta, quello che dovrebbero sostenere una o
entrambe le parti in causa 35, giungendo a sintetizzare, in certi casi, l’ossatura
dell’intera declamazione: ad es. 351,1 Exulem illum... dicemus... fuisse civem
seditiosum; 352,1 Divitem hunc dicemus natum honesta domo...; 354,1 Dicet
haec mulier iuvenem illum numquam sibi placuisse... Talora l’indicazione dei
punti da trattare è così aderente alla struttura del discorso da rendere superflua
una declamatio che ne esemplifichi l’espansione 36. Questa stringata esposizione
degli argomenti presenta punti di contatto con il già menzionato papiro londinese, che contiene, con ogni probabilità, gli appunti di un maestro: la copia di
una declamazione in cui sono integrate due brevi e semplici spiegazioni degli
argomenti impiegati. Nel papiro, tuttavia, vengono meno anche le prescrizioni
– un elemento che sembrerebbe confermare l’ipotesi degli appunti presi per uso
personale 37 – che invece non mancano mai nei nostri sermones (dicemus, dicet,
necesse est), benché siano ridotte al minimo rispetto ad altri casi: per rendersene
conto è sufficiente confrontare le formule prescrittive che, in alcuni sermones
dello stesso tipo, sollecitano l’applicazione di un color (353,1 Petitor necesse est
infamet dispensatorem suum...) 38, con le indicazioni più esplicite fornite altrove
dal maestro allo stesso scopo (285,1 Colorate: ‘Adfert quidem iste tale patro
cinium...’ ). Se ne può dedurre che la diversità delle ‘consegne’ corrisponda a
due momenti diversi del percorso didattico: nella fase più avanzata l’allievo
non va più guidato passo passo nell’applicare il color, ma è ormai in grado di
sviluppare autonomamente il suggerimento fornito dal maestro in forma indiretta. È dunque possibile cogliere, almeno da questo esempio, una tendenza a
proporre esercizi via via più complessi.
lianea che sono più rilevanti per la declamatio; il sermo diviene dunque «die Reduktion der allgemeinen Theorie auf die besonderen Bedürfnisse der Deklamation».
35
I sermones 355 e 360 presentano elementi che si riferiscono a entrambe le partes (cf.
360,3, una controversia tra suocera e nuora: Circumscriptam se nurus queretur... Contra illa [sc.
socrus] dicet...), mentre in 361 i discorsi delle due parti sono distribuiti tra declamatio (361,1) e
sermo (361,2). In generale, nelle Minores, l’opposizione tra le due partes non è in primo piano:
il fatto che nelle Minores vengano dati solo pochi esempi di pars altera è in linea con la dottrina
quintilianea, come osserva Dingel 1988, 13-16; inoltre, i casi in cui si dà spazio alla trattazione in
utraque parte sembrano trovare una giustificazione essenzialmente didattica: si veda in proposito
Dimatteo 2019.
36
I sermones di 354-358 e 362 sono privi declamatio; 351 presenta una declamatio molto
ridotta rispetto al sermo.
37
La destinazione privata spiega anche l’economia di tecnicismi: in P. Lond. Lit. 1381 i
termini metaretorici, pur non del tutto assenti, sono ridotti all’osso: cf. col. III 89 τὰ μ(ὲν) ἄλλα
κεφαλάια φανερὰ... δὲ τ[ὸ] κατασκευ[α]ζόμενον τοῦτο e 2427 e Russo 2013, 311 s. ad loc.
38
L’alternanza tra discorso diretto e indiretto nei sermones sui colores è messa a fuoco da
Winterbottom 2018, 76 s.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XIX
3. Declamatio e sermo
L’orientamento applicativo dei sermones non manca di influenzare le decla
mationes, che pure, in quanto esempi di discorso destinati ad essere memorizzati
e imitati, presentano mediamente una struttura più articolata e una forma più
vicina agli standard della prosa letteraria, come avremo modo di vedere in
seguito.
Va innanzitutto notato che non sempre il confine tra sermo e declamatio è
netto: non mancano casi in cui porzioni di testo che i titoli forniti dai manoscritti
assegnano alla declamatio sembrano sconfinare nel sermo; più raramente accade
l’opposto 39. La difficoltà a distinguere con sicurezza 40 le due sezioni deriva dal
fatto che l’esempio di discorso proposto dal maestro è di norma modellato sul
sermo, nella logica della demonstratio: in genere «sermo and declamatio work
hand in hand», per usare una felice espressione di Winterbottom 41, e dunque la
declamatio non solo sviluppa le quaestiones indicate nel sermo, ma esibisce
anche frequenti riprese ‘anaforiche’ dei termini impiegati per indicarle 42.
Anche al di là della corrispondenza con il sermo, nelle declamationes
abbondano riferimenti ai concetti e ai procedimenti che erano oggetto di insegnamento nelle scuole di retorica 43: non è dunque raro che il maestro faccia
capolino dietro la maschera del ‘declamatore fittizio’ – il personaggio che
sostiene il suo discorso di parte nella controversia 44 – per segnalare agli allievi
come sta per essere declinato, nel concreto, qualche specifico elemento della
sua doctrina. Particolarmente frequenti sono i richiami alla divisio (e.g. 269,1
Scio hunc esse ordinem probationis, ut primum ostendam...; 319,1 Antequam
criminum facimus comparationem, sic agere possum...; 345,2 Viderimus ergo
quae sit comparatio utriusque meritorum); numerosi sono anche riferimenti
allo status su cui è impostata l’argomentazione: spesso il maestro-declamatore
mette in bella evidenza i problemi di definizione (e.g. 270,7 Ne existimetis
veram illam esse finitionem qua pars diversa complectitur; 320,10 Sane enim
feramus hanc tuam finitionem…), oppure sottolinea il conflitto tra scriptum e
voluntas della legge (e.g. 249,8 Nunc egi cum adultero, aut, qui contentus es
sem voluntate [legis], agere volui; 254,15 Verba igitur legis pro nobis omnia;
sed ad interpretationem voluntatis vocamur); non mancano neppure richiami
all’actio, con la segnalazione (in genere tramite deissi) delle lacrime o dei gesti
39
Un caso piuttosto evidente di declamatio ‘scivolata’ nel sermo è 342,16, su cui Winterbottom 1984, 541 ad § 15 e 2018, 75 s.; si presta a queste riflessioni anche 338,7, su cui Dingel
1988, 38.
40
Sul problema del «blurring», cf. Winterbottom 2018, 76 e, in questo volume, ad 250,8.
41
Winterbottom 2018, 75.
42
Un esempio particolarmente efficace di corrispondenza tra sermo e declamatio è la decl.
249, su cui Winterbottom 2018, 74, ma vedi anche infra, ad 289,7, dove optime partes amici custo
dissem nella declamatio corrisponde al sermo (§ 1) Custodienda est amici persona.
43
Cf. Winterbottom 1984, xvi.
44
Per la definizione di «déclamateur fictif», rinvio a van MalMaeder 2007, 4164.
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XX
Introduzione
che dovevano accompagnare la performance (267,3 Lacrimas quidem meas...;
267,9 quid argumenti istae [sc. meae] lacrimae habent? 316,12 Exigis tamen
causas lacrimarum mearum; 372,2 Fateor, iudices, fateor praecidendas fuisse
has manus), come pure del ‘tono’ da utilizzare (260,7 Haec ego fortius dixi,
quia <cetera> remissurus sum e § 21 fortius libet agere). Va poi notato il frequentissimo ricorso allo schema ‘ago tamquam’, con cui il maestro-declamatore annuncia o spiega le sue ‘mosse’45: ad esempio, in 279,10 Dixi tamquam
pro iuvene, dixi tamquam pro marito; dicendum est tamquam pro impubere,
vengono ricapitolati e segnalati, con un sintetico riferimento alle personae che
più tipicamente li utilizzano, i diversi argomenti da mettere in campo 46.
Come ha recentemente osservato Antonio Stramaglia a proposito delle
Declamationes maiores 47, una simile «segnaletica» metaretorica si può rintracciare in testi di diverse epoche, non strettamente legati alla pratica didattica e non necessariamente indirizzati a un uditorio di specialisti. In età imperiale la spiccata tendenza del retore ad esibire ‘gli strumenti del mestiere’ ci
dà modo di comprendere quanto il pubblico dei declamatori fosse ormai abituato e disponibile a cogliere riferimenti di questo tipo. Se la presenza di elementi metaretorici non è di per sé indicativa della vocazione ‘spettacolare’ o
‘scolastica’ di un testo declamatorio, possono tuttavia essere significative la
loro frequenza e la loro distribuzione 48. Nelle declamationes contenute nella
nostra raccolta questi elementi sono pervasivi e, nei discorsi non accompagnati
da sermo, svolgono un’evidente funzione sussidiaria. L’assenza del sermo viene
così compensata dalla presenza di espressioni metaretoriche particolarmente
esplicite (ad es. 267,2 Quapropter et initio actionis et per omnem orationem
nihil magis faciendum mihi esse intellego quam ut invocem publicam fidem;
257,13 Itaque intellego mihi… non in hoc tantum laborandum, ut iram
patris mitigem). Anzi, alcune di queste espressioni, particolarmente adatte a
sottolineare con forza i passaggi salienti della divisio, si trovano esclusivamente
nelle declamationes sprovviste di sermo 49. Solo qualche esempio: videamus
nunc (248,4 Videamus nunc an huic... reverti… liceat; 9 Videamus nunc quam
rationem secuta sit lex…; 258,6 Videamus nunc ecquis fuerit) e transeamus
45
Cf. ad 244,3; lo schema è frequente anche nella raccolta di Seneca Padre, ma nelle Minores
diventa pervasivo.
46
Il declamatore sfrutta, evidentemente, la ‘metonimia delle partes’ (Pasetti 2016, 143-148),
per cui ogni tipologia di personaggio evoca immediatamente alla memoria del pubblico comportamenti e conflitti tipici, con le relative argomentazioni pro e contro.
47
Cf. Stramaglia 2016 passim.
48
Il confine tra declamazione ‘spettacolare’ e declamazione ‘di scuola’ è senz’altro labile,
come osserva Stramaglia 2016, 21 s., ma non inesistente; è vero che i due tipi di performance
erano prodotti dalle stesse persone (i maestri e i loro allievi), erano elaborati in modo molto simile
per argomenti e struttura e proposti spesso allo stesso pubblico, ma le finalità (e la relativa pragmatica) erano diverse.
49
Oppure in declamazioni con sermo non pertinente alla divisio, come la 344.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXI
ad (268,16 16 Haec de philosopho dixisse satis est: transeamus ad oratorem;
304,2 Hactenus de personis: transeamus ad optionem; 344,3 Hac parte finita et
constituta, transeamus ad eam quae reliqua est, ut ostendam esse maleficium);
obicio, per rimarcare l’argomento di accusa (291,3; 373,1; 298,9; 319,1):
notevole soprattutto la decl. 296, dove la ripetizione di obicio scandisce una serie
di argomenti successivi (§ 2 Obicio tibi quod fratrem intra fines invitasti; § 4
Obicio tibi quod adhibueris cenae tertium… Obicio quod parasitum potissimum
adhibueris; § 6 Obicio tibi occidendi fratris consilium).
4. Paradigmi retorici, letterari, linguistici
La teoria retorica a cui fa riferimento il ricco apparato didascalico delle
Minores è indiscutibilmente quella esposta nell’Institutio quintilianea, come
risulta dalla documentazione già prodotta da Winterbottom e da Dingel 50. La
convergenza è tale che le Minores possono essere considerate una sorta di ‘eser
ciziario’ costruito appositamente per indurre il giovane declamatore ad applicare
i precetti contenuti nell’Institutio: tra i tanti esempi possibili si può menzionare
la decl. 244, in cui la declamatio segue evidentemente la falsariga di un
esempio utilizzato da Quintiliano (7,1,6-8) per spiegare come può svilupparsi il
dibattito tra le parti in sede giudiziaria; i diversi punti (quaestiones), affrontati
dai contendenti vengono efficacemente richiamati da Quintiliano in forma
dialogica: «‘Hai ucciso una persona’, ‘Sì... è legittimo uccidere due adulteri’....
‘Non erano adulteri’, ‘Sì che lo erano’... ‘Ma tu non potevi ucciderli: eri un
esiliato’ oppure ‘eri condannato per ignominia’» 51. Il maestro-declamatore,
calato nella parte dell’esule che, rientrato prima di aver scontato la pena, sorprende la moglie in flagrante adulterio e la uccide con l’amante, riprende punto
per punto le quaestiones quintilianee, sviluppandole nel rispetto della sequenza
e avendo cura di riportare sotto forma di sermocinatio le obiezioni della controparte.
L’Institutio è dunque costantemente implicata negli esercizi delle Minores;
non solo: sembra trattarsi dell’unico manuale di riferimento per il maestro. Una
conferma in questo senso viene dalla decl. 292, caratterizzata da una apparente
incoerenza tra sermo e declamatio; il problema in realtà risale già all’Institutio,
dove non viene messo a fuoco un caso particolare di status coniecturalis che in
50
Cf. specialmente Winterbottom 1984, xiv-xix; Dingel 1988, 2 e passim: ma già Leo 1960,
258 [1912, 117 s.], e Ritter 1881, 251 avevano evidenziato questo aspetto.
51
Riporto l’intera sequenza di Quint. 7,1,6,-8, con le parti dialogiche evidenziate: quaestio
oriebatur. Id tale est: ‘occidisti hominem’, ‘occidi’. Convenit, transeo. Rationem reddere
debet reus quare occiderit. ‘Adulterum’ inquit ‘cum adultera occidere licet’. Legem esse
certum est. Tertium iam aliquid uidendum est in quo pugna consistat. ‘Non fuerunt adulteri’:
‘fuerunt’; quaestio: de facto ambigitur, coniectura est. Interim et hoc tertium confessum est,
adulteros fuisse: ‘sed tibi’ inquit accusator ‘illos non licuit occidere: exul enim eras’ aut
‘ignominiosus’. De iure quaeritur.
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XXII
Introduzione
seguito sarà analizzato accuratamente da Ermogene 52. La mancanza di questo
concetto giustifica la difficoltà di ‘istruire’ con chiarezza il caso e rende anche
più che mai evidente la dipendenza da Quintiliano.
L’Institutio, dunque, è un implicito indispensabile per spiegare molti aspetti
strutturali dei testi che formano la raccolta; i precetti del retore affiorano ad
ogni pagina, ma la memoria di Quintiliano esercita un’evidente influenza anche
sullo stile, caratterizzato da vistose convergenze che dal recupero di lessemi e
immagini tipiche si spingono fino al ‘tic’ linguistico 53.
Accanto a Quintiliano, senz’altro la presenza dominante nella raccolta, non
mancano altri autorevoli riferimenti, prevedibilmente in linea con il canone
di letture fissato nell’Institutio; il dialogo con la tradizione letteraria, imposto
dalla stessa formazione retorica, non può non incidere sulla facies stilistica delle
declamationes. Questi specimina di discorso, pur recando, nella struttura e nel
lessico, evidenti segni della loro primaria funzione didattica 54 svolta in stretta
cooperazione con i sermones, rispetto a questi ultimi corrispondono meglio agli
standard della prosa letteraria. Un segno rivelatore – già notato da Leo 55 – è la
presenza delle clausole, che nei sermones mancano, mentre nelle declamationes
non sono rare e, per quanto è stato possibile osservare finora, corrispondono alle
tipologie più comuni in età classica 56.
La prima e più ovvia presenza è senz’altro costituita da Cicerone, la memoria
del quale appare pervasiva – in alcuni casi palesemente mediata dall’Institutio
– e leggibile a diversi livelli. Il più evidente è la superficie del testo: il maestro
declamatore sfrutta ampiamente il repertorio lessicale ciceroniano per arric-
52
Vedi in dettaglio Pasetti 2018, 131-134.
Esempi significativi già in Leo 1960, 258 [1912, 118] e passim, e in Winterbottom 1984,
xiv; per ulteriore documentazione rinvio ad 244,1 qui interrogativo, nel senso di ‘in che misura’
e non dubito con infinito al posto del quin; 249,16 honorari militiam; ad 251,5 Sed fingamus, per
introdurre un’obiezione; ad 252,2 in rerum naturam cadit ut; ad 264,1 excussa parte; ad 264,9 in
diversum trahebatur; ad 265,2 lex... scripta est ut; ad 267,8 coniectura colligi; ad 269,4 civitatis...
consensus e facient auctoritatem; ad 272,6 ire per singula; ad 276,5 ante omnia intueri; ad 276,6
hoc eo pertinet ut; ad 278,7 citra interrogationem; ad 248,2 Post tempus (senza determinazione,
nel senso, di ‘dopo un certo tempo’).
54
Un problema caratteristico legato alla tipologia del testo è rappresentato dalla presenza
di sequenze ridondanti o non ben inserite nell’ordine logico del discorso, già evidenziate da Leo
1960, 251-257 [1912, 111-117]; molto opportunamente Winterbottom 1984 ha introdotto la doppia
parentesi quadra per segnalare questi passaggi, non senza rimarcare (p. xii, n. 2) che la soggettività
gioca un ruolo importante nell’identificarli. Ripetizioni e ‘slittamenti’ sono le tracce della manipolazione del testo da parte del maestro di retorica nel corso degli anni di insegnamento, come
osserva Winterbottom 1984, xiii: «The doublets and floating passages will arise from the second
thoughts that the Master will have added in his margins over a long teaching career».
55
Leo 1960, 248 [1912, 110].
56
Mancano studi specifici sulle clausole nelle Minores; dalle osservazioni sparse nel commento di Winterbottom 1984 e da quelle che si sono aggiunte in questo lavoro (e.g. 248,4; 249,10;
256,5; 261,31; 292,2) le clausole rientrano nello standard della prosa ciceroniana.
53
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXIII
chire l’elocutio; vengono così recuperate, con rimarchevole frequenza, coppie
sinonimiche 57, iuncturae e nessi pregnanti 58, e perfino creative forme di ingiu
ria 59. Ma Cicerone è presente anche sul piano dell’ornatus, con la ripresa di
figure trattate dal modello con particolare abilità 60, e dell’inventio: non solo il
declamatore recupera topoi già elaborati dall’oratore, ma la riflessione svilup
pata da Cicerone filosofo diviene un importante repertorio di concetti che si
prestano ad essere sfruttati per quel passaggio dal particolare al generale che gli
studenti di retorica venivano educati a compiere con l’esercizio della thesis 61.
La mediazione ciceroniana può essere facilmente individuata nella riflessione
su quaestiones di carattere generale, come il matrimonio base dello stato, il
conflitto tra utile e honestum, il principio di proprietà privata, e così via 62.
D’altra parte la memoria di Cicerone oratore costituisce, in certi casi, la
base su cui impostare un’intera declamatio. Un esempio interessante da questo
punto di vista è il riuso della Pro Caelio ciceroniana – un discorso più volte
citato nell’Institutio – nella breve e dissestata Minor 297. Come ha mostrato
Julien Pingoud, la memoria incipitaria del discorso ciceroniano (già notata da
Dingel 1988, 43 s.) non costituisce un caso isolato di imitazione, ma assume
valore ‘programmatico’ e prelude a una manipolazione più estesa e complessa
dell’orazione 63; in particolare la ben nota strategia ciceroniana di sfruttare
stereotipi di origine comica per caratterizzare le parti in causa – come è noto,
l’avversaria Clodia viene rappresentata nei panni di una meretrix mala che in
passato ha esercitato un’influenza perniciosa sul giovane e ancora immaturo
imputato – offre un appiglio consistente per affrontare un tema declamatorio
57
Coppie di sinonimi impiegate esclusivamente o tipicamente da Cicerone si trovano, e.g.,
in 249,18 (religionem et fidem); 255,10 (consulere ac prospicere); 262,9 (libidine et cupiditate);
273,3 (humanitatis et consuetudinis); 292,3 (lacrimis, squalore); cf. inoltre ad 257,5 per l’asindeto
trimembre laborum, sollicitudinum, curarum.
58
Nessi pregnanti, evocativi del contesto da cui provengono e dunque spie di una memoria
consapevole sono ad es. 246,1 Inter summa rei publicae discrimina; 256,1 incideret in meum furo
rem; 259,14 quanta... gratulatio; 257,1 expectare... facinora; 260,27 paternam animadversionem;
267,1 iuvenilis temeritatis; 268,8 schola evasisse; 271,5 argumenta repetenda; 279,1 iudicii...
summam; 292,4 tempus doloris.
59
Si veda e.g. ad 254,13 per ruinam come ipostatizzazione ingiuriosa; ad 255,4 auctores
scelerum... magistros turpitudinis (con rinvio a diversi loci ciceroniani).
60
Ad es. ad 259,12 Intellego... quam difficili ac velut scopuloso loco versetur oratio: la metafora ‘metaretorica’ viene da div. in Caec. 36; inoltre ad 279,2, per la personificazione dell’aetas.
61
Sul rapporto tra thesis e declamazione rinvio alla sintesi di Pasetti 2008, 113-117.
62
Per il concetto del matrimonio come fondamento della res publica, esposto in Cic. off.
1,54, cf. ad 249,19; per la coincidenza tra utile e honestum, a cui Cicerone perviene nel terzo libro
del De officiis, cf. ad 255,2; quanto al principio di proprietà privata, la riflessione di Cicerone è
fondamentale per la decl. 261 (il titolo stesso aequatio bonorum recupera l’accezione ciceroniana
di aequatio, nel senso di ‘equa distribuzione’ di beni materiali); anche le argomentazioni sviluppate nelle declamazioni 268 e 283, di tema filosofico, attingono ampiamente a una dossografia
mediata dalle opere filosofiche ciceroniane.
63
Pingoud 2016, in part. 184-188.
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XXIV
Introduzione
tutto incentrato sulla passata relazione tra una meretrix e un giovane, ora
divenuto eroe di guerra. Il declamatore si cala così nel ruolo dell’advocatus
della donna, e, sacrificando parzialmente il pathos declamatorio per attenersi al
tono disinvolto dell’ipotesto, manipola e rovescia i cliché messi in campo nella
Pro Caelio: così la meretrix, da mala, diviene bona, mentre al giovane, ora più
che rispettabile, viene addebitato un ingombrante passato da luxuriosus 64.
Il senso di questa operazione può essere meglio compreso se si tiene conto
della destinazione didattica della raccolta: contando sulla conoscenza che i
suoi allievi dovevano avere del discorso ciceroniano, il maestro-declamatore
introduce allusioni che non puntano a un lusus letterario fine a se stesso, ov
vero alla aemulatio di un modello eccellente; piuttosto, nella logica della de
monstratio, mirano a illustrare, con un rapido abbozzo di discorso, come mettere a frutto letture che erano parte integrante del percorso di studi: abbiamo
quindi a che fare con un tipo peculiare di intertestualità (si direbbe, ‘a vocazione
didattica’), diversa, per funzione, da quella che siamo abituati a osservare nella
tradizione letteraria, ma non meno efficace nel riattivare memorie ben sedi
mentate nel pubblico della scuola.
In modo analogo viene impostata la rilettura di Seneca figlio, presentato,
in un celebre passo dell’Institutio, come un modello non privo di rischi per
i giovani, ma complessivamente apprezzato, soprattutto per la sua riflessione
etica: multa... probanda in eo, multa etiam admiranda sunt, eligere modo
curae sit, è la conclusione di Quintiliano 65. Fedele a queste indicazioni,
il maestro-declamatore mostra una predilezione per espressioni senecane
connesse all’etica, in particolare ai temi delle emozioni e alla rappresentazione
dell’interiorità 66, e non si sottrae al riecheggiamento o alla rielaborazione di
sententiae di contenuto morale 67; ma le riprese formali evidenti a livello
microtestuale sono spesso la spia di una memoria più ampia, che si estende ad
aspetti specifici della riflessione etica senecana, a sua volta pronta – come è
noto – a recepire spunti dal mondo della declamazione. Un caso emblematico è
legato al tema del beneficium, su cui Seneca elabora una complessa riflessione
alimentata anche dall’immaginario dei declamatori: si pensi alle pagine del
64
Ho trattato di questi aspetti in Pasetti 2017, 40-43.
