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Riflessioni sul rapporto fra persona e diritto
di Pasquale Viola
Il compito non è tanto di vedere
ciò che nessun altro ha ancora visto;
ma pensare ciò che nessun altro ha ancora pensato
riguardo a quello che chiunque vede
Erwin Schrödinger
Scrivere della persona, avendone ben chiara l’impossibilità di definizione e
l’incapacità di contenimento per opera di qualsiasi struttura, è cosa non
semplice che tende a perdersi nelle speculazioni. La persona intesa come
singolarità sussistente, pur essendo individuabile materialmente, mal si
concilia con le ricostruzioni che intendono racchiuderla in mere definizioni. Ma da un punto bisogna partire: la persona, nel suo non poter essere descritta, classificata o definita in modo esaustivo impone, allo stesso
tempo, un percorso di approssimazione nel tentativo di descriverla, classificarla e definirla, senza cedere alle intuizioni logiche che si arresterebbero
dinanzi al continuo paradosso che ne nutre il significato. E se di struttura
paradossale si parla, non si può non fare riferimento al pensiero personalista di Giuseppe Limone, il quale approda a risultati – come scrive Virgilio
Melchiorre – «amabilmente paradossali. Si potrebbe dire che l’aspetto inatteso e appunto paradossale dell’idea “persona”, si offra come una salutare
provocazione e, alla fine, come un’alternativa di verità rispetto al sotteso
nichilismo delle nostre stagioni»1. Si badi: il pensiero personalista non è un
mero arroccarsi dietro posizioni individualiste imperniate sulla singolarità
e pseudo-unicità da queste derivanti, ma un nuovo modo di porsi al cospetto dell’essenza della persona, che è cosa ben diversa dall’indagare la sua
falsa e incompleta copia materica conosciuta come individuo.
L’individuo è «la materia che sa scimmiottare lo spirito»2, egli non è
altro che il centro gravitazionale di tutte le pulsioni terrene che portano
le comunità a ritenere attuabile una possibile oggettivazione della persona
nei ranghi del diritto positivo. In una logica relazionale, l’individuo è l’egoismo impersonale che porta ad allontanare l’io dal tu ed è, al tempo stes1
Virgilio Melchiorre, Essere persona. Natura e struttura, Fondazione Achille e Giulia Boroli,
Milano 2007, p. 130.
2
Emmanuel Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, Ecumenica, Bari 1984, p. 75.
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so, una rappresentazione imprecisa, mutevole, fungibile, seriale, dispersa
dei tanti possibili me stesso che vivono contestualmente in potenza nella
mia persona. Perciò la rappresentazione degli individui e l’intersezione di
quest’ultima con le riproduzioni mentali e le superfetazioni intellettuali
non possono indicare compiutamente la persona, perché non sovrapponibile alla mera conoscenza che ho di lei.
La persona, come dicevamo, si presenta come un continuo paradosso che consente eccezioni e, congiuntamente, non ne ammette, ma che
permette un continuo pensare se stessa che permea ogni singolo aspetto
terreno e si scontra con l’individualizzante e con tutto ciò che si lega e
colloca – pur non soffrendo lo scorrere del tempo – ai contesti transitori
dell’attualità. Tale caratteristica ne consente, quindi, una lettura contemporanea all’orizzonte delle moderne acquisizioni scientifiche e sociali, tenendo presente il vissuto – inteso come fatto e atto di esistere – e la vocazione
a essere elemento necessario e metro di giudizio per la falsificazione dei
concetti a essa correlati3.
