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La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro

2018, TRA ORIENTE E OCCIDENTE Istituzioni religiose a Barletta nel Medioevo (secoli XI-XV)

Una lunga tradizione identifica ancora oggi la pittura medievale pugliese come una produzione artistica in equilibrio tra oriente e occidente. Ma quali sono le componenti orientali e quelle occidentali di tale pittura? Cosa porta gli studiosi a riconoscere componenti “orientali” nella suddetta produzione artistica? La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro di Barletta, più di altre, per esempio, contiene in sé queste due componenti: le decorazioni superstiti nell’aula constano di pochi frammenti, sparsi tra il catino absidale e le due pareti, e si inseriscono nel clima culturale del maturo gotico pugliese. Gli affreschi custoditi nella tribuna, invece, presentano le caratteristiche di maggior interesse nell’ambito di una lettura crociata, per quanto fortemente ancorati a una tenace tradizione locale relativa alla diffusione di icone agiografiche murali come riflesso di modelli di pittura su tavola di provenienza orientale.

Aufidus Collana di studi e testi di Archeologia, Arte, Architettura, Storia del Territorio della Arcidiocesi di Trani, Barletta, Bisceglie, Nazareth 3 TRA ORIENTE E OCCIDENTE Istituzioni religiose a Barletta nel Medioevo (secoli XI-XV) a cura di Luisa Derosa, Francesco Panarelli, Victor Rivera Magos ESTRATTO © 2018 Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spirito tel. 0805333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: info@edipuglia.it ISBN 978-88-7228-873-3 ISSN 2532-5833 DOI http://dx.doi.org/10.4475/873 L’autore ha il diritto di stampare o diffondere copie di questo PDF esclusivamente per uso scientifico o didattico. Edipuglia si riserva di mettere in vendita il PDF, oltre alla versione cartacea. L’autore ha diritto di pubblicare in internet il PDF originale allo scadere di 24 mesi. The author has the right to print or distribute copies of this PDF exclusively for scientific or educational purposes. Edipuglia reserves the right to sell the PDF, in addition to the paper version. The author has the right to publish the original PDF on the internet at the end of 24 months. INDICE GENERALE mons. Angelo Dipasquale Indirizzo di saluto 5 Tavola delle abbreviazioni 6 Cosimo Damiano Fonseca Introduzione 7 Victor Rivera Magos Gli arcipreti e il capitolo di Santa Maria tra XII e XIII secolo 9 Isabella Aurora La Chiesa di Santa Maria di Barletta e la curia pontificia. La dipendenza da San Giovanni in Laterano (secoli XIII-XIV) 33 Antonio Antonetti I vescovi a Barletta. Spunti prosopografici per la presenza episcopale in città 63 Francesco Panarelli Gli insediamenti benedettini 75 Kristjan Toomaspoeg Gli ordini monastico-cavallereschi: acquisizioni e nuove prospettive di indagine 85 Hubert Houben I cavalieri teutonici a Barletta: nuovi documenti e ulteriori considerazioni vent’anni dopo 103 Fulvio Delle Donne Gli Annales breves de Terra Sancta del Tesoro della basilica del Santo Sepolcro 129 Antonio Massimo Diviccaro I cistercensi a Barletta (secoli XIII-XV) 135 Rosalba Di Meglio Primi appunti per la storia degli ordini mendicanti a Barletta 147 Cristina Andenna Il monastero femminile di Santa Chiara di Barletta: spazio di interazione fra vita politica e religiosa in un contesto urbano dell’Italia meridionale del secolo XIV 153 Gemma Colesanti La comunità femminile di Santa Lucia di Barletta: da mulieres religiosae a sorores ordinis Sancti Dominici 175 Luisa Derosa Storia di un insediamento monastico femminile: le domenicane in Santa Lucia 183 Giulia Perrino La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro 197 Maurizio Triggiani La chiesa di San Giacomo: riflessioni su un complesso monastico medievale 213 Pasquale Cordasco Conclusioni 229 Indice dei nomi e dei luoghi a cura di Mariolina Curci 235 Indice degli Autori a cura di Mariolina Curci 249 Abstracts 255 LA DECORAZIONE PITTORICA DELLA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO di Giulia Perrino a Pina Il tema del convegno, e in particolare l’argomento assegnatomi, mi consentono di ritornare su complesse questioni metodologiche e critiche relative alla pittura pugliese e a rivolgere ancora una volta l’attenzione su quei segni particolari della nostra produzione artistica medievale, soprattutto duecentesca, che testimoniano la presenza di una cultura maturata tra Oriente e Occidente. Che significa ‘tra Oriente e Occidente’? Quali sono le componenti orientali e quelle occidentali della pittura pugliese? Dov’è che sentiamo echi, profumi o segni orientali e dov’è che vediamo caratteri occidentali? Quali sono questi segni e caratteri? Si tratta di un argomento per sua stessa natura insidioso, proprio perché legato a suggestioni che di certo non sono criteri oggettivi di indagine. Eppure, è un dato certo che la Puglia spende oggi il suo millenario retaggio orientale perfino in campo turistico, abusandone in modo a tratti sconcertante con slogan di facile presa. Che i nostri beni culturali si stiano riducendo a oggetti materiali a uso di una massa di gente interessata solo a una fruizione veloce e consumistica è un dato altrettanto acclarato. Non insisto su questo argomento, anche se riconosco di essere molto preoccupata per il presente, prima che per il futuro del nostro patrimonio e quindi naturalmente portata a discorsi, studi, riflessioni su di esso. Mi limito, per quel che posso, a pormi come obiettivo del presente contributo quello di ripercorrere gli studi effettuati sinora per comprendere quanto è stato chiarito su un tema di tale portata – Oriente e Occidente in Puglia – e quanto ancora ci sia da esplorare, sgombrando il campo, laddove possibile, da letture veloci, superficiali e semplicistiche. La decorazione pittorica della chiesa del Santo Se- polcro di Barletta rimanda immediatamente – come la stessa architettura della chiesa, la sua intitolazione, la sua origine e la sua storia – a suggestioni di carattere orientale, e nello specifico crociato. Così si sono espressi tutti coloro che se ne sono occupati 1. Ma per parlare di pittura in Puglia e di caratteri crociati della pittura pugliese c’è una indispensabile premessa metodologica che vorrei fare e che affonda le radici in un lungo e articolato dibattito culturale che ha interessato quasi tutti i critici che si sono avvicinati a tali problematiche. Chi si trova per sua ventura a studiare il patrimonio pittorico medievale della regione incontrerà sempre, subito, due enormi difficoltà: la carenza di fonti documentarie (per ragioni complesse e articolate sulle quali non è il caso di soffermarsi in questa sede) e la frammentazione, la rovina, la distruzione o, se va bene, il pessimo stato di conservazione in cui versano le stesse pitture. Il caso di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, della quale si è conservata la maggior parte della decorazione pittorica, è talmente raro che quasi non fa testo. C’è poi una terza difficoltà che ha a che fare con caratteri endemici di tale produzione: la scarsissima presenza di firme da un lato, dall’altro la persistenza, lungo l’arco cronologico che va dall’XI al XIV secolo inoltrato, di un particolare tipo di codificazione formale dell’immagine. Questa modalità di rappresentazione è stata definita a più riprese con il termine di ‘iconismo’, e si esplicita nella presenza e ripetizione quasi ossessiva, nelle chiese rupestri e sub divo, di file di santi stanti, paratattici, di solito raffigurati sotto arcatelle. Man mano che ci si avvicina al basso Medioevo, i santi si isolano ancora di più in fi- 1 E. Bertaux, L’Art dans l’Italie Méridionale, Paris 1904, vol. I, p. 35; M.S. Calò Mariani, Sulle relazioni artistiche tra la Puglia e l’Oriente latino, in Roberto il Guiscardo e il suo tempo. Relazioni e comunicazioni nelle prime Giornate normanno-sveve, Bari, maggio 1973, Roma 1975, pp. 41-76, in part. p. 65; M. D’Elia, Aggiunte alla pittura pugliese del Tardo-Medioevo (la