Quint. 10,1,131; cf. anche § 129 in philosophia parum diligens, egregius tamen vitiorum
insectator fuit. Multae in eo claraeque sententiae, multa etiam morum gratia legenda.
66
Cf. ad es. ad 259,17 cogitationem misisti; ad 260,10 pulsant frontem, riferito alla pressione
psicologica; ad 272,10 firmam solidamque mentem; ad 289,6 animum... metiri, con implicito riferimento all’insondabilità dell’animus; di sapore inequivocabilmente senecano l’immagine della
‘caduta’ dall’alto dei potenti in 267,11 ex illo fastigio descenderim (e.g. Sen. clem. 1,8,3 cum dis
tibi communis ipsa necessitas est. Nam illos quoque caelum adligatos tenet, nec magis illis de
scendere datum est quam tibi tutum; fastigio tuo adfixus es); notevole anche il valore pregnante
di alienus per esprimere l’‘estraneità’ all’etica in 251,1 alienum a bonis moribus e la perdita del
controllo sulla propria esistenza 292,5 semper alieno munere vivendum est (e.g. Sen. epist. 59,18
Quia non est alieni muneris, ne arbitrii quidem alieni est).
67
Cf. ad 290,4 luxuria intolerabile malum.
65
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXV
De beneficiis in cui si fa riferimento al procedimento fittizio dell’actio ingrati
nell’intento di mettere a fuoco il concetto dell’impossibilità etica di imporre la
gratitudine come obbligo 68. Più in generale l’andamento dialogico del trattato
comporta un confronto continuo tra punti di vista opposti sul beneficium: quello,
sostenuto dal filosofo, di un atto gratuito che ha in sé il suo valore etico e quindi
la sua ricompensa, e quello, più intuitivo e immediato dell’interlocutore fittizio,
partecipe della mentalità corrente, che esige una compensazione adeguata per
il favore concesso. Le due prospettive contrastanti che danno vita alla dialettica
senecana trovano nelle Minores uno sviluppo, per così dire, performativo: entrambe le posizioni vengono calate nel vivo del dibattito giudiziario sotto forma
di argomenti validi per sostenere le rivendicazioni opposte di chi desidera una
contropartita per il suo beneficium, o viceversa, di chi, mirando ad affermare la
natura disinteressata del suo agire, ne proclama la gratuità 69.
Come Cicerone, dunque, anche Seneca fornisce materiale utile per sviluppare
quaestiones di carattere generale 70; inoltre, non diversamente da Cicerone,
esercita la sua influenza anche su altri aspetti dell’ars retorica, più strettamente
funzionali all’esigenza di movere, ossia di rendere il pubblico partecipe delle
passioni che il declamatore simula. Se alcune orazioni di Cicerone, come si
è visto sopra, possono costitutire un valido modello per la manipolazione di
temi e motivi di provenienza comica, le tragedie di Seneca, intrise come sono
di retorica, offrono al declamatore un repertorio altrettanto ricco di stereotipi
tragici, per così dire ‘pronti per l’uso’.
La relazione privilegiata che unisce declamazione latina e tragedia, ben documentata da una ricca bibliografia recente 71, trova conferme anche nella nostra
raccolta. Senz’altro la sobrietà propria del libro di scuola affranca le Minores da
certi eccessi nel dare spazio a temi che la tradizione tragica aveva sviluppato con
particolare efficacia, ma che rischiavano di trascinare i declamatori in erba in
un mondo troppo distante dalla realtà del foro; tuttavia – nella misura ammessa
dalla didattica quintilianea 72 – nella raccolta sono comprese tematiche come la
68
Cf. Sen. benef. 3,6,7: mi limito qui a Lentano 2009, ulteriori riferimenti in Pasetti 2018,
136-139.
69
Una spia del tema è la ricorsività del sintagma senecano beneficium perdere, impiegato
in senso senecano (ossia con il presupposto che il beneficio non possa mai essere perduto, perché
trova una ricompensa nella sua stessa concessione) in 247,17; 259,10; 292,6; mentre la prospettiva
‘non senecana’ emerge in 246,2.
70
Tra i concetti sviluppati sulla scia di Seneca si possono menzionare: 253,7 (anche i malvagi
aspirano alla virtus); 257,3 (la disobbedienza giustificata in base a questioni di principio); 260,89
(la misericordia come passione nociva) e 260,16 (l’altruismo come dovere pubblico); 261,26 (la
crudelitas come approdo di un eccesso di severitas). Vanno poi segnalati, come nel caso di Cicerone, i riferimenti ai concetti filosofici diffusi nelle declamazioni 268 e 283.
71
Dopo le indagini di Casamento 2002, cf. almeno Berti 2007, 311-318, van Mal-Maeder
2007, 10-18, la sintesi di Nocchi 2015, 199-206, inoltre Valenzano 2018, sulle Minores.
72
Sulla sobrietà delle Minores, coerente con la concezione quintilianea di una declamazione
utile, ma non del tutto priva di elementi allettanti per i giovani, cf. Winterbottom 1984, xvi.
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XXVI
Introduzione
tirannide, l’incesto, il suicidio, gli oracoli, la follia e la sepoltura, che si prestano
particolarmente a essere sviluppate sulla base di paradigmi tragici. Inoltre, in certi
casi, fisionomia e pose da tragedia vengono attribuite anche ai protagonisti di
themata che esulano da quelle specifiche situazioni: ad esempio, nella Minor 312
– un caso di deposito – un soldato che si vede rifiutare la restituzione del denaro
affidato a un commilitone, spinto dallo sdegno per la rottura dei patti, giunge ad
uccidere l’amico per poi suicidarsi: la persona del depositante è evidentemente
tratteggiata sulla falsariga del personaggio di Aiace, con cui condivide, oltre al
mestiere delle armi, quel rigore morale e quella indisponibilità al compromesso 73
che sono tradizionalmente attribuiti all’eroe, specie nella sua versione tragica (in
particolare sofoclea), ampiamente recepita dalla retorica di scuola 74.
In presenza di paradigmi tragici, la traccia senecana affiora spesso, per quanto
non sia sempre semplice distinguerla dai lasciti della tradizione declamatoria da
cui Seneca stesso è profondamente influenzato. Tuttavia l’insistenza su temi che
trovano ampio sviluppo nel teatro senecano, specialmente se associata a indizi
formali, non può non attirare l’interesse dell’interprete: incrociano inevitabilmente le tragedie di Seneca il tema dell’ignorantia malorum, l’incoscienza
del male compiuto durante un accesso di follia 75, la percezione del fatum che
incombe su un intero casato causandone l’estinzione 76, la paura che assilla il
tiranno 77, la metafora dell’animi aestus 78, la prosopopea del fantasma, versione
miniaturizzata di una scena tipicamente senecana 79.
73
L’omicidio commesso in un accesso irrazionale di rabbia (§ 7 Quid fuit quod tantam ra
biem concitaret... ?), scatenato dalla violazione di veritas e fides (§ 6 Ita parum facit veritas, ita
nullum nomen est fidei?), e seguito dal suicidio, lascia pochi dubbi in proposito. Un’ulteriore traccia della sceneggiatura tragica è la presenza del motivo dell’aestus interiore, per cui infra, n. 75.
74
Si pensi solo alla fortuna retorica dell’episodio mitico dell’Armorum iudicium, su cui insiste una ricca tradizione tragica recepita anche dalla celebre versione ovidiana di met. 13,1-398
(su questa «controversia poetica», per usare le parole di Berti 2015a, si vedano almeno Casamento
2003; Berti 2015a, 44-51, Hardie 2015, 213-218); nelle Minores l’Armorum iudicium è il paradigma di riferimento per la decl. 258 (ulteriori riscontri ad loc.).
75
Ad 256,4: riecheggiamenti di Seneca tragico sono sparsi nell’intera declamazione, incentrata sul tema della follia e particolarmente influenzata dal paradigma dell’Hercules furens.
76
Ad 288,2 de fato domus nostrae, con un’eco di Sen. Phaedr. 698. Il color incentrato
sull’accanimento del destino su una famiglia è già presente nella raccolta di Seneca Padre, come
pure nella tradizione declamatoria greca (ad 288,3), ma diventa pervasivo nella tragedia senecana.
77
Ad 288,4: tema tradizionale, ma condensato da Seneca tragico in memorabili sententiae,
echeggiate nel finale della declamatio.
78
La metafora della tempesta interiore è già in Virgilio (e.g. Aen. 12,486 Heu, quid agat? Va
rio nequiquam fluctuat aestu (per ulteriori riscontri Tarrant 2012, 216), ma soprattutto viene amplificata nei drammi di Seneca, in monologhi in cui i tormentati personaggi tragici danno voce ai dubbi
e alle ansie che li divorano (cf. Sen. Ag. 131-144; Phaedr. 178-185; Medea 937-944); lo stilema è
così tipico da alimentare la ricezione senecana (Citti 2012, 111-120). Nelle Minores viene più volte
utilizzato da personaggi dotati di una fisionomia tragica: notevole, in particolare, 290,5, dove l’immagine si combina con il tema della follia e 312,8, in cui è in gioco il paradigma tragico di Aiace.
79
Ad 291,8; prosopopee simili in 299,6-7 e in 314,16.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXVII
Tutti questi elementi sono riconducibili alla dimensione epidittica, ossia a
quella capacità di affascinare il pubblico e divertirlo, che, secondo Quintiliano,
è connaturata alla declamazione non meno della sua utilità pratica 80; anche nel
nostro libro di scuola, dunque, la vocazione epidittica non è del tutto assente.
Questo aspetto è ulteriormente corroborato dalla memoria di poeti ben noti
nell’ambiente scolastico, tra cui figura, prevedibilmente, Virgilio; nelle Minores
la poesia virgiliana (in particolare l’Eneide) funge soprattutto da repertorio di
immagini cariche di pathos, che il maestro-declamatore si limita ad abbozzare
molto rapidamente. Ad esempio, nella decl. 272, ha un sapore virgiliano la
descrizione ‘in soggettiva’ del campo di battaglia, che si presenta – agli occhi di
una madre alla disperata ricerca del figlio – come un carnaio formato dai corpi
aggrovigliati dei soldati e dei loro cavalli 81, mentre, poco più avanti, la scena
della città invasa nottetempo dai nemici allude all’episodio notturno della presa
di Troia 82; anche nella decl. 291 la descrizione del fantasma – con l’aspetto
straziato di chi è stato barbaramente ucciso – incrocia ineludibili memorie
virgiliane 83. Soprattutto in passaggi pregnanti e densi di emotività Virgilio
concorre con altri poeti ad arricchire il nitor e l’incisività dell’espressione 84. In
particolare, il maestro-declamatore mostra una certa dimestichezza con Ovidio
(più volte citato nell’Institutio); il macrotesto ovidiano ricopre in effetti una du
plice funzione: da una parte costituisce un importante punto di riferimento per
lo sviluppo di paradigmi epico-tragici 85, dall’altra – in virtù della sua contiguità
con la retorica di scuola – offre un utile repertorio di formulazioni efficaci,
soprattutto legate al tema amoroso 86, e anche qualche sententia: le affermazioni
80
Cf. Quint. 2,10,9-12, con Berti 2015a, 20 s.: «la compresenza di entrambi gli aspetti [sc.
epidittico e ‘pratico’] era insita nella natura stessa del genere declamatorio, almeno per come esso
si era venuto configurando nelle scuole di retorica romane dell’età imperiale; di modo che la cura
formale e l’attenzione per la facies stilistica non vanno mai completamente disgiunte dalla valenza
didattica dell’esercizio (e viceversa)». Su questo tema, vedi sopra, n. 47.
81
Cf. ad 272,8: il rinvio più immediato è costituito da Aen. 11,633-634.
82
Cf. ad 272,13, dove somno sepultis echeggia Aen. 2,265 urbem somno vinoque sepultam.
83
Cf. ad 291,8, con il rinvio al fantasma di Ettore (Verg. Aen. 2,274-279); ma la situazione
– il giovane è stato ucciso in flagrante adulterio – e qualche spia lessicale (it ante oculos laceratus
filius) potrebbero anche ricordare l’episodio di Deifobo, ucciso da Menelao (Verg. Aen. 6,495
Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora).
84
Cf., e.g., ad 252,8 indagine cinxerunt (Verg. Aen. 4,120 indagine cingunt); 255,20 Pericula
... temptavit (Aen. 11,503; ma, senza anaptissi, il nesso temptare pericla è già lucreziano), 270,29
Horret animus recordari, refugiunt cogitationes (Verg. Aen. 2,13 animus meminisse horret luctu
que refugit).
85
Si veda la già menzionata decl. 258, una reinterpretazione declamatoria dell’Armorum
iudicium, e la 289 (Introd.), dove viene rovesciato il mito di Mirra e Cinira.
86
Diverse le espressioni mutuate dal lessico erotico ovidiano: 290,7 ante fortius tulerat rinvia
a Ov. met. 7,76 et iam fortis erat (in entrambi i casi fortis esprime la determinazione nel resistere
all’amore); 291,3 ignoscamus amori echeggia Ov. epist. 8,37 et pater ignoscet nostro... amori. Si
confrontino poi 280,13 imago poenae e Ov. met. 6,585 poenaeque in imagine tota est; 288,3 Super
vacui sunt metus e Ov. Pont. 2,7,5-6 me timor ipse malorum / saepe supervacuos cogit habere metus.
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XXVIII
Introduzione
di sapore gnomico Acrius incalescunt ignes legitimi (286,10) e Maiores habet
vires ignis qui legitimis facibus accenditur (291,5) 87 echeggiano pectora
legitimus casta momordit amor di epist. 13,30.
A proposito delle sententiae, è stata rilevata nelle Minores una presenza
moderata 88 di questo stilema, forse la più tipica espressione della declamazione
a vocazione epidittica. Indubbiamente la frequenza delle frasi ad effetto
non è paragonabile con quella della raccolta di Seneca Padre, dove, d’altra
parte, l’attenzione rivolta alle sententiae è, per così dire, programmatica. Il
maestro-declamatore si attiene, anche sotto questo aspetto, alla precettistica
quintilianea per cui l’eccesso di frasi ad effetto espone al rischio di fran
tumare l’argomentazione 89. Le sententiae, di conseguenza, vengono dosate
e soprattutto dislocate in modo da rendere ancora più evidenti certi snodi
argomentativi: non spezzano i singoli argomenti, ma li introducono, oppure,
più spesso, li concludono con una sintesi efficace e memorabile. Con questa
funzione, le sententiae sono pressoché immancabili nell’epilogo, dove
costituiscono il suggello dell’intera declamatio; ma compaiono spesso
anche nel corpo del discorso, a marcare la conclusione di singoli ‘blocchi’
di declamazione intervallati dal sermo 90. Non manca neppure il caso limite
di una declamatio costituita unicamente da una sententia, tutta incentrata
sull’antimetabole: 387,1 Duas leges habui, viri fortis et patris. Viri fortis
legem transtuli in patrem, patris in virum fortem. Esempi di efficaci
epifonemi, che spesso giocano sul paradosso, sono 248,14 Ita bene illi cessit,
quod hominem citius occidit? 306,32 Et iam in fine vita est; nec de hereditate
sollicita est: non habet filium; 327,7 At nunc expellitur et, quoniam bona fuit
noverca, nec liberos habitura est nec virum; 337,17 Vicit enim, et bene etiam
meritus de re publica habetur. Et hoc inter causas mortis est; 373,3 Ego te,
uxor, damnavi, optima feminarum: sed vindicabo; 385,8 Et illo loco dicemus
non posse illum aliquando damnum sentire, qui nullo labore tantos quaestus
faciat: invidendum illi, nisi leno esset.
Per il resto, le tipologie prevalenti sono quelle ben note alla casistica: quanto al tema, non mancano sententiae di sapore proverbiale o gnomico 91 – talora
87
Cf. il commento ad loc.
Leo 1960, 261 [1912, 120 s.], e poi Håkanson 1986, 2279; inoltre Winterbottom 2018, 77
nota l’assenza di sententia come tecnicismo retorico nel sermo del maestro.
89
La raccomandazione di non abusare della sententia va di pari passo con la riprovazione
della tendenza contemporanea a esprimersi quasi esclusivamente per sententiae: cf. Quint. 8,5, in
particolare i §§ 2, 14, 27, 31, 34.
90
Sono una trentina le declamationes interrotte da uno o più sermones, oppure seguite da
un sermo conclusivo; in circa una ventina compaiono sententiae ‘al mezzo’: 246,2; 245,3; 255,8;
259,22; 266,5; 273,12; 315,7; 328,14, 331,18; 336,11; 340,9; 342,13; 348,12; 372,8; 376,5; 383,4;
385,4; 388,15 e 31.
91
Oltre quelle già menzionate, si possono citare, e.g., 274,13 Omnis enim poena non tam ad
delictum pertinet quam ad exemplum; 281,2 Numquam mens exitu aestimanda est; 360,4 Nurus
88
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXIX
potenziate, come si è visto, dalla memoria letteraria – ma per lo più le frasi ad
effetto richiamano le circostanze particolari della controversia. Sul piano formale, vengono sfruttati gli schemi più comuni 92: particolarmente produttiva è
l’antitesi concettuale, sostenuta dalla simmetria formale (278,8 Et ut breviter
dicam, tu exposuisti, ego sustuli; 324,9 Vos de caede torquebatis, ille de sacri
legio confitebatur; 286,3 Non exigo tamen ut facias quod iubeo: peto ut facias
quod rogaverim; 371,6 De me facile est: inveniam partem. Sed tibi timeo: soles
enim periclitari), spesso in combinazione con diverse forme di ripetizione, come
l’anafora (336,14 non tantum sanguinis nos iura coniungunt: aliquid et ipsa
necessitas, aliquid et ipsa societas; 341,12 Ille vobis commendat sarcinas suas;
nos commendamus vectigalia vestra, commendamus reditus civitatis), l’epifora
(348,12 imperatoris fortasse consilium reprehendi potest, factum certe damnari
non potest), il poliptoto (278,2 si patri debetur, debet res publica; 292,2 Nec
credibile est eum pepercisse hospiti qui sibi non pepercit; 245,3 Hoc ergo fieri
potest, ut rem non potueris repetere, poenam rei petas?, dove compare anche la
figura etimologica peto/repeto); oppure incentrata sull’opposizione tra antonimi
(244,6 Ne quis autem existimet nunc adulterium unius tantum vindicandum:
<pertinet> ad exemplum totius civitatis; 287,2 Non tam reprehensione dignus est
desertor quam laude vir fortis; 370,1 Rapere enim usitatum est, subicere raptorem
novum). In altri casi, invece, la sententia amplifica un concetto, sfruttando, ancora
una volta, la simmetria (256,6 ne quis eorum morte gaudeat, ne cui prosit quod
filios meos occidi; 260,32 Duo simul adsequor, quod et liberalius et frugalius
vivo; 263,10 Fortasse isti placebit si plures inciderint in eandem sortem, in
eandem condicionem) e la ripetizione, per lo più anaforica (251,7 Nam etiamsi
non habet filium, adservavit tamen iuvenem, tamen hominem, tamen civem;
275,6 Brevis enim poena mortis est; nunc diu eget, diu male audiet; 350,12
‘Non putavi nocere, nec credidi medicis’. Adeone ignota medicinae experimenta
sunt?). Diversi epifonemi, soprattutto se collocati nell’epilogo, fanno leva
sull’apostrofe, tipicamente indirizzata all’avversario, con il consueto corredo di
ripetizioni (377,15 Sed miserere heredis, miserere viri fortis: iudicio impetrem
quod per amicos exorare non potui; 295,5 Duret ista animi tui quies: scias quibus
irascaris, scias quos ames; 313,15 Non idem de te iudices senserunt? Non omnium
sententiae? 349,13 Quid enim acturus <es> ad genua provolvendo, adhibendo
amicos, flendo in pectus meum? Insanus sum, nihil sentio. I ad illum patrem tuum;
367,5 Si perseveras in foro potius militare quam in proelio, absolutionem opto:
tolle iudicium; 372,13 Quid nunc facies? Praecides manus quae te sustulerunt?
375,6 ‘Adfui’, inquit. Alioqui abdicareris tantum? 382,5 tu iam habes praemium:
patrimonium, liberos, tyranni mortem desideratam); nelle sententiae basate
oportet a viro dotem repetat, socrus a patrimonio; 378,4 Sunt quaedam secreta, iudices, et animi
parentum imperiis vacant.
92
Una sintesi in CittiPasetti 2015, 116127, con un riepilogo dell’ulteriore bibliografia sulle
sententiae in declamazione (p. 116, n. 2).
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XXX
Introduzione
sull’apostrofe, non gioca tuttavia un ruolo significativo il cosiddetto ‘ὦstyle’,
ossia la ripetizione enfatica di allocuzioni sottolineate da ‘O’: si tratta, del resto,
di uno stilema asiano incompatibile con i sobri gusti del maestro-declamatore 93.
La persistenza della dimensione epidittica anche in una raccolta quanto mai
scolastica come le Minores può spiegare, almeno in parte, una certa frequenza di
espressioni che non compaiono altrove, oppure che fanno nella raccolta la loro
prima apparizione 94. La ricerca di un’elocutio il più possibile efficace costitui
sce un forte incentivo per l’introduzione di nessi o di iuncturae inediti e ricercati, più o meno indebitati con la tradizione letteraria. Qualche esempio 95: imago
casus (291,3 nonne tibi... cernere imaginem visus es tui casus?) indica la percezione di una somiglianza tra l’esperienza (amorosa) di un altro e la propria;
l’accezione più comune del termine (‘replica’) si combina qui con l’attivazione
di un valore psicologico che compare in Virgilio e si consolida nella letteratura
di età imperiale 96; sapientia gravior (288,2), riferito a una consapevolezza che
‘pesa’ nel profondo, condensa, rovesciandolo, il motivo tragico dell’ignorantia
malorum; officia... contumeliarum (253,21), riferito a un parassita, ha suscitato
più di un dubbio tra gli interpreti: ma, se inteso come ‘il dovere di ricevere
insulti’, recupera un motivo ben documentato in commedia, quello dell’officium
paradossale proprio di certi personaggi eticamente discutibili 97. In qualche caso
è possibile individuare con più precisione la matrice letteraria: un sintagma
inattestato, quale la costruzione di furere con in e l’ablativo con il significato di
‘impazzire d’amore per qualcuno’, è molto probabilmente modellato su quella
ovidiana di ardere in, che appare in met. 9,725 ardetque in virgine. D’altra parte,
male computas di 262,6, in senso traslato (‘non valutare correttamente una
situazione’), sembra sfruttare la metaforizzazione delle lingue tecniche tipica di
Seneca, che in effetti ricorre più volte a bene computas (sempre e solo in seconda
persona) 98.
5. La lingua giuridica nelle Minores
Il tessuto linguistico delle Minores presenta poi un altro aspetto notevole e
innovativo, che riguarda la ricezione e la rielaborazione dei tecnicismi giuridici. La facies che la lingua tecnica del diritto assume nei testi declamatori
riflette la natura ibrida e composita delle leggi di ‘Sofistopoli’, che, come è
93
Citti-Pasetti 2015, 121.
Ne ho contate una quindicina solo nelle prime 50 declamazioni raccolte in questo volume.
95
Per i dettagli rimando all’analisi dei singoli passi nel commento.
96
Cf. Gagliardi 1985, 921, in part. Aen. 6,405 Si te nulla movet tantae pietatis imago; l’accezione è frequente nella letteratura di età imperiale, tra I e II secolo, cf. ThlL VII/1, 413, 76-414, 11.
97
Cf. ad es. Plaut. Cas. 585 officium... meretricium; Pseud. 375-378 (l’officium del lenone è
spergiurare); Asin. 380 Quin tuom officium facis ergo ac fugis? (l’officium del servus è fuggire);
inoltre Titin. 48 R.3 Edepol hominis <es> ignavi functus officium.
98
Cf. ad 262,6.
94
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
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noto, inglobano elementi del ius contemporaneo, anacronismi, dispositivi di
tradizione greca, oppure del tutto inventati 99. Ma ogni invenzione è figlia della
cultura di provenienza, di cui riproduce mentalità e idee: così, gli studi più
recenti sul diritto in declamazione si sono concentrati – più che sul compito di
discernere minutamente storicità e finzione delle leges – sulla contiguità con i
mores da cui scaturisce anche il diritto storico 100.
Questo orientamento, che pone attenzione non solo alle leggi che innescano
il conflitto declamatorio (si tratta, in fondo, di dispositivi retorici, più che giu
ridici) ma al modo di ragionare e di argomentare che ne scaturisce, apre nuove
prospettive anche per l’analisi linguistica.
La lingua giuridica è all’origine di una ricca serie di tecnicismi specifici della
declamazione (altrove li ho definiti ‘paragiuridici’) 101: si pensi a espressioni
ben note come lex inscripti malefici, actio ingrati, abdicatio, che presentano
strutture lessicali e morfosintattiche (nel caso specifico il suffisso tio per
gli astratti e il genitivo ‘forense’) tipiche della lingua del diritto e facilmente
riconoscibili nella ricca terminologia declamatoria. Ma, se la lingua giuridica
esercita un potere modellizzante sul linguaggio tecnico della declamazione,
anche la declamazione, a sua volta, contribuisce ad arricchire il lessico giuridico;
ovvero, la lingua dei declamatori esercita un’influenza sul modo di esprimersi
degli esperti di diritto che, inevitabilmente, in età imperiale, si formavano nelle
scuole di retorica. In alcuni casi, dunque, la declamazione sembra rappresentare
bene quella zona di confine in cui avviene il delicato passaggio che conduce alla
trasformazione di un vocabolo in tecnicismo giuridico pienamente funzionale 102.
Proprio le Minores rivestono un particolare interesse sotto questo aspetto:
caratterizzate da un’evidente propedeuticità all’attività forense, in linea con la
prospettiva quintilianea di una declamazione prima di tutto utile, e dunque aperta
a proporre casi poco fantasiosi – incentrati sull’eredità, sul deposito o sull’iniuria
– intrattengono un rapporto particolarmente stretto con la lingua del diritto,
come conferma il confronto con le altre raccolte di testi declamatori. Un primo
tratto distintivo è la presenza di tecnicismi giuridici tout court, ben documentati
nell’uso, ma altrimenti inattestati nel corpus delle declamazioni latine 103. D’altra
99
Esempi significativi della tensione tra declamazione e diritto nella recente sintesi di Lentano 2017, 85-89.
100
Ad esempio Mantovani 2007 e 2014, Rizzelli 2014 e 2015, Lentano 2017, 89-94, con
ulteriori riferimenti.
101
Sui termini ‘paragiuridici’, cf. Pasetti 2019, in corso di stampa.
102
Sempre utili le considerazioni di Kaser 1965, 99 sulle modalità di passaggio dall’uso non
tecnico all’uso tecnico dei termini giuridici.
103
Alcuni esempi estrapolati dal commento: cadere (262,2) riferito alla causa che ‘non regge’
quando viene sollevata un’eccezione; liber (273,10) riferito a beni non gravati da oneri; venditio
(278,1), la ‘vendita di un bene’; excipio (284,2), nel senso di ‘escludere qualcuno per mancanza
di requisiti giuridici’; petitio (278,1), nel senso di actio in rem. Quanto a praescriptio (249,6 e 9;
250,2-3; 266,1 e 4), aggiungerei che l’astratto, secondo ThlL X/2, 823, 32-49, compare solo in testi
giuridici e nell’Institutio quintilianea.
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XXXII
Introduzione
parte, quando un termine giuridico è impiegato sia nelle Minores che nelle altre
raccolte, si notano talora significative differenze: se altrove il tecnicismo occorre
in senso metaforico – spesso sulla scia di precedenti ben noti nella tradizione
letteraria 104 –, oppure per innescare immagini paradossali, nelle Minores il senso
proprio tende a restare in primo piano. Un esempio è dato dal nesso hereditatem
cernere, riferito all’antica procedura della cretio hereditatis, con cui l’erede
entrava formalmente in possesso del patrimonio a lui destinato 105; il tecnicismo
compare nella Minor 261,5 is qui creverit hereditatem, dove mantiene il suo
valore proprio. Diversamente, nella Declamatio maior 12,9, p. 241,8 H., heres
cadaver cernit è utilizzato per dipingere iperbolicamente la tragica condizione
di una città devastata dalla carestia, dove i sopravvissuti farebbero valere i loro
diritti ereditari non per entrare in possesso del patrimonio dei parenti, ma del
loro corpo, da cui sperano di trarre il nutrimento necessario per prolungare la
vita: in sintesi, si ricorre al tecnicismo per potenziare retoricamente il concetto
‘ci si contende il cadavere dei parenti’.
A considerazioni analoghe si presta la locuzione manus inicere, che nelle
Minores compare solo una volta, nel tema della decl. 359, il caso di un publi
canus che confisca le perle di una matrona: Translatis (unionibus) manum
iniecit et suos dicit; si tratta inequivocabilmente di una manus iniectio attuata
per affermare il diritto di acquisire un bene materiale, con un riferimento alla
procedura per cui il gesto di appropriazione doveva essere accompagnato
dalla dichiarazione di una formula (suos dicit) 106. Tutta la controversia, come
si evince dal sermo (la declamatio manca), verte sulla legittimità di ricorrere
alla manus iniectio nelle circostanze specifiche e in presenza di una legge che
impedisce di toccare una matrona. Nelle altre raccolte, e in particolare nelle
Maiores, manus inicere ricorre spesso in senso metaforico (ad es. in 16,4, p.
323, 4 H. cui tu Fortunae, quibus necessitatibus inicis manum!); ma soprattutto,
l’espressione non è mai al centro di una discussione ‘tecnica’, volta a sondare i
limiti e le possibilità di applicazione di un dispositivo giuridico, ma risponde a
esigenze schiettamente retoriche; nelle Maiores, ad esempio, assolve spesso la
funzione di esaltare la potenza di certi legami viscerali (tipicamente quello tra
madre e figlio) che autorizzano ad ‘impossessarsi’ dell’altro. Si tratta quindi di
un impiego del termine giuridico con funzione epidittica, basato su importanti
precedenti nella tradizione poetica latina; si ricorderà Ovidio, che più di una volta
ricorre a manus inicere per presentare sub specie giuridica le rivendicazioni di
possesso dell’amans sul proprio oggetto d’amore (ad es. am. 1,4,39-40 oscula
si dederis, fiam manifestus amator / et dicam ‘mea sunt’ iniciamque manum) 107.
104
Si veda, ad esempio, la recente sintesi di Gebhardt 2009 sull’impiego dei tecnicismi giuridici nella poesia augustea.
105
La formula è ricordata da Gaio, inst. 2,166: cf. ad 261,5.
106
Anche in questo caso Gaio, inst. 4,21 riferisce la formula.
107
Per un’analisi più dettagliata delle occorrenze di manus inicere nelle Declamationes ma
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXIII
Ma l’aspetto forse più interessante e distintivo delle Minores è la presenza
di tecnicismi innovativi recepiti, talora con notevole frequenza, dalla letteratura
giuridica successiva: un termine mai attestato prima è proclamatio, che compare
in 292,2 ad indicare una dichiarazione fatta pubblicamente, nella fattispecie per
lamentare un torto subito; il lessema, ripreso più volte nelle Maiores per introdurre
lamenti e miserationes, con una funzione evidentemente epidittica, si consolida e
si specializza nei Digesta, dando vita alla locuzione proclamatio in/ad libertatem,
con cui si dichiara ufficialmente la condizione libera di una persona 108. In 278,1
contractus rappresenta una delle due occorrenze più antiche del termine (l’altra
è in Gellio) nel senso specifico di ‘convenzione che vincola le parti’, valore poi
ampiamente attestato nella letteratura giuridica 109; così anche compendium, che
occorre in 248,7 nel senso di ‘riduzione’ ‘sconto’, con riferimento a una pena,
verrà recuperato in ambito giuridico per indicare la riduzione di un compenso
precedentemente assegnato 110. Ai casi elencati si possono aggiungere diverse
espressioni destinate ad arricchire la fraseologia della letteratura giuridica: così il
sintagma conscientia criminis, la ‘consapevolezza della colpa’ fa la sua comparsa
in 249,5 ed è ripreso, ad esempio, in dig. 28,3,6,7; derigere actiones, nel senso di
‘intraprendere azioni giudiziarie’, attestato per la prima volta in 261,7 in personas
eorum… derigi actiones, diverrà un tecnicismo di uso comune 111; perire ea causa
potest, riferito all’annullamento del processo in 250,5, anticipa dig. 49,14,29 pr.
(Ulp.) perit causa; testamentum… arguunt, ‘impugnano il testamento’, in 264, th.
e § 4, torna in dig. 34,9,5 pr. (Paul.) licebit falsum arguere testamentum; lucrum
habere ‘comportare un guadagno, un vantaggio’ compare in 262,11 et sane
habeat hoc lucrum magna nequitia ed è precedentemente attestato solo una volta in Seneca in epist. 87,26 (sacrilegium) et lucrum habet, a proposito dei possibili vantaggi economici di un atto criminale: la vicinanza tematica lascia supporre
che il passo venga riecheggiato nella declamazione; il ‘rilancio’ di un’espressione
dall’evidente sapore colloquiale 112 nel contesto della controversia può aver
contribuito a traghettarla nella letteratura giuridica, dove lucrum habere occorre
più volte per indicare l’acquisizione di un vantaggio economico rilevante in sede
giudiziaria 113. Notevole anche petitrix, che compare per la prima volta nel nostro
testo (252,9), con specifico riferimento alla persona della postulante e verrà ripreso
iores, rinvio a Pasetti 2019.
108
VIR, IV/3.4, col. 1187, s.v. proclamatio, ulteriori riferimenti in Berger 1953, p. 653, s.v.
proclamare e OLD2 1615, 3, s.v. proclamatio (2). Cf. inoltre Pasetti 2019, anche per il confronto
con l’impiego del termine nelle Declamationes maiores.
109
Cf. ad 278,1.
110
Cf. ad 248,7.
111
Cf. e.g. dig. 5,4,1,3 (Ulp.) et ille quoque derigat actionem adversus exterum possessorem;
ulteriori riferimenti ad 262,7.
112
Come lucrum facio; per facio e habeo con oggetto diretto, in sostituzione di espressioni
più specifiche, cf. Hofmann 20033, 336.
113
Cf. ad 262,11.
Minores-vol.1.indb 33
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XXXIV
Introduzione
in dig. 36,1,76,1 contra petitricem pronuntiavit. Altre espressioni inconsuete, ma
destinate a diventare ricorrenti nella lingua giuridica, sono, ad esempio, quid acti
(ad 246,7); l’impiego di intervenio in combinazione di termini come lex, dolus,
causa (ad 249, 14); indubitate (ad 288,1) e l’impersonale obreptum est (ad 291,8).
6. Si tratta di Quintiliano?
«Cominciai a convincermi, con molte altre persone dotte, che, mentre erano
diffuse quelle declamazioni, false e spurie, Il Cieco, La parete imbiancata, Il
soldato di Mario (di cui [sc. Quintiliano] non ricorda mai le questioni e i temi nell’Institutio), restavano invece nascoste… quelle che erano veramente le sue, legittime e naturali» 114. Con queste parole Pierre Ayrault (Petrus Aerodius) giustificava,
nella sua Praefatio del 1563, la necessità di una nuova edizione commentata delle
Declamationes minores, che ormai dal secolo precedente circolavano in Europa
(la princeps di Taddeo Ugoleto era uscita nel 1482). Nell’affermare con sicurezza
la paternità quintilianea, Ayrault rilanciava un’opinione diffusa tra gli umanisti a
partire dalla Censura in Quintiliani declamationes di Giovanni Antonio Campani 115.
Giurista esperto – era procuratore dei re di Francia – e autore di un trattato De la
puissance paternelle, Ayrault ricorre a espressioni congeniali alla sua professione
per distinguere la diversa condizione delle Declamationes maiores – ‘sostitute’
(suppositae) della prole naturale, frutto di relazioni illegittime (adulterinae) – e
delle Minores, le sole a meritare lo status di legittimità (legitimae e naturales).
Le conclusioni a cui giunge Ayrault sono state avallate in tempi più recenti
anche da Ritter (1884, v) e da Leo (1960 [1912]), a cui si deve una lucida analisi
della funzione della raccolta, e il tentativo di ricostruire il processo che mise
in circolazione quelli che, secondo lo studioso, sono appunti (hypomnemata)
predisposti da Quintiliano.
La filologia più recente – in particolare il fondamentale contributo di Michael
Winterbottom – ha lasciato prudentemente in ombra il problema della paternità
per concentrarsi soprattutto sul difficile compito di affrontare le molte questioni
esegetiche create dai dissesti della tradizione manoscritta, ma anche dalle
peculiarità intrinseche del testo, che, come si è cercato di mostrare, è espressione
di una tipologia per cui, allo stato attuale, la tradizione non offre molti termini
di confronto. Anche questa stagione di studi, comunque, non ha fatto emergere
elementi incompatibili con l’assegnazione dell’opera a Quintiliano.
Al momento, i dubbi sulla paternità sembrano derivare soprattutto dalle peculiari condizioni della trasmissione – la circolazione manoscritta delle Mino
res è disgiunta da quella dell’Institutio – e dalla distanza formale che inevi114
Aerodius 1563, pr. ii-iii et in ea me, cum plerisque aliis doctioribus, opinione confirmare
(sc. coepi), suppositas et adulterinas esse vulgares illas Caeci, Parietis dealbati, militis Mariani
Declamationes (de quarum summis et argumentis numquam in Istitutionibus meminit) latere au
tem… quae verae illius essent, legitimae et naturales.
115
Cf. infra, pp. XXXV-XXXVI.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXV
tabilmente separa l’articolato trattato quintilianeo – esposizione formalmente
sorvegliata della doctrina del retore – da un testo più tecnico, pensato per un uso
pratico, e per il quale, come osservava Constantin Ritter 116, il titolo più adatto
sarebbe stato Ars rhetorica.
Per quanto riguarda il presente lavoro, le informazioni raccolte nell’attività
di revisione testuale e di commento confermano che la paternità quintilianea è
un’ipotesi plausibile; come si è visto, il maestro di retorica non solo è allineato
nella sostanza con l’insegnamento di Quintiliano, al punto da riprodurne le
occasionali lacune teoriche, ma presenta un profilo intellettuale non banale.
Come si è cercato di mostrare nelle pagine precedenti, un’analisi stilistica delle
declamationes rivela la fisionomia di un più che attento lettore degli auctores
contemplati dal canone quintilianeo: dietro espressioni apparentemente insignificanti si nasconde spesso la memoria di passi ben precisi e pertinenti al tema
trattato. Si tratta, è vero, di accenni appena abbozzati, ma il mancato sviluppo
di questi elementi in una forma più ampia e articolata può essere facilmente
spiegato, come si è visto sopra, con l’orientamento applicativo di una raccolta
pensata per essere integrata dalla comunicazione orale. Un altro aspetto notevole
– quello che probabilmente più affascinava Ayrault – è la peculiare relazione
con la cultura giuridica, segnalata da un impiego calibrato e consapevole dei
tecnicismi, che, come si è visto sopra, sono raramente piegati all’uso epidittico
e risultano spesso così efficaci da essere recepiti in seguito dalla tradizione
giurisprudenziale.
7. Trasmissione ed esegesi del testo
Secondo gli studi che anche in tempi recenti hanno esplorato la tradizione
delle Declamationes minores, all’origine del processo che ci ha restituito il testo
pseudoquintilaneo c’è un libro di scuola: un’edizione allestita in età tardoantica,
che comprendeva anche l’antologia di Seneca Padre e gli excerpta di Calpurnio
Flacco. La facies di questa edizione, evidentemente destinata a circolare nelle
scuole di retorica, è ancora leggibile nei testimoni più antichi, risalenti al IX
secolo. A partire da quest’epoca è possibile ricostruire una tradizione suddivisa
in due rami: il primo è rappresentato in sostanza da un unico testimone (un
manoscritto conservato a Montpellier: A), mentre al secondo ramo vengono
ricondotti tutti gli altri manoscritti in nostro possesso e un manoscritto perduto,
di cui ci dà notizia Giovanni Antonio Campani (Campanus) nella Censura in
Quintiliani declamationes (attorno al 1470): in base alla descrizione dell’umanista, che lo definisce vetustus codex, il manoscritto conteneva 136 declamazioni, rispetto alle 145 oggi conosciute; giunto in Italia dalla Germania,
dove forse era stato trovato da Rodolfo Agricola 117, era pervenuto a Francesco
116
117
Minores-vol.1.indb 35
Ritter 1884, v.
Dettagli in Cortesi 1994, 84 e n. 12.
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XXXVI
Introduzione
Todeschini Piccolomini (poi papa Pio III). Winterbottom ritiene plausibile che
questo manoscritto perduto fosse il capostipite della seconda famiglia (il subarchetipo β ricostruibile dall’accordo dei codici umanistici B, C, D), i cui membri
contengono 136 declamazioni (da 252,13 a 338). Tuttavia, a partire dalla
scoperta di un nuovo codice di età umanistica, compiuta da Mariarosa Cortesi,
e dai recenti studi di Huelsenbeck 118, i rapporti all’interno di questo secondo
ramo risultano più complessi di quanto non apparissero a Winterbottom e anche
la collocazione del vetustus codex è stata oggetto di ripensamenti.
Al momento, tuttavia, non sono emersi elementi che consentano di superare
l’ipotesi di una tradizione bipartita; inoltre, dalle indagini fin qui condotte,
non risulta che questa ridefinizione dei rapporti – che certamente apre scenari
di grande interesse sul piano storico e culturale – abbia un impatto davvero
significativo sulla costituzione del testo. Abbiamo quindi ritenuto opportuno
attenerci all’edizione di Winterbottom 119, fornendo qui di seguito una sintetica
descrizione dei testimoni, aggiornata alla luce delle ultime acquisizioni:
– A: Montpellier, Bibliothèque Universitaire de Médecine, H 126: copiato
a Reims nella seconda metà del IX secolo, contiene anche le raccolte di Seneca
Padre e Calpurnio Flacco e riproduce chiaramente l’edizione tardoantica; sempre
al tardoantico risalgono alcuni brevi sommari presenti tra i marginalia del
manoscritto, studiati e editi da Huelsenbeck 120. Sono inoltre presenti correzioni
che Winterbottom ha riportato selettivamente in apparato (A1) 121. Ad oggi, A
è senz’altro il testimone più autorevole: l’unico a presentare la versione più
estesa della raccolta: contiene infatti 145 declamazioni (da 244 a 338). La parte
iniziale, corrispondente alla declamazione 244 è oggi illeggibile, ma poteva
ancora essere letta all’epoca di Pierre Pithou, che ne fece una trascrizione per la
sua edizione del 1580, su cui si basano gli editori moderni.
– E: Leuven, Maurits Sabbe Library, PM0001, scoperto da Michael Mc
Cormick e già noto a Winterbottom, contiene due brevi porzioni delle Minores
(le decl. 354-357 e 377-381). Da un accurato esame recentemente svolto da
Huelsenbeck 122, risulta che i due fogli che lo compongono non provengono
dall’Ovest della Germania, come aveva ipotizzato Bernhard Bischoff, ma
dal Nord-est della Francia, e sono databili al primo quarto del IX secolo. I
due fogli appartengono infatti allo stesso manoscritto di cui fa parte un altro codice frammentario (il ms. di Bamberg, Staatsbibliothek, msc. class.
45m), testimone dell’antologia di Seneca Padre, di cui lo stesso Bischoff ave
va stabilito con maggiore sicurezza provenienza e datazione. Questo mano-
118
Huelsenbeck 2019, in corso di stampa.
Winterbottom 1984, xx-xxii.
120
Huelsenbeck 2016 analizza con cura tutti i marginalia distinguendoli in 4 classi.
121
Come osserva in proposito Håkanson 1985, 648 questa selezione presenta qualche problema sul piano teorico, ma non determina conseguenze sostanziali sulla costituzione del testo.
122
Huelsenbeck 2019, in corso di stampa.
119
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXVII
scritto (ζ), in gran parte perduto, sarebbe dunque la copia più antica dell’antico libro di scuola che riuniva le raccolte di Quintiliano, Seneca e Calpurnio
Flacco. Dal confronto di E con A e β emergono due ipotesi, già contemplate
da Winterbottom: 1) ζ è il padre di β; 2) i manoscritti sono fratelli, che discendono dall’archetipo attraverso un intermediario comune. In questo quadro,
osserva Huelsenbeck, non si può nemmeno escludere che ζ sia il vetustus
codex descritto da Campano.
Gli altri manoscritti del secondo ramo sono di età umanistica e iniziano tutti
da decl. 252,13:
– B: München, Staatsbibliothek Clm 309, precedente il 1494 perché fu
utilizzato da Taddeo Ugoleto per l’editio princeps pubblicata in quell’anno.
– C: Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Chig. lat. H VIII 261,
databile tra il 1465 e il 1480.
– D: Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Pal. lat. 1558, copiato tra
la fine del XV e l’inizio del XVI sec.; Winterbottom 123, a cui si deve una puntuale
analisi del manoscritto, distingue diversi interventi di correzione, alcuni dei
quali riportano varianti (Dv), altri (D2), secondo lo studioso, derivano da attività
congetturale. Il rapporto di D con il gruppo β è in effetti problematico: benché
tutti e tre i manoscritti presentino considerevoli punti di contatto, D potrebbe
anche essere un testimone indipendente da β.
– M 124: Augsburg, Staats- und Stadtbibliothek 2° Cod. 114, individuato da
Mariarosa Cortesi nel 1981 e descritto in un saggio del 1994 125; la studiosa
ha stabilito che M, databile al 1470 (20 anni circa prima di D), apparteneva
all’umanista Johann Mendel, il quale, per rimediare ai numerosi errori del
copista, lo annotò e lo corresse confrontandolo con un altro esemplare; sulla base
della collazione condotta sia sull’edizione di Winterbottom, sia in particolare su
D, Cortesi conclude che i due manoscritti «presentano coincidenze tali da far
pensare a un altro ramo all’interno della famiglia β» 126.
A titolo puramente esemplificativo, riporto in calce due diverse ipotesi di
stemma che tengono conto delle questioni ancora aperte all’interno della discendenza di β: questioni che potranno essere affrontate nel modo migliore solo
esaminando nel suo complesso la tradizione delle tre raccolte comprese nell’antico libro di scuola 127.
123
Winterbottom 1984, xxi-xxii.
Il siglum M è stato introdotto da Cortesi (1994, 87, n.20) con riferimento al possessore del
ms., Johann Mendel; tuttavia, come nota Bart Huelsenbeck per litteras, tale denominazione crea
confusione per chi studia la tradizione complessiva del corpus declamatorio comprensivo delle
Minores e delle raccolte di Calpurnio e di Seneca Padre, perché M è già utilizzato dagli editori di
Seneca Padre per indicare il Montepessulanus H 126.
125
Cortesi 1994, 86, nn. 18 e 19.
126
Cortesi 1994, 95.
127
Bart Huelsenbeck, per litteras, ricorda che, dall’analisi della tradizione degli Excerpta di
Calpurnio Flacco compiuta da Håkanson 1978, B appare più vicino a β di quanto non lo sia C.