Parlare della persona, quindi, implica un percorso che esula dall’analisi di ciò che essa afferma, per sondare ciò che essa nega, senza cadere in
3
L’esistenza di un insieme di diritti della persona che rappresentano i bisogni primari e
irrinunciabili è innegabile. En passant si può dire che tali diritti si assumono come inviolabili e
sono indicati col sintagma diritti umani. Tanto premesso, si osservi come i moderni Stati costituzionali di diritto abbiano trasfuso nelle loro Carte costituzionali principi che non sono altro
se non la formalizzazione dei bisogni ineludibili della persona. La struttura stessa delle più
avanzate forme di Stato ha, quindi, come presupposto l’esistenza dei diritti fondamentali che
hanno permesso a una comunità di diventare popolo e, dall’altro, ha come fine proprio la tutela di tali diritti. Posto che la persona intesa come singolarità sussistente non soffre eccezioni
particolari, la sua negazione – diretta o attraverso la negazione dei diritti fondamentali – falsifica in radice la struttura statale stessa. Tale scacco sistemico della persona agli ordinamenti è
oggi praticato, ad esempio, riguardo alla Convenzione Europea dei Diritti Umani. Infatti, ogni
soggetto (ogni singolarità sussistente) può adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per presunte violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati firmatari. È interessante notare, inoltre,
il carico simbolico della disposizione delle parole in epigrafe alle sentenze CEDU: il nome
del ricorrente e quello dello Stato che si assume aver violato i suoi diritti sono divisi dal versus
latino; dimostrazione, questa, dello scacco di cui dicevamo. Circa il falsificazionismo personalista si
veda Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo. Alla frontiera geoculturale della persona
come bene comune, Graf, Napoli 2005; Id., La persona come evento ontologico e come evento filosofico, in
“Persona”, 1 (2011), pp. 3-41, nel quale l’A. scrive: «la persona è la questione dell’individuo
umano portato alla radice. È il rasoio di ogni sistema concettuale, il principio di rifondazione
permanente di ogni struttura. È il criterio di controllo radicale. È l’altra faccia del principio di
completezza sistemica nel mondo dei vissuti umani (...). È il colpo di stato dell’eccezione in un
regno di sedicente totalità e l’istanza generatrice che tende a regolare un universo di relazioni.
È la profondità indecidibile da cui emerge ogni decisione. In un mondo in cui tutto si misura,
essa è la misura di ogni misura».
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una retorica fine a se stessa che ridurrebbe il tutto a un generico umanesimo4 o
a una «concezione e una pratica predicatoria, edulcorante, “buonista”, che
fallisce ogni suo bersaglio»5 nel momento in cui intende approcciarsi a essa
alimentando gli asserti intorno a ciò che deve essere.
Muovendo dal pensiero del filosofo napoletano, bisogna necessariamente osservare che l’indescrivibilità della persona è data dal suo essere
un’idea e non un concetto6, poiché qualsivoglia ricostruzione non sarà mai la
persona, ma solo una delle tante rappresentazioni approssimative che di
essa si danno. Per realizzare tali rappresentazioni, però, è necessario attraversare tre livelli non sovrapponibili ma relazionati: 1) il livello esistenziale
del sussistere dell’uomo; 2) il livello epistemologico; 3) il livello assiologico
nel quale si riconosce la persona come degna di valore e testimone di valori7.
Dal primo livello si evince l’impossibilità di poter tradurre l’uomo
nella sua concretezza in un insieme di predicati a lui stesso attribuibili. Il
dato esistenziale dell’uomo sottolinea, così, la sua unicità e non-riconducibilità a qualsiasi dato, realizzando la condizione paradossale per la quale la
persona è, al tempo stesso, i suoi predicati e più di questi. Da qui il passaggio al piano epistemologico, che include il pericolo dello svuotamento della persona in individuo e che necessariamente deve darsi come aporetico
nell’affermare «che non si può farlo e non si può non farlo»8, essendo lo
stesso concetto di individuo un «disordine epistemologicamente stabilito»9.
Tale passo segna il limite attraverso il quale si procede verso una sorta di
filosofia quantistica che interferisce con l’oggetto misurato affondando nei
suoi infiniti possibili. Filosofia quantistica che, detto in altri termini, cerca
di capire e descrivere ciò che nel conoscerlo non rileva la sua vera essenGiuseppe Limone, La persona come evento ontologico e come evento filosofico, cit., passim.