cripta del Crocefisso a Ugento), in M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, P. Dal Poggetto (a cura di), Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, Milano 1977, pp. 62-67; M. Milella Lovecchio, Considerazioni sui rapporti fra pittura Murale e da cavalletto nel XIII secolo (il Nord Barese), in Studi bitontini, 47/48, 1989, pp. 311-326; P. Belli D’Elia, Il ruolo della Terrasanta nell’origine e nella diffusione delle immagini di devozione. Esempi dalla Puglia, in La Terrasanta e il crepuscolo della crociata cit., pp. 287-302; P. Belli D’Elia, Segni e immagini delle Crociate nel Mezzogiorno normanno-svevo, in G. Musca (a cura di), Il Mezzogiorno normanno-svevo e le crociate. Atti delle quattordicesime Giornate Normanno-Sveve, Bari, 17-20 ottobre 2000, Bari 2002, pp. 342-344; V. Pace, Echi della Terrasanta: Barletta e l’Oriente crociato, in M. Oldoni (a cura di), Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani e ambientali del pellegrinaggio meridionale, Salerno 2005, pp. 393-408. Si veda da ultimo l’aggiornato contributo L. Derosa, Barletta e la Terrasanta: bilancio storiografico e prospettive di ricerca, in V. Rivera Magos, S. Russo, G. Volpe (a cura di), Archeologia Storia Arte. Materiali per la storia di Barletta (secoli IV a.C.-XIX d.C.), Bari 2015 (Aufidus, 2), pp. 143-162. 197 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino gure riquadrate da marcate cornici, per lo più rosse; accanto a loro compaiono sempre più spesso le immagini della Vergine, di solito venerate da figurette di committenti in preghiera. Tutti questi fattori (carenza di documenti, pessimo stato di conservazione, scarsa presenza di cicli pittorici in favore di icone votive, scarsa presenza di firme), che intrecciano tra loro congiunture fortuite con caratteristiche endemiche, contrastano al contempo in modo assai stridente con la effettiva ricchezza – nonostante le perdite e nonostante le mutilazioni del tempo – di testimonianze pittoriche della regione. Non vi è infatti cattedrale, chiesa conventuale, chiesa rurale o rupestre dove non siano presenti tracce di decorazione pittorica, dalla Capitanata alla Terra d’Otranto storica (che include anche il vastissimo patrimonio di Matera e di Taranto). Al punto che ben si comprende l’imbarazzo che spesso coglie gli storici dell’arte che se ne occupano, il cui ruolo è, se non quello di identificare una data e una firma (impresa ardua e priva di speranza dalle nostre parti), almeno quello di ricostruire le ‘botteghe’ e i periodi storici – lavorando per forchette cronologiche piuttosto che ad annum – restituendo così un contesto storico-culturale alle testimonianze materiali e al contempo consentendo alle stesse di essere effettivamente testimonianze materiali e documentarie di un determinato contesto storico. Queste premesse sono state messe in luce sin dal 1980 in un fondamentale e a tutt’oggi imprescindibile contributo di Valentino Pace comparso nel volume La Puglia tra Bisanzio e l’Occidente, in cui si evidenzia, come era del resto consuetudine in quel clima storiografico, l’importanza e al contempo la difficoltà d’uso – in Puglia – dell’analisi stilistica come indicatore cronologico e linguistico, che proprio per la «subiettività da cui il confronto stilistico dovrebbe in teoria sfug- gire ma alla quale invece ben di frequente soggiace» e per la sua natura metodologica, basata sulla comparazione e sul confronto, si rivela scivolosissima e spesso fallimentare in casi come quello della pittura iconica pugliese: la persistenza di modelli iconografici ‘statici’ ancorati alla tradizione bizantina e il pessimo stato di conservazione rendono infatti quanto meno ardita ogni valutazione stilistica tout court 2. In questo contesto, tra perdite, mancanza di fonti e metodologie ‘liquide’, negli ultimi venticinque anni si è comunque fatto molto, e il quadro generale della storia della pittura pugliese risulta decisamente meglio delineato, seppur non troppo distante da quanto aveva allora tracciato lo stesso Valentino Pace, dimostrando come, al di là di casi particolari e scoperte dell’ultima ora, l’intuizione dello studioso e di chi lo aveva preceduto sui caratteri dell’iconismo pugliese si sia rivelata una buona lente di lettura generale del fenomeno. La difficoltà degli storici dell’arte sottolineata allora si riflette nella frequenza e nella tipologia delle pubblicazioni di questi venticinque anni. Dopo lo studio di Marina Falla Castelfranchi sulla pittura bizantina in Puglia, i contributi maggiori, apparsi quasi esclusivamente su periodici o su atti di convegni, e solo in rari casi in monografie 3, riguardano essenzialmente il raffinamento delle indagini sulla pittura delle chiese rupestri. Si veda il caso dei convegni biennali sulla civiltà rupestre, realizzati a partire dal 2003 dalla Fondazione San Domenico sotto la direzione scientifica di Cosimo Damiano Fonseca 4, che si incanalano in un solco specialistico già introdotto dallo stesso Fonseca nel decennio 1971-1981. Un vero e proprio filone di studi ricco e articolato, intervallato solo in anni più recenti dall’emergere di un nuovo interesse sulle innovazioni pittoriche del periodo angioino, in particolare nel Salento 5. In parallelo, va reso conto del lungo e articolato filone di studi sulla V. Pace, La pittura delle origini in Puglia, in La Puglia tra Bisanzio e l’Occidente, Milano 1980, pp. 317-400: si veda in part. il paragrafo Pittura in Puglia fra l’XI secolo exeunte e il XIV secolo ineunte: questioni di metodo, pp. 331-332. Sullo stesso tema, con una focalizzazione ancora più pregnante per l’argomento in oggetto, l’autore è tornato a più riprese: Id., L’analisi ‘stilistica’ come metodologia storica: possibilità e limiti. Con particolare riferimento alle icone ‘crociate’, in X. Barral y Altet (a cura di), Artistes, artisans et production artistique au Moyen âge. Colloque international, Centre National de la Recherche Sientifique, Université de Rennes II - Haute-Bretagne, 2-6 mai 1983, Paris 1990, pp. 513-523; si veda anche M. Falla Castelfranchi, Pittura monu- mentale bizantina in Puglia, Milano 1991, p. 158 e per gli affreschi barlettani pp. 162-163. 3 M. Falla Castelfranchi, Pittura monumentale cit.; L. Safran, San Pietro at Otranto. Byzantine Art in South Italy / San Pietro ad Otranto. Arte bizantina in Italia meridionale, Nantes-Roma 1992. 4 Si vedano i sei volumi dei relativi Atti dei Convegni Internazionali sulla civiltà rupestre della Fondazione San Domenico a cura di C.D. Fonseca. 5 Cito da ultimo il volume di S. Ortese, Pittura tardogotica nel Salento, Galatina 2014, con bibliografia precedente; singolare il caso dell’interesse per la chiesa di Santa Maria del Casale, vera officina di sperimentazioni e soluzioni di passaggio nella produ- 2 198 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro Fig. 1. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, parete meridionale, Virgo Lactans. cultura e sull’arte del periodo delle crociate in Europa e nel Mediterraneo, che ha visto impegnati gli studiosi nel ricostruire, all’interno di un dibattito critico molto ampio, le testimonianze artistiche proprie dell’arte di Terrasanta durante il particolare momento storico delle crociate e le sue irradiazioni tra Oriente o Occidente, seguendo fenomeni di sincretismo, ribattito, trasposizione e riformulazione di linguaggi e modelli artistici nei quali la Puglia sembra aver avuto un ruolo per nulla marginale 6. Entrando in questo campo, e avvicinandomi dunque al tema proposto dal convegno, le pitture della chiesa del Santo Sepolcro di Barletta, come abbiamo visto ‘portatrici sane’ di vaghezze orientali di sapore occidentale e viceversa, pongono questioni di non facile risoluzione, essendo assolutamente peculiari di una produzione artistica che si riconosce come crociata, ma di cui è molto arduo stabilire con sicurezza origini e modelli di riferimento, canali di trasmissione degli stessi modelli e maestranze e botteghe che vi lavorarono. Nulla sappiamo circa la data di fondazione dell’edificio; vi sono però alcune certezze sulla sua storia più antica. La chiesa intitolata al Santo Sepolcro compare per la prima volta in un documento del gennaio 1130, quando se ne fa menzione nella vendita di un orto. Pochissimi anni dopo, nel 1138, è citata nel privilegio di Innocenzo II tra i possedimenti dei canonici gerosolimitani in Italia meridionale 7. Angelo Ambrosi ha dimostrato che la costruzione dell’edifi- zione pittorica pugliese a cavallo tra Duecento e Trecento, ovvero tra eredità locali di matrice bizantine e novità cortesi di gusto francese mediate dalla cultura angioina penetrata nella regione, su cui sono uscite due monografie nello stesso anno: G. Perrino, Affari pubblici e devozione privata. Santa Maria del Casale di Brindisi, Bari 2013; G. Curzi, Santa Maria del Casale a Brindisi: arte, politica e culto nel Salento angioino, Roma 2013. 