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Il poema che cammina. La letteratura cavalleresca nell'opera dei pupi

2019, Edizioni Museo Pasqualino

Il poema che cammina parla dello strettissimo rapporto tra lettera-tura cavalleresca e opera dei pupi: un lungo viaggio che, passando per tempi e luoghi diversi, porta Orlando, Rinaldo e gli altri protago-nisti dei poemi in ottava rima a camminare davvero, sul palcosceni-co dei "teatrini". L'opera dei pupi rappresenta una parte fondamentale e fi nora tra-scurata nella storia della ricezione della letteratura cavalleresca, dei grandi capolavori come dei poemi minori. Allo stesso modo, il rapporto con la parola scritta è un ambito ancora poco studiato ma centrale dell'opera dei pupi. Basato su ricerche di prima mano sulle stampe, i copioni e le testimonianze orali, il libro esamina tutti i pas-saggi fra la letteratura cavalleresca e l'opera dei pupi: dai poemi in ottava rima scritti nel XV e nel XVI secolo alle riscritture in prosa di Giusto Lodico e Giuseppe Leggio e poi ai copioni dei pupari di Paler-mo, Catania e Puglia; dall'opera dei pupi tradizionale alle trasforma-zioni e innovazioni degli anni Sessanta e Settanta; fi no alle nuove e originali soluzioni dei pupari attivi ai nostri giorni. Anna Carocci è dottore di ricerca in Italianistica presso la Sapienza Università di Roma e cultore della materia in Letteratura Italiana presso l'Uni-versità degli Studi Roma Tre. Si occupa di letteratura cavalleresca e di editoria popolare del Cinquecento. Tra i suoi lavori si ricorda La lezione di Boiardo. Il poema cavalleresco dopo l'Inamoramento de

STUDI E MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA POPOLARE Anna Carocci è dottore di ricerca in Italianistica presso la Sapienza Università di Roma e cultore della materia in Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si occupa di letteratura cavalleresca e di editoria popolare del Cinquecento. Tra i suoi lavori si ricorda La lezione di Boiardo. Il poema cavalleresco dopo l’Inamoramento de Orlando (1483-1521), Manziana, Vecchiarelli, 2018. 6 IL POEMA CHE CAMMINA La letteratura cavalleresca nell’opera dei pupi Il poema che cammina Anna Carocci Anna Carocci Il poema che cammina parla dello strettissimo rapporto tra letteratura cavalleresca e opera dei pupi: un lungo viaggio che, passando per tempi e luoghi diversi, porta Orlando, Rinaldo e gli altri protagonisti dei poemi in ottava rima a camminare davvero, sul palcoscenico dei “teatrini”. L’opera dei pupi rappresenta una parte fondamentale e finora trascurata nella storia della ricezione della letteratura cavalleresca, dei grandi capolavori come dei poemi minori. Allo stesso modo, il rapporto con la parola scritta è un ambito ancora poco studiato ma centrale dell’opera dei pupi. Basato su ricerche di prima mano sulle stampe, i copioni e le testimonianze orali, il libro esamina tutti i passaggi fra la letteratura cavalleresca e l’opera dei pupi: dai poemi in ottava rima scritti nel XV e nel XVI secolo alle riscritture in prosa di Giusto Lodico e Giuseppe Leggio e poi ai copioni dei pupari di Palermo, Catania e Puglia; dall’opera dei pupi tradizionale alle trasformazioni e innovazioni degli anni Sessanta e Settanta; fino alle nuove e originali soluzioni dei pupari attivi ai nostri giorni. ISBN 978-88-97035-50-3 edizioni € 19,00 9 788897 035503 Museo Pasqualino edizioni Museo Pasqualino direttore Rosario Perricone edizioni Museo Pasqualino Studi e materiali per la storia della cultura popolare (nuova serie) ISSN 2421-5139 n. 6 Collana diretta da Rosario Perricone Comitato scientifico José Antonio González Alcantud Università di Granada Ignazio E. Buttitta Università degli studi di Palermo Matilde Civitillo Università degli studi di Enna “Kore” Gabriella D’Agostino Università degli studi di Palermo Salvatore D’Onofrio Università degli studi di Palermo Berardino Palumbo Università degli studi di Messina Caterina Pasqualino EHESS-LAIOS/CNRS - Parigi Carlo Severi EHESS-LAS/CNRS - Parigi Narcisa Alexandra Stiuca Università di Bucarest IL POEMA CHE CAMMINA La letteratura cavalleresca nell’opera dei pupi Anna Carocci edizioni Museo Pasqualino © 2019 Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino Piazzetta Antonio Pasqualino, 5 · 90133 Palermo · tel. (+39.91) 328060 www.edizionimuseopasqualino.it - info@edizionimuseopasqualino.it REGIONE SICILIANA Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana Redazione: Pier Josè Mannella, Alessandro Napoli, Rosario Perricone, Orietta Sorgi Progetto grafico Francesco Mangiapane Impaginazione Salvo Leo - Tundesign.it ISBN 978-88-97035-50-3 L’editore è a disposizione per eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore. in copertina: Rotta di Roncisvalle, cartello palermitano di Francesco Rinaldi, teatro di Francesco Sclafani, Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino. Il poema che cammina : la letteratura cavalleresca nell’opera dei pupi / Anna Carocci. Palermo Museo Pasqualino, 2019. (Studi e materiali per la storia della cultura popolare. Nuova serie ; 6) ISBN 978-88-97035-50-3 1. Opera dei pupi – Testi – Sicilia – Sec. 19.-20. - Influssi [dei] Romanzi cavallereschi. 791.5309458 CDD-23 SBNPal0315491 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” Indice Ringraziamenti...............................................................................................7 Introduzione .................................................................................................. 9 Le ragioni di una ricerca Problemi e pregiudizi sull’opera dei pupi Tappe della ricerca e struttura del lavoro Materiali e testimonianze 12 15 18 22 PARTE PRIMA IL LIBRO CHE VALE UN PERÙ: PUBBLICAZIONI CAVALLERESCHE NELL’OTTO-NOVECENTO ............................. 27 1. Dall’ottava rima alla prosa: Giusto Lodico ............................................. 29 1.1. La codificazione del repertorio 1.1.2. «Chi non ha udito strepitar le armi di Orlando e Rinaldo?» 1.1.3. Chi era Giusto Lodico 1.2. Il lavoro di Lodico 1.2.1. Selezione, intreccio e sutura 1.2.2. Fusioni, aggiunte e riscritture: storia di Malaguerra 1.2.3. Lodico e la tradizione cavalleresca 1.3. Illustrazioni e note: i caratteri materiali della Storia dei paladini 30 31 34 37 38 44 48 56 2. L’editoria in piazza ................................................................................... 71 2.1. Pietro Manzanares 2.2. Giuseppe Leggio 2.3. A tutta pagina: la rotta di Roncisvalle Appendice. Prospetto delle edizioni di Giuseppe Leggio 72 78 86 95 PARTE SECONDA LA VITA DEI TESTI: I COPIONI DALLE ORIGINI AL PRESENTE . 105 3. La passione dei paladini .........................................................................107 3.1. Il desiderio: ritratti di grandi pupari 3.1.1. Raffaele Trombetta 3.1.2. Gli Argento 3.1.3. I Canino 3.1.4. Emanuele Macrì 3.1.5. Giacomo Cuticchio 3.2. La missione di Pasqualino 107 109 111 112 114 115 123 4. Copioni e canovacci ................................................................................135 4.1. I copioni tradizionali 4.1.1. La trama del testo 4.1.2. Le varianti catanesi: storia e scrittura 4.1.3. Il rapporto con la Storia: Lodico e Leggio 4.2. I copioni pugliesi 4.2.1. I copioni Luigini-Lippolis 4.2.2. Le varianti narrative 4.2.3. Morte di Ruggiero dell’Aquila Bianca 136 140 146 154 160 161 167 174 5. La biblioteca di un puparo: il fondo Giacomo Cuticchio ..................... 187 5.1. Libri in dispense, libri in fotocopie, libri rilegati 5.2. I copioni: tradizione e metamorfosi 5.2.1. Il repertorio cavalleresco e l’altro repertorio 5.2.2. La rotta di Roncisvalle in doppia versione 5.2.3. Le serate autoconcluse: la morte di Ruggiero Appendice: Il “fondo” Giacomo Cuticchio 1. Copioni 2. Libri 187 193 193 198 205 209 209 210 6. Copioni d’autore: crisi e reazione degli anni Sessanta........................ 217 6.1. Fortunato Pasqualino e il testo scritto 6.2. Il teatro della parola e delle idee: Nino Amico 6.3. Spettacoli d’autore 6.4. I copioni dei fratelli Napoli 218 220 222 229 7. Un caso studio: La pazzia di Orlando ................................................... 