Ivi, p. 3.
6
Giuseppe Limone distingue i termini idea e concetto in base alla loro capacità descrittiva. Per
Limone il concetto è una rappresentazione precisa del fenomeno o dell’ente che si osserva.
Viceversa, l’idea non ha confini strutturati e permette una comprensione dell’osservato che
non arriva al completo esaurimento dei giudizi esprimibili. Al riguardo è esemplificativo, in
ambito giuridico, l’accostamento del concetto alla norma e dell’idea al principio. La norma,
come il concetto per l’osservato, si attanaglia alla fattispecie in modo rigido e chiuso; il principio, invece, si presta a innumerevoli applicazioni estendibili in quanto, come l’idea, ha confini
sfumati. Per il rapporto tra norme e principi si veda Giuseppe Limone, Che cos’è il giuspersonalismo?, Monduzzi Editoriale, Milano 2015; circa la percettibilità di un’idea comune si veda Id.,
La catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi Editoriale, Milano 2014. Sull’argomento si veda
altresì Ronald Dworkin, Giustizia per i ricci, Feltrinelli, Milano 2013.
7
Giuseppe Limone, La persona come evento ontologico e come evento filosofico, cit., p. 7.
8
Ivi, p. 8.
9
Ivi, p. 10.
4
5
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za, poiché espressione di innumerevoli variabili. Non appaia strano l’uso
dell’aggettivo “quantistico”, perché la conoscenza della persona incontra
lo stesso limite dell’equazione di Schrödinger e il medesimo effetto del
principio di indeterminazione di Heisenberg10. Non solo un limite linguistico di predicabilità, ma un limite imposto alla scala del concreto e del
reale.
Il percorso logico qui delineato si caratterizza, perciò, come una sorta
di indeterminismo epistemico, ma ontologico, che trova la sua pace nel
principio secondo il quale, per l’appunto, il paradosso afferma11. In un
contesto dove l’oggetto osservato è realmente altro rispetto a ciò che vede
l’osservatore, a essere messo in crisi è il soggetto stesso che osserva il
fenomeno. Occorre, quindi, pensare oltre l’individuo come sunto di una
semplice anagrafe biologica e storica, coscienti che esso è più di ciò che
appare.
La persona è riconoscibile, però, come luogo geometrico in cui si incontrano direttrici fondamentali. Per il filosofo napoletano, l’unicità, la relazionalità e la profondità sono gli elementi che si pongono come assi della persona,
intendendo come unicità la stessità e questità comune che la caratterizzano12.
10
Arturo Quirantes, Lo spazio-tempo quantistico, RBA, Milano 2015. Scrive Quirantes: «L’equazione di Schrödinger permette di spiegare la quantizzazione dell’energia in ambito atomico
senza la necessità di includere postulati artificiali necessari nel modello di Bohr ... Nonostante
la sua utilità, la funzione d’onda genera una scia di conseguenze inaspettate e sorprendenti.
Fino a quel momento, le equazioni di fisica permettevano di ottenere qualsiasi misura si desiderasse calcolare con un grado di precisione senza limiti. L’unico ostacolo per sapere esattamente a che velocità viaggiasse una particella o quale fosse la sua energia o la sua posizione era
l’abilità stessa dello sperimentatore. In meccanica quantistica tuttavia, questo non è possibile.
Per fissare la posizione di una particella, per esempio, possiamo illuminarla lanciandole un fotone; ma quando il fotone si scontra con la particella, la velocità di questa cambia. Potremmo
illuminare più intensamente la particella per determinare in modo più preciso la sua posizione,
tuttavia il risultato porterebbe a cambiare ulteriormente il valore della velocità. Questo effetto,
conosciuto come il principio di indeterminazione di Heisenberg, pone dei limiti alla precisione con
cui possiamo misurare coppie di quantità (in questo caso posizione e velocità). Non si deve
alla nostra incompetenza come sperimentatori, ma si tratta di una limitazione all’origine: semplicemente non è possibile calibrare ogni tipo di variabile con precisione assoluta».
