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Milano città duale?

I processi di globalizzazione hanno inciso profondamente sulla città di Milano sia sulla configurazione economica, ma anche sulla struttura sociale. L'impatto sulla struttura sociale ed economica della città non è ancora chiaro, e incerti sono anche gli esiti dell'intrecciarsi dei mutamenti nelle diverse sfere: gli effetti saranno differenti a seconda di quale modello di sviluppo la città sarà capace di adottare.

Capitolo I – Milano, città duale? Marianna D’Ovidio 1. Introduzione I processi di globalizzazione hanno inciso profondamente sulla città di Milano sia sulla configurazione economica, ma anche sulla struttura sociale. L’impatto sulla struttura sociale ed economica della città non è ancora chiaro, e incerti sono anche gli esiti dell’intrecciarsi dei mutamenti nelle diverse sfere: gli effetti saranno differenti a seconda di quale modello di sviluppo la città sarà capace di adottare. Sembra dunque opportuno un attento monitoraggio nel tempo delle principali dimensioni economiche e sociali: in questa prospettiva, è necessario mettere a fuoco i principali ambiti di trasformazione per esaminare l’intreccio complesso tra coesione sociale e sviluppo economico, con l’obiettivo di fondo di identificare le principali coordinate intorno a cui prende forma il modello di sviluppo della città di Milano. Nello specifico, l’obiettivo è duplice. Anzitutto si intende ragionare sull’assetto produttivo e sulla distribuzione dei redditi che ne deriva, per capire se, e in che misura, a Milano, così come in molte altre città globali, si assiste ad un aumento della disuguaglianza e quali ne sono le cause; si intende inoltre comprendere fino a che punto la disuguaglianza si traduce in una polarizzazione della società. In secondo luogo si mira a capire quanto la struttura demografica di Milano sia in grado di bilanciare lo sviluppo economico e se essa sia in linea con quella delle città europee simili per struttura produttiva e per traiettoria. Recenti ricerche su Milano evidenziano alcuni temi centrali (la questione degli anziani, degli immigrati, l’espulsione dei giovani e delle giovani famiglie dalla città, i bassissimi indici di natalità) che rendono la città pericolosamente difforme da altri contesti europei simili per sviluppo economico. La prima parte del capitolo presenta la letteratura che si è sviluppata attorno a questi temi con l’obiettivo di costruire delle ipotesi di ricerca che guidino la lettura e l’esplorazione dei dati: il lavoro si apre con un’analisi teorica sulla polarizzazione e le disuguaglianze nella città per poi passare ad una discussione sulla trasformazione demografica e all’esposizione delle domande di ricerca e delle ipotesi su questo tema. 9 La seconda parte presenta dati relativi alle trasformazioni economiche e sociali che consentono di articolare una serie di risposte ai temi presentati nella prima sezione. 2. Lo studio della polarizzazione e delle disuguaglianze nelle città L’economia delle città è cambiata profondamente negli ultimi 30 anni. La grande manifattura, che segnava il panorama urbano durante il passato industriale della città viene via via smantellata e riconvertita in nuove funzioni (residenze, uffici, laboratori, aree espositive e di leisure). Il mutamento dell’aspetto fisico delle città rappresenta soltanto la superficie di una trasformazione economica più profonda che si riflette inevitabilmente anche sulla metamorfosi della struttura sociale. L’intrecciarsi delle trasformazioni economiche e dei mutamenti sociali è oggetto di numerose interpretazioni che danno origine a molteplici ricerche e analisi. Sono tre i principali filoni teorici che muovono la ricerca nelle scienze sociali su questo campo. Anzitutto le teorie, di derivazione marxista, che interpretano il cambiamento economico osservando il processo di progressiva pauperizzazione o proletarizzazione dei lavoratori a causa dell’accrescere dell’automazione dei processi di produzione (Braverman, 1974). Queste teorie sottolineano come, nell’evoluzione dei processi produttivi, i lavori impiegatizi, sulla stessa scia di quelli manuali, si stiano a mano a mano dequalificando, e impoverendo nel contenuto. Parallelamente alla perdita di significato nel contenuto delle occupazioni impiegatizie, si osserva una diminuzione retributiva in tali occupazioni, che causa quella che viene definita appunto proletarizzazione dei lavoratori impiegatizi e quindi delle classi medie. Questa teoria, che ebbe molto successo negli anni ’70, non è tuttavia specifica delle economie urbane ed è stata applicata alla trasformazione economica e sociale delle società capitalistiche nel loro insieme. Prima di passare alla rassegna delle critiche e alle implicazioni empiriche che ne derivano, presentiamo una seconda tesi, che assume lo stesso punto di vista (la trasformazione del contenuto delle occupazioni), ma che giunge a conclusioni opposte. Le tesi della professionalizzazione della classe media evidenziando le conseguenze del mutamento economico e del lavoro sulla struttura sociale notando l’emergere di un nuovo insieme di occupazioni che vanno via via sostituendosi alle attività professionali tipiche delle classi medie. A partire dalle osservazioni di Bell (1973) sulla transizione post-industriale dell’economia urbana e sul passaggio da un’economia basata sul lavoro manuale 10 ad un sistema economico fondato sul trattamento delle informazioni, queste tesi enfatizzano la crescente importanza della conoscenza tecnico-professionale e dell’istruzione a tutti i livelli occupazionali, in particolare in quello medio. Da qui dunque l’emergere di nuove occupazioni tecniche, a cui accede la classe media-impiegatizia urbana, ad alto contenuto intellettuale o creativo. Queste tesi sono sostenute empiricamente dalla crescente espansione, specialmente nei grandi centri urbani, di alcuni settori economici, principalmente il comparto dei servizi, quello legato ad attività ad alto contenuto creativo-culturale, e infine il settore finanziario e della gestione d’impresa. L’emergere di nuove occupazioni impiegatizie ad alto contenuto intellettuale, portano dunque al processo di professionalizzazione della classe media-impiegatizia. Le critiche ad entrambi questi gruppi di tesi consistono principalmente nella difficoltà di applicazione alla ricerca empirica e alla operativizzazione dei concetti1. Una delle critiche più fondate alle teorie della proletarizzazione delle professioni, tuttavia, deriva proprio dalla ricerca empirica: molti studi effettuati soprattutto negli anni ’80 mostrano che sono molto scarse le evidenze fattuali a favore della proletarizzazione e che vi sono, al contrario, robuste basi a sostegno delle tesi della professionalizzazione della classe media (Erikson and Goldthorpe, 1992; Hamnett, 2003). Infine la più recente delle teorie è quella della polarizzazione, che emerse negli Stati Uniti intorno agli anni ’80. Questo gruppo di tesi mette in luce l’emergere di tre insiemi di attività nell’economia delle città post-fordiste: anzitutto i settori della finanza, e più in generale dei servizi avanzati per l’impresa (marketing, ricerca e sviluppo, ecc.); secondariamente le occupazioni legate alle attività immobiliari (sia come servizi che come attività di costruzione), e ai servizi di alto livello per il tempo libero; in terzo luogo il turismo internazionale. La crescita di questi settori avviene parallelamente alla contrazione dell’impresa manifatturiera legata alla più generale trasformazione post-fordista. Tutti e tre questi gruppi di attività in crescita tendono ad occupare lavoratori ai due estremi della scala professionale: da un lato crescono le professioni ad alto contenuto intellettuale, direttivo e organizzativo; dall’altro crescono i lavori dequalificati, a basso reddito, cioè le occupazioni nei settori dei servizi alla persona e all’impresa. Questo porta necessariamente verso un processo di polarizzazione della società in due nuclei contrapposti: le classi medio-alte con occupazioni qualificanti e ad alto reddito e quelle basse ai margini del mercato del lavoro, occupate in attività scarsamente retribuite e senza alcuna possibilità di carriera. Sassen (1991; 2000) riprende queste tesi e le applica specificamente al contesto urbano: sembrerebbe tipico delle città globali trasformarsi secondo questo modello in società polarizzate. Da questa tesi emerge il concetto 11 di città duale, che rappresenta le città globali come separate in due parti distinte, una composta da professionisti ricchi e agiati, l’altra costituita da lavoratori a basso reddito, spesso immigrati illegali, occupati in attività degradanti nei servizi o nella piccola manifattura urbana. Le critiche a queste tesi vanno anch’esse nella direzione di una difficoltà empirica a misurare la polarizzazione, per una serie di motivi: anche in questo caso è difficile valutare il contenuto e la qualifica delle professioni, così come è stato segnalato per le tesi precedenti, e, di nuovo, la classificazione con cui vengono presentate le occupazioni nelle statistiche ufficiali non sono adeguate. Infine queste tesi sembrerebbero più appropriate in situazioni extraeuropee dove grandi masse di popolazione immigrata, illegale e senza alcun tipo di rete (sociale, assistenziale, …) trova lavoro in settori poco pagati e senza qualifica; di conseguenza la tesi della città duale sembrerebbe difficilmente applicabile ad altri contesti se non alle grandi metropoli americane. Nonostante queste problematiche, le tesi sulla polarizzazione hanno trovato un grande successo anche in Europa e hanno avuto, senz’altro, il merito di attirare l’attenzione sulle conseguenze della transizione post-fordista anche sulla classe media. Concludendo, ci preme sottolineare come l’interesse nei confronti della trasformazione sociale a seguito delle trasformazioni economiche e del lavoro non sia certo un tema nuovo nelle scienze sociali. A partire dalla prima industrializzazione si sono diffusi numerosi studi sulla condizione dei lavoratori. Quello che si vuole mettere in luce in questa sede è il tentativo di applicare ai contesti sociali una teoria più complessa che ci dia la possibilità di esplorare la trasformazione dell’intera struttura sociale, non solo esaminare le condizioni degli strati esclusi e più disagiati della società. Naturalmente questo tema rimane tra gli interessi principali della ricerca sociale in questo ambito, ma collocare il disagio sociale e l’esclusione all’interno di un più ampio quadro sulla morfologia sociale consente di formulare ipotesi che guidano la ricerca con uno sguardo più ampio e di individuare connessioni e dinamiche che altrimenti risulterebbero nascoste. Nelle città dunque le grandi trasformazioni socio-economiche hanno effetti di ristratificazione ancora da comprendere: sempre meno le categorie tradizionali di classe sociale riescono ad interpretare la nuova morfologia sociale. Di conseguenza da un lato ritorna forte il tema delle disuguaglianze sociali ed economiche, dall’altro occorre comprendere come i problemi di coesione sociale (disuguaglianze, nuovi rischi sociali, ecc.) si intersecano con quelli dello sviluppo economico della città. La teoria della città duale, che si adatta solo parzialmente alla realtà socio-economiche europee (come si vedrà nelle parti successive del lavoro), suggerisce comunque che coesione sociale e sviluppo economico sono oggi due dimensioni molto più svincolate che mai. 12 2.1. La ricerca: la costruzione delle ipotesi e delle domande di ricerca A partire da queste premesse teoriche è possibile costruire delle ipotesi che ci guidino nella presentazione dei dati e nella lettura della trasformazione dell’area metropolitana milanese. La città ha ormai superato la fase di transizione dal fordismo verso un modello di post-fordismo maturo, e si trova ad essere inserita in un contesto globale di città ad economia avanzata, in cui prevalgono i servizi e i settori ad alto contenuto intellettuale. Intendiamo dunque indagare quali effetti ha la trasformazione economica sulla struttura sociale della città, alla luce delle tesi esposte precedentemente. Ci domandiamo dunque fino a che punto si può parlare di polarizzazione sociale a Milano: se, cioè, la città stia subendo un processo di progressivo assottigliamento della classe media a favore dei due estremi della struttura sociale. La recente pubblicazione dell’Oecd (2008) che rileva una crescente disuguaglianza dei redditi in Italia fa emergere in maniera ancora più pressante domande riguardo all’assetto sociale della città: in che modo aumenta la disuguaglianza? In che misura la classe media è soggetta a processi di pauperizzazione, piuttosto che di professionalizzazione? Nello specifico l’analisi verterà su tre fronti: il mutamento dell’assetto economico e in particolare dell’impianto occupazionale; la distribuzione dei redditi; la struttura demografica. Questi ambiti saranno affrontati secondo ipotesi precise, che vengono presentate di seguito. 2.2. L’analisi sul mutamento della struttura occupazionale Abbiamo visto come nella formulazione delle tesi sulla trasformazione della struttura sociale a partire dai mutamenti dell’economia, l’analisi delle occupazioni sia il punto centrale. Anzitutto presentiamo la trasformazione dell’economia del territorio milanese nel tempo. Si osserva dunque l’incremento del settore dei servizi a fronte di una compressione di quello manifatturiero. Vengono in seguito indagati gli esiti della trasformazione sulla struttura sociale: si osserverà il mutamento dell’assetto occupazionale da un lato e del mercato del lavoro dall’altro, esplorando, per quanto possibile attraverso dati empirici, il tema della flessibilità del lavoro e della precarietà della vita che ne deriva (Gallino, 2007). Le nostre ipotesi seguono quelle della polarizzazione, anche se con cautela, e nel lavoro si indaga fino a che punto le occupazioni altamente intellettuali, di gestione e di controllo, o ad alto contenuto creativo (Florida, 2002; Capetta e Salvemini, 2005) siano in crescita, accompagnate al con13 tempo da un incremento delle occupazioni a bassissimo contenuto intellettuale e di servizio. Viene osservata l’evoluzione dei settori economici nel dettaglio, per identificare quali attività siano maggiormente presenti sul territorio e su quale direttrice evolve l’economia milanese; questo dato viene messo in relazione con informazioni riguardo alla struttura occupazionale, in particolare con le figure occupazionali richieste dalle imprese, osservate in serie storica per cercare di leggere il fenomeno in maniera diacronica e non statica. Tuttavia, come osservato da Esping-Andersen (1993), la polarizzazione potrebbe essere accentuata non tanto dal contenuto delle occupazioni, quanto dall’acuirsi della differenziazione tra lavoratori stabili, ben retribuiti, e lavoratori con contratti flessibili o che hanno un rapporto discontinuo con il mondo del lavoro. Di conseguenza si osserva quali contratti vengono utilizzati e per quali lavoratori, analizzando, nel tempo, l‘incidenza dei contratti atipici, e, per quanto i dati lo consentano, le caratteristiche di tali lavoratori (fascia d’età, nazionalità, genere). 