233 7.1. I protagonisti 7.2. Il taglio della storia 7.3. Fonti e tradizione 7.4. Un teatro contemporaneo: i nuovi contenuti 7.5. «Alle armi, cavalieri!»: storie scritte, storie orali, storie di nuovo scritte 234 237 242 246 249 Bibliografia ...........................................................................................................................256 Indice dei nomi .................................................................................................................. 261 Ringraziamenti uesta ricerca non sarebbe mai stata possibile senza i mesi trascorsi a Palermo e le persone che vi ho incontrato. Il mio primo ringraziamento è quindi per il Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, che mi ha ospitata durante la mia permanenza e ora accoglie questo lavoro tra le sue pubblicazioni, e per tutti i suoi membri, in particolare la fondatrice Janne Vibaek, il direttore Rosario Perricone e la bibliotecaria Maria Fasino. Nessun elenco può sperare di dar conto dell’eccezionale ricchezza del patrimonio del Museo Pasqualino, perché si tratta in pari misura di una ricchezza di materiali e di una ricchezza d’ambiente. La Biblioteca del Museo mette a disposizione dell’esperto e del curioso un’altissima percentuale di quanto è stato scritto da e sull’opera dei pupi: accanto a quella che è senza dubbio la più vasta e rappresentativa raccolta esistente di copioni dei pupari e all’insieme pressoché completo delle edizioni di Lodico e di Leggio (dalla metà dell’Ottocento all’ultima ristampa del 1993), gli scaffali ospitano un insieme incredibilmente ricco di studi e testi di riferimento, opuscoli e programmi di sala, materiale fotografico, testi editi e inediti, tesi di laurea e testimonianze dirette. E tutti questi materiali diventano storia viva negli spazi del Museo: non soltanto nelle grandi sale adibite all’esposizione, ma in ogni ambiente e in ogni stanza, dalle scale agli uffici, ci sono marionette, ombre orientali, pannelli di carretti; il corridoio che conduce alla biblioteca ospita una rastrelliera di pupi; nell’ufficio del direttore, dove sono custoditi i libri più antichi, fa bella mostra di sé un’intera collezione di teste; dallo stesso ufficio capita di sentir arrivare la musica di un pianino a cilindro spagnolo, recente acquisto del Museo; nella stanza del presidente, Antonio Pasqualino guarda il visitatore da due ritratti a olio; e non c’è parete cui non siano appesi fondali e cartelli. In breve, non è forse un luogo che si possa descrivere; ma è un luogo il cui fascino non abbandona mai il visitatore – o l’assiduo frequentatore – e che si ripete sorprendente a ogni visita. La mia massima gratitudine va poi ai protagonisti dell’opera dei pupi di cui ho avuto il piacere e l’onore di ascoltare i racconti e ammirare il lavoro: il Maestro Mimmo Cuticchio, che mi ha fatto dono della sua straordinaria testimonianza di artista, narratore, custode della memoria e innovatore della tradizione, mi ha messo a disposizione i materiali suoi e della sua famiglia e Q IL POEMA CHE CAMMINA 7 li ha animati con il suo racconto; la compagnia Figli d’Arte Cuticchio, di cui sono stata assidua (e a volte ossessiva) spettatrice, e soprattutto Elisa Puleo, Tania Giordano e Giacomo Cuticchio, che per primo mi ha aperto le porte del teatro; i fratelli Napoli, con un ringraziamento a parte per il Maestro Fiorenzo e soprattutto per Alessandro Napoli, che nella sua doppia veste di esperto maniante e studioso appassionato ha generosamente condiviso con me ricordi e spiegazioni, informazioni e ipotesi; la famiglia del Maestro Argento e il Maestro Enzo Mancuso. Per i loro commenti e il loro sostegno ringrazio Sandro Carocci, Carmelo Princiotta e Mirella Schino. Come sempre, la mia gratitudine più sincera va a Pasquale Stoppelli, il cui giudizio è per me fondamentale. Infine, un ringraziamento particolare è per Valentina Venturini, che ha seguito il mio lavoro dal principio alla fine, dandomi l’inestimabile supporto della sua competenza, dei suoi consigli e non ultimo del suo entusiasmo. 8 Anna Carocci Introduzione a letteratura cavalleresca ha sempre goduto di una straordinaria fortuna. Dal Duecento delle chansons e dei cantari al Cinquecento dei grandi poemi di corte, ricchi e poveri, nobili e popolani si sono raccolti per ascoltare e per leggere le gesta di Orlando e Rinaldo, le avventure meravigliose di Tristano e Lancillotto: quei che le carte empion di sogni, come dice sprezzantemente – ma splendidamente – Petrarca. Per secoli, la letteratura cavalleresca è stato uno dei generi più amati dal pubblico, la sua principale forma di intrattenimento: un diretto antenato dei romanzi e poi delle fiction televisive. Gli studi, soprattutto in tempi recenti, si sono ampiamente dedicati all’enorme fortuna di questo genere: alle modalità di circolazione dei poemi cavallereschi, che fin dall’inizio della storia della stampa hanno costituito una delle principali fonti di incasso per gli editori e sono stati oggetto di manipolazioni e truffe, operazioni editoriali e feroci concorrenze, e alla ricezione dei grandi capolavori. Il Morgante di Pulci, l’Orlando innamorato (o Inamoramento de Orlando) di Boiardo, la Gerusalemme liberata di Tasso e soprattutto l’Orlando furioso di Ariosto hanno infatti una storia d’eccezione, che si declina in Italia e all’estero nelle forme più varie e nei più diversi campi artistici: per secoli, dal Cinquecento al Novecento, i grandi poemi sono oggetto di continuazioni, imitazioni e traduzioni; dibattiti letterari e commenti; rielaborazioni in nuove forme letterarie, dai romanzi in prosa ai testi filosofici; nel campo delle arti figurative, i protagonisti delle storie cavalleresche diventano i soggetti privilegiati di illustrazioni e cicli pittorici, acqueforti e quadri, sculture e maioliche; e ancora, rivivono nel teatro di prosa, nel melodramma, nel cinema; anche nel fumetto. Di questa straordinaria storia di successo e rielaborazione, di amore e appropriazione, l’opera dei pupi è uno degli ultimi e più interessanti anelli. Un anello singolarmente poco studiato dal punto di vista letterario. Ed è sconfortante, perché si può dire che l’opera dei pupi costituisca l’estrema incarnazione del percorso compiuto dal genere cavalleresco: dopo aver animato tanti racconti e tanti testi scritti e dopo aver prestato le sembianze ad attori e attrici in carne ed ossa, i paladini trovano nei pupi una “forma deputata” in cui incarnarsi. Una forma che ancora oggi è vitale e attiva. Non solo. Rispetto a tutte le altre forme di fortuna del genere cavalleresco, l’opera dei pupi do- L IL POEMA CHE CAMMINA 9 vrebbe rivestire un singolare fascino agli occhi dei letterati per il suo inscindibile e peculiare nesso con la letteratura in ottava rima: nel Sei-Settecento le storie di cavalleria avevano vissuto in gran parte come vicende singole, scisse l’una dall’altra e raccontate soprattutto sul palcoscenico dei teatri di prosa o nel melodramma; con l’opera dei pupi si ritorna invece a un racconto lungo ed elaborato, declinato in un susseguirsi di episodi che nascono e proliferano l’uno dall’altro. Un racconto assai più vicino ai poemi cavallereschi del XV e del XVI secolo. Almeno a partire dai primi dell’Ottocento (ma con tutta probabilità da prima), le storie cavalleresche circolano in Sicilia riscuotendo un successo sempre maggiore. Diventano oggetto dei racconti dei contastorie o cuntisti, che si esibiscono nelle piazze, nei mercati, agli angoli delle strade e sotto le porte delle città; diventano materia dei pupari che fanno spettacolo con le marionette armate nei loro teatrini: racconti a puntate di un ciclo sempre più lungo e sempre più codificato, in cui ogni giorno la storia si interrompe sul più bello per dare appuntamento al pubblico per il giorno seguente. Diventano parte dell’immaginario e della vita quotidiana delle persone, con gli artigiani che fabbricano teste di pupi e gli stagnini che ne sbalzano le armature, con i dolci di zucchero a forma di paladini e i modi di dire coniati sulle loro storie: chiamare qualcuno Gano di Magonza significa sospettarlo di doppio gioco, raggiro, tradimento; se un bambino è strabico ha gli occhi “come Orlando paladino”; e ancora oggi per descrivere un fatto particolarmente tragico si dice “è successa la Valle”, con riferimento alla Valle di Roncisvalle, dove i paladini perdono la vita. Ma le storie cavalleresche diventano anche parte integrante degli ideali di artisti