6 Rimando per una sintesi al recente bilancio di L. Derosa, Barletta e la Terrasanta cit. Si vedano su questi temi i numerosi contributi contenuti in M. Rey-Delqué (a cura di), Le crociate. L’oriente et l’occidente da Urbano II a San Luigi 1096-1270. Roma, Palazzo Venezia, 14 febbraio-30 aprile 1997, Milano 1997; M.S. Calò Mariani (a cura di), La Terrasanta e il crepuscolo della crociata. Oltre Federico II e dopo la caduta di Acri. Atti del I Convegno internazionale di studio, Bari-Matera-Barletta, 19-22 maggio 1994, Bari 2001; M.S. Calò Mariani (a cura di), Il cammino di Gerusalemme. Atti del II Convegno internazionale di studio, BariBrindisi-Trani, 18-22 maggio 1999, Bari 2002. 7 Cartulaire de l’église du Saint Sépulchre de Jérusalem publié d’après les manuscrits du Vatican, ed. E. de Rozière, Paris 1849, n. 17, p. 23 e n. 39, p. 74; V. Rivera Magos, Politiche ecclesiastiche e interessi territoriali nel Regno di Sicilia. L’intolerabilis contentio tra i canonici di Gerusalemme e la chiesa tranese per il Santo Sepolcro di Barletta (1130-1162), in Archivio NormannoSvevo, 4, 2013/14, pp. 147-174. Fig. 2. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, parete settentrionale, Virgo Lactans. 199 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 3. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, affreschi sulla parete absidale. cio è stata realizzata partendo contemporaneamente dal transetto e dal corpo occidentale, e solo in una fase successiva è stata completata con la realizzazione del corpo longitudinale, scandito da arcate trasverse che sorreggevano una copertura a capriate lignee. Nel complesso, la costruzione sarebbe stata realizzata entro la metà del XII secolo 8. Le decorazioni pittoriche superstiti constano di pochi frammenti sparsi tra il catino absidale, le due pareti – settentrionale e meridionale – e la galilea (figg. 1-4 e 12-14). Lungo le pareti si conservano due dipinti molto rovinati (fig. 1-2) che raffigurano lo stesso soggetto iconografico, una Virgo lactans, attribuibili con una certa sicurezza a due mani diverse pur se molto affini tra loro nei modi e nel gusto. L’affresco della parete meridionale (fig. 1) presenta vaste lacune dalle quali emergono altri brani pittorici di difficile lettura (tra questi, forse, si intravede quel che resta di un santo o una santa). La Vergine, con tunica rossa e maphorion blu, sostiene solidamente con il braccio destro il Bambino e gli porge il seno con la mano sinistra. Il capo reclinato verso il Figlio, con il velo che ricade in morbide pieghe trasparenti, e lo sguardo dolce, appena offuscato di tristezza, avvicinano il dipinto ad alcune immagini di soggetto simile presenti in altre chiese della regione, inserendosi nel clima culturale del gotico pugliese maturo, pienamente trecentesco, che guarda a coevi modelli napoletani: penso per esempio alle Vergini affrescate in Santa Maria di Balsignano 9 (fig. 4) e in Sant’Agostino di Andria 10 (fig. 5). Agli stessi modi pittorici – sebbene meno felici sul piano qualitativo – si può ricondurre anche la Ver- gine della parete settentrionale (fig. 2), ancora più vicina della precedente al modello andriese, soprattutto nel modo di tracciare con linee sottili e decise gli occhi, il naso, l’arcata sopracciliare e la bocca, che accenna un vago sorriso. L’abside (fig. 3) conserva sul catino i resti di quello che doveva essere un decoro ben più vasto, incentrato sulla figura della Vergine in trono con il Bambino circondata da santi, dei quali si conservano sei figure. Non è possibile stabilire se le figure fossero in numero maggiore, né di quali santi si tratti: tutto il brano pittorico, infatti, è interessato da un’ampia lacuna nella zona superiore, dalla quale si salva parzialmente solo il busto della Vergine e del Bambino. In condizioni simili è molto difficile avanzare ipotesi di lettura serie, ma qualcosa, con sguardo paziente e attento, possiamo ricavare. La Vergine (fig. 6) è seduta su un monumentale trono di cui resta, in alto a destra, parte dello schienale decorato da elementi geometrici sulla stoffa candida di rivestimento e da motivi vegetali incisi sul dorsale ligneo (fig. 7). Poggia i piedi su un suppedaneo profilato da perlinature come lo schienale. La affiancano due figure speculari collocate in posizione chiastica e racchiuse probabilmente da un riquadro unico, delimitato da una cornice rossa e separato dalle altre figure di santi poste alle estremità. La figura di sinistra indossa una tunica rosa sulla quale ricade una clamide verde salvia, quella di destra una tunica azzurra con clamide rosa. Le clamidi, decorate da un prezioso orlo ricamato nella parte inferiore, rimandano chiaramente ai costumi bizantini; entrambi i santi, inoltre, indossano il loros imperiale, una lunga sciarpa ornata di pie- A. Ambrosi, Architettura dei crociati in Puglia. Il Santo Sepolcro di Barletta, Bari 1976; P. Belli D’Elia, Segni e immagini delle Crociate cit. 9 G. Perrino, Osservazioni iconografiche e stilistiche sugli affreschi di Santa Maria di Balsignano, in M.R. Depalo, E. Pellegrino e M. Triggiani (a cura di), Balsignano: un insediamento rurale fortificato, Bari 2015, pp. 93-109: 99. 10 Sulla Vergine di Sant’Agostino e sulla cultura artistica del tardo medioevo andriese si guardi la tesi di dottorato di Rosalinda Romanelli, che ringrazio per i numerosi spunti di riflessione emersi durante i nostri frequenti scambi culturali: R. Romanelli, Per un Corpus della pittura tra Tre e Quattrocento in Terra di Bari. Gli affreschi del territorio di Andria. Tesi di Dottorato in Storia dell’Arte comparata, Cultura e Civiltà dei paesi del Mediterraneo, XXIV ciclo, Università degli Studi di Bari, 2013. 8 200 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it in trono con il Bambino. L’ipotesi di identificazione potrebbe essere confermata dalla presenza di nastri di colore in striature semicircolari digradanti poste tra lo schienale destro del trono e la figura destra nelle quali si può riconoscere la traccia di un’ala. Inoltre, mi sembra di individuaFig. 4. - Balsignano (Modugno), Chiesa di Santa Maria, Vergine in trono con Bambino. re in due sfere dorate localizzate tra gli arcangeli e il trono della Vergine, all’altezza delle gambe, quel che resta di due incensieri. Si tratterebbe dunque di una scena di Adorazione della Vergine in Trono col Bambino da parte degli arcangeli. La scena, molto frequente nelle decorazioni pittoriche delle absidi di ambiente medio-bizantino, ovvero tardo comneno, è poco diffusa in Puglia, dove compare limitatamente in area rupestre e in contesti tradizionalmente legati ai luoghi della Terrasanta. In particolare, è stata individuata nelle decorazioni absidali delle chiese di Santa Maria degli Angeli a Poggiardo (fine XII secolo) 11 e della Madonna delle Croci a Matera (fine XIIinizi XIII secolo) 12 (fig. 8). Confronti con quest’ultimo affresco, che presenta la variante del trono con lo schienale a lira, sono stati avanzati con la Panaghia Mavriotissa di Castoria, del XIII seFig. 