2.3. L’analisi della distribuzione del reddito La seconda parte della ricerca mira a osservare le implicazioni della trasformazione della struttura occupazionale di Milano sulla distribuzione del reddito, confrontandola con altre realtà territoriali, in base a ipotesi e domande di lavoro specifiche. Nella definizione delle classi sociali, infatti, il reddito è una delle dimensioni principali, insieme a quella relativa all’occupazione: l’analisi della distribuzione del reddito consente di completare il quadro di analisi proposto nelle pagine precedenti. Nello specifico si mette a confronto la distribuzione del reddito di Milano con quella degli altri dodici Grandi Comuni italiani, così come definite dall’Istat. Inoltre la città di Milano verrà contestualizzata con dati sui comuni della Provincia, per avere un ulteriore termine di paragone2. Tuttavia, poiché la polarizzazione implica un processo diacronico, i dati andrebbero osservati in serie storica, per valutare l’aumentare della forbice tra classi alte e classi basse, e dall’altro, simultaneamente, l’erosione delle classi centrali. Non avendo a disposizione dati in serie storica, sostituiamo l’analisi temporale con una comparazione a livello territoriale. Questo non consente di studiare il processo diacronico, ma almeno di valutare il grado di polarizzazione rispetto ad altri contesti. Secondo quanto affermato da Sassen (2000), e da molti altri autori, (si veda ad esempio Hamnett, 2003, p. 82; Morlicchio e Pratschke, 2009) la crescita dei settori finanziari e del terziario avanzato nelle città sarebbe la 14 principale causa dell’aumento delle disuguaglianze e in particolare della polarizzazione sociale. Possiamo dunque ipotizzare a questo proposito che a Milano, città dove l’economia è più matura che altrove in Italia, ci sia una forte differenzazione tra redditi alti e bassi e di conseguenza una forte disuguaglianza; inoltre, a causa dell’emergere dei settori finanziari e di controllo, dovremmo aspettarci anche un’erosione della classe media, a fronte di una crescita delle fasce più alte insieme a quelle più basse della struttura sociale. Inoltre si può ipotizzare che le città di Torino e Genova presentino livelli di disuguaglianza simili a quelli di Milano, sebbene meno accentuati, a causa della simile traiettoria post-industriale che caratterizza tali contesti. A Milano la polarizzazione dovrebbe essere maggiore, data la maturità del settore dei servizi avanzati e del comparto finanziario. Nonostante la particolare condizione di Roma (che accentra una quota particolarmente elevata di lavoratori nel settore della pubblica amministrazione), ipotizziamo che vi possano essere delle somiglianze con la distribuzione del reddito a Milano. Tuttavia la classe media dovrebbe essere più consistente che nel capoluogo lombardo proprio a causa della consistenza del settore pubblico. Infine, ci si aspetta che il reddito mediano milanese sia superiore a quello degli altri contesti presi in esame, a causa del comparto dei servizi avanzati più sviluppato e delle attività manageriali e di controllo che mediamente consentono redditi superiori a quelli manuali. Questo si aggiunge alla nota condizione delle città del Sud Italia, che presentano situazioni di povertà ed esclusione sociale più acute che nel Nord. Per quanto riguarda la comparazione con i comuni della provincia abbiamo anzitutto considerato delle aggregazioni che consentissero di osservare unità territoriali omogenee. A questo riguardo ci si aspetta una minore disuguaglianza sociale rispetto al capoluogo. Data la forte presenza di piccole e medie industrie nel tessuto produttivo della parte nord della provincia e di attività industriali e agricole nella parte più meridionale, la struttura sociale dovrebbe essere di natura più tradizionale: una classe media consolidata, senza agglomerazioni di redditi nella parte alta. Tuttavia nel confronto tra core e comuni dell’area metropolitana entrano in gioco molteplici fattori, quali il livello di educazione più elevato nel capoluogo che altrove, la maggiore concentrazione di popolazione abbiente a causa dei valori immobiliari e così via, che rendono difficile la definizione di ipotesi precise. 2.4. L’assetto demografico Se dunque nella prima parte del lavoro si osserva la dinamica dello sviluppo di Milano sul piano economico e della trasformazione del lavoro 15 e si prende in esame la distribuzione dei redditi nella città, nella seconda parte si indaga quanto la struttura demografica della città stia evolvendo in linea con lo sviluppo economico e possa essere paragonata a quella delle città europee simili a Milano per struttura produttiva e per traiettoria di sviluppo. Milano presenta, infatti, caratteristiche demografiche tanto anomale quanto celebri. È ormai tristemente noto il primato rispetto all’indice di vecchiaia delle città italiane (Milano è ai primi posti di questa classifica) e i bassissimi indici di natalità e di fertilità. Inoltre, la città di Milano sta perdendo abitanti, a favore dell’area metropolitana, segno questo che potrebbe essere interpretato come una fuga dalla città per alcune fasce della popolazione più ‘mobili’, giovani single o giovani coppie, stranieri, che si allontanano dalla città per diversi motivi tra cui, il principale, un mercato della casa che resta per molti inaccessibile. Nonostante la città presenti performance economiche molto elevate, ciò avviene parallelamente al crescere di un mercato del lavoro sempre più instabile ed insicuro, basato su contratti flessibili e contratti a progetto, specialmente per i giovani che si apprestano a entrarvi. Costoro non riescono dunque ad accedere al mercato immobiliare milanese, sia in vendita che in locazione, a causa dell’elevato aumento dei prezzi negli ultimi anni (Cresme, 2006): i prezzi degli immobili presentano un andamento fortemente centripeto, con costi via via in diminuzione man mano che ci si allontana dalle aree centrali della città (Comune di Milano, 2006). I giovani si trovano così a doversi allontanare dalla città se intendono uscire dalla famiglia di origine per trovare un mercato immobiliare accessibile (Cognetti, 2007). Questo ha due conseguenze importanti sull’assetto della città di Milano: da un lato una crescita dello squilibrio demografico tra generazioni; dall’altro l’aumento del pendolarismo, in un’area metropolitana fortemente accentrata, dove gran parte dell’attività economica è localizzata nel centro urbano, con le conseguenze ben note di congestione, traffico e peggioramento delle condizioni ambientali. Rispetto ad altre città europee che presentano le medesime traiettorie di crescita economica, la città di Milano non sembra percorrere la stessa via di sviluppo demografico. In una città dove la transizione verso un’economia post-industriale è ormai matura, e in cui aumentano i rischi di polarizzazione sociale, un assetto sociale in grado di assorbire i contraccolpi di tale trasformazione è indispensabile per sostenere la città. Milano ha sempre avuto le risorse sociali per diluire i disagi e le esclusioni che in vari momenti del suo passato si sono presentati al suo tessuto sociale (Ranci e Torri, 2007, p. 143). Milano è ancora ‘protetta’ da una società in grado di attutire gli effetti negativi della trasformazione economica? Il progressivo invecchiamento 16 della popolazione, i bassi tassi di natalità, la fuga dei giovani verso l’area metropolitana sono tutti segni che inducono a pensare che Milano abbia delle difficoltà a mantenere la propria capacità di risolvere tensioni ed esclusioni sociali. Emerge poi la questione degli stranieri: possiamo ipotizzare che dal punto di vista prettamente demografico essi rappresentino senz’altro una risorsa per la città. Tipicamente i flussi migratori sono costituiti da giovani in età lavorativa. Tuttavia, senza l’adeguato grado di integrazione, essi rischiano di diventare un nucleo a sé dentro la società. Milano ha già vissuto nel passato un momento di forte pressione migratoria, quando, negli anni ’60, il consistente sviluppo dell’industria attrasse un numero massiccio di manodopera dal meridione. L’integrazione degli immigrati dal sud Italia non fu certo facile e rappresentò un momento di forte tensione per la città; tuttavia nel passato l’integrazione venne facilitata grazie alla presenza di due sfere cruciali: da un lato il lavoro e la fabbrica, che agì come collante e come forte strumento di integrazione alla vita sociale della città; dall’altro la casa e la disponibilità di case popolari per un gran numero di famiglie che, pur essendo spesso concentrate in quartieri popolari, ebbero l’opportunità di costruire dei percorsi di vita vicini a quelli dei milanesi. Oggi la situazione per gli stranieri è molto diversa da quella degli immigrati del sud Italia degli anni ’60, principalmente perché manca lo strumento di integrazione tipico del periodo fordista, cioè la grande industria e perché le risorse immobiliari pubbliche non sono più ricche come durante il periodo del boom economico. Di quali strumenti è in possesso la città di Milano per far fronte a nuove esigenze di integrazione degli stranieri? Quali sono le conseguenze di una mancata coesione tra stranieri e italiani nella città? Il mancato (o il più difficile) inserimento nella società degli immigrati porterebbe inevitabilmente ad una stridente frizione tra due mondi impermeabili (gli italiani e gli stranieri) con conseguenze negative per tutta la città. Anzitutto verrebbe a mancare una parte consistente di risorse sociali (rappresentate principalmente da giovani lavoratori stranieri con alti tassi di natalità) per sostenere i problemi di coesione e di inclusione sociale che una città in trasformazione economica si trova necessariamente ad affrontare. In secondo luogo verrebbero a generarsi ulteriori problemi di esclusione sociale e di povertà che si sommerebbero a quelli già esistenti. Si intende dunque analizzare nel dettaglio la dinamica, almeno negli ultimi 10 anni, dello sviluppo demografico della città, per comprendere fino a che punto la città sia in grado di sostenere la crescita economica e mitigare le disuguaglianze inevitabilmente legate ad una rapida trasformazione post-fordista. 17 3. Polarizzazione e disuguaglianze a Milano 3.1. Trasformazione della struttura economica e occupazionale L’assetto produttivo di Milano, in linea con le trasformazioni degli ultimi 30 anni delle società occidentali, è transitato da una struttura industriale verso un sistema in cui parte del settore industriale viene delocalizzato e in cui prevale il peso del settore dei servizi. Nel 2007 in provincia di Milano la forza lavoro è così composta: il 71% è occupato nel settore dei servizi; il 28,6% nell’industria e lo 0,4% nel settore primario dell’agricoltura (Oml, 2008). Dal 2004 al 2008 il comparto industriale perde costantemente forza lavoro a differenza del comparto dei servizi in cui invece aumenta il numero di addetti (fig. 1). Si evidenzia una progressiva diminuzione del comparto manifatturiero, ad esclusione di quello delle costruzioni, e una leggera crescita del settore dei servizi (che rappresenta nel 1996 il 50% delle imprese e nel 2006 il 58%). Tuttavia scomponendo la struttura produttiva nelle attività principali, è possibile ottenere una lettura del cambiamento più complessa e più articolata, come mostrato nella fig. 23. Anzitutto l’incremento del settore dei servizi4, è da imputarsi all’incremento del comparto di attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, che racchiudono una rosa di attività altamente tecniche, specializzate e innovative; è frenato invece dalla decrescita del comparto del commercio. Le altre divisioni economiche, che rappresentano per altro ciascuna circa il 5% o meno del totale delle attività, presentano situazioni di sostanziale stabilità. Come suggerito da Caiazzo (Cciaa - Milano Produttiva, 2008) è possibile inoltre osservare, per divisione economica, il tasso di crescita delle imprese, che misura, di anno in anno, il saldo percento di imprese sul totale (tab. 1)5. Sia il trend di crescita o di decrescita che il tasso di crescita mostrano che vi è un incremento, seppur limitato, per i comparti turistici (alberghi e ristoranti), dell’intermediazione finanziaria, delle attività di servizi avanzati in generale, ma anche delle attività connesse alla ricerca e all’informatica. In particolare, il settore che comprende attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, e che rappresenta il 37% delle imprese del comparto (commercio compreso) mostra un incremento del 3%. Questo settore racchiude attività di elevato valore aggiunto, basato su competenze personali e conoscenza: servizi informatici, ricerca e sviluppo, consulenza alle imprese, marketing e pubblicità; tutti campi che distinguono Milano sia sul piano nazionale che internazionale (Cciaa - Milano Produttiva, 2008). Inoltre anche il settore del commercio, sostanzialmente stabile negli ultimi anni, 18 Fig. 1 – Quota di occupati nel settore industriale e dei servizi sul totale occupati Fonte: Assolombarda su dati Istat-Oml Industria 39 37 35 Milano Lombardia Italia 33 31 29 27 25 IV I II 2004 milano III IV I II 2005 III IV I II 2006 III IV I 2007 II 2008 31,6 32 31,6 31,3 31 30,7 30,7 30,3 30,1 29,3 28,8 29 28,6 lombardia 38,7 38,3 38,4 39,2 38,4 37 36,9 36,9 37,3 35,3 36,1 36,8 36,4 34,8 36,1 30,7 30,7 30,7 30,9 30,8 30,2 29,8 30,2 30,3 30,2 30,3 30,1 29,9 29,5 29,7 italia Servizi 75 70 Milano 65 Lombardia Italia 60 55 IV 2004 milano I II III 2005 I II III 2006 IV I II III IV 2007 I II 2008 68 67,7 68,1 68,4 68,7 68,9 69 69,4 69,4 70,2 70,6 70,4 71 lombardia 59,5 60,1 60 italia IV 59 59,9 61,4 61,6 61,4 60,9 63,1 62,4 61,9 62,9 63,9 63,8 64,7 65,4 65,3 64,7 64,7 65,8 66 65,4 65,3 65,9 65,7 65,8 66 66,7 66,7 19 Fig. 2 – La trasformazione delle attività produttive nella provincia di Milano Fonte: Milano Produttiva, 1996-2007 35,0 30,0 25,0 Manifatturiero Costruzioni Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa Alberghi e ristoranti 20,0 Trasporti,magazzinaggio e comunicaz. Intermediaz.monetaria e finanziaria Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca Istruzione Sanità e altri servizi sociali Altri servizi pubblici,sociali e personali 15,0 10,0 5,0 0,0 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 mostra segni di una leggera ripresa. Dall’osservazione più puntuale del comparto manifatturiero si deduce che sono in crescita le attività innovative a fronte di una stagnazione o una diminuzione delle attività più tradizionali. Infatti, il tasso di crescita delle attività a Milano e nei comuni limitrofi (nuova provincia di Milano senza Monza e Brianza) mostra che alcuni settori manifatturieri sono in leggero aumento e, in particolare, lo sono quelle attività ad alto contenuto innovativo (tab. 2). Emergere un quadro in cui i settori del cosiddetto manifatturiero avanzato sono in leggera crescita rispetto al 2006: produzione di macchine e apparecchi elettrici (+0,2%), di apparecchi medicali e di precisione (+0,8%). Subisce, invece, un calo il settore degli apparecchi radiotelevisivi e per le comunicazioni (-0,8%), mentre la divisione delle macchine per ufficio, calcolatori e sistemi informatici che, pur non rivestendo un peso rilevante nel sistema milanese per numero di imprese, continua a consolidarsi (+1,9%). Un certo progresso registra, invece, l’industria chimica (+1,8%), che, nonostante la flessione delle esportazioni, rimane un settore tradizionalmente forte nell’economia locale, e le materie plastiche (+1,5%), che migliorano di molto i dati del 2006. Infine, si conferma l’andamento positivo dell’industria pesante: fabbricazione di macchine (+1,8%) e lavorazione di metalli (+0,4%), su cui ha influito efficacemente la ripresa delle esportazioni (Cciaa - Milano produttiva, 2008). Alcuni settori invece mostrano segni di calo, e sono quelli, tradizionali, della moda e del tessile (che in realtà presentano dati contradditori, con una lieve crescita dell’ab20 Tab. 1 – Imprese attive nel settore dei servizi per divisione economica nella provincia di Milano (esclusa Monza e Brianza), al netto delle imprese non classificate. Tassi di crescita Fonte: Milano Produttiva, 2008 (elaborazioni Servizio Studi della Camera di Commercio di Milano su dati Infocamere) Settori di attività economica 2007 Commercio ingrosso e dettaglio Comm. ing. e interm. del comm. escl. autov. Comm. dett. escl. autov.; rip. beni pers. Comm. manut. e rip. autov. e motocicli Valori Pesi 2005 2006 2007 assoluti % 70.571 36,1 33.563 17,2 30.073 15,4 6.935 3,6 1,1 1,3 0,9 0,6 1,2 1,3 1 1,1 1,9 2,4 1,5 0,9 Alberghi e ristoranti 12.150 6,2 0,8 1,5 2,7 Trasporti, magazzinaggio e comunicaz. Trasporti terrestri; trasp. mediante condotta Attività ausiliarie dei trasp.; agenzie viaggi Poste e telecomunicazioni Trasporti marittimi e per vie d'acqua Trasporti aerei 15.645 11.070 3.125 1.376 36 38 8 5,7 1,6 0,7 0 0 2 1,2 0,6 16,5 -1,6 -1,9 0,8 0,3 1,1 4,7 -3,1 2,5 -1 -2.4 1,4 3,2 2,9 1,4 8.085 5.669 2.170 246 4,1 2,9 1,1 0,1 1,3 2,8 -0,7 -2,1 2,2 3,8 -0,2 -1,1 2,6 3,6 1,1 -1 72.882 37,3 33.332 17,1 29.606 15,2 8.581 4,4 972 0,5 391 0,2 1.697 0,9 1,9 2,8 1,4 0,5 1,2 -0,5 1,6 2,8 3,7 2,1 1,7 0,1 2,5 2 2,9 3,6 2,4 2,1 2,7 1,3 1,4 Intermediaz. monetaria e finanziaria Attività ausil. intermediazione finanziaria Interm. mon. e finanz. (escl. assic. e fondi p.) Assic. e