e spettatori del cunto e dell’opera dei pupi. Rinaldo, da sempre il personaggio più amato, incarna lo spirito ribelle, la capacità di ottenere ricchezze con metodi poco leciti (Rinaldo è povero, ma comanda una banda di settecento ladroni), il successo con le donne, la fedeltà alla religione e all’imperatore nonostante tutto. Carlo Magno rappresenta l’autorità, detestata e rispettata insieme. I personaggi più odiati non sono i nemici pagani ma i traditori, a qualunque religione appartengano: Almonte d’Asia, i tre fratelli spagnoli, e naturalmente Gano di Magonza. Accanto a queste componenti costanti e per così dire atemporali, l’opera dei pupi si fa volta per volta veicolo ed espressione delle idee, delle aspirazioni e dei valori che serpeggiano o dominano in quel particolare momento storico. Si dice ad esempio che in età pre-unitaria, quando le autorità guardavano con particolare sospetto ai teatri, essi servissero per far circolare messaggi anti-borbonici; e Gaetano Greco, mitica figura di fondatore dell’opera dei pupi a Palermo, era anche un luogotenente garibaldino che, quando Garibaldi fa il suo ingresso in città, mette la coccarda tricolore a Orlando (tricolore che il pupo sfoggia ancora oggi). Di contro, negli anni Ottanta dell’Ottocento, in un momento di sentimenti fortemente anti-francesi, il puparo catanese Angelo Grasso rinuncia al repertorio carolingio per mettere in scena la storia di Mazzini e di Garibaldi; e in epoca fascista un altro puparo molto noto, Francesco Sclafani, veste da balilla il suo 10 Anna Carocci INTRODUZIONE pupo presentatore.1 Questa forma di teatro così codificata (e dunque, si tende a pensare, stereotipata) è quindi sempre stata, in realtà, un teatro fortemente contemporaneo.2 Tra l’Otto e il Novecento le storie cavalleresche sono una parte fondamentale del patrimonio culturale dei siciliani: le usano i maestri per insegnare a leggere agli scolari, le raccontano i pescatori riparando le reti, le conoscono vecchi e giovani. Carlo Levi, in una straordinaria testimonianza-narrazione di due viaggi in Sicilia nei primi anni Cinquanta, racconta di essersi recato a Lercara Friddi a visitare delle zolfare in cui era in atto uno sciopero di lavoratori; lo accompagna, in veste d’autista, un giovane palermitano di nome Gianni. Nel viaggio di ritorno Gianni, che non sapevo che pensasse di quello che aveva visto a Lercara, ruppe a un certo punto il silenzio per dire coi suoi modi infantili: -Quel signor N. [il proprietario delle zolfare] ha proprio la faccia di Canimanza.- (Voleva dire Gano di Magonza). E di qui cominciò a raccontare storie di Paladini, di Orlando occhistorti, di Rinaldo capo dei quaranta ladroni, di Madama Roversa [Rovenza], la saracena fatata, che poteva essere uccisa soltanto dalla spada di Orlando, e soltanto se colpita in un solo luogo, il più intimo e nascosto e femminile; e come Rinaldo la uccise, dopo aver rubato, secondo il suo costume, la spada di Orlando, ed essersi sdraiato tra i morti, trafiggendola nel giusto punto, di sotto in su, mentre la guerriera passava.3 Nel giro di pochi decenni, tutto questo è cambiato: la conoscenza delle storie è un patrimonio che ormai appartiene soprattutto ai cuntisti e ai pupari, ovvero agli addetti al mestiere; e anche gli altri lavori connessi a questi racconti (la fabbricazione dei pupi, la pittura dei cartelli), prima distribuiti tra diverse figure di artigiano, sono condotti all’interno delle singole compagnie. Eppure, contrariamente a quanto si può e si tende a pensare, l’opera dei pupi non è affatto sopravvissuta esclusivamente sotto forma di folklore spettacolarizzato per turisti. Dopo la terribile crisi che colpisce il teatro dei pupi alla fine degli anni Cinquanta, e che spinge molte compagnie a chiudere e a svendere il mestiere (il teatro con tutto il suo contenuto, dai pupi ai copioni), i pupari che conservano o riprendono l’attività sono costretti a reinventarsi. Rinunciano a una serie di elementi fondamentali dell’opera dei pupi tradizionale, a partire dagli spettacoli organizzati in forma di continuum (un pezzo di storia ogni giorno), 1 Le fonti di queste testimonianze sono varie. Cfr. A. Pasqualino, L’opera dei pupi, Palermo, Sellerio, 1977, V. Venturini, Il tricolore di Orlando, in Ead., Nato e cresciuto tra i pupi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017, pp. 279-280, B. Majorana, Pupi e attori ovvero l’opera dei pupi a Catania. Storia e documenti, Roma, Bulzoni, 2008; la notizia su Sclafani mi è stata fornita da Mimmo Cuticchio, int. A. Il pupo presentatore è una marionetta “in paggio” (cioè non in armatura) che a inizio rappresentazione presenta al pubblico lo spettacolo del giorno. 2 Sull’argomento cfr. R. Perricone, Opra î pupi siciliana. Masterpieces of the oral and intangible heritage of humanity, in S. Brunetti, N. Paspualicchio (a cura di ), Teatri di Figura La poesia di burattini e marionette fra tradizione e sperimentazione, Edizioni di pagina, Bari 2014, pp. 63-76. 3 C. Levi, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, Torino, Einaudi, 2010 [1955], pp. 52-53. IL POEMA CHE CAMMINA 11 e ricorrono a nuove modalità narrative: spettacoli più brevi (un’ora, un’ora e mezzo contro le due o tre tradizionali) e soprattutto dotati di uno sviluppo narrativo autonomo, di una vicenda che abbia un inizio e una conclusione e sia comprensibile anche per un pubblico occasionale, che non ha visto l’episodio precedente e non tornerà ad assistere al successivo e che magari non conosce neanche la storia. Questa nuova tipologia di spettacoli viene di solito definita “per turisti”: è un’espressione che può apparire svalutante, e che infatti nasce in senso negativo, con riferimento alla repentina scomparsa di un intero universo socio-culturale, quello dell’opera dei pupi tradizionale e del pubblico popolare. Oggi, tutti gli spettacoli dell’opera dei pupi sono, di fatto, per turisti: per un pubblico occasionale e non popolare. È importante però sottolineare che lo stesso termine può indicare due tipologie di spettacoli ontologicamente diverse: la prima tipologia è quella che lascia quasi completamente da parte la storia per dedicarsi alla rappresentazione delle scene di battaglia, concentrandovi tutti gli “effetti speciali” caratteristici dell’opera dei pupi (teste che saltano e busti spaccati) che suscitano lo stupore e il plauso dei turisti; la seconda coincide invece con le serate che rielaborano la storia di partenza per ottenere una vicenda autoconclusa, narrativamente autonoma e comprensibile anche per uno spettatore ignaro delle storie cavalleresche. Ciò a cui non si è dato un sufficiente rilievo (e che di certo è poco noto nel mondo degli studi italiani) è che questa nuova tipologia di spettacolo non comporta un annullamento del repertorio cavalleresco, ma al contrario implica un nuovo confronto con la storia e un rapporto più diretto con i testi letterari. Spesso, infatti, i pupari non ricorrono più al libro che è stato a lungo il tramite tra poemi cavallereschi e opera dei pupi (la Storia dei paladini di Francia di Giusto Lodico, pubblicata a metà Ottocento, in cui i poemi vengono uniti e riscritti in prosa), ma si confrontano direttamente con i poemi in ottava rima e con le chansons de geste, rielaborandoli secondo le loro esigenze e aprendosi anche a nuovi contenuti dettati da tempi nuovi. Questi spettacoli sono spesso, insomma, non solo “spettacoli per turisti”, ma anche spettacoli d’autore. Le ragioni di una ricerca Il mio lavoro nasce dal tentativo di colmare una lacuna esistente tanto negli studi italiani quanto in quelli teatrali, e insieme di sanare una discrasia tra i due settori.4 Nell’ambito degli studi italiani, la lacuna riguarda quella tappa fondamentale nella storia della ricezione della letteratura cavalleresca (e in primo luogo dei suoi grandi capolavori) che è l’opera dei pupi.5 Il “poema che 4 Questo fa sì che spesso ci si troverà a specificare elementi e questioni che possono essere ovvi per gli specialisti di un settore ma meno noti a quelli dell’altro: ad esempio, dati relativi alle caratteristiche della messa in scena dell’opera dei pupi, oppure alla trama e alla ricezione dei poemi cavallereschi. 