11
Sul punto Giuseppe Limone, I diritti umani tra le verità dei paradossi e il paradosso della verità.
Oltre il moderno, ciò che non muta, in Giuseppe Limone (a cura di), L’Era di Antigone. La forza del
diritto, il diritto della forza, Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, n. 7, FrancoAngeli, Milano 2013, pp. 7-42; Id., I molti nomi della terra,
i molti nomi della verità. Riflessioni su una metafora nascosta, in Giuseppe Limone (a cura di), L’Era di
Antigone. Il diritto della forza, la forza del diritto, cit., pp. 45-56.
12
Per un’introduzione al concetto di questità vd. supra il saggio di Andrea Milano, Sulla persona.
Encomio ragionato per Giuseppe Limone, p. 1 ss.
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365
Da qui, l’indagine sul rapporto del sé con l’altro derivante da un contesto di
somiglianza. Nell’accezione tautologica del sé come se stesso si pone la relazione del sé come l’altro. L’essere persona, quindi, lo si distingue in base ad una
questità intesa sia in un’accezione singolare, sia nella sua riferibilità ad ogni
singola persona, sia nell’essere qualsiasi persona. Ulteriore quesito è l’universalità dell’unicità o, per meglio definire la questione, dell’unicità pensata
in modo universale. Tale aspetto può essere affrontato su di un piano logico,
che vede l’unicità come un elemento comune delle persone – divenendo
un elemento caratterizzante e universale rispettoso delle singole unicità –,
e sul piano fenomenologico, nel quale si evidenzia il risuonare armonico per
simpatia dell’unicità dell’altro con l’unicità del se stesso. Un tale percorso
di universalizzazione dell’unicità della persona mostra la centralità di ogni
singolarità esistente e pone le basi logiche che ne sottolineano la insostituibilità nel suo essere necessaria all’altro. La persona è «un atto di esistere
unico, relazionato, profondo»13. È solo da quest’intreccio di coordinate
– l’unicità, la relazionalità e la profondità – che può muovere un’ipotesi
definitoria. L’unicità è la capacità a essere irriducibile, in-seriale, in-fungibile
e necessaria a se stessa nell’essere, allo stesso tempo, legata all’altro da sé.
La persona è relazionalità poiché incompleta e cosciente di tale incompletezza e, quindi, bisognosa di relazioni con il suo prossimo. L’avere
coscienza di questo bisogno rende la relazione un modo d’essere della
persona e non un mero rapportarsi all’altro; ne va una contestualizzazione
che la vede inserita in una dimensione sociale, cronologica, terrena che ne
segna la condizione in un sistema spazio-tempo.
La persona è profonda, di una profondità che va oltre l’introspezione
più acuta per rivelarsi negli infiniti possibili essere che convivono in potenza
e che non potranno mai materialmente darsi alla luce. Essa è, prima di
tutto, l’insieme infinito dei possibili che si celano dentro sé e ciò – scrive
Limone – offre una lettura a più livelli della profondità: a) il primo livello
di profondità, riconoscibile nella storicizzazione della stessa; b) il secondo
livello, nel quale la persona si rivela essere più di come essa appare; c) il
terzo livello, ove si riconosce la persona come l’incalcolabile numero dei
possibili che convivono contestualmente e che non potranno mai essere
dati alla luce completamente; d) il quarto livello di profondità, dove risiede
il centro dei possibili ed è pensabile addentrarsi in introspezioni che ne
rilevano l’essere infinito o, meglio, un transfinito, poiché infinito di potenza
indeterminato. Una profondità con una doppia prospettiva di lettura, che
rivela ex post la possibilità ed ex ante la libertà che si evince dalla vocazione a
13
Giuseppe Limone, La persona come evento ontologico e come evento filosofico, cit., p. 18.