124
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Introduzione
XXXVIII
ω
ω
ζ
A
ζ
β
β
A
B
B
C
D
M
C
D
M
La diffusione delle Minores in età umanistica conosce una svolta con l’editio
princeps del 1482, che apre la strada ad alcune importanti edizioni. Oltre a
documentare l’interesse che l’opera destava nelle élites europee tra il XVI e
il XVIII secolo, queste opere offrono spesso importanti contributi esegetici;
già richiamate e descritte nell’Introduzione di Michael Winterbottom 128, tali
edizioni sono state importanti anche per il nostro lavoro, come pure quelle, più
recenti, di Ritter 1884 e di Shackleton Bailey 1989 e 2006.
Ma il testo qui proposto si basa sull’edizione che abbiamo ritenuto, tra tutte,
più affidabile 129: quella di Michael Winterbottom, a cui rinviamo per la consultazione dell’apparato critico e da cui abbiamo mutuato anche la convenzione della doppia parentesi quadra per segnalare quei passi che appaiono poco
congruenti o malamente dislocati, ma che, trovando una ragion d’essere nella
peculiare natura delle Minores, vanno conservati. Rispetto al testo di Winterbottom, la riflessione condotta negli ultimi anni ci ha indotti a introdurre diversi
cambiamenti, discussi di volta in volta nel commento, anche con l’aiuto dello
stesso Winterbottom 130. Le divergenze riguardanti le declamazioni comprese in
questo primo volume sono raccolte nella tabella sinottica in appendice.
Lucia Pasetti
128
Winterbottom 1984, xxiv-xxv.
Il valore dell’edizione è rimarcato anche da Håkanson 1985, che pure rileva alcune imprecisioni nella collazione.
130
Le osservazioni di Michael Winterbottom, che ha ricevuto periodici resoconti sulla nostra
attività esegetica, sono indicate come Winterbottom 2018a, mentre le consultazioni intercorse tra i
commentatori o con altri studiosi sono segnalate con la dicitura per litteras.
129
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APPENDICE – TAVOLA SINOTTICA
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
244 tit.
—
<Adultera a marito exule occisa>
244 th.
—
Imprudentis caedis damnatus quinquennio
exulet. Adulterum cum adultera liceat occidere. <Imprudentis caedis damnatus cum ante
expletum poenae quinquennium noctu domum
ad visendam uxorem reversus esset, in adulterio
eam deprehendit: occidit. Reversus post quintum
annum caedis reus est>
245,2
cum ea summa habuerit †quae negatur†
246,1
†talis illud quidem periculum fallit†
tamen ne illud quidem periculum fallit
246,4
motu †corporis†, familiae conclamatione
motu [corporis] <et> familiae conclamatione
247,2
†Non subsisti†
Non substitisti
247,2
†Pars diversa hoc dicit†
[Pars diversa hoc dicit]
247,4-5
(sicut non negaremus uxorem si ita finiretur:
‘Uxor est quae per nuptias a parentibus in
matrimonium tradita in societate multis annis
fuit’, <cum tamen> illud ‘a parentibus tradita’
non necessarium in finitione uxoris sit). Ista
falsa quidem, eqs.
[sicut non negaremus uxorem si ita finire
tur: ‘Uxor est quae per nuptias a parentibus in
matrimonium tradita in societate <vitae> multis
annis fuit’, <cum tamen> illud ‘a parentibus
tradita’ non necessarium in finitione uxoris sit.
Ista falsa quidem non sunt, sed plerisque detractis erit adhuc uxor]
247,7
ut ab †ipsis incipiam, comprehendo uxorem
duxisse dici†
ut ab ipsis <verbis> incipiam, [comprehendo]
uxorem duxisse [dici]
247,8
de altera
de altero
247,9
in domo <desideras>
in domo <desidero>
247,15
Miseret me adulescentis optimi alioqui et nimis verecundi quod sic animum eius interpretamini
[[Miseret me adulescentis optimi alioqui et nimis verecundi quod sic animum eius interpretamini]]
Minores-vol.1.indb 39
cum ea summa abierit quae nega<ba>tur
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Introduzione
XL
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
248,6
Nihil mea refert utrum sequenti caedi [non]
reddiderit tempus quod debebat etiam priori
Nihil mea refert utrum sequenti caedi non
reddiderit tempus quod debebat an iam priori
248,9
mihi potiore clementia quam iustitia constituisse. Pro morte hominis innocentis, pro vita
quinquennio †denique† constituit absentiam.
mihi prius clementia quam iustitia constituisse.
Pro morte hominis innocentis [pro vita] quinquennio denique constituit absentiam.
249,3
necessitate praestringerent
necessitate constringerent
249,6
†Hoc in hanc non potest dici†
Hoc in hac <causa> non potest dici
249,8
Per me <non> stetit
Per me stetit
249,10
Non infitiaberis me agere coepisse. †Quid qui
agere coepit quia semel contigit num†
Non infitiaberis me agere coepisse. Quisquis
agere coepit, egit, quia semel contigit rem
249,12
†Cum igitur tecum acturus sim statim si† cum
illo iam egi
Tum igitur tecum acturus sim? <Immo> statim
<agam>, sicut cum illo iam egi
249,15
accedere ad †confessionem†
accedere ad comprehensionem
249,15
Num igitur hoc mihi dicere †potest, prius me
agere tecum non oportet†
Num igitur hoc mihi dicere potes, prius me agere
tecum? Non potes
250 th.
Duo adulescentes invicem agere coeperunt
Duo adulescentes invicem <iniuriarum> agere
coeperunt
250,4
Fecit iniuriam aliquis [ei], fecit frustra ignominioso
Fecit iniuriam aliquis et fecit frustra ignominioso
251,2
calumnia resistit
calumniae resistit
251,2
sed illud †aliquando† ut iustitia spectetur
sed illud [aliquando] ut iustitia spectetur
252,6
‘Rapuisti’ * qui dicat
‘Rapuisti’ <sed graviorem poenam ei> qui dicat
252,7
ingenia quae <ius> scripserunt?
ingenia [quae scripserunt]?
252,13
†Si credibile est quod opponitur, iam certe relictum est ut ea parte fecerit. Et hanc
tamen† partem excutiamus.
Si incredibile est quod opponitur, iam certe
relictum est ut ea pro te fecerit. Et hanc tamen
partem excutiamus.
252,20
circa causas maleficii istius †et morbi†
circa causas maleficii istius etiam moror
253,7
Satis videbitur
[Satis] videbitur
254,11
contra legem [et contra commodum suum]
contra legem est [contra commodum suum]
254,14
si hic in civitate remanere vellet. * lex quid
dicit?
si hunc in civitate remanere vellet. <Haec> lex
quid dicit?
254,18
quod fuisse dicitis eum causa inferiorem
quod false dicitis eum causa inferiorem
255,1
nihil prodesse, forsitan *
nihil prodesse, forsitan <etiam obesse>
255,4
velut magistros turpitudinis †colligeritis†
velut magistros turpitudinis colligeretis
255,9
[[†Ego istud credidi scelus: cum a singulis,
spes est; cum a paucis, spes est; cum a plurimis, iam consensi†]]
[[Ego istud credidi scelus: cum a singulis, spes
est; cum a paucis, spes est; cum a plurimis, iam
consensus]]
257,4
†immo† suadere
immo suadere
258,4
prior <signarem, * prior> rogarer
prior <signarem, sententiam prior> rogarer
Minores-vol.1.indb 40
01/07/2019 22:22:44
Appendice. Tavola sinottica
XLI
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
259,15
mendacio temptat. Quare non omnia quare
non omnia statim simpliciter dixerimus minatur
mendacio temptat, <et> quare non omnia statim
simpliciter dixerimus minatur
259,16
†Nostra† tamen
Nobis tamen
259,22
†Relinquam nec dico pauperem; nam in matrimonio quidem filiae quod solebat nocere†
Te auctore nupsit, te hortante nupsit
Relinquat haec, dico, pauperem? Nam in matrimonio quidem filiae quod solet <non> nocere, te
auctore nupsit, te hortante nupsit
259,23
†Totum est enim in eodem†
[Totum est enim in eodem]
260,1
propter aliquam †alioqui† vitae
propter aliquam [alioqui] vitae
260,23
nam †quoque†
vos quoque
260,28
si credetis
si creditis
261,3
ut sit de aequalitate patrimoniorum, idem
census omnibus detur
ut [sit de aequalitate patrimoniorum] idem
census omnibus detur
263,1
permittit †lex† et hoc dicere
permittit res et hoc dicere
263,11
Idem tempus est
<Non> idem tempus est
264,3
qui sibi contra testamentum vindicant merita
proferri
qui sibi <bona> contra testamentum vindicant
merita proferri
265,5
in exemptione
in exceptione
266,9
Non sit pro me
Non est pro me
267,5
simulatione quadam †alteea† quae praeterierunt obliqua malignitate obicere conetur
simulatione quadam <utatur>, aut ea quae praeterierunt obliqua malignitate obicere conetur
267,5
hoc †animo tota mente† inhaerebit
hoc <toto> animo, tota mente inhaerebit
268,3
nulla <res>
nulla <ars>
269,6
[[Mutasti animum post istud tormentum]]
Mutasti animum post istud tormentum
270,13
optio in causa mortis est
optio [in] causa mortis est
270,22
quid factura esset <in> iniuria sua
quid factura esset iniuria sua
271,5
†si† ex nostra libertate argumenta
illa ex nostra libertate argumenta
271,14
non †inde† ceciderunt
non timide ceciderunt
272,2
Cetera vero †controversiae† maiorem cumulum habent
Cetera vero [controversiae] maiorem cumulum
habent
272,8
hac causa <mulier> egressa
hac causa egressa
272,13
in visceribus ipsius urbis
in visceribus ipsis urbis
273,8
Rationem, ut opinor, †deponeres†
Rationem, ut opinor, deponeres
273,11
†idem es reus a quo fui repetiturus si quid
tamquam sponsor solvissem†
id est eum a quo fui repetiturus si quid tamquam
sponsor solvissem
274,6
esse contraria †lex huic† videretur
esse contraria lex haec videretur
274,10
adversus tyranni ultionem
adversus †tyranni† ultionem
274,12
esse fato, a diis inmortalibus
esse <a> fato, a diis inmortalibus
Minores-vol.1.indb 41
01/07/2019 22:22:44
Introduzione
XLII
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
275,6
Nec enim persuaderi cuiquam potest
Numquam persuaderi cuiquam poterit
276,4
posset opponi †vel† electioni
posset opponi [vel] electioni
278,5
non tantum †natura et illo initio† continentur
non tantum natura et illo initio continentur
279,18
tu huic irasceris
[tu] huic irasceris
279,19
dum †repetitur†
dum recipitur
280,1
causa illius nihil habet †firmius quam sit
aliena†
causa illius nihil habet firmius quam sit aliena
280,3
in prima parte ponenda sit †quae a me supra
constituta est†
in prima parte ponenda sit [quae a me supra
constituta est]
280,4
proximum esse manifestum est [nihil ultra
proximum ius sit]
[proximum esse manifestum est] nihil ultra
proximum ius sit
280,8
Et †idcirco† iam
Et id [circo] iam
280,11
obstare [nihil hoc loco] putat ius
obstare nihil hoc loco putat ius
286,10
Si ullus in te pudor est: maritus fuerat
Si ullus in te pudor est *: maritus fuerat
288,1
Non mittetur autem in exilium <nisi>
suspectus
Non mittetur autem in exilium suspectus
288,3
convenerant †tyranno priore†
convenerant <a> tyranno priore
288,4
Nihil cogitasti: timeo dum innocens es
Nihil cogitasti? Timeo dum innocens es
289,7
[[si qua ego divinatione colligere potuissem
utique periturum si non reddidissem]]
si qua ego divinatione colligere potuissem utique
periturum si non reddidissem
290,2
ut me †putem diu fecisse† abdicatum. Illa
<non> narrabo
ut me putetis †diu fecisse† abdicatum illa narrabo
292,4
[Illud enim est tempus doloris]
Illud enim est tempus doloris
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LE DECLAMATIONES MINORES:
FUNZIONE E TRADIZIONE DI UN LIBRO DI SCUOLA
1. Demonstranda via est: un manuale pratico di declamazione
Le Declamazioni minori, attribuite dalla tradizione a Quintiliano, sono un
libro di scuola, un testo destinato alle antiche scuole di retorica e finalizzato
ad allenare gli studenti all’esercizio più difficile tra quelli previsti dal loro per
corso di formazione, ovvero la declamazione. Declamare significava recitare ad
alta voce un discorso in classe, davanti al maestro e ai compagni 1, e costituiva
l’ultimo e più complesso passaggio prima di accedere all’attività forense. La
declamazione di scuola sollecitava così lo studente a recuperare, per integrarli
in una composizione complessa, gli esercizi più semplici, appresi nelle fasi precedenti della formazione: i progymnasmata, che potevano consistere, ad esempio, nell’elaborare una descrizione (ekphrasis), nello sviluppo di una singola
argomentazione (anaskeué e kataskeué), o nell’immaginare con quali parole un
certo personaggio avrebbe commentato una determinata situazione (ethopoiia) 2.
Anche al declamatore era richiesto di immedesimarsi in un personaggio per
sostenerne il punto di vista in una situazione fittizia, che, a seconda delle sue
caratteristiche, dava luogo a due diversi tipi di discorso: la suasoria e la con
troversia. La prima tipologia, considerata più semplice, richiedeva di calarsi
in uno scenario storico (più raramente mitico) per convincere un personaggio
celebre – come Annibale o Alessandro – a prendere una decisione importante in
un momento cruciale per le sorti collettive; il futuro oratore si allenava così a
svolgere il compito di consigliere efficace, capace di orientare le deliberazioni
di un’assemblea o anche del princeps. Il secondo e più complesso esercizio,
la controversia, comportava invece uno scenario di tipo giudiziario: in questo
1
Su questo e altri aspetti della routine scolastica legata alla declamazione, si veda Stramaglia
2010 con una sintesi della bibliografia sull’argomento.
2
Su questi e altri esercizi, si veda il glossario di Berardi 2017, in part. 51-62 (anaskeué),
125-140 (ekphrasis), 154-166 (kataskeué), 154-166 (ethopoiia).
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XII
Introduzione
caso il declamatore era sollecitato ad assumere il ruolo dell’accusa o della
difesa in una causa fittizia. Le Declamazioni minori – almeno nella forma a
noi pervenuta – contengono solo questo secondo genere di discorso, del resto
decisamente prevalente anche nelle altre raccolte latine di declamazioni, e
quindi, presumibilmente, più rispondente alle esigenze degli allievi.
A parte questo punto di contatto, tuttavia, le Minores rappresentano un caso
a sé nel panorama della declamazione latina: l’impianto di questa raccolta non
trova riscontro né nell’antologia di Seneca Padre – di fatto una raccolta di brevi
pezzi di bravura di declamatori esperti, accompagnata dai commenti di quello
che potrebbe essere oggi definito un critico letterario – né negli scarni excerpta
di Calpurnio Flacco e tantomeno nell’altra e più tarda raccolta giuntaci sotto
il nome di Quintiliano, le Declamazioni maggiori, diciannove controversie
interamente svolte e prive di corredo didattico.
Le Declamazioni minori consistono invece in 145 testi – quello che resta
degli originari 338 –, ognuno dei quali si incentra su un tema di declamazione 3,
ossia il breve testo narrativo (thema secondo la terminologia impiegata nella
raccolta) che riepiloga la situazione conflittuale rispetto alla quale occorre
prendere posizione per svolgere il discorso di parte. Il thema è tipicamente
preceduto da un titolo 4 e seguito (anche se non sempre) dal suo svolgimento;
inoltre è spesso accompagnato da un sermo, ossia da una sintetica spiegazione
del maestro di retorica 5. Spetta a Michael Winterbottom il merito di aver dato il
giusto rilievo alla peculiarità di questa struttura 6, che riproduce una pratica ben
nota alla riflessione antica – quella che consiste nel ‘far vedere’ (demonstrare)
come si applica concretamente una tecnica 7 – e impiegata in diversi campi del
3
Sul thema (o argumentum) si vedano Questa 1984, 40-43 (per la somiglianza, sul piano
pragmatico e formale, tra i themata e le narrationes dei prologhi comici), van Mal-Maeder 2007,
8-24 (il tema come paratesto), Pianezzola 2007, 257 s. e quindi Pasetti 2015, 162-164 (per il tema
come microtesto narrativo).
4
Ancora poco chiara l’origine dei titoli: come nota Dingel (1988, 17-20), di alcuni, ad es.
quelli già presenti nell’Institutio, è ben documentata la circolazione nella scuola; non si può pertanto escludere che, almeno in certi casi, i titoli risalgano all’autore delle Minores; potrebbero
poi essere stati integrati e/o manipolati in seguito, quando le Minores furono trascritte assieme
alla raccolta di Seneca Padre e agli Excerpta di Calpurnio Flacco: a quel punto i titoli, che nella
circolazione orale avevano un’importanza relativa, divennero necessari per agevolare la fruizione
dei testi attraverso la lettura, come rileva Imber 1997, 113.
5
‘Spiegazione’ è la parola che abbiamo scelto per rendere sermo nella nostra traduzione.
Sulle diverse funzioni del sermo, che può mancare, anticipare la declamatio, seguirla, o anche
sostituirla, rinvio a Dingel 1988, 12 s.; Winterbottom 2018, 74 produce dati precisi sulla casistica:
«in 58 of these [145 declamations] (40%) there is declamatio but no sermo; in 13 (9%) there is
sermo but no declamatio. Where a single sermo is present it most often precedes declamatio (36
cases, 25%). In 7 cases (nearly 5%) a single sermo follows declamatio».
6
Winterbottom 1984, xi.
7
Un’interessante panoramica sul demonstrare, che coinvolge anche la prosa tecnica (ma
senza riferimenti specifici al nostro testo), nella raccolta di saggi curata da ArmisenMarchetti
2005. Quintiliano stesso utilizza demonstro in riferimento al maestro che ‘fa vedere’ ai suoi allievi
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XIII
sapere, ma, almeno per quanto riguarda la didattica della declamazione, priva di
riscontri immediati nella manualistica retorica a noi pervenuta, specialmente sul
versante latino. Un termine di confronto particolarmente calzante, individuato
dallo stesso Winterbottom 8, è costituito dal trattato Quaestionum divisiones
del retore greco Sopatro: si tratta, anche in questo caso, di una raccolta di
temi declamatori seguiti da uno svolgimento in cui si alternano indicazioni di
carattere teorico ed esempi di discorso. L’opera di Sopatro, tuttavia, si distingue
per una notevole cura dei dettagli e per lo sfoggio di numerosi termini tecnici:
in sintesi, presenta le caratteristiche di un manuale scritto da un professionista
per un pubblico di persone competenti 9.
Ben diverse le caratteristiche formali delle Declamationes minores, che
lasciano non di rado spiazzato il lettore per la presenza di brachilogie, salti
logici, o, all’opposto, ripetizioni apparentemente poco funzionali. Questa informalità sembrerebbe accomunare la raccolta pseudo-quintilianea a due testi papiracei segnalati, più di recente, da Antonio Stramaglia 10: il primo, databile al I
sec. d.C., contiene un’intera declamazione con due brevi inserti di commento 11;
l’altro, del secolo successivo, è composto di tre frammenti, uno dei quali
inedito, e contiene alcuni temi declamatori pure corredati da brevi riflessioni
metaretoriche 12. Le caratteristiche materiali e formali del primo papiro lasciano
supporre che si tratti di appunti presi per uso privato da un retore 13, e anche il
secondo testo sembra compatibile con questa destinazione.
Per quanto riguarda le Minores, le asperità formali in passato hanno indotto
a credere che all’opera sia mancata un’accurata revisione: da qui la supposi-
come si declama: (2,6,2) plus proderit demonstrasse rectam protinus viam (sc. declamandi) quam
revocare ab errore iam lapsos. Ma il verbo è impiegato nella stessa accezione anche dal maestro
delle Minores, che si rivolge ai suoi allievi: 247,1 demonstranda vobis est via.
8
Cf. Winterbottom 1984, xi e 2018, 73 e n. 1; meno stringente il confronto con Coricio
di Gaza (Ibid., xi-xii), le cui declamazioni sono spesso accompagnate da commenti preliminari
(protheoriai), attestati peraltro anche per alcuni discorsi di Libanio, Imerio e Temistio. In questi
casi tuttavia il contesto cambia: Coricio si esibisce nella declamazione per un pubblico non di soli
studenti, condividendo con gli ascoltatori opinioni personali sui temi e sui personaggi del discorso
(Penella 2009, 13-16).
9
Sul manuale di Sopatro, si vedano anche Stramaglia 2010, 145-147; 149-151 e soprattutto
Maggiorini 2012, in particolare 25-41; l’opera di Sopatro è chiaramente concepita per il pubblico
della scuola, ma, a differenza delle Minores non lascia il minimo spazio all’implicito ed è pensata
per essere fruita in autonomia da un lettore esperto, a cui anche il momento ‘applicativo’ viene
illustrato in tutti i dettagli.
10
Stramaglia 2016, 143, n. 103.
11
Si tratta di P. Lond. Lit. 138 = M.-P.3 2515. Una nuova edizione con commento è ora disponibile in Russo 2013.
12
PSI II 148 + P.Lond.Lit. 140 + P.Oxy.inv. 115/A [22]b (= M.-P.3 2551 + 2516 +ined.).
L’edizione complessiva, in corso di stampa, è curata Daniela Colomo, a cui vanno i miei ringraziaziamenti per avermi fornito preziose informazioni sullo sviluppo del suo lavoro.
13
Si vedano in proposito le osservazioni di Russo 2013, 303.
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XIV
Introduzione
zione di Ritter 14, che le Minores possano essere identificate con i duo... libri
artis rhetoricae pubblicati a nome di Quintiliano – come lui stesso riferisce
nell’Institutio (1 pr. 7) – da allievi del retore che avevano divulgato (senza
permesso) gli appunti presi alle sue lezioni. Ma la peculiare fisionomia delle
Minores si spiega assai meglio sulla base dell’ipotesi, già avanzata da Leo, ma
persuasivamente sviluppata da Winterbottom, che la raccolta sia costituita non
dagli appunti di uno o più allievi di retorica, bensì dal materiale predisposto da
un retore per tenere le sue lezioni 15: «The doublets and floating passages will
arise from the second thoughts that the Master will have added in his margins
over a long teaching career. The sermones will be the notes, to be expanded in
front of the class, on the treatment of each topic. The declamationes will be fair
copies for dictation or performance» 16.
2. Il sermo del maestro
Vale la pena di soffermarsi sui sermones, che si riferiscono a una situazione
comunicativa ben precisa: quella in cui un insegnante fornisce istruzioni ai
suoi alunni interpellandoli direttamente. Si spiega così il tratto formale più
evidente di queste sezioni del testo, ossia la frequenza e la varietà di espressioni
prescrittive (e.g. 244,5 facere oportet; 247,1 brevissime... comprehendite; 252,2
Quaeremus ergo...; 298,1 custodienda est amici persona; 328,1 necesse est nos
ab ea [sc. persona] incipere) 17. La scelta stessa del termine sermo presuppone,
del resto, che la comunicazione avvenga in praesentia dell’interlocutore: e
in effetti, come è stato notato, il maestro introduce nelle sue spiegazioni fre
quenti riferimenti alla situazione di enunciazione, lasciando intravedere la consuetudine quotidiana con una classe di giovani allievi, ascoltati e seguiti nei
loro progressi 18; da qui anche la ricorrente presenza del ‘voi’, evidentemente
riferito agli allievi della scuola di retorica. Questo elemento caratterizza fortemente la raccolta pseudoquintilianea, distinguendola sia dai testi papiracei
menzionati sopra, in cui il tratto formale è assente, sia dall’opera di Sopatro,
14
Ritter 1881, 255 s.; ulteriori riferimenti alla circolazione di questa teoria in Winterbottom
1984, xii, n. 3.