5 Naturalmente non si vuole sostenere che all’interno degli studi cavallereschi manchi la 12 Anna Carocci INTRODUZIONE cammina” del titolo si riferisce proprio alla lunga strada percorsa dai poemi cavallereschi fino ad arrivare a camminare davvero, per mezzo dei pupi, sul palcoscenico dei teatri: strada che ha colmato una grande distanza geografica (dalla Francia delle chansons al nord Italia dei cantari franco-veneti, e poi giù lungo tutta la penisola fino alla sua propaggine meridionale), temporale (dal Duecento ai nostri giorni), e non da ultimo culturale, muovendosi trasversalmente tra pubblico popolare e pubblico colto, artisti d’eccezione e autori men che mediocri, élite culturali e tradizioni popolari. Dal punto di vista degli studi teatrali, invece, manca quasi completamente la conoscenza dell’universo scritto su cui l’opera dei pupi si basa e si costruisce, e che si intreccia inestricabilmente con la progettazione e l’esecuzione degli spettacoli: i romanzi cavallereschi pubblicati nell’Ottocento e nel primo Novecento, che riprendono, fondono tra loro e riscrivono i poemi quattro-cinquecenteschi, e i copioni manoscritti dei pupari.6 Senza la conoscenza dell’universo scritto, la comprensione di questa forma teatrale (che solo erroneamente si ritiene, perché popolare, elementare) rischia di rimanere dimidiata e, di fatto, snaturata. In questo senso, l’espressione “poema che cammina” ha anche un altro significato: un’allusione al rapporto strettissimo – come parte dello stesso organismo vivente – tra opera dei pupi e poemi cavallereschi. Se si sente spesso dire in termini generici che l’opera dei pupi mette in scena “Carlo Magno e i paladini”, nella realtà il suo repertorio si basa su uno specifico gruppo di poemi (alcuni celeberrimi, altri sconosciuti o quasi ai non specialisti) che è stato sottoposto a un’operazione di riscrittura complessa e consapevole. Esaminando da vicino la parte meno studiata del mestiere, la parte scritta, viene alla luce un fitto e serrato rapporto di dialogo con i poemi cavallereschi, fatto tanto di fedeltà e ripresa quanto di varianti e innovazioni, e soprattutto di un incredibile amore per queste storie. Ed è sempre il genere cavalleresco a determinare i tratti caratterizzanti dell’opera dei pupi, dal punto cognizione di cosa sia l’opera dei pupi e del suo legame con i poemi in ottava rima; ma si tratta di una cognizione che non si è mai declinata in studi a tutto tondo e raramente in studi approfonditi. Tra le poche eccezioni si distinguono i contributi di Antonio Pasqualino (Rerum Palatinorum Fragmenta, a cura di A. Napoli, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo, 2018) e di Jo Ann Cavallo: L’Opera dei Pupi e il Maggio epico: due tradizioni a confronto, in «Archivio antropologico mediterraneo», anno V/VII (2002-2004), n. 5/7, pp. 157-170, La Bibbia dei Pupari nella Terra del Maggio: La Storia dei Paladini di Francia ed altre edizioni cavalleresche popolari siciliane nella tradizione maggistica tosco-emiliana, in «Il Cantastorie», 3° serie, 68 (2005), pp. 53-55, e Boiardo and Ariosto in Contemporary Sicilian Puppet Theater and the Tuscan-Emilian Epic Maggio, in «Modern Language Notes», 133 (2018), pp. 48-63. 6 Anche in questo campo, ci si arresta a una conoscenza piuttosto generica del fenomeno. L’unico ad aver cercato di unire la prospettiva scenica con quella letteraria, insieme a quella antropologica e all’indagine sul campo, è stato di fatto Antonio Pasqualino; molto interessanti anche gli studi di Alessandro Napoli, che però si concentrano sulle storie catanesi, spesso opera di pupari etnei, di Bernadette Majorana e di Donata Amico, che prendono in esame alcune carte dei pupari ma non si confrontano con la produzione libraria che sta loro a monte. IL POEMA CHE CAMMINA 13 di vista scenico e visivo come da quello ideologico: l’aspetto dei pupi, “marionette armate”, cioè vestite da paladini, ognuna con il suo scudo e i suoi colori distintivi, si rifà alla letteratura cavalleresca, in cui ogni cavaliere ha la sua insegna e il suo cimiero; l’andamento e i colpi delle battaglie rispecchiano fedelmente l’andamento e i colpi delle scene di guerra nei poemi (teste spiccate dal collo, guerrieri tagliati in due fino alla cintura, un gran volare di braccia e gambe, ma senza mai o quasi mai una nota tragica); anche gli ideali collettivi incarnati e rappresentati dai pupi-paladini riprendono quelli dei personaggi di carta e inchiostro. La prospettiva del lavoro è dunque specificamente letteraria: le pubblicazioni otto-novecentesche, i copioni dei pupari e i loro stessi spettacoli sono esaminati in primo luogo in relazione ai poemi cavallereschi che sono serviti loro da fonte e da modello, e con gli stessi criteri di analisi materiale e testuale applicati dagli studi italiani a questi poemi. È necessario aggiungere, a questo punto, che da vari anni il genere cavalleresco costituisce l’oggetto principale della mia ricerca: in particolare la fase che si apre con Boiardo e arriva fin dopo l’Orlando furioso di Ariosto, e in cui vengono scritti molti dei poemi che servono da fonte per l’opera dei pupi. È la fase in cui cambiano tutti i parametri fondamentali del poema cavalleresco, dal carattere dei personaggi al modo in cui gli autori gestiscono i fili della storia: in netto contrasto con le storie scritte e raccontate in precedenza, nel poema di Boiardo Orlando si dimentica di essere casto e puro e si innamora di una donna pagana (e poi per amore impazzisce addirittura); un personaggio che era sempre stato fanfarone e incapace in guerra come Astolfo riesce a salvare le sorti di tutta la cristianità; i guerrieri smettono di combattere per la fede e cominciano, cristiani e pagani, a muoversi per la Francia e l’Oriente, in gruppo o da soli, cercando le donne amate e vivendo avventure che non avevano mai vissuto prima – non grandi battaglie ma animali magici, incanti, prodigi. Anche il modo di raccontare queste storie cambia: con l’adozione della tecnica dell’entrelacement i fili della storia si intrecciano tra loro e a volte rischiano di aggrovigliarsi, è tutto un passare da una vicenda all’altra, da un personaggio all’altro, con protagonisti che si incontrano dopo lungo cercarsi e subito si perdono di nuovo, e magari di tanto in tanto si interrompono per raccontarsi delle storie che con le loro vicende non c’entrano affatto. Anche se acquisita in un modo completamente diverso, la mia conoscenza delle storie e dei protagonisti dei poemi è dunque in un certo senso altrettanto intima di quella degli artisti dell’opera dei pupi: anch’io mi sono immersa nel mondo intricato e fantastico di queste vicende che sono insieme sempre uguali e sempre diverse, in un labirinto di boschi incantati e città assediate, e anche per me Orlando e Rinaldo, Bradamante e Malagigi, Mambriano e Carandina sono stati e sono compagni di viaggio. Naturalmente, però, in un percorso come quello che si cerca di seguire in questo lavoro la conoscenza dei meccanismi narrativi e dei personaggi dei poemi cavallereschi non può essere sufficiente. È necessaria invece una prospettiva che tenga conto della specificità dell’opera dei pupi e la rispetti, tanto riguardo alle sue regole sceniche e tecniche (dunque alla specificità teatrale) 14 Anna Carocci INTRODUZIONE quanto ai suoi protagonisti, perché questa forma teatrale è stata ed è la missione, spesso l’ossessione, oggi senz’altro la battaglia di chi ne ha fatto il proprio lavoro. La ricerca letteraria e l’analisi dei testi sono state perciò calate nel contesto concreto dell’opera dei pupi: per il presente assistendo agli spettacoli e dialogando con alcune delle compagnie tutt’ora attive (le famiglie Argento, Cuticchio e Mancuso a Palermo e la famiglia Napoli a Catania) e immergendomi nelle eccezionali testimonianze conservate dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo, che custodisce non solo tutti gli elementi concreti del mestiere (pupi, cartelli, fondali, copioni) ma anche, in una ricchissima serie di registrazioni di spettacoli e interviste, la memoria e la viva voce dei suoi protagonisti. Problemi e pregiudizi sull’opera dei pupi La vulgata sull’opera dei pupi, tratta dalle descrizioni di Pitrè, Festing Jones e altri, è potente e ricca di fascino. Tuttavia, estrapolata dalle testimonianze dei grandi nomi, ripresa e citata di libro in libro, rischia di cristallizzarsi in stereotipo, lasciando in ombra gli aspetti più stratificati e complessi di questa forma teatrale, dei suoi protagonisti e del rapporto che intrecciano con il testo scritto. In apertura converrà quindi soffermarsi su alcuni ingredienti essenziali della vulgata: ingredienti che nella realtà si dimostrano meno lineari e più ricchi di quanto si potrebbe immaginare, e che ritorneranno a più riprese nel corso del lavoro. Al di là dei confini del suo relativamente ristretto mondo di conoscitori e appassionati, oggi l’opera dei pupi (opra nella tradizione palermitana, opira in quella catanese) è oggetto di una doppia corrente di pregiudizi. La prima corrente, la più tradizionale, che esiste da quando esiste l’opra, è quella che la ritiene, perché popolare, semplice e ingenua, quasi neppure una forma di teatro e di arte. La seconda, nata ovviamente in tempi moderni, dopo la crisi dell’opera dei pupi alla fine degli anni Cinquanta, è quella che la definisce ormai morta, o sopravvissuta solo nella forma di “spettacolino” per turisti in cerca di colore locale. Entrambe sono legate allo stesso immaginario: quello del puparo popolano tra i popolani, del pubblico popolare che frequentava i teatrini tradizionali e di tutto il suo corredo, il venditore di semi di zucca e ceci abbrustoliti, le risse, gli errori e le sgrammaticature del puparo, la partecipazione degli spettatori, che si alzavano per incitare il loro eroe alla lotta o per bersagliare il personaggio malvagio di scarpe, uova, arance. Sono tutti elementi – di dettaglio e meno di dettaglio – che caratterizzavano davvero l’opera dei pupi, e che ora sono definitivamente scomparsi. Limitarsi ad essi, però, significa adottare un’immagine semplificata ed essenzialmente fuorviante di un fenomeno in realtà molto più complesso. Se si guarda appena un po’ più da vicino, si rimane colpiti in primo luogo dal quadro diversificato offerto dall’opera dei pupi nelle sue varie declinazioni: differenze che vanno ben oltre quella immediatamente evidente tra i pupi di IL POEMA CHE CAMMINA 15 grandi dimensioni di Catania e quelli più piccoli di Palermo.7 Quasi tutti gli elementi che si associano di regola al teatro dei pupi (l’organizzazione familiare; il teatrino di piccole dimensioni, in un locale lungo e stretto, in genere ricavato da un magazzino; il pubblico esclusivamente popolare) sono propri al più dell’opra palermitana. A Catania, l’opira veniva messa in scena in teatri di grandi dimensioni, usati spesso anche per spettacoli con attori in carne e ossa, e c’era un continuo scambio tra teatro dei pupi e teatro d’attore; tra il pubblico non mancavano spettatori borghesi e perfino intellettuali; le compagnie avevano organizzazione impresariale, e si costituivano a ogni stagione in una putia (una osteria), in cui i vari rappresentanti del mondo dell’opera dei pupi catanese (i manianti, che muovono i pupi, i parraturi e le parratrici, che danno loro la voce, ma anche gli impresari) si riunivano per discutere gli ingaggi. Del tutto diversa è poi la gestione tecnica e scenica: a Palermo la mossa e le voci dei pupi sono realizzate dalla stessa persona (l’oprante, che fa tutte le voci e muove i personaggi più importanti, coadiuvato da alcuni aiutanti che si occupano degli altri pupi), mentre a Catania sono divise tra manianti e parraturi; a Palermo la manovra dei pupi è laterale, perché i pupari sono sul palcoscenico, nascosti dalle quinte e allo stesso livello dei pupi, mentre a Catania avviene dall’alto; la musica a Palermo proviene dall’organino o pianino a cilindro, a Catania era strumentale e oggi è registrata. E altre, ancora maggiori differenze si aggiungono se si prende in considerazione anche l’opera di area napoletana e pugliese, dove il copione era scritto per intero, battuta per battuta, e durante lo spettacolo veniva spostato da un puparo all’altro per mezzo di un apposito leggio mobile montato su fili di ferro. Proprio i copioni, il modo in cui sono scritti, il loro rapporto con le fonti letterarie e il ruolo svolto dall’improvvisazione costituiscono un campo di differenze ugualmente macroscopiche tra Palermo, Catania e Napoli, su cui si insisterà a lungo nel corso di questo lavoro. Anche l’immagine del puparo ignorante e illetterato è spesso non inesatta ma imprecisa. Il puparo, a Catania come a Palermo, è ovviamente colui che dà vita ai pupi: è il mago che crea l’artificio della messa in scena, e in quanto tale è trattato dal pubblico con un rispetto che sconfina nella devozione. Va sottolineato, però, che tradizionalmente tale autorità si basava proprio sulla capacità – sconosciuta al pubblico – di usare la bella parola, di saper non solo far combattere, ma anche e soprattutto far discorrere i pupi: le parrati longhi 7 Con Catania e Palermo si indicano in realtà due aree di grandi dimensioni: rispettivamente la porzione orientale e quella occidentale della Sicilia, corrispondenti a due diverse tradizioni di opera dei pupi. A Catania, i pupi misurano un metro e trenta e più e arrivano a pesare oltre venticinque chili, mentre a Palermo hanno una struttura più complessa e articolata (per esempio, il ginocchio mobile) ma dimensioni e peso inferiori (quasi un metro di altezza, dodici-quindici chili di peso). Per un approfondimento sulle tecniche costruttive cfr. R. Perricone, I ferri dell’Opra. Il teatro delle marionette siciliane, «Antropologia e Teatro», n. 4, 2013, pp. 210-234; sulle musiche cfr. S. Bonanzinga, Suoni e musiche del teatro siciliano dei “pupi”, in D. Parisi (a cura di), Il teatro delle marionee tra est e ovest, Palermo, Università degli studi di Palermo – Facoltà di lettere e filosofia, 2008, pp. 53-74. 16 Anna Carocci INTRODUZIONE (“parlate lunghe” nel dialetto catanese, ovvero monologhi pronunciati dai personaggi in punti strategici della narrazione) erano un momento che il pubblico etneo attendeva con pari e più ansia degli scontri in singolar tenzone o delle battaglie campali, e il dialogo è una componente essenziale anche nell’opra palermitana. Il puparo, come il contastorie, è colui che al suo apparire sa provocare il pieno silenzio degli spettatori proprio perché è il genio della storia e della parola. Nel suo Don Candeloro e C.i (novella molto citata ma anche molto adatta), Verga descrive il marionettista Candeloro Bracono per bocca del futuro suocero, agiato commerciante, come «un commediante […] che parlava come un libro e gli incuteva soggezione»: reazione che, com’è stato sottolineato giustamente, traduce «il sentimento di sudditanza ammirata e timorosa suscitata […] in virtù di una parola che pare dotata di un potere insondabile».8 In più, non tutti i pupari appartengono al retroterra popolare. Artisti come Gaetano Greco, il figlio Achille e il nipote Ermenegildo a Palermo, Gaetano Crimi e il genero Raffaele Trombetta a Catania erano dotati di buona cultura e legati al mondo della cultura locale. Non si limitavano al repertorio cavalleresco, ma scrivevano e mettevano in scena anche altri cicli narrativi, tratti dalla storia greca o ispirati alla storia recente, e spesso si facevano depositari di un più o meno scoperto intento didascalico nei confronti del loro pubblico: divertire educando si può definire il motto della famiglia Greco,9 e l’educazione del pubblico costituisce un vero filo rosso nell’opera dei pupi catanese, anche nei suoi esponenti più popolari. Tra i primi cicli narrativi rappresentati da Crimi c’è una guerra di Troia destinata agli studenti universitari. Nell’elogio funebre di Angelo Grasso, Pitrè scrive: «ebbe anche lui una vera missione, assunta come un apostolato: quella di dirozzare tutta una folla di monellume scostumato, tutta l’infima classe di picciotti pervertiti che tanto contingente danno alla Questura».10 E Nino Amico, nipote di Trombetta, dice che il nonno – grande inventore di nuovi racconti e in rapporti diretti con il mondo culturale catanese – «aveva il vezzo di usare il pupo per insegnare la storia alla gente», e metteva in bocca a personaggi particolarmente amati, come Ruggiero, riferimenti alla storia latina e lunghi discorsi sulla storia della Sicilia.11 8 G. Verga, Don Candeloro e C.i, in Id., Tutte le novelle. Introduzione, testo e note a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979: se il futuro suocero non vuole saperne di un genero commediante, proprio l’abilità retorica di Candeloro ha sedotto la figlia Grazia. Il commento è di Majorana, Pupi e attori, p. 48. 9 Venturini, Sull’origine (palermitana) dell’opera dei pupi, ora in Ead., Nato e cresciuto tra i pupi, p. 57. 10 G. Pitrè, Don Angelo, burattinaio catanese, in «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», VII (1888), p. 252. Angelo Grasso era un rappresentante popolare dell’opira catanese, padre del celebre attore Giovanni. 11 Riportato in M. A. Maiuri, Noi pupari. Sogni, speranze, fatiche e dolori dei pupari catanesi di ieri e di oggi, Catania, Urzi, 2006, p. 28. Di Trombetta il nipote Nino Amico dice anche: «Mia madre lo ricordava intento a scrivere e a leggere fino a tarda notte». IL POEMA CHE CAMMINA 17 E anche se ci si allontana da queste figure d’eccezione, avvolte in un alone mitico, per andare a esaminare personaggi più vicini allo stereotipo del puparo tradizionale – uomini che avevano dovuto iniziare a lavorare da bambini e non avevano neppure la licenza elementare –, si scopre che spesso possedevano una preparazione del tutto al di sopra delle aspettative, ultra-settoriale e legata al loro mestiere: una cultura unicamente e specificamente cavalleresca. Giacomo Cuticchio, di cui si parlerà a lungo nel corso di questo lavoro, uomo del popolo e impiegato come fabbro già a sette anni, raccoglie con cura e amore estremi una vera biblioteca, comprendente tutte le pubblicazioni otto-novecentesche di argomento cavalleresco e anche qualche edizione originale, in prosa e perfino in versi. Del resto, proprio all’autorità del libru facevano appello gli spettatori (indicando con questa parola quello che era per loro l’unico vero libro, la Storia dei paladini di Francia di Giusto Lodico, fonte primaria dell’opera dei pupi), che spesso, dopo lo spettacolo, si recavano da Cuticchio per accertare l’esattezza di un dettaglio della narrazione confrontandolo con la versione scritta. Ci sono anche testimonianze di come gli spettatori più affezionati chiedessero a Cuticchio di procurar loro l’una o l’altra opera di argomento cavalleresco: il puparo diventava così non solo il tramite tra il pubblico e la storia, ma anche tra il pubblico e il testo scritto, e proprio per questo figura dall’innegabile e quasi soverchiante autorità. Tappe della ricerca e struttura del lavoro Qual è il rapporto che lega i pupari ai poemi cavallereschi da cui derivano le storie che mettono in scena? Questa era stata la domanda – carica dell’inevitabile banalità delle domande essenziali – da cui era partito il mio percorso di ricerca: perché, se i passaggi principali di questo rapporto erano già noti, ognuno di essi meritava indagini ulteriori; e ognuno, alla prova dei fatti, ha rivelato elementi nuovi. Il rapporto tra opera dei pupi e poemi cavallereschi non è diretto ma si struttura per passaggi consequenziali. Il primo anello della catena è completamente interno all’universo scritto: dai poemi cavallereschi del Quattro-Cinquecento alla Storia dei paladini di Francia di Giusto Lodico. Le storie carolingie sono state raccontate molte volte e in molti modi diversi: chansons de geste, romanzi in prosa in varie lingue, poemi in ottava e in terza rima, senza contare tutto il variegato mondo dell’oralità. In queste diverse tipologie di scritti la stessa vicenda può essere narrata in forma più breve o più distesa, variata nei particolari come nel tono (si pensi solo a quanto può essere diversa la rotta di Roncisvalle nel racconto epico della Chanson de Roland e nel gusto per l’espressionismo, la deformazione linguistica e l’iperbole parodica di Pulci), e agli episodi noti si possono aggiungere nuove avventure in numero pressoché infinito: nell’intervallo di tempo potenzialmente estendibile a dismisura che separa gli eroi dal loro destino a Roncisvalle, nuovi sovrani stranieri possono sopraggiungere ad assediare Parigi, Gano può ordire nuovi inganni, più e più volte Rinaldo può essere ingiustamente bandito dalla corte, 18 Anna Carocci INTRODUZIONE e più e più volte vi può far ritorno e ottenere il perdono di Carlo. Tra queste aggiunte si deve contare anche la storia di Orlando innamorato (raccontata da Boiardo) e poi pazzo (proseguita da Ariosto): un nucleo narrativo d’eccezione da tutti i punti di vista, originalissimo e destinato a cambiare il volto della letteratura cavalleresca. A sua volta, questo nucleo narrativo mette in moto altri meccanismi di aggiunte e varianti. Dopo Boiardo e ancora di più dopo Ariosto, c’è chi cerca di portare a termine i fili della storia che i due grandi autori hanno lasciato in sospeso (cosa succede ad Angelica e Medoro dopo che si sono sposati? Come viene ucciso Ruggiero e come lo vendica Bradamante? Quali avventure aspettano Marfisa, Guidon Selvaggio, Astolfo?), chi li imita (dopo Orlando, ad esempio, qualche altro guerriero può innamorarsi e arrivare alla follia), ma anche chi nega la veridicità della loro storia, affermando che Orlando non è mai impazzito per amore e raccontando una vicenda alternativa. Le storie cavalleresche, nel loro insieme, raramente procedono in modo lineare: bisogna piuttosto immaginarle come un albero genealogico particolarmente intricato, con rami che nascono gli uni dagli altri e si sovrappongono gli uni agli altri, che possono produrre una prolifica discendenza o rimanere sterili. Come mai, allora, nella Storia di Lodico i fatti si succedono in modo logico e ordinato, dall’inizio del regno di Carlo Magno fino a Roncisvalle? Sembra che agli esordi dell’opera dei pupi, negli anni Trenta dell’Ottocento, «si rappresentava l’Orlando Furioso traducendo in prosa i versi dell’Ariosto»;12 pian piano il repertorio si allarga: forse ad altri poemi famosi, come quelli di Boiardo e Pulci, forse a storie inventate dai pupari (e prima di loro dai cuntisti). Finché, alla metà del secolo, Giusto Lodico, che non era né un puparo né un cuntista ma un maestro elementare, decide di raccontare la storia «in forma intiera» e «in ordine logico progressivo»:13 seleziona una ventina di poemi in ottava rima e li riscrive in prosa, adattandoli e anche forzandoli perché raccontino la storia dei paladini di Francia senza lacune né contraddizioni. Nascono così i quattro volumi della Storia dei paladini di Francia (pubblicati a Palermo tra il 1858 e il 1860), che diventano in brevissimo tempo la “Bibbia” dei pupari: la fonte privilegiata per tutte le loro rappresentazioni. Di regola, Lodico viene considerato un mero compilatore: autore di un lavoro sì immenso, ma sostanzialmente passivo, che si limita a trascrivere in prosa le ottave dei poemi. Nella realtà, però, le cose stanno diversamente: un’analisi ravvicinata della Storia a diretto confronto con le sue fonti ha mostrato un lavoro molto più consistente e ponderato di quanto si potesse pensare. Lodico inventa nuovi episodi per colmare le cesure tra poema e poema, ne 12 Così Gaspare Canino, nipote di don Liberto Canino, uno dei fondatori dell’opra palermitana, in un’intervista ad Antonio Pasqualino, ora in Pasqualino, Il repertorio epico dell’opera dei pupi, in «Uomo e cultura. Rivista di studi etnologici», 2 (1969), p. 87. Non sorprende che i primi pupari si concentrassero su Ariosto, da secoli la più celebre tra tutte le storie cavalleresche. 13 Così la definisce Lodico nel Preambolo dell’opera. IL POEMA CHE CAMMINA 19 riscrive delle parti per sanare le contraddizioni, modifica, censura o aggiunge secondo il suo gusto, e crea insomma una narrazione nuova – qualcosa che prima non esisteva. Le sue operazioni di scrittura e riscrittura permettono di indagare le strategie con cui i poemi in ottave vengono adattati a una forma diversa (la prosa) e a un’impostazione diversa, che travalica le singole opere e anche i singoli autori e dispone i testi in un rapporto di continuum, trasformandoli in un unico lungo racconto. Al tempo stesso, il lavoro di Lodico ci fa toccare con mano i meccanismi di ricezione dei testi cavallereschi, primo fra tutti del grande capolavoro ariostesco. È interessante, ad esempio, notare che non solo Lodico si assicura di scegliere dei poemi che portino a compimento tutte le vicende narrative rimaste incompiute nel Furioso, ma che impone la tecnica narrativa di Ariosto (l’entrelacement) al resto delle storie cavalleresche, anche a quelle provenienti da poemi scritti prima del Furioso e che dunque seguivano un’impostazione più tradizionale. Il successivo anello della catena è composto dalle riscritture del riscrittore: meno di quarant’anni dopo la sua prima edizione, la Storia di Lodico è già stata oggetto di due diverse riscritture, tutt’e due pubblicate a Palermo e in un rapporto di feroce concorrenza reciproca. Entrambe queste Storie si muovono ai margini della truffa editoriale e hanno in comune una veste materiale completamente diversa da quella del libro originale, pensata per venire maggiormente incontro alle esigenze del pubblico popolare: si tratta di pubblicazioni in dispense di grande formato, vendute nelle edicole a pochi centesimi l’una, facili da leggere e corredate di un buon numero di vignette di fattura non raffinata ma dal forte potere comunicativo, che costituiscono quasi un riassunto della vicenda narrata. La prima riscrittura, opera di un certo Pietro Manzanares, pur riprendendo in più punti la narrazione di Lodico parola per parola, la riduce e la semplifica, mossa da un generico intento didascalico; la seconda, di cui è autore Giuseppe Leggio, presenta invece un elemento di forte e determinante novità: è pensata non solo per un pubblico popolare, ma specificamente per i cuntisti e i pupari. Leggio semplifica e riduce il testo originale in vari punti, taglia parecchi passi, ma ne introduce anche molti nuovi (inventandoli o riprendendoli da romanzi in prosa), in linea con le rappresentazioni e i gusti dell’opera dei pupi. Anche se alcuni dei pupari più colti rimangono fedeli al testo originale di Lodico, la maggioranza adotta la riscrittura di Leggio, e molte delle sue aggiunte diventano altrettanti cavalli di battaglia sul palcoscenico dei teatrini. Anche le successive ristampe della Storia di Lodico (compresa la più recente, curata da Felice Cammarata nel 1971)14 pubblicano in realtà il testo 14 G. Lodico, Storia dei paladini di Francia, a cura di Felice Cammarata, 13 voll., Trapani, Celebes, 1971, poi ristampata nel ’93, con prefazioni di Cammarata in apertura dei voll. I, V e IX. È l’unica edizione moderna (e disponibile sul mercato editoriale) della Storia, e infatti la si trova nelle case della maggior parte dei pupari delle ultime generazioni. Pur recando il nome di Lodico, il testo non è quello originale ma si basa sulla seconda riscrittura di Leggio (1902). La mancanza degli apparati paratestuali (introduzioni, note e soprattutto illustrazio- 20 Anna Carocci INTRODUZIONE di Leggio. Né questo autore si ferma alla riscrittura di Lodico: forte del suo successo, riprende e riscrive romanzi antichi e moderni, in prosa e in poesia, e mette a punto per la Storia dei paladini non solo un antefatto (ripreso dai Reali di Francia di Andrea da Barberino) ma anche una continuazione, creando un lunghissimo ciclo narrativo che porta le vicende di Orlando e Rinaldo a congiungersi, in più tappe e più generazioni, con quelle della Gerusalemme liberata di Tasso. Ciascuno di questi libri, tutti pubblicati in dispense tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, diventa un nuovo ciclo di episodi nel repertorio dell’opera dei pupi. Si arriva così al terzo anello della catena: dalla Storia dei paladini di Francia all’opera dei pupi. Pur con alcune inevitabili modifiche dovute alle esigenze di adattamento alla scena, i copioni dei pupari si sviluppano in un rapporto diretto con la Storia, seguendone da vicino lo svolgimento (ogni serata prende titolo e argomento da un capitolo di Lodico), la scansione delle scene, i particolari. I copioni sono una componente indispensabile di ogni teatro dei pupi, di tradizione palermitana, catanese o napoletana. Scritti a mano su quaderni scolastici, di regola vengono descritti come dei canovacci, contenenti solo la successione delle scene e poche altre informazioni utili, sulla base delle quali il puparo improvvisa “a soggetto”. Ma, come per i precedenti passaggi, un’analisi più ravvicinata rivela una casistica assai più varia e complessa: alle scene in cui è riportata solo una descrizione sommaria degli eventi se ne alternano altre scritte in forma assai più dettagliata e distesa; si possono trovare citazioni letterali di Lodico, e in alcuni specifici punti vengono introdotte intere ottave riprese dai poemi, trascritte nei copioni e declamate in scena. A Catania, nei copioni-canovacci compaiono spesso lunghi monologhi (le già citate parrati longhi), che servono al parraturi per far sfoggio della propria abilità e comunicare la sua personale visione dell’episodio. Senza contare che il rapporto con la Storia, pur sempre fortissimo, varia molto nelle diverse tradizioni dell’opera dei pupi: si va da una fedeltà pressoché assoluta a Palermo alla cospicua presenza di varianti e aggiunte a Catania, fino a un massimo di rielaborazione nella tradizione napoletano-pugliese, in cui i copioni sono testi teatrali completi, con battute e didascalie scritte per esteso, e nei quali la storia viene di fatto rinarrata. In tutte le tradizioni, però, i copioni hanno in comune una legge fondamentale: il rispetto per la versione lodichiana della storia e la sua forma di continuum narrativo, di racconto che ogni giorno si interrompe e ogni giorno riprende, livellando qualsiasi differenza qualitativa tra poema e poema e tra autore e autore. Oggi, come si è detto, il continuum narrativo si è spezzato. Le singole vicende vengono ancora avvertite con chiarezza come parte di una storia più lunga e articolata, ma la necessità di creare degli spettacoli dotati ni) e di un’esaustiva spiegazione sulla composizione, la diffusione e le riscritture del libro rendono l’edizione uno strumento insufficiente per chi non sia già esperto della materia; anche l’elenco delle fonti di Lodico riportato da Cammarata è risultato poco attendibile in più d’un punto. IL POEMA CHE CAMMINA 21 di autonomia narrativa ha portato a un nuovo, diverso rapporto con le fonti: tanto con Lodico quanto con i poemi originali. Le tappe del percorso che parte dai poemi in ottava rima per arrivare ai copioni e agli spettacoli dei pupari sono anche le tappe di questo lavoro che si articola in due parti: la prima si occupa della Storia di Lodico e delle sue riscritture, nel contesto della vivace e concorrenziale editoria siciliana popolare dell’Ottocento e del primo Novecento; la seconda si concentra sui copioni dei pupari, dando conto delle tre diverse tradizioni (Sicilia occidentale, Sicilia orientale e area napoletano-pugliese) e andando dalle testimonianze più antiche, a cavallo tra i due secoli, fino al presente. Tanto per la prima quanto per la seconda parte ho avuto la possibilità di condurre ricerche di prima mano. Nelle biblioteche di Palermo ho potuto esaminare sia le prime edizioni di Lodico, Leggio e Manzanares, con il loro corredo di illustrazioni, lettere ai lettori, avvisi contro la concorrenza, sia le ristampe delle opere, che mi hanno permesso di verificare le modifiche testuali ed editoriali cui è sottoposta la Storia col passare degli anni. Sulla frenetica attività di Leggio come scrittore e come editore la Biblioteca “Giuseppe Leggio”, del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo, ospita poi una documentazione unica: una raccolta pressoché completa di tutte le opere di Leggio curata dal figlio Antonino e corredata da una serie di lettere in cui lo stesso Antonino si sforza di ricostruire l’attività paterna, nonché quel che resta della biblioteca dello scrittore. Ancora più estesa la documentazione sul lavoro dei pupari: ho potuto visionare centinaia di copioni, opera di alcune tra le figure più rappresentative di Palermo, di Catania, di Messina e della Puglia, a diretto confronto con il resto del materiale che compone il mestiere dei pupari (pupi, fondali, cartelli, nonché, in un caso di eccezionale interesse, la cassa dei libri del puparo). Infine, mi sono potuta avvalere della possibilità davvero straordinaria di attingere alla testimonianza diretta dei protagonisti di questa storia: non solo grazie al ricchissimo insieme di interviste rilasciate a suo tempo ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, ma all’incontro personale con alcuni dei più importanti pupari ancora oggi in attività, in un percorso che, dalla metà dell’Ottocento, arriva fino ai nostri giorni, e che guarda al passato come al futuro. 22 Anna Carocci INTRODUZIONE materiali e testimonianze I materiali su cui si basa il lavoro si possono dividere in quattro macro-gruppi: le edizioni originali dell’Ottocento e del primo Novecento della Storia dei paladini di Francia e degli altri testi di materia cavalleresca; i copioni dei pupari custoditi presso la Biblioteca “Giuseppe Leggio” del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino e presso la Biblioteca di Palazzo Branciforte della Fondazione Sicilia; le interviste ai pupari condotte da Antonio Pasqualino e Janne Vibaek e molto occasionalmente da altri tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, conservate nella mediateca del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino oppure pubblicate; e infine i colloqui avuti da chi scrive con alcuni dei protagonisti della storia dell’opera dei pupi dei nostri giorni che, sia pur registrati e citati a più riprese nel corso del lavoro, sono tuttora inediti. Anche se i riferimenti a questi materiali sono di volta in volta esplicitati a testo o in nota, sembra utile fornirne un elenco in apertura. Edizioni Si riportano qui esclusivamente le edizioni della Storia e delle sue riscritture, seguite dalle biblioteche che le ospitano e dalle relative collocazioni; per gli altri romanzi cavallereschi scritti o pubblicati da Leggio si rimanda all’appendice al cap. 2. Giusto Lodico, Storia dei paladini di Francia, cominciando da Milone conte d’Anglante sino alla morte di Rinaldo, 4 voll., Palermo, stamperia di Giov. Batt. Guadiano, 1858-1860 [Biblioteca comunale di Casa Professa, CXXIII F 63-66; Biblioteca Giuseppe Leggio, F 14-17] Pietro Manzanares, Storia dei paladini di Francia da Pipino re sino alla battaglia di Roncisvalle facendo seguito la morte di Carlo magno, Lavoro di P. Manzanares, 2 voll., Palermo, P. Manzanares e Fratelli Vena editori, 1886 [Biblioteca comunale di Casa Professa, CXXIII H 50-51] Pietro Manzanares, Storia dei paladini di Francia da Pipino re sino alla battaglia di Roncisvalle facendo seguito la morte di Carlo magno, Lavoro di P. Manzanares, 2 voll., Palermo, C.D. Pasutti e Fratelli Vena editori, 1895 [Biblioteca centrale della regione siciliana A. Morace, S.L.M. 7.E.90] Giuseppe Leggio, Storia dei paladini di Francia cominciando dal re Pipino alla morte di Rinaldo. Lavoro di Giusto Lodico con l’aggiunta di altri famosi autori, 3 voll., Palermo, Giuseppe Leggio editore, 1895-1896 [Biblioteca Giuseppe Leggio, T26-28] Giuseppe Leggio, Storia dei paladini di Francia cominciando dal re Pipino sino alla morte di Rinaldo – vera ed unica edizione di Giusto Lodico – compilata e corretta di Giuseppe Leggio, 3 voll., 1906-1907 [Biblioteca comunale di Casa Professa, CXXIII G 111-112] IL POEMA CHE CAMMINA 23 Copioni Copioni Luigini-Lippolis. 347 copioni, di cui 142 sulla storia dei paladini di Francia, scritti a mano su quaderni bianchi di 23x31 cm, venduti nel 1980 a Janne Vibaek e Antonio Pasqualino dalla compagnia pugliese Anna dell’Aquila e precedentemente appartenuti a Luigi Luigini e Antonio Lippolis. Compaiono varie date degli anni Venti del Novecento; Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, 5 faldoni, s.c. Cfr. A. Pasqualino, L’opera dei pupi a Roma a Napoli e in Puglia, Palermo, Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, 1995. Copioni di Gaspare Canino. 161 quaderni bianchi di 15x21 cm, di cui 152 di argomento cavalleresco, venduti alla fine degli anni Sessanta da Canino a Janne Vibaek e Antonio Pasqualino; non datati (ma l’attività di Canino va dagli anni Venti agli anni Sessanta). Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, S32-S57. Cfr. Sul filo del racconto: Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, a cura di Selima Giorgia Giuliano, Orietta Sorgi, Janne Vibaek, Palermo, CRICD, 2011. Copioni di Giacomo Cuticchio. 96 quaderni scolastici di piccolo formato, di cui 36 di argomento cavalleresco, appartenuti a Giacomo Cuticchio e consegnati dalla famiglia Cuticchio a Palazzo Branciforte nel 2015. Date comprese tra il 1957 e gli anni Settanta. Biblioteca di Palazzo Branciforte, non catalogati. Copioni Meli-Cimarosa. Alto numero di copioni venduti nel 1974 dal puparo catanese Natale Meli a Janne Vibaek e Antonio Pasqualino, su quaderni scolastici di piccolo formato; la porzione di copioni relativa alla storia dei paladini è opera del puparo messinese Michele Cimarosa; questi ultimi copioni sono datati 1961. Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, S71-S88. Cfr. Sul filo del racconto: Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, a cura di Selima Giorgia Giuliano, Orietta Sorgi, Janne Vibaek, Palermo, CRICD, 2011. Copioni di Nino Amico. 4 copioni scritti a macchina, donati dall’autore al Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino: Il Don Chiaro, 1979, S29; Il paladino folle, 1980, S30; La ragione di Orlando, 1980, S28; Orlandino, S31. Carte di Raffaele Trombetta. Fotocopie delle carte originali ospitate nella tesi di laurea di Donata Amico, Una forma di spettacolo: l’opera dei pupi catanese, a.a. 1992-93. Le carte comprendono “ricordini” (riassunti degli episodi), i copioni di Adele o la fine di un tiranno. Dramma storico Medievale in 4 atti. Raffaele Trombetta. Barriera 12 maggio 1916 e di Pasquino re in sogno, fogli sciolti contenenti parrati longhi (Orlando in cerca di Angelica; Namo di Baviera in difesa d Berta e Milone; Morte di Orlando) e citazioni di ottave (Mambriano si arrende a Rinaldo; Angelica in presenza di Carlo Magno; Merlino; Isabella e Rodomonte per cura del sig. Conti; Orlando nella valle volendo rompere la spada; Orlando guardando i morti di Roncisvalle; preghiera di Carlomagno; Carlomagno prega a Orlando morto per avere Durlindana). Biblioteca Giuseppe Leggio, E 73. 24 Anna Carocci INTRODUZIONE Interviste di Antonio Pasqualino e Janne Vibaek Gaspare Canino ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1964, bob. 279 Giacomo Cuticchio ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1968, bob. 280 lato a Giuseppe Argento ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1970, bob. 292 lato a Peppino Celano ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1970, bob. 293 lato a-294 lato a Emanuele Macrì ad Antonio Pasqualino, ante 1969, in A. Pasqualino, Il repertorio epico dell’opera dei pupi, in «Uomo e cultura. Rivista di studi etnologici», 2 (1969), pp. 59-106 Emanuele Macrì ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1970, bob. 290 lato a Antonino e Nino Mancuso ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1970, bob. 286 lato a Anna dell’Aquila, Nicola Battaglia e Giuseppe Taccardi ad Antonio Pasqualino e Janne Vibaek, 1978, bob. 348 Giacomo Cuticchio a Marcello Cappelli, 1984, in Dal testo alla rappresentazione: le prime imprese di Carlo Magno, a cura di Antonio Pasqualino, Palermo, Laboratorio antropologico universitario, 1986, pp. 452-467 Interviste inedite Vincenzo e Nicolò Argento, intervista del 9 novembre 2017, Palermo, via Pietro Novelli 3 (Teatro Agramante) Giacomo Cuticchio (figlio di Mimmo), intervista del 7 ottobre 2017, Palermo, via Bara all’Olivella 95 (Teatro Figli D’Arte Cuticchio) Mimmo Cuticchio, intervista del 13 dicembre 2017, Palermo, via Bara all’Olivella 52 (int. A) Mimmo Cuticchio, intervista del 23 gennaio 2018, Palermo, via Bara all’Olivella 48-50 (int. B) Mimmo Cuticchio, intervista del 27 gennaio 2018, Palermo, via Bara all’Olivella 52 (int. C) Enzo Mancuso, intervista del 29 novembre 2017, Palermo, via Collegio di Santa Maria 17 (Teatro Carlo Magno) Alessandro Napoli, intervista del 12 novembre 2017, Palermo, ex Chiesa di Santa Maria dei Crociferi (int. A) Alessandro Napoli, intervista del 25 marzo 2018, Catania, Teatro Machiavelli (int. B) Fiorenzo Napoli, intervista del 25 marzo 2018, Catania, Teatro Machiavelli Janne Vibaek, intervista del 19 gennaio 2018, casa Pasqualino, Palermo. Nota lessicale A Palermo si distingue tra oprante (che muove e fa parlare i pupi) e puparo o maestro puparo (che li costruisce); a Catania tra parraturi (che dà voce ai pupi) e maniante (che li muove); a Napoli si parla di pupante. Ho scelto di usare l’espressione cumulativa puparo nel senso più generico di artista e lavoratore del teatro dei pupi. IL POEMA CHE CAMMINA 25