fondi pens. (escl. ass. soc. obbl.) Attività immob., noleggio, informat., ricerca Attività immobiliari Altre attività professionali e imprenditoriali Informatica e attività connesse Noleggio macc. e attrezzature senza operat. Ricerca e sviluppo Sanità e altri servizi sociali Istruzione Pubbl. amm. e difesa; assic. sociale obbligatoria Altri servizi pubblici, sociali e personali Altre attività dei servizi Attività ricreative, culturali, sportive Smaltimento rifiuti solidi, acque scarico e sim. Attività organizzazioni associative in c.a. Servizi domestici presso famiglie e conv. Totale 1.214 0,6 2,9 1,7 3,2 20 0 -0,8 -2,3 0,3 13.054 8.883 3.893 200 78 6,7 4,5 2 0,1 0 0,7 0,4 1,3 2,1 -1,1 1,4 1,6 1,3 0,2 1,7 1,2 0,8 2,1 -0,3 -1,5 1 0 2,5 2,5 2,9 195.319 100 1,4 1,8 2,1 21 Tab. 2 – Imprese attive nel settore manifatturiero per divisione economica nella provincia di Milano (esclusa Monza e Brianza), al netto delle imprese non classificate. Tassi di crescita Fonte: Milano Produttiva, 2008 (elaborazioni Servizio Studi della Camera di Commercio di Milano su dati Infocamere) Settore Fabbricaz. e lav. prod. metallo, escl. macchine Editoria, stampa e riprod. supp. registrati Fabbric. macchine ed appar. mecc., instal. Fabbric. mobili; altre industrie manifatturiere Industrie alimentari e delle bevande Confez. articoli vestiario; prep. pellicce Fabbric. appar. medicali, precis., strum. ottici Fabbric. di macchine ed appar. elettr. Fabbric. prodotti chimici e fibre sintetiche Industrie tessili Fabbric. artic. in gomma e mat. plastiche Ind. legno,esclusi mobili;f abbr. in paglia Prep. e concia cuoio; fabbr. artic. viaggio Fabbric. prodotti lavoraz. min. non metallif. Fabbric. appar. radiotel. e app. per comunic. Fabbric. pasta-carta,carta e prod. di carta Produzione di metalli e loro leghe Fabbric. macchine per uff.,elaboratori Fabbric. di altri mezzi di trasporto Fabbric. autoveicoli,rimorchi e semirim. Recupero e preparaz. per il riciclaggio Fabbric. coke, raffinerie, combust. nucleari Industria del tabacco Totale manifatturiero Valori Pesi assoluti % 6.296 17,2 4.155 11,4 3.936 10,8 3.039 8,3 2.915 8 2.487 6,8 2.318 6,3 1.938 5,3 1.294 3,5 1.240 3,4 1.205 3,3 1.187 3,2 970 2,7 832 2,3 712 1,9 503 1,4 470 1,3 367 1 242 0,7 216 0,6 145 0,4 60 0,2 1 0 36.528 100 2005 1,4 0,6 0,4 0,5 3 -1,2 -0,1 -0,2 0,6 0,2 0,1 -1,6 -0,6 0,7 -1,4 0,5 -0,2 -2,8 -2 -0,3 0,6 1,6 2,5 0,4 2006 1,2 0,5 1,2 0,8 2,2 1,3 1,3 0 0,7 1,1 0,2 -0,7 1,1 2 -0,4 0,6 1 3,6 2,8 0,7 0,8 -0,3 2,5 1 2007 0,4 1,6 1,1 0,1 2,1 0,4 0,8 0,2 1,8 2,1 1,5 -1,3 -0,2 1,1 -0,8 0,4 1,4 1,9 4,9 0,8 1,7 2,9 2,9 0,9 bigliamento e un calo delle pelletterie)6. La situazione dell’industria del legno e dei mobili (la prima registra un valore negativo, -1,3%, mentre la seconda presenta un dato pressoché stazionario, +0,1%) rappresenta un segno ulteriore del momento di debolezza del made-in-Italy per quanto riguarda i settori più tradizionali. Tuttavia dal momento che la trasformazione post-fordista dell’economia si accompagna ad un incremento di attività di organizzazione, controllo e progettazione e in generale ad un aumento delle attività intellettuali, è necessario osservare il contenuto innovativo e tecnologico delle attività, per ottenere una lettura più approfondita della trasformazione della pro22 duttività dell’area milanese. Secondo il rapporto Oecd sull’area milanese, Milano risulterebbe essere la punta tecnologica della trasformazione italiana. Infatti la produttività di Milano è del 4,3% più alta delle altre 78 regioni metropolitane osservate dall’Oecd ed è legata alla specializzazione della regione in settori ad alto valore aggiunto: i settori di high-tech e le attività cosiddette knowledge-intensive (Oecd, 2006b, p. 32). Più del 30% delle attività manifatturiere sono di medio o alto livello tecnologico, di cui un terzo (il 10% del totale) ad alto livello tecnologico, contro una situazione in Italia di meno del 20% di attività classificate come di medio o alto livello di cui meno del 10% di alto livello. Milano da sola ospita almeno il 12% delle imprese italiane ad alta tecnologia, con una forte specializzazione nella farmaceutica (il 33% di tutte le farmaceutiche italiane). Per quanto riguarda i servizi, la situazione è molto simile, con Milano che concentra quasi l’11% dei servizi italiani classificati come knowledge-intensive e che possiede circa il 20% dei servizi con almeno un livello medio di innovazione a fronte del 10% italiano (Oecd, 2006b)7. Sembrerebbe dunque che l’economia di Milano si stia trasformando secondo una duplice direttrice: da un lato aumentano e si consolidano le attività più innovative e ad alto contenuto tecnologico e intellettuale, come il settore chimico per quanto riguarda le attività manifatturiere, o il settore informatico e di ricerca, nei servizi; dall’altro lato, tuttavia, si assiste ad una contrazione nei comparti più tradizionali, che hanno rappresentato la forza dell’economia milanese, come ad esempio la lavorazione del legno e la pelletteria. Il sistema economico milanese sembrerebbe puntando allo sviluppo di attività innovative e tecnologicamente avanzate, per le quali trova una buona manodopera e un buon mercato, nazionale e internazionale, senza però essere in grado al contempo di rispondere alle sfide di modernizzazione dei comparti più tradizionali a base artigianale, che non riescono a competere con i concorrenti internazionali né a entrare nel mercato internazionale. Anticipiamo che questo rilievo viene confermato dall’osservazione della struttura delle occupazioni nell’area milanese, in particolare dalla forte richiesta di occupazioni tecniche. 3.2. Le occupazioni Avendo presentato la trasformazione della struttura delle attività della provincia di Milano, passiamo ora all’analisi delle occupazioni. Nella fig. 3 e nella tab. 3 vengono presentati i trend degli ultimi 4 anni riferiti alle previsioni occupazionali per grandi gruppi professionali (secondo la classificazione Istat). 23 Fig. 3 – Assunzioni previste dalle imprese per grandi gruppi professionali (secondo la classificazione Istat), provincia di Milano, 2004-2007 Fonte: Indagine Excelsior (2005-2007): principali risultati dell’indagine 30,00 25,00 20,00 Dirigenti e direttori Prof intellettuali Prof tecniche Prof esecutive (amministrazione e gestione) 15,00 Prof vendite e servizi Operai specializzati Operai di montaggio industriale Personale non qualificato 10,00 5,00 0,00 2004 2005 2006 2007 Tab. 3 – Assunzioni previste dalle imprese per grandi gruppi professionali (secondo la classificazione Istat), provincia di Milano, 2004-2007 Fonte: Indagine Excelsior (2005-2007): principali risultati dell’indagine Provincia di Milano previsione di assunzioni 2004 Valori assoluti 2005 2006 Dirigenti e direttori 570 600 340 Professioni intellettuali 5.390 5.640 6.170 Professioni tecniche 12.740 10.810 12.200 Professioni esecutive (amministrazione e gestione) 7.360 6.520 9.850 Professioni di vendite e servizi 11.410 12.180 11.950 Operai specializzati 7.380 7.010 5.160 Operai di montaggio industriale 5.830 4.450 5.430 Personale non qualificato 8.170 8.290 6.970 Totale 58.850 55.500 58.070 2007 Percentuali sul totale 2004 2005 2006 2007 390 0,97 1,08 0,59 7.070 9,16 10,16 10,63 17.640 21,65 19,48 21,01 10.050 14.310 7.490 6.000 7.050 70.000 12,51 19,39 12,54 9,91 13,88 100 0,56 10,1 25,2 11,75 16,96 14,36 21,95 20,58 20,44 12,63 8,89 10,7 8,02 9,35 8,57 14,94 12 10,07 100 100 100 Le previsioni occupazionali mostrano un andamento in linea con la dinamica delle attività mostrata nelle pagine precedenti. Negli ultimi 4 anni emergono infatti le richieste di professioni tecniche, (il 25% di tutte le richieste nel 2007) che pareggiano e poi superano le professioni delle ven24 dite e dei servizi (20%). In aumento, anche se con un andamento altalenante, le previsioni di assunzione per le professioni esecutive e impiegatizie (14%). In calo, ma comunque con una quota che non scende sotto il 10%, le domande di professioni non qualificate, che nel 2007 si trovano allo stesso livello delle previsioni di assunzione di operai specializzati. Sempre intorno al 10% la richiesta di professioni intellettuali, in leggero calo rispetto al 2006, ma in debole crescita rispetto al 2004. Poco inferiori le prospettive di occupazione per operai di montaggio e di trasporto che oscillano tra il 10% del 2004 e il 9% del 2007. Da ultime, le richieste per dirigenti e direttori scendono dall’1% allo 0,5%. Il sistema produttivo della provincia di Milano è dunque in trasformazione, sia per quanto riguarda il tipo di attività, sia, soprattutto, per quanto riguarda le occupazioni. Sembrerebbe, da questo punto di vista, che la trasformazione dell’area milanese sia in linea con le principali trasformazioni post-fordiste che stanno verificandosi nelle principali capitali europee: una crisi del comparto manifatturiero pesante, una crescita delle attività di progettazione e di servizi e parallelamente la crescita di professioni tecniche, ad alto contenuto intellettuale. A differenza di quanto ipotizzato dalle tesi sulla dual city, non sembrerebbe però che nell’area milanese si possa parlare di polarizzazione, in quanto non vi è un aumento, per lo meno nelle previsioni di assunzione, di occupazioni dequalificate: al contrario, vi è una contrazione di tale categoria. Sembrerebbe a questo proposito più adatta al caso milanese la proposta di Hamnett che parla di professionalizzazione delle occupazioni (Hamnett, 2003). Un aspetto che però rimane ancora da indagare è, al di là del contenuto del lavoro, il tipo di contratto che viene proposto ai lavoratori e le modalità attraverso cui essi entrano nel mercato del lavoro e vi rimangono. Come da più osservato (Fullin, 2004), la principale difficoltà nell’analizzare questo aspetto è la reperibilità dei dati sulle occupazioni per tipo di contratto. In questo lavoro ci serviamo dei dati raccolti dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro e dei dati Excelsior sulle previsioni di assunzione. I dati sono riferiti, dove non altrimenti indicato, alla Provincia di Milano. Come osservato dall’Oml, sembrerebbe che la flessibilizzazione del mercato del lavoro milanese, che a partire dal 2002 ha fatto osservare un trend in crescita, abbia rallentato la sua corsa8. Secondo l’Oml i contratti a tempo indeterminato restano poco sopra al 30% delle nuove assunzioni (incremento del’0,8% rispetto al 2006), di cui i contratti cosiddetti standard si aggirano intorno al 24% (23,7%). I contratti a tempo determinato rappresentano quasi la metà delle assunzioni (49%), cui seguono, ma con molto distacco, i contratti di lavoro somministrato (14%) (tab. 4). 25 Tab. 4 – Assunzioni subordinate per tipologia di contratto, provincia di Milano, 2007 Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro, Rapporto 2007 sul mercato del lavoro e le politiche del lavoro in provincia di Milano Tipologia di contratto v.a. % Apprendisti Cfl-reinserimento Somministrato Intermittente Stagionale Tempo determinato Tempo indeterminato Totale 26.146 5.202 109.387 8.691 612 373.026 234.343 757.407 3,5 0,7 14,4 1,1 0,1 49,3 30,9 100 Per quanto riguarda invece le previsioni di assunzione, dai dati Excelsior emerge che circa la metà delle nuove assunzioni previste sono a tempo indeterminato almeno negli ultimi 3 anni. Da notare come nel comparto delle costruzioni la proporzione tra assunzioni a tempo determinato e indeterminato risulti rovesciata rispetto agli altri settori (tab. 5). Per quanto riguarda le forme di lavoro occorre notare che la quota di lavoratori dipendenti rimane pressoché invariata nel tempo su circa il 70% (si veda tabella nell’appendice statistica). Un dato da valutare attentamente è quello che riguarda la condizione degli occupati con posizioni flessibili (cioè lavoratori con contratto a tempo determinato o somministrato a tempo determinato). Da una ricerca dell’Oml (Sigismondi e Zappa, 2008) emerge che il numero degli avviamenti con contratti flessibili (a tempo determinato o somministrato) è in costante aumento dal 2004 al 2007 (anni per cui è stata svolta l’indagine). Tuttavia, sembrerebbe che tale condizione di flessibilità si ripeta nel tempo; cioè, per utilizzare la formula adoperata dalle autrici, la condizione di instabilità sia stabile. Infatti in media un lavoratore con contratto flessibile nella provincia di Milano lavora per 196 giorni in un anno che equivalgono a circa 9 mesi lavorativi; inoltre nel 2007 il 76% dei lavoratori con contratti atipici ha lavorato per la stessa azienda. Per quanto riguarda le caratteristiche dei lavoratori con contratti flessibili in provincia di Milano, dall’indagine dell’Oml emergono i seguenti aspetti: l’età media è di 32 anni, ma sono in aumento i lavoratori in età compresa tra i 35 e i 49 anni (che nel complesso rappresentano il 28,3% dei lavoratori nel 2007 e che sono il 24,5% nel 2004). Il titolo di studio posseduto dai lavoratori con contratti flessibili è di tipo medio, o medio basso: il 45% ha conseguito la scuola superiore, il 26 Tab. 5 – Assunzioni previste per tipo di contratto, provincia di Milano, 2005-2007 Fonte: Indagine Excelsior (2005-2007): principali risultati dell’indagine Totale Industria Costruzioni Commercio Altri servizi 2007 Totale assunzioni A tempo indeterminato A tempo determinato Con contratto di inserimento Contratto di apprendistato Altre forme contrattuali Totale 70.000 53,9 34,6 2,7 8 0,7 100 15.100 56,5 33,7 1,9 7,1 0,8 100 5.150 28,7 56,3 0,2 14,7 0,1 100 11.710 61,1 26,2 3,3 8 1,3 100 38.050 54,1 34,7 3,1 7,5 0,6 100 2006 Totale assunzioni A tempo indeterminato A tempo determinato Con contratto di inserimento Contratto di apprendistato Altre forme contrattuali Totale 58.050 56,4 31,6 4,3 6,7 1 100 12.510 60,2 30,9 3,4 4,3 1,1 100 3.060 73,9 25,1 0,4 0,4 0,2 100 10.700 45,7 37,3 6,5 10 0,5 100 31.790 56,7 30,6 4,4 7,1 1,2 100 2005 Totale assunzioni A tempo indeterminato A tempo determinato Con contratto di inserimento Contratto di apprendistato Altre forme contrattuali Totale 55.500 55,1 30,9 -6,2 7,8 100 12.260 59,9 29,2 -5,8 5,1 100 3.090 62,3 34,5 -3 0,2 100 10.220 49,3 33,4 -6 11,3 100 29.930 54,3 30,4 -6,7 8,6 100 40% ha un titolo di scuola dell’obbligo; tuttavia sono in crescita i lavoratori flessibili con un titolo di studio alto (laurea) o molto alto (post-laurea). Infine i principali settori produttivi dove vengono utilizzati maggiormente i contratti atipici sono anzitutto il settore alberghiero e della ristorazione9, seguito dal settore dei servizi per le imprese. Questo comparto è estremamente composito al suo interno, costituito da attività ad alto contenuto intellettuale quali amministrazione di imprese, studi di promozione pubblicitaria, organizzazione di convegni, ma anche da occupazioni non qualificate come servizi di pulizia, servizi di vigilanza e così via. Emerge dunque un quadro in cui i lavoratori con un contratto flessibile sono in crescita, e parallelamente è in aumento il tempo in cui essi rimangono nella stessa azienda o almeno nel mercato del lavoro (ma sempre con contratti flessibili). Questi lavoratori hanno biografie molto disomogenee, e in generale vi è un aumento significativo di lavoratori di alto profilo, con 27 un alto titolo di studio e di conseguenza maggiori retribuzioni. Non deve sfuggire tuttavia l’elevato utilizzo di questo tipo di contratto per lavori di bassa qualifica a persone con titoli di studio bassi o al più di livelli medi. La continuità lavorativa si mantiene molto elevata, e questo da un lato significa naturalmente una maggiore costanza occupazionale; tuttavia dall’altro lato può essere letto come una sorta di ‘ingabbiamento’ di molti soggetti nell’instabilità, in una situazione cioè che, se permette di avere una fonte di reddito, non consente una vera programmazione del futuro (accesso al mercato della casa, costituzione di una famiglia). È pur vero che coloro che hanno un buon profilo professionale (buona occupazione con uno stipendio adeguato, alto titolo di studio, competenze professionali) riescono ad ottenere dei vantaggi dalla loro situazione flessibile (più flessibilità oraria, possibilità di guadagni leggermente elevati, possibilità di crescita di carriera); lo stesso non si può dire per coloro che occupano posizioni inferiori e che recepiscono solo gli svantaggi di un sistema che sembrerebbe avere le risorse per creare posti di lavoro anche più stabili (Biagioli et al., 2004). 