15
Leo 1960, 257 [1912, 117] pensa a hypomnemata elaborati da Quintiliano stesso per uso
personale e pubblicati dopo la sua morte: «Vielmehr waren diese ὑπομνήματα nur für den Privatgebrauch aufgezeichnet unf für diesen auch mit Nachträgen versehen worden. In umbestimmter
Zeit ist das Manuscript gefunden worden, vielleicht lange nach dem Tode des Aufzeichners in Besitz seiner Familie»; inoltre, p. 261 [120] «Ich halte es nach alledem für sehr wahrscheinlich dass
der Lehrer... in der Tat, wie die Handschriften berichten, Quintilian gewesen ist».
16
Winterbottom 1984, xiii.
17
Altri esempi in Oppliger 2016, 104.
18
Oppliger 2016 fornisce diversi esempi del riferimento alla situazione comunicativa (pp.
105 s., ad 316,1 sicut paulo ante...) e al rapporto consuetudinario con la classe (p. 106, ad 316,7
Nolo quisquam me reprehendat tamquam vobis locum non dem). Sulla possibile ambiguità di questi riferimenti, cf. Winterbottom 2018, 79 (ad 314,3).
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XV
dove invece le prescrizioni sono rivolte a un destinatario costantemente indicato
con il ‘tu’: in questo caso, dunque, come avviene tipicamente in testi tecnici
non concepiti per uso privato, il referente è il generico fruitore del manuale,
una specie di ‘destinatario interno’ pensato dal retore come il recettore ideale
dei suoi insegnamenti e dunque anche privo di una fisionomia precisa 19. Il riferimento diretto alla routine scolastica trova piuttosto riscontro in certe tipologie
di trattatistica grammaticale dove le interazioni quotidiane tra il docente e gli
allievi a lui affidati vengono evocate talora in modo spontaneo, senza essere
sottoposte a una rigorosa formalizzazione 20.
La moderna riflessione linguistica sulle diverse tipologie testuali collegate
alla necessità di comunicare contenuti tecnici può offrire qualche spunto utile
per comprendere che certe peculiarità formali dei sermones 21, spesso interpretate sulla base di categorie estetiche – come la ‘trascuratezza’ tipica degli
appunti non rivisti dall’autore per la pubblicazione – sono pienamente funzionali a comunicare contenuti tecnici in una situazione specifica. Occorre
tener conto, nel nostro caso, della relazione ‘verticale’22 che lega l’emittente
(un retore professionista) ai suoi destinatari (studenti solo parzialmente esperti
della disciplina), dell’orientamento eminentemente pratico del testo, che fornisce indicazioni per l’esecuzione di un esercizio, infine della peculiarità della
situazione in cui le indicazioni vengono fornite: lo scritto si presta a essere integrato da chi guida l’esecuzione dell’esercizio con ulteriori spiegazioni fornite
oralmente. Ne deriva un livello di astrazione relativamente basso, caratteristico
della comunicazione didattica 23, soprattutto se volta, come in questo caso,
all’applicazione, più che all’approfondimento dei concetti teorici implicati. Le
conseguenze sul piano formale non mancano; ci limitamo qui a fornire qualche
esempio di tratti formali spesso rilevati nel sermo 24, che in questo quadro possono risultare più funzionali:
– una certa economia di tecnicismi retorici: si spiegano così le rare occorrenze
di color, in contrasto, come rileva Winterbottom, con l’applicazione concreta
19
Interessanti, sotto questo aspetto, le osservazioni di Kaster 2010, 156-158 a margine del
manuale tardoantico di Pompeo: proprio l’affiorare della seconda persona singolare è il segnale
che non sempre gli insegnamenti del maestro possono essere calati direttamente nel contesto della
classe.
20
Un riscontro interessante è ancora il caso di Pompeo, su cui cf. Kaster 2010, 139-168:
particolarmente interessante il problema dell’«audience», che sembra oscillare tra gli allievi della
classe di grammatica (referenti del ‘voi’) e un destinatario più esperto, presumibilmente un inse
gnante, potenziale fruitore del manuale (referente del ‘tu’), cf. 154161; in proposito, cf. anche
Zago 2010.
21
Ad es. Roelcke 20052; sull’utilità di applicare queste categorie di analisi linguistica alla
prosa tecnica antica, si veda Langslow 2005, 288 s.
22
Per la comunicazione verticale, Roelcke 20052, 38-42.
23
Cf. Roelcke 20052.
24
Penso soprattutto al commento di Winterbottom 1984, molto accurato nella registrazione
degli elementi formali, come pure la sintesi di Winterbottom 2018.
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Introduzione
XVI
dei colores nella raccolta 25; più in generale gli astratti (la marca più tipica delle
lingue tecniche) non abbondano nel sermo: il termine tecnico più frequente
sembra essere controversia (poco meno di trenta occorrenze), che potremmo
anche considerare una ‘parola tema’; segue quaestio (circa venti), quindi
persona (una dozzina). Tra i termini meno frequenti figurano locus (4), status (2),
suasoria (2), figuratio (1). Come si è visto, l’esiguità di attestazioni non comporta
necessariamente che i concetti corrispondenti non siano implicati negli esempi
di declamatio 26; significa solo che il maestro sceglie di non metterli a fuoco nei
sermones, privilegiando altri elementi. D’altra parte diversi astratti subiscono la
concorrenza dei verbi corrispondenti, più direttamente funzionali all’‘operatività’:
troviamo così coloro (2 occorrenze) accanto a color (2), comparo (3), accanto a
comparatio (6); probo (6), accanto a probatio (1); ago (4), accanto ad actio (4).
Questo tratto, in particolare, segna la distanza rispetto al già menzionato manuale
di Sopatro, la cui sovrabbondanza di tecnicismi è chiaro indizio di una diversa
situazione comunicativa, che potrebbe essere definita ‘orizzontale’ (da esperto ad
esperto) e in absentia (il destinatario implicito è un lettore in grado di utilizzare
autonomamente il testo scritto); l’economia di tecnicismi trova invece riscontro
nei testi papiracei richiamati sopra.
– il frequente ricorso alla deissi del discorso per richiamare i concetti esposti
(247,4 <cum... > illud ‘a parentibus tradita’ non necessarium in finitione uxoris
sit) o anche esemplificati nella declamatio, quando il sermo segue un esempio di
declamazione appena svolto (271,10 Post haec dicemus...; 273,13 Haec de iure;
illa iam de circumscriptione huius sponsoris; 308,16 Hoc ad verba legis, illud
ad voluntatem); il ricorso a questo tipo di deissi, che sul piano dello stile può
apparire un segno di scarsa eleganza, rientra nella logica della dimostrazione
pratica e – proprio come il ricorso alle forme verbali – consente di economizzare
i tecnicismi astratti.
– l’organizzazione dei precetti in elenchi, anche piuttosto lunghi: l’effetto è
una chiara scansione della successione e della gerarchia delle operazioni da compiere (ad es. 266,1-4 initia communia habet controversia… Secuntur et illa…
Secunda illa quaestio est… Deinde comparabimus… Postea veniemus ad id…
Insequetur denique illud… Illud <quoque> quaeramus…; 270,4-5 dicemus…
Deinde dicemus… Subiungemus… Sequitur… Post haec licebit…). Notevole la
tendenza a enfatizzare le conclusioni, sia all’interno di un singolo sermo (249,1
Summum quod in omnibus controversiis est, utrum aequius sit; 255,1 Summum:
illud propter quod lex fertur periculosum esse), sia nella sequenza dei sermones
che, nella trattazione di un singolo tema declamatorio, si alternano con esempi
25
Winterbottom 2018, 77 s.
Se accenni alla teoria degli status affiorano solo in corrispondenza delle occorrenze del
termine (320,1-2), come osserva Winterbottom 2018, 71, n. 3, nella pratica la casistica degli status
esplorata nel libro VII dell’Institutio è ampiamente messa in pratica nelle declamationes; considerazioni analoghe sono possibili per i colores e i loci, cf. Winterbottom 2018, rispettivamente 77 e 82.
26
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XVII
di declamatio per puntualizzare via via i problemi da affrontare (299,1 Ultima...
qualitas, in qua totius controversiae vires sunt; 374,7 Ultimae partes aequitatis;
376,6 Ultima comparatio puellarum).
– la ripetizione enfatica delle istruzioni, che qualificano l’orientamento appli
cativo del sermo: abbondano così anafore ed epifore incentrate sulle formule
prescrittive, ad es. 247,1 videte quid utraque pars velit, quid utraque pars dicat;
266,6 Dicemus hoc esse pro nobis, dicemus hoc esse pro re publica; 280,1 Nam
primum omnium dicendum est ei adversus socerum; deinde ita dicendum...;
338,2 prima parte efficimus ut omnia audiat iudex, summa parte efficimus ut
meminerit eorum quae audierit.
– la tendenza all’ellissi ‘del risparmio’27, una caratteristica evidente anche nei
temi declamatori: l’omissione di strutture ricorrenti e quindi facilmente deducibili senza compromettere l’efficacia della comunicazione consente di mettere
immediatamente a fuoco gli elementi rilevanti. Un caso tipico, diffuso in tutta
la raccolta, è la soppressione degli elementi introduttivi delle quaestiones: ad
es. il tipo An semper cum adultero prius agere necesse sit. An hic egerit... An....
(249,1), a fronte del tipo Quaestiones illae sunt: an... an.... (281,1) 28.
Nonostante queste caratteristiche ricorrano nella maggior parte dei sermones,
la loro distribuzione non è sempre omogenea. Un caso limite 29 è senz’altro il
sermo della Minor 338: particolarmente ampio (§§ 1-7) 30, sviluppa una riflessione sul proemio e sull’epilogo dall’andamento insolitamente espositivo;
sul piano formale spicca qui un raro esempio di anafora funzionale a enfatizzare
l’enunciazione 31, e non la prescrizione (338,1 Prohoemium propriam formam,
propriam legem, proprium modum habet); si nota inoltre un’insolita densità di
tecnicismi 32. Il passo, dunque, produce una sintesi della doctrina quintilianea
che eccede i limiti delle secche indicazioni date di norma nel sermo; potrebbe
trattarsi, secondo Winterbottom, di una ‘scheda’, uno strumento di servizio
destinato a sostituire la consultazione dell’Institutio 33. In ogni caso, come è stato ben chiarito da Dingel, anche questo sermo rimane saldamente agganciato
alla sua declamatio; gli elementi prescrittivi non mancano e provvedono anzi a
‘curvare’ la teoria esposta nell’Institutio in funzione dell’esercizio 34.
27
Su questa caratteristica propria del sermo (ossia della comunicazione diretta) in quanto
tale, osservazioni interessanti già in Hofmann 20033, 135, n. 1 a proposito della lingua d’uso.
28
L’oscillazione è spesso rilevata in Winterbottom 1984.
29
Evidenziato da Dingel 1988 e Winterbottom 2018, 77-79.
30
Su un centinaio di sermones, solo una quindicina superano la misura media di 1/2 paragrafi.
31
Notato da Winterbottom 2018, 77.
32
Tra cui i termini chiave prohoemium ed epilogus, attestati solo qui nella raccolta.
33
Cf. Winterbottom 2018, 78 «Perhaps... what we have here is a ‘handout’ preserved for
future reference, as a substitute for consultation of multiple places of the enormous Institutio»; da
qui l’ipotesi (Ibid.) che l’opera comprendesse in origine ‘schede’ analoghe riguardanti le partes
orationis o la narratio.
34
Dingel 1988, 36 s. sottolinea come il maestro selezioni quegli aspetti della teoria quinti-
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XVIII
Introduzione
All’estremo opposto collocherei quei sermones (particolarmente concentrati
nella sezione 351-361) in cui ogni riferimento teorico-enunciativo viene meno,
tanto da comportare una totale assenza di tecnicisimi retorici. Il maestro si limita
infatti a riassumere, in forma indiretta, quello che dovrebbero sostenere una o
entrambe le parti in causa 35, giungendo a sintetizzare, in certi casi, l’ossatura
dell’intera declamazione: ad es. 351,1 Exulem illum... dicemus... fuisse civem
seditiosum; 352,1 Divitem hunc dicemus natum honesta domo...; 354,1 Dicet
haec mulier iuvenem illum numquam sibi placuisse... Talora l’indicazione dei
punti da trattare è così aderente alla struttura del discorso da rendere superflua
una declamatio che ne esemplifichi l’espansione 36. Questa stringata esposizione
degli argomenti presenta punti di contatto con il già menzionato papiro londinese, che contiene, con ogni probabilità, gli appunti di un maestro: la copia di
una declamazione in cui sono integrate due brevi e semplici spiegazioni degli
argomenti impiegati. Nel papiro, tuttavia, vengono meno anche le prescrizioni
– un elemento che sembrerebbe confermare l’ipotesi degli appunti presi per uso
personale 37 – che invece non mancano mai nei nostri sermones (dicemus, dicet,
necesse est), benché siano ridotte al minimo rispetto ad altri casi: per rendersene
conto è sufficiente confrontare le formule prescrittive che, in alcuni sermones
dello stesso tipo, sollecitano l’applicazione di un color (353,1 Petitor necesse est
infamet dispensatorem suum...) 38, con le indicazioni più esplicite fornite altrove
dal maestro allo stesso scopo (285,1 Colorate: ‘Adfert quidem iste tale patro
cinium...’ ). Se ne può dedurre che la diversità delle ‘consegne’ corrisponda a
due momenti diversi del percorso didattico: nella fase più avanzata l’allievo
non va più guidato passo passo nell’applicare il color, ma è ormai in grado di
sviluppare autonomamente il suggerimento fornito dal maestro in forma indiretta. È dunque possibile cogliere, almeno da questo esempio, una tendenza a
proporre esercizi via via più complessi.
lianea che sono più rilevanti per la declamatio; il sermo diviene dunque «die Reduktion der allgemeinen Theorie auf die besonderen Bedürfnisse der Deklamation».
35
I sermones 355 e 360 presentano elementi che si riferiscono a entrambe le partes (cf.
360,3, una controversia tra suocera e nuora: Circumscriptam se nurus queretur... Contra illa [sc.
socrus] dicet...), mentre in 361 i discorsi delle due parti sono distribuiti tra declamatio (361,1) e
sermo (361,2). In generale, nelle Minores, l’opposizione tra le due partes non è in primo piano:
il fatto che nelle Minores vengano dati solo pochi esempi di pars altera è in linea con la dottrina
quintilianea, come osserva Dingel 1988, 13-16; inoltre, i casi in cui si dà spazio alla trattazione in
utraque parte sembrano trovare una giustificazione essenzialmente didattica: si veda in proposito
Dimatteo 2019.
36
I sermones di 354-358 e 362 sono privi declamatio; 351 presenta una declamatio molto
ridotta rispetto al sermo.
37
La destinazione privata spiega anche l’economia di tecnicismi: in P. Lond. Lit. 1381 i
termini metaretorici, pur non del tutto assenti, sono ridotti all’osso: cf. col. III 89 τὰ μ(ὲν) ἄλλα
κεφαλάια φανερὰ... δὲ τ[ὸ] κατασκευ[α]ζόμενον τοῦτο e 2427 e Russo 2013, 311 s. ad loc.
38
L’alternanza tra discorso diretto e indiretto nei sermones sui colores è messa a fuoco da
Winterbottom 2018, 76 s.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XIX
3. Declamatio e sermo
L’orientamento applicativo dei sermones non manca di influenzare le decla
mationes, che pure, in quanto esempi di discorso destinati ad essere memorizzati
e imitati, presentano mediamente una struttura più articolata e una forma più
vicina agli standard della prosa letteraria, come avremo modo di vedere in
seguito.
Va innanzitutto notato che non sempre il confine tra sermo e declamatio è
netto: non mancano casi in cui porzioni di testo che i titoli forniti dai manoscritti
assegnano alla declamatio sembrano sconfinare nel sermo; più raramente accade
l’opposto 39. La difficoltà a distinguere con sicurezza 40 le due sezioni deriva dal
fatto che l’esempio di discorso proposto dal maestro è di norma modellato sul
sermo, nella logica della demonstratio: in genere «sermo and declamatio work
hand in hand», per usare una felice espressione di Winterbottom 41, e dunque la
declamatio non solo sviluppa le quaestiones indicate nel sermo, ma esibisce
anche frequenti riprese ‘anaforiche’ dei termini impiegati per indicarle 42.
Anche al di là della corrispondenza con il sermo, nelle declamationes
abbondano riferimenti ai concetti e ai procedimenti che erano oggetto di insegnamento nelle scuole di retorica 43: non è dunque raro che il maestro faccia
capolino dietro la maschera del ‘declamatore fittizio’ – il personaggio che
sostiene il suo discorso di parte nella controversia 44 – per segnalare agli allievi
come sta per essere declinato, nel concreto, qualche specifico elemento della
sua doctrina. Particolarmente frequenti sono i richiami alla divisio (e.g. 269,1
Scio hunc esse ordinem probationis, ut primum ostendam...; 319,1 Antequam
criminum facimus comparationem, sic agere possum...; 345,2 Viderimus ergo
quae sit comparatio utriusque meritorum); numerosi sono anche riferimenti
allo status su cui è impostata l’argomentazione: spesso il maestro-declamatore
mette in bella evidenza i problemi di definizione (e.g. 270,7 Ne existimetis
veram illam esse finitionem qua pars diversa complectitur; 320,10 Sane enim
feramus hanc tuam finitionem…), oppure sottolinea il conflitto tra scriptum e
voluntas della legge (e.g. 249,8 Nunc egi cum adultero, aut, qui contentus es
sem voluntate [legis], agere volui; 254,15 Verba igitur legis pro nobis omnia;
sed ad interpretationem voluntatis vocamur); non mancano neppure richiami
all’actio, con la segnalazione (in genere tramite deissi) delle lacrime o dei gesti
39
Un caso piuttosto evidente di declamatio ‘scivolata’ nel sermo è 342,16, su cui Winterbottom 1984, 541 ad § 15 e 2018, 75 s.; si presta a queste riflessioni anche 338,7, su cui Dingel
1988, 38.
40
Sul problema del «blurring», cf. Winterbottom 2018, 76 e, in questo volume, ad 250,8.
41
Winterbottom 2018, 75.
42
Un esempio particolarmente efficace di corrispondenza tra sermo e declamatio è la decl.
249, su cui Winterbottom 2018, 74, ma vedi anche infra, ad 289,7, dove optime partes amici custo
dissem nella declamatio corrisponde al sermo (§ 1) Custodienda est amici persona.
43
Cf. Winterbottom 1984, xvi.
44
Per la definizione di «déclamateur fictif», rinvio a van MalMaeder 2007, 4164.
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XX
Introduzione
che dovevano accompagnare la performance (267,3 Lacrimas quidem meas...;
267,9 quid argumenti istae [sc. meae] lacrimae habent? 316,12 Exigis tamen
causas lacrimarum mearum; 372,2 Fateor, iudices, fateor praecidendas fuisse
has manus), come pure del ‘tono’ da utilizzare (260,7 Haec ego fortius dixi,
quia <cetera> remissurus sum e § 21 fortius libet agere). Va poi notato il frequentissimo ricorso allo schema ‘ago tamquam’, con cui il maestro-declamatore annuncia o spiega le sue ‘mosse’45: ad esempio, in 279,10 Dixi tamquam
pro iuvene, dixi tamquam pro marito; dicendum est tamquam pro impubere,
vengono ricapitolati e segnalati, con un sintetico riferimento alle personae che
più tipicamente li utilizzano, i diversi argomenti da mettere in campo 46.
Come ha recentemente osservato Antonio Stramaglia a proposito delle
Declamationes maiores 47, una simile «segnaletica» metaretorica si può rintracciare in testi di diverse epoche, non strettamente legati alla pratica didattica e non necessariamente indirizzati a un uditorio di specialisti. In età imperiale la spiccata tendenza del retore ad esibire ‘gli strumenti del mestiere’ ci
dà modo di comprendere quanto il pubblico dei declamatori fosse ormai abituato e disponibile a cogliere riferimenti di questo tipo. Se la presenza di elementi metaretorici non è di per sé indicativa della vocazione ‘spettacolare’ o
‘scolastica’ di un testo declamatorio, possono tuttavia essere significative la
loro frequenza e la loro distribuzione 48. Nelle declamationes contenute nella
nostra raccolta questi elementi sono pervasivi e, nei discorsi non accompagnati
da sermo, svolgono un’evidente funzione sussidiaria. L’assenza del sermo viene
così compensata dalla presenza di espressioni metaretoriche particolarmente
esplicite (ad es. 267,2 Quapropter et initio actionis et per omnem orationem
nihil magis faciendum mihi esse intellego quam ut invocem publicam fidem;
257,13 Itaque intellego mihi… non in hoc tantum laborandum, ut iram
patris mitigem). Anzi, alcune di queste espressioni, particolarmente adatte a
sottolineare con forza i passaggi salienti della divisio, si trovano esclusivamente
nelle declamationes sprovviste di sermo 49. Solo qualche esempio: videamus
nunc (248,4 Videamus nunc an huic... reverti… liceat; 9 Videamus nunc quam
rationem secuta sit lex…; 258,6 Videamus nunc ecquis fuerit) e transeamus
45
Cf. ad 244,3; lo schema è frequente anche nella raccolta di Seneca Padre, ma nelle Minores
diventa pervasivo.
46
Il declamatore sfrutta, evidentemente, la ‘metonimia delle partes’ (Pasetti 2016, 143-148),
per cui ogni tipologia di personaggio evoca immediatamente alla memoria del pubblico comportamenti e conflitti tipici, con le relative argomentazioni pro e contro.
47
Cf. Stramaglia 2016 passim.
48
Il confine tra declamazione ‘spettacolare’ e declamazione ‘di scuola’ è senz’altro labile,
come osserva Stramaglia 2016, 21 s., ma non inesistente; è vero che i due tipi di performance
erano prodotti dalle stesse persone (i maestri e i loro allievi), erano elaborati in modo molto simile
per argomenti e struttura e proposti spesso allo stesso pubblico, ma le finalità (e la relativa pragmatica) erano diverse.
49
Oppure in declamazioni con sermo non pertinente alla divisio, come la 344.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXI
ad (268,16 16 Haec de philosopho dixisse satis est: transeamus ad oratorem;
304,2 Hactenus de personis: transeamus ad optionem; 344,3 Hac parte finita et
constituta, transeamus ad eam quae reliqua est, ut ostendam esse maleficium);
obicio, per rimarcare l’argomento di accusa (291,3; 373,1; 298,9; 319,1):
notevole soprattutto la decl. 296, dove la ripetizione di obicio scandisce una serie
di argomenti successivi (§ 2 Obicio tibi quod fratrem intra fines invitasti; § 4
Obicio tibi quod adhibueris cenae tertium… Obicio quod parasitum potissimum
adhibueris; § 6 Obicio tibi occidendi fratris consilium).
4. Paradigmi retorici, letterari, linguistici
La teoria retorica a cui fa riferimento il ricco apparato didascalico delle
Minores è indiscutibilmente quella esposta nell’Institutio quintilianea, come
risulta dalla documentazione già prodotta da Winterbottom e da Dingel 50. La
convergenza è tale che le Minores possono essere considerate una sorta di ‘eser
ciziario’ costruito appositamente per indurre il giovane declamatore ad applicare
i precetti contenuti nell’Institutio: tra i tanti esempi possibili si può menzionare
la decl. 244, in cui la declamatio segue evidentemente la falsariga di un
esempio utilizzato da Quintiliano (7,1,6-8) per spiegare come può svilupparsi il
dibattito tra le parti in sede giudiziaria; i diversi punti (quaestiones), affrontati
dai contendenti vengono efficacemente richiamati da Quintiliano in forma
dialogica: «‘Hai ucciso una persona’, ‘Sì... è legittimo uccidere due adulteri’....
