Gian Franco Gianotti
Theodor Mommsen
e l’epigrafia latina
in Piemonte
eLibri dell’Accademia • 1
eLibri dell’Accademia
1
Gian Franco Gianotti
Theodor Mommsen
e l’epigrafia latina
in Piemonte
Accademia delle Scienze di Torino
2021
Redazione
Elena Borgi, Chiara Mancinelli
Impaginazione
Francesca Cattina
Immagine della coperta
Theodor Mommsen
Ludwig Knaus, 1881
(Nationalgalerie Berlin, A I 315)
Immagine in pubblico dominio
Pubblicazione digitale gratuita
eLibri dell’Accademia • 1
gennaio 2021
Proprietà letteraria riservata.
Accademia delle Scienze di Torino
via Accademia delle Scienze, 6
10123 Torino
011 562 0047
media@accademiadellescienze.it
www.accademiadellescienze.it
ISBN 978-88-99471-28-6
Sommario
1. Torino, 1836 e 1837: epigrafia latina al bivio
7
2. Studiosi tedeschi a Torino
10
3. Theodor Mommsen, i Promis, le iscrizioni latine
della Gallia Cisalpina
14
Nota bibliografica
21
— 5 —
1.
Torino, 1836 e 1837:
epigrafia latina al bivio
Nel 1836 l’editore torinese Pomba pubblica Caroli Boucheroni
specimen inscriptionum latinarum edente Thoma Vallaurio. I due
nomi, Carlo Boucheron (1773-1838) in apertura e Tommaso
Vallauri (1805-1897) in chiusura del titolo, designano un “illustre latinista” locale e il maggiore dei suoi discepoli, attivi
entrambi nell’Ateneo sabaudo, soci tutti e due dell’Accademia
delle Scienze di Torino. Soprattutto delineano una fase corposa e piuttosto tenace della tradizione tardo-umanistica ed erudita che predica la scrittura in lingua latina di commenti letterari e, soprattutto, di iscrizioni ufficiali, nate spontaneamente
o promosse da committenti per celebrare i fasti del presente, la
vita e la morte dei potenti, i fatti salienti della comunità o della
casa regnante, i riconoscimenti personali segnati per via numismatica. Nel volume al bel latino di Boucheron si accompagna la traduzione italica del trentunenne Vallauri, a sua volta
futuro e fortunato autore di ‘epigrafi latine moderne’, perché
esperto – a giudizio di G. Dalmazzo, Biografia di T. Vallauri,
Firenze 1875, 19 – di «tutte le più riposte bellezze della lingua
latina, la quale non fu per anco potuta eguagliare dall’italiana
in quella sua breve, elegante e dignitosa forma di esprimere le
cose che debbono essere tramandate alla posterità per mezzo
del monumento».
Sempre nel 1836, domenica 5 giugno, l’adunanza della
Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della Regia
Accademia delle Scienze di Torino elegge come Socio corrispondente l’architetto ventottenne Carlo Promis (1808-1873),
reduce da tirocinio romano e Ispettore dei Monumenti d’Antichità, che in quello stesso anno dà alle stampe il volume Le
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GIAN FRANCO GIANOTTI
antichità di Alba Fucense negli Equi misurate e illustrate (Roma
1836). Nell’adunanza del 22 gennaio 1837 la Classe delibera all’unanimità di stampare, nei volumi dell’Accademia, la
Relazione in cui trovansi le antichità di Aosta ed esposizione degli
scavi che sarebbe utile di aprirsi per illustrarle (Archivio storico
dell’Accademia delle Scienze, Mss. 1.559-560); sono pagine da cui nasceranno Le antichità di Aosta, Augusta Praetoria
Salassorum, misurate, disegnate, illustrate da Carlo Promis, Torino
1862 (volume inviato in omaggio a Theodor Mommsen).
Inoltre, nell’adunanza del 30 marzo 1837 la Classe approva
all’unanimità (compreso il voto di Boucheron) la relazione di
Carlo Promis dal titolo Dell’antica città di Luni e del suo stato
presente. Memorie raccolte; aggiuntovi il corpus epigrafico lunