Metafisica analitica tra naturalismo e non naturalismo
(Draft provvisorio di testo pubblicato su numero unico Aquinas:
“Che cos’è metafisica” - Aquinas 2019 LXII 1-2 ISSN: 0003 7362)
di S. Galvan
1. Introduzione: ontologia o metafisica?
Spesso nell’ambito della filosofia analitica si fa distinzione tra ontologia e metafisica.
L’ontologia è intesa quale dottrina di ciò che esiste, mentre per metafisica si intende la dottrina
sulla natura ultima delle cose. Questa distinzione deriva dalla concezione quiniana dell’impegno
ontologico delle teorie scientifiche. Secondo l’autore americano la struttura logico-linguistica di
una teoria consente di dichiarare in forma esplicita quali oggetti sono da considerare esistenti
nella prospettiva di quella teoria. Esistenti sono gli oggetti costituenti l’ambito su cui sono
interpretabili le variabili quantificabili del linguaggio della teoria: essere, cioè esistere entro la
prospettiva della teoria T, significa essere il valore di una variabile quantificabile nel linguaggio
di T. Questa interpretazione dell’ontologia chiaramente non collima con la nozione classica di
ontologia. Secondo l’approccio quiniano, ad esempio, all’ontologia della fisica non appartiene il
compito di studiare i tratti essenziali degli oggetti fisici – compito che appartiene alla fisica –
ma quello di esplicitare il tipo di esistenza attribuibile agli oggetti descritti dalla teoria fisica –
siano essi osservativi o teorici –, una volta che questa sia accettata da parte della comunità
scientifica. Al contrario, secondo la tradizione classica, l’ontologia riguarda il dominio degli
oggetti in generale, non i domini oggettuali delle singole teorie, e di questi è impegnata sia ad
analizzare le varie forme d’esistenza sia nel dire che cos’è l’oggetto in generale e quali sono le
sue proprietà essenziali (vedi citazione di Aristotele). L’ontologia classica è impegnata, dunque,
su due fronti: non solo nel fornire l’analisi delle modalità dell’essere ma anche nel mostrare
quali sono le proprietà che caratterizzano l’oggetto in quanto tale e non l’oggetto di questa o
quest’altra ontologia regionale. Proprio queste due caratteristiche rendono molto vicina la
nozione di ontologia classica a quella della metafisica analitica. Abbiamo detto, infatti, che
l’oggetto della ontologia classica è l’oggetto in generale e le sue modalità d’esistenza. Ma se
l’oggetto in generale è compreso nella sua estensione massima (maxima latitudo, secondo
l’espressione di Suarez), esso viene a coincidere con l’insieme di tutti gli oggetti, siano essi
attuali o possibili. Dunque, il dominio dell’ontologia classica non è solo il mondo attuale – di
cui il mondo empirico è la parte studiata dalla scienza – ma il dominio di tutto il reale, che
comprende, oltre all’attuale anche il possibile. In tal senso, l’ontologia classica viene a
coincidere – al netto di trascurabili differenze terminologiche – con la metafisica classica, come
dottrina delle cause ultime della realtà.
La coincidenza tra ontologia e metafisica nella prospettiva classica non è un fatto che
stupisce. Stupisce, invece, che l’idea di metafisica classica sia molto vicina a quella di
metafisica che circola negli ambienti della filosofia analitica contemporanea. Per Lowe, ad
esempio, una delle figure più rilevanti nella riscoperta ed innovazione della metafisica nel
contesto analitico contemporaneo, la metafisica ha come oggetto di indagine la natura ultima
della realtà: “Metaphysics, conceived as an inquiry into the ultimate nature of mind-independent
reality, is a rationally indispensable intellectual discipline” 1. La concezione di Lowe della
metafisica rappresenta, tuttavia, una singolare posizione di metafisica non naturalistica – di
ispirazione neoaristotelica – che non possiamo assumere come punto da cui muovere per
costruire un resoconto completo delle posizioni interne alla metafisica analitica contemporanea.
Iniziamo invece con l’esporre la classificazione proposta da Morganti e Tahko (2017) di 4
modelli di metafisica analitica. Nella prima parte di questo articolo esponiamo i 4 modelli,
1
Lowe, E.J. (2011), p. 99.
esemplificando ciascuno di essi con l’analisi della posizione di 4 autori. La discussione delle
diverse concezioni di metafisica analitica ruota quasi completamente intorno alla domanda –
centrale per i metafisici analitici – se è possibile una metafisica e, se questa è possibile, quale
rapporto ha con la scienza. L’interrogativo circa il rapporto della metafisica con la scienza non è
ozioso, per il fatto che il modo con cui questo si declina dipende dal tipo di metafisica
condivisa. Alcuni filosofi analitici affermano, ad esempio, che solo una metafisica naturalistica
è accettabile. Ma allora, è legittimo chiedersi, in quale senso la metafisica si differenzia dalla
scienza. Si tratta di una scienza allargata o di una scienza assunta a rango di dottrina del tutto
(come la fisica del tutto)? E cosa significa, nella prima ipotesi, scienza allargata?
Completamente diverso è il quadro se si ritiene che abbia senso analiticamente anche una
metafisica non naturalista. Chiaramente tale tipo di metafisica chiama in campo una distinzione
di principio tra l’intero d’esperienza e l’intero tout court, il che è tipico di certa metafisica
tradizionale. Questo groviglio di problemi è al centro della seconda parte e terza parte. La
quarta parte, infine, cerca di fare il punto sulla possibilità di una metafisica analitica non
naturalistica. Si argomenterà a favore di questa posizione.
2. Tre modelli di metafisica analitica
Nell’articolo Morganti e Tahko (2017), gli autori presentano una tassonomia basata su una
tabella a doppia entrata. Le entrate sono costituite da due elementi: l’oggetto d’indagine e il
metodo. Scienza e metafisica sono considerate dal punto di vista dell’oggetto che trattano
(subject matter) e da quello dei metodi che usano (methods). Combinatoriamente, ci sono,
pertanto quattro modelli ideali (Morganti e Tahko (2017), p. 58):
1. Oggetto e metodo diversi
(No overlap regarding methods or subject
matter)
3. Oggetti diversi, stesso metodo,
(Overlapping methods, distinct subject
matter)
2. Stesso oggetto, metodi diversi
(Overlapping subject matter, distinct methods)
4. Stesso oggetto e stesso metodo
(Overlapping methods and subject matter )
Gli autori intendono mostrare che la metafisica si differenzia dalla scienza non per l’oggetto
di indagine, ma piuttosto per il metodo. Per essi: “La metafisica ci dice qualcosa sulla natura e
struttura della realtà, forse come la scienza empirica, ma in modo diverso in termini di metodi,
dal momento che la metafisica è essenzialmente una impresa a priori. Pertanto, metafisica e
scienza condividono l’oggetto d’indagine, ma non i metodi.” 2 Il modello difeso da Morganti e
Tahko risulta pertanto il secondo, a favore del quale gli autori argomentano soffermandosi in
particolare sulla critica del terzo modello speculare al secondo.
2.1 Il modello di L.A. Paul
Nell’analisi di Tahko e Morganti il terzo modello è rappresentato, dalla posizione di L. A. Paul
2
“Metaphysics conceived as telling us something about the nature and structure of reality, perhaps in conjunction with empirical
science, but distinct from it in terms of its methods, in virtue of its being an essentially a priori enterprise. Thus, metaphysics and
science share their subject matter, but not their methods” (p. 2559)
(2012). La posizione della Paul è molto interessante e quindi su di essa vale la pena di
soffermarsi anche direttamente – e non solo in funzione del fatto che appartiene al terzo
modello di Morganti e Tahko. L’autrice si sofferma con sottile capacità d’analisi su alcuni
aspetti paradigmatici che illustrano la diversità di oggetto tra scienza e metafisica. Eccone
alcuni:
1. La metafisica ricerca le strutture fondamentali della realtà: “Uno degli obiettivi più diffusi e
stabili nella metafisica è costituito dalla ricerca delle verità fondamentali e generali riguardanti
il mondo. Il metafisico impegnato in una simile ricerca vuole determinare la natura del mondo,
in particolare le nature fondamentali del mondo, come parte della sua indagine sulla natura delle
cose. Il metafisico cerca anche di scoprire verità sistematiche e generali; nel contesto
dell’indagine sulla fondamentalità, spera di scoprire verità sistematiche e generali riguardanti
fatti fondamentali. Tali fatti fondamentali spesso coinvolgono nature, tipi di composizione e
distinzioni primitive.” 3
2. Le verità concernenti le strutture fondamentali della realtà sono metafisicamente anteriori a
quelle scientifiche; in tal senso la metafisica descrive caratteristiche della realtà che vengono
prima di quelle scientifiche: “Il resoconto ontologico coinvolge caratteristiche del mondo che
sono metafisicamente precedenti a quelle del resoconto scientifico. Il resoconto ontologico
descrive le categorie e i costituenti metafisicamente anteriori delle entità fisicamente
fondamentali, e, in questo senso, descrive le caratteristiche del mondo che sono più
fondamentali di quelle delle scienze naturali.” 4
3. La metafisica studia i principi mereologici di composizione tra le parti e il tutto, che sono più
fondamentali dei principi generali che governano la fisica o la chimica: “Una teoria ontologica
delle parti/tutto (una mereologia) di oggetti fisici descrive principi costruttivi più fondamentali e
più generali di quanto non facciano la fisica o la chimica, poiché fornisce principi generali che
governano tutti gli oggetti fisici con parti, incluse le microparticelle, gli atomi e le molecole. Per
esempio, la chimica può dirci che la struttura fisica di un policarbonato è causalmente prodotta
disponendo gli elementi in un certo modo e che le sue parti fisiche consistono in configurazioni
di questi elementi più le forze che li attraggono. La mereologia contribuisce ad aggiungere che
la molecola, ad esempio, è semplicemente la fusione mereologica delle sue parti organizzate (gli
elementi più le forze attrattive). La molecola di policarbonato è prodotta da questa fusione
mereologica, ma non in senso causale. Piuttosto, è prodotta nel senso compositivo o ontologico:
esiste quando le parti disposte nel modo giusto esistono. Quindi la metafisica ci dice che cosa
significa essere una somma o un oggetto fisico composto da questi insiemi strutturati di parti, e
quindi ci dice come un oggetto fisico sia metafisicamente costruito (composto) dalle sue parti.
Al contrario, la chimica ci dice quali parti e quali arrangiamenti di parti convengano ai diversi
tipi di molecole e ci dice anche come manipolare causalmente il mondo al fine di portare alla
esistenza tali arrangiamenti.” 5
3
Paul (2012), p. 4: “One of the more popular and enduring metaphysical projects in metaphysics concerns the search for
fundamental and general truths about the world. The metaphysician engaging in such a search wants to determine the natures of the
world, especially the fundamental natures of the world, as part of her enquiry into the nature of things. The metaphysician also looks
to discover systematic, general truths; in the context of the investigation of fundamentality, she hopes to discover systematic,
general truths concerning fundamental facts. Such fundamental facts often involve natures, types of composition, and primitive
distinctions.”
4
Paul (2012), p. 5: “The ontological account involves features of the world that are metaphysically prior to those of the scientific
account. The ontological account describes the metaphysically prior categories and constituents of the physically fundamental
entities, and in this sense describes features of the world that are more fundamental than those of natural science.”
5
Paul (2012), p. 5: “An ontological theory of parts and wholes (a mereology) of physical objects describes more fundamental and
more general constructional principles than physics or chemistry does, for it gives general principles that govern all the physical
objects with parts, including microparticles, atoms and molecules. For example, chemistry may tell us that the physical structure of
a polycarbonate is causally created by arranging elements a certain way, and that its physical parts consist of these arrangements of
elements and the attractive forces between them. Mereology contributes the additional claim that the molecule just is (say), the
mereological fusion of its arranged parts (the elements and the attractive forces). The polycarbonate molecule is created by this
mereological fusion, but not in a causal sense. Rather, it is created in the compositional or ontological sense: it exists when the parts
arranged in the right way exist. So the metaphysics tells us what it is to be a sum or physical object composed of these structured
arrangements of parts, and thus tells us how the physical object is metaphysically constructed (composed) from its parts. In contrast,
chemistry tells us what some of the parts and the arrangements of the parts are for different kinds of molecules, and it also tells us
how to causally manipulate the world in order to bring such arrangements into existence.”
4. La metafisica cerca di cogliere le essenze (reali nature) delle cose, mentre la scienza ha il
compito di scoprire la molteplicità delle istanze di tali essenze: “Una distinzione che possiamo
invocare per tracciare la differenza intuitiva tra scienza e metafisica è che spesso la metafisica si
preoccupa di cogliere le reali nature del mondo mentre la scienza è interessata a scoprire
l’insieme delle loro istanze ... La metafisica indaga, per esempio, la natura delle leggi, della
causalità, della persistenza e delle proprietà. La scienza parte dal presupposto che abbiamo una
presa pretoreorica di queste nature e poi ne indaga le istanze: ci dice quali leggi ci siano nel
mondo naturale, quali tipi naturali ci siano e come sono ordinati, quali altre proprietà e relazioni
sono attualmente istanziate, quali oggetti persistono e cosa causa cosa (e come). La metafisica
cerca di dirci qual è la natura fondamentale delle leggi, delle proprietà, degli oggetti, della
persistenza e delle relazioni causali, mentre la scienza cerca di scoprire quali entità ci sono o
come queste nature sono esemplificate.” 6
5. Infine la Paul sottolinea l’intento realistico della metafisica. La metafisica non è
primariamente analisi concettuale. I concetti e le loro relazioni ambiscono a dire ciò che è vero
nel mondo e del mondo: “Un diverso tipo di progetto, il tipo di progetto a cui sono interessato in
questo articolo, non è principalmente l’analisi concettuale: non primariamente l’analisi
concettuale: l’obiettivo è sviluppare una teoria del mondo stesso, non una teoria del contenuto
dei nostri concetti.” 7
Se la Paul argomenta con vigore a favore della diversità di oggetto, con altrettanto vigore, si
schiera dalla parte di coloro che negano alla metafisica il privilegio di un metodo autonomo.
Anche qui, tuttavia, il discorso della Paul è sottile e, per quanto discutibile – come tra poco
vedremo – , contiene osservazioni di molta rilevanza. Come lei stessa dice: “La mia seconda
tesi è che possiamo affermare che i metodi utilizzati dai metafisici sono molto simili, modulo il
cambiamento dell’oggetto d’indagine, ai metodi impiegati dagli scienziati. Entrambi i campi
sono interessati a scoprire verità su entità o caratteristiche del mondo che sono talvolta
osservabili, ma spesso sono inosservabili, indirettamente confermabili e astratte. (Tali entità
includono oggetti, proprietà, relazioni o quel che vuoi.) Entrambi i campi si basano sul
ragionamento a priori oltre al ragionamento a posteriori.” 8
È chiaramente improbabile che gli autori analitici di indirizzo empiristico possano trovarsi
in accordo con questa seconda tesi della Paul. Gli empiristi al seguito di Hume – basti solo
pensare ai neoempiristi del circolo di Vienna – sono del tutto refrattari all’apriori conoscitivo.
L’apriori, per loro, è solo l’apriori analitico, dunque, – nell’accezione neoempiristica – l’apriori
non informativo. Secondo Carnap, ad esempio, la componente analitica del sapere scientifico,
non descrive la struttura (o qualche aspetto strutturale) della realtà. Essa è al massimo il
precipitato linguistico di una pura analisi dei concetti, la cui unica funzione è quella di costituire
una rete che serve a dare unità e coerenza all’esperienza, ma non a rappresentare la struttura
ontologica del reale. È scontato, del resto, che l’apriori sia il bersaglio dei neopositivisti, perchè
l’apriori è da loro considerato il lasciapassare della metafisica come forma di sapere sul mondo
alternativa alla scienza. La concezione della Paul dell’apriori è, invece, positiva: l’apriori è
informativo e ciò vale, senza distinzione di principio, tanto per la scienza quanto per la
6
Paul (2012), pp. 5-6: “One distinction we can invoke to help with the intuitive difference between science and metaphysics is that
often metaphysics is concerned to identify the real natures of the world while science is concerned to discover the range of instances
of these natures... Metaphysics investigates, for example, the natures of laws, naturalness, causation, persistence, and properties.
Science assumes that we have a pretheoretical grasp on these natures, and then investigates the instances of these natures: it tells us
which laws obtain in the natural world, which natural kinds there are and how they are ordered, which other properties and relations
are actually instantiated, which objects persist, and what causes what (and how). Metaphysics tries to tell us what laws, naturalness,
properties, objects, persistence, and causal relations fundamentally are, in terms of natures, and science tries to discover which
entities there are or how these natures are exemplified.”
7
Paul (2012), p. 8: “A different sort of project, the sort of project I’m concerned with in this paper, is not primarily conceptual
analysis: not primarily conceptual analysis: the goal is to develop a theory of the world itself, not a theory of the content of our
concepts.”
8
Paul (2012), p. 9: “My second thesis is that we can understand the methods employed by metaphysicians to be very similar,
modulo the change in subject matter, to the methods employed by scientists. Both fields are interested in discovering truths about
entities or features of the world that are sometimes observable, but are often unobservable, indirectly confirmable, and abstract.
(Such entities include objects, properties, relations, or what-have-you.) Both fields rely on a priori reasoning in addition to a
posteriori reasoning.”
metafisica. Anche Morganti e Tahko condividono con la Paul l’informatività dell’apriori, ma
sono in accordo solo parziale con lei, in quanto ritengono, con Lowe, che l’apriori sia tipico del
sapere metafisico e non di quello scientifico. Come si può notare, le carte in gioco in questa
controversia sono molte e di particolare peso, per cui non si può dichiarare che la partita tra
metafisica e scienza sia chiusa finchè queste non vengono buttate tutte. Nel capitolo successivo
cercheremo di buttare le carte decisive (o farle buttare da qualche giocatore), in modo tale da
poter chiudere, se possibile, il gioco in modo – almeno provvisoriamente – soddisfacente.
Ora vale la pena soffermarci sulla ragione addotta dalla Paul per sottolineare la
sovrapposizione di metodo tra scienza e metafisica. L’argomentazione è importante in quanto
permette di cogliere lo stretto legame che la concezione della metafisica da parte della Paul
intrattiene con la concezione classica dell’ontologia come dottrina dell’ente in generale. La Paul
afferma che come la scienza costruisce modelli per conoscere il mondo, così anche la metafisica
svolge la funzione di modellizzazione del mondo.9 La differenza non sta nel metodo, ma nella
generalità: “Possiamo teorizzare sul mondo usando modelli, cioè costruendo rappresentazioni
del mondo, e la teorizzazione metafisica non fa eccezione. La teorizzazione scientifica è spesso
intesa in termini di costruzione di modelli del mondo e le teorie scientifiche sulla natura delle
caratteristiche del mondo possono essere intese come modelli di tali caratteristiche. Anche le
teorie metafisiche sulla natura delle caratteristiche del mondo possono essere intese come
modelli di tali caratteristiche. In entrambi i campi si costruiscono modelli per sviluppare e
difendere teorie e in entrambi si usa il ragionamento a priori per inferire la migliore spiegazione
e scegliere tra dati empirici equivalenti. Da questo punto di vista, le differenze più importanti tra
il metodo scientifico e il metodo metafisico derivano semplicemente dalla differenza dei
rispettivi oggetti e dal diverso ruolo che scienza e metafisica danno all’esperienza ordinaria in
funzione della diversità di oggetto.” 10 In particolare: “[...] Una teoria metafisica può essere
intesa come una classe di modelli, in cui i modelli sono composti da relazioni logiche, modali e
d’altro tipo che correlano variabili che rappresentano proprietà n-adiche, oggetti e altre entità.
[...] Molti esperimenti di pensiero sono fondamentalmente modelli di situazioni ipotetiche: i
mondi possibili sono semplicemente le strutture astratte che funzionano come modelli
nell’approccio semantico. I possibili possono funzionare come astrazioni, cioè come
rappresentazione di una parte di una struttura attuale ma con dettagli irrilevanti rimossi, e come
idealizzazioni, cioè come rappresentazioni di situazioni finzionali.”11
In conclusione la Paul afferma che tanto la scienza quanto la metafisica costruiscono
modelli della realtà e che nella loro valutazione inferiscono alla migliore spiegazione, ove in
entrambi i casi fanno uso di argomentazioni a priori. Dunque, da questo punto di vista non
esiste differenza tra scienza e metafisica. Si potrebbe obiettare che le qualità a priori delle teorie
scientifiche sono indicative della verità (truth-conducive) in quanto queste sono empiriche (per
il fatto che solo nelle teorie empiriche la indicatività della verità da parte dei requisiti a priori
sarebbe realmente confermato dal successo della scienza), ma a questa obiezione la Paul
risponde che, se la semplicità e altri requisiti teorici sono indicativi della verità nella
teorizzazione scientifica, essi devono essere indicativi della verità anche più in generale nella
teorizzazione metafisica. “Questa è una parte centrale della mia tesi: se accettiamo l’inferenza
9
Di questo aspetto si terrà conto nel paragrafo finale 4.2.
Paul (2012), p. 9: “We can theorize about the world using models, that is, by constructing representations of the world, and
metaphysical theorizing is no exception. Scientific theorizing is often understood in terms of the construction of models of the
world, and scientific theories about the nature of features of the world may be understood as models of features of the world.
Metaphysical theories about the nature of features of the world may also be understood as models of features of the world. Both
fields can be understood as relying on modeling to develop and defend theories, and both use a priori reasoning to infer to the best
explanation and to choose between empirical equivalents. On this view, the most important differences between the scientific
method and the metaphysical method derive merely from the difference in subject matter and the resultant difference in the role they
give to ordinary experience.”
11
Paul (2012), pp. 12-13: [...] A metaphysical theory can be understood as a class of models, where the models are composed of
logical, modal and other relations relating variables that represent n-adic properties, objects, and other entities. [...] Many thought
experiments are basically models of hypothetical situations: the possible worlds are simply the abstract structures functioning as
models in the semantic approach. Possibilia can function as abstractions, that is, as representations of a part of an actual structure
but with irrelevant detail removed, and as idealizations, that is, as representations of fictional situations.”
10
alla migliore spiegazione nel ragionamento ordinario e nella teorizzazione scientifica,
dovremmo accettarla nella teorizzazione metafisica.”12
2.2 Il modello di M. Morganti e T.E. Tahko e quello di J.E. Lowe
La conclusione della Paul lascia aperti, come già anticipato, molti problemi. Alcuni di questi
vengono alla luce nella critica che del modello fanno Morganti e Tahko. Altri saranno ripresi in
seguito. Per ora ci soffermeremo sui problemi sollevati da Morganti e Tahko, i quali
sostengono che la fisica si differenzia dalla metafisica per il metodo e non per l’oggetto.
Secondo il loro parere la Paul esagera nell’insistere sulla diversità dell’oggetto. Secondo le loro
parole, l’apertura ad un oggetto generale non dà garanzia ad una forma di conoscenza che venga
prima del sapere scientifico e che abbia come questo la funzione di spiegare ciò che accade
nella realtà. Essi affermano: “[ ] la priorità dei concetti e delle ipotesi metafisiche può essere
concessa in termini di generalità, ma questo non dice assolutamente nulla sulle ragioni (se ce ne
sono) per cui dovremmo affermare che certe entità o processi metafisici esistono (o non
esistono) [...] Ciò indica chiaramente il fatto che bisogna stare attenti quando si passa dalla
spiegazione metafisica all’impegno ontologico [...] Inoltre, bisogna chiarire quale senso di
priorità/fondamentalità sia in gioco – abbiamo appena argomentato che la semplice priorità
concettuale non può svolgere alcuna funzione. Mancando tutto questo, rimane reale la
possibilità di avvallare una visione riduzionistica, o addirittura eliminazionista, della metafisica
– poiché, chiaramente, si può sostenere che, in definitiva, le nozioni metafisiche apparentemente
fondamentali sono in realtà fondate su quelle chiaramente scientifiche.”13
Il motivo per il quale Morganti e Tahko tolgono alla metafisica la capacità di dire
autonomamente qualcosa di vero a proposito della realtà deriva chiaramente dal fatto che essi
giudicano le proprietà interne di una teoria – quelle che secondo loro sono espressione della
razionalità a priori, come la coerenza, l’eleganza, la semplicità ecc. – non indicative della verità.
Essi aggiungono: “Infatti, i detrattori dell’autonomia della metafisica (ad esempio, Ladyman
2012) hanno argomentato esattamente che, poiché nella metafisica la verità è tutto ciò che conta
(la metafisica non ha applicazioni pratiche), ma le virtù teoriche non sono indicative della
verità, il fatto che i modelli metafisici possono essere valutati solo sulla base delle loro virtù
teoriche va a dimostrare che una metafisica a priori è senza senso (pointless).” 14
Tuttavia essi non riducono l’apriori della metafisica all’uso dei criteri di soddisfacibilità
delle virtù interne delle teorie. Attribuiscono all’apriori in metafisica un ruolo molto più
importante. In questo i due autori sono fortemente debitori della concezione metafisica di Lowe,
secondo la quale: “Altrove, ho difeso l’idea che il compito centrale della metafisica è di
individuare le possibilità dell’essere, al fine di articolare la struttura della realtà nel suo insieme,
al suo livello più fondamentale. [...] Il pensiero chiave qui è che la conoscenza di ciò che è
attuale presuppone e si basa sulla conoscenza di ciò che è possibile – cioè di ciò che è realmente
o metafisicamente possibile – e quindi che ogni scienza empirica richiede una sorta di
fondamento metafisico.”15
12
Paul (2012), p. 22: This is a central part of my thesis: if we accept inference to the best explanation in ordinary reasoning and in
scientific theorizing, we should accept it in metaphysical theorizing.”
13
Morganti & Tahko (2017), pp. 62-63: “Thus, the priority of metaphysical concepts and hypotheses may be granted in terms of
generality, but this says absolutely nothing about the grounds (if any) that we have to assert that certain metaphysical entities or
processes exist (or do not exist) [...]This clearly points to the fact that one must be careful when moving from metaphysical
explanation to ontological commitment. [...] Moreover, it must be made clear what sense of priority/fundamentality is doing the
work—we have just argued that mere conceptual priority won’t do. Lacking all this, a more reductive, or even an eliminativist, view
of metaphysics remains a live possibility—for, clearly, one may argue that, ultimately, seemingly fundamental metaphysical notions
are in fact grounded in squarely scientific ones.”
14
Morganti & Tahko (2017), p. 64:
“Indeed, detractors of the autonomy of metaphysics (e.g., Ladyman 2012) have argued exactly
that, since in metaphysics truth is all that matters (metaphysics has no practical application) but theoretical virtues are not truthconducive, the fact that metaphysical models can only be assessed on the basis of their theoretical virtues goes to show that it is
pointless to do a priori metaphysics.”
15
Lowe, E. J. (2006b), p. 1: “Elsewhere, I have defended the view that the central task of metaphysics is to chart the possibilities of
being, with a view to articulating the structure of reality as a whole, at its most fundamental level. [ ] A key thought here is that
Per questo i nostri due autori propongono la seguente integrazione della concezione della
Paul: “La metafisica è lo studio fondamentale delle possibilità, che ha come obiettivo quello di
arrivare a essenze che non sono accessibili, o comunque identificabili, su base puramente a
posteriori, né puramente a priori (almeno nel caso di oggetti concreti)”16. Ed aggiungono: “In
secondo luogo, non è vero che le virtù teoriche siano tutto ciò che è a disposizione nella scelta
della metafisica migliore. Infatti, almeno in alcuni casi è possibile testare empiricamente le
ipotesi metafisiche, anche se in senso indiretto. Questo può essere fatto usando tali ipotesi
nell’interpretazione delle nostre migliori teorie scientifiche. Questo, a nostro avviso, serve a
migliorare, se necessario, la proposta della Paul (e di altri a cui ci riferiremo più tardi), e più in
generale per gettare le basi per una forma accettabile di moderato naturalismo in metafisica.”17
In conclusione: Morganti e Tahko ritengono che nella scelta della metafisica migliore
abbiano un ruolo tanti fattori, tra i quali sono distintive rispetto alla Paul certe forme di
controllabilità empirica indiretta. Anche l’elemento apriori gioca un ruolo più importante di
quello che gli viene conferito dalla Paul. Essi, infatti, ritengono che l’apriori contribuisca in
modo essenziale a rendere accessibili i contenuti caratterizzanti del pensare metafisico. In
questo Tahko e Morganti concordano con l’autore di Durham, per il quale la metafisica si
differenzia dalla scienza per entrambi gli elementi: soggetto e metodo. Morganti e Tahko
affermano: “Lowe (2008, 2012) dice con precisione che i processi cognitivi rilevanti non sono
basati su intuizioni o esperimenti di pensiero, ma piuttosto sull’accesso diretto e a priori a fatti
essenzialisti che fondano verità modali. Secondo lui, tale conoscenza delle essenze precede la
conoscenza empirica riguardante quali di tali categorie ontologiche sono attuali, cioè “l’essenza
precede l’esistenza” ... In altre parole, Lowe lega strettamente la conoscenza dell’essenza con la
nozione di comprensione. Tutti, pensa Lowe, possono cogliere con successo almeno alcune
essenze e quindi venire a sapere quale tipo di vincoli modali esse impongano alle possibili
categorie ontologiche. Si consideri il caso degli elementi transuranici: molti di essi furono
sintetizzati solo dopo che la loro possibile esistenza fu stabilita attraverso mezzi non empirici.
Con l’aiuto della tavola periodica di Mendeleev, i chimici sono stati in grado di prevedere
l’esistenza di un numero di elementi non ancora scoperti e di fare previsioni molto accurate
sulle loro proprietà. In seguito, siamo stati in grado di sintetizzare questi elementi e verificare
che effettivamente essi avessero le proprietà previste. Lowe (2008, p. 41) avanza l’ipotesi che
questo processo non sarebbe stato possibile senza una conoscenza preliminare delle essenze di
questi elementi transuranici. Anzi, semplicemente la comprensione dell’essenza di un elemento
transuranico di un certo tipo fu sufficiente per definire le categorie pertinenti.”18
I passi citati di Lowe manifestano uno snodo importante della concezione metafisica di
knowledge of what is actual presupposes and rests upon knowledge of what is possible — that is, of what is really or metaphysically
possible — and hence that every empirical science requires some sort of metaphysical foundation.”. Nel punto indicato dalle due
parentesi quadre Lowe inserisce una nota in cui egli rimanda al 1. capitolo della sua opera fondamentale The Possibility of
Metaphysics: Substance, Identity, and Time, Oxford: Clarendon Press, 1998, ed. it a cura di S. Galvan, A. Corradini e C. De Florio,
trad. di C. De Florio, La possibilità della metafisica. Sostanza, Identità e Tempo, Rubbettino ed. 2009.
16
Morganti & Tahko (2017), p. 65: “ [ ] Metaphysics is a fundamental study of possibilities, aiming to arrive at essences which are
not accessible, or at any rate identifiable, on a purely a posteriori basis, nor purely a priori (at least in the case of concrete objects).”
17
Morganti & Tahko (2017), p. 65: “Secondly, it is not the case that theoretical virtues are all there is to metaphysical ‘modelchoice’. For, it is at least in some cases possible to test metaphysical hypotheses empirically, albeit in an indirect sense. This can be
done by applying such hypotheses to the interpretation of our best scientific theories. We take this to improve as needed on Paul’s
proposal (and others we will refer to later), and more generally to provide the basis for a viable form of moderate naturalism about
metaphysics.”
18
Morganti & Tahko (2017), pp. 66-67: “Lowe (2008, 2012) specifies that the relevant epistemic process is not based on intuitions
or thought experiments, but rather on direct a priori access to essentialist facts which ground modal truths. According to him, such
essentialist knowledge precedes empirical knowledge about which ontological categories are actual, that is, ‘essence precedes
existence’..... In other words, Lowe ties knowledge of essence closely with the notion of understanding. Everyone, Lowe thinks, can
successfully grasp at least some essences and hence come to know what kind of modal constraints they impose on possible
ontological categories. Consider the case of the transuranic elements: many of them were only syn-thesised after their possible
existence was determined by non-empirical means. With the help of Mendeleev’s periodic table, chemists have been able to predict
the existence of a number of yet to be discovered elements and to make highly accurate predictions about their properties. Later on,
we were able to synthesise these elements and verify that they indeed had the predicted properties. Lowe (2008, p. 41) proposes that
this process would not have been possible without a prior grasp of the essences of these transuranic elements. But simply
understanding what would qualify as a transuranic element of a certain type was sufficient for defining the relevant categories.” (pp.
66-67)
Morganti e Tahko. Essi assumono l’apriori dell’essenza di Lowe. Tuttavia, accettando una
forma moderata di naturalismo, non si spingono fino in fondo nella direzione indicata da Lowe,
apertamente antinaturalistica. Come si spiega questa riluttanza? La ragione certamente esiste e
non pare facilmente rimovibile se, come fanno i nostri due autori, viene misconosciuta
l’eterogeneità degli oggetti di scienza e metafisica. Se la metafisica ha come oggetto la stessa
realtà che è indagata dalla scienza, non ha molto senso dichiarare che ci sono due forme di
sapere complementari – come afferma Lowe in conseguenza dei metodi radicalmente diversi –
ma, piuttosto, che lo stesso atto di conoscenza ha un aspetto che riflette l’apriorità della
metafisica – in quanto considera la realtà come un possibile attualmente realizzato – e
l’aposteriorità della scienza che verifica l’attualità del possibile attualizzato. In tale senso, allora
scienza e metafisica non sono forme di sapere separate, per quanto complementari – come
afferma Lowe –, ma sono lo stesso sapere ora nella veste metafisica, ora in quella fisica: “In
questa interazione, ripetiamo un’ultima volta, non sorge mai la necessità di una modalità
metafisica presumibilmente irriducibile alla modalità nomologica, né l’opposto bisogno di
ridurre la prima alla seconda. Ciò che è importante è che la metafisica e la fisica (più in
generale, la scienza empirica) sono solo due aspetti distinti del nostro tentativo di scoprire la
struttura della realtà, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo abbia due o un solo insieme
di caratteristiche”19 E, qualche pagina più avanti: “In questo senso, abbiamo suggerito, la
metafisica a priori ha approssimativamente lo stesso livello di indipendenza della matematica
pura, ed è allo stesso modo rilevante per la scienza empirica, nel senso che è in grado di
diventare qualcosa di più di un esercizio puramente astratto nello spazio delle possibilità.”20
2.3 Osservazioni conclusive sui tre modelli
Se a questo punto vogliamo tirare le somme sui modelli presi in considerazione, possiamo dire
che il modello della Paul presenta il suo lato debole nel misconoscimento della peculiarità del
metodo in metafisica. La Paul non nega che la metafisica faccia uso di metodi apriorici, ma
restringe questi all’uso dell’inferenza alla migliore spiegazione, che è ampiamente praticato
nella scienza empirica. Morganti e Tahko, diversamente dalla Paul, riconoscono l’importanza
dell’apriori come componente essenziale del sapere sul mondo, ma non attribuiscono a tale
componente la natura di seconda fonte di conoscenza accanto a quella empirica. Lowe non
impone all’apriori nessun vincolo, di modo che il sapere metafisico, per il filosofo di Durham, è
perfettamente autonomo rispetto a quello scientifico e, appunto per questo, ad esso
complementare. Ciò è possibile, però, solo nel quadro di una concezione della metafisica non
naturalistico.
Nel confronto tra i tre progetti: 1. della metafisica contraddistinta dalla generalità
dell’oggetto, ma senza metodo proprio, della Paul, 2. della metafisica moderatamente
naturalistica di Morganti e Tahko e, infine, 3. della metafisica non naturalistica di Lowe, viene
alla ribalta il nodo cruciale della metafisica analitica. La metafisica analitica è una metafisica
solo naturalistica o è possibile una metafisica non naturalistica? L’idea di metafisica della Paul
non pare naturalistica, per il fatto che l’orizzonte della metafisica è l’oggetto – o realtà – in
generale. È vero che la concezione dell’apriori della Paul è insufficiente, ma ciò è imputabile
alla scarsa considerazione da parte dell’autrice della specificità dei modelli di teoria metafisica
e, di conseguenza, della specificità delle loro virtù interne. Non dipende dal fatto che un apriori
19
Morganti & Tahko (2017), p. 78: “In this interaction, we repeat one last time, at no point does the need for a metaphysical
modality allegedly irreducible to nomological modality arise—nor the opposite need to reduce the former to the latter. What is
important is that metaphysics and physics (more generally, empirical science) are just two distinct aspects of our attempt to discover
the structure of reality—regardless of whether the latter has two or only one set of characteristic features.”
20
Morganti & Tahko (2017), p. 80: “In this sense, we suggested, a priori metaphysics has roughly the same level of
independence as pure mathematics, and is similarly relevant for empirical science, in the sense that it is able to become more than a
purely abstract exercise in possibility space.”
specifico della metafisica non esiste. La concezione di Lowe compensa la debolezza, a livello
di metodo, della concezione della Paul. Per Lowe il metodo della metafisica è chiaramente a
priori e d’altro lato l’oggetto della metafisica comprende la totalità dell’essere possibile, mentre
la scienza riguarda solo l’attuale. Dunque la concezione di Lowe appare chiaramente non
naturalistica. Però, non tutti i metafisici analitici accettano l’apriori di Lowe. Anche Morganti e
Tahko non lo accettano nella forma genuina nella quale è pensato da Lowe. Il prossimo
paragrafo è dedicato proprio all’approfondimento del dibattito sulla metafisica e il naturalismo.
3. Il quarto modello di J. Ladymann e D. Ross e il dibattito sulla metafisica analitica non
naturalistica
La pubblicazione nel 2007 del libro di Ladymann & Ross Must Go: Metaphysics Naturalized
diede inizio ad un acceso dibattito sulla natura della metafisica analitica. Nel libro viene
proposto – e difeso con vigore – il quarto modello secondo la tassonomia di Morganti e Tahko,
secondo il quale metafisica e scienza si sovrappongono per metodo ed anche per oggetto. La
posizione di Ladymann e Ross è molto importante non solo per l’idea di metafisica naturalistica
che essa contiene, ma anche per la ragione di principio che l’idea di metafisica difesa è
esclusiva: una metafisica analitica non può essere altro che naturalizzata.
La tesi di Ladymann e Ross è bene sintetizzata in queste loro parole: “Con [metafisica
naturalistica] intendiamo una metafisica motivata esclusivamente dai tentativi di unificare
ipotesi e teorie prese sul serio dalla scienza contemporanea. Per ragioni che spiegheremo,
riteniamo che nessun tipo alternativo di metafisica possa essere considerato una parte legittima
del nostro tentativo collettivo di modellare la struttura della realtà oggettiva”.21
Per quanto riguarda la questione di fondo non si può essere certamente più chiari. Vale
tuttavia la pena di approfondire il discorso, per capirne le ragioni e valutarle. A questo scopo
vogliamo tener conto di tre articoli usciti recentemente che discutono la tesi di Ladymann &
Ross: 1. Maclaurin & Dyke (2012); 2. McLeod & Parsons (2013); Dyke & Maclaurin (2013).
Il primo articolo si propone di chiarire la ragione per cui Ladymann e Ross attribuiscono la
dignità di sapere solo alla metafisica naturalizzata. Dyke e Maclaurin affermano, innanzitututto,
con forza che la metafisica è una teoria filosofica (e per questo non scientifica) che fa delle
affermazioni ontologiche (e per questo non puramente concettuali) – che hanno la pretesa di
essere vere – sul mondo. Sotto questa nozione di metafisica cade naturalmente la concezione di
metafisica naturalizzata di Ladyman e Ross, ma Dyke e Maclaurin – contrariamente ai primi –
partono da una concezione ampia di metafisica, per cui sono obbligati a dare una
caratterizzazione precisa di quelle che sono metafisiche non naturalistiche. La distinzione,
secondo Dyke e Maclaurin, sta nel fatto che le teorie metafisiche non naturalistiche non hanno
delle conseguenze empiriche osservabili: “La metafisica è una teoria filosofica (al contrario di
una teoria scientifica) che fa affermazioni ontologiche (al contrario di quelle concettuali). La
metafisica può, ovviamente, essere basata su risultati scientifici. Seguiamo L&R e chiamiamo
tale metafisica ‘metafisica naturalistica’. A differenza di L&R, chiamiamo metafisica non
naturalistica ogni teoria ontologica che non sia trattabile in modo empirico. Di conseguenza, per
noi una metafisica non naturalistica è ‘qualsiasi teoria filosofica che fa affermazioni ontologiche
(in opposizione a concettuali) che, in linea di principio, non ha conseguenze osservabili’ ”22.
21
Ladymann & Ross (2007), p. 1: “By [naturalistic metaphysics] we mean a metaphysics that is motivated exclusively by
attempts to unify hypotheses and theories that are taken seriously by contemporary science. For reasons to be explained, we take the
view that no alternative kind of metaphysics can be regarded as a legitimate part of our collective attempt to model the structure of
objective reality.”
22
Maclaurin & Dyke (2012), p. 292: “Metaphysics is any philosophical (as opposed to scientific) theory that makes some
ontological (as opposed to conceptual) claim. Metaphysics can, of course, be premised on scientific results. We follow L&R and call
such metaphysics ‘naturalistic metaphysics’. Unlike L&R, we call any ontological theory that is not empirically tractable ‘nonnaturalistic metaphysics’. Consequently, our definition of non-naturalistic metaphysics is ‘any philosophical theory that makes some
ontological (as opposed to conceptual) claim which, in principle, has no observable consequences’ ”
Essi arrivano a questa conclusione perchè non condividono fino in fondo il principio di
chiusura naturalistica (PCN), che secondo Ladymann & Ross mette fuori gioco la metafisica
non naturalistica 23. Per quanto il PNC possa essere considerato importante nell’escludere la
metafisica non naturalistica, i nostri autori sono critici nei confronti di esso e non lo considerano
decisivo.24 Essi tuttavia ritengono che esista una ragione alternativa per giustificare la stessa
drastica conclusione. Essi pensano che tale ragione decisiva consista nel fatto che le tesi
metafische non naturalistiche non hanno alcun impatto con la nostra esperienza. Che esse siano
vere o che esse siano false non ha alcuna conseguenza sulla nostra esperienza. Essi, ad esempio,
dichiarano che non fa alcuna differenza per la scienza quale delle teorie metafisiche sulla natura
delle proprietà (universali o tropi) o sui mondi possibili sia vera. Anche la nozione di causa è
usata dagli scienziati ma non è importante per la scienza quale teoria della causa sia vera.
Naturalmente Dyke e Maclaurin riconoscono che noi siamo interessati a una vasta gamma
di entità la cui esistenza non è controllabile. Ad esempio agli enti matematici, a certe entità
ipotizzate all’interno della fisica quantistica e così via. In secondo luogo, essi sono consapevoli
che occorre distinguere tra entità che non sono effettivamente controllabile (untestable) e altre
che sono empiricamente non rilevabili (undetectable). In ogni caso l’esistenza di tali entità non
può avere effetti sul mondo in modo analogo in cui lo hanno enti concreti come gli elettroni, gli
animali o le macchine.
In sintesi, per Dyke e Maclaurin, la metafisica non naturalista non ha valore cognitivo
perchè non interferisce con la nostra esperienza, come accade, invece, per la scienza, la
matematica o la logica. 25
All’articolo di Dyke e Maclaurin risponde un anno dopo McLeod and Parsons (2013). Gli
autori della replica, in modo molto puntuale, mostrano che la critica alla metafisica non
naturalista fondata sulla sua indifferenza rispetto alla nostra esperienza è attaccabile nello stesso
modo in cui si può attaccare la critica alla metafisica di Ayer. Con questa critica entriamo nel
vivo della problematica che ci interessa. La metafisica non naturalista è legittimata o meno
come impresa conoscitiva? È l’argomento dell’ultimo capitolo. Nel corso di questo cercheremo
di rispondere alle critiche che vengono mosse al carattere conoscitivo della metafisica.
4. La possibilità della metafisica non naturalista
Perchè autori analitici come Dyke e Maclaurin pongono il veto alla metafisica non naturalista?
Si noti innanzitutto che gli autori analitici citati non contestano la sensatezza delle tesi
metafisiche. Le tesi metafisiche intese quali asserti che si pronunciano con pretesa di verità su
aspetti strutturali – ultimi – della realtà non sono esclusi dal novero delle tesi sensate.
L’attendibilità epistemica del punto di vista metafisico – punto di vista sulla realtà ultima,
dunque sulla realtà nella sua massima latitudine – non è da loro messa in discussione. La critica
alla metafisica non nasce dal rifiuto carnapiano della stessa possibilità di cogliere la realtà in sè.
Come è noto, secondo Carnap, nessuna asserzione può essere fatta al di fuori di un determinato
contesto linguistico. Ciò implica che nessuna asserzione può essere fatta sulla cosa in sè, dal
momento che il linguaggio di cui noi dobbiamo necessariamente fare uso ci consente di
cogliere la realtà solo come appare – attraverso, per l’appunto, il linguaggio – e dunque non in
sè. Le affermazioni che pretendono di dire come stanno le cose sono dunque, per Carnap,
pseudo asserzioni. Ma la metafisica avanza tale pretesa nei confronti della realtà ultima in sè,
23
Secondo il principio di chiusura naturalistica nessuna ipotesi che la scienza dichiara al di là della nostra capacità di indagine deve
essere presa sul serio. Ad esempio non può essere considerata una ipotesi metafisica seria una proposizione dichiarante che il Big
Bang ha una causa. Inoltre ogni principio metafisico serio dovrebbe fornire qualche preciso indizio sulla relazione tra ipotesi
specifiche che siano state confermate dalla scienza o motivate da essa. Tra le tesi metafisiche che non soddisfano questo requisito ci
sono la tesi di filosofia della mente sull’esistenza possibile degli zombies, la tesi sulla possibilità della inversione dei qualia (Qualia
inversion thought experiments) e simili.
24
Vedi le osservazioni critiche in Maclaurin & Dyke (2012), p. 298.
25
Per approfondimenti si veda Maclaurin & Dyke (2012), p. 300.
dunque è una pseudo scienza. Perchè invece le teorie scientifiche sono scienze reali? Per
Carnap la risposta è immediata, perchè loro non si occupano della realtà in sè ma della realtà
ritagliata dal filtro del linguaggio. Questa ovviamente non è la sede per discutere il punto di
vista carnapiano. Si è richiamata la tesi del più importante filosofo del circolo di Vienna solo
per sottolineare la differenza tra il suo punto di vista, contrario alla metafisica in quanto tale, e
quello che caratterizza il dibattito contemporaneo, in cui la discussione è principalmente
incentrata sulla contrapposizione tra metafisica naturalistica e metafisica non naturalistica e non
pone in questione il tema della sua sensatezza in generale 26.
Dunque perchè non la metafisica non naturalista? La ragione addotta da Dyke e Maclaurin è
che gli asserti metafisici non sono controllabili empiricamente, ovvero non ci sono conseguenze
della teoria che abbiano un un impatto empirico. Come più volte da loro ripetuto, il fatto che la
verità o meno di una tesi metafisica non interferisca sulla descrizione dei dati di esperienza,
condanna quella tesi a non avere un peso conoscitivo. Ma è proprio vero che le cose stanno
così? Risponderemo a tale interrogativo in modo critico, cercando di difendere, in primo luogo,
la tesi opposta a quella di Dyke e Maclaurin e, in secondo, presentando alcune problematiche
reali su cui solo una metafisica non naturalista ha diritto di parola.
4.1 Difesa della metafisica non naturalista
Se è vero che la metafisica riguarda il possibile, mentre l’esperienza riguarda l’attuale, non ha
molto senso criticare la metafisica per il fatto di non avere impatto empirico. In altre parole, nel
valutare il valore delle teorie metafisiche occorre tener conto seriamente della natura modale
delle proposizioni metafisiche. L’autore analitico che maggiormente ha insistito su questa
caratteristica del linguaggio metafisico è stato Lowe, per il quale la metafisica riguarda la realtà
nella sua massima estensione e per questo comprende accanto alla dimensione dell’attuale
anche la dimensione del possibile. Ora l’esperienza osservativa è sempre esperienza di ciò che si
dà all’osservatore qui ed ora, ovvero di ciò che è dato attualmente ad esso. Di conseguenza non
sempre ci si può aspettare che il sapere metafisico abbia un impatto sul dato attuale empirico.
Chiaramente, su questo terreno, noi siamo vicini alla concezione di Lowe, che a sua volta è
molto vicina alla tradizione classica. Come per Lowe, anche per noi il debito da pagare nei
confronti della componente apriori della nostra conoscenza è piuttosto alto. Se alla nostra
conoscenza non fosse concesso di accedere alla struttura modale del reale in modo tale da
cogliere anche la dimensione del possibile, il sapere metafisico non avrebbe fonte a cui
abbeverarsi. Questa fonte – vale la pena ripeterlo – non può essere l’evidenza empirica, dal
momento che l’esperienza ci dice solo ciò che è attuale. Deve trattarsi di una evidenza di tipo
diverso, della evidenza – cioè – con cui cogliamo il nesso tra alcuni aspetti essenziali delle
cose, della evidenza, quindi, che si fonda sull’intuizione eidetica – cioè intellettiva, a priori, e
non empirica – di alcune proprietà delle cose. Naturalmente il fatto che si dia intuizione eidetica
non comporeta l’incorreggibilità dei contenuti appresi. Il sapere che si raggiunge non è un
sapere infallibile. Analogamente a come l’esperienza sensibile ci può ingannare anche
l’intuizione eidetica è soggetta ad errori. Non si tratta dunque di un sapere incorreggibile, come
lo immaginavano i razionalisti, ma di un sapere soggetto a revisione. In ogni caso,
l’accettazione del sapere metafisico richiede un forte impegno nel riconoscere il ruolo che la
componente apriorica gioca nella conoscenza. Data e concessa la necessità dell’apriori per fare
metafisica, ci sembra tuttavia utile sottolineare che ci possono essere legittime differenze nel
determinare l’ambito dell’apriori. In questo, la nostra posizione non si sovrappone a quella di
Lowe. È più debole. Cerchiamo di precisare il nostro discorso.
Nella four-category ontology, l’autore di Durham afferma che attraverso l’intuizione
metafisica noi possiamo afferrare l’essenza di certi kinds naturali, mentre la loro istanziazione
viene testata in un secondo tempo dalla scienza empirica. Il rapporto complementare tra
26
Questa problematica è acutamente trattata nella tesi di Rasmus Jaksland dal titolo The Possibility of Naturalized Metaphysics. A
critical account of the construction of a naturalized metaphysics, University of Copenhagen 2016.
possibile, da una parte, e attuale, dall’altra, si riflette nel rapporto tra il sapere metafisico
dell’essenza, da una parte, e il sapere empirico, dall’altra. Si pensi all’esempio, citato da Lowe,
degli elementi transuranici. Con l’aiuto della tavola periodica di Mendeleev, i chimici sono stati
in grado di prevedere l’esistenza di un numero di elementi non ancora scoperti e di fare
previsioni molto accurate sulle loro proprietà. In seguito, sono stati in grado di sintetizzare
questi elementi e verificare che effettivamente essi avevano le proprietà previste.27 La scoperta
di questi elementi non sarebbe stata possibile, secondo Lowe, senza una preliminare intuizione,
ancorchè parziale, delle essenze di questi elementi. A questa ricostruzione del processo di
scoperta degli elementi transuranici attraverso la convergenza dell’apriori metafisico con
l’aposteriori scientifico, è legittimo obiettare che molto di ciò che Lowe attribuisce alla
metafisica – in particolare l’individuazione dei kinds degli elementi chimici – è di normale
pertinenza della scienza empirica. La parte del processo imputata alla metafisica altro non è che
il processo di ideazione dell’ipotesi teorica che viene prima della conferma, processo che non
prescinde dall’esperienza, anzi è da esso supportato. Nell’esempio, l’ideazione degli elementi
transuranici avviene a partire dalla conoscenza della struttura della tavola di Mendeleev
(struttura determinata da precisi rapporti tra numero atomico e numero di elettroni presenti negli
orbitali elettronici caratterizzanti gli elementi) la quale è il frutto di una sistemazione di fatti
empirici.
La considerazione appena svolta certamente relativizza l’importanza dell’apriori, ma non lo
riduce del tutto. Rimane un nucleo di apriori che si rivela inespungibile. Quale apriori e perchè
inespungibile? Chiaramente non può trattarsi di apriori puramente analitico. L’apriori
puramente analitico è, infatti, non informativo, è una pura costruzione sintattica che attende
d’essere interpretata. Una volta interpretata le sue formule sono vere o false. È per così dire un
modello vuoto (come potrebbe essere la struttura delle cose) che attende di essere testato.
L’apriori alla base della metafisica non può essere di questo tipo. Deve essere di tipo
informativo, pena il fallimento di ogni impresa metafisica. Ora, perchè tale apriori è al limite
inespungibile? È inespungibile perchè non tutto il nostro sapere è empirico. Esso riguarda gli
aspetti generalissimi dei contenuti di conoscenza, gli aspetti strutturali di questi che si riflettono
nelle caratteristiche meteoriche generali della teorizzazione conoscitiva. Illustriamo tre ragioni
per questo. La prima è una ragione metateorica, le altre due sono ragioni teoriche.
1. Ragione metateorica
Una forma di conoscenza non empirica non solo è possibile, ma è necessaria, nel senso che
è una condizione di possibilità della stessa conoscenza empirica. Se e come possiamo conoscere
empiricamente non lo sappiamo dall’esperienza. È noto, come conseguenza dei teoremi di
Gödel, che la correttezza di una qualsiasi teoria non può essere derivata entro la teoria stessa.
Una teoria cioè non è capace di mostrare che i suoi risultati sono veri. Lo si può fare,
eventualmente, in una teoria più potente – ossia in una sua estensione non conservativa. Ciò
significa che il sapere, per essere giustificato, rinvia a presupposti o assunzioni esterne. Ma
questa caratteristica è strutturale, per cui appartiene anche a quel sapere circoscritto che è il
sapere empirico nella sua generalità. Che tale forma di sapere sia un effettivo conoscere non si
può mostrare usando procedure che appartengono allo stesso ordine di sapere. Occorre
appellarsi a procedure o assunzioni la cui correttezza o verità siano accettate in modo autonomo.
Che, poi, la correttezza delle procedure o la verità delle assunzioni siano accettate in modo
autonomo dall’esperienza può significare o che la correttezza è semplicemente assunta, senza
ragioni teoretiche – e dunque arbitrariamente –, o in base a ragioni che la giustificano.
Escludendo la decisione arbitraria, rimane la seconda possibilità. Ma, allora queste ragioni
27
Vedi Lowe (2008), p. 41.
richiedono una forma di conoscenza non riducibile alla conoscenza empirica. 28
2. Prima ragione teorica: nozione di oggetto in generale, ovvero di totalità.
È un fatto che noi afferriamo il concetto di totalità in sè, altrimenti non avrebbe senso la
domanda se il tutto sia costituito dal tutto empirico. Ma se questo è vero, l’origine di questa
nozione non può essere l’esperienza. Come potrebbe esserlo, infatti? Dovremmo poter cogliere
negli oggetti empirici dei tratti che ci consentano di dire che gli oggetti empirici sono tutti gli
oggetti. Ma non pare che tratti di questo tipo ci siano. Quando intendiamo rispondere a
domande del tipo: ‘Questo elemento è l’ultimo della serie che vogliamo contare?’, ‘Ci sono altri
elementi oltre a questi?’, ‘Questo insieme è comprensivo di tutti gli elementi?’, non diamo la
risposta esibendo delle caratteristiche specifiche degli oggetti. Non è che si dica: come vedo che
l’oggetto A è rosso, così vedo che A è l’ultimo. Affermare che di oggetti A, oltre a quelli
presenti, non ce ne sono più e, dunque, che l’insieme dei presenti è l’insieme di tutti gli A,
significa avere un concetto di oggetto A che può estendersi oltre agli oggetti presenti e, dunque,
semanticamente indipendente da questo. Non è possibile altrimenti rispondere. Nel nostro caso,
dire che tutti gli oggetti possibili sono quelli esperibili, significa avere il concetto di oggetto
possibile semanticamente autonomo da quello di oggetto esperibile, altrimenti l’affermazione
che gli oggetti possibili coincidono con quelli esperibili sarebbe una patente tautologia.
Dunque, la nozione di totalità in sè non può provenire da quella di totalità empirica. Anche la
sola domanda se l’orizzonte empirico possa essere trasceso non può venire dall’esperienza.
Devo avere previamente l’idea del tutto come qualcosa di semanticamente indipendente dal
tutto di cui abbiamo esperienza.
Il concetto di tutto richiama quello di oggetto in generale. Parlare di oggetto in generale
significa porsi dal punto di vista dell’intero. Un oggetto in generale è un oggetto qualificato solo
in base alle caratteristiche che un oggetto avrebbe in un qualsisi mondo possibile. Si noti che la
nozione di oggetto in generale coinvolge quella di oggetto possibile e non soltanto quella di
oggetto. Gli oggetti esistenti potrebbero essere anche solo oggetti fisici. E solo fisici potrebbero
essere gli oggetti possibili compatibilmente con le leggi fisiche e le condizioni iniziali sempre
fisiche. Le qualità di tali oggetti sarebbero, naturalmente, qualità in senso lato fisiche.
Ciononostante la nozione d’oggetto generale non avrebbe tra le sue note caratteristiche quella
d’essere in senso lato un oggetto fisico. Un oggetto in generale è un oggetto possibile in tutti i
mondi possibili, compresi quelli che non sono realmente possibili. Solo tenendo ferma
l’autonomia semantica tra oggetto in generale e oggetto di un certo tipo – per esempio di tipo
fisico – ha senso una affermazione come ‘tutti gli oggetti realmente possibili sono fisici’.
Altrimenti l’affermazione sarebbe un vuota tautologia.
Ma non tutti i filosofi sono convinti che abbia senso parlare del tutto e quindi di oggetto in
generale. Nell’ambito della ontologia ontologia è nota la contrapposizione tra le ontologie di
tipo realista e quelle di tipo costruttivista. Una ontologia realista concepisce la totalità degli
oggetti come data. Una ontologia costruttivista concepisce gli oggetti come costruibili, per cui,
nella prospettiva costruttivista, non ha senso parlare di totalità compiuta degli oggetti costruibili.
Questa semplice argomentazione ha portato alcuni studiosi, inclini ad una visione costruttivista
della realtà, a negare che sia sensato parlare del tutto e dunque dell’intero. La realtà è – per così
dire – aperta, indeterminata, mentre il tutto è determinato, per cui la nozione di tutto è bandita
dalle ontologie costruttiviste. Qualche studioso ha rincarato la dose affermando che la nozione
di totalità è comunque contraddittoria. La prova sta nelle famose antinomie insiemistiche come,
ad esempio, l’antinomia di Cantor secondo la quale la totalità di tutti gli insiemi è
28
Il fenomeno della incompletezza delle teorie e del rinvio che tale fenomeno innesca nel processo di fondazione delle stesse è
largamente studiato nella letteratura logica e metalogica contemporanea. Si vedano, ad esempio, Franzen (2004), Franzen (2005,
Galvan (1992). Galvan (2010a), Galvan (2010b).
contraddittoria: supponiamo infatti che l’insieme di tutti gli insiemi esista; allora esso dovrebbe
contenere se stesso come insieme, ma ciò è impossibile perchè, un elemento di un insieme non
può essere l’insieme stesso. Ad entrambe le obiezioni si può tuttavia resistere. Innanzitutto
l’obiezione insiemistica è facilmente superabile, dal momento che la realtà, come tutto, non è
l’insieme di tutti gli insiemi: la realtà è, eventualmente, la totalità di tutti gli oggetti, e questo
non è un concetto contraddittorio. Per quanto riguarda l’obiezione costruttivista, il fatto che la
realtà sia in fase di sviluppo non implica che sia insensato parlare di realtà come tutto. Il tutto è
la realtà in fieri, è la realtà che ha da venire, è la realtà come base attuale di possibilità in
sviluppo. Il fatto che la realtà così concepita non sia determinata nella sua dimensione
potenziale, non significa che sia indeterminato il tutto. Il tutto è la realtà in sviluppo.
L’ontologia matematica è particolarmente sensibile alla dialettica costruttivismo/realismo. E
la ragione è molto semplice. L’ontologia matematica ha a che fare con oggetti astratti, che per i
costruttivisti sono il risultato di costruzioni mentali: essi sono dei pensati e proprio per questo
non possono essere ritenuti degli oggetti esistenti a prescidere dalla nostra attività costruttiva (o
quella di un matematico ideale). È scontato, pertanto, che secondo questa prospettiva non abbia
molto senso parlare di totalità in atto di oggetti costruibili, con tutte le conseguenze che questo
viene ad avere per quanto concerne la logica da usare per modellare universi oggettuali in
potenza. Chi ha una sufficiente conoscenza della letteratura filosofica idealistica (e prima ancora
kantiana) sa benissimo, però, che parlare di indeterminatezza dell’oggetto di pensiero non
significa escludere la possibilità di parlare della realtà del pensiero – dell’ io trascendentale –
come un tutto. Naturalmente il pensiero come tutto non è un oggetto indeterminato, anche se è
pensiero di astratti indeterminati.
In conclusione non ci sono preclusioni a parlare di punto di vista dell’intero e, di
conseguenza, dell’oggetto in generale. D’altra parte la nozione di tutto e quindi quella di
oggetto in generale non può venire dall’esperienza. Di conseguenza entrambi le nozioni sono
apriori.
3. Seconda ragione teorica: il sapere logico-matematico è a priori
Il sapere empirico è intessuto di sapere logico-matematico. Ora qual è il fondamento su cui
poggia il sapere logico-matematico? Lo sviluppo dell’epistemologia matematica analitica ha
mostrato la irrealizzabilità di quei programmi – in primis quello formalistico di Hilbert – che si
propongono di fondare la matematica su metodi che fanno esclusivamente uso di forme finitiste
di evidenza. In questa sede, non possiamo entrare nel dettaglio di questi risultati, ma ci sia
permesso di trarre da essi le implicanze filosofiche più rilevanti. Che cosa siano le evidenze
finitiste non è facile chiarirlo senza entrare nel merito di una loro rigorosa trattazione formale,
ma non si rischia di allontanarsi troppo dal vero se si dice che esse riguardano le proprietà/
relazioni di combinazioni di oggetti concreti costruiti secondo principi costruttivi di tipo
intuitivo. L’aspetto intuitivo è qui da intendere nel senso originario di Kant – che a sua volta si
riallaccia al concetto stotista e occamista di notitia intuitiva – secondo il quale l’intuizione non
esce dall’ambito della sensibilità empirica, con la sola variante che per i formalisti del XX
secolo l’intuizione riguarda una porzione molto ristretta di combizioni di oggetti concreti, quelle
descrivibili attraverso il linguaggio di un frammento dell’aritmetica elementare. Già queste
poche righe dovrebbero consentire al lettore di capire che l’intuizione così intesa non può
essere che una particolare forma di evidenza empirica, per quanto il concetto di oggetto
concreto possa essere idealizzato. A conferma di questa radice empirica dell’intuizione sta
anche il fatto che l’intuizione è per Kant, così come la notitia intuitiva per Scoto e Occam, la
facoltà conoscitiva che ci informa sull’esistenza e che, dunque, trae origine dall’esperienza: solo
l’esperienza ci può dire in modo immediato se qualcosa esiste, mentre che cosa può esistere è
frutto d’evidenza intellettiva (i medievali parlavano di notitia abstractiva). Tirando le somme,
il fallimento dei programmi formalisti radicali ha come conseguenza la necessità di ricorrere, se
non si vuole cadere in un pragmatismo arbitrario, a forme di evidenza astratta non riconducibili
all’esperienza. 29
Si dirà che il formalismo non è stato l’unico programma in gioco nella ricerca di una
fondazione della matematica. Sulla scena è rimasto a lungo – e rimane ancora in una forma
rinnovata – il programma logicista di Frege. Ma il logicismo è una forma di platonismo, ovvero
una concezione impegnata nell’affermare gli oggetti matematici quali enti astratti esistenti in se
ante res e a cui abbiamo accesso diretto in modo indipendente dall’esperienza. Il rifiuto
dell’esperienza come unica forma di conoscenza è dunque esplicito. In effetti, il platonismo è
stato fortemente osteggiato, proprio a causa del suo forte impegno ontologico e conoscitivo.
Una via alternativa alla fondazione logicista della matematica, che al contempo ha fatto
tesoro degli sviluppi della logica, è stata la visione neoempirista delle verità matematiche come
verità analitiche. Le verità matematiche, come le verità logiche, sono verità in virtù del
significato dei segni logici o matematici che occorrono in esse; sono cioè tali in virtù delle
regole semantiche che presiedono all’uso di quei simboli. Per esempio, la verità del principio di
non contraddizione è stabilito dalle regole che presiedono all’uso dei dei connettivi della
negazione e della congiunzione. Bisogna però fare attenzione: per i neoempiristi – per Carnap
prima di tutti – il significato dei segni non corrisponde ad un loro presupposto significato
extralinguistico. Esso è definito dalle regole, è da esse creato, è cioè codificato nella sintassi
delle teorie logiche o matematiche, le quali, a loro volta, servono come linguaggi nella
costruzione delle teorie empiriche. In definitiva, dunque, la verità delle leggi logiche o
matematiche segue la stessa sorte delle teorie empiriche di cui fanno parte e non dipende dal
fatto che esse descrivano aspetti strutturali della realtà più ampi e generali di quelli empirici.
Ora anche questa concezione linguistica della logica e della matematica non ha retto alla prova
dei risultati metatamatematici. Essa non ha retto perchè – per quanto si parli di regole
semantiche – è una visione sintatticista del significato e i teoremi di Gödel, come hanno segnato
la fine del formalismo hilbertiano, così hanno sancito la non riducibilità della semantica alla
sintassi. 30 Da non dimenticare, infine, sono certamenti i programmi costruttivisti, in primis
l’intuizionismo. Ma con il costruttivismo postgödeliano, nelle sue varie espressioni, si sfonda
una porta già aperta. Il costruttivismo si caratterizza per forme di evidenza dell’astratto non
riconducibili all’esperienza.31
4.2
Teorie
metafisiche
come
modelli
della
struttura
ultima
della
realtà.
Una volta stabilito che anche la metafisica non naturalista presenta le carte in regola per
essere considerata un sapere con pari diritto della metafisica naturalista, un reale confronto tra
metafisiche di tipo diverso non è possibile se non si tiene conto di ciò che esse in concreto
affermano sulla struttura della realtà. Ma le teorie metafisiche presentano tutte,
indistintamente, un tratto comune. Tutte forniscono un modello dell’intera realtà e questo le
rende confrontabili e valutabili. Perchè ciò avvenga – cioè perchè siano un modello del reale –
devono, però, soddisfare alcuni requisiti di adeguatezza logica. Esse devono essere espresse in
un linguaggio rigoroso capace di riferirsi alla totalità degli oggetti, siano essi esistenti o
possibili, empirici o metempirici. Devono inoltre essere capaci di organizzare il sapere circa
29
Emblematico è, per esempio, il fatto che il finitismo non possa essere giustificato da evidenze puramente finitiste. Infatti,
affermare la tesi di Tait, secondo la quale le evidenze finitiste sono catturabili dal sistema dell’aritmetica ricorsiva primitiva PRA,
insieme con la tesi che le evidenze finitiste siano assolutamente affidabili (corrette) richiede una forma d’evidenza astratta, non
finitista, in quanto l’unione di queste due tesi implica la consistenza di PRA. La dimostrazione si sviluppa nel modo seguente, ove il
simbolo EF indica l’evidenza finitista. Sia per assurdo PRA- |– ⊥ . Allora per la tesi di Tait si ha EF ⊥. D’altra parte le evidenze
finitiste sono assolutamente affidabili, cioè EF ⊥ → ⊥. Pertanto per modus ponens si ha ⊥ e per refutazione PRA- ! ⊥ , cioè la
consistenza di PRA.
30
Vedi Gödel (1953/59- III e V), ove l’autore sviluppa una critica rigorosa e puntuale della concezione linguistica della matematica
difesa dai neopositivisti e in particolare da Carnap.
31
Si veda sempre Gödel (1953/59- III e V) e anche Gödel (1951).
tali oggetti eplicitando i principi che ne regolano le proprietà, la composizione, le strutture
relazionali, l’esistenza e il divenire. A tal fine le teorie metafisiche devono essere formulate –
implicitamente o esplicitamente – in un sistema di logica modale dei predicati con predicato
d’esistenza. Le modalità sono essenziali, perchè la metafisica si riferisce ad oggetti non solo
attuali, ma anche possibili. È essenziale inoltre il predicato d’esistenza perchè senza di esso è
impossibile rendere conto della distinzione tra oggetti attuali ed oggetti possibili e trattare in
modo adeguato il tema del divenire. La generalità degli oggetti è garantita dalla possibilità di
determinare le categorie generali degli oggetti (e delle loro proprietà) e di studiare
formalmente le relazioni che intercorrono tra proprietà e loro istanze. La semantica dei mondi
possibili è infine uno strumento formale molto utile per inquadrare in un sistema unitario le
molteplici nozioni metafisiche menzionate. 32Essa, tra le altre cose, consente di trattare in
modo rigoroso la nozione di essenza di un oggetto – e dunque di predicazione essenziale – e di
definire le caratteristiche proprie della predicazione essenziale da quella esistenziale. Il
capitolo riguardante il rapporto tra essenza ed esistenza è molto importante in quanto al suo
interno si può sviluppare una precisa teoria delle proprietà modali caratterizzanti gli enti dotati
di esistenza. Ad esempio è un teorema fondamentale di tale teoria il fatto che un ente
necessario è da concepire come atto puro: in un ente necessario non esiste divenire perchè tutte
le potenzialità in esso insite sono attuali.33 L’interesse di una teoria metafisica costruita entro il
perimetro di un linguaggio strutturato formalmente (cioè provvisto di una sua sintassi e
semantica) è dato, tra il resto, dal fatto che, come tutte le teorie formali, essa non può ambire
ad essere una teoria che copre la totalità delle proposizioni metafisiche, il che sancisce quanto
la tradizione metafisica neoclassica ripete da sempre, che la metafisica è la dottrina dell’essere
dal punto di vista dell’intero, ma non è la dottrina che ci dice tutto quello che è vero
dell’intero, ci dice – o è impegnata a dirci – solo gli aspetti strutturali dell’intero.34 Ma la
trattazione formale della metafisica mette in luce un ulteriore vantaggio. Una teoria metafisica,
come tutte le teorie formali, ammette una molteplicità di modelli, proprio per il fatto che non
può caratterizzare in modo completo l’orizzonte metafisico. È cioè una teoria strutturalmente
incompleta, anche se quello che dice lo dice con la pretesa che sia vero. Ciò implica che i
modelli diversi ammessi dalla teoria rappresentino forme distinte di metafisiche concrete. Ad
esempio, Kant intende la nozione di possibilità in modo profondamente diverso da quello di
Leibniz e della tradizione tardo-scolastica. Ora, tale diversità concettuale è modellabile entro la
teoria, perchè basta introdurre o togliere la condizione di saturazione esistenziale dei possibili
(per ogni possibile esiste un mondo in cui tale possibile esiste) per avere un modello di
metafisica leibniziana o, al contrario, un modello di metafisica kantiana. Nel primo di questi la
possibilità è intesa come possibilità analitica, nel secondo la possibilità è intesa come
possibilità reale.
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32
Vedi Galvan S. (2012). In questo contributo i sistemi PE e PEL corrispondono rispettivamente al modello kantiano e a quello
leibniziano. Il modello di PE è allargabile al “frame” ontologico delle “pure perfezioni” che Gödel intoduce nella sua prova
ontologica.
33
Questa tematica è tratta in Galvan S. e Giordani A. , “A Classical Logic of Existence and Essence”, in corso di pubblicazione.
34
È emblematica l’espressione di Bontadini sulla “brevità” del discorso metafisico.
Franzen T., Inexhaustibility: A Non-Exhaustive Treatment. Wellesley Massachussets A.K.
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