5. - Andria, Chiesa di Sant’Agostino, Virgo Lactans. colo, e con la chiesa inferiore di tre preziose che si avvolgeva sugli omeri e ricadeva sulSanta Lucia di Brindisi (che però non presenta gli anla clamide con una banda verticale. Mi sembra di rigeli incensieri ai suoi lati), anch’essa del XIII secolo. conoscere nel trittico lo schema iconografico degli ArAll’affresco brindisino si lega la devozione delle mocangeli Michele e Gabriele che affiancano la Vergine nache provenienti da Accon e stanziatesi a Matera, C.D. Fonseca, A.R. Bruno, V. Ingrosso e A. Marotta, Insediamenti rupestri medievali del Basso Salento, Galatina 1979, pp. 155-166: 163; M. Falla Castelfranchi, Pittura monumentale cit., pp. 113-123. 11 12 E. Marcato, L’affresco della Madonna delle Croci: nuovi aspetti sull’adozione del canone bizantino nel territorio di Matera, in F. Conca (a cura di), Byzantina Mediolanensia. Atti del V Congresso Nazionale di Studi Bizantini, Milano, 19-22 ottobre 1994, Soveria Mannelli (Cz) 1996, pp. 275-289. 201 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino custodita presso la Pinacoteca Metropolitana di Bari e proveniente dalla chiesa di Santa Margherita a Bisceglie 15. L’individuazione del tema iconografico nell’abside barlettana, dunque – al di là delle questioni formali e mettendo momentaneamente da parte il problema della cronologia, che in ogni caso è sempre riferibile all’interno del periodo tardocomneno – riapre la via, ancora una volta, al dibattito sulla provenienza e sulla circolazione dei modelli tra Oriente e Occidente e al ruolo chiave che alcuni centri pugliesi, in particolare Barletta e Brindisi (città portuali Fig. 6. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, Vergine in trono con Bambino tra Arcangeli. e demaniali), avrebbero avuto Brindisi e Barletta 13, segnando, ancora una volta, un nella vicenda: in tutti i casi citati, infatti, gli studiosi indizio importante sulle vie e sui luoghi cardine in Puche si sono espressi hanno sempre evocato, per ciò che glia per la circolazione di modelli iconografici proveconcerne il linguaggio formale, rapporti con l’oltremare nienti dall’Oltremare crociato. La diffusione del crociato 16. Nel caso del Santo Sepolcro, dunque, tali modello non si limita agli affreschi rupestri, ma rirapporti sembrano sostenuti anche dalla scelta del raro guarda anche numerose icone su tavola, come motema. In tal senso, un ulteriore dettaglio iconografico strano la Madonna dell’Idria, custodita nella chiesa – che non è sfuggito all’occhio attento di Pina Belli di San Martino a Venosa (datata tra gli inizi e il maD’Elia – contribuisce a identificare con maggiore chiaturo XIII secolo) 14, in cui due minuti arcangeli si afrezza anche il tipo della Vergine: Ella «trattiene con la facciano dalla spalliera del trono per porgere gli mano sinistra, all’altezza della cintura, un bambino seincensieri verso la sacra diade Madre-Figlio, e la più misdraiato, con le gambe divaricate, ripetendo un getarda Madonna con Bambino (inizi del XIV secolo) sto e una posizione che caratterizzano tutto il più noto 13 M.S. Calò Mariani, Echi d’Oltremare in Terra d’Otranto. Imprese pittoriche e committenza feudale fra XIII e XIV secolo, in Il cammino di Gerusalemme cit., pp. 235-274; F. Panarelli (a cura di), Da Accon a Matera: Santa Maria la Nova, un monastero femminile tra dimensione mediterranea e identità urbana (XIII –XVI secolo), (Vita Regularis 50) Münster 2012. 14 P. Belli D’Elia, scheda 16, in P. Belli D’Elia (a cura di), Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento. Catalogo della mostra, Bari, Pinacoteca Provinciale, 9 ottobre 19887 gennaio 1989, Milano 1988, p. 115; M. Falla Castelfranchi, Arti figurative: secoli XI-XIII, in C.D. Fonseca (a cura di), Storia della Basilicata. 2. Il Medioevo, Roma 2006, pp. 754-790: 778. 15 R. Lorusso Romito, scheda 28, in P. Belli D’Elia (a cura di), Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento. Catalogo della mostra, Bari, Pinacoteca Provinciale, 9 ottobre 19887 gennaio 1989, Milano 1988, pp. 123-125. F. Calò, Il drago, l’angelo e la Pentecoste. Una rilettura iconografica delle pitture nella grotta micaelica a Santeramo, pp. 321-347. Ulteriori testimonianze della diffusione della Vergine tra angeli incensieri si ritrovano in campo scultoreo, per esempio nelle lunette della cattedrale di Bitetto e della matrice di Rutigliano, entrambe datate alla prima metà del XIV secolo. Si veda M. Mignozzi, Disiecta membra. Madonne di pietra nella Puglia angioina, Bari 2013, in particolare pp. 147 ss., con bibliografia precedente. 16 Riporto quanto scrive Pina Belli D’Elia sull’icona di Venosa: «L’icona è stata presentata come esempio da un lato della persistenza in area meridionale di modelli aulici di età comnena, dall’altro della loro ripresa e contaminazione nel maturo Duecento con motivi di accezione occidentale, ampiamente diffusi in ambito mediterraneo. Se infatti, per quanto riguarda l’iconografia e l’impostazione generale dell’immagine, il pensiero va alle solenni apparizioni della Vergine in trono nei catini delle chiese bizantine dal IX all’XI secolo, la realizzazione pittorica delle figure, non esente da rigidezze e scadimenti formali, l’abbigliamento degli arcangeli, le vigorose lumeggiature che conferiscono vitalità e rilievo plastico ai volti e ai corpi, possono richiamare prodotti ‘mediterranei’ quali le icone agiografiche pugliesi da Bisceglie mentre il volto rigidamente frontale della Vergine, dai tratti così fortemente marcati, ha potuto evocare, tra gli altri, quello dichiaratamente iconico del S. Giorgio affrescato nel nartece della chiesa cipriota della Vergine ad Asinou» (Belli D’Elia, Icone di Puglia cit., p. 115). 202 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro to da una ben nota miniatura dell’XI secolo» 17 (fig. 9), evidente traduzione da un’icona, replicata anche in altri modelli tra i quali l’Imperlata palermitana (tardo XII secolo) e l’icona sinaitica di Kykko (terzo quarto del XIII secolo) 18 (fig. 10). Ed è proprio con la Vergine di Kykko che l’affresco barlettano mostra maggiori somiglianze, per quella presenza di una particolare tipologia di fascia indossata dal Bambino, di colore rosso, che spicca sull’abito bianco, riprodotta a partire dalla copia veneziana del modello illustre Fig. 7. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, particolare della Vergine in trono con Bambino. dell’icona costantinopolitana donata dall’imperatore Alessio I Comneno (1081-1118) al monastero cipriota di Kykkos, da cui l’icona stessa e il tipo iconografico che da essa deriva hanno tratto il nome. Come è noto, la Vergine Kykkotissa cipriota non è visibile, perché completamente nascosta da un rivestimento argenteo nel 1576 19. La sua immagine però è stata replicata in due icone conservate entrambe nel Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, che portano lo stesso nome ma presentano significative varianti nei dettagli iconografici (la veste del Bambino, il velo della Vergine e la presenza o Fig. 8. - Matera, Chiesa rupestre della Madonna delle Croci, Vergine in trono con Bambino. meno del rotulo) 20. Senza entragruppo di Madonne pugliesi; ma, paradossalmente, in re nel merito del complesso e articolato dibattito criuna versione più aderente, sul piano iconografico, altico 21, in questa sede è sufficiente segnalare la somil’originario modello bizantino, come ci è testimoniaglianza dell’abbigliamento del Bambino retto dalla Ver17 Belli D’Elia, Il ruolo della Terrasanta cit., pp. 287-302: 298; ripreso anche in Ead., Segni e immagini delle Crociate cit. 18 J. Folda, Crusader art in the Holy Land, from the Third Crusade to the Fall of Acre, 1187-1291, Cambridge 2005, pp. 447454; K. Weitzmann, Le icone del periodo delle crociate, in Le icone, Milano 2000, pp. 184-209: 200. 19 M. Frinta, The Kykkotissa and Her Variants; in Search for Italian Painters on Cyprus, in P.W. Wallace (a cura di), Visitors, Immigrants, and Invaders in Cyprus. Proceedings of the Cyprus Conference, Institute of Cyprus Studies, Albany 1995, pp. 104113. 20 Weitzmann, Le icone del periodo delle crociate cit., p. 197; L. Misguich-Hadermann, La Vierge Kykkotissa et l’éventuelle origine latine de son voile, in Euphrosynon, 1, 1991, pp. 197-204. 