‘Non erano adulteri’, ‘Sì che lo erano’... ‘Ma tu non potevi ucciderli: eri un
esiliato’ oppure ‘eri condannato per ignominia’» 51. Il maestro-declamatore,
calato nella parte dell’esule che, rientrato prima di aver scontato la pena, sorprende la moglie in flagrante adulterio e la uccide con l’amante, riprende punto
per punto le quaestiones quintilianee, sviluppandole nel rispetto della sequenza
e avendo cura di riportare sotto forma di sermocinatio le obiezioni della controparte.
L’Institutio è dunque costantemente implicata negli esercizi delle Minores;
non solo: sembra trattarsi dell’unico manuale di riferimento per il maestro. Una
conferma in questo senso viene dalla decl. 292, caratterizzata da una apparente
incoerenza tra sermo e declamatio; il problema in realtà risale già all’Institutio,
dove non viene messo a fuoco un caso particolare di status coniecturalis che in
50
Cf. specialmente Winterbottom 1984, xiv-xix; Dingel 1988, 2 e passim: ma già Leo 1960,
258 [1912, 117 s.], e Ritter 1881, 251 avevano evidenziato questo aspetto.
51
Riporto l’intera sequenza di Quint. 7,1,6,-8, con le parti dialogiche evidenziate: quaestio
oriebatur. Id tale est: ‘occidisti hominem’, ‘occidi’. Convenit, transeo. Rationem reddere
debet reus quare occiderit. ‘Adulterum’ inquit ‘cum adultera occidere licet’. Legem esse
certum est. Tertium iam aliquid uidendum est in quo pugna consistat. ‘Non fuerunt adulteri’:
‘fuerunt’; quaestio: de facto ambigitur, coniectura est. Interim et hoc tertium confessum est,
adulteros fuisse: ‘sed tibi’ inquit accusator ‘illos non licuit occidere: exul enim eras’ aut
‘ignominiosus’. De iure quaeritur.
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XXII
Introduzione
seguito sarà analizzato accuratamente da Ermogene 52. La mancanza di questo
concetto giustifica la difficoltà di ‘istruire’ con chiarezza il caso e rende anche
più che mai evidente la dipendenza da Quintiliano.
L’Institutio, dunque, è un implicito indispensabile per spiegare molti aspetti
strutturali dei testi che formano la raccolta; i precetti del retore affiorano ad
ogni pagina, ma la memoria di Quintiliano esercita un’evidente influenza anche
sullo stile, caratterizzato da vistose convergenze che dal recupero di lessemi e
immagini tipiche si spingono fino al ‘tic’ linguistico 53.
Accanto a Quintiliano, senz’altro la presenza dominante nella raccolta, non
mancano altri autorevoli riferimenti, prevedibilmente in linea con il canone
di letture fissato nell’Institutio; il dialogo con la tradizione letteraria, imposto
dalla stessa formazione retorica, non può non incidere sulla facies stilistica delle
declamationes. Questi specimina di discorso, pur recando, nella struttura e nel
lessico, evidenti segni della loro primaria funzione didattica 54 svolta in stretta
cooperazione con i sermones, rispetto a questi ultimi corrispondono meglio agli
standard della prosa letteraria. Un segno rivelatore – già notato da Leo 55 – è la
presenza delle clausole, che nei sermones mancano, mentre nelle declamationes
non sono rare e, per quanto è stato possibile osservare finora, corrispondono alle
tipologie più comuni in età classica 56.
La prima e più ovvia presenza è senz’altro costituita da Cicerone, la memoria
del quale appare pervasiva – in alcuni casi palesemente mediata dall’Institutio
– e leggibile a diversi livelli. Il più evidente è la superficie del testo: il maestro
declamatore sfrutta ampiamente il repertorio lessicale ciceroniano per arric-
52
Vedi in dettaglio Pasetti 2018, 131-134.
Esempi significativi già in Leo 1960, 258 [1912, 118] e passim, e in Winterbottom 1984,
xiv; per ulteriore documentazione rinvio ad 244,1 qui interrogativo, nel senso di ‘in che misura’
e non dubito con infinito al posto del quin; 249,16 honorari militiam; ad 251,5 Sed fingamus, per
introdurre un’obiezione; ad 252,2 in rerum naturam cadit ut; ad 264,1 excussa parte; ad 264,9 in
diversum trahebatur; ad 265,2 lex... scripta est ut; ad 267,8 coniectura colligi; ad 269,4 civitatis...
consensus e facient auctoritatem; ad 272,6 ire per singula; ad 276,5 ante omnia intueri; ad 276,6
hoc eo pertinet ut; ad 278,7 citra interrogationem; ad 248,2 Post tempus (senza determinazione,
nel senso, di ‘dopo un certo tempo’).
54
Un problema caratteristico legato alla tipologia del testo è rappresentato dalla presenza
di sequenze ridondanti o non ben inserite nell’ordine logico del discorso, già evidenziate da Leo
1960, 251-257 [1912, 111-117]; molto opportunamente Winterbottom 1984 ha introdotto la doppia
parentesi quadra per segnalare questi passaggi, non senza rimarcare (p. xii, n. 2) che la soggettività
gioca un ruolo importante nell’identificarli. Ripetizioni e ‘slittamenti’ sono le tracce della manipolazione del testo da parte del maestro di retorica nel corso degli anni di insegnamento, come
osserva Winterbottom 1984, xiii: «The doublets and floating passages will arise from the second
thoughts that the Master will have added in his margins over a long teaching career».
55
Leo 1960, 248 [1912, 110].
56
Mancano studi specifici sulle clausole nelle Minores; dalle osservazioni sparse nel commento di Winterbottom 1984 e da quelle che si sono aggiunte in questo lavoro (e.g. 248,4; 249,10;
256,5; 261,31; 292,2) le clausole rientrano nello standard della prosa ciceroniana.
53
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXIII
chire l’elocutio; vengono così recuperate, con rimarchevole frequenza, coppie
sinonimiche 57, iuncturae e nessi pregnanti 58, e perfino creative forme di ingiu
ria 59. Ma Cicerone è presente anche sul piano dell’ornatus, con la ripresa di
figure trattate dal modello con particolare abilità 60, e dell’inventio: non solo il
declamatore recupera topoi già elaborati dall’oratore, ma la riflessione svilup
pata da Cicerone filosofo diviene un importante repertorio di concetti che si
prestano ad essere sfruttati per quel passaggio dal particolare al generale che gli
studenti di retorica venivano educati a compiere con l’esercizio della thesis 61.
La mediazione ciceroniana può essere facilmente individuata nella riflessione
su quaestiones di carattere generale, come il matrimonio base dello stato, il
conflitto tra utile e honestum, il principio di proprietà privata, e così via 62.
D’altra parte la memoria di Cicerone oratore costituisce, in certi casi, la
base su cui impostare un’intera declamatio. Un esempio interessante da questo
punto di vista è il riuso della Pro Caelio ciceroniana – un discorso più volte
citato nell’Institutio – nella breve e dissestata Minor 297. Come ha mostrato
Julien Pingoud, la memoria incipitaria del discorso ciceroniano (già notata da
Dingel 1988, 43 s.) non costituisce un caso isolato di imitazione, ma assume
valore ‘programmatico’ e prelude a una manipolazione più estesa e complessa
dell’orazione 63; in particolare la ben nota strategia ciceroniana di sfruttare
stereotipi di origine comica per caratterizzare le parti in causa – come è noto,
l’avversaria Clodia viene rappresentata nei panni di una meretrix mala che in
passato ha esercitato un’influenza perniciosa sul giovane e ancora immaturo
imputato – offre un appiglio consistente per affrontare un tema declamatorio
57
Coppie di sinonimi impiegate esclusivamente o tipicamente da Cicerone si trovano, e.g.,
in 249,18 (religionem et fidem); 255,10 (consulere ac prospicere); 262,9 (libidine et cupiditate);
273,3 (humanitatis et consuetudinis); 292,3 (lacrimis, squalore); cf. inoltre ad 257,5 per l’asindeto
trimembre laborum, sollicitudinum, curarum.
58
Nessi pregnanti, evocativi del contesto da cui provengono e dunque spie di una memoria
consapevole sono ad es. 246,1 Inter summa rei publicae discrimina; 256,1 incideret in meum furo
rem; 259,14 quanta... gratulatio; 257,1 expectare... facinora; 260,27 paternam animadversionem;
267,1 iuvenilis temeritatis; 268,8 schola evasisse; 271,5 argumenta repetenda; 279,1 iudicii...
summam; 292,4 tempus doloris.
59
Si veda e.g. ad 254,13 per ruinam come ipostatizzazione ingiuriosa; ad 255,4 auctores
scelerum... magistros turpitudinis (con rinvio a diversi loci ciceroniani).
60
Ad es. ad 259,12 Intellego... quam difficili ac velut scopuloso loco versetur oratio: la metafora ‘metaretorica’ viene da div. in Caec. 36; inoltre ad 279,2, per la personificazione dell’aetas.
61
Sul rapporto tra thesis e declamazione rinvio alla sintesi di Pasetti 2008, 113-117.
62
Per il concetto del matrimonio come fondamento della res publica, esposto in Cic. off.
1,54, cf. ad 249,19; per la coincidenza tra utile e honestum, a cui Cicerone perviene nel terzo libro
del De officiis, cf. ad 255,2; quanto al principio di proprietà privata, la riflessione di Cicerone è
fondamentale per la decl. 261 (il titolo stesso aequatio bonorum recupera l’accezione ciceroniana
di aequatio, nel senso di ‘equa distribuzione’ di beni materiali); anche le argomentazioni sviluppate nelle declamazioni 268 e 283, di tema filosofico, attingono ampiamente a una dossografia
mediata dalle opere filosofiche ciceroniane.
63
Pingoud 2016, in part. 184-188.
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XXIV
Introduzione
tutto incentrato sulla passata relazione tra una meretrix e un giovane, ora
divenuto eroe di guerra. Il declamatore si cala così nel ruolo dell’advocatus
della donna, e, sacrificando parzialmente il pathos declamatorio per attenersi al
tono disinvolto dell’ipotesto, manipola e rovescia i cliché messi in campo nella
Pro Caelio: così la meretrix, da mala, diviene bona, mentre al giovane, ora più
che rispettabile, viene addebitato un ingombrante passato da luxuriosus 64.
Il senso di questa operazione può essere meglio compreso se si tiene conto
della destinazione didattica della raccolta: contando sulla conoscenza che i
suoi allievi dovevano avere del discorso ciceroniano, il maestro-declamatore
introduce allusioni che non puntano a un lusus letterario fine a se stesso, ov
vero alla aemulatio di un modello eccellente; piuttosto, nella logica della de
monstratio, mirano a illustrare, con un rapido abbozzo di discorso, come mettere a frutto letture che erano parte integrante del percorso di studi: abbiamo
quindi a che fare con un tipo peculiare di intertestualità (si direbbe, ‘a vocazione
didattica’), diversa, per funzione, da quella che siamo abituati a osservare nella
tradizione letteraria, ma non meno efficace nel riattivare memorie ben sedi
mentate nel pubblico della scuola.
In modo analogo viene impostata la rilettura di Seneca figlio, presentato,
in un celebre passo dell’Institutio, come un modello non privo di rischi per
i giovani, ma complessivamente apprezzato, soprattutto per la sua riflessione
etica: multa... probanda in eo, multa etiam admiranda sunt, eligere modo
curae sit, è la conclusione di Quintiliano 65. Fedele a queste indicazioni,
il maestro-declamatore mostra una predilezione per espressioni senecane
connesse all’etica, in particolare ai temi delle emozioni e alla rappresentazione
dell’interiorità 66, e non si sottrae al riecheggiamento o alla rielaborazione di
sententiae di contenuto morale 67; ma le riprese formali evidenti a livello
microtestuale sono spesso la spia di una memoria più ampia, che si estende ad
aspetti specifici della riflessione etica senecana, a sua volta pronta – come è
noto – a recepire spunti dal mondo della declamazione. Un caso emblematico è
legato al tema del beneficium, su cui Seneca elabora una complessa riflessione
alimentata anche dall’immaginario dei declamatori: si pensi alle pagine del
64
Ho trattato di questi aspetti in Pasetti 2017, 40-43.
Quint. 10,1,131; cf. anche § 129 in philosophia parum diligens, egregius tamen vitiorum
insectator fuit. Multae in eo claraeque sententiae, multa etiam morum gratia legenda.
66
Cf. ad es. ad 259,17 cogitationem misisti; ad 260,10 pulsant frontem, riferito alla pressione
psicologica; ad 272,10 firmam solidamque mentem; ad 289,6 animum... metiri, con implicito riferimento all’insondabilità dell’animus; di sapore inequivocabilmente senecano l’immagine della
‘caduta’ dall’alto dei potenti in 267,11 ex illo fastigio descenderim (e.g. Sen. clem. 1,8,3 cum dis
tibi communis ipsa necessitas est. Nam illos quoque caelum adligatos tenet, nec magis illis de
scendere datum est quam tibi tutum; fastigio tuo adfixus es); notevole anche il valore pregnante
di alienus per esprimere l’‘estraneità’ all’etica in 251,1 alienum a bonis moribus e la perdita del
controllo sulla propria esistenza 292,5 semper alieno munere vivendum est (e.g. Sen. epist. 59,18
Quia non est alieni muneris, ne arbitrii quidem alieni est).
67
Cf. ad 290,4 luxuria intolerabile malum.
65
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXV
De beneficiis in cui si fa riferimento al procedimento fittizio dell’actio ingrati
nell’intento di mettere a fuoco il concetto dell’impossibilità etica di imporre la
gratitudine come obbligo 68. Più in generale l’andamento dialogico del trattato
comporta un confronto continuo tra punti di vista opposti sul beneficium: quello,
sostenuto dal filosofo, di un atto gratuito che ha in sé il suo valore etico e quindi
la sua ricompensa, e quello, più intuitivo e immediato dell’interlocutore fittizio,
partecipe della mentalità corrente, che esige una compensazione adeguata per
il favore concesso. Le due prospettive contrastanti che danno vita alla dialettica
senecana trovano nelle Minores uno sviluppo, per così dire, performativo: entrambe le posizioni vengono calate nel vivo del dibattito giudiziario sotto forma
di argomenti validi per sostenere le rivendicazioni opposte di chi desidera una
contropartita per il suo beneficium, o viceversa, di chi, mirando ad affermare la
natura disinteressata del suo agire, ne proclama la gratuità 69.
Come Cicerone, dunque, anche Seneca fornisce materiale utile per sviluppare
quaestiones di carattere generale 70; inoltre, non diversamente da Cicerone,
esercita la sua influenza anche su altri aspetti dell’ars retorica, più strettamente
funzionali all’esigenza di movere, ossia di rendere il pubblico partecipe delle
passioni che il declamatore simula. Se alcune orazioni di Cicerone, come si
è visto sopra, possono costitutire un valido modello per la manipolazione di
temi e motivi di provenienza comica, le tragedie di Seneca, intrise come sono
di retorica, offrono al declamatore un repertorio altrettanto ricco di stereotipi
tragici, per così dire ‘pronti per l’uso’.
La relazione privilegiata che unisce declamazione latina e tragedia, ben documentata da una ricca bibliografia recente 71, trova conferme anche nella nostra
raccolta. Senz’altro la sobrietà propria del libro di scuola affranca le Minores da
certi eccessi nel dare spazio a temi che la tradizione tragica aveva sviluppato con
particolare efficacia, ma che rischiavano di trascinare i declamatori in erba in
un mondo troppo distante dalla realtà del foro; tuttavia – nella misura ammessa
dalla didattica quintilianea 72 – nella raccolta sono comprese tematiche come la
68
Cf. Sen. benef. 3,6,7: mi limito qui a Lentano 2009, ulteriori riferimenti in Pasetti 2018,
136-139.
69
Una spia del tema è la ricorsività del sintagma senecano beneficium perdere, impiegato
in senso senecano (ossia con il presupposto che il beneficio non possa mai essere perduto, perché
trova una ricompensa nella sua stessa concessione) in 247,17; 259,10; 292,6; mentre la prospettiva
‘non senecana’ emerge in 246,2.
70
Tra i concetti sviluppati sulla scia di Seneca si possono menzionare: 253,7 (anche i malvagi
aspirano alla virtus); 257,3 (la disobbedienza giustificata in base a questioni di principio); 260,89
(la misericordia come passione nociva) e 260,16 (l’altruismo come dovere pubblico); 261,26 (la
crudelitas come approdo di un eccesso di severitas). Vanno poi segnalati, come nel caso di Cicerone, i riferimenti ai concetti filosofici diffusi nelle declamazioni 268 e 283.
71
Dopo le indagini di Casamento 2002, cf. almeno Berti 2007, 311-318, van Mal-Maeder
2007, 10-18, la sintesi di Nocchi 2015, 199-206, inoltre Valenzano 2018, sulle Minores.
72
Sulla sobrietà delle Minores, coerente con la concezione quintilianea di una declamazione
utile, ma non del tutto priva di elementi allettanti per i giovani, cf. Winterbottom 1984, xvi.
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XXVI
Introduzione
tirannide, l’incesto, il suicidio, gli oracoli, la follia e la sepoltura, che si prestano
particolarmente a essere sviluppate sulla base di paradigmi tragici. Inoltre, in certi
casi, fisionomia e pose da tragedia vengono attribuite anche ai protagonisti di
themata che esulano da quelle specifiche situazioni: ad esempio, nella Minor 312
– un caso di deposito – un soldato che si vede rifiutare la restituzione del denaro
affidato a un commilitone, spinto dallo sdegno per la rottura dei patti, giunge ad
uccidere l’amico per poi suicidarsi: la persona del depositante è evidentemente
tratteggiata sulla falsariga del personaggio di Aiace, con cui condivide, oltre al
mestiere delle armi, quel rigore morale e quella indisponibilità al compromesso 73
che sono tradizionalmente attribuiti all’eroe, specie nella sua versione tragica (in
particolare sofoclea), ampiamente recepita dalla retorica di scuola 74.
In presenza di paradigmi tragici, la traccia senecana affiora spesso, per quanto
non sia sempre semplice distinguerla dai lasciti della tradizione declamatoria da
cui Seneca stesso è profondamente influenzato. Tuttavia l’insistenza su temi che
trovano ampio sviluppo nel teatro senecano, specialmente se associata a indizi
formali, non può non attirare l’interesse dell’interprete: incrociano inevitabilmente le tragedie di Seneca il tema dell’ignorantia malorum, l’incoscienza
del male compiuto durante un accesso di follia 75, la percezione del fatum che
incombe su un intero casato causandone l’estinzione 76, la paura che assilla il
tiranno 77, la metafora dell’animi aestus 78, la prosopopea del fantasma, versione
miniaturizzata di una scena tipicamente senecana 79.
73
L’omicidio commesso in un accesso irrazionale di rabbia (§ 7 Quid fuit quod tantam ra
biem concitaret... ?), scatenato dalla violazione di veritas e fides (§ 6 Ita parum facit veritas, ita
nullum nomen est fidei?), e seguito dal suicidio, lascia pochi dubbi in proposito. Un’ulteriore traccia della sceneggiatura tragica è la presenza del motivo dell’aestus interiore, per cui infra, n. 75.
74
Si pensi solo alla fortuna retorica dell’episodio mitico dell’Armorum iudicium, su cui insiste una ricca tradizione tragica recepita anche dalla celebre versione ovidiana di met. 13,1-398
(su questa «controversia poetica», per usare le parole di Berti 2015a, si vedano almeno Casamento
2003; Berti 2015a, 44-51, Hardie 2015, 213-218); nelle Minores l’Armorum iudicium è il paradigma di riferimento per la decl. 258 (ulteriori riscontri ad loc.).
75
Ad 256,4: riecheggiamenti di Seneca tragico sono sparsi nell’intera declamazione, incentrata sul tema della follia e particolarmente influenzata dal paradigma dell’Hercules furens.
76
Ad 288,2 de fato domus nostrae, con un’eco di Sen. Phaedr. 698. Il color incentrato
sull’accanimento del destino su una famiglia è già presente nella raccolta di Seneca Padre, come
pure nella tradizione declamatoria greca (ad 288,3), ma diventa pervasivo nella tragedia senecana.
77
Ad 288,4: tema tradizionale, ma condensato da Seneca tragico in memorabili sententiae,
echeggiate nel finale della declamatio.
78
La metafora della tempesta interiore è già in Virgilio (e.g. Aen. 12,486 Heu, quid agat? Va
rio nequiquam fluctuat aestu (per ulteriori riscontri Tarrant 2012, 216), ma soprattutto viene amplificata nei drammi di Seneca, in monologhi in cui i tormentati personaggi tragici danno voce ai dubbi
e alle ansie che li divorano (cf. Sen. Ag. 131-144; Phaedr. 178-185; Medea 937-944); lo stilema è
così tipico da alimentare la ricezione senecana (Citti 2012, 111-120). Nelle Minores viene più volte
utilizzato da personaggi dotati di una fisionomia tragica: notevole, in particolare, 290,5, dove l’immagine si combina con il tema della follia e 312,8, in cui è in gioco il paradigma tragico di Aiace.
79
Ad 291,8; prosopopee simili in 299,6-7 e in 314,16.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXVII
Tutti questi elementi sono riconducibili alla dimensione epidittica, ossia a
quella capacità di affascinare il pubblico e divertirlo, che, secondo Quintiliano,
è connaturata alla declamazione non meno della sua utilità pratica 80; anche nel
nostro libro di scuola, dunque, la vocazione epidittica non è del tutto assente.
Questo aspetto è ulteriormente corroborato dalla memoria di poeti ben noti
nell’ambiente scolastico, tra cui figura, prevedibilmente, Virgilio; nelle Minores
la poesia virgiliana (in particolare l’Eneide) funge soprattutto da repertorio di
immagini cariche di pathos, che il maestro-declamatore si limita ad abbozzare
molto rapidamente. Ad esempio, nella decl. 272, ha un sapore virgiliano la
descrizione ‘in soggettiva’ del campo di battaglia, che si presenta – agli occhi di
una madre alla disperata ricerca del figlio – come un carnaio formato dai corpi
aggrovigliati dei soldati e dei loro cavalli 81, mentre, poco più avanti, la scena
della città invasa nottetempo dai nemici allude all’episodio notturno della presa
di Troia 82; anche nella decl. 291 la descrizione del fantasma – con l’aspetto
straziato di chi è stato barbaramente ucciso – incrocia ineludibili memorie
virgiliane 83. Soprattutto in passaggi pregnanti e densi di emotività Virgilio
concorre con altri poeti ad arricchire il nitor e l’incisività dell’espressione 84. In
particolare, il maestro-declamatore mostra una certa dimestichezza con Ovidio
(più volte citato nell’Institutio); il macrotesto ovidiano ricopre in effetti una du
plice funzione: da una parte costituisce un importante punto di riferimento per
lo sviluppo di paradigmi epico-tragici 85, dall’altra – in virtù della sua contiguità
con la retorica di scuola – offre un utile repertorio di formulazioni efficaci,
soprattutto legate al tema amoroso 86, e anche qualche sententia: le affermazioni
80
Cf. Quint. 2,10,9-12, con Berti 2015a, 20 s.: «la compresenza di entrambi gli aspetti [sc.
epidittico e ‘pratico’] era insita nella natura stessa del genere declamatorio, almeno per come esso
si era venuto configurando nelle scuole di retorica romane dell’età imperiale; di modo che la cura
formale e l’attenzione per la facies stilistica non vanno mai completamente disgiunte dalla valenza
didattica dell’esercizio (e viceversa)». Su questo tema, vedi sopra, n. 47.
81
Cf. ad 272,8: il rinvio più immediato è costituito da Aen. 11,633-634.
82
Cf. ad 272,13, dove somno sepultis echeggia Aen. 2,265 urbem somno vinoque sepultam.