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poter divenire: «la persona è un abisso che in circostanze paradossali illumina nella relazione e acceca nell’introspezione»14.
L’ulteriore passaggio, dal livello epistemologico al livello assiologico,
poggia le proprie basi sul riconoscere a ogni essere il poter dover essere, che lo
differenzia nella sua unicità, profondità e relazionalità, in quanto, applicando il giudizio riflettente kantiano, diviene un «universale senza concetto»15
che non fonda, bensì va oltre ogni categorizzazione che intende ordinare
uno schema logico che si imporrebbe come gabbia. Nessun modello può
contenere la persona – causa e fine dello stesso –, in quanto svolge una
mera funzione servente che custodisce, ma non rinchiude, un universale
concreto. Anche sul piano istituzionale, politico ed etico, quindi, «una concezione che prenda sul serio la persona fa pensare a un potere decentrato
fino alla persona»16, collocando la stessa «oltre le leggi, le maggioranze e
le Costituzioni»17 e lasciando sempre aperto il dialogo sul ri-conoscimento
di nuovi diritti fondamentali18. «La persona è, fra l’universo atomistico e
l’universo totale, la loro comune radice»19, essa è irriducibile in una doppia
accezione: nell’indivisibilità in parti e nella totalità cui appartiene, che ha in
se stessa un tu che si pone tra il proprio vissuto e la relazione con l’altro.
La singolarità è contestualizzata in una totalità alla quale appartiene, ma
che non può contenerla e realizza «un “controinfinito”: un “infinito per
qualità”»20. La persona non è un soggetto o la coscienza che ne ho, «essa
è (anche) l’inconscio intelligente, caratterizzata da un vissuto intelligente, rela14
Ivi, p. 25. L’Autore, richiamando Paul Watzlawick e Luigi Pareyson, pone la connessione
e la distinzione fra il rivelare e l’esprimere. Per esprimere egli intende la connessione naturale con
il momento storico e, invece, per rivelare intende la profondità naturale che appartiene alla
singolarità della persona e che si esprime dentro il contesto storico.
15
Ivi, p. 18.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Sul punto si veda, fra gli altri, Giuseppe Capograssi, Diritti umani, in Opere, vol. V, Giuffrè,
Milano 1959, pp. 1-8; Id., La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in Opere, vol. V, cit., pp.
35-50; Ronald Dworkin, I diritti presi sul serio, il Mulino, Bologna 2010; Id., Giustizia per i ricci,
cit.; Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo. Alla frontiera geocuturale della persona
come bene comune, cit., passim.
19
Giuseppe Limone, La persona come evento ontologico e come evento filosofico, cit., p. 30. «La persona
sta fra indivisibilità (in parti), indissolvibilità (nel tutto) e infungibilità (con altre persone). In quanto
indivisibile [se non per se stessa] ..., ha lo statuto teorico di un numero primo. Essa sta alle
pretese sue parti come sta alla Totalità. Se chiamiamo “p” le parti, “P” la persona e “T” la
Totalità, abbiamo: p : P = P : T».
20
Ivi, p. 33.
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zionato e profondo»21.
Quanto detto in riferimento all’idea della persona permette di impostare il primo termine del rapporto in analisi. Circa il secondo termine, per
diritto non intendiamo la sommatoria di regole giuridiche e formanti ma,
superando la dicotomia diritto naturale/diritto positivo, intendiamo accedere alla più ampia definizione dello stesso, che alcuni autori contemporanei hanno definito diritto morale, pur non esaurendosi nella sfera etica22.
Un insieme composto, quindi, da due sottoinsiemi di regole: il primo, che
non necessita di interposizioni istituzionali e autoritarie; il secondo, che
necessita di un impianto istituzionale legittimato alla produzione legislativa
da una norma fondamentale.
