Academia.eduAcademia.edu

Metafisica analitica tra naturalismo e non naturalismo

2019, Aquinas LXII, 35-59

L’articolo presenta e discute quattro modelli di metafisica analitica, esemplificando ciascuno di essi con l’analisi della posizione di un autore rappresentativo. La discussione delle diverse concezioni di metafisica analitica ruota intorno alla domanda – tipica per i filosofi analitici – se è possibile una metafisica e, se questa è possibile, quale rapporto ha con la scienza. L’interrogativo circa il rapporto della metafisica con la scienza è importante, per il fatto che dal modo in cui esso è inteso dipende l’ammissibilità o meno della metafisica non naturalistica. I quattro modelli si differenziano, appunto, nel modo di intendere questo rapporto e, di conseguenza, nell’accettazione o rifiuto della metafisica non naturalistica. L’articolo argomenta a favore di un modello di metafisica non naturalistica.

Metafisica analitica tra naturalismo e non naturalismo (Draft provvisorio di testo pubblicato su numero unico Aquinas: “Che cos’è metafisica” - Aquinas 2019 LXII 1-2 ISSN: 0003 7362) di S. Galvan 1. Introduzione: ontologia o metafisica? Spesso nell’ambito della filosofia analitica si fa distinzione tra ontologia e metafisica. L’ontologia è intesa quale dottrina di ciò che esiste, mentre per metafisica si intende la dottrina sulla natura ultima delle cose. Questa distinzione deriva dalla concezione quiniana dell’impegno ontologico delle teorie scientifiche. Secondo l’autore americano la struttura logico-linguistica di una teoria consente di dichiarare in forma esplicita quali oggetti sono da considerare esistenti nella prospettiva di quella teoria. Esistenti sono gli oggetti costituenti l’ambito su cui sono interpretabili le variabili quantificabili del linguaggio della teoria: essere, cioè esistere entro la prospettiva della teoria T, significa essere il valore di una variabile quantificabile nel linguaggio di T. Questa interpretazione dell’ontologia chiaramente non collima con la nozione classica di ontologia. Secondo l’approccio quiniano, ad esempio, all’ontologia della fisica non appartiene il compito di studiare i tratti essenziali degli oggetti fisici – compito che appartiene alla fisica – ma quello di esplicitare il tipo di esistenza attribuibile agli oggetti descritti dalla teoria fisica – siano essi osservativi o teorici –, una volta che questa sia accettata da parte della comunità scientifica. Al contrario, secondo la tradizione classica, l’ontologia riguarda il dominio degli oggetti in generale, non i domini oggettuali delle singole teorie, e di questi è impegnata sia ad analizzare le varie forme d’esistenza sia nel dire che cos’è l’oggetto in generale e quali sono le sue proprietà essenziali (vedi citazione di Aristotele). L’ontologia classica è impegnata, dunque, su due fronti: non solo nel fornire l’analisi delle modalità dell’essere ma anche nel mostrare quali sono le proprietà che caratterizzano l’oggetto in quanto tale e non l’oggetto di questa o quest’altra ontologia regionale. Proprio queste due caratteristiche rendono molto vicina la nozione di ontologia classica a quella della metafisica analitica. Abbiamo detto, infatti, che l’oggetto della ontologia classica è l’oggetto in generale e le sue modalità d’esistenza. Ma se l’oggetto in generale è compreso nella sua estensione massima (maxima latitudo, secondo l’espressione di Suarez), esso viene a coincidere con l’insieme di tutti gli oggetti, siano essi attuali o possibili. Dunque, il dominio dell’ontologia classica non è solo il mondo attuale – di cui il mondo empirico è la parte studiata dalla scienza – ma il dominio di tutto il reale, che comprende, oltre all’attuale anche il possibile. In tal senso, l’ontologia classica viene a coincidere – al netto di trascurabili differenze terminologiche – con la metafisica classica, come dottrina delle cause ultime della realtà. La coincidenza tra ontologia e metafisica nella prospettiva classica non è un fatto che stupisce. Stupisce, invece, che l’idea di metafisica classica sia molto vicina a quella di metafisica che circola negli ambienti della filosofia analitica contemporanea. Per Lowe, ad esempio, una delle figure più rilevanti nella riscoperta ed innovazione della metafisica nel contesto analitico contemporaneo, la metafisica ha come oggetto di indagine la natura ultima della realtà: “Metaphysics, conceived as an inquiry into the ultimate nature of mind-independent reality, is a rationally indispensable intellectual discipline” 1. La concezione di Lowe della metafisica rappresenta, tuttavia, una singolare posizione di metafisica non naturalistica – di ispirazione neoaristotelica – che non possiamo assumere come punto da cui muovere per costruire un resoconto completo delle posizioni interne alla metafisica analitica contemporanea. Iniziamo invece con l’esporre la classificazione proposta da Morganti e Tahko (2017) di 4 modelli di metafisica analitica. Nella prima parte di questo articolo esponiamo i 4 modelli,                                                                                                                 1   Lowe, E.J. (2011), p. 99. esemplificando ciascuno di essi con l’analisi della posizione di 4 autori. La discussione delle diverse concezioni di metafisica analitica ruota quasi completamente intorno alla domanda – centrale per i metafisici analitici – se è possibile una metafisica e, se questa è possibile, quale rapporto ha con la scienza. L’interrogativo circa il rapporto della metafisica con la scienza non è ozioso, per il fatto che il modo con cui questo si declina dipende dal tipo di metafisica condivisa. Alcuni filosofi analitici affermano, ad esempio, che solo una metafisica naturalistica è accettabile. Ma allora, è legittimo chiedersi, in quale senso la metafisica si differenzia dalla scienza. Si tratta di una scienza allargata o di una scienza assunta a rango di dottrina del tutto (come la fisica del tutto)? E cosa significa, nella prima ipotesi, scienza allargata? Completamente diverso è il quadro se si ritiene che abbia senso analiticamente anche una metafisica non naturalista. Chiaramente tale tipo di metafisica chiama in campo una distinzione di principio tra l’intero d’esperienza e l’intero tout court, il che è tipico di certa metafisica tradizionale. Questo groviglio di problemi è al centro della seconda parte e terza parte. La quarta parte, infine, cerca di fare il punto sulla possibilità di una metafisica analitica non naturalistica. Si argomenterà a favore di questa posizione. 2. Tre modelli di metafisica analitica Nell’articolo Morganti e Tahko (2017), gli autori presentano una tassonomia basata su una tabella a doppia entrata. Le entrate sono costituite da due elementi: l’oggetto d’indagine e il metodo. Scienza e metafisica sono considerate dal punto di vista dell’oggetto che trattano (subject matter) e da quello dei metodi che usano (methods). Combinatoriamente, ci sono, pertanto quattro modelli ideali (Morganti e Tahko (2017), p. 58): 1. Oggetto e metodo diversi (No overlap regarding methods or subject matter) 3. Oggetti diversi, stesso metodo, (Overlapping methods, distinct subject matter) 2. Stesso oggetto, metodi diversi (Overlapping subject matter, distinct methods) 4. Stesso oggetto e stesso metodo (Overlapping methods and subject matter ) Gli autori intendono mostrare che la metafisica si differenzia dalla scienza non per l’oggetto di indagine, ma piuttosto per il metodo. Per essi: “La metafisica ci dice qualcosa sulla natura e struttura della realtà, forse come la scienza empirica, ma in modo diverso in termini di metodi, dal momento che la metafisica è essenzialmente una impresa a priori. Pertanto, metafisica e scienza condividono l’oggetto d’indagine, ma non i metodi.” 2 Il modello difeso da Morganti e Tahko risulta pertanto il secondo, a favore del quale gli autori argomentano soffermandosi in particolare sulla critica del terzo modello speculare al secondo. 2.1 Il modello di L.A. Paul Nell’analisi di Tahko e Morganti il terzo modello è rappresentato, dalla posizione di L. A. Paul                                                                                                                 2 “Metaphysics conceived as telling us something about the nature and structure of reality, perhaps in conjunction with empirical science, but distinct from it in terms of its methods, in virtue of its being an essentially a priori enterprise. Thus, metaphysics and science share their subject matter, but not their methods” (p. 2559)   (2012). La posizione della Paul è molto interessante e quindi su di essa vale la pena di soffermarsi anche direttamente – e non solo in funzione del fatto che appartiene al terzo modello di Morganti e Tahko. L’autrice si sofferma con sottile capacità d’analisi su alcuni aspetti paradigmatici che illustrano la diversità di oggetto tra scienza e metafisica. Eccone alcuni: 1. La metafisica ricerca le strutture fondamentali della realtà: “Uno degli obiettivi più diffusi e stabili nella metafisica è costituito dalla ricerca delle verità fondamentali e generali riguardanti il mondo. Il metafisico impegnato in una simile ricerca vuole determinare la natura del mondo, in particolare le nature fondamentali del mondo, come parte della sua indagine sulla natura delle cose. Il metafisico cerca anche di scoprire verità sistematiche e generali; nel contesto dell’indagine sulla fondamentalità, spera di scoprire verità sistematiche e generali riguardanti fatti fondamentali. Tali fatti fondamentali spesso coinvolgono nature, tipi di composizione e distinzioni primitive.” 3 2. Le verità concernenti le strutture fondamentali della realtà sono metafisicamente anteriori a quelle scientifiche; in tal senso la metafisica descrive caratteristiche della realtà che vengono prima di quelle scientifiche: “Il resoconto ontologico coinvolge caratteristiche del mondo che sono metafisicamente precedenti a quelle del resoconto scientifico. Il resoconto ontologico descrive le categorie e i costituenti metafisicamente anteriori delle entità fisicamente fondamentali, e, in questo senso, descrive le caratteristiche del mondo che sono più fondamentali di quelle delle scienze naturali.” 4 3. La metafisica studia i principi mereologici di composizione tra le parti e il tutto, che sono più fondamentali dei principi generali che governano la fisica o la chimica: “Una teoria ontologica delle parti/tutto (una mereologia) di oggetti fisici descrive principi costruttivi più fondamentali e più generali di quanto non facciano la fisica o la chimica, poiché fornisce principi generali che governano tutti gli oggetti fisici con parti, incluse le microparticelle, gli atomi e le molecole. Per esempio, la chimica può dirci che la struttura fisica di un policarbonato è causalmente prodotta disponendo gli elementi in un certo modo e che le sue parti fisiche consistono in configurazioni di questi elementi più le forze che li attraggono. La mereologia contribuisce ad aggiungere che la molecola, ad esempio, è semplicemente la fusione mereologica delle sue parti organizzate (gli elementi più le forze attrattive). La molecola di policarbonato è prodotta da questa fusione mereologica, ma non in senso causale. Piuttosto, è prodotta nel senso compositivo o ontologico: esiste quando le parti disposte nel modo giusto esistono. Quindi la metafisica ci dice che cosa significa essere una somma o un oggetto fisico composto da questi insiemi strutturati di parti, e quindi ci dice come un oggetto fisico sia metafisicamente costruito (composto) dalle sue parti. Al contrario, la chimica ci dice quali parti e quali arrangiamenti di parti convengano ai diversi tipi di molecole e ci dice anche come manipolare causalmente il mondo al fine di portare alla esistenza tali arrangiamenti.” 5                                                                                                                 3 Paul (2012), p. 4: “One of the more popular and enduring metaphysical projects in metaphysics concerns the search for fundamental and general truths about the world. The metaphysician engaging in such a search wants to determine the natures of the world, especially the fundamental natures of the world, as part of her enquiry into the nature of things. The metaphysician also looks to discover systematic, general truths; in the context of the investigation of fundamentality, she hopes to discover systematic, general truths concerning fundamental facts. Such fundamental facts often involve natures, types of composition, and primitive distinctions.” 4 Paul (2012), p. 5: “The ontological account involves features of the world that are metaphysically prior to those of the scientific account. The ontological account describes the metaphysically prior categories and constituents of the physically fundamental entities, and in this sense describes features of the world that are more fundamental than those of natural science.” 5 Paul (2012), p. 5: “An ontological theory of parts and wholes (a mereology) of physical objects describes more fundamental and more general constructional principles than physics or chemistry does, for it gives general principles that govern all the physical objects with parts, including microparticles, atoms and molecules. For example, chemistry may tell us that the physical structure of a polycarbonate is causally created by arranging elements a certain way, and that its physical parts consist of these arrangements of elements and the attractive forces between them. Mereology contributes the additional claim that the molecule just is (say), the mereological fusion of its arranged parts (the elements and the attractive forces). The polycarbonate molecule is created by this mereological fusion, but not in a causal sense. Rather, it is created in the compositional or ontological sense: it exists when the parts arranged in the right way exist. So the metaphysics tells us what it is to be a sum or physical object composed of these structured arrangements of parts, and thus tells us how the physical object is metaphysically constructed (composed) from its parts. In contrast, chemistry tells us what some of the parts and the arrangements of the parts are for different kinds of molecules, and it also tells us how to causally manipulate the world in order to bring such arrangements into existence.”   4. La metafisica cerca di cogliere le essenze (reali nature) delle cose, mentre la scienza ha il compito di scoprire la molteplicità delle istanze di tali essenze: “Una distinzione che possiamo invocare per tracciare la differenza intuitiva tra scienza e metafisica è che spesso la metafisica si preoccupa di cogliere le reali nature del mondo mentre la scienza è interessata a scoprire l’insieme delle loro istanze ... La metafisica indaga, per esempio, la natura delle leggi, della causalità, della persistenza e delle proprietà. La scienza parte dal presupposto che abbiamo una presa pretoreorica di queste nature e poi ne indaga le istanze: ci dice quali leggi ci siano nel mondo naturale, quali tipi naturali ci siano e come sono ordinati, quali altre proprietà e relazioni sono attualmente istanziate, quali oggetti persistono e cosa causa cosa (e come). La metafisica cerca di dirci qual è la natura fondamentale delle leggi, delle proprietà, degli oggetti, della persistenza e delle relazioni causali, mentre la scienza cerca di scoprire quali entità ci sono o come queste nature sono esemplificate.” 6 5. Infine la Paul sottolinea l’intento realistico della metafisica. La metafisica non è primariamente analisi concettuale. I concetti e le loro relazioni ambiscono a dire ciò che è vero nel mondo e del mondo: “Un diverso tipo di progetto, il tipo di progetto a cui sono interessato in questo articolo, non è principalmente l’analisi concettuale: non primariamente l’analisi concettuale: l’obiettivo è sviluppare una teoria del mondo stesso, non una teoria del contenuto dei nostri concetti.” 7 Se la Paul argomenta con vigore a favore della diversità di oggetto, con altrettanto vigore, si schiera dalla parte di coloro che negano alla metafisica il privilegio di un metodo autonomo. Anche qui, tuttavia, il discorso della Paul è sottile e, per quanto discutibile – come tra poco vedremo – , contiene osservazioni di molta rilevanza. Come lei stessa dice: “La mia seconda tesi è che possiamo affermare che i metodi utilizzati dai metafisici sono molto simili, modulo il cambiamento dell’oggetto d’indagine, ai metodi impiegati dagli scienziati. Entrambi i campi sono interessati a scoprire verità su entità o caratteristiche del mondo che sono talvolta osservabili, ma spesso sono inosservabili, indirettamente confermabili e astratte. (Tali entità includono oggetti, proprietà, relazioni o quel che vuoi.) Entrambi i campi si basano sul ragionamento a priori oltre al ragionamento a posteriori.” 8 È chiaramente improbabile che gli autori analitici di indirizzo empiristico possano trovarsi in accordo con questa seconda tesi della Paul. Gli empiristi al seguito di Hume – basti solo pensare ai neoempiristi del circolo di Vienna – sono del tutto refrattari all’apriori conoscitivo. L’apriori, per loro, è solo l’apriori analitico, dunque, – nell’accezione neoempiristica – l’apriori non informativo. Secondo Carnap, ad esempio, la componente analitica del sapere scientifico, non descrive la struttura (o qualche aspetto strutturale) della realtà. Essa è al massimo il precipitato linguistico di una pura analisi dei concetti, la cui unica funzione è quella di costituire una rete che serve a dare unità e coerenza all’esperienza, ma non a rappresentare la struttura ontologica del reale. È scontato, del resto, che l’apriori sia il bersaglio dei neopositivisti, perchè l’apriori è da loro considerato il lasciapassare della metafisica come forma di sapere sul mondo alternativa alla scienza. La concezione della Paul dell’apriori è, invece, positiva: l’apriori è informativo e ciò vale, senza distinzione di principio, tanto per la scienza quanto per la                                                                                                                 6 Paul (2012), pp. 5-6: “One distinction we can invoke to help with the intuitive difference between science and metaphysics is that often metaphysics is concerned to identify the real natures of the world while science is concerned to discover the range of instances of these natures... Metaphysics investigates, for example, the natures of laws, naturalness, causation, persistence, and properties. Science assumes that we have a pretheoretical grasp on these natures, and then investigates the instances of these natures: it tells us which laws obtain in the natural world, which natural kinds there are and how they are ordered, which other properties and relations are actually instantiated, which objects persist, and what causes what (and how). Metaphysics tries to tell us what laws, naturalness, properties, objects, persistence, and causal relations fundamentally are, in terms of natures, and science tries to discover which entities there are or how these natures are exemplified.” 7 Paul (2012), p. 8: “A different sort of project, the sort of project I’m concerned with in this paper, is not primarily conceptual analysis: not primarily conceptual analysis: the goal is to develop a theory of the world itself, not a theory of the content of our concepts.” 8 Paul (2012), p. 9: “My second thesis is that we can understand the methods employed by metaphysicians to be very similar, modulo the change in subject matter, to the methods employed by scientists. Both fields are interested in discovering truths about entities or features of the world that are sometimes observable, but are often unobservable, indirectly confirmable, and abstract. (Such entities include objects, properties, relations, or what-have-you.) Both fields rely on a priori reasoning in addition to a posteriori reasoning.”   metafisica. Anche Morganti e Tahko condividono con la Paul l’informatività dell’apriori, ma sono in accordo solo parziale con lei, in quanto ritengono, con Lowe, che l’apriori sia tipico del sapere metafisico e non di quello scientifico. Come si può notare, le carte in gioco in questa controversia sono molte e di particolare peso, per cui non si può dichiarare che la partita tra metafisica e scienza sia chiusa finchè queste non vengono buttate tutte. Nel capitolo successivo cercheremo di buttare le carte decisive (o farle buttare da qualche giocatore), in modo tale da poter chiudere, se possibile, il gioco in modo – almeno provvisoriamente – soddisfacente. Ora vale la pena soffermarci sulla ragione addotta dalla Paul per sottolineare la sovrapposizione di metodo tra scienza e metafisica. L’argomentazione è importante in quanto permette di cogliere lo stretto legame che la concezione della metafisica da parte della Paul intrattiene con la concezione classica dell’ontologia come dottrina dell’ente in generale. La Paul afferma che come la scienza costruisce modelli per conoscere il mondo, così anche la metafisica svolge la funzione di modellizzazione del mondo.9 La differenza non sta nel metodo, ma nella generalità: “Possiamo teorizzare sul mondo usando modelli, cioè costruendo rappresentazioni del mondo, e la teorizzazione metafisica non fa eccezione. La teorizzazione scientifica è spesso intesa in termini di costruzione di modelli del mondo e le teorie scientifiche sulla natura delle caratteristiche del mondo possono essere intese come modelli di tali caratteristiche. Anche le teorie metafisiche sulla natura delle caratteristiche del mondo possono essere intese come modelli di tali caratteristiche. In entrambi i campi si costruiscono modelli per sviluppare e difendere teorie e in entrambi si usa il ragionamento a priori per inferire la migliore spiegazione e scegliere tra dati empirici equivalenti. Da questo punto di vista, le differenze più importanti tra il metodo scientifico e il metodo metafisico derivano semplicemente dalla differenza dei rispettivi oggetti e dal diverso ruolo che scienza e metafisica danno all’esperienza ordinaria in funzione della diversità di oggetto.” 10 In particolare: “[...] Una teoria metafisica può essere intesa come una classe di modelli, in cui i modelli sono composti da relazioni logiche, modali e d’altro tipo che correlano variabili che rappresentano proprietà n-adiche, oggetti e altre entità. [...] Molti esperimenti di pensiero sono fondamentalmente modelli di situazioni ipotetiche: i mondi possibili sono semplicemente le strutture astratte che funzionano come modelli nell’approccio semantico. I possibili possono funzionare come astrazioni, cioè come rappresentazione di una parte di una struttura attuale ma con dettagli irrilevanti rimossi, e come idealizzazioni, cioè come rappresentazioni di situazioni finzionali.”11 In conclusione la Paul afferma che tanto la scienza quanto la metafisica costruiscono modelli della realtà e che nella loro valutazione inferiscono alla migliore spiegazione, ove in entrambi i casi fanno uso di argomentazioni a priori. Dunque, da questo punto di vista non esiste differenza tra scienza e metafisica. Si potrebbe obiettare che le qualità a priori delle teorie scientifiche sono indicative della verità (truth-conducive) in quanto queste sono empiriche (per il fatto che solo nelle teorie empiriche la indicatività della verità da parte dei requisiti a priori sarebbe realmente confermato dal successo della scienza), ma a questa obiezione la Paul risponde che, se la semplicità e altri requisiti teorici sono indicativi della verità nella teorizzazione scientifica, essi devono essere indicativi della verità anche più in generale nella teorizzazione metafisica. “Questa è una parte centrale della mia tesi: se accettiamo l’inferenza                                                                                                                 9 Di questo aspetto si terrà conto nel paragrafo finale 4.2. Paul (2012), p. 9: “We can theorize about the world using models, that is, by constructing representations of the world, and metaphysical theorizing is no exception. Scientific theorizing is often understood in terms of the construction of models of the world, and scientific theories about the nature of features of the world may be understood as models of features of the world. Metaphysical theories about the nature of features of the world may also be understood as models of features of the world. Both fields can be understood as relying on modeling to develop and defend theories, and both use a priori reasoning to infer to the best explanation and to choose between empirical equivalents. On this view, the most important differences between the scientific method and the metaphysical method derive merely from the difference in subject matter and the resultant difference in the role they give to ordinary experience.” 11 Paul (2012), pp. 12-13: [...] A metaphysical theory can be understood as a class of models, where the models are composed of logical, modal and other relations relating variables that represent n-adic properties, objects, and other entities. [...] Many thought experiments are basically models of hypothetical situations: the possible worlds are simply the abstract structures functioning as models in the semantic approach. Possibilia can function as abstractions, that is, as representations of a part of an actual structure but with irrelevant detail removed, and as idealizations, that is, as representations of fictional situations.”   10   alla migliore spiegazione nel ragionamento ordinario e nella teorizzazione scientifica, dovremmo accettarla nella teorizzazione metafisica.”12 2.2 Il modello di M. Morganti e T.E. Tahko e quello di J.E. Lowe La conclusione della Paul lascia aperti, come già anticipato, molti problemi. Alcuni di questi vengono alla luce nella critica che del modello fanno Morganti e Tahko. Altri saranno ripresi in seguito. Per ora ci soffermeremo sui problemi sollevati da Morganti e Tahko, i quali sostengono che la fisica si differenzia dalla metafisica per il metodo e non per l’oggetto. Secondo il loro parere la Paul esagera nell’insistere sulla diversità dell’oggetto. Secondo le loro parole, l’apertura ad un oggetto generale non dà garanzia ad una forma di conoscenza che venga prima del sapere scientifico e che abbia come questo la funzione di spiegare ciò che accade nella realtà. Essi affermano: “[ ] la priorità dei concetti e delle ipotesi metafisiche può essere concessa in termini di generalità, ma questo non dice assolutamente nulla sulle ragioni (se ce ne sono) per cui dovremmo affermare che certe entità o processi metafisici esistono (o non esistono) [...] Ciò indica chiaramente il fatto che bisogna stare attenti quando si passa dalla spiegazione metafisica all’impegno ontologico [...] Inoltre, bisogna chiarire quale senso di priorità/fondamentalità sia in gioco – abbiamo appena argomentato che la semplice priorità concettuale non può svolgere alcuna funzione. Mancando tutto questo, rimane reale la possibilità di avvallare una visione riduzionistica, o addirittura eliminazionista, della metafisica – poiché, chiaramente, si può sostenere che, in definitiva, le nozioni metafisiche apparentemente fondamentali sono in realtà fondate su quelle chiaramente scientifiche.”13 Il motivo per il quale Morganti e Tahko tolgono alla metafisica la capacità di dire autonomamente qualcosa di vero a proposito della realtà deriva chiaramente dal fatto che essi giudicano le proprietà interne di una teoria – quelle che secondo loro sono espressione della razionalità a priori, come la coerenza, l’eleganza, la semplicità ecc. – non indicative della verità. Essi aggiungono: “Infatti, i detrattori dell’autonomia della metafisica (ad esempio, Ladyman 2012) hanno argomentato esattamente che, poiché nella metafisica la verità è tutto ciò che conta (la metafisica non ha applicazioni pratiche), ma le virtù teoriche non sono indicative della verità, il fatto che i modelli metafisici possono essere valutati solo sulla base delle loro virtù teoriche va a dimostrare che una metafisica a priori è senza senso (pointless).” 14 Tuttavia essi non riducono l’apriori della metafisica all’uso dei criteri di soddisfacibilità delle virtù interne delle teorie. Attribuiscono all’apriori in metafisica un ruolo molto più importante. In questo i due autori sono fortemente debitori della concezione metafisica di Lowe, secondo la quale: “Altrove, ho difeso l’idea che il compito centrale della metafisica è di individuare le possibilità dell’essere, al fine di articolare la struttura della realtà nel suo insieme, al suo livello più fondamentale. [...] Il pensiero chiave qui è che la conoscenza di ciò che è attuale presuppone e si basa sulla conoscenza di ciò che è possibile – cioè di ciò che è realmente o metafisicamente possibile – e quindi che ogni scienza empirica richiede una sorta di fondamento metafisico.”15                                                                                                                 12 Paul (2012), p. 22: This is a central part of my thesis: if we accept inference to the best explanation in ordinary reasoning and in scientific theorizing, we should accept it in metaphysical theorizing.” 13 Morganti & Tahko (2017), pp. 62-63: “Thus, the priority of metaphysical concepts and hypotheses may be granted in terms of generality, but this says absolutely nothing about the grounds (if any) that we have to assert that certain metaphysical entities or processes exist (or do not exist) [...]This clearly points to the fact that one must be careful when moving from metaphysical explanation to ontological commitment. [...] Moreover, it must be made clear what sense of priority/fundamentality is doing the work—we have just argued that mere conceptual priority won’t do. Lacking all this, a more reductive, or even an eliminativist, view of metaphysics remains a live possibility—for, clearly, one may argue that, ultimately, seemingly fundamental metaphysical notions are in fact grounded in squarely scientific ones.” 14 Morganti & Tahko (2017), p. 64:  “Indeed, detractors of the autonomy of metaphysics (e.g., Ladyman 2012) have argued exactly that, since in metaphysics truth is all that matters (metaphysics has no practical application) but theoretical virtues are not truthconducive, the fact that metaphysical models can only be assessed on the basis of their theoretical virtues goes to show that it is pointless to do a priori metaphysics.” 15 Lowe, E. J. (2006b), p. 1: “Elsewhere, I have defended the view that the central task of metaphysics is to chart the possibilities of being, with a view to articulating the structure of reality as a whole, at its most fundamental level. [ ] A key thought here is that   Per questo i nostri due autori propongono la seguente integrazione della concezione della Paul: “La metafisica è lo studio fondamentale delle possibilità, che ha come obiettivo quello di arrivare a essenze che non sono accessibili, o comunque identificabili, su base puramente a posteriori, né puramente a priori (almeno nel caso di oggetti concreti)”16. Ed aggiungono: “In secondo luogo, non è vero che le virtù teoriche siano tutto ciò che è a disposizione nella scelta della metafisica migliore. Infatti, almeno in alcuni casi è possibile testare empiricamente le ipotesi metafisiche, anche se in senso indiretto. Questo può essere fatto usando tali ipotesi nell’interpretazione delle nostre migliori teorie scientifiche. Questo, a nostro avviso, serve a migliorare, se necessario, la proposta della Paul (e di altri a cui ci riferiremo più tardi), e più in generale per gettare le basi per una forma accettabile di moderato naturalismo in metafisica.”17 In conclusione: Morganti e Tahko ritengono che nella scelta della metafisica migliore abbiano un ruolo tanti fattori, tra i quali sono distintive rispetto alla Paul certe forme di controllabilità empirica indiretta. Anche l’elemento apriori gioca un ruolo più importante di quello che gli viene conferito dalla Paul. Essi, infatti, ritengono che l’apriori contribuisca in modo essenziale a rendere accessibili i contenuti caratterizzanti del pensare metafisico. In questo Tahko e Morganti concordano con l’autore di Durham, per il quale la metafisica si differenzia dalla scienza per entrambi gli elementi: soggetto e metodo. Morganti e Tahko affermano: “Lowe (2008, 2012) dice con precisione che i processi cognitivi rilevanti non sono basati su intuizioni o esperimenti di pensiero, ma piuttosto sull’accesso diretto e a priori a fatti essenzialisti che fondano verità modali. Secondo lui, tale conoscenza delle essenze precede la conoscenza empirica riguardante quali di tali categorie ontologiche sono attuali, cioè “l’essenza precede l’esistenza” ... In altre parole, Lowe lega strettamente la conoscenza dell’essenza con la nozione di comprensione. Tutti, pensa Lowe, possono cogliere con successo almeno alcune essenze e quindi venire a sapere quale tipo di vincoli modali esse impongano alle possibili categorie ontologiche. Si consideri il caso degli elementi transuranici: molti di essi furono sintetizzati solo dopo che la loro possibile esistenza fu stabilita attraverso mezzi non empirici. Con l’aiuto della tavola periodica di Mendeleev, i chimici sono stati in grado di prevedere l’esistenza di un numero di elementi non ancora scoperti e di fare previsioni molto accurate sulle loro proprietà. In seguito, siamo stati in grado di sintetizzare questi elementi e verificare che effettivamente essi avessero le proprietà previste. Lowe (2008, p. 41) avanza l’ipotesi che questo processo non sarebbe stato possibile senza una conoscenza preliminare delle essenze di questi elementi transuranici. Anzi, semplicemente la comprensione dell’essenza di un elemento transuranico di un certo tipo fu sufficiente per definire le categorie pertinenti.”18 I passi citati di Lowe manifestano uno snodo importante della concezione metafisica di                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     knowledge of what is actual presupposes and rests upon knowledge of what is possible — that is, of what is really or metaphysically possible — and hence that every empirical science requires some sort of metaphysical foundation.”. Nel punto indicato dalle due parentesi quadre Lowe inserisce una nota in cui egli rimanda al 1. capitolo della sua opera fondamentale The Possibility of Metaphysics: Substance, Identity, and Time, Oxford: Clarendon Press, 1998, ed. it a cura di S. Galvan, A. Corradini e C. De Florio, trad. di C. De Florio, La possibilità della metafisica. Sostanza, Identità e Tempo, Rubbettino ed. 2009. 16 Morganti & Tahko (2017), p. 65: “ [ ] Metaphysics is a fundamental study of possibilities, aiming to arrive at essences which are not accessible, or at any rate identifiable, on a purely a posteriori basis, nor purely a priori (at least in the case of concrete objects).” 17 Morganti & Tahko (2017), p. 65: “Secondly, it is not the case that theoretical virtues are all there is to metaphysical ‘modelchoice’. For, it is at least in some cases possible to test metaphysical hypotheses empirically, albeit in an indirect sense. This can be done by applying such hypotheses to the interpretation of our best scientific theories. We take this to improve as needed on Paul’s proposal (and others we will refer to later), and more generally to provide the basis for a viable form of moderate naturalism about metaphysics.” 18 Morganti & Tahko (2017), pp. 66-67: “Lowe (2008, 2012) specifies that the relevant epistemic process is not based on intuitions or thought experiments, but rather on direct a priori access to essentialist facts which ground modal truths. According to him, such essentialist knowledge precedes empirical knowledge about which ontological categories are actual, that is, ‘essence precedes existence’..... In other words, Lowe ties knowledge of essence closely with the notion of understanding. Everyone, Lowe thinks, can successfully grasp at least some essences and hence come to know what kind of modal constraints they impose on possible ontological categories. Consider the case of the transuranic elements: many of them were only syn-thesised after their possible existence was determined by non-empirical means. With the help of Mendeleev’s periodic table, chemists have been able to predict the existence of a number of yet to be discovered elements and to make highly accurate predictions about their properties. Later on, we were able to synthesise these elements and verify that they indeed had the predicted properties. Lowe (2008, p. 41) proposes that this process would not have been possible without a prior grasp of the essences of these transuranic elements. But simply understanding what would qualify as a transuranic element of a certain type was sufficient for defining the relevant categories.” (pp. 66-67)   Morganti e Tahko. Essi assumono l’apriori dell’essenza di Lowe. Tuttavia, accettando una forma moderata di naturalismo, non si spingono fino in fondo nella direzione indicata da Lowe, apertamente antinaturalistica. Come si spiega questa riluttanza? La ragione certamente esiste e non pare facilmente rimovibile se, come fanno i nostri due autori, viene misconosciuta l’eterogeneità degli oggetti di scienza e metafisica. Se la metafisica ha come oggetto la stessa realtà che è indagata dalla scienza, non ha molto senso dichiarare che ci sono due forme di sapere complementari – come afferma Lowe in conseguenza dei metodi radicalmente diversi – ma, piuttosto, che lo stesso atto di conoscenza ha un aspetto che riflette l’apriorità della metafisica – in quanto considera la realtà come un possibile attualmente realizzato – e l’aposteriorità della scienza che verifica l’attualità del possibile attualizzato. In tale senso, allora scienza e metafisica non sono forme di sapere separate, per quanto complementari – come afferma Lowe –, ma sono lo stesso sapere ora nella veste metafisica, ora in quella fisica: “In questa interazione, ripetiamo un’ultima volta, non sorge mai la necessità di una modalità metafisica presumibilmente irriducibile alla modalità nomologica, né l’opposto bisogno di ridurre la prima alla seconda. Ciò che è importante è che la metafisica e la fisica (più in generale, la scienza empirica) sono solo due aspetti distinti del nostro tentativo di scoprire la struttura della realtà, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo abbia due o un solo insieme di caratteristiche”19 E, qualche pagina più avanti: “In questo senso, abbiamo suggerito, la metafisica a priori ha approssimativamente lo stesso livello di indipendenza della matematica pura, ed è allo stesso modo rilevante per la scienza empirica, nel senso che è in grado di diventare qualcosa di più di un esercizio puramente astratto nello spazio delle possibilità.”20 2.3 Osservazioni conclusive sui tre modelli Se a questo punto vogliamo tirare le somme sui modelli presi in considerazione, possiamo dire che il modello della Paul presenta il suo lato debole nel misconoscimento della peculiarità del metodo in metafisica. La Paul non nega che la metafisica faccia uso di metodi apriorici, ma restringe questi all’uso dell’inferenza alla migliore spiegazione, che è ampiamente praticato nella scienza empirica. Morganti e Tahko, diversamente dalla Paul, riconoscono l’importanza dell’apriori come componente essenziale del sapere sul mondo, ma non attribuiscono a tale componente la natura di seconda fonte di conoscenza accanto a quella empirica. Lowe non impone all’apriori nessun vincolo, di modo che il sapere metafisico, per il filosofo di Durham, è perfettamente autonomo rispetto a quello scientifico e, appunto per questo, ad esso complementare. Ciò è possibile, però, solo nel quadro di una concezione della metafisica non naturalistico. Nel confronto tra i tre progetti: 1. della metafisica contraddistinta dalla generalità dell’oggetto, ma senza metodo proprio, della Paul, 2. della metafisica moderatamente naturalistica di Morganti e Tahko e, infine, 3. della metafisica non naturalistica di Lowe, viene alla ribalta il nodo cruciale della metafisica analitica. La metafisica analitica è una metafisica solo naturalistica o è possibile una metafisica non naturalistica? L’idea di metafisica della Paul non pare naturalistica, per il fatto che l’orizzonte della metafisica è l’oggetto – o realtà – in generale. È vero che la concezione dell’apriori della Paul è insufficiente, ma ciò è imputabile alla scarsa considerazione da parte dell’autrice della specificità dei modelli di teoria metafisica e, di conseguenza, della specificità delle loro virtù interne. Non dipende dal fatto che un apriori                                                                                                                 19 Morganti & Tahko (2017), p. 78: “In this interaction, we repeat one last time, at no point does the need for a metaphysical modality allegedly irreducible to nomological modality arise—nor the opposite need to reduce the former to the latter. What is important is that metaphysics and physics (more generally, empirical science) are just two distinct aspects of our attempt to discover the structure of reality—regardless of whether the latter has two or only one set of characteristic features.” 20 Morganti & Tahko (2017), p. 80: “In this sense, we suggested, a priori metaphysics has roughly the same level of independence as pure mathematics, and is similarly relevant for empirical science, in the sense that it is able to become more than a purely abstract exercise in possibility space.”     specifico della metafisica non esiste. La concezione di Lowe compensa la debolezza, a livello di metodo, della concezione della Paul. Per Lowe il metodo della metafisica è chiaramente a priori e d’altro lato l’oggetto della metafisica comprende la totalità dell’essere possibile, mentre la scienza riguarda solo l’attuale. Dunque la concezione di Lowe appare chiaramente non naturalistica. Però, non tutti i metafisici analitici accettano l’apriori di Lowe. Anche Morganti e Tahko non lo accettano nella forma genuina nella quale è pensato da Lowe. Il prossimo paragrafo è dedicato proprio all’approfondimento del dibattito sulla metafisica e il naturalismo. 3. Il quarto modello di J. Ladymann e D. Ross e il dibattito sulla metafisica analitica non naturalistica La pubblicazione nel 2007 del libro di Ladymann & Ross Must Go: Metaphysics Naturalized diede inizio ad un acceso dibattito sulla natura della metafisica analitica. Nel libro viene proposto – e difeso con vigore – il quarto modello secondo la tassonomia di Morganti e Tahko, secondo il quale metafisica e scienza si sovrappongono per metodo ed anche per oggetto. La posizione di Ladymann e Ross è molto importante non solo per l’idea di metafisica naturalistica che essa contiene, ma anche per la ragione di principio che l’idea di metafisica difesa è esclusiva: una metafisica analitica non può essere altro che naturalizzata. La tesi di Ladymann e Ross è bene sintetizzata in queste loro parole: “Con [metafisica naturalistica] intendiamo una metafisica motivata esclusivamente dai tentativi di unificare ipotesi e teorie prese sul serio dalla scienza contemporanea. Per ragioni che spiegheremo, riteniamo che nessun tipo alternativo di metafisica possa essere considerato una parte legittima del nostro tentativo collettivo di modellare la struttura della realtà oggettiva”.21 Per quanto riguarda la questione di fondo non si può essere certamente più chiari. Vale tuttavia la pena di approfondire il discorso, per capirne le ragioni e valutarle. A questo scopo vogliamo tener conto di tre articoli usciti recentemente che discutono la tesi di Ladymann & Ross: 1. Maclaurin & Dyke (2012); 2. McLeod & Parsons (2013); Dyke & Maclaurin (2013). Il primo articolo si propone di chiarire la ragione per cui Ladymann e Ross attribuiscono la dignità di sapere solo alla metafisica naturalizzata. Dyke e Maclaurin affermano, innanzitututto, con forza che la metafisica è una teoria filosofica (e per questo non scientifica) che fa delle affermazioni ontologiche (e per questo non puramente concettuali) – che hanno la pretesa di essere vere – sul mondo. Sotto questa nozione di metafisica cade naturalmente la concezione di metafisica naturalizzata di Ladyman e Ross, ma Dyke e Maclaurin – contrariamente ai primi – partono da una concezione ampia di metafisica, per cui sono obbligati a dare una caratterizzazione precisa di quelle che sono metafisiche non naturalistiche. La distinzione, secondo Dyke e Maclaurin, sta nel fatto che le teorie metafisiche non naturalistiche non hanno delle conseguenze empiriche osservabili: “La metafisica è una teoria filosofica (al contrario di una teoria scientifica) che fa affermazioni ontologiche (al contrario di quelle concettuali). La metafisica può, ovviamente, essere basata su risultati scientifici. Seguiamo L&R e chiamiamo tale metafisica ‘metafisica naturalistica’. A differenza di L&R, chiamiamo metafisica non naturalistica ogni teoria ontologica che non sia trattabile in modo empirico. Di conseguenza, per noi una metafisica non naturalistica è ‘qualsiasi teoria filosofica che fa affermazioni ontologiche (in opposizione a concettuali) che, in linea di principio, non ha conseguenze osservabili’ ”22.                                                                                                                 21 Ladymann & Ross (2007), p. 1: “By [naturalistic metaphysics] we mean a metaphysics that is motivated exclusively by attempts to unify hypotheses and theories that are taken seriously by contemporary science. For reasons to be explained, we take the view that no alternative kind of metaphysics can be regarded as a legitimate part of our collective attempt to model the structure of objective reality.”   22 Maclaurin & Dyke (2012), p. 292: “Metaphysics is any philosophical (as opposed to scientific) theory that makes some ontological (as opposed to conceptual) claim. Metaphysics can, of course, be premised on scientific results. We follow L&R and call such metaphysics ‘naturalistic metaphysics’. Unlike L&R, we call any ontological theory that is not empirically tractable ‘nonnaturalistic metaphysics’. Consequently, our definition of non-naturalistic metaphysics is ‘any philosophical theory that makes some ontological (as opposed to conceptual) claim which, in principle, has no observable consequences’ ”   Essi arrivano a questa conclusione perchè non condividono fino in fondo il principio di chiusura naturalistica (PCN), che secondo Ladymann & Ross mette fuori gioco la metafisica non naturalistica 23. Per quanto il PNC possa essere considerato importante nell’escludere la metafisica non naturalistica, i nostri autori sono critici nei confronti di esso e non lo considerano decisivo.24 Essi tuttavia ritengono che esista una ragione alternativa per giustificare la stessa drastica conclusione. Essi pensano che tale ragione decisiva consista nel fatto che le tesi metafische non naturalistiche non hanno alcun impatto con la nostra esperienza. Che esse siano vere o che esse siano false non ha alcuna conseguenza sulla nostra esperienza. Essi, ad esempio, dichiarano che non fa alcuna differenza per la scienza quale delle teorie metafisiche sulla natura delle proprietà (universali o tropi) o sui mondi possibili sia vera. Anche la nozione di causa è usata dagli scienziati ma non è importante per la scienza quale teoria della causa sia vera. Naturalmente Dyke e Maclaurin riconoscono che noi siamo interessati a una vasta gamma di entità la cui esistenza non è controllabile. Ad esempio agli enti matematici, a certe entità ipotizzate all’interno della fisica quantistica e così via. In secondo luogo, essi sono consapevoli che occorre distinguere tra entità che non sono effettivamente controllabile (untestable) e altre che sono empiricamente non rilevabili (undetectable). In ogni caso l’esistenza di tali entità non può avere effetti sul mondo in modo analogo in cui lo hanno enti concreti come gli elettroni, gli animali o le macchine. In sintesi, per Dyke e Maclaurin, la metafisica non naturalista non ha valore cognitivo perchè non interferisce con la nostra esperienza, come accade, invece, per la scienza, la matematica o la logica. 25 All’articolo di Dyke e Maclaurin risponde un anno dopo McLeod and Parsons (2013). Gli autori della replica, in modo molto puntuale, mostrano che la critica alla metafisica non naturalista fondata sulla sua indifferenza rispetto alla nostra esperienza è attaccabile nello stesso modo in cui si può attaccare la critica alla metafisica di Ayer. Con questa critica entriamo nel vivo della problematica che ci interessa. La metafisica non naturalista è legittimata o meno come impresa conoscitiva? È l’argomento dell’ultimo capitolo. Nel corso di questo cercheremo di rispondere alle critiche che vengono mosse al carattere conoscitivo della metafisica. 4. La possibilità della metafisica non naturalista Perchè autori analitici come Dyke e Maclaurin pongono il veto alla metafisica non naturalista? Si noti innanzitutto che gli autori analitici citati non contestano la sensatezza delle tesi metafisiche. Le tesi metafisiche intese quali asserti che si pronunciano con pretesa di verità su aspetti strutturali – ultimi – della realtà non sono esclusi dal novero delle tesi sensate. L’attendibilità epistemica del punto di vista metafisico – punto di vista sulla realtà ultima, dunque sulla realtà nella sua massima latitudine – non è da loro messa in discussione. La critica alla metafisica non nasce dal rifiuto carnapiano della stessa possibilità di cogliere la realtà in sè. Come è noto, secondo Carnap, nessuna asserzione può essere fatta al di fuori di un determinato contesto linguistico. Ciò implica che nessuna asserzione può essere fatta sulla cosa in sè, dal momento che il linguaggio di cui noi dobbiamo necessariamente fare uso ci consente di cogliere la realtà solo come appare – attraverso, per l’appunto, il linguaggio – e dunque non in sè. Le affermazioni che pretendono di dire come stanno le cose sono dunque, per Carnap, pseudo asserzioni. Ma la metafisica avanza tale pretesa nei confronti della realtà ultima in sè,                                                                                                                 23 Secondo il principio di chiusura naturalistica nessuna ipotesi che la scienza dichiara al di là della nostra capacità di indagine deve essere presa sul serio. Ad esempio non può essere considerata una ipotesi metafisica seria una proposizione dichiarante che il Big Bang ha una causa. Inoltre ogni principio metafisico serio dovrebbe fornire qualche preciso indizio sulla relazione tra ipotesi specifiche che siano state confermate dalla scienza o motivate da essa. Tra le tesi metafisiche che non soddisfano questo requisito ci sono la tesi di filosofia della mente sull’esistenza possibile degli zombies, la tesi sulla possibilità della inversione dei qualia (Qualia inversion thought experiments) e simili. 24 Vedi le osservazioni critiche in Maclaurin & Dyke (2012), p. 298. 25 Per approfondimenti si veda Maclaurin & Dyke (2012), p. 300.   dunque è una pseudo scienza. Perchè invece le teorie scientifiche sono scienze reali? Per Carnap la risposta è immediata, perchè loro non si occupano della realtà in sè ma della realtà ritagliata dal filtro del linguaggio. Questa ovviamente non è la sede per discutere il punto di vista carnapiano. Si è richiamata la tesi del più importante filosofo del circolo di Vienna solo per sottolineare la differenza tra il suo punto di vista, contrario alla metafisica in quanto tale, e quello che caratterizza il dibattito contemporaneo, in cui la discussione è principalmente incentrata sulla contrapposizione tra metafisica naturalistica e metafisica non naturalistica e non pone in questione il tema della sua sensatezza in generale 26. Dunque perchè non la metafisica non naturalista? La ragione addotta da Dyke e Maclaurin è che gli asserti metafisici non sono controllabili empiricamente, ovvero non ci sono conseguenze della teoria che abbiano un un impatto empirico. Come più volte da loro ripetuto, il fatto che la verità o meno di una tesi metafisica non interferisca sulla descrizione dei dati di esperienza, condanna quella tesi a non avere un peso conoscitivo. Ma è proprio vero che le cose stanno così? Risponderemo a tale interrogativo in modo critico, cercando di difendere, in primo luogo, la tesi opposta a quella di Dyke e Maclaurin e, in secondo, presentando alcune problematiche reali su cui solo una metafisica non naturalista ha diritto di parola. 4.1 Difesa della metafisica non naturalista Se è vero che la metafisica riguarda il possibile, mentre l’esperienza riguarda l’attuale, non ha molto senso criticare la metafisica per il fatto di non avere impatto empirico. In altre parole, nel valutare il valore delle teorie metafisiche occorre tener conto seriamente della natura modale delle proposizioni metafisiche. L’autore analitico che maggiormente ha insistito su questa caratteristica del linguaggio metafisico è stato Lowe, per il quale la metafisica riguarda la realtà nella sua massima estensione e per questo comprende accanto alla dimensione dell’attuale anche la dimensione del possibile. Ora l’esperienza osservativa è sempre esperienza di ciò che si dà all’osservatore qui ed ora, ovvero di ciò che è dato attualmente ad esso. Di conseguenza non sempre ci si può aspettare che il sapere metafisico abbia un impatto sul dato attuale empirico. Chiaramente, su questo terreno, noi siamo vicini alla concezione di Lowe, che a sua volta è molto vicina alla tradizione classica. Come per Lowe, anche per noi il debito da pagare nei confronti della componente apriori della nostra conoscenza è piuttosto alto. Se alla nostra conoscenza non fosse concesso di accedere alla struttura modale del reale in modo tale da cogliere anche la dimensione del possibile, il sapere metafisico non avrebbe fonte a cui abbeverarsi. Questa fonte – vale la pena ripeterlo – non può essere l’evidenza empirica, dal momento che l’esperienza ci dice solo ciò che è attuale. Deve trattarsi di una evidenza di tipo diverso, della evidenza – cioè – con cui cogliamo il nesso tra alcuni aspetti essenziali delle cose, della evidenza, quindi, che si fonda sull’intuizione eidetica – cioè intellettiva, a priori, e non empirica – di alcune proprietà delle cose. Naturalmente il fatto che si dia intuizione eidetica non comporeta l’incorreggibilità dei contenuti appresi. Il sapere che si raggiunge non è un sapere infallibile. Analogamente a come l’esperienza sensibile ci può ingannare anche l’intuizione eidetica è soggetta ad errori. Non si tratta dunque di un sapere incorreggibile, come lo immaginavano i razionalisti, ma di un sapere soggetto a revisione. In ogni caso, l’accettazione del sapere metafisico richiede un forte impegno nel riconoscere il ruolo che la componente apriorica gioca nella conoscenza. Data e concessa la necessità dell’apriori per fare metafisica, ci sembra tuttavia utile sottolineare che ci possono essere legittime differenze nel determinare l’ambito dell’apriori. In questo, la nostra posizione non si sovrappone a quella di Lowe. È più debole. Cerchiamo di precisare il nostro discorso. Nella four-category ontology, l’autore di Durham afferma che attraverso l’intuizione metafisica noi possiamo afferrare l’essenza di certi kinds naturali, mentre la loro istanziazione viene testata in un secondo tempo dalla scienza empirica. Il rapporto complementare tra                                                                                                                 26 Questa problematica è acutamente trattata nella tesi di Rasmus Jaksland dal titolo The Possibility of Naturalized Metaphysics. A critical account of the construction of a naturalized metaphysics, University of Copenhagen 2016.   possibile, da una parte, e attuale, dall’altra, si riflette nel rapporto tra il sapere metafisico dell’essenza, da una parte, e il sapere empirico, dall’altra. Si pensi all’esempio, citato da Lowe, degli elementi transuranici. Con l’aiuto della tavola periodica di Mendeleev, i chimici sono stati in grado di prevedere l’esistenza di un numero di elementi non ancora scoperti e di fare previsioni molto accurate sulle loro proprietà. In seguito, sono stati in grado di sintetizzare questi elementi e verificare che effettivamente essi avevano le proprietà previste.27 La scoperta di questi elementi non sarebbe stata possibile, secondo Lowe, senza una preliminare intuizione, ancorchè parziale, delle essenze di questi elementi. A questa ricostruzione del processo di scoperta degli elementi transuranici attraverso la convergenza dell’apriori metafisico con l’aposteriori scientifico, è legittimo obiettare che molto di ciò che Lowe attribuisce alla metafisica – in particolare l’individuazione dei kinds degli elementi chimici – è di normale pertinenza della scienza empirica. La parte del processo imputata alla metafisica altro non è che il processo di ideazione dell’ipotesi teorica che viene prima della conferma, processo che non prescinde dall’esperienza, anzi è da esso supportato. Nell’esempio, l’ideazione degli elementi transuranici avviene a partire dalla conoscenza della struttura della tavola di Mendeleev (struttura determinata da precisi rapporti tra numero atomico e numero di elettroni presenti negli orbitali elettronici caratterizzanti gli elementi) la quale è il frutto di una sistemazione di fatti empirici. La considerazione appena svolta certamente relativizza l’importanza dell’apriori, ma non lo riduce del tutto. Rimane un nucleo di apriori che si rivela inespungibile. Quale apriori e perchè inespungibile? Chiaramente non può trattarsi di apriori puramente analitico. L’apriori puramente analitico è, infatti, non informativo, è una pura costruzione sintattica che attende d’essere interpretata. Una volta interpretata le sue formule sono vere o false. È per così dire un modello vuoto (come potrebbe essere la struttura delle cose) che attende di essere testato. L’apriori alla base della metafisica non può essere di questo tipo. Deve essere di tipo informativo, pena il fallimento di ogni impresa metafisica. Ora, perchè tale apriori è al limite inespungibile? È inespungibile perchè non tutto il nostro sapere è empirico. Esso riguarda gli aspetti generalissimi dei contenuti di conoscenza, gli aspetti strutturali di questi che si riflettono nelle caratteristiche meteoriche generali della teorizzazione conoscitiva. Illustriamo tre ragioni per questo. La prima è una ragione metateorica, le altre due sono ragioni teoriche. 1. Ragione metateorica Una forma di conoscenza non empirica non solo è possibile, ma è necessaria, nel senso che è una condizione di possibilità della stessa conoscenza empirica. Se e come possiamo conoscere empiricamente non lo sappiamo dall’esperienza. È noto, come conseguenza dei teoremi di Gödel, che la correttezza di una qualsiasi teoria non può essere derivata entro la teoria stessa. Una teoria cioè non è capace di mostrare che i suoi risultati sono veri. Lo si può fare, eventualmente, in una teoria più potente – ossia in una sua estensione non conservativa. Ciò significa che il sapere, per essere giustificato, rinvia a presupposti o assunzioni esterne. Ma questa caratteristica è strutturale, per cui appartiene anche a quel sapere circoscritto che è il sapere empirico nella sua generalità. Che tale forma di sapere sia un effettivo conoscere non si può mostrare usando procedure che appartengono allo stesso ordine di sapere. Occorre appellarsi a procedure o assunzioni la cui correttezza o verità siano accettate in modo autonomo. Che, poi, la correttezza delle procedure o la verità delle assunzioni siano accettate in modo autonomo dall’esperienza può significare o che la correttezza è semplicemente assunta, senza ragioni teoretiche – e dunque arbitrariamente –, o in base a ragioni che la giustificano. Escludendo la decisione arbitraria, rimane la seconda possibilità. Ma, allora queste ragioni                                                                                                                 27   Vedi Lowe (2008), p. 41. richiedono una forma di conoscenza non riducibile alla conoscenza empirica. 28 2. Prima ragione teorica: nozione di oggetto in generale, ovvero di totalità. È un fatto che noi afferriamo il concetto di totalità in sè, altrimenti non avrebbe senso la domanda se il tutto sia costituito dal tutto empirico. Ma se questo è vero, l’origine di questa nozione non può essere l’esperienza. Come potrebbe esserlo, infatti? Dovremmo poter cogliere negli oggetti empirici dei tratti che ci consentano di dire che gli oggetti empirici sono tutti gli oggetti. Ma non pare che tratti di questo tipo ci siano. Quando intendiamo rispondere a domande del tipo: ‘Questo elemento è l’ultimo della serie che vogliamo contare?’, ‘Ci sono altri elementi oltre a questi?’, ‘Questo insieme è comprensivo di tutti gli elementi?’, non diamo la risposta esibendo delle caratteristiche specifiche degli oggetti. Non è che si dica: come vedo che l’oggetto A è rosso, così vedo che A è l’ultimo. Affermare che di oggetti A, oltre a quelli presenti, non ce ne sono più e, dunque, che l’insieme dei presenti è l’insieme di tutti gli A, significa avere un concetto di oggetto A che può estendersi oltre agli oggetti presenti e, dunque, semanticamente indipendente da questo. Non è possibile altrimenti rispondere. Nel nostro caso, dire che tutti gli oggetti possibili sono quelli esperibili, significa avere il concetto di oggetto possibile semanticamente autonomo da quello di oggetto esperibile, altrimenti l’affermazione che gli oggetti possibili coincidono con quelli esperibili sarebbe una patente tautologia. Dunque, la nozione di totalità in sè non può provenire da quella di totalità empirica. Anche la sola domanda se l’orizzonte empirico possa essere trasceso non può venire dall’esperienza. Devo avere previamente l’idea del tutto come qualcosa di semanticamente indipendente dal tutto di cui abbiamo esperienza. Il concetto di tutto richiama quello di oggetto in generale. Parlare di oggetto in generale significa porsi dal punto di vista dell’intero. Un oggetto in generale è un oggetto qualificato solo in base alle caratteristiche che un oggetto avrebbe in un qualsisi mondo possibile. Si noti che la nozione di oggetto in generale coinvolge quella di oggetto possibile e non soltanto quella di oggetto. Gli oggetti esistenti potrebbero essere anche solo oggetti fisici. E solo fisici potrebbero essere gli oggetti possibili compatibilmente con le leggi fisiche e le condizioni iniziali sempre fisiche. Le qualità di tali oggetti sarebbero, naturalmente, qualità in senso lato fisiche. Ciononostante la nozione d’oggetto generale non avrebbe tra le sue note caratteristiche quella d’essere in senso lato un oggetto fisico. Un oggetto in generale è un oggetto possibile in tutti i mondi possibili, compresi quelli che non sono realmente possibili. Solo tenendo ferma l’autonomia semantica tra oggetto in generale e oggetto di un certo tipo – per esempio di tipo fisico – ha senso una affermazione come ‘tutti gli oggetti realmente possibili sono fisici’. Altrimenti l’affermazione sarebbe un vuota tautologia. Ma non tutti i filosofi sono convinti che abbia senso parlare del tutto e quindi di oggetto in generale. Nell’ambito della ontologia ontologia è nota la contrapposizione tra le ontologie di tipo realista e quelle di tipo costruttivista. Una ontologia realista concepisce la totalità degli oggetti come data. Una ontologia costruttivista concepisce gli oggetti come costruibili, per cui, nella prospettiva costruttivista, non ha senso parlare di totalità compiuta degli oggetti costruibili. Questa semplice argomentazione ha portato alcuni studiosi, inclini ad una visione costruttivista della realtà, a negare che sia sensato parlare del tutto e dunque dell’intero. La realtà è – per così dire – aperta, indeterminata, mentre il tutto è determinato, per cui la nozione di tutto è bandita dalle ontologie costruttiviste. Qualche studioso ha rincarato la dose affermando che la nozione di totalità è comunque contraddittoria. La prova sta nelle famose antinomie insiemistiche come, ad esempio, l’antinomia di Cantor secondo la quale la totalità di tutti gli insiemi è                                                                                                                 28 Il fenomeno della incompletezza delle teorie e del rinvio che tale fenomeno innesca nel processo di fondazione delle stesse è largamente studiato nella letteratura logica e metalogica contemporanea. Si vedano, ad esempio, Franzen (2004), Franzen (2005, Galvan (1992). Galvan (2010a), Galvan (2010b).   contraddittoria: supponiamo infatti che l’insieme di tutti gli insiemi esista; allora esso dovrebbe contenere se stesso come insieme, ma ciò è impossibile perchè, un elemento di un insieme non può essere l’insieme stesso. Ad entrambe le obiezioni si può tuttavia resistere. Innanzitutto l’obiezione insiemistica è facilmente superabile, dal momento che la realtà, come tutto, non è l’insieme di tutti gli insiemi: la realtà è, eventualmente, la totalità di tutti gli oggetti, e questo non è un concetto contraddittorio. Per quanto riguarda l’obiezione costruttivista, il fatto che la realtà sia in fase di sviluppo non implica che sia insensato parlare di realtà come tutto. Il tutto è la realtà in fieri, è la realtà che ha da venire, è la realtà come base attuale di possibilità in sviluppo. Il fatto che la realtà così concepita non sia determinata nella sua dimensione potenziale, non significa che sia indeterminato il tutto. Il tutto è la realtà in sviluppo. L’ontologia matematica è particolarmente sensibile alla dialettica costruttivismo/realismo. E la ragione è molto semplice. L’ontologia matematica ha a che fare con oggetti astratti, che per i costruttivisti sono il risultato di costruzioni mentali: essi sono dei pensati e proprio per questo non possono essere ritenuti degli oggetti esistenti a prescidere dalla nostra attività costruttiva (o quella di un matematico ideale). È scontato, pertanto, che secondo questa prospettiva non abbia molto senso parlare di totalità in atto di oggetti costruibili, con tutte le conseguenze che questo viene ad avere per quanto concerne la logica da usare per modellare universi oggettuali in potenza. Chi ha una sufficiente conoscenza della letteratura filosofica idealistica (e prima ancora kantiana) sa benissimo, però, che parlare di indeterminatezza dell’oggetto di pensiero non significa escludere la possibilità di parlare della realtà del pensiero – dell’ io trascendentale – come un tutto. Naturalmente il pensiero come tutto non è un oggetto indeterminato, anche se è pensiero di astratti indeterminati. In conclusione non ci sono preclusioni a parlare di punto di vista dell’intero e, di conseguenza, dell’oggetto in generale. D’altra parte la nozione di tutto e quindi quella di oggetto in generale non può venire dall’esperienza. Di conseguenza entrambi le nozioni sono apriori. 3. Seconda ragione teorica: il sapere logico-matematico è a priori Il sapere empirico è intessuto di sapere logico-matematico. Ora qual è il fondamento su cui poggia il sapere logico-matematico? Lo sviluppo dell’epistemologia matematica analitica ha mostrato la irrealizzabilità di quei programmi – in primis quello formalistico di Hilbert – che si propongono di fondare la matematica su metodi che fanno esclusivamente uso di forme finitiste di evidenza. In questa sede, non possiamo entrare nel dettaglio di questi risultati, ma ci sia permesso di trarre da essi le implicanze filosofiche più rilevanti. Che cosa siano le evidenze finitiste non è facile chiarirlo senza entrare nel merito di una loro rigorosa trattazione formale, ma non si rischia di allontanarsi troppo dal vero se si dice che esse riguardano le proprietà/ relazioni di combinazioni di oggetti concreti costruiti secondo principi costruttivi di tipo intuitivo. L’aspetto intuitivo è qui da intendere nel senso originario di Kant – che a sua volta si riallaccia al concetto stotista e occamista di notitia intuitiva – secondo il quale l’intuizione non esce dall’ambito della sensibilità empirica, con la sola variante che per i formalisti del XX secolo l’intuizione riguarda una porzione molto ristretta di combizioni di oggetti concreti, quelle descrivibili attraverso il linguaggio di un frammento dell’aritmetica elementare. Già queste poche righe dovrebbero consentire al lettore di capire che l’intuizione così intesa non può essere che una particolare forma di evidenza empirica, per quanto il concetto di oggetto concreto possa essere idealizzato. A conferma di questa radice empirica dell’intuizione sta anche il fatto che l’intuizione è per Kant, così come la notitia intuitiva per Scoto e Occam, la facoltà conoscitiva che ci informa sull’esistenza e che, dunque, trae origine dall’esperienza: solo l’esperienza ci può dire in modo immediato se qualcosa esiste, mentre che cosa può esistere è frutto d’evidenza intellettiva (i medievali parlavano di notitia abstractiva). Tirando le somme, il fallimento dei programmi formalisti radicali ha come conseguenza la necessità di ricorrere, se   non si vuole cadere in un pragmatismo arbitrario, a forme di evidenza astratta non riconducibili all’esperienza. 29 Si dirà che il formalismo non è stato l’unico programma in gioco nella ricerca di una fondazione della matematica. Sulla scena è rimasto a lungo – e rimane ancora in una forma rinnovata – il programma logicista di Frege. Ma il logicismo è una forma di platonismo, ovvero una concezione impegnata nell’affermare gli oggetti matematici quali enti astratti esistenti in se ante res e a cui abbiamo accesso diretto in modo indipendente dall’esperienza. Il rifiuto dell’esperienza come unica forma di conoscenza è dunque esplicito. In effetti, il platonismo è stato fortemente osteggiato, proprio a causa del suo forte impegno ontologico e conoscitivo. Una via alternativa alla fondazione logicista della matematica, che al contempo ha fatto tesoro degli sviluppi della logica, è stata la visione neoempirista delle verità matematiche come verità analitiche. Le verità matematiche, come le verità logiche, sono verità in virtù del significato dei segni logici o matematici che occorrono in esse; sono cioè tali in virtù delle regole semantiche che presiedono all’uso di quei simboli. Per esempio, la verità del principio di non contraddizione è stabilito dalle regole che presiedono all’uso dei dei connettivi della negazione e della congiunzione. Bisogna però fare attenzione: per i neoempiristi – per Carnap prima di tutti – il significato dei segni non corrisponde ad un loro presupposto significato extralinguistico. Esso è definito dalle regole, è da esse creato, è cioè codificato nella sintassi delle teorie logiche o matematiche, le quali, a loro volta, servono come linguaggi nella costruzione delle teorie empiriche. In definitiva, dunque, la verità delle leggi logiche o matematiche segue la stessa sorte delle teorie empiriche di cui fanno parte e non dipende dal fatto che esse descrivano aspetti strutturali della realtà più ampi e generali di quelli empirici. Ora anche questa concezione linguistica della logica e della matematica non ha retto alla prova dei risultati metatamatematici. Essa non ha retto perchè – per quanto si parli di regole semantiche – è una visione sintatticista del significato e i teoremi di Gödel, come hanno segnato la fine del formalismo hilbertiano, così hanno sancito la non riducibilità della semantica alla sintassi. 30 Da non dimenticare, infine, sono certamenti i programmi costruttivisti, in primis l’intuizionismo. Ma con il costruttivismo postgödeliano, nelle sue varie espressioni, si sfonda una porta già aperta. Il costruttivismo si caratterizza per forme di evidenza dell’astratto non riconducibili all’esperienza.31 4.2   Teorie  metafisiche  come  modelli  della  struttura  ultima  della  realtà.   Una volta stabilito che anche la metafisica non naturalista presenta le carte in regola per essere considerata un sapere con pari diritto della metafisica naturalista, un reale confronto tra metafisiche di tipo diverso non è possibile se non si tiene conto di ciò che esse in concreto affermano sulla struttura della realtà. Ma le teorie metafisiche presentano tutte, indistintamente, un tratto comune. Tutte forniscono un modello dell’intera realtà e questo le rende confrontabili e valutabili. Perchè ciò avvenga – cioè perchè siano un modello del reale – devono, però, soddisfare alcuni requisiti di adeguatezza logica. Esse devono essere espresse in un linguaggio rigoroso capace di riferirsi alla totalità degli oggetti, siano essi esistenti o possibili, empirici o metempirici. Devono inoltre essere capaci di organizzare il sapere circa                                                                                                                 29 Emblematico è, per esempio, il fatto che il finitismo non possa essere giustificato da evidenze puramente finitiste. Infatti, affermare la tesi di Tait, secondo la quale le evidenze finitiste sono catturabili dal sistema dell’aritmetica ricorsiva primitiva PRA, insieme con la tesi che le evidenze finitiste siano assolutamente affidabili (corrette) richiede una forma d’evidenza astratta, non finitista, in quanto l’unione di queste due tesi implica la consistenza di PRA. La dimostrazione si sviluppa nel modo seguente, ove il simbolo EF indica l’evidenza finitista. Sia per assurdo PRA- |– ⊥ . Allora per la tesi di Tait si ha EF ⊥. D’altra parte le evidenze finitiste sono assolutamente affidabili, cioè EF ⊥ → ⊥. Pertanto per modus ponens si ha ⊥ e per refutazione PRA- ! ⊥ , cioè la consistenza di PRA.   30 Vedi Gödel (1953/59- III e V), ove l’autore sviluppa una critica rigorosa e puntuale della concezione linguistica della matematica difesa dai neopositivisti e in particolare da Carnap. 31 Si veda sempre Gödel (1953/59- III e V) e anche Gödel (1951).   tali oggetti eplicitando i principi che ne regolano le proprietà, la composizione, le strutture relazionali, l’esistenza e il divenire. A tal fine le teorie metafisiche devono essere formulate – implicitamente o esplicitamente – in un sistema di logica modale dei predicati con predicato d’esistenza. Le modalità sono essenziali, perchè la metafisica si riferisce ad oggetti non solo attuali, ma anche possibili. È essenziale inoltre il predicato d’esistenza perchè senza di esso è impossibile rendere conto della distinzione tra oggetti attuali ed oggetti possibili e trattare in modo adeguato il tema del divenire. La generalità degli oggetti è garantita dalla possibilità di determinare le categorie generali degli oggetti (e delle loro proprietà) e di studiare formalmente le relazioni che intercorrono tra proprietà e loro istanze. La semantica dei mondi possibili è infine uno strumento formale molto utile per inquadrare in un sistema unitario le molteplici nozioni metafisiche menzionate. 32Essa, tra le altre cose, consente di trattare in modo rigoroso la nozione di essenza di un oggetto – e dunque di predicazione essenziale – e di definire le caratteristiche proprie della predicazione essenziale da quella esistenziale. Il capitolo riguardante il rapporto tra essenza ed esistenza è molto importante in quanto al suo interno si può sviluppare una precisa teoria delle proprietà modali caratterizzanti gli enti dotati di esistenza. Ad esempio è un teorema fondamentale di tale teoria il fatto che un ente necessario è da concepire come atto puro: in un ente necessario non esiste divenire perchè tutte le potenzialità in esso insite sono attuali.33 L’interesse di una teoria metafisica costruita entro il perimetro di un linguaggio strutturato formalmente (cioè provvisto di una sua sintassi e semantica) è dato, tra il resto, dal fatto che, come tutte le teorie formali, essa non può ambire ad essere una teoria che copre la totalità delle proposizioni metafisiche, il che sancisce quanto la tradizione metafisica neoclassica ripete da sempre, che la metafisica è la dottrina dell’essere dal punto di vista dell’intero, ma non è la dottrina che ci dice tutto quello che è vero dell’intero, ci dice – o è impegnata a dirci – solo gli aspetti strutturali dell’intero.34 Ma la trattazione formale della metafisica mette in luce un ulteriore vantaggio. Una teoria metafisica, come tutte le teorie formali, ammette una molteplicità di modelli, proprio per il fatto che non può caratterizzare in modo completo l’orizzonte metafisico. È cioè una teoria strutturalmente incompleta, anche se quello che dice lo dice con la pretesa che sia vero. Ciò implica che i modelli diversi ammessi dalla teoria rappresentino forme distinte di metafisiche concrete. Ad esempio, Kant intende la nozione di possibilità in modo profondamente diverso da quello di Leibniz e della tradizione tardo-scolastica. Ora, tale diversità concettuale è modellabile entro la teoria, perchè basta introdurre o togliere la condizione di saturazione esistenziale dei possibili (per ogni possibile esiste un mondo in cui tale possibile esiste) per avere un modello di metafisica leibniziana o, al contrario, un modello di metafisica kantiana. Nel primo di questi la possibilità è intesa come possibilità analitica, nel secondo la possibilità è intesa come possibilità reale. Bibliografia Dyke H. & Maclaurin J. (2013), “What Shall We Do with Analytic Metaphysics? A Response to McLeod and Parsons”, Australasian Journal of Philosophy, 91 (1), 179–182. Franzen T. (2005), Gödel's Theorem: An Incomplete Guide to its Use and Abuse. Wellesley Massachussets A.K. Peters, Ltd 2005.                                                                                                                 32 Vedi Galvan S. (2012). In questo contributo i sistemi PE e PEL corrispondono rispettivamente al modello kantiano e a quello leibniziano. Il modello di PE è allargabile al “frame” ontologico delle “pure perfezioni” che Gödel intoduce nella sua prova ontologica. 33 Questa tematica è tratta in Galvan S. e Giordani A. , “A Classical Logic of Existence and Essence”, in corso di pubblicazione. 34 È emblematica l’espressione di Bontadini sulla “brevità” del discorso metafisico.   Franzen T., Inexhaustibility: A Non-Exhaustive Treatment. Wellesley Massachussets A.K. Peters, Ltd 2004. Lecture Notes in Logic. Galvan S. (1992). Introduzione ai teoremi di incompletezza, Angeli. Milano. Galvan S. (2010a). “Omega-Incompleteness, Truth, Intentionality”. In: A. Carsetti Ed. Causality, Meaningful Complexity and Embodied Cognition. p. 113-124, New York:Springer. Galvan S. (2010b). “The Emergence of the Intuition of Truth in Mathematical Thought”. In: A. Corradini and T. O’Connor Eds.. Emergence in Science and Philosophy. p. 233-250, New york:Routledge. Galvan S. (2012). “Logic of Existence, Ontological Frames, Leibniz's and Gödel's Ontological Proofs”. In: (a cura di): Miroslaw Szatkowski (Ed.), Ontological Proofs Today. pp. 215-242, Frankfurt/Paris/Lancaster: Ontos Verlag, ISBN: 978-3-86838-181-8. Galvan S. e Giordani A., “A Classical Logic of Existence and Essence”, in corso di pubblicazione. Ladyman J. & Ross D. (2007), with Spurrett D. and Collier J., Must Go: Metaphysics Naturalized, Oxford UP Lowe E.J. (2011), “The rationality of metaphysics”, Synthese, 178:  99–109 Lowe, E. J. (2006a) The Four-Category Ontology. A Metaphysical Foundation for Natural Science. Oxford: Clarendon Press. Lowe, E. J. (2008). “Two notions of being: Entity and essence”. Royal Institute of Philosophy Supplements, 83 (62), 23–48. Lowe, E. J. (2012), “What is the source of our knowledge of modal truths?”, Mind, 121, 919–950. Lowe, E. J. (2006b) Metaphysics as the Science of Essence; presented at “The Metaphysics of E.J. Lowe”, 8-9 April 2006 in New York. Maclaurin J. & Dyke H. (2012), “What is Analytic Metaphysics For? ”, Australasian Journal of Philosophy, 90 (2): 291–306. McLeod M. & Parsons J. (2013), “Maclaurin and Dyke on Analytic Metaphysics”, Australasian Journal of Philosophy, 91 (1), 173–178. Morganti M. e Tahko T. E. (2017), “Moderately naturalistic metaphysics”, Synthese, 194: 2557–2580 DOI 10.1007/s 11229-016-1068-2.   Paul, L. A. (2012), “Metaphysics as modeling: The handmaiden’s tale”, Philosophical Studies: An International Journal for Philosophy in the Analytic Tradition, 160 (1): 1-29 Gödel, K. (1995), Collected Works: Vol. III, Unpublisched essays and lectures, a cura di S. Feferman, J. W. Dawson Jr., W. Goldfarb, C. Parsons, R. M. Solovay, Oxford University Press, New York - Clarendon Press, Oxford. Ed. it. a cura di E. Ballo, G. Lolli, C. Mangione e P. Pagli, Opere Vol. 3 Saggi e conferenze, Bollati Boringhieri, torino 2006. Gödel, K, (1951), “Alcuni teoremi basilari sui fondamenti della matematica e loro implicazioni filosofiche”, in Gödel, K. (1995), ed. it., pp. 268-286. Gödel, K, (1953/59- III e V), “La matematica è sintassi del linguaggio?”, in Gödel, K. (1995), ed. it., pp. 298-326.