21 G. Babic, Il modello e la replica nell’arte bizantina delle icone, in Arte cristiana, 724, 1988, pp. 61-77, in particolare pp. 68-69; M. Bacci, Il pennello dell’evangelista. Storia delle immagini sacre attribuite a San Luca, Pisa 1998, in part. pp. 207-212; 203 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino Fig. 9. - Berlino, Christliche Archäologische Universität Sammlung, Salterio, Madonna Hodegitria. Fig. 10. - Sinai, Monastero di Santa Caterina, Vergine Kykkotissa. gine nell’affresco barlettano con quello dell’icona sinaitica duecentesca attribuita a maestranza veneziana (figg. 6 e 10), in cui il Cristo indossa una tunica bianca sovrastata da una fascia purpurea. Tale fascia in origine doveva indicare il ruolo del Cristo Sacerdote, essendo tipica dell’abbigliamento liturgico; replicata in numerose icone, non necessariamente legate all’epiteto della Kykkotissa 22, probabilmente è stata riprodotta nel periodo degli intensi rapporti tra Oriente e Occidente, soprattutto dopo la Quarta Crociata, in alcune immagini devozionali occidentali, forse senza essere realmente compresa nel suo significato liturgico, come ha ipotizzato Gordana Babic 23, fino ad assumere la singolare forma di una rigida cintura collegata a due bretelle. Così figura nelle icone della Madonna del Terremoto di Potenza, della Madonna con Bambino proveniente dalla chiesa di Santa Margherita di Bisceglie, della Madonna con Bambino del Monastero delle Vergini di Cosenza e della Madonna delle Vergini della Pinacoteca di Bari, tutte datate tra fine XIII e inizi del XIV secolo. La Vergine in trono di Barletta potrebbe dunque essere una delle prime repliche pugliesi – contaminata con l’aggiunta degli arcangeli incensieri – della Vergine Kykkotissa. La commistione dei motivi iconografici, insieme alla incomprensione di alcuni dettagli, non fa che confermare, lo abbiamo già eviden- D. Kotula, ‘Maniera Cypria’ and Thirteenth Century Icon Production on the Island of Cyprus: a Critical Approach, in Byzantine and Modern Greek Studies, 28, 2004, pp. 89-100; L. Kouneni, The Kykkotissa Virgin and its Italian Appropriation, in Artibus et Historiae, 57, 2008, pp. 95-107. Si veda anche, più in generale, A. Nicolaou-Konnari, C. Schabel, Cyprus: Society And Culture 11911374, Leiden-Boston 2005. 22 Si vedano, per esempio, alcune icone serbe della Vergine Pelagonitissa illustrate nel citato contributo di Babic, Il modello e la replica cit. 23 Ringrazio Pina Belli D’Elia per avermi condiviso queste osservazioni che derivano da una lezione tenuta qui a Bari da Gordana Babic su questo tema, osservazioni alle quali non avrei mai potuto avere accesso senza la sua generosità. 204 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro Fig. 11. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, Vergine in trono con Bambino tra Arcangeli e santi, particolare con la raffigurazione dei committenti. ziato, se non una derivazione diretta di modelli, quantomeno la vicinanza con i contesti culturali crociati e in genere d’Oltremare. Non si riesce dunque, nonostante i tentativi di lucidi ragionamenti, a uscire dalle maglie di una rete di contatti tra la produzione pittorica pugliese del Duecento e la cultura artistica crociata, che pure per certo ci sono stati ma sono a tutt’oggi di difficile documentazione e si resta nel campo delle ipotesi, pur se suggerite da validissimi indizi: dunque l’abside della chiesa barlettana si inserisce chiaramente tra questi indizi. Per quanto attiene ai restanti affreschi collocati ai lati del trittico della Vergine in Trono, nulla più che l’osservazione della presenza di un vescovo a sinistra e di due santi a destra è possibile registrare, e resta improponibile ogni ipotesi identificativa. Dalla rovina generale sono scampati comunque i ritratti di tre committenti (fig. 11): una donna e una figura mutila ridotta a una macchia di colore azzurro, poste ai lati del santo con il mantello verde salvia, e una figura maschile al lato dell’ultimo santo a destra. Si tratta probabilmente di nobili, come lascia trasparire il sontuoso abbigliamento dei primi due, che indossano eleganti abiti cortesi provvisti di mantelli con rovescio di vaio, secondo la moda angioina diffusa a par- tire dal tardo XIII secolo. È un indicatore cronologico di non poca importanza, in questo contesto frammentario che causa legittime difficoltà attributive aggrappate finora a scivolose questioni formali. Di notevole rilevanza, per esempio, è il fatto che l’abito della donna sia molto accollato e presenti delle maniche allungate, ma non oltre i tre quarti della figura: le due caratteristiche infatti ci consentono di datare il dipinto con relativa sicurezza a un periodo antecedente i primi decenni del XIV secolo e successivo agli anni Settanta del XIII. Il colore rosso porpora e la perlinatura ricamata sull’abito rimandano inoltre con chiarezza a un contesto laico e nobiliare. A sostegno di una forchetta cronologica tardo duecentesca è anche la composizione formale e scenografica dei due committenti, posti all’interno della scena sacra, ai piedi dei santi, in dimensioni ridotte ma comunque non inginocchiati, e in posa orante, secondo una consuetudine rappresentativa che si diffonde in area rupestre e non soprattutto durante la prima età angioina 24. Resta tuttavia senza 24 Come ho sottolineato più volte nei miei studi, ritengo la chiesa di Santa Maria del Casale di Brindisi un vero e proprio spartiacque nel panorama pittorico regionale, che segna una cesura netta rispetto alle consuetudini locali nel modo di autorap- 205 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino 13-14-15). L’impaginazione spaziale del dipinto lascia supporre una scelta condizionata dalla presenza di altri dipinti sopra e accanto a esso. Non si vede per quale motivo il pittore, che in merito alla gestione degli spazi mostra una notevole disinvoltura, non abbia voluto selezionare una porzione meno vincolante della parete 25. L’adattamento scenografico della scena di Annunciazione su nicchie, pareti, angoli di risulta di archi e arcate è piuttosto frequente, sia in contesti orientali sia in contesti occidentali. Tuttavia la riuscita formale di questo brano pittorico è piuttosto felice (fig. Fig. 12. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, tribuna, San Michele Arcangelo, Santo, San 13), poiché condensa efficacePietro. mente in una porzione molto ririsposta il quesito su chi abbia potuto sentire l’esidotta una scena che postula una importante cesura genza, tra gli esponenti delle più illustri famiglie barspazio-temporale. C’è un ‘prima’ e un ‘fuori’, che lettane (o forse non barlettane?), di ritagliarsi una corrispondono al momento in cui l’Angelo giunge porzione di parete così prestigiosa in una chiesa così presso la casa della Vergine, e c’è un ‘dopo’ e un importante per la città. Alcune lettere – non identifi‘dentro’, che corrispondono al momento in cui la Vercabili – presumibilmente afferenti a una iscrizione degine interrompe la sua attività perché sorpresa dalvozionale tracciate al di sopra del capo della donna, l’arrivo dell’Angelo. probabilmente ne dichiaravano, insieme alla richiesta Altrove 26 mi sono già soffermata sulla modalità di pro remedio animae, anche l’identità, come di solito impaginazione di questa scena, che in Puglia mostra accade in casi simili. Ma non sono, ancora una volta, sempre, fino alle soglie del Trecento, la ripetizione di che frammenti. uno schema debitore di modelli bizantini legati alSe gli affreschi dell’abside hanno riproposto con l’idea della Vergine operosa, ovvero della Vergine forza la questione dei rapporti con la Terrasanta, ancolta dall’Angelo nel momento in cui fila la porpora per il Tempio di Gerusalemme. Il lavoro della Vergine cora più cogenti risultano in tal senso i dipinti della riscatta, dal punto di vista teologico, la colpa di Eva. tribuna, in particolare quelli inerenti le due icone Ed è esattamente in quel momento, il momento in cui agiografiche di San Sebastiano e Sant’Antonio Abate Maria accetta senza capire, dichiarandosi serva del Siche si dispongono ai lati dell’Annunciazione (figg. presentarsi della committenza laica all’interno delle immagini devozionali. Il caso barlettano potrebbe avvicinarsi agli affreschi brindisini, anticipandone di qualche decennio la composizione, ma purtroppo la rovina dell’affresco non consente di osservare la presenza di insegne araldiche familiari né all’interno della scena né ai margini inferiori delle cornici. Sulle modalità di raffigurazione dei committenti laici all’interno delle scene sacre si veda: M. Bacci, Investimenti per l’aldilà: arte e raccomandazione dell’anima nel Medioevo, Roma-Bari 2003. 