83
Cf. ad 291,8, con il rinvio al fantasma di Ettore (Verg. Aen. 2,274-279); ma la situazione
– il giovane è stato ucciso in flagrante adulterio – e qualche spia lessicale (it ante oculos laceratus
filius) potrebbero anche ricordare l’episodio di Deifobo, ucciso da Menelao (Verg. Aen. 6,495
Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora).
84
Cf., e.g., ad 252,8 indagine cinxerunt (Verg. Aen. 4,120 indagine cingunt); 255,20 Pericula
... temptavit (Aen. 11,503; ma, senza anaptissi, il nesso temptare pericla è già lucreziano), 270,29
Horret animus recordari, refugiunt cogitationes (Verg. Aen. 2,13 animus meminisse horret luctu
que refugit).
85
Si veda la già menzionata decl. 258, una reinterpretazione declamatoria dell’Armorum
iudicium, e la 289 (Introd.), dove viene rovesciato il mito di Mirra e Cinira.
86
Diverse le espressioni mutuate dal lessico erotico ovidiano: 290,7 ante fortius tulerat rinvia
a Ov. met. 7,76 et iam fortis erat (in entrambi i casi fortis esprime la determinazione nel resistere
all’amore); 291,3 ignoscamus amori echeggia Ov. epist. 8,37 et pater ignoscet nostro... amori. Si
confrontino poi 280,13 imago poenae e Ov. met. 6,585 poenaeque in imagine tota est; 288,3 Super
vacui sunt metus e Ov. Pont. 2,7,5-6 me timor ipse malorum / saepe supervacuos cogit habere metus.
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XXVIII
Introduzione
di sapore gnomico Acrius incalescunt ignes legitimi (286,10) e Maiores habet
vires ignis qui legitimis facibus accenditur (291,5) 87 echeggiano pectora
legitimus casta momordit amor di epist. 13,30.
A proposito delle sententiae, è stata rilevata nelle Minores una presenza
moderata 88 di questo stilema, forse la più tipica espressione della declamazione
a vocazione epidittica. Indubbiamente la frequenza delle frasi ad effetto
non è paragonabile con quella della raccolta di Seneca Padre, dove, d’altra
parte, l’attenzione rivolta alle sententiae è, per così dire, programmatica. Il
maestro-declamatore si attiene, anche sotto questo aspetto, alla precettistica
quintilianea per cui l’eccesso di frasi ad effetto espone al rischio di fran
tumare l’argomentazione 89. Le sententiae, di conseguenza, vengono dosate
e soprattutto dislocate in modo da rendere ancora più evidenti certi snodi
argomentativi: non spezzano i singoli argomenti, ma li introducono, oppure,
più spesso, li concludono con una sintesi efficace e memorabile. Con questa
funzione, le sententiae sono pressoché immancabili nell’epilogo, dove
costituiscono il suggello dell’intera declamatio; ma compaiono spesso
anche nel corpo del discorso, a marcare la conclusione di singoli ‘blocchi’
di declamazione intervallati dal sermo 90. Non manca neppure il caso limite
di una declamatio costituita unicamente da una sententia, tutta incentrata
sull’antimetabole: 387,1 Duas leges habui, viri fortis et patris. Viri fortis
legem transtuli in patrem, patris in virum fortem. Esempi di efficaci
epifonemi, che spesso giocano sul paradosso, sono 248,14 Ita bene illi cessit,
quod hominem citius occidit? 306,32 Et iam in fine vita est; nec de hereditate
sollicita est: non habet filium; 327,7 At nunc expellitur et, quoniam bona fuit
noverca, nec liberos habitura est nec virum; 337,17 Vicit enim, et bene etiam
meritus de re publica habetur. Et hoc inter causas mortis est; 373,3 Ego te,
uxor, damnavi, optima feminarum: sed vindicabo; 385,8 Et illo loco dicemus
non posse illum aliquando damnum sentire, qui nullo labore tantos quaestus
faciat: invidendum illi, nisi leno esset.
Per il resto, le tipologie prevalenti sono quelle ben note alla casistica: quanto al tema, non mancano sententiae di sapore proverbiale o gnomico 91 – talora
87
Cf. il commento ad loc.
Leo 1960, 261 [1912, 120 s.], e poi Håkanson 1986, 2279; inoltre Winterbottom 2018, 77
nota l’assenza di sententia come tecnicismo retorico nel sermo del maestro.
89
La raccomandazione di non abusare della sententia va di pari passo con la riprovazione
della tendenza contemporanea a esprimersi quasi esclusivamente per sententiae: cf. Quint. 8,5, in
particolare i §§ 2, 14, 27, 31, 34.
90
Sono una trentina le declamationes interrotte da uno o più sermones, oppure seguite da
un sermo conclusivo; in circa una ventina compaiono sententiae ‘al mezzo’: 246,2; 245,3; 255,8;
259,22; 266,5; 273,12; 315,7; 328,14, 331,18; 336,11; 340,9; 342,13; 348,12; 372,8; 376,5; 383,4;
385,4; 388,15 e 31.
91
Oltre quelle già menzionate, si possono citare, e.g., 274,13 Omnis enim poena non tam ad
delictum pertinet quam ad exemplum; 281,2 Numquam mens exitu aestimanda est; 360,4 Nurus
88
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXIX
potenziate, come si è visto, dalla memoria letteraria – ma per lo più le frasi ad
effetto richiamano le circostanze particolari della controversia. Sul piano formale, vengono sfruttati gli schemi più comuni 92: particolarmente produttiva è
l’antitesi concettuale, sostenuta dalla simmetria formale (278,8 Et ut breviter
dicam, tu exposuisti, ego sustuli; 324,9 Vos de caede torquebatis, ille de sacri
legio confitebatur; 286,3 Non exigo tamen ut facias quod iubeo: peto ut facias
quod rogaverim; 371,6 De me facile est: inveniam partem. Sed tibi timeo: soles
enim periclitari), spesso in combinazione con diverse forme di ripetizione, come
l’anafora (336,14 non tantum sanguinis nos iura coniungunt: aliquid et ipsa
necessitas, aliquid et ipsa societas; 341,12 Ille vobis commendat sarcinas suas;
nos commendamus vectigalia vestra, commendamus reditus civitatis), l’epifora
(348,12 imperatoris fortasse consilium reprehendi potest, factum certe damnari
non potest), il poliptoto (278,2 si patri debetur, debet res publica; 292,2 Nec
credibile est eum pepercisse hospiti qui sibi non pepercit; 245,3 Hoc ergo fieri
potest, ut rem non potueris repetere, poenam rei petas?, dove compare anche la
figura etimologica peto/repeto); oppure incentrata sull’opposizione tra antonimi
(244,6 Ne quis autem existimet nunc adulterium unius tantum vindicandum:
<pertinet> ad exemplum totius civitatis; 287,2 Non tam reprehensione dignus est
desertor quam laude vir fortis; 370,1 Rapere enim usitatum est, subicere raptorem
novum). In altri casi, invece, la sententia amplifica un concetto, sfruttando, ancora
una volta, la simmetria (256,6 ne quis eorum morte gaudeat, ne cui prosit quod
filios meos occidi; 260,32 Duo simul adsequor, quod et liberalius et frugalius
vivo; 263,10 Fortasse isti placebit si plures inciderint in eandem sortem, in
eandem condicionem) e la ripetizione, per lo più anaforica (251,7 Nam etiamsi
non habet filium, adservavit tamen iuvenem, tamen hominem, tamen civem;
275,6 Brevis enim poena mortis est; nunc diu eget, diu male audiet; 350,12
‘Non putavi nocere, nec credidi medicis’. Adeone ignota medicinae experimenta
sunt?). Diversi epifonemi, soprattutto se collocati nell’epilogo, fanno leva
sull’apostrofe, tipicamente indirizzata all’avversario, con il consueto corredo di
ripetizioni (377,15 Sed miserere heredis, miserere viri fortis: iudicio impetrem
quod per amicos exorare non potui; 295,5 Duret ista animi tui quies: scias quibus
irascaris, scias quos ames; 313,15 Non idem de te iudices senserunt? Non omnium
sententiae? 349,13 Quid enim acturus <es> ad genua provolvendo, adhibendo
amicos, flendo in pectus meum? Insanus sum, nihil sentio. I ad illum patrem tuum;
367,5 Si perseveras in foro potius militare quam in proelio, absolutionem opto:
tolle iudicium; 372,13 Quid nunc facies? Praecides manus quae te sustulerunt?
375,6 ‘Adfui’, inquit. Alioqui abdicareris tantum? 382,5 tu iam habes praemium:
patrimonium, liberos, tyranni mortem desideratam); nelle sententiae basate
oportet a viro dotem repetat, socrus a patrimonio; 378,4 Sunt quaedam secreta, iudices, et animi
parentum imperiis vacant.
92
Una sintesi in CittiPasetti 2015, 116127, con un riepilogo dell’ulteriore bibliografia sulle
sententiae in declamazione (p. 116, n. 2).
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XXX
Introduzione
sull’apostrofe, non gioca tuttavia un ruolo significativo il cosiddetto ‘ὦstyle’,
ossia la ripetizione enfatica di allocuzioni sottolineate da ‘O’: si tratta, del resto,
di uno stilema asiano incompatibile con i sobri gusti del maestro-declamatore 93.
La persistenza della dimensione epidittica anche in una raccolta quanto mai
scolastica come le Minores può spiegare, almeno in parte, una certa frequenza di
espressioni che non compaiono altrove, oppure che fanno nella raccolta la loro
prima apparizione 94. La ricerca di un’elocutio il più possibile efficace costitui
sce un forte incentivo per l’introduzione di nessi o di iuncturae inediti e ricercati, più o meno indebitati con la tradizione letteraria. Qualche esempio 95: imago
casus (291,3 nonne tibi... cernere imaginem visus es tui casus?) indica la percezione di una somiglianza tra l’esperienza (amorosa) di un altro e la propria;
l’accezione più comune del termine (‘replica’) si combina qui con l’attivazione
di un valore psicologico che compare in Virgilio e si consolida nella letteratura
di età imperiale 96; sapientia gravior (288,2), riferito a una consapevolezza che
‘pesa’ nel profondo, condensa, rovesciandolo, il motivo tragico dell’ignorantia
malorum; officia... contumeliarum (253,21), riferito a un parassita, ha suscitato
più di un dubbio tra gli interpreti: ma, se inteso come ‘il dovere di ricevere
insulti’, recupera un motivo ben documentato in commedia, quello dell’officium
paradossale proprio di certi personaggi eticamente discutibili 97. In qualche caso
è possibile individuare con più precisione la matrice letteraria: un sintagma
inattestato, quale la costruzione di furere con in e l’ablativo con il significato di
‘impazzire d’amore per qualcuno’, è molto probabilmente modellato su quella
ovidiana di ardere in, che appare in met. 9,725 ardetque in virgine. D’altra parte,
male computas di 262,6, in senso traslato (‘non valutare correttamente una
situazione’), sembra sfruttare la metaforizzazione delle lingue tecniche tipica di
Seneca, che in effetti ricorre più volte a bene computas (sempre e solo in seconda
persona) 98.
5. La lingua giuridica nelle Minores
Il tessuto linguistico delle Minores presenta poi un altro aspetto notevole e
innovativo, che riguarda la ricezione e la rielaborazione dei tecnicismi giuridici. La facies che la lingua tecnica del diritto assume nei testi declamatori
riflette la natura ibrida e composita delle leggi di ‘Sofistopoli’, che, come è
93
Citti-Pasetti 2015, 121.
Ne ho contate una quindicina solo nelle prime 50 declamazioni raccolte in questo volume.
95
Per i dettagli rimando all’analisi dei singoli passi nel commento.
96
Cf. Gagliardi 1985, 921, in part. Aen. 6,405 Si te nulla movet tantae pietatis imago; l’accezione è frequente nella letteratura di età imperiale, tra I e II secolo, cf. ThlL VII/1, 413, 76-414, 11.
97
Cf. ad es. Plaut. Cas. 585 officium... meretricium; Pseud. 375-378 (l’officium del lenone è
spergiurare); Asin. 380 Quin tuom officium facis ergo ac fugis? (l’officium del servus è fuggire);
inoltre Titin. 48 R.3 Edepol hominis <es> ignavi functus officium.
98
Cf. ad 262,6.
94
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
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noto, inglobano elementi del ius contemporaneo, anacronismi, dispositivi di
tradizione greca, oppure del tutto inventati 99. Ma ogni invenzione è figlia della
cultura di provenienza, di cui riproduce mentalità e idee: così, gli studi più
recenti sul diritto in declamazione si sono concentrati – più che sul compito di
discernere minutamente storicità e finzione delle leges – sulla contiguità con i
mores da cui scaturisce anche il diritto storico 100.
Questo orientamento, che pone attenzione non solo alle leggi che innescano
il conflitto declamatorio (si tratta, in fondo, di dispositivi retorici, più che giu
ridici) ma al modo di ragionare e di argomentare che ne scaturisce, apre nuove
prospettive anche per l’analisi linguistica.
La lingua giuridica è all’origine di una ricca serie di tecnicismi specifici della
declamazione (altrove li ho definiti ‘paragiuridici’) 101: si pensi a espressioni
ben note come lex inscripti malefici, actio ingrati, abdicatio, che presentano
strutture lessicali e morfosintattiche (nel caso specifico il suffisso tio per
gli astratti e il genitivo ‘forense’) tipiche della lingua del diritto e facilmente
riconoscibili nella ricca terminologia declamatoria. Ma, se la lingua giuridica
esercita un potere modellizzante sul linguaggio tecnico della declamazione,
anche la declamazione, a sua volta, contribuisce ad arricchire il lessico giuridico;
ovvero, la lingua dei declamatori esercita un’influenza sul modo di esprimersi
degli esperti di diritto che, inevitabilmente, in età imperiale, si formavano nelle
scuole di retorica. In alcuni casi, dunque, la declamazione sembra rappresentare
bene quella zona di confine in cui avviene il delicato passaggio che conduce alla
trasformazione di un vocabolo in tecnicismo giuridico pienamente funzionale 102.
Proprio le Minores rivestono un particolare interesse sotto questo aspetto:
caratterizzate da un’evidente propedeuticità all’attività forense, in linea con la
prospettiva quintilianea di una declamazione prima di tutto utile, e dunque aperta
a proporre casi poco fantasiosi – incentrati sull’eredità, sul deposito o sull’iniuria
– intrattengono un rapporto particolarmente stretto con la lingua del diritto,
come conferma il confronto con le altre raccolte di testi declamatori. Un primo
tratto distintivo è la presenza di tecnicismi giuridici tout court, ben documentati
nell’uso, ma altrimenti inattestati nel corpus delle declamazioni latine 103. D’altra
99
Esempi significativi della tensione tra declamazione e diritto nella recente sintesi di Lentano 2017, 85-89.
100
Ad esempio Mantovani 2007 e 2014, Rizzelli 2014 e 2015, Lentano 2017, 89-94, con
ulteriori riferimenti.
101
Sui termini ‘paragiuridici’, cf. Pasetti 2019, in corso di stampa.
102
Sempre utili le considerazioni di Kaser 1965, 99 sulle modalità di passaggio dall’uso non
tecnico all’uso tecnico dei termini giuridici.
103
Alcuni esempi estrapolati dal commento: cadere (262,2) riferito alla causa che ‘non regge’
quando viene sollevata un’eccezione; liber (273,10) riferito a beni non gravati da oneri; venditio
(278,1), la ‘vendita di un bene’; excipio (284,2), nel senso di ‘escludere qualcuno per mancanza
di requisiti giuridici’; petitio (278,1), nel senso di actio in rem. Quanto a praescriptio (249,6 e 9;
250,2-3; 266,1 e 4), aggiungerei che l’astratto, secondo ThlL X/2, 823, 32-49, compare solo in testi
giuridici e nell’Institutio quintilianea.
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XXXII
Introduzione
parte, quando un termine giuridico è impiegato sia nelle Minores che nelle altre
raccolte, si notano talora significative differenze: se altrove il tecnicismo occorre
in senso metaforico – spesso sulla scia di precedenti ben noti nella tradizione
letteraria 104 –, oppure per innescare immagini paradossali, nelle Minores il senso
proprio tende a restare in primo piano. Un esempio è dato dal nesso hereditatem
cernere, riferito all’antica procedura della cretio hereditatis, con cui l’erede
entrava formalmente in possesso del patrimonio a lui destinato 105; il tecnicismo
compare nella Minor 261,5 is qui creverit hereditatem, dove mantiene il suo
valore proprio. Diversamente, nella Declamatio maior 12,9, p. 241,8 H., heres
cadaver cernit è utilizzato per dipingere iperbolicamente la tragica condizione
di una città devastata dalla carestia, dove i sopravvissuti farebbero valere i loro
diritti ereditari non per entrare in possesso del patrimonio dei parenti, ma del
loro corpo, da cui sperano di trarre il nutrimento necessario per prolungare la
vita: in sintesi, si ricorre al tecnicismo per potenziare retoricamente il concetto
‘ci si contende il cadavere dei parenti’.
A considerazioni analoghe si presta la locuzione manus inicere, che nelle
Minores compare solo una volta, nel tema della decl. 359, il caso di un publi
canus che confisca le perle di una matrona: Translatis (unionibus) manum
iniecit et suos dicit; si tratta inequivocabilmente di una manus iniectio attuata
per affermare il diritto di acquisire un bene materiale, con un riferimento alla
procedura per cui il gesto di appropriazione doveva essere accompagnato
dalla dichiarazione di una formula (suos dicit) 106. Tutta la controversia, come
si evince dal sermo (la declamatio manca), verte sulla legittimità di ricorrere
alla manus iniectio nelle circostanze specifiche e in presenza di una legge che
impedisce di toccare una matrona. Nelle altre raccolte, e in particolare nelle
Maiores, manus inicere ricorre spesso in senso metaforico (ad es. in 16,4, p.
323, 4 H. cui tu Fortunae, quibus necessitatibus inicis manum!); ma soprattutto,
l’espressione non è mai al centro di una discussione ‘tecnica’, volta a sondare i
limiti e le possibilità di applicazione di un dispositivo giuridico, ma risponde a
esigenze schiettamente retoriche; nelle Maiores, ad esempio, assolve spesso la
funzione di esaltare la potenza di certi legami viscerali (tipicamente quello tra
madre e figlio) che autorizzano ad ‘impossessarsi’ dell’altro. Si tratta quindi di
un impiego del termine giuridico con funzione epidittica, basato su importanti
precedenti nella tradizione poetica latina; si ricorderà Ovidio, che più di una volta
ricorre a manus inicere per presentare sub specie giuridica le rivendicazioni di
possesso dell’amans sul proprio oggetto d’amore (ad es. am. 1,4,39-40 oscula
si dederis, fiam manifestus amator / et dicam ‘mea sunt’ iniciamque manum) 107.
104
Si veda, ad esempio, la recente sintesi di Gebhardt 2009 sull’impiego dei tecnicismi giuridici nella poesia augustea.
105
La formula è ricordata da Gaio, inst. 2,166: cf. ad 261,5.
106
Anche in questo caso Gaio, inst. 4,21 riferisce la formula.
107
Per un’analisi più dettagliata delle occorrenze di manus inicere nelle Declamationes ma
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXIII
Ma l’aspetto forse più interessante e distintivo delle Minores è la presenza
di tecnicismi innovativi recepiti, talora con notevole frequenza, dalla letteratura
giuridica successiva: un termine mai attestato prima è proclamatio, che compare
in 292,2 ad indicare una dichiarazione fatta pubblicamente, nella fattispecie per
lamentare un torto subito; il lessema, ripreso più volte nelle Maiores per introdurre
lamenti e miserationes, con una funzione evidentemente epidittica, si consolida e
si specializza nei Digesta, dando vita alla locuzione proclamatio in/ad libertatem,
con cui si dichiara ufficialmente la condizione libera di una persona 108. In 278,1
contractus rappresenta una delle due occorrenze più antiche del termine (l’altra
è in Gellio) nel senso specifico di ‘convenzione che vincola le parti’, valore poi
ampiamente attestato nella letteratura giuridica 109; così anche compendium, che
occorre in 248,7 nel senso di ‘riduzione’ ‘sconto’, con riferimento a una pena,
verrà recuperato in ambito giuridico per indicare la riduzione di un compenso
precedentemente assegnato 110. Ai casi elencati si possono aggiungere diverse
espressioni destinate ad arricchire la fraseologia della letteratura giuridica: così il
sintagma conscientia criminis, la ‘consapevolezza della colpa’ fa la sua comparsa
in 249,5 ed è ripreso, ad esempio, in dig. 28,3,6,7; derigere actiones, nel senso di
‘intraprendere azioni giudiziarie’, attestato per la prima volta in 261,7 in personas
eorum… derigi actiones, diverrà un tecnicismo di uso comune 111; perire ea causa
potest, riferito all’annullamento del processo in 250,5, anticipa dig. 49,14,29 pr.
(Ulp.) perit causa; testamentum… arguunt, ‘impugnano il testamento’, in 264, th.
e § 4, torna in dig. 34,9,5 pr. (Paul.) licebit falsum arguere testamentum; lucrum
habere ‘comportare un guadagno, un vantaggio’ compare in 262,11 et sane
habeat hoc lucrum magna nequitia ed è precedentemente attestato solo una volta in Seneca in epist. 87,26 (sacrilegium) et lucrum habet, a proposito dei possibili vantaggi economici di un atto criminale: la vicinanza tematica lascia supporre
che il passo venga riecheggiato nella declamazione; il ‘rilancio’ di un’espressione
dall’evidente sapore colloquiale 112 nel contesto della controversia può aver
contribuito a traghettarla nella letteratura giuridica, dove lucrum habere occorre
più volte per indicare l’acquisizione di un vantaggio economico rilevante in sede
giudiziaria 113. Notevole anche petitrix, che compare per la prima volta nel nostro
testo (252,9), con specifico riferimento alla persona della postulante e verrà ripreso
iores, rinvio a Pasetti 2019.
108
VIR, IV/3.4, col. 1187, s.v. proclamatio, ulteriori riferimenti in Berger 1953, p. 653, s.v.
proclamare e OLD2 1615, 3, s.v. proclamatio (2). Cf. inoltre Pasetti 2019, anche per il confronto
con l’impiego del termine nelle Declamationes maiores.
109
Cf. ad 278,1.
110
Cf. ad 248,7.
111
Cf. e.g. dig. 5,4,1,3 (Ulp.) et ille quoque derigat actionem adversus exterum possessorem;
ulteriori riferimenti ad 262,7.
112
Come lucrum facio; per facio e habeo con oggetto diretto, in sostituzione di espressioni
più specifiche, cf. Hofmann 20033, 336.
113
Cf. ad 262,11.
Minores-vol.1.indb 33
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XXXIV
Introduzione
in dig. 36,1,76,1 contra petitricem pronuntiavit. Altre espressioni inconsuete, ma
destinate a diventare ricorrenti nella lingua giuridica, sono, ad esempio, quid acti
(ad 246,7); l’impiego di intervenio in combinazione di termini come lex, dolus,
causa (ad 249, 14); indubitate (ad 288,1) e l’impersonale obreptum est (ad 291,8).
6. Si tratta di Quintiliano?
«Cominciai a convincermi, con molte altre persone dotte, che, mentre erano
diffuse quelle declamazioni, false e spurie, Il Cieco, La parete imbiancata, Il
soldato di Mario (di cui [sc. Quintiliano] non ricorda mai le questioni e i temi nell’Institutio), restavano invece nascoste… quelle che erano veramente le sue, legittime e naturali» 114. Con queste parole Pierre Ayrault (Petrus Aerodius) giustificava,
nella sua Praefatio del 1563, la necessità di una nuova edizione commentata delle
Declamationes minores, che ormai dal secolo precedente circolavano in Europa
(la princeps di Taddeo Ugoleto era uscita nel 1482). Nell’affermare con sicurezza
la paternità quintilianea, Ayrault rilanciava un’opinione diffusa tra gli umanisti a
partire dalla Censura in Quintiliani declamationes di Giovanni Antonio Campani 115.