In questo orizzonte prospettico, il diritto inteso come schema relazionale universale23 è piegato dalla forza speculativa dell’idea personalista24. Al
riguardo appare illuminante come questo concetto, filtrato attraverso il
personalismo mouneriano, assuma un senso compiuto solo nel momento
in cui lo si riconduce all’uomo e all’universo circostante in una posizione
servente. Il diritto, secondo Mounier, è pervaso da forze che si dipanano su
due distinti vettori rivolti, rispettivamente, all’alto e al basso. Tale movi21
Ivi, p. 34.
Si veda Gianluigi Palombella, Diritti, in Ulderico Pomarici (a cura di), Filosofia del diritto.
Concetti fondamentali, Giappichelli Editore, Torino 2007, pp. 183-226; il quale, richiamando il
pensiero di Ronald Dworkin e di Robert Alexy, scrive: «Negli ultimi decenni del Novecento,
invece, anche in Europa continentale, si è fatta ormai strada l’espressione “diritti morali”, che
mostra la diffusa convinzione che il discorso sui diritti possa appartenere sia al diritto sia alla
morale. Questa tesi corrisponde spesso a un particolare modo di collegare il diritto e la morale,
ed eventualmente di superare l’alternativa tra giusnaturalismo e giuspositivismo, investendo
sull’importanza del ragionamento morale, anche per la risoluzione di questioni propriamente
giuridiche».
23
Si potrebbe obiettare che in questa definizione si nasconda – in modo nemmeno troppo
complesso – un’impostazione giusnaturalistica. Invero, assumendo il giusnaturalismo come
corrente di pensiero che presuppone un dualismo fra diritto naturale e diritto positivo, si
ricorda che la nostra idea di diritto, intesa in questo contesto come schema relazionale universale,
non contrappone alcun mondo giuridico naturale a quello positivo, occupandosi, semmai, di
entrambi gli ordini normativi come fossero un tutt’uno.
24
Antonio Rosmini, Filosofia del Diritto, CEDAM, Padova 1967, n. 48 ss. e n. 245 ss., pp. 191
ss. e pp. 243 ss; richiamato in nota in Giuseppe Limone, Che cosa è il giuspersonalismo?, cit. Riportiamo, qui, uno stralcio di Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile, Vol. I,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1988, p.196: «non sempre si comprende oggi lo scandalo
che essa costituì [la nozione decisiva della persona] per il pensiero e la sensibilità dei Greci ...
L’individuo umano non è il confluire di diverse partecipazioni ad alcune realtà generali (materia, idee, etc.), ma un tutto indissociabile, la cui unità sovrasta la molteplicità, perché affonda
le sue radici nell’assoluto».
22
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mento ne concretizza la direzione: ascensionale o di personalizzazione, discendente o di spersonalizzazione. Il movimento continuo dei vettori crea e
permette di descrivere innumerevoli livelli della realtà circostante, ove nel
grado più basso esso conduce a stadi sociali propri della figura individuo;
viceversa accompagna l’ascensione verso il grado più alto della comunione personale. Da una tale premessa rileva che l’esperienza storica conosce
due distinte realtà socio-razionali: la società degli spiriti, nella quale vige la
«concordia degli spiriti in un pensiero impersonale»25, e la società giuridica contrattuale, caratterizzata da una «concordia di comportamento in un ordine
giuridico formale»26. Mounier ritiene esista un parallelo fra ragione e diritto,
in quanto le medesime caratteristiche della ragione oggettivante (prevedere, schematizzare, oggettivare) si riflettono nelle prerogative del diritto
stesso, dato che quest’ultimo è finalizzato alla prefigurazione di regole,
alla «schematizzazione di ruoli e figure»27 e alla «generalizzazione in tipi»28.
Tale ragione oggettivante presuppone e, allo stesso tempo, produce alienazione, non potendo valutare ogni specificità nella quale si tradurrebbe
ogni singola persona.