3.3. Il mercato del lavoro a Milano tra professionalizzazione della forza lavoro e dual city La domanda che ha guidato la nostra analisi e che ci ha fornito una chiave di lettura della trasformazione del sistema economico della provincia di Milano si costruisce sulla teoria della dual city. Secondo tale impostazione, la struttura produttiva di Milano starebbe evolvendo verso un modello in cui è presente un comparto manifatturiero altamente innovativo e tecnologico e legato all’economia della conoscenza e della cultura; un settore finanziario consistente; e un settore dei servizi maturo e indirizzato alla gestione, alla programmazione e alla ricerca. Questo, dal punto di vista delle occupazioni, porterebbe ad un ridursi dei lavori tradizionali, ad una crescita delle professioni di alto livello, dirigenziali e ad alto contenuto di conoscenza e parallelamente ad una crescita di professioni di basso livello, non qualificate, legate ai servizi alle aziende e alle persone. Il quadro che emerge dalla nostra analisi, porta tuttavia a risultati leggermente diversi. Sebbene vi sia un calo dell’industria manifatturiera pesante e una crescita dell’industria di tipo ‘avanzato’, l’indebolimento dell’industria manifatturiera rappresenterebbe anche una decrescita di molte attività tradizionali di stampo culturale e artigianale che costituiscono l’ossatura della struttura economica (principalmente sostenuta da piccoli artigiani) di molte aree nella provincia di Milano. Si potrebbe ipotizzare che 28 molte attività non siano state in grado di operare un adeguamento tecnico e innovativo che consente loro di rimanere sul mercato. Per quanto riguarda la struttura del mercato del lavoro, se è vero che si sta assistendo ad un incremento delle posizioni tecniche e di ricerca (e in generale delle occupazioni ad alto contenuto di conoscenza), non è altrettanto riscontrata una parallela crescita delle occupazioni che si trovano all’estremo inferiore della struttura occupazionale: anzi le richieste delle occupazioni dequalificate si contraggono leggermente. Il modello che parrebbe adeguarsi meglio alla situazione osservata è quello della professionalizzazione della forza lavoro: le classi medie o medio-basse sembrerebbero accedere in maniera crescente a occupazioni tecnico-impiegatizie, mentre, al contempo, si assiste ad una flessione delle occupazioni manuali. Infine si osserva una crescita dei contratti atipici e flessibili, sia nelle professioni di alto profilo, sia in quelle di bassa qualifica. Tuttavia, se nel primo caso i lavoratori hanno le risorse per trarre benefici dalla loro situazione flessibile, i lavoratori non qualificati ne pagano gli svantaggi, rimanendo impigliati nella rete dei lavori flessibili e instabili. In questo caso allora, si potrebbe parlare di un processo di polarizzazione sociale, dove i professionisti hanno le competenze per destreggiarsi nel mare agitato della flessibilità mentre i lavoratori dequalificati rimangono alla mercé di acque insicure. Sembrerebbe dunque che ai problemi classici di disuguaglianza connessi alla posizione occupazionale si sommino oggi questioni connesse all’aumento dell’incertezza e alla difficoltà delle politiche pubbliche di trattarla in modo adeguato (Crouch, 2007). 3.4. Analisi della distribuzione del reddito10 Il secondo versante dell’analisi, come anticipato, prende in considerazione la distribuzione del reddito nelle principali città italiane, analizzato in relazione alle ipotesi presentate più sopra. In particolare verrà osservato il grado di polarizzazione tra le classi più ricche e quelle meno abbienti; si indagherà la consistenza della classe media; infine verranno esplorate le distribuzioni locali del reddito, tenendo presente i differenti gradi di crescita economica dei contesti. È necessaria una premessa metodologica sui dati utilizzati. Il Ministero delle Finanze pubblica, per il 2004 e il 2005 i dati relativi alle dichiarazioni Irpef per comune, organizzati in fasce di reddito. I dati sono dunque di natura aggregata e sono stati riorganizzati per essere trattati in forma individuale11. Inoltre i dati (trattandosi di dichiarazioni Irpef) contengono alcune distorsioni: ovviamente non sono considerati i redditi occulti, mancano 29 le posizioni reddituali incapienti e infine non sono inclusi i redditi di capitale. Il loro valore va dunque considerato nel rapporto tra i contesti piuttosto che come valori assoluti. Il confronto verrà sviluppato su due fronti: tra Milano e gli altri 12 grandi comuni italiani12, tra Milano e i comuni della provincia, aggregati secondo la proposta sviluppata da Balducci per il progetto Città di Città13. Attraverso il confronto è possibile valutare la distribuzione dei redditi di Milano con due termini di paragone: uno esterno rappresentato da situazioni metropolitane italiane simili14 (i 12 grandi comuni) e uno interno, cioè i comuni della provincia di Milano (assunti come proxy di area metropolitana). 3.5. Distribuzioni di reddito a confronto Nelle tabb. 6a e 6b sono presentate la media e la mediana di reddito dei contesti presi in esame. La città di Milano esibisce valori più alti su entrambi gli indici. Considerando la mediana15, nel capoluogo lombardo si ha un valore pari a 21.436 euro annui per dichiarante; segue Roma con 20.881 euro all’anno per dichiarante; Bologna, terza città per mediana di reddito, è staccata dalle prime due di circa 4.000 euro e presenta valori simili a quelli delle aggregazioni di comuni più ricchi della provincia di Milano: 16.337 euro per Bologna, contro 16.200 euro per le aree della provincia più ricche, che presentano valori molto omogenei. Seguono poi le città del nord e del centro, mentre tutte le grandi città del sud registrano valori al di sotto di 15.000 euro l’anno. Per esplorare il processo di polarizzazione e disuguaglianza dei redditi, occorre osservare e comparare la distribuzione del reddito all’interno delle aree territoriali prese in esame. La polarizzazione sociale aumenta, come riferito ampliamente nella parte teorica, quando la forbice tra le classi sociali estreme tende ad allargarsi e, al contempo, la classe media si assottiglia. Trattandosi di un processo, occorre sviluppare un’analisi utilizzando dati in serie storica, per valutare la consistenza delle classi sociali e il loro rapporto nel tempo. Tuttavia i dati in nostro possesso non lo consentono, ma ci permettono di osservare il grado di polarizzazione del comune di Milano confrontandolo con quello degli altri contesti presi in esame. Nei grafici sono rappresentate le distribuzioni dei dichiaranti per classe di reddito, in particolare le figg. 4a, 4b e 5 mostrano, per semplificazione, le distribuzioni di Milano confrontate con una selezione di città, non essendo possibile distinguere simultaneamente le curve di tutti i contesti: nella figura 1.4a vengono confrontate le città di Milano, Roma e Napoli; nella fig. 4b Torino, Firenze e Messina16. 30 Tabb. 6a, 6b – Media e mediana di reddito, 2005: confronto tra grandi comuni italiani (in alto); confronto tra capoluogo e comuni della provincia di Milano (in basso) Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Città Milano Roma Bologna Firenze Genova Verona Torino Venezia Messina Bari Catania Palermo Napoli Media reddito (euro) Mediana reddito (euro) 30.972,90 26.668,40 25.801,40 24.355,50 22.428,70 23.542,10 23.191,60 22.582,80 20.833,60 22.111,70 20.337,90 21.756,20 21.968,30 21.436,00 20.881,20 16.337,20 16.142,30 16.075,40 15.992,30 15.972,20 15.944,60 14.862,10 14.818,70 14.617,50 14.586,00 14.478,50 Nome area Milano Il Nord Milano Vimercatese Adda Martesana (e Trezzese) Il Nord-Ovest (Rhodense e Arese) Il Ticino (Abbiatense e Magentino) Il Sud Ovest (Corsichese e Il Sud Est (via Emilia e Paullese L’Alto Milanese (compreso il Brianza Centrale Brianza Occidentale Media reddito (euro) Mediana reddito (euro) 30.972,90 21.392,74 23.685,08 23.427,54 22.498,29 21.744,45 23.032,45 24.117,20 21.596,40 25.443,08 20.894,55 21.436,00 16.197,88 16.194,78 16.176,32 16.173,07 16.167,91 16.132,44 16.126,69 16.126,11 16.120,55 15.906,81 Appare chiaro dal confronto che a Milano la quota di popolazione con reddito alto e molto alto (sopra i 50.000 euro l’anno) sia la più elevata. La distribuzione mostra anche come la città di Milano sia più ricca, nel complesso, delle altre unità territoriali che compongono la provincia, come mostrato nella fig. 5, sebbene la forma delle diverse curve sia molto omogenea (anche in questo caso si è preferito rappresentare soltanto alcune aggregazioni, per incrementare la chiarezza della figura). Soffermarsi su alcune parti di questi grafici, mettendole a confronto, consente di esplorare 31 Figg. 4a, 4b – Distribuzione dei redditi, 2005: Milano, Napoli, Roma (in alto); Milano, Torino, Firense, Messina (in basso) Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) 25 Milano Roma Napoli percentuale 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 4 x 10 reddito x 10.000 euro 25 Milano Torino Firenze Messina percentuale 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 reddito x 10.000 euro 32 7 8 9 10 4 x 10 Milano Il Sud-Est Vimercatese Brianza Centrale 25 percentuale 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 reddito x 10.000 euro 7 8 9 10 4 x 10 Fig. 5 – Distribuzione dei redditi nelle aggregazioni di comuni della provincia di Milano: Milano, il Sud-est, il Vimercatese, la Brianza occidentale, 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) il tema della polarizzazione: in particolare si osservano le ‘code’ e la parte centrale. Le due parti estreme della distribuzione rappresentano coloro che hanno dichiarato redditi molto bassi o molto alti rispetto alla totalità dei dichiaranti, mentre le parte centrale è occupata da quella che possiamo considerare la classe media. Sembrerebbe allora che nel caso di Milano la classe media sia sottodimensionata rispetto agli altri contesti, ma a favore di una maggiore presenza di redditi alti. Confrontando la distribuzione dei redditi a Milano con quella delle aggregazioni comunali della provincia giungiamo ad una conclusione leggermente diversa: la distribuzione di Milano è sicuramente più ‘bassa’ nella parte centrale e più ‘alta’ nella coda a destra, a significare, come emerge nel confronto con le altre città, un sottodimensionamento 33 della classe media e una maggiore presenza di redditi alti; tuttavia la curva presenta frequenze leggermente più elevate anche nella parte sinistra della figura, ad indicare una maggior presenza di redditi molto bassi. Questo naturalmente è tipico delle grandi città, che tendono a concentrare ricchezza e povertà ed è sicuramente un segno della maggior polarizzazione del contesto milanese rispetto a quelli provinciali. Le aggregazioni di comuni più simili nella distribuzione dei redditi, sono quelle tipicamente più ricche, cioè l’area del Vimercatese (che comprende i comuni di Vimercate e i limitrofi) e quella denominata della Brianza Centrale (l’area che si estende a nord nella provincia, al confine con le province di Lecco e Como), che però non presentano analoghi valori nella parte centrale né nella coda sinistra. 3.6. Curva di Lorenz e indice di Gini Per ragionare sulla polarizzazione dei redditi Atkinson et al., 2002, consigliano, oltre all’osservazione della distribuzione dei redditi, di analizzare la curva di Lorenz, di costruire il coefficiente di Gini e di studiare il rapporto tra il primo e l’ultimo quartile di reddito. Cominciamo osservando la curva di Lorenz presentata nella fig. 6. Anche in questo caso, analogamente alle curve della distribuzione del reddito, vengono rappresentate solo alcune città. Come è noto, la curva si costruisce ordinando in maniera crescente le percentuali cumulate dei redditi delle osservazioni aggregate per decili. La curva di Lorenz rappresenta una misura analitica della distribuzione di una variabile ed è utile per comparare contesti territoriali diverse tra loro. Una situazione di perfetta distribuzione sarebbe rappresentata da una retta che taglia in diagonale la figura. Tutte le città presentano, seppur con gradi diversi, una situazione di disomogeneità nella distribuzione del reddito; più la curva è convessa e i valori sono inferiori all’ipotetica retta di omogeneità, più la situazione di disuguaglianza è elevata. Osservando la figura, si nota come la curva che rappresenta la distribuzione dei redditi di Milano sia sempre posizionata più in basso rispetto a quella degli altri contesti. Questo significa che a Milano i primi decili hanno sempre quote di reddito inferiori ai rispettivi decili nelle altre città, di conseguenza significa non solo che il reddito è distribuito in modo disomogeneo a favore degli ultimi quartili, ma che la disomogeneità è particolarmente elevata rispetto agli altri ambiti urbani italiani. Rispetto a Milano, contesti come quello di Messina o di Firenze risultano avere una distribuzione dei redditi più equa: le curve si trovano infatti localizzate nella parte più alta della figura. D’altra parte Roma e Napoli 34 Fig. 6 – Curva di Lorenz: confronto tra Milano e altri grandi comuni italiani Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) 100 % reddito 90 Milano 80 Torino 70 Firenze Messina 60 Roma 50 Napoli 40 30 20 10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 % popolazione hanno andamenti più simili a quello di Milano, con valori inferiori nei primi decili a quelli delle altre città. È possibile ottenere una ulteriore misura a sostegno di quanto affermato ordinando in maniera crescente le città per quota di reddito per decile. L’analisi della quota di reddito per decile (da cui si costruisce la curva di Lorenz) è di per sé un efficace strumento per comprendere come si distribuisce il reddito in una popolazione e, lo sottolineiamo di nuovo, il confronto territoriale consente di valutare le singole situazioni collocandole in un contesto più ampio. Dal punto di vista metodologico l’analisi per decili avviene dapprima ordinando, in maniera crescente, i decili di popolazione in base alla quota di reddito dichiarata; in seguito si confrontano le quote di reddito per ogni decile in ogni città. Così per quanto riguarda il primo decile di popolazione vediamo dalla tab. 7 che la città di Milano occupa la prima posizione, seguita da Napoli e Catania, mentre le ultime città sono Venezia, Genova e Messina. All’opposto, ordinando le città in base alla quota di reddito posseduto dal decile più ricco, Milano occupa l’ultima posizione. È chiaro che i due dati sono tutt’altro che in contrasto: a Milano il 40% dei redditi della città è in mano al 10% più ricco della popolazione, mente il 10% più povero possiede meno del 2%, quindi la distribuzione del reddi35 Tab. 7 – Percentuali di reddito posseduta dal primo e dall’ultimo decile di popolazione. Città ordinate per la percentuale del primo decile, 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Città Milano Napoli Catania Roma Bari Palermo Firenze Verona Torino Messina Bologna Genova Venezia 1° decile 1,83 1,99 2,08 2,12 2,19 2,23 2,36 2,42 2,43 2,47 2,5 2,62 2,64 --------------- 10° decile 41,11 33,71 32,09 34,72 32,51 31,43 32,71 33,2 33,03 29,81 34,05 30,41 31,23 to è fortemente diseguale. In altri contesti la situazione è meno difforme, per esempio città come Bari o Catania, dove il primo quartile possiede poco più del 2% e l’ultimo circa il 32%. I casi di Genova, Venezia e Messina sono, naturalmente, in linea con la distribuzione delle percentuali cumulate nella curva di Lorenz, quelli che presentano una situazione più equa: sono le città con quote maggiori (rispetto alle altre grandi città) di reddito per il primo decile e quote minori per l’ultimo: il 10% più povero della popolazione dichiara un reddito pari al 2,5% o poco più del reddito totale, mentre il decile più ricco possiede poco meno o poco più del 30%. La distribuzione dei redditi a Milano è più vicina a quella delle città del sud Italia rispetto a quelle più prossime del nord ovest o anche della terza Italia. Questo segnala un maggiore squilibrio tra ricchezza media e disuguaglianza economica. Un ulteriore dato sintetico che è possibile utilizzare e che fa parte dell’elenco ufficiale