25 Si consideri inoltre che la parete opposta a questa è ugual- mente rivestita da resti di dipinti isolati, delimitati da cornici rosse, tra i quali spicca una Vergine in trono con Bambino la cui cornice inferiore occupa la ghiera dell’arco della finestra. Accanto alla finestra, sulla destra, compare un san Michele Arcangelo, seguito da altri due santi stanti (san Francesco e san Pietro? Si veda fig. 4). Tali dipinti, con l’eccezione della Vergine, risultano particolarmente danneggiati, avendo perso molte velature superficiali. Tale stato di conservazione, purtroppo, limita notevolmente la lettura anche solo iconografica dell’insieme pittorico. 26 G. Perrino, Affari pubblici e devozione privata cit. pp. 85 ss. 206 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro Fig. 13. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, tribuna, Annunciazione. gnore, che si riscatta il peccato originale 27. Ma spesso nei dipinti bizantini realizzati tra X e XI secolo l’Annunciazione era stata suddivisa in due momenti: quello dell’arrivo dell’Angelo, con conseguente sorpresa della Vergine, che è fuori dalla sua casa, al pozzo, e quello dell’Annuncio con conseguente accettazione, raffigurato dentro la casa della Vergine. Le esigenze di impaginazione spaziale rendono in seguito necessario condensare la narrazione in un’unica scena, che vede la Vergine seduta a filare la porpora colta esattamente nel momento in cui si gira perché chiamata dall’Angelo. Anche nel dipinto del Santo Sepolcro la Vergine è seduta, ma non sta filando: sta evidentemente leggendo. La variante iconografica è stata interpretata attribuendo al libro il valore di simbolo del lavoro intellettuale, in sostituzione della conocchia e del fuso che rappresentano il lavoro materiale della filatura. Tale sostituzione sarà definitivamente compiuta nei primi del Trecento e riproposta in tutte le scene di Annunciazione successive al periodo medievale. Nella nostra regione questo schema si dif- fonderà solo a partire dal pieno Trecento: la Vergine, che ha visto e sentito l’Angelo, si è alzata, ha interrotto la lettura ed è raffigurata di fronte a lui: dunque ha già ricevuto l’annuncio e accoglie ora su di sé la colomba dello Spirito Santo. Al di là delle sottili questioni teologiche, è utile ai fini del nostro discorso registrare la persistenza, a Barletta, di un modello legato alla sfera orientale – cioè la Vergine che è seduta e si gira, chiamata dall’Angelo – interpolato con la novità del libro, più marcatamente legato a scene di ambito occidentale, e teologicamente conclusa, grazie all’esplicitazione del dialogo avvenuto tra i due protagonisti (il saluto dell’Angelo AVE GRATIA PLENA D(O)M(INU)S TECUM è scritto nella cornice rossa sopra di lui, la risposta della Vergine ECCE ANCILLA DOMINI. FIAT M(IHI) S(ECUNDUM) [VERBUM TUUM] è scritta nel libro aperto che regge Lei, che chiude in un cerchio perI. Biffi, Il sì di Maria. La figura della madre di Dio nella teologia medievale, Milano 2006. 27 207 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino Fig. 14. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, tribuna, Sant’Antonio Abate e storie della sua vita. fetto la narrazione spazio temporale del prima/dopo e dentro/fuori. Volgiamo ora l’attenzione alle due raffigurazioni dei santi Sebastiano e Antonio (figg. 14-15), certamente i più noti e studiati affreschi della chiesa, nominati, a partire dal Bertaux, in quasi tutte le pubblicazioni dedicate alla pittura medievale pugliese. Si tratta, come noto, di icone agiografiche murali, che riproducono a fresco modelli su tavola provenienti da Bisanzio, dalla Grecia, da Cipro e ampiamente diffusi nel Mediterraneo dopo la diaspora e dispersione degli oggetti liturgici seguita al sacco di Costantinopoli del 1204 per mano crociata 28. Nonostante la frequente citazione negli studi, a partire dal D’Elia per proseguire con Pace, Milella Lovecchio, Falla Castelfranchi 29, le due icone sono state in realtà poco studiate. Andrebbero innanzitutto sciolte le descrizioni delle scene, possibilmente facendo riferimento alle fonti agiografiche, e identificati i modelli di riferimento (se esistano o meno icone agiografiche orientali, su tavola, dedicate a sant’Antonio Abate e san Sebastiano e precedenti le due icone 28 Sul tema, vastissimo e ampiamente studiato, rimando in generale all’imprescindibile J. Folda, Crusader Art in the Holy Land cit., con bibliografia precedente. Sulle icone agiografiche, si veda K. Weitzmann, Icon Programs of the 12th and 13th Centuries at Sinai, in Deltion tēs Christianikēs Archaiologikēs Hetaireias, 12, 1984, pp. 63-116, in part. 94-103; N. Patterson Ševčenko, The ‘Vita’ Icon and the Painter as Hagiographer, in Dumbarton Oaks Papers, 53, 1999, pp. 149-165. 29 Per la bibliografia, si veda supra, nota 1. 208 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it La decorazione pittorica della chiesa del Santo Sepolcro murali barlettane) e i loro tramiti; e sarebbe d’uopo, infine, spiegare anche le scelte della committenza in termini iconografici e stilistici. Già Valentino Pace aveva indicato, per l’icona agiografica relativa a sant’Antonio, come la narrazione fosse incentrata su due temi: la scelta e la conduzione dei primi anni di vita eremitica del santo (tre scene a sinistra dell’immagine centrale) e le vicende del suo incontro con Paolo di Tebe (quatto scene a destra) 30. Come giustamente nota lo studioso, l’eremita è rappresentato sempre come un uomo anziano in abito monastico; l’espediente, che piega la narrazione diacronica e sequenziale in funzione didascalica allo scopo di creare un inequivocabile sistema di identificazione del protagonista (peraltro garantita dall’iscrizione esegetica), può trovare giustificazione, a mio avviso, anche e forse meglio in una fissità temporale di natura teosofica, agganciandosi alle parole di Atanasio di Alessandria, biografo del santo e suo epigono. Atanasio infatti, dopo aver raccontato della scelta di Antonio di vendere i propri averi e dedicarsi alla vita ascetica, indotto dalle parole del Vangelo di Matteo ascoltate in chiesa 31 (scena I, partendo da sinistra in alto) afferma che egli visse così quasi vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza mai uscire, senza mai farsi vedere da qualcuno. Poi, molti che desideravano imitare la sua condotta ascetica, e altri suoi conoscenti, si recarono da lui. Abbatterono con forza la porta e Antonio andò loro incontro come un iniziato esce da un recesso, ispirato da Dio. Allora, quelli che erano andati da lui per la prima volta, lo videro fuori del fortino. Si stupirono nel vedere che il suo fisico era sempre lo stesso, non ingrassato né dimagrito per i digiuni e le lotte con i demoni. Era, insomma, come l’avevano visto prima del ritiro dal mondo. Il suo spirito era puro; non appariva né triste né gioioso, non era scosso né dal riso né dalla mestizia, neppure si turbò davanti a tanta folla, né fu visto gioire perché era salutato da tante persone. Rimase sempre padrone di sé; si lasciava guidare dalla ragione, sempre con animo pieno di equilibrio 32. 30 Pace, Echi della Terrasanta cit., p. 405; per la lettura iconografica si veda Bibliotheca Sanctorum, Roma 1968, vol. II; G. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South Italian Painting, Firenze 1986, n. 31, coll. 75-104. E in tal guisa il santo è rappresentato anche quando, uscito dal suo eremitaggio, riceve tutti i monaci dei monasteri circostanti che gli si fanno incontro e lo pregano di tenere un discorso. Atanasio riporta parola per parola il lungo discorso di Antonio, espresso «in lingua egiziana», a tutti gli effetti assimilabile a una predica, con numerosi particolari che indugiano su rimandi moraleggianti e dottrinari. Dice Antonio, tra le altre cose: Le Scritture sono sufficienti all’insegnamento; ma è bene che noi a vicenda ci esortiamo nella fede e ci incitiamo con i discorsi. Voi, come figli, riferite a me, come a un padre, le cose che sapete. E io, essendo più anziano di voi, vi riferirò quello che so e che ho sperimentato. Sia questa la comune aspirazione di tutti: non retrocediamo dopo aver cominciato, non scoraggiamoci nelle fatiche, non diciamo mai ‘abbiamo praticato per molto tempo l’ascesi’ (…). Mentre Antonio diceva queste cose, tutti godevano. In alcuni si accresceva l’amore per la virtù, in altri si allontanava la pigrizia, in altri ancora si spegneva la superbia. Tutti erano persuasi che le insidie dei demoni sono degne soltanto di disprezzo e che ad Antonio il Signore aveva concesso la grazia del discernimento degli spiriti 33. Non sorprende, data l’essenza e la qualità del discorso pronunciato da Antonio, che il frescante abbia pensato di rappresentare il santo mentre parla da una sorta di pulpito (scena II, proseguendo dall’alto verso il basso), assimilando la sua figura a quella di un predicatore. La gestualità degli astanti non lascia dubbi: rispettosi della sua figura e della sua persona, lo ascoltano e si inginocchiano al suo cospetto in atteggiamento reverente, riconoscendone l’autorevolezza e la santità. La scena successiva (scena III) potrebbe far riferimento a uno dei momenti di raccoglimento in preghiera del santo, sempre più desideroso di una vita totalmente eremitica e ascetica, come conferma anche il racconto di Atanasio, e forse la perduta scena seguente potrebbe aver rappresentato il momento in cui Antonio finalmente si stabilisce sul monte indicatogli Atanasio di Alessandria, La vita di Antonio, capitoli 2-3. Ivi, capitolo14. 33 Ivi, capitoli 16-44. 31 32 209 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino da Dio, luogo fisico del ‘deserto interiore’ che la sua anima anelava 34. Le quattro scene poste a destra della figura centrale, come già rilevato da Pace, sono invece connesse al viaggio di Antonio verso l’eremita Paolo 35. Lungo il suo percorso, Antonio incontra un centauro (scena IV), un satiro (scena V) e una lupa assetata nascosta in un antro buio (scena VI), che lo condurrà infine all’incontro con Paolo. La figura mutila della scena VII è identificabile proprio con l’eremita ultracentenario, che morirà poco dopo e sarà seppellito da Antonio in una fossa scavata da due leoni. Nonostante la grave perdita delle scenette della parte inferiore dell’icona, se la lettura e ricostruzione proposta in questa sede è corretta, sembra evidente che dietro l’impaginazione iconografica ci sia una scelta puntuale degli episodi agiografici, dettata da esigenze cultuali e forse anche liturgiche molto precise da parte dei monaci che frequentavano la cappella superiore della chiesa del Santo Sepolcro. È anche vero, va rilevato, che l’insistenza sui temi e toni moraleggianti e sulla capacità dei santi di resistere a tentazioni d’ogni genere o sopportare martirii atroci resta costante in tutta la produzione delle icone agiografiche bizantine e crociate, nonché nelle loro riproduzioni a fresco sulle pareti delle chiese pugliesi. L’immagine centrale del santo, ieratico, severo e barbuto quanto basta per comunicare la sua ascetica santità, abita uno spazio tripartito verde, ocra e azzurro. L’iscrizione esegetica S[ANCTUS] ANTONIUS, perfettamente conservata, spicca per l’eleganza dei caratteri gotici. Il santo è raffigurato in modo piuttosto canonico, anche se sul suo braccio destro compare una inconsueta fascia bianca crociata che ricade verso il basso, mostrando la decorazione raffigurante un santo identificato da D’Elia con san Giorgio 36. Un particolare che resta di difficile interpretazione, se non, come è stato già spiegato, nell’ambito di un generico rapporto con l’Oltremare crociato. Uno sguardo più attento però rivela anche altre peculiarità finora non rilevate, mi sembra, come la presenza sulla su- perficie pittorica di alcuni interessanti graffiti: si distinguono con chiarezza almeno tre scudi sannitici, certamente insegne araldiche, a destra e a sinistra del santo, all’altezza delle mani, e una figuretta orante, incisa con mano sicura appena sopra la mano sinistra del santo che sorregge il bastone a tau, suo attributo iconografico peculiare. I suoi contorni sono così ben delineati che non vi è alcun dubbio sul fatto che sia raffigurata inginocchiata nella tipica posa dell’offerente. Si tratta di interventi certamente successivi alla originaria esecuzione dell’affresco, ma non più tardi della metà del XIV secolo, come sembrano suggerire forma e struttura araldica degli scudi sannitici. La scelta di eseguire graffiti con scudi araldici sull’intonaco di affreschi più antichi non rappresenta un caso isolato alla chiesa del Santo Sepolcro. Se ne trova un esempio molto significativo, infatti, in Santa Maria della Lizza ad Alezio, un tempo intitolata a Santa Maria de Cruciata, dove scudi araldici graffiti e dipinti su uno dei pilastri che delimitano l’accesso al transetto sono stati messi in relazione con il passaggio di cavalieri crociati in partenza o di ritorno dalla Terrasanta 37; ma anche nella chiesa rupestre di Jazzo Ognissanti sul Gargano 38 (fig. 15) o, ancora, nella stessa Barletta, nella chiesa di Santa Lucia, dove si riconosce un’insegna araldica della famiglia Della Marra. Una sola insegna araldica, anch’essa di difficile identificazione, è stata graffita anche sull’altro affresco, dedicato a san Sebastiano, a sinistra dell’Annunciazione. Si tratta in questo caso di un’icona agiografica che presenta le scene solo da un lato, in riquadri più grandi rispetto al sant’Antonio. La selezione degli episodi della vita del santo ci risulta oscura, poiché si conserva solamente una scena integra, mentre la seconda è mutila. Considerando le proporzioni dei due riquadri e la loro posizione rispetto all’immagine centrale, è possibile ipotizzare la presenza di un terzo riquadro sottostante ai primi due, purtroppo del tutto perduto. Nella prima scena, il santo, identificato dall’iscrizione dipinta sulla cornice superiore (S[ANCTUS] SEBAS|STIANUS), sopra la sua aureola, si rivolge Ivi, capitoli 49-50. 35 Il racconto della vita eremitica di Antonio nell’incontro con Paolo di Tebe è tratto dalla Vita di san Paolo primo eremita di Girolamo di Stridone. 36 D’Elia, Aggiunte alla pittura pugliese cit., p. 65. 37 Perrino, Affari pubblici e devozione privata cit., nota 208, p. 70; A. Pepe, S. Maria de Cruciata (della Lizza) presso Gallipoli. Ancora una nota sulla cultura d’Oltremare in Terra d’Otranto, in La Terrasanta e il crepuscolo della crociata cit., pp. 135-144. 38 C. Serricchio, L’insediamento rupestre di Jazzo Ognissanti in territorio di Monte S. Angelo, in IV Convegno sulla preistoria, protostoria, storia della Daunia. San Severo, 17-19 dicembre 1982, San Severo 1985, pp. 127-135. 34 210 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it con il gesto della adlocutio verso tre donne, che indossano semplici tuniche e hanno il capo coperto da una bianca fascia aderente che raccoglie i capelli, avanzando verso di lui con un seno scoperto. Dal cielo emerge la mano di Dio: anch’essa, come quella di san Sebastiano, è una ‘mano parlante’ 39, che infonde nel santo saggezza e fortezza. Kaftal interpreta la scena – un unicum nelle rappresentazioni Fig. 15. - Barletta, Chiesa del Santo Sepolcro, tribuna, San Sebastiano e storie della sua biografiche del santo conosciute vita. – identificando nelle tre donne La presenza, nella cappella superiore della basile mogli e la madre dei fratelli Marco e Marcellino 40, lica, dei due santi Antonio e Sebastiano, entrambi inconvertiti da Sebastiano al cristianesimo e pronti ad vocati contro la peste 42, venerati secondo il calendaabbandonare la famiglia per andare incontro al martirio romano l’uno il 17, l’altro il 20 gennaio, sembra alrio. Le donne mostrerebbero i loro seni, fonte di nuludere per la scelta delle scene biografiche in modo trimento per i figli, per commuovere Sebastiano e molto chiaro al percorso martiriale e dunque esemconvincerlo a dissuadere Marco e Marcellino dal loplare di entrambi, con un’enfasi particolare per gli ro proposito, la cui conseguenza sarebbe la rovina dei aspetti relativi alla predicazione e alla diffusione della figli. La scena successiva vede Sebastiano, scortato fede cristiana per quanto concerne Antonio e per gli da un soldato armato di tutto punto con cotta di maaspetti relativi alla pratica di difensore della fede per glia, lancia e scudo, recarsi probabilmente di fronte al quanto concerne Sebastiano. giudizio di Diocleziano o Massimiano (non è noto La figura centrale di san Sebastiano, in particolare, l’anno di morte di Sebastiano né chi dei due lo abbia è rappresentata secondo i caratteri iconografici canocondannato): l’affresco è interessato da una vasta lanici dei soldati e martiri di Cristo vittime delle prime cuna, dalla quale si può solo riconoscere il copricapo persecuzioni contro i cristiani. Con il palmo della di qualcuno che fronteggia il santo, ma l’impaginamano destra rivolto verso il riguardante, il santo regge zione è del tutto simile a numerose altre scene di connella mano sinistra una croce astile. Indossa una tufronto tra confessori della fede cristiana e detrattori nica sotto un mantello purpureo annodato sul petto e pagani, come si vede ad esempio nelle Storie di Sanricadente solo dal lato destro e porta i capelli compota Marina e Santa Caterina in Santa Maria della Crosti in due bande che si curvano sotto le orecchie in ce a Casaranello, datati al terzo quarto del XIII secograndi riccioli, secondo la tipica moda duecentesca. lo 41. Sarà l’imperatore in persona a decretare la conL’aureola è percorsa da un motivo perlinato che incadanna a morte di Sebastiano per la sua costanza nella tena rombi irregolari alternati, di colore verde e marprofessione di fede cristiana. Non possiamo però sarone, simulando forse un filo di pietre preziose pere quale sia il seguito della vicenda secondo la narrilevate. Quest’ultimo dettaglio apre la via ad alcune razione per immagini della chiesa barlettana: come riflessioni conclusive. già evidenziato, infatti, manca l’ultima scena. Sul tema della ‘mano parlante’ si veda C. Frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Torino 2010, pp. 67 ss. 40 G. Kaftal, Iconography of the saints cit., col. 1000. 41 A. Prandi, Pitture inedite di Casaranello, in A. De Bernart 39 (a cura di), Paesi e figure del vecchio Salento, Galatina 1980, pp. 273-327; G. Curzi, Svevi o Angioini alla periferia di Bisanziole Storie di Santa Caterina e Santa Margherita sulla volta di S. Maria della Croce a Casaranello (Lecce), ne “Arte medievale”, VI, 2016, pp. 173-184.. 42 Bibliotheca Sanctorum 211 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Giulia Perrino L’esistenza di icone duecentesche su tavola a Cipro e nel Monastero di Santa Caterina sul Sinai con aureole decorate da pastiglia in gesso o da rize argentee, e la relativa frequenza di icone ad affresco in Puglia e Basilicata che riprendono tali modelli decorativi, ha costituito a lungo uno dei più dibattuti caratteri che testimonierebbero gli stretti rapporti tra Puglia, Cipro e Terrasanta nell’età delle crociate, e in particolare nel Duecento, dopo le date cardine della caduta di Costantinopoli nel 1204 e della caduta di Acri nel 1291 43. Ancora una volta, si tratta di temi impostati, fortemente discussi e poi caduti in un buco nero senza soluzione. Non si può non essere d’accordo con chi sosteneva, già alcuni anni fa, che è troppo difficile etichettare con il nome di ‘arte crociata’ prodotti artistici elaborati nell’Oriente Latino i cui esiti sul piano formale non sono affatto univoci 44. Del resto, anche solo prendendo in considerazione le presunte caratteristiche crociate dei dipinti barlettani che sono state maggiormente evocate dagli studiosi – l’aureola di san Sebastiano e lo stendardo raffigurante san Giorgio poggiato sul braccio di sant’Antonio Abate – sorge spontaneo chiedersi se si possa attribuire, in forza di alcuni dettagli iconografici e preziosismi stilistici, un carattere ‘crociato’ alla pittura pugliese. Sosteneva Pina Belli D’Elia che: si ripropone insomma ancora una volta il solito dilemma: dando per scontata l’esistenza, in area mediterranea, di dipinti e immagini nella quali la tradizione orientale si presenta reinterpretata in una chiave ibrida di impronta occidentale, è legittimo ricondurne una parte nell’ambito degli ateliers crociati? E in tal caso, cosa si intende con questa espressione? Pittori greci che lavorano per gli occidentali, o viceversa, pittori locali che lavorano per gli uni e per gli altri? E per quanto riguarda il rapporto con l’Italia meridionale, si deve riconoscere una componente ‘crociata’ nella pittura meridionale o si deve pensare a pittori meridionali che operano nel Regno Latino? Così, con questo interrogativo e ambiguità di fondo, il cerchio, sembra per ora chiudersi su se stesso. 43 M. Frinta, Raised Gilded Adornment of the Cypriot Icons, and the Occurrence of the Technique in the West, in Gesta, 20, 2, 1981, pp. 333-347. Non sento, a quasi quindici anni di distanza da questo discorso, di potermi discostare molto dalle perplessità della Belli D’Elia, che riesce in poche battute a riassumere un dibattito critico ampio e complesso. La questione della pittura crociata pugliese resta un nodo irrisolto forse perché semplicemente impossibile da risolvere, proprio per quei caratteri endemici cui si faceva riferimento all’inizio di questo contributo: carenza di fonti documentarie, persistenza di temi e modelli iconografici ancorati all’iconismo e alla presentazione di santi paratattici sotto arcatelle, abbondante presenza di Vergini dalle iconografie commiste (e per le icone su tavola dalla provenienza incerta), ma soprattutto frammentarietà e rovina di gran parte del patrimonio, non consentono in nessun caso di fare valutazioni che si possano legittimamente supporre come letture esaustive del fenomeno. Per quel che concerne nello specifico gli affreschi della chiesa del Santo Sepolcro di Barletta, le osservazioni maturate portano qualche dato in più a favore di una datazione piuttosto tardiva, rispetto a un generico XIII secolo fin qui indicato, sia per gli affreschi dell’abside sia per quelli della tribuna, attestandosi a mio avviso sugli ultimi decenni del Duecento, forse in congiuntura con la caduta di San Giovanni d’Acri. Un po’ più spostati verso il pieno Trecento sono i due affreschi superstiti della navata, pienamente inseriti, come già indicato, nel clima culturale del maturo gotico pugliese. Se per questi ultimi dipinti, peraltro, è sin troppo semplice evocare la presenza di una bottega di maestranze locali aggiornate su fatti napoletani di marca giottesca e senese, ben più complessa – e non mi sembra di dire nulla di nuovo – risulta l’attribuzione degli altri affreschi, chiaramente in bilico tra tradizione locale e istanze ‘crociate’; ma sarebbe meglio dire, forse, di portata mediterranea, restituendo alla pittura pugliese quella sua peculiare capacità di profondo assorbimento e improvvisa risalita di tutti gli ‘inspiegabili’ caratteri orientali che la pervadono, simili alle gocce d’acqua che, percolando attraverso la pietra calcarea, riaffiorano in superficie a decine di chilometri di distanza dai luoghi dove sembravano essersi dissolte. 44 Falla Castelfranchi, Pittura monumentale cit., p. 122. 212 TRA ORIENTE E OCCIDENTE - ISBN 978-88-7228-873-3 - DOI HTTP://DX.DOI.ORG/10.4475/873 © 2018 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it