Giurista esperto – era procuratore dei re di Francia – e autore di un trattato De la
puissance paternelle, Ayrault ricorre a espressioni congeniali alla sua professione
per distinguere la diversa condizione delle Declamationes maiores – ‘sostitute’
(suppositae) della prole naturale, frutto di relazioni illegittime (adulterinae) – e
delle Minores, le sole a meritare lo status di legittimità (legitimae e naturales).
Le conclusioni a cui giunge Ayrault sono state avallate in tempi più recenti
anche da Ritter (1884, v) e da Leo (1960 [1912]), a cui si deve una lucida analisi
della funzione della raccolta, e il tentativo di ricostruire il processo che mise
in circolazione quelli che, secondo lo studioso, sono appunti (hypomnemata)
predisposti da Quintiliano.
La filologia più recente – in particolare il fondamentale contributo di Michael
Winterbottom – ha lasciato prudentemente in ombra il problema della paternità
per concentrarsi soprattutto sul difficile compito di affrontare le molte questioni
esegetiche create dai dissesti della tradizione manoscritta, ma anche dalle
peculiarità intrinseche del testo, che, come si è cercato di mostrare, è espressione
di una tipologia per cui, allo stato attuale, la tradizione non offre molti termini
di confronto. Anche questa stagione di studi, comunque, non ha fatto emergere
elementi incompatibili con l’assegnazione dell’opera a Quintiliano.
Al momento, i dubbi sulla paternità sembrano derivare soprattutto dalle peculiari condizioni della trasmissione – la circolazione manoscritta delle Mino
res è disgiunta da quella dell’Institutio – e dalla distanza formale che inevi114
Aerodius 1563, pr. ii-iii et in ea me, cum plerisque aliis doctioribus, opinione confirmare
(sc. coepi), suppositas et adulterinas esse vulgares illas Caeci, Parietis dealbati, militis Mariani
Declamationes (de quarum summis et argumentis numquam in Istitutionibus meminit) latere au
tem… quae verae illius essent, legitimae et naturales.
115
Cf. infra, pp. XXXV-XXXVI.
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXV
tabilmente separa l’articolato trattato quintilianeo – esposizione formalmente
sorvegliata della doctrina del retore – da un testo più tecnico, pensato per un uso
pratico, e per il quale, come osservava Constantin Ritter 116, il titolo più adatto
sarebbe stato Ars rhetorica.
Per quanto riguarda il presente lavoro, le informazioni raccolte nell’attività
di revisione testuale e di commento confermano che la paternità quintilianea è
un’ipotesi plausibile; come si è visto, il maestro di retorica non solo è allineato
nella sostanza con l’insegnamento di Quintiliano, al punto da riprodurne le
occasionali lacune teoriche, ma presenta un profilo intellettuale non banale.
Come si è cercato di mostrare nelle pagine precedenti, un’analisi stilistica delle
declamationes rivela la fisionomia di un più che attento lettore degli auctores
contemplati dal canone quintilianeo: dietro espressioni apparentemente insignificanti si nasconde spesso la memoria di passi ben precisi e pertinenti al tema
trattato. Si tratta, è vero, di accenni appena abbozzati, ma il mancato sviluppo
di questi elementi in una forma più ampia e articolata può essere facilmente
spiegato, come si è visto sopra, con l’orientamento applicativo di una raccolta
pensata per essere integrata dalla comunicazione orale. Un altro aspetto notevole
– quello che probabilmente più affascinava Ayrault – è la peculiare relazione
con la cultura giuridica, segnalata da un impiego calibrato e consapevole dei
tecnicismi, che, come si è visto sopra, sono raramente piegati all’uso epidittico
e risultano spesso così efficaci da essere recepiti in seguito dalla tradizione
giurisprudenziale.
7. Trasmissione ed esegesi del testo
Secondo gli studi che anche in tempi recenti hanno esplorato la tradizione
delle Declamationes minores, all’origine del processo che ci ha restituito il testo
pseudoquintilaneo c’è un libro di scuola: un’edizione allestita in età tardoantica,
che comprendeva anche l’antologia di Seneca Padre e gli excerpta di Calpurnio
Flacco. La facies di questa edizione, evidentemente destinata a circolare nelle
scuole di retorica, è ancora leggibile nei testimoni più antichi, risalenti al IX
secolo. A partire da quest’epoca è possibile ricostruire una tradizione suddivisa
in due rami: il primo è rappresentato in sostanza da un unico testimone (un
manoscritto conservato a Montpellier: A), mentre al secondo ramo vengono
ricondotti tutti gli altri manoscritti in nostro possesso e un manoscritto perduto,
di cui ci dà notizia Giovanni Antonio Campani (Campanus) nella Censura in
Quintiliani declamationes (attorno al 1470): in base alla descrizione dell’umanista, che lo definisce vetustus codex, il manoscritto conteneva 136 declamazioni, rispetto alle 145 oggi conosciute; giunto in Italia dalla Germania,
dove forse era stato trovato da Rodolfo Agricola 117, era pervenuto a Francesco
116
117
Minores-vol.1.indb 35
Ritter 1884, v.
Dettagli in Cortesi 1994, 84 e n. 12.
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XXXVI
Introduzione
Todeschini Piccolomini (poi papa Pio III). Winterbottom ritiene plausibile che
questo manoscritto perduto fosse il capostipite della seconda famiglia (il subarchetipo β ricostruibile dall’accordo dei codici umanistici B, C, D), i cui membri
contengono 136 declamazioni (da 252,13 a 338). Tuttavia, a partire dalla
scoperta di un nuovo codice di età umanistica, compiuta da Mariarosa Cortesi,
e dai recenti studi di Huelsenbeck 118, i rapporti all’interno di questo secondo
ramo risultano più complessi di quanto non apparissero a Winterbottom e anche
la collocazione del vetustus codex è stata oggetto di ripensamenti.
Al momento, tuttavia, non sono emersi elementi che consentano di superare
l’ipotesi di una tradizione bipartita; inoltre, dalle indagini fin qui condotte,
non risulta che questa ridefinizione dei rapporti – che certamente apre scenari
di grande interesse sul piano storico e culturale – abbia un impatto davvero
significativo sulla costituzione del testo. Abbiamo quindi ritenuto opportuno
attenerci all’edizione di Winterbottom 119, fornendo qui di seguito una sintetica
descrizione dei testimoni, aggiornata alla luce delle ultime acquisizioni:
– A: Montpellier, Bibliothèque Universitaire de Médecine, H 126: copiato
a Reims nella seconda metà del IX secolo, contiene anche le raccolte di Seneca
Padre e Calpurnio Flacco e riproduce chiaramente l’edizione tardoantica; sempre
al tardoantico risalgono alcuni brevi sommari presenti tra i marginalia del
manoscritto, studiati e editi da Huelsenbeck 120. Sono inoltre presenti correzioni
che Winterbottom ha riportato selettivamente in apparato (A1) 121. Ad oggi, A
è senz’altro il testimone più autorevole: l’unico a presentare la versione più
estesa della raccolta: contiene infatti 145 declamazioni (da 244 a 338). La parte
iniziale, corrispondente alla declamazione 244 è oggi illeggibile, ma poteva
ancora essere letta all’epoca di Pierre Pithou, che ne fece una trascrizione per la
sua edizione del 1580, su cui si basano gli editori moderni.
– E: Leuven, Maurits Sabbe Library, PM0001, scoperto da Michael Mc
Cormick e già noto a Winterbottom, contiene due brevi porzioni delle Minores
(le decl. 354-357 e 377-381). Da un accurato esame recentemente svolto da
Huelsenbeck 122, risulta che i due fogli che lo compongono non provengono
dall’Ovest della Germania, come aveva ipotizzato Bernhard Bischoff, ma
dal Nord-est della Francia, e sono databili al primo quarto del IX secolo. I
due fogli appartengono infatti allo stesso manoscritto di cui fa parte un altro codice frammentario (il ms. di Bamberg, Staatsbibliothek, msc. class.
45m), testimone dell’antologia di Seneca Padre, di cui lo stesso Bischoff ave
va stabilito con maggiore sicurezza provenienza e datazione. Questo mano-
118
Huelsenbeck 2019, in corso di stampa.
Winterbottom 1984, xx-xxii.
120
Huelsenbeck 2016 analizza con cura tutti i marginalia distinguendoli in 4 classi.
121
Come osserva in proposito Håkanson 1985, 648 questa selezione presenta qualche problema sul piano teorico, ma non determina conseguenze sostanziali sulla costituzione del testo.
122
Huelsenbeck 2019, in corso di stampa.
119
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Le Declamationes Minores: funzione e tradizione
XXXVII
scritto (ζ), in gran parte perduto, sarebbe dunque la copia più antica dell’antico libro di scuola che riuniva le raccolte di Quintiliano, Seneca e Calpurnio
Flacco. Dal confronto di E con A e β emergono due ipotesi, già contemplate
da Winterbottom: 1) ζ è il padre di β; 2) i manoscritti sono fratelli, che discendono dall’archetipo attraverso un intermediario comune. In questo quadro,
osserva Huelsenbeck, non si può nemmeno escludere che ζ sia il vetustus
codex descritto da Campano.
Gli altri manoscritti del secondo ramo sono di età umanistica e iniziano tutti
da decl. 252,13:
– B: München, Staatsbibliothek Clm 309, precedente il 1494 perché fu
utilizzato da Taddeo Ugoleto per l’editio princeps pubblicata in quell’anno.
– C: Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Chig. lat. H VIII 261,
databile tra il 1465 e il 1480.
– D: Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Pal. lat. 1558, copiato tra
la fine del XV e l’inizio del XVI sec.; Winterbottom 123, a cui si deve una puntuale
analisi del manoscritto, distingue diversi interventi di correzione, alcuni dei
quali riportano varianti (Dv), altri (D2), secondo lo studioso, derivano da attività
congetturale. Il rapporto di D con il gruppo β è in effetti problematico: benché
tutti e tre i manoscritti presentino considerevoli punti di contatto, D potrebbe
anche essere un testimone indipendente da β.
– M 124: Augsburg, Staats- und Stadtbibliothek 2° Cod. 114, individuato da
Mariarosa Cortesi nel 1981 e descritto in un saggio del 1994 125; la studiosa
ha stabilito che M, databile al 1470 (20 anni circa prima di D), apparteneva
all’umanista Johann Mendel, il quale, per rimediare ai numerosi errori del
copista, lo annotò e lo corresse confrontandolo con un altro esemplare; sulla base
della collazione condotta sia sull’edizione di Winterbottom, sia in particolare su
D, Cortesi conclude che i due manoscritti «presentano coincidenze tali da far
pensare a un altro ramo all’interno della famiglia β» 126.
A titolo puramente esemplificativo, riporto in calce due diverse ipotesi di
stemma che tengono conto delle questioni ancora aperte all’interno della discendenza di β: questioni che potranno essere affrontate nel modo migliore solo
esaminando nel suo complesso la tradizione delle tre raccolte comprese nell’antico libro di scuola 127.
123
Winterbottom 1984, xxi-xxii.
Il siglum M è stato introdotto da Cortesi (1994, 87, n.20) con riferimento al possessore del
ms., Johann Mendel; tuttavia, come nota Bart Huelsenbeck per litteras, tale denominazione crea
confusione per chi studia la tradizione complessiva del corpus declamatorio comprensivo delle
Minores e delle raccolte di Calpurnio e di Seneca Padre, perché M è già utilizzato dagli editori di
Seneca Padre per indicare il Montepessulanus H 126.
125
Cortesi 1994, 86, nn. 18 e 19.
126
Cortesi 1994, 95.
127
Bart Huelsenbeck, per litteras, ricorda che, dall’analisi della tradizione degli Excerpta di
Calpurnio Flacco compiuta da Håkanson 1978, B appare più vicino a β di quanto non lo sia C.
124
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Introduzione
XXXVIII
ω
ω
ζ
A
ζ
β
β
A
B
B
C
D
M
C
D
M
La diffusione delle Minores in età umanistica conosce una svolta con l’editio
princeps del 1482, che apre la strada ad alcune importanti edizioni. Oltre a
documentare l’interesse che l’opera destava nelle élites europee tra il XVI e
il XVIII secolo, queste opere offrono spesso importanti contributi esegetici;
già richiamate e descritte nell’Introduzione di Michael Winterbottom 128, tali
edizioni sono state importanti anche per il nostro lavoro, come pure quelle, più
recenti, di Ritter 1884 e di Shackleton Bailey 1989 e 2006.
Ma il testo qui proposto si basa sull’edizione che abbiamo ritenuto, tra tutte,
più affidabile 129: quella di Michael Winterbottom, a cui rinviamo per la consultazione dell’apparato critico e da cui abbiamo mutuato anche la convenzione della doppia parentesi quadra per segnalare quei passi che appaiono poco
congruenti o malamente dislocati, ma che, trovando una ragion d’essere nella
peculiare natura delle Minores, vanno conservati. Rispetto al testo di Winterbottom, la riflessione condotta negli ultimi anni ci ha indotti a introdurre diversi
cambiamenti, discussi di volta in volta nel commento, anche con l’aiuto dello
stesso Winterbottom 130. Le divergenze riguardanti le declamazioni comprese in
questo primo volume sono raccolte nella tabella sinottica in appendice.
Lucia Pasetti
128
Winterbottom 1984, xxiv-xxv.
Il valore dell’edizione è rimarcato anche da Håkanson 1985, che pure rileva alcune imprecisioni nella collazione.
130
Le osservazioni di Michael Winterbottom, che ha ricevuto periodici resoconti sulla nostra
attività esegetica, sono indicate come Winterbottom 2018a, mentre le consultazioni intercorse tra i
commentatori o con altri studiosi sono segnalate con la dicitura per litteras.
129
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APPENDICE – TAVOLA SINOTTICA
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
244 tit.
—
<Adultera a marito exule occisa>
244 th.
—
Imprudentis caedis damnatus quinquennio
exulet. Adulterum cum adultera liceat occidere. <Imprudentis caedis damnatus cum ante
expletum poenae quinquennium noctu domum
ad visendam uxorem reversus esset, in adulterio
eam deprehendit: occidit. Reversus post quintum
annum caedis reus est>
245,2
cum ea summa habuerit †quae negatur†
246,1
†talis illud quidem periculum fallit†
tamen ne illud quidem periculum fallit
246,4
motu †corporis†, familiae conclamatione
motu [corporis] <et> familiae conclamatione
247,2
†Non subsisti†
Non substitisti
247,2
†Pars diversa hoc dicit†
[Pars diversa hoc dicit]
247,4-5
(sicut non negaremus uxorem si ita finiretur:
‘Uxor est quae per nuptias a parentibus in
matrimonium tradita in societate multis annis
fuit’, <cum tamen> illud ‘a parentibus tradita’
non necessarium in finitione uxoris sit). Ista
falsa quidem, eqs.
[sicut non negaremus uxorem si ita finire
tur: ‘Uxor est quae per nuptias a parentibus in
matrimonium tradita in societate <vitae> multis
annis fuit’, <cum tamen> illud ‘a parentibus
tradita’ non necessarium in finitione uxoris sit.
Ista falsa quidem non sunt, sed plerisque detractis erit adhuc uxor]
247,7
ut ab †ipsis incipiam, comprehendo uxorem
duxisse dici†
ut ab ipsis <verbis> incipiam, [comprehendo]
uxorem duxisse [dici]
247,8
de altera
de altero
247,9
in domo <desideras>
in domo <desidero>
247,15
Miseret me adulescentis optimi alioqui et nimis verecundi quod sic animum eius interpretamini
[[Miseret me adulescentis optimi alioqui et nimis verecundi quod sic animum eius interpretamini]]
Minores-vol.1.indb 39
cum ea summa abierit quae nega<ba>tur
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Introduzione
XL
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
248,6
Nihil mea refert utrum sequenti caedi [non]
reddiderit tempus quod debebat etiam priori
Nihil mea refert utrum sequenti caedi non
reddiderit tempus quod debebat an iam priori
248,9
mihi potiore clementia quam iustitia constituisse. Pro morte hominis innocentis, pro vita
quinquennio †denique† constituit absentiam.
mihi prius clementia quam iustitia constituisse.
Pro morte hominis innocentis [pro vita] quinquennio denique constituit absentiam.
249,3
necessitate praestringerent
necessitate constringerent
249,6
†Hoc in hanc non potest dici†
Hoc in hac <causa> non potest dici
249,8
Per me <non> stetit
Per me stetit
249,10
Non infitiaberis me agere coepisse. †Quid qui
agere coepit quia semel contigit num†
Non infitiaberis me agere coepisse. Quisquis
agere coepit, egit, quia semel contigit rem
249,12
†Cum igitur tecum acturus sim statim si† cum
illo iam egi
Tum igitur tecum acturus sim? <Immo> statim
<agam>, sicut cum illo iam egi
249,15
accedere ad †confessionem†
accedere ad comprehensionem
249,15
Num igitur hoc mihi dicere †potest, prius me
agere tecum non oportet†
Num igitur hoc mihi dicere potes, prius me agere
tecum? Non potes
250 th.
Duo adulescentes invicem agere coeperunt
Duo adulescentes invicem <iniuriarum> agere
coeperunt
250,4
Fecit iniuriam aliquis [ei], fecit frustra ignominioso
Fecit iniuriam aliquis et fecit frustra ignominioso
251,2
calumnia resistit
calumniae resistit
251,2
sed illud †aliquando† ut iustitia spectetur
sed illud [aliquando] ut iustitia spectetur
252,6
‘Rapuisti’ * qui dicat
‘Rapuisti’ <sed graviorem poenam ei> qui dicat
252,7
ingenia quae <ius> scripserunt?
ingenia [quae scripserunt]?
252,13
†Si credibile est quod opponitur, iam certe relictum est ut ea parte fecerit. Et hanc
tamen† partem excutiamus.
Si incredibile est quod opponitur, iam certe
relictum est ut ea pro te fecerit. Et hanc tamen
partem excutiamus.
252,20
circa causas maleficii istius †et morbi†
circa causas maleficii istius etiam moror
253,7
Satis videbitur
[Satis] videbitur
254,11
contra legem [et contra commodum suum]
contra legem est [contra commodum suum]
254,14
si hic in civitate remanere vellet. * lex quid
dicit?
si hunc in civitate remanere vellet. <Haec> lex
quid dicit?
254,18
quod fuisse dicitis eum causa inferiorem
quod false dicitis eum causa inferiorem
255,1
nihil prodesse, forsitan *
nihil prodesse, forsitan <etiam obesse>
255,4
velut magistros turpitudinis †colligeritis†
velut magistros turpitudinis colligeretis
255,9
[[†Ego istud credidi scelus: cum a singulis,
spes est; cum a paucis, spes est; cum a plurimis, iam consensi†]]
[[Ego istud credidi scelus: cum a singulis, spes
est; cum a paucis, spes est; cum a plurimis, iam
consensus]]
257,4
†immo† suadere
immo suadere
258,4
prior <signarem, * prior> rogarer
prior <signarem, sententiam prior> rogarer
Minores-vol.1.indb 40
01/07/2019 22:22:44
Appendice. Tavola sinottica
XLI
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
259,15
mendacio temptat. Quare non omnia quare
non omnia statim simpliciter dixerimus minatur
mendacio temptat, <et> quare non omnia statim
simpliciter dixerimus minatur
259,16
†Nostra† tamen
Nobis tamen
259,22
†Relinquam nec dico pauperem; nam in matrimonio quidem filiae quod solebat nocere†
Te auctore nupsit, te hortante nupsit
Relinquat haec, dico, pauperem? Nam in matrimonio quidem filiae quod solet <non> nocere, te
auctore nupsit, te hortante nupsit
259,23
†Totum est enim in eodem†
[Totum est enim in eodem]
260,1
propter aliquam †alioqui† vitae
propter aliquam [alioqui] vitae
260,23
nam †quoque†
vos quoque
260,28
si credetis
si creditis
261,3
ut sit de aequalitate patrimoniorum, idem
census omnibus detur
ut [sit de aequalitate patrimoniorum] idem
census omnibus detur
263,1
permittit †lex† et hoc dicere
permittit res et hoc dicere
263,11
Idem tempus est
<Non> idem tempus est
264,3
qui sibi contra testamentum vindicant merita
proferri
qui sibi <bona> contra testamentum vindicant
merita proferri
265,5
in exemptione
in exceptione
266,9
Non sit pro me
Non est pro me
267,5
simulatione quadam †alteea† quae praeterierunt obliqua malignitate obicere conetur
simulatione quadam <utatur>, aut ea quae praeterierunt obliqua malignitate obicere conetur
267,5
hoc †animo tota mente† inhaerebit
hoc <toto> animo, tota mente inhaerebit
268,3
nulla <res>
nulla <ars>
269,6
[[Mutasti animum post istud tormentum]]
Mutasti animum post istud tormentum
270,13
optio in causa mortis est
optio [in] causa mortis est
270,22
quid factura esset <in> iniuria sua
quid factura esset iniuria sua
271,5
†si† ex nostra libertate argumenta
illa ex nostra libertate argumenta
271,14
non †inde† ceciderunt
non timide ceciderunt
272,2
Cetera vero †controversiae† maiorem cumulum habent
Cetera vero [controversiae] maiorem cumulum
habent
272,8
hac causa <mulier> egressa
hac causa egressa
272,13
in visceribus ipsius urbis
in visceribus ipsis urbis
273,8
Rationem, ut opinor, †deponeres†
Rationem, ut opinor, deponeres
273,11
†idem es reus a quo fui repetiturus si quid
tamquam sponsor solvissem†
id est eum a quo fui repetiturus si quid tamquam
sponsor solvissem
274,6
esse contraria †lex huic† videretur
esse contraria lex haec videretur
274,10
adversus tyranni ultionem
adversus †tyranni† ultionem
274,12
esse fato, a diis inmortalibus
esse <a> fato, a diis inmortalibus
Minores-vol.1.indb 41
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Introduzione
XLII
Decl.
Winterbottom 1984
Questa edizione
275,6
Nec enim persuaderi cuiquam potest
Numquam persuaderi cuiquam poterit
276,4
posset opponi †vel† electioni
posset opponi [vel] electioni
278,5
non tantum †natura et illo initio† continentur
non tantum natura et illo initio continentur
279,18
tu huic irasceris
[tu] huic irasceris
279,19
dum †repetitur†
dum recipitur
280,1
causa illius nihil habet †firmius quam sit
aliena†
causa illius nihil habet firmius quam sit aliena
280,3
in prima parte ponenda sit †quae a me supra
constituta est†
in prima parte ponenda sit [quae a me supra
constituta est]
280,4
proximum esse manifestum est [nihil ultra
proximum ius sit]
[proximum esse manifestum est] nihil ultra
proximum ius sit
280,8
Et †idcirco† iam
Et id [circo] iam
280,11
obstare [nihil hoc loco] putat ius
obstare nihil hoc loco putat ius
286,10
Si ullus in te pudor est: maritus fuerat
Si ullus in te pudor est *: maritus fuerat
288,1
Non mittetur autem in exilium <nisi>
suspectus
Non mittetur autem in exilium suspectus
288,3
convenerant †tyranno priore†
convenerant <a> tyranno priore
288,4
Nihil cogitasti: timeo dum innocens es
Nihil cogitasti? Timeo dum innocens es
289,7
[[si qua ego divinatione colligere potuissem
utique periturum si non reddidissem]]
si qua ego divinatione colligere potuissem utique
periturum si non reddidissem
290,2
ut me †putem diu fecisse† abdicatum. Illa
<non> narrabo
ut me putetis †diu fecisse† abdicatum illa narrabo
292,4
[Illud enim est tempus doloris]
Illud enim est tempus doloris
Minores-vol.1.indb 42
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