Ritornando al concetto di gradi – o livelli –, la società giuridica parallela alla realtà razionale si colloca immediatamente al di sotto del livello
superiore, dove è arroccata la persona. Mounier imposta una proporzione
per cui la discontinuità della ragione oggettivante sta alla continuità dell’idea unicizzante come la discontinuità del pensiero giuridico sta alla continuità dell’«etica dell’amore»29. Il diritto – così come la scienza – si pone
come una mediazione fra continui che, nonostante perfetti, ammettono la
necessità di una razionalità giuridica; ponendosi (ragione oggettivante e
razionalità giuridica) come le variabili che influiscono sul movimento che
porta all’ascesa o alla caduta.
Muovendo da tali premesse, il pensatore parigino ritaglia una terza
posizione che, nel rifiutare i concetti di completezza e inutilità, sottolinea
la incompletezza e la contestuale necessità del diritto come strumento di
coesione interpersonale. Nonostante la temporaneità di ogni singolarità
25
Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile, Vol. II, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli 1990, p. 28.
26
Ibidem.
27
Ibidem.
28
Ibidem.
29
Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile, cit. L’autore interpreta il diritto
in Mounier non come un mero prodotto dell’azione politica, riconducibile ad una combinazione fra etica ed economia – impostazione riferibile ad un percorso personal-singolare –, ma
come un’azione collettiva che trova nell’etica dell’amore lo spunto per un’azione unicizzante.
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369
esistente – e non dell’idea persona –, il suo non essere fisicamente eterna,
il suo non poter trascendere dalla carne, il suo vivere in uno spazio e in
un tempo, la creazione del diritto non può prescindere dalla ripetitività che
lo genera. Non è, però, solo una compilazione asettica di consuetudini,
ma un punto di equilibrio continuo tra forze convergenti: il diritto «nasce
da una lotta di forze, esprime un rapporto di forze, vive sostenuto da
una forza»30 ed è da considerarsi, quindi, come il risultato dell’incontro
fra ripetitività e forze che impongono tale ripetitività31. Il diritto è uno scacco
continuo all’agire umano, che poggia la propria concretezza sulla potenza
che ha la ripetizione nell’imprimere nella memoria (singolare e collettiva)
il comando; imposizione perennemente singola che, a sua volta, si traduce
in un obbligo di ripetizione. Da tali premesse si possono rilevare due punti
cruciali del discorso in esame.
In primo luogo, il diritto appare «morfogeneticamente come regole – convertendo la forza in regole e le regole in forza»32, imponendosi come struttura
di forze che si sostanzia in comandi.
In secondo luogo, il diritto converte le affermazioni in obblighi, ponendosi al livello razionale dell’uomo, nel quale risiede la ragione oggettiva.
Il diritto è composto da forze e caratterizzato dalla discontinuità, pertanto, esso rinvierà al «continuo vivente»33 che è la società, cercando di
plasmarsi, di volta in volta, alle istanze sociali che da questa emanano. Il
diritto riconnette lo spazio e il tempo nei quali è immerso l’uomo, giustificando un «particolare fare ... astraente e generalizzante»34 che, nel ripetersi e
nel far ripetere, struttura il rapporto continuità/discontinuità dell’uomo
con il diritto35.
Sembrerebbe, da tali assunti, che il diritto si ponga come oscillante,
come mera rappresentazione di istanze identificate in un sistema incerto
che muta col mutare dei tempi. In realtà, una tale visione non intacca le
caratteristiche di un diritto che si pone come stabile, poiché la generali30
Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile, Vol. II, cit., p. 35. Si veda, inoltre,
Id., Il diritto della forza, la forza del diritto, in Giuseppe Limone (a cura), L’era di Antigone. La forza
del diritto il diritto della forza, cit., pp. 7-42.
31
Ivi. L’autore, nell’analisi del concetto di ripetizione, richiama il discrimine semantico che
condusse Marx a passare dal concetto di forza al concetto di forza-lavoro, delineando un fenomeno «costitutivamente plurimo».
32
Ivi, p. 37.
33
Ivi, p. 39.
34
Ivi, p. 40.
35
Giuseppe Limone, Il diritto della forza, la forza del diritto, in Giuseppe Limone (a cura di),
L’Era di Antigone. Il diritto della forza, la forza del diritto, cit., passim.
370
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tà e l’astrattezza che lo contraddistinguono si collocano come elementi
rapportabili allo spazio e al tempo, ma in una logica sinallagmatica coi
fruitori [le persone]. Il diritto è, appare palese, immutabile nello spazio e
certamente modificabile nel tempo, dato che la modificabilità è intrinseca al
grado di intelligibilità di un insieme esistente, ma sconosciuto. Tuttavia, considerando il concetto di mutabilità nel tempo del diritto, questo ci permette
di cogliere la certezza come valore sotteso alla ripetitività36. La ripetitività
marca una sorta di continuità che avvicina il diritto e la certezza del diritto
alle dimensioni della persona, razionalmente ricollocando il diritto stesso
come spazialmente stabile e certo; come strumento capace di ri-ordinare il
rapporto complesso che si genera fra comunità e diritto, tempo e spazio37.
Si determina, quindi, una relazione funzionale fra la persona e il diritto, cui può essere data un’impostazione grafica: il diritto si muove nei tre
quadranti x, y, z dello spazio e nel quadrante t del tempo; la persona, invece, non solo ne è parte in-compresa, ma è rappresentabile come l’origine
degli assi sui quali si muove ogni misurazione.
S’impone, qui, una domanda: la persona, non appartenendo allo schema
nel quale è collocata, poiché lo genera, ristabilisce un ordine che è tutto funzionale a essa o, nel generarlo, ne è parte? Se la persona avesse diritti, sarebbe
riducibile a un mero soggetto di diritto; se non ne avesse, potremmo parlare
di mero diritto sussistente autonomo. In entrambi i casi qui delineati, l’esistenza della persona è solo accidentale e il diritto non avrebbe ragione d’esistere. Il diritto, quindi, è antropologicamente fondato sull’entità che è diritto,
per il nesso imprescindibile che lega la persona e la relazione, ossia l’agire.
In questa prospettiva, «il diritto è la pienezza dei diritti dell’uomo, e la
persona, che è tutt’uno con quei diritti, è responsabile di fronte a se stessa
della loro integrale realizzazione ..., [poiché] la persona dell’uomo è lo stesso diritto umano sussistente»38.
36
Giuseppe Capograssi, Il problema fondamentale, in Opere, Vol. V, cit., pp. 27-34.
Giuseppe Limone, Tempo della persona e sapienza del possibile, Vol. I, cit., p. 196.
38
Francesco Coccopalmerio, Diritto e Diritti nel pensiero filosofico e giuridico di Rosmini, in “Iustitia”, LXIII (2010) n.2, pp. 1-11, cit. p. 8. Il corsivo è nostro. Sul punto si veda, inoltre, Giuseppe
Limone, Che cos’è il giuspersonalismo?, cit.; Id., Il sacro come la contraddizione rubata. Prolegomeni a un
pensiero metapolitico dei diritti fondamentali, Jovene, Napoli 2001; Id., Il sacro come la contraddizione che
fonda. Il paradosso che salva, in AA. VV., Il sacro e la storia. La civiltà alla prova, Edizioni rosminiane,
Stresa 2003, pp. 249-280.
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rIFlessIonI sul rapporto Fra persona e dIrItto
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abstract: The article studies the relationship between the person and the law.
The impressions about this relationship are approached in three steps: in the
first, the essay defines the theoretical meaning of the term “person”, starting by
the Limone’s speculative idea; in the second, is outlined a definition of law in a
personalistic-philosophical perspective; in the third, the relationship allows us to
define the person as a “subsistent law”.
Keywords: Person - Law - Personalistic Thinking - Law in the Spacetime - Subsistent Law.