della Comunità Europea per lo studio della disuguaglianza noto come indicatori di Laeken (European Commission, 2001), è il confronto tra il primo e l’ultimo gruppo di popolazione: è possibile calcolarlo sulla base dei quintili o dei decili o dei quartili. L’opportunità di utilizzare una misura specifica tra queste è discussa in letteratura (si veda, per una sintesi, Atkinson et al., 2002), tuttavia i valori dei diversi indici sintetici non differiscono particolarmente e segnalano, come si vede in tab. 8, risultati molto simili. La città di Milano presenta i valori maggiori tra i contesti 36 Tab. 8 – Rapporti tra ultimi e primi gruppi (decili, quintili, quartili) Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Città Milano Napoli Roma Catania Bari Palermo Firenze Verona Torino Bologna Messina Venezia Genova Rapporto 10° decile Rapporto 5° quintile Rapporto 4° quartile sul 1° decile sul 1° quintile sul 1° quartile 22,5 17 16,4 15,4 14,8 14,1 13,9 13,7 13,6 13,6 12 11,8 11,6 10,2 7,2 7,9 6,6 6,7 6,5 6,7 6,5 6,4 6,8 5,8 5,8 5,8 8,3 6,1 6,5 5,7 5,7 5,6 5,7 5,6 5,5 5,7 5 5 5 considerati: la percentuale di popolazione più ricca (di volta in volta il 25%, il 20% o il 10% più ricco) possiede una quota di reddito che è 8, 10, o 22 volte superiore al reddito posseduto dalla quota di popolazione più povera (rispettivamente il 25%, il 20% o il 10% più povero). Analogamente a quello riportato più sopra, le città che risultano avere una distribuzione meno disomogenea sono Venezia, Genova e Messina, con valori che si collocano tra 5 e 12. I casi di Roma e di Napoli sono invece più simili, per quanto riguarda il rapporto tra ultime e prime quote di popolazione, a quello di Milano. Per quanto riguarda il confronto interno all’area metropolitana, la fig. 7 mostra le curve di Lorenz di Milano e di alcune delle aggregazioni comunali della provincia (tab. 9). Così come è stato notato per la distribuzione del reddito, la situazione di Milano appare la più diseguale tra quella dell’area metropolitana, dove, tra le aggregazioni più simili all’area urbana troviamo, ancora una volta, l’area della Brianza Centrale. Tra le aggregazioni rappresentate in figura, il Vimercatese presenta la situazione più dissimile: la presenza dell’industria (media o piccola) è ancora significativamente forte e il processo di terziarizzazione sta avvenendo più lentamente. Anche osservando la percentuale di reddito posseduta dal primo e dall’ultimo decile di popolazione si osserva come in queste aggregazioni provinciali la distribuzione del reddito sia più equa che nel capoluogo. In parti37 Fig. 7 – Curva di Lorenz: confronto tra Milano e area metropolitana Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) 100 90 Milano 80 Il Sud Est (via Emilia e Paullese Vimercatese % reddito 70 Brianza Centrale 60 50 40 30 20 10 0 10 20 30 40 50 60 % popolazione 70 80 90 100 Tab. 9 – Percentuali di reddito posseduta dal primo all’ultimo decile di popolazione. Aggregazioni ordinate per la percentuale del primo decile, 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Nome area Milano Il Sud Est (via Emilia e Paullese) Il Sud Ovest (Corsichese e Rozzanese) Adda Martesana (e Trezzese) Il Nord Milano Il Nord-Ovest (Rhodense e Arese) Il Ticino (Abbiatense e Magentino) Brianza Occidentale Brianza Centrale Vimercatese L’Alto Milanese (compreso il Castanese) 1° decile -- 10° decile 1,83 2,57 2,66 2,71 2,86 2,87 3,04 3,06 3,63 4,00 4,73 ------------ 41,11 30,70 30,94 30,16 27,40 28,66 28,39 28,39 33,63 30,58 28,92 colare Milano presenta sia valori inferiori rispetto al primo decile sia superiori rispetto all’ultimo, segno di una forte disparità nella distribuzione dei redditi. Per completare il quadro e offrire un ulteriore elemento per giungere ad una comparazione tra diversi territori presentiamo nella tab. 10 i coefficienti di Gini. Come è noto tale coefficiente tiene conto dell’intera distri38 Tab. 10 – Indice di Gini, redditi grandi comuni italiani, anno 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Città Milano Roma Napoli Verona Bologna Firenze Bari Palermo Torino Catania Genova Venezia Messina Indice Gini 0,51 0,45 0,44 0,42 0,42 0,42 0,42 0,42 0,41 0,41 0,39 0,39 0,39 buzione del reddito, non solo delle posizioni estreme, come gli indici che abbiamo appena presentato. Tecnicamente il coefficiente di Gini può essere considerato come la differenza tra l’area dell’ipotetico triangolo sotteso nella figura di perfetta equità e la curva di Lorenz. Si rammenta che la costruzione dell’indice in questo caso è avvenuta attraverso dati aggregati e non individuali, di conseguenza i valori potrebbero essere sovrastimati: non è dunque da comparare con valori dello stesso indice ottenuti a partire dai dati individuali; inoltre, si è detto precedentemente, i dati (che derivano dalle dichiarazioni Irpef) contengono alcune alterazioni che ne limitano l’uso nel rapporto tra i contesti piuttosto che come valori assoluti. Dai dati appare che Milano è la città, all’interno del contesto osservato, che presenta valori più alti, si può dunque concludere che presenta la distribuzione dei redditi più diseguale: questo è ancora una riprova della superiore disuguaglianza di redditi presente nel capoluogo lombardo, che è stato segnalato da tutti gli indicatori utilizzati. Le città di Roma e Napoli seguono con un indice di qualche punto inferiore a quello di Milano. Verona, Bologna, Firenze, Bari e Palermo presentano un indice leggermente minore e a breve distanza troviamo Torino e Catania. Venezia e Messina sono le città dove l’indice è più basso, quindi dove la distribuzione dei redditi è più equa. Questa classificazione riprende in parte la graduatoria ottenuta confrontando le città ordinate sui confronti tra i gruppi, sebbene in alcuni casi con delle differenze: l’indice di Gini consente infatti di considerare la distribuzione nella sua interezza, non soltanto gli estremi. 39 Tab. 11 – Indice di Gini, redditi aggregazioni territoriali provincia di Milano, anno 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’economia e delle finanze (www.finanze.gov.it, ultimo acceso agosto 2008) Aggregazione territoriale Milano Brianza Centrale Il Sud Ovest (Corsichese e Rozzanese) Il Sud Est (via Emilia e Paullese Adda Martesana (e Trezzese) Vimercatese Il Nord-Ovest (Rhodense e Arese) Il Nord Milano L’Alto Milanese (compreso il Castanese) Il Ticino (Abbiatense e Magentino) Brianza Occidentale Indice Gini 0,51 0,42 0,39 0,39 0,38 0,38 0,36 0,35 0,35 0,35 0,35 Confrontando i valori tra le aggregazioni della provincia di Milano e il capoluogo emerge come la disuguaglianza nella distribuzione del reddito nell’area urbana sia significativamente superiore a quella delle zone della provincia. In particolare, i valori più alti sono evidenti nelle zone della Brianza Centrale, del Sud Milano (sud-est e sud-ovest), del Trezzese e del Vimercatese, aree di maggiore espansione demografica negli ultimi anni che hanno visto crescere anche numerosi insediamenti di pregio, oltre ad essere caratterizzate, in particolare il Trezzese e il Vimercatese, da un tessuto di piccole imprese artigiane molto competitive anche sul mercato internazionale (tab. 11). 3.7. Confronto e prime conclusioni Possiamo dunque presentare alcune preliminari conclusioni riguardo alla distribuzione del reddito. Anzitutto a Milano i livelli di reddito sono superiori, sia per quanto riguarda la media, sia rispetto alla mediana, a quelli di tutti gli altri contesti considerati; le città del Sud Italia sono tutte concentrate su livelli di reddito mediamente più bassi. Questo non è un risultato sorprendente: la maggiore consistenza di fenomeni di povertà nel meridione, anche nei contesti urbani, e la storica criticità di alcune aree meridionali, abbassano necessariamente il livello di reddito medio. Il confronto tra le distribuzioni del reddito tra contesti ci consente di capire se se stiamo assistendo a fenomeni di polarizzazione (allargamento 40 della forbice tra classi abbienti e classi povere congiunto ad un assottigliamento della classe media) a Milano o di forte disuguaglianza, rispetto alle altre città italiane. Senza dubbio la città di Milano è quella, tra le considerate, dove il divario tra il dichiarante più ricco e il più povero è maggiore: attraverso l’analisi della distribuzione del reddito per gruppi di popolazione (quartili, quintili e decili) si è infatti osservato che il quarto della popolazione più ricca ha un reddito di 8 volte superiore a quello più povero. È anche la città che presenta valori di reddito più elevati (cioè gli strati più abbienti sono più ricchi a Milano che altrove). Sicuramente, e i dati sulle professioni presentati nel capitolo precedente lo mettono in luce, la consistenza del terziario avanzato porta maggiore livelli di disuguaglianza, se non di polarizzazione, al contrario di contesti dove l’economia rimane più tradizionale. Per studiare la presenza di fenomeni di polarizzazione abbiamo utilizzato tre strumenti: la curva di Lorenz, il coefficiente di Gini e l’osservazione della distribuzione del reddito. Abbiamo visto che sia la curva di Lorenz, sia il coefficiente di Gini (che naturalmente sono in relazione) non solo rivelano la presenza di un divario maggiore tra ricchi e poveri a Milano più che altrove, ma che in generale mostrano come il reddito sia distribuito in modo più disomogeneo nelle due maggiori città (Milano in prima linea, seguita da Roma) rispetto agli altri contesti urbani. Questo è in linea con le ipotesi, ritrovate molte volte in letteratura, che affiancano una maggiore polarizzazione sociale ad uno sviluppo economico di tipo avanzato (prevalenza dei servizi sulle attività manifatturiere, concentrazione di attività di gestione e di controllo, espansione del mercato finanziario). Tuttavia è stato dimostrato che in alcuni caso l’aumento della disuguaglianza non è dovuto a fenomeni di polarizzazione, (quindi non necessariamente legato all’assottigliamento della classe media), bensì ad un aumento dei redditi delle fasce alte o molto alte, senza, al contempo, un restringimento della fascia media associato ad un aumento della quota di persone povere. Ad esempio Fainstein (2001) dimostra che, nel caso di Londra, il crescente divario tra i redditi delle classi più ricche e quelli delle più povere è dovuto ad un sostanziale aumento della ricchezza nelle classi ricche e non ad una diminuzione del reddito delle classi più basse, inoltre non trova evidenze nella contrazione della classe media. Da un’analisi per gruppi di popolazione (il primo quartile, l’ultimo e la quota centrale) si evince che la distribuzione del reddito a Milano ‘premia’ la classe dei più ricchi a discapito delle classi inferiori. Calcolando la media degli scarti delle quote di Milano con quelle delle altre città si deduce che a Milano il primo quartile ha una quota di reddito che è in media infe41 riore del 2% rispetto alla quota delle altre città, che per la classe di mezzo questa quota è del 6% in meno e che invece l’ultimo quartile ha una quota di reddito di 8 punti percentuali superiore rispetto alle altre grandi città italiane. Non possiamo valutare l’evoluzione nel tempo, ma sembrerebbe che, rispetto ad altri contesti, ci sia una parziale erosione delle classi medie a favore delle classi più alte. La stessa ipotesi sembra confermata da Bono e Checchi (2001) che utilizzano dati di fonte Banca d’Italia e che rilevano, utilizzando dati in serie storica, un aumento della polarizzazione17. L’ipotesi che questa situazione sia tipica delle economie avanzate, non trova un elevato riscontro nei dati: le situazioni di Genova e Torino, che, a seguito della riconversione di molti degli stabilimenti industriali, presentano un buon assetto economico e produttivo, non presentano situazioni di forte disuguaglianza di reddito tra le diverse classi sociali. La situazione di Milano, per quanto riguarda la distribuzione del reddito, è più simile a quella di Roma, sebbene nella capitale la consistenza della classe media sia più significativa (probabilmente dovuta alla concentrazione di impiegati nella pubblica amministrazione). Possiamo allora dedurre che il comparto finanziario sia una delle variabili cruciali, e infatti lo sviluppo economico di Milano è, in questo senso, più prossimo a quello di Roma piuttosto che a Torino e Genova. Un ulteriore elemento che può essere in grado di spiegare la forte presenza di redditi alti e altissimi a Milano potrebbe essere ricercato nel livello di globalizzazione della città e nella capacità di attrarre talenti e professionisti di alto livello. Inoltre i dati sulla distribuzione di reddito nelle zone dell’area metropolitana mostrano come ci sia simultaneamente una forte concentrazione territoriale di redditi bassi e di redditi elevati (dovuti alla maggior presenza di professioni di controllo e posizioni strategiche) delle disuguaglianze nel capoluogo, piuttosto che nella provincia. Anche per quanto riguarda l’indice di Gini, che, lo ricordiamo, offre una misura della disuguaglianza, ma non della polarizzazione, città come Torino e Genova presentano valori molto più bassi di molte città del sud, ma anche del centro Italia, dove si trova un modello di sviluppo forse più equilibrato, con meno ricchezza ma maggiore coesione sociale. 4. Le dinamiche demografiche a Milano Come si sta evolvendo la città di Milano in termini di popolazione? Chi sono i cittadini che la abitano? Come si compone, e come è cambiata, la struttura demografica dell’area metropolitana? Questa sezione presenta la trasformazione dell’assetto demografico dell’area metropolitana milanese, per capire fino a che punto lo sviluppo economico della città vada di 42 pari passo con le traiettorie demografiche. Inoltre si compareranno, per quanto possibile, i dati di Milano con quelli di altre situazioni europee simili, per avere anche un termine di paragone esterno, perché sempre più Milano è inserita in circuiti internazionali e si confronta con essi. La lettura dei dati consentirà di gettare luce sul nesso tra sviluppo economico e dinamica demografica, in particolare col fine di capire fino a che punto il percorso di crescita economica si dipani in modo indipendente da quello di crescita demografica. Viene infatti segnalato (Ranci e Torri, 2007) come l’equilibrio sociale rappresenterebbe un elemento di coesione sociale, perché consente un rapporto armonioso tra chi produce e chi no, tra chi svolge lavoro di cura e chi ne ha bisogno, tra generazioni diverse e così via; si cercherà dunque di capire se e in che misura la crescita economica di Milano possa aver effetti sull’equilibrio e sulla spinta demografici. Secondo Esping-Andersen (1999), la bassa fertilità dei paesi del Sud Europa segnala un forte trade-off tra crescita della base occupazionale e benessere della popolazione, causata dall’inesistenza di servizi di welfare capaci di consentire la conciliazione lavoro-cura e favorire la natalità. Si potrebbe dunque ipotizzare che il contesto milanese stia ‘spingendo’ la crescita economica a danno di alcune fasce di popolazione (principalmente i giovani con progetti di costituzione familiare) che rappresenterebbero una risorsa per il futuro sviluppo economico della città. Inoltre il paragone con contesti europei aiuterebbe a comprendere quanto Milano sia in grado di stare al passo con altri paesi in cui il rapporto tra traiettoria economica e dinamiche demografiche è più lineare. Per capire se tali speculazioni sono fondate su reali fattori di squilibrio demografico presentiamo nelle pagine seguenti le trasformazioni sul piano demografico nell’area metropolitana milanese, attraverso i saldi migratorio e naturale, con una particolare attenzione al ruolo degli stranieri in città; infine concluderemo cercando di tracciare una prima ipotesi sul futuro della città. 4.1. Saldo naturale e migratorio Osservando l’andamento nel tempo del saldo migratorio e del saldo naturale e confrontando il dato del comune di Milano con quello dei comuni della provincia vengono messi in luce alcuni interessanti dati (figg. 8 e 9). Anzitutto nei comuni della provincia il saldo naturale è sempre fortemente positivo, mentre a Milano sempre negativo ma in crescita, fino ad arrivare pressoché a 0 (cioè una parità nel numero dei morti e dei nati) nell’anno 2007. 43 Fig. 8 – Saldo naturale 2002-2007 (rappresentato come percentuale sulla popolazione residente) Fonte: Ns. elaborazione dati Istat, database Demo, Uffici anagrafe saldo naturale 2002 -2007 Milano Comuni Provincia 0,3 0,3 0,2 0,2 0,1 0,1 0,0 -0,1 -0,1 2002 2003 2004 2005 2006 2007 -0,2 -0,2 -0,3 Fig. 9 – Saldi migratori interno ed esterno 2002-2007 (rappresentato come percentuale sulla popolazione residente) Fonte: Ns. elaborazione dati Istat, database Demo, Uffici anagrafe MI - interno Saldo migratorio Prov - interno 3,0 MI - estero 2,5 Prov - estero 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 -0,5 2002 2003 2004 2005 2006 2007 -1,0 -1,5 Osservando i dati sulla popolazione residente in serie storica dal ’51 a oggi (fig. 10) si nota che la città è aumentata in misura minima (e, anzi, Milano ha perso quasi il 20% della popolazione rispetto al ’61, quando c’è stato un boom di crescita), a differenza dei comuni dell’area metropolitana, che hanno subìto un forte incremento (la popolazione è più che raddop44 Fig. 10 – Popolazione residente 1951-2007, Milano e comuni della provincia Fonte: Ns. elaborazione dati Istat MILANO (1951=100) Provincia Milano (1951=100) Comuni Provincia (1951=100) 230 210 190 170 150 130 110 90 70 50 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 piata dal ’51 ed è aumentata del 60% dal ’61; se invece si osserva la provincia nel suo insieme, cioè considerando anche il comune di Milano, l‘incremento di popolazione è inferiore, ma il saldo ancora positivo). Vediamo ora il cambiamento demografico imputato alle iscrizioni e cancellazioni all’anagrafe. Anzitutto sono stati calcolati due tassi distinti, uno che fa riferimento alle migrazioni interne (iscritti a e cancellati da comuni italiani), l’altro che considera i movimenti da e per l’estero. Il saldo migratorio interno risulta sempre negativo per il comune di Milano, che perde popolazione a favore di altri comuni italiani, e sempre positivo per i comuni della provincia, sebbene con valori molto bassi. Questo potrebbe essere interpretato come una progressiva espulsione di popolazione da Milano a favore dei comuni della provincia. Il saldo migratorio da e per l’estero è invece sempre positivo e con valori, almeno per il capoluogo, molto elevati18. Nel 2004 il saldo supera il 2% (un effetto ritardato della sanatoria del 2002) per poi scendere poco sopra lo 0,5% nel 2007. Per quanto riguarda la provincia i valori sono più bassi ma in crescita, nel 2007 hanno superato, seppur di poco, quelli del comune. Nel 2007 gli stranieri residenti nel comune di Milano ammontano a una quota di poco superiore al 13%, mentre nei comuni della provincia risultano essere il 5,7%. L’Ismu stima che gli stranieri, regolari e non, provenienti da paesi in via di sviluppo e dall’Est Europa rappresentino a Milano il 16,3% della popolazione e nei comuni della provincia l’8,12%19. 45 L’età media nel comune di Milano è di poco inferiore ai 45 anni, contro poco meno di 42 nei comuni della provincia. Il dato si mantiene sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi 4 anni (dal 2004 al 2007 presenta delle oscillazioni di qualche decimo di anno). La percentuale di ultra 65enni a Milano è pari a 23,7 e quella di ultra 75enni a 11,3, mentre nei comuni della provincia gli indici rispettivamente sono pari a 20 e a 8,8 (anno 2007; fonte Demo Istat): appare chiaramente come la struttura demografica sia meno equilibrata nel capoluogo che nei comuni del ring dell’area metropolitana. Tuttavia, emergono aspetti particolarmente interessanti se si osserva il dato confrontandolo non solo territorialmente, ma anche qualitativamente. Balza infatti all’occhio che l’età media degli stranieri è estremamente più bassa di quella degli italiani, sia nel capoluogo che in provincia: in media gli stranieri hanno 15 anni in meno a Milano, 12 anni in meno nei comuni della provincia (tab. 12). Tab. 12 – Età media italiani-stranieri, 2007 Fonte: Ns. elaborazione dati Istat, database Demo, Uffici anagrafe 2007 età media Milano totale italiani stranieri 44,98 46,96 31,83 Comuni provincia totale italiani stranieri 41,91 42,67 29,35 Anche l’osservazione del grafico della distribuzione d’età ci fornisce un quadro estremamente chiaro: il primo grafico (fig. 11a) mostra la distribuzione degli italiani per anno di età, il secondo (fig. 11b) degli stranieri. Si osserva anzitutto che gli stranieri, al contrario degli italiani, sono concentrati nella fascia di piena attività, dai 25 ai 50 anni; inoltre la quota di stranieri minori è superiore a quella degli italiani, mentre la popolazione in età pensionabile è sostanzialmente nulla. La popolazione straniera in età infantile (0-5 anni) è molto consistente, segno di una propensione recente degli stranieri ad avere figli. Il confronto tra Milano e i comuni della provincia mostra che, sia per gli italiani che per gli stranieri, in provincia è presente una quota di giovani superiore a quella del capoluogo, rapporto che si inverte per la popolazione anziana. Tenendo bene a mente queste osservazioni, torniamo ora alla questione della crescita della popolazione e osserviamo i tassi di fecondità (nati/F[15-49])20 e di natalità (nati/pop)21 nel comune di Milano e in quelli della provincia (tab. 13). Anzitutto a Milano i tassi di natalità sono sempre inferiori di circa mezzo punto percentuale rispetto a quelli della provincia, sebbene presentino un trend temporale simile. I tassi di fecondità non presentano differenze 46 Figg. 11a, 11b – Struttura della popolazione per età (% su popolazione italiana), anno 2007: italiani (in alto); stranieri (in basso) Fonte: Ns. elaborazione dati Istat, database Demo, Uffici anagrafe 90 85 80 75 70 65 60 Comuni Provincia 10 95 0 e pi ù Milano 55 50 45 40 35 30 25 20 15 5 10 0 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 96 92 88 84 80 76 72 68 64 60 56 Comuni Provincia 100 e più Milano 52 48 44 40 36 32 28 24 20 16 8 12 4 0 0 -0,5 Tab. 13 – Tassi di fecondità Fonte: Ns. elaborazione dati Istat, database Demo, Uffici anagrafe 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Pop. totale Donne 15-49 anni Milano Nati Tasso Tasso natalità: fecondità: nati/pop nati/donne * 1000 * 100 1.253.503 1.247.052 1.271.898 1.299.439 1.308.735 1.303.437 282.732 277.800 283.841 292.157 296.052 292.665 12.027 12.059 12.620 12.285 12.312 12.871 9,59 9,67 9,92 9,45 9,41 9,87 4,25 4,34 4,45 4,20 4,16 4,40 Pop. totale 2.451.820 2.474.376 2.503.867 2.539.777 2.560.302 2.581.044 Comuni della provincia Donne Nati Tasso Tasso 15-49 natalità: fecondità: anni nati/pop nati/donne * 1000 * 100 605.456 604.066 607.319 611.004 610.216 610.453 23.738 24.090 25.569 25.518 26.211 25.965 9,68 9,74 10,21 10,05 10,24 10,06 3,92 3,99 4,21 4,18 4,30 4,25 47 significative: il confronto tra i tassi di natalità e di fecondità mostra infatti come il comportamento delle donne residenti nei comuni della provincia o nel capoluogo sia pressoché analogo: il numero superiore di nascite registrate nei comuni del ring dell’area metropolitana è imputabile evidentemente ad una maggior presenza di donne in età feconda. Osservando i medesimi elementi riferiti agli stranieri22, emergono dati molto dissimili: nei comuni della provincia il tasso di natalità degli stranieri (numero di nati stranieri su popolazione straniera) è di 22,21 e il tasso di fecondità delle donne straniere residenti nei comuni della provincia è di 6,49 figli ogni 100 donne in età feconda. Il capoluogo presenta valori leggermente inferiori: tasso di natalità pari a 16,23 e di fecondità pari a 4,68 (tab. 14). Tab. 14 – Tassi di fecondità e natalità degli stranieri, anno 2006 Fonte: Ns. elaborazione dati Osservatorio provinciale sull’immigrazione della provincia di Milano Totale Milano Comuni della Provincia Popolazione straniera presente Donne Nati Tasso Tasso 15-49 natalità: fecondità: anni nati/pop nati/donne * 1000 * 100 170.731 142.951 59.188 48.959 2.771 3.176 16,2 22,2 4,7 6,5 Si può dunque concludere, per quanto riguarda l’assetto demografico, che l’apporto degli stranieri non si segnala soltanto rispetto ad un incremento della popolazione, ma anche, e soprattutto, per una differente attitudine alla procreazione delle famiglie. Il saldo naturale della città di Milano che negli ultimi anni è cresciuto leggermente (pur rimanendo inferiore allo 0) è imputabile dunque alla presenza di donne immigrate, con tassi di natalità superiori a quelli delle italiane, non tanto ad una maggior propensione delle donne italiane alla maternità. Rapportando le dinamiche demografiche dell’area metropolitana milanese con quella di altre città europee, il capoluogo lombardo presenta tassi fortemente inferiori a quelli di molti contesti, molti dei quali, non stupisce, nord-europei, ma molti anche mediterranei, come Barcellona, Madrid, Lisbona. Inoltre molte città italiane hanno tassi di fecondità molto più alti di quelli di Milano, in particolare le grandi città del sud, ad esempio Napoli, Catania, Palermo23 (si veda la tabella nell’appendice statistica). Inoltre la città di Milano perde popolazione italiana: in particolare sembrerebbero i giovani con progetti familiari a lasciare il capoluogo. Questo 48 causa naturalmente un aumento dell’età media nella città e un incremento, soprattutto, della quota di anziani (e grandi anziani) nel capoluogo. Il tasso di carico anziani24 nel capoluogo è, nel 2007, pari a 36,9% in leggera crescita rispetto agli anni precedenti (era pari a 35,9% nel 2004, ma 36,2% nel 2001) (anno 2007; fonte Demo Istat). Nei comuni della provincia il dato presenta valori inferiori, nel 2007 è pari a 27%; inoltre il confronto con altri contesti europei mostra che il dato milanese è uno dei più alti tra le città Europee: solo Lisbona, tra le città non italiane, presenta valori superiori (fonte Eurostat Urban Audit, 1999-2002). Analogamente il tasso di popolazione residente con più di 75 anni è particolarmente alto nel capoluogo: nel 2007 più dell’11% della popolazione si trova in quella coorte d’età, cioè il 10% in più del 2001 (10,3%), un dato in continua crescita, che, nel 1991, contava l’8,11% della popolazione. Quindi dal 1991 al 2007 vi è stato un incremento di popolazione anziana pari quasi al 40% (39,3%). Anche in questo caso il confronto internazionale offre la possibilità di comprendere meglio come la situazione di Milano, ma in generale quella delle grandi città italiane, sia peculiare: non c’è nessun altro contesto urbano europeo (a differenza, lo ripetiamo di alcuni contesti italiani) che ha sperimentato un incremento così rapido della quota di popolazione anziana. Il crescente numero di anziani e di grandi anziani solleva la questione della necessità di servizi di cura, non sufficientemente affrontata dai sistemi di welfare nazionali o locali. Se aggiungiamo che, parallelamente alla transizione demografica e alla scarsa risposta dei servizi sociali, si affianca una crescente tendenza all’occupazione femminile, allora l’aumento di anziani e grandi anziani solleva dei nodi problematici, se non perfino di vera e propria emergenza (Cerea, 2007). Per quanto riguarda gli stranieri, essi sono più concentrati a Milano che nei comuni della provincia; il tasso di fecondità e di natalità sono sempre superiori a quello degli italiani residenti. Tuttavia, anche per gli stranieri, a Milano il tasso di natalità è inferiore che nella provincia. Una prima conclusione che si può derivare da queste osservazioni è che vi sia uno spostamento di persone giovani (e con progetti familiari) fuori dai confini cittadini. I giovani italiani che rimangono in città sono poco propensi a mettere in atto strategie familiari e contribuiscono così all’innalzamento dell’età media della popolazione urbana. Per gli stranieri Milano esercita una forte attrazione, dovuta essenzialmente alla concentrazione di attività economiche, e dai bisogni crescenti di cura degli anziani, per cui gli stranieri sono tradizionalmente chiamati come caregiver. Tuttavia sembrerebbe che anche gli stranieri subiscano in qualche modo l’effetto della cultura urbana di Milano, presentando tassi di fertilità e di natalità inferiori a quelli degli stranieri residenti nei comuni della provincia. 49 4.2. Cittadini stranieri come risorsa culturale e innovativa Anche soltanto a partire dai dati demografici, si può affermare che gli stranieri rappresentino una ricchezza importante per la città: la maggior parte di essi è costituita da giovani o giovani adulti che costituiscono una risorsa per la città come forza lavoro; inoltre, contribuiscono all’equilibrio demografico attuale e futuro della città, che risulterebbe invece molto squilibrato a causa dei comportamenti (riproduttivi e abitativi) dei giovani italiani. Il ruolo degli stranieri nel contesto milanese non è però apprezzabile soltanto sul piano demografico, anzi è nella struttura del mondo del lavoro che gli stranieri svolgono un ruolo fondamentale. Come ricorda Hamnett, «le città, come calamite, attraggono ambiziosi, fiduciosi e disperati» (2003, p. 103), e diventano il luogo di lavoro di stranieri che vi giungono per diversi motivi. Dal punto di vista del mercato del lavoro, gli stranieri a Milano (regolari e irregolari25) si caratterizzano per essere ben inseriti nel mercato del lavoro per circa il 45% (regolari a tempo indeterminato, autonomi e liberi professionisti) a cui è possibile aggiungere un altro 13% (12,8%) di immigrati irregolari occupati stabilmente26. Quasi il 20% degli immigrati è rappresentato poi da regolari con contratti flessibili (lavoro part-time, somministrato, stagionale), mentre il 14% degli stranieri a Milano presenta situazioni di esclusione dal mercato del lavoro (irregolari instabili e disoccupati). Infine circa il 10% è fuori dal mercato del lavoro in quanto casalinghe o studenti27. Un dato ancor più interessante è rappresentato dall’imprenditorialità degli stranieri, che è ben sviluppata in Italia e che rappresenta per molti un efficace strumento di inclusione sociale. Dalla tab. 15 si evince che la provincia di Milano è il luogo dove si concentrano le nuove attività gestite da stranieri: il 14% delle ditte individuali ha un titolare di nazionalità extra-comunitaria, contro una media lombarda di 9,5% e una nazionale di 6,6%. In tutte le province la variazione rispetto all’anno precedente segnala una crescita, sebbene a Milano il tasso di crescita sia inferiore rispetto agli altri contesti (e lo stesso accade per la nuova provincia di Monza e Brianza), segno forse di una parziale saturazione dei settori28. Un dato di notevole interesse è rappresentato inoltre dalla scomposizione delle ditte individuali secondo il settore produttivo. Come suggeriscono Cappetta e Salvemini (2005), è possibile osservare la quota e l’incidenza delle ditte individuali con titolare straniero che operano nei settori cosiddetti high-tech e high-symbolic. Come si è visto nei capitoli precedenti di questo scritto, Milano infatti eccelle, sia sul piano nazionale che su quello internazionale, nei settori ad alto contenuto innovativo, tecnologico, crea50 Tab. 15 – Ditte individuali con titolare straniero per area geografica, anno 2007 (valori assoluti e percentuali) Fonte: Elaborazioni Servizio Studi della Camera di Commercio di Milano su dati Infocamere (Milano produttiva, 2008) Provincia Bergamo Brescia Como Cremona Lecco Lodi Mantova Milano Monza e Brianza Pavia Sondrio Varese Lombardia Nord-ovest Nord-est Italia Nazionalità comunitaria v.a. % su tot. var. % 2007 2007 07/06 Nazionalità extra comunitaria v.a. % su tot. var. % 2007 2007 07/06 757 1.101 426 551 199 295 396 2.729 654 794 62 736 8.700 1,6 1,8 1,7 3,1 1,5 3 1,5 2,2 2,1 2,6 0,6 2,1 2 23,3 31,9 22,4 52,6 25,9 36,6 29 14,8 24,6 54,5 6,9 36,3 27 3.650 5.596 1.913 1.273 743 849 2.342 17.160 2.120 1.726 429 2.911 40.712 7,6 9 7,6 7,2 5,6 8,6 9,1 14,1 6,9 5,6 4,3 8,4 9,5 10 9,9 16,7 11,9 8 17,1 11 3,2 5,9 16,1 4,4 12 7,6 17.580 13.676 63.104 2,2 2 1,9 28,8 17,5 18,9 65.841 52.295 224.012 8,2 7,7 6,6 8,4 8,3 8 tivo e culturale. Anche l’imprenditorialità straniera tende dunque a inserirsi in un tessuto produttivo innovativo e a contribuirvi (tab. 16). Infine gli stranieri sono sempre più attratti anche dalle università. Nell’anno accademico 2004/05 gli stranieri rappresentano quasi il 4% degli studenti nelle università milanesi, di cui poco meno della metà proveniente dai paesi dell’Europa orientale, quasi un quarto dall’Europa occidentale, il resto spartito tra America latina, Africa, Asia30. La tab. 17 mostra che il numero degli studenti stranieri iscritti nelle università milanesi dall’anno accademico 1998/99 al 2004/05 si mantiene intorno alle 30.000 unità e che è in leggera crescita. Sebbene il valore non rappresenti certo un dato in linea con i principali paesi europei, dove la presenza di studenti stranieri è molto più alta31, potrebbe rappresentare un segnale interessante, soprattutto se comparato con i dati a livello nazionale. Infatti nel complesso la percentuale di stranieri immatricolati nelle università italiane è pari a poco più del 2,5% nell’anno accademico 2004/05, cioè un punto percentuale in meno rispetto al capoluogo lombardo. Inoltre il trend in crescita lascia presumere che il dato sia in aumento anche nei prossimi anni. 51 Tab. 16 – Imprenditorialità etnica a Milano nei settori innovativi30 Fonte: Cappetta, Salvemini, ‘Classe creativa’, 2005 Valore percentuale Anno Totale High-tech High-symbolic 2001 2002 2003 2004 8,36 8,57 8,56 8,52 9,61 10,02 10,24 10,51 16,87 16,44 16,05 16,24 Valore di incidenza Totale High-tech High-symbolic 1,87 1,92 1,9 1,86 1,15 1,17 1,2 1,23 2,02 1,92 1,88 1,91 Tab. 17 – Stranieri immatricolati nelle università milanesi Fonte: Elaborazini Milano produttiva, 2008 su fonte Miur 98/99 99/00 00/01 aa01/02 02/03 03/04 04/05 Stranieri immatricolati 664 485 577 777 872 985 1.149 Totale immatricolati 29.447 28.352 29.770 32.921 30.540 31.285 31.357 % stranieri su tot. immatric. 2,2 1,7 1,9 2,4 2,9 3,1 3,7 Attraverso la presentazione di questi dati si è inteso trattare di immigrazione in termini di risorse per la città, lasciando per una volta sullo sfondo le questioni, pur importantissime, di povertà, esclusione sociale e integrazione che spesso sono legate a questo fenomeno. Si vuole sottolineare come gli stranieri possano essere per Milano una risorsa importante, non soltanto in termini di incremento demografico e di bilanciamento sociale, ma anche in termini di qualità del lavoro e di cultura, a patto che vi siano le condizioni necessarie per una vera inclusione sociale. Politiche sociali che affrontano la questione dell’accesso alla casa e al lavoro di tutte le fasce di immigrati, pongono in essere i presupposti affinché Milano possa crescere anche grazie all’apporto degli stranieri. 4.3. La Milano di domani La struttura demografica di Milano sembrerebbe evolvere verso un modello di città che poco ha in comune con altre città europee che presentano lo stesso assetto economico ed occupazionale. Anzitutto la città ha perso molta popolazione a favore dell’area metropolitana fino al 2001, anno che vede una leggera crescita demografica dovuta all’apporto degli stranieri; nei comuni della provincia di Milano, invece, la popolazione è in continua crescita. L’osservazione dei saldi natu52 rali e migratori mostrano come nel capoluogo ci sia una decrescita in termini naturali, anche se grazie all’apporto degli stranieri, i tassi di natalità all’interno del capoluogo stanno leggermente crescendo; tuttavia negli ultimi anni anche la crescita imputata alle migrazioni in entrata stia diminuendo. Nei comuni della provincia i saldi naturale e migratorio sono entrambi sempre positivi nel tempo (sebbene il primo molto inferiore al secondo). La decrescita della popolazione nel comune di Milano è da imputarsi ad una uscita dalla città di popolazione italiana giovane e in età feconda e ai bassissimi tassi di fertilità e di natalità. Questo crea squilibri demografici, impoverisce il capitale sociale della città e crea convivenze difficili tra gruppi di popolazione. Come si è osservato attraverso la presentazione dei dati, lo squilibrio demografico è legato a tre questioni cruciali. Anzitutto la transizione alla vita adulta dei giovani: da molte ricerche infatti emerge la difficoltà dei giovani a uscire dalla famiglia di origine, a costituire una nuova famiglia e a programmare la nascita di figli. I dati che abbiamo mostrato raccontano soltanto l’esito di questa questione, evidenziando una città che invecchia e che non si rigenera. In secondo luogo si osserva la difficoltà per molti stranieri a inserirsi in un percorso sociale e culturale di integrazione sociale. Le forme di lavoro precario, la difficoltà ad entrare nel mercato della casa rendono difficile intraprendere una traiettoria di inclusione sociale per molti stranieri; sottolineiamo come il loro apporto alla società milanese vada letto su diversi piani: da un lato una spinta ad un equilibrio demografico in grado di sostenere nel tempo lo sviluppo economico; dall’altro una crescita culturale in grado di arricchire il tessuto sociale e il capitale culturale locale. Infine elemento cruciale per mantenere equilibrato lo sviluppo demografico è la presenza di giovani: non sono questi vanno trattenuti nella città, ma anche, e soprattutto, occorre implementare misure in grado di attrarre le nuove generazioni nella città. Come sottolineato più sopra, le università milanesi richiamano studenti stranieri, ma in numero ancora limitato, soprattutto se si paragonano con altri contesti europei. Sono dunque tre i gruppi di popolazione su cui si vuole gettare luce e che meritano attenzione, non tanto da parte degli studiosi e degli accademici, che sono ben consapevoli della trasformazione in atto, quanto da parte del governo della città: 1. anzitutto gli anziani soli e i grandi anziani: lo sviluppo economico di Milano sembrerebbe orientarsi verso un modello neoliberista di crescita, indirizzato alla privatizzazione di servizi di cura da un lato e di spinta al lavoro femminile dall’altro. All’interno di questo panorama risulta sempre più difficile per la famiglia combinare il lavoro di cura degli anziani con l’occupazione nel mondo del lavoro (ancora una volta sono 53 le donne che soffrono della difficoltà di conciliare tempi di cura e tempi di lavoro); nel caso invece dell’assenza della famiglia, gli anziani e i grandi anziani rappresentano una categoria a rischio di esclusione sociale e povertà, perché non sempre in grado di procurarsi i servizi di cui hanno bisogno. È dunque necessario progettare una serie di politiche sociali indirizzate agli anziani e soprattutto ai grandi anziani. 2. I giovani, ma soprattutto le giovani coppie e le donne in età feconda con progetti di maternità. La questione è fondamentale per la società e riguarda temi delicati quali la difficile transizione alla vita adulta, il passaggio dal lavoro alla indipendenza abitativa sino alla formazione della nuova famiglia e alla procreazione. L’aumento e la consistenza dei contratti di lavoro instabili e precari, unito alla crescita del costo della vita nella città e alla mancanza di politiche per la casa, rendono il passaggio alla vita autonoma particolarmente rischioso e difficile. Occorre costruire politiche in grado di ‘tenere’ i giovani nella città e di aiutarli nella transizione alla vita adulta attraverso politiche di accesso alla casa, volte al miglioramento della qualità ambientale e volte alla progettazione di servizi dedicati alla conciliazione tra lavoro e famiglia. 3. Infine gli stranieri che si rivelano sempre di più una risorsa per la città, sia per quanto riguarda gli aspetti demografici, in grado di bilanciare, sebbene in parte, gli squilibri esistenti, sia per quanto riguarda la crescita culturale della città. Tuttavia, in assenza di altri strumenti di inclusione sociale, mancano delle politiche di accoglienza e di facilitazione dei processi di integrazione sociale. La mancanza di azioni volte al miglioramento delle condizioni di vita di questi gruppi di cittadini porterà con molta probabilità ad uno squilibrio demografico che comporta una serie di problemi di coesione ed inclusione sociale. Si profila una città con un forte disequilibrio tra città produttiva, competitiva con i livelli europei, e una struttura demografica che non consente un equilibrio tra forze produttive e sociali. La città rischia di spezzarsi in due nuclei, composti da chi lavora (giovani coppie, italiane o straniere, senza figli, adulti) e da chi non è in grado (o non vuole) lasciare la città (anziani soli). 5. Conclusioni Concludiamo questo capitolo anzitutto con un breve riassunto dei principali risultati. Per quanto riguarda la trasformazione dell’assetto economico di Milano, il capoluogo lombardo sta vivendo una transizione verso un’economia 54 post-fordista avanzata: si contrae il settore manifatturiero pesante, è in crescita il settore delle costruzioni, ma soprattutto sono in crescita le attività dei settori innovativi e della conoscenza. Vi sono segnali di una parziale contrazione dei settori tradizionali artigiani che sembrano non essere in grado di reggere la concorrenza internazionale. Rispetto alla struttura occupazionale, aumentano le professioni tecniche e ad alto contenuto intellettuale, mentre si contraggono al contempo le professioni non qualificate. I contratti di lavoro flessibili crescono, e potrebbero rappresentare un fattore di polarizzazione tra i professionisti flessibili e i precari con bassi livelli salariali e poche speranze di avanzamento di carriera. Il largo uso di contratti flessibili potrebbe portare all’acutizzarsi di situazioni ai margini dell’esclusione sociale e alla crescita dei lavoratori cosiddetti working-poor (Mingione, 1996). In generale si può dire che si assiste ad un processo di professionalizzazione dell’occupazione, che può portare all’emergere di una nuova classe media, in linea con le trasformazioni di alcune metropoli ad economia avanzata europea (Hamnett, 2003). Dall’analisi della distribuzione dei redditi emerge che il divario tra i più ricchi e i più poveri è più consistente a Milano che altrove: questo potrebbe essere l’esito della crescita di attività del terziario avanzato; la classe centrale della distribuzione (i 4 decili centrali della popolazione ordinata per reddito) presenta una quota di reddito che, proporzionalmente, è la più bassa tra i contesti osservata, ma la più alta in termini assoluti (come mostrato in tabella nell’appendice statistica). Questo potrebbe essere letto come una conseguenza della professionalizzazione della classe media, congiuntamente con un incremento di redditi alti e molto alti. La polarizzazione tra i meno abbienti e i più ricchi potrebbe inoltre essere determinata dall’aumento dei redditi nelle fasce più ricche della popolazione. In questo caso il ceto medio risentirebbe di questo mutamento nel suo rapporto con i ceti superiori, perché perde reddito rispetto alla classe di riferimento: si può dunque parlare di una deprivazione relativa del ceto medio. Infine attraverso l’esplorazione della trasformazione demografica di Milano emerge che la città sta progressivamente perdendo popolazione italiana, in particolare giovani coppie con figli, mentre guadagna popolazione straniera. Nonostante l’ingresso di popolazione giovane straniera, a causa dei tassi di natalità negativi o nulli, e dell’allungarsi della speranza di vita, il numero degli anziani e dei grandi anziani è in costante aumento. Il confronto con i comuni della provincia ha mostrato che nel ring la popolazione è in crescita, sia a causa dell’immigrazione straniera e degli spostamenti interni, sia grazie a saldi naturali sempre positivi. Dall’esplorazione dei 55 dati emerge con forza l’opportunità che rappresenterebbe l’attrazione di Milano nei confronti degli stranieri: dal punto di vista demografico presentano tassi di natalità superiori a quelli degli italiani e costituirebbero uno strumento utile per un ribilanciamento demografico della popolazione; dal punto di vista economico si rileva un’interessante presenza di stranieri in settori innovativi e ad alto contenuto simbolico. Emerge inoltre che nella città non ci sono le condizioni necessarie (per mancanza di adeguate strutture di servizi di cura per l’infanzia, per un mercato della casa che per molti è inaccessibile) a molti giovani per poter transitare alla vita adulta nel pieno rispetto delle loro esigenze: se si intende rimanere in città (dove sono concentrate le attività economiche), con i costi che questo comporta, in mancanza di redditi molto alti, si rinuncia a progetti di famiglia. Inoltre il mondo del lavoro, basato su professioni ad alto contenuto intellettuale e fortemente competitivo, spinge i lavoratori (ma soprattutto le lavoratrici) a dedicare molto tempo alla carriera; in mancanza di buone strutture di servizi di cura per l’infanzia, questo porta inevitabilmente a posticipare la maternità e in molti casi anche a rinunciarvi. Inoltre la flessibilità crescente del lavoro (a tutti i livelli) e la precarietà che spesso ne deriva, non garantisce la sicurezza necessaria per programmare la nascita di figli né l’acquisto di una casa di dimensioni adeguate. Da questi risultati si segnala che a Milano c’è sicuramente un aumento della disuguaglianza dei redditi, dovuto in larga misura alla crescita dei redditi alti, inoltre la dinamica demografica degli ultimi dieci anni, sta conducendo verso una situazione di forte disequilibrio tra generazioni, che non sembrerebbe in grado di bilanciare le disuguaglianze prodotte nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda l’ipotesi di un’eventuale polarizzazione sociale ci sono alcune dimensioni che vanno ulteriormente valutate. Anzitutto, dall’analisi del materiale empirico non emergono fenomeni di polarizzazione sociale, e non viene rilevato un aumento delle professioni ad alto reddito e simultaneamente delle occupazioni non qualificate; tuttavia, per quanto riguarda l’assetto economico di Milano, ci sono almeno due aspetti che occorre tenere presente: la questione dell’erosione delle attività tradizionali (soprattutto in alcune zone della provincia di Milano) e la crescita dei contratti flessibili. La prima dinamica rischia, nel tempo, di portare ad un assottigliamento della classe media tradizionale (piccoli artigiani e operai specializzati); la seconda questione rimanda alla crescita della polarizzazione tra chi riesce a trarre vantaggi dalla situazione di lavoro flessibile e chi 56 invece rimane ingabbiato in una condizione di precarietà. Una terza dimensione di polarizzazione viene individuata cambiando scala e osservando la città in una prospettiva metropolitana: ci troviamo davanti una città abitata da anziani e da famiglie senza figli, interessata da grandi flussi di pendolari e nella quale si concentrano le attività ad alto contenuto intellettuale; dall’altro lato vi è una provincia dove si concentrano le famiglie con figli, e che tende a ‘svuotarsi’ durante la giornata a causa del pendolarismo verso la città. Soprattutto nel core dell’area metropolitana si assiste sempre più ad una transizione alla vita adulta in crisi, in cui è sempre più difficile il passaggio dal lavoro alla indipendenza abitativa sino alla formazione della nuova famiglia e alla procreazione. Infine un’ultima dimensione della polarizzazione riguarda gli stranieri: secondo la teoria della dual city la presenza massiccia di stranieri illegali costituirebbe un bacino di manodopera a basso prezzo per i lavori meno qualificati (Sassen, 2000). A Milano gli stranieri irregolari rappresenterebbero una percentuale che si aggira tra il 20% e il 24% della popolazione straniera a seconda delle varianti (di minima o di massima) delle stime Ismu, e, dato che gli stranieri rappresentano a Milano circa il 16% della popolazione, la consistenza non sarebbe più di 40/50 mila persone. Siamo di fronte dunque ad un mercato del lavoro dualistico, con una forte etnicizzazione di alcuni campi, dal lavoro di cura ai lavori usuranti di servizio. Se la città sarà in grado di dotarsi degli strumenti adeguati per una completa integrazione e inclusione sociale, gli stranieri potrebbero rappresentare anche una risorsa importante in termini di ribilanciamento della struttura demografica della città e di arricchimento culturale ed economico della società. Note 1. Infatti le principali problematicità emergono nel momento in cui occorre misurare la qualità e il contenuto del lavoro impiegatizio. Inoltre le occupazioni vengono spesso classificate secondo una tassonomia non adeguata a studiarne il contenuto. 2. Si veda l’appendice metodologica. 3. La tabella è presentata in modo completo nell’appendice statistica (tab. 1). 4. Il settore dei servizi è composto dalle seguenti divisioni: Commercio; Alberghi e ristoranti; Trasporti, magazzinaggio e comunicazione; Intermediazione monetaria e finanziaria; Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca; Istruzione; Sanità e altri servizi sociali; Altri servizi pubblici, sociali e personali; Servizi domestici. 5. Tasso di crescita = [(imprese iscritte – imprese cancellate)/(imprese registrate)]*100. 6. Questo dato contradditorio viene interpretato dagli osservatori come un segno da un lato della debolezza dei piccoli produttori, che non riescono a crescere a causa delle scarse esportazioni, e dall’altro di robustezza dei produttori di grandi dimensioni che, grazie alle 57 esportazioni di maggior rilievo, mantengono una buona posizione sul mercato (Milano Produttiva, 2008). 7. Si vedano le figure 1 e 2 nell’appendice statistica. 8. Secondo l’Oml questo segnale però andrebbe letto insieme alla parallela crescita dei contratti part-time, che interessano più del 20% di tutti gli avviamenti in provincia di Milano (Oml, 2008). 9. In tale settore il dato è falsato dal fatto che vengono avviati numerosissimi contratti da un giorno solo (segno, tra l’altro, della cosiddetta ‘economia dell’evento’ che sembra caratterizzare sempre più il contesto milanese). 10. Le elaborazioni dei dati sono state effettuate da Chiara Respi. 11. Si veda l’appendice metodologico per la descrizione della costruzione degli indici e le fonti dei dati utilizzate. 12. In particolare si è utilizzata la definizione di Grande Comune che utilizza l’Istat: comuni con oltre 250.000 abitanti al censimento 2001. Tali comuni sono: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina. 13. Si veda http://www.cittadicitta.it/. 14. Sebbene consapevoli del diverso potere di acquisto nelle diverse città italiane, il confronto è principalmente volto all’analisi della distribuzione del reddito per ogni città. Il confronto è sempre tra indici relativi. Non abbiamo dunque provveduto ad utilizzare un coefficiente per annullare l’effetto del costo della vita. 15. Tale indicatore è da preferirsi alla media in quanto meno soggetto ai valori degli outliers. 16. Nell’appendice statistica sono riportate le figure di tutti i Grandi Comuni (figg. 417). Ringraziamo Maurizio Oprandi per l’elaborazione. 17. La loro analisi è stata tuttavia oggetto di numerose critiche perché metodologicamente poco affidabile. 18. Valori percentuali sul totale degli abitanti: un valore pari a 2,4, ad esempio, significa che, per ogni 100 residenti, vi è un incremento di 2,4 unità da imputare a ingressi nel comune dall’estero. 19. Da notare che metodologicamente queste percentuali sono sovrastimate, in quanto i cittadini irregolari sono esclusi dal computo della popolazione residente. 20. Calcolato come il rapporto tra il numero di nati sulla popolazione femminile in età tra i 15 e i 49 anni (per 100). 21. L’indice si calcola come rapporto dei nati sulla popolazione totale (per 1.000). 22. Dati fonte Osservatorio Provinciale sull’immigrazione della provincia di Milano al 31 dic. 2006. 23. Fonte Eurostat Urban Audit, 1999-2002. 24. Il tasso è calcolato come il rapporto tra la popolazione con più di 65 sulla popolazione tra i 15 e i 64 per 100. 25. Stima Ismu anno 2007. 26. Naturalmente la condizione di irregolarità è un grave problema, che spesso però non viene affrontato dal datore di lavoro che preferisce muoversi all’interno del lavoro sommerso. A volte invece la regolazione vigente (assenza di leggi che permettano di regolarizzare chi già lavora) non consentono di normalizzare anche situazioni di lavoro di lungo periodo. 27. Si veda la tab. 7 nell’appendice statistica. 28. La variazione percentuale delle ditte individuali con titolare straniero comunitario è molto alta a causa dell’entrata nella Comunità Europea della Romania. 29. Definizione di settori innovativi: I dati utilizzati riguardano il numero di ditte indi- 58 viduali con titolare straniero iscritte presso la Camera di Commercio secondo le voci di classificazione Ateco per i settori high-tech (DF23 Fabbricazione coke, raffinerie, combustibili nucleari; DG24 Fabbricazione prodotti chimici e fibre sintetiche; DL30 Fabbricazione macchine per ufficio ed elaboratori; DL31 Fabbricazione di macchine ed apparecchi elettrici ed elettronici; DL32 Fabbricazione apparecchi radiotelevisivi e per comunicazione; DL33 Fabbricazione apparecchi medicali,precisione,strumenti ottici; K 72 Informatica e attività connesse; K 73 Ricerca e sviluppo) e per i settori high-symbolic (DN36 Fabbricazione mobili e altre industrie manifatturiere; DB18 Confezione articoli vestiario e preparazione pellicce; DC19 Preparazione e concia cuoio, fabbricazione articoli da viaggio; DE22 Editoria,stampa e riproduzione supporti registrati; K 74 Altre attività professionali e imprenditoriali; O 92 Attività ricreative, culturali sportive) (Cappetta e Salvemini 2005, p. 35). 30. Fonte: elaborazione Milano Produttiva 2008, dati Miur. 31. Si veda, al proposito, Eurostat, che presenta statistiche sul numero degli iscritti stranieri alle scuole di terzo livello (diplomi universitari, università, master) nei paesi europei. L’Italia nel 2006 risulta occupare l’ottavo posto, dopo Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Austria, Olanda e Svezia (Eurostat – Education Statistics). 59 A. Appendice metodologica A.1. I comuni della Provincia di Milano L’organizzazione territoriale dei comuni della provincia di Milano viene fatta seguendo l’ipotesi di aggregazione utilizzata dal gruppo di lavoro coordinato da A. Balducci, Città di città (http://www.cittadicitta.it/ home.htm), che aggrega i comuni della provincia di Milano in dieci sottoregioni omogenee. La figura presenta la mappa dei comuni della provincia organizzata secondo tale ipotesi. B. Il trattamento dei dati di reddito (di Chiara Respi) B.1. I dati di origine Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze Sito Internet: http://www.finanze.gov.it Città di città Fonte: Ns. elaborazione su dati Istat e progetto Città-di-città (www.cittadicitta.it/home.htm) Città di città Area Martesana (e Trezzese) Brianza Centrale Brianza Occidentale Nord Milano Nord-ovest (Rhodense e Arese) Sud-est (via Emilia e Paullese) Sud-ovest (Corsichese e Rozzanese) Ticino (Abbiatense e Magentino) Il cuore urbano Alto milanese (e Castanese) Vimercatese 60 Dati: reddito imponibile ai fini delle Addizionali all’Irpef – persone fisiche (anno d’imposta 2005) Reddito imponibile ai fini delle addizionali all’Irpef: è il valore sul quale si applica l’aliquota per determinare l’addizionale regionale e comunale dovuta. L’importo viene calcolato come segue: (Reddito complessivo) (reddito relativo all’abitazione principale + oneri deducibili). B.2. La creazione del dataset L’analisi dei dati relativi all’imponibile dell’Addizionale Irpef ha previsto una loro preventiva organizzazione in un dataset. L’assetto finale presenta due matrici che contengono l’ammontare di reddito e la frequenza di persone, entrambi distribuiti in 18 classi ordinate ed associati alle unità territoriali scelte come oggetto dello studio: i 13 maggiori Comuni italiani e due ipotesi alternative di aree omogenee costruite sui Comuni della Provincia di Milano. B.3. La ricostruzione della distribuzione dell’imponibile dell’Addizionale Irpef Una prima descrizione generale della distribuzione dell’imponibile dell’Addizionale Irpef di ciascuna unità territoriale si ricava dal calcolo di una misura sintetica: il reddito medio. Si è scesi poi nel dettaglio dell’analisi delle distribuzioni per classi di reddito nel tentativo di trasformare i dati aggregati in dati individuali. A tal fine si è formulata un’ipotesi di equidistribuzione delle classi, ovvero si è immaginato che all’interno di ognuna di esse ciascun individuo percepisse la stessa quota di reddito (naturalmente l’ipotesi di equidistribuzione assume che tale valore corrisponde alla media di classe). B.4. I quartili: individuazione della mediana di reddito e dei cutting points Elaborando i nuovi dati ottenuti è stato possibile procedere con un’altra aggregazione che si basa sulla segmentazione della popolazione ordinata in modo crescente per reddito in intervalli di pari frequenza. In particolare si è iniziato con l’individuazione di quattro gruppi omogenei. I quartili così ottenuti permettono di sapere qual è il reddito medio percepito dal primo 25% dei casi, dal secondo 25%, dal terzo e dall’ultimo. Ad esempio, si è considerato il secondo quartile che dà informazione su un’altra misura sintetica della distribuzione in oggetto: la mediana. Tale valore indica l’ammontare medio di reddito in possesso della metà delle persone rappresentate.  n 1 Q i R G  1  2 i 1 n 1 61 C. Appendice statistica Scomposizione delle attività manifatturiere (in alto) e dei servizi (in basso) per contenuto intellettuale e tecnologico (knowledge intensity). Confronto provincia di Milano e Italia, 2004 Fonte: Oecd Territorial Review, Milano, 2006 100% 90% 80% Low 23.109 Low 359.171 70% 60% 50% 40% M edium low 12.471 M edium low 160.295 30% 20% M edium high 9.998 10% M edium high 84.323 High 4.725 High 39.478 M ilan Italy 0% 100% 90% Other activities 49.562 Other activities 1.664.967 80% 70% 60% 50% Low knowledge intensive 171.068 40% Low knowledge intensive 2.292.174 30% 20% 10% Knowledge intensive 56.082 0% M ilan 62 Knowledge intensive 432.802 Italy Imprese operanti in provincia di Milano Fonte: Milano Produttiva, 1996-2007 Agricoltura + Pesca Estrattiva Manifatturiero Energ. elettr., gas e acqua Costruzioni Comm. ingr. e dett.; rip. beni pers. e per la casa Alberghi e ristoranti Trasporti, magazzinag. e comunicaz. Intermediaz. monetaria e finanziaria Attiv. immob., noleggio, informat., ricerca Istruzione Sanità e altri servizi sociali Altri servizi pubblici, sociali e personali Serv. domestici presso famiglie e conv. Totale al netto dell'agricoltura Totale 1996 1997 1998 1999 Valori assoluti 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 1.986 129 53.932 5.365 130 52.504 5.412 131 51.946 5.480 131 51.658 5.508 131 51.818 5.551 129 51.939 5.584 128 51.324 5.581 125 50.738 5.672 121 50.173 5.740 114 49.473 5.739 114 48.947 202 21.839 204 32.762 207 33.923 214 35.249 230 36.967 249 38.850 255 40.230 268 41.598 269 43.500 272 44.963 279 46.769 87.667 11.900 86.780 11.988 85.896 12.156 86.083 12.290 87.011 12.603 87.871 12.761 88.075 13.010 88.148 13.173 88.875 13.526 89.242 13.995 89.750 14.377 16.181 16.460 16.325 16.275 16.570 17.035 17.428 17.636 18.590 19.205 18.953 7.775 7.969 8.079 8.379 8.804 9.165 9.242 9.222 9.160 9.357 9.557 63.042 797 63.421 818 64.266 835 65.655 887 68.644 989 71.283 1.089 73.514 1.181 75.324 1.271 78.396 1.308 81.105 1.350 83.832 1.358 1.178 1.224 1.292 1.349 1.441 1.512 1.614 1.673 1.790 1.919 2.017 13.985 14.163 14.258 14.469 14.630 14.845 14.989 15.168 15.744 15.702 15.869 11 12 10 11 11 9 8 5 4 1 1 291.688 296.610 299.291 298.540 305.569 312.436 317.125 320.856 321.456 332.270 337.027 289.729 291.278 293.908 303.990 311.048 317.959 322.709 326.437 327.128 338.010 342.766 63 Dipendenti e indipendenti nella provincia di Milano (il dato che si riferisce agli anni 2006 e 2007 è per l’intera regione Lombardia) Fonte: Milano Produttiva, rapporti 1996-2008 Milano (inclusa Lodi) Milano (inclusa Lodi) Milano (inclusa Lodi) Milano (inclusa Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) provMI (no Lodi) Lombardia Lombardia Dipendenti Indipendenti 77,5 77,1 75,6 75,6 75,5 75,0 74,6 76,1 76,9 76,9 74,9 75,9 76,1 22,5 22,9 24,4 24,4 24,5 25,0 25,4 23,9 23,1 23,1 25,1 24,1 23,9 1993 1994 1995 1996 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2006 2007 Distribuzione dell’imponibile dell’addizionale Irpef per grande comune e aree omogenee (2005) Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Nome_area Il Nord-Ovest (Rhodense e Arese) L’Alto Milanese (compreso il Castanese) Il Ticino (Abbiatense e Magentino) Il Sud Ovest (Corsichese e Rozzanese) Il Sud Est (via Emilia e Paullese Adda Martesana (e Trezzese) Vimercatese Brianza Centrale Brianza Occidentale Torino Genova Milano Verona Venezia Bologna Firenze Roma Napoli Bari Palermo Messina Catania Italia 64 Cod Media_reddito Mediana_reddito Indice_Gini 00202 00203 00204 00205 00206 00207 00208 00209 00210 01272 10025 15146 23091 27042 36006 48017 58091 63049 72006 82053 83048 87015 99999 22.498,30 21.596,40 21.744,40 23.032,40 24.117,20 23.427,50 23.685,10 25.443,10 20.894,60 23.191,60 22.428,70 30.972,90 23.542,10 22.582,80 25.801,40 24.355,50 26.668,40 21.968,30 22.111,70 21.756,20 20.833,60 20.337,90 17.297,30 16.173,10 16.126,10 16.167,90 16.132,40 16.126,70 16.176,30 16.194,80 16.120,60 15.906,80 15.972,20 16.075,40 21.436,00 15.992,30 15.944,60 16.337,20 16.142,30 20.881,20 14.478,50 14.818,70 14.586,00 14.862,10 14.617,50 12.591,00 0,31 0,28 0,26 0,32 0,33 0,33 0,32 0,36 0,27 0,36 0,35 0,45 0,37 0,35 0,37 0,40 0,38 0,38 0,37 0,37 0,33 0,32 0,44 Reddito individuale della classe media nelle 13 grandi città italiane Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Città % reddito Milano Roma Bologna Firenze Genova Venezia Verona Torino Bari Messina Palermo Napoli Catania 4-7 decile reddito/dichiarante 25,3 29,0 29,6 30,1 32,1 31,6 30,3 30,5 30,4 32,0 30,6 29,6 30,7 19.605 19.352 19.062 18.342 18.008 17.857 17.843 17.682 16.785 16.653 16.642 16.246 15.609 Distribuzione dei redditi: Milano-Bari, 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Distribuzione dei redditi. Milano– Bari - 2005 25 Milano Bari percentuale 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 reddito x 10.000 euro 7 8 9 10 x 10 4 65 Distribuzione dei redditi: Milano-Bologna (in alto); Milano-Catania (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Bologna reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale Catania reddito x 10.000 euro 66 x104 Distribuzione dei redditi: Milano-Genova (in alto); Milano-Palermo (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Genova reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale Palermo reddito x 10.000 euro x104 67 Distribuzione dei redditi: Milano-Venezia (in alto); Milano-Verona (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Venezia reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale Verona reddito x 10.000 euro 68 x104 Distribuzione dei redditi: Milano-Brianza Occidentale (in alto); Milano-Nord Milano (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Brianza Occidentale reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale Nord-Milano reddito x 10.000 euro x104 69 Distribuzione dei redditi: Milano- il Nord Ovest (in alto); Milano-l’alto Milanese (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Nord-Ovest reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale Alto Milanese reddito x 10.000 euro 70 x104 Distribuzione dei redditi: Milano-il Ticino (in alto); Milano-il Sud Ovest (in basso), 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale il Ticino reddito x 10.000 euro x104 Milano percentuale il Sud-Ovest reddito x 10.000 euro x104 71 Distribuzione dei redditi: Milano-l’Adda Martesana, 2005 Fonte: Ns. elaborazione dati Ministero dell’Economia e delle Finanze (www.finanze.gov.it/ ultimo accesso agosto 2008) Milano percentuale Adda Martesana reddito x 10.000 euro x104 Tassi di fecondità (su donne in età 20-54 anni) delle principali città europee Fonte: Eurostat Urban Audit, 1999-2002 Città Palermo Lisboa Köln Helsinki Bonn Monaco Bremen Vienna Dresden Milano Amburgo Hannover Nürnberg Roma Stuttgart Frankfurt am Main Bari 72 Tassi di Città fecondità 42,50 42,13 39,36 38,91 38,90 37,92 37,23 37,09 36,69 36,57 36,52 36,50 36,43 36,28 36,10 36,04 35,34 Düsseldorf Torino Berlin Bologna Leipzig Oporto Genova Athina Birmingham Bruxelles/Brussel Lille Leicester Oslo København Lione Antwerpen London Tassi di fecondità Città Tassi di fecondità 35,30 35,17 33,58 32,20 31,99 31,10 30,66 30,19 61,27 57,94 57,58 55,33 55,14 54,37 53,42 52,34 52,11 Manchester Rotterdam Paris Amsterdam Dublin Madrid Stockholm Sheffield Cardiff Barcelona Liverpool Newcastle upon Tyne Glasgow Napoli Valencia Catania 50,98 50,37 49,78 49,64 49,28 47,98 47,40 45,65 45,21 44,11 43,68 43,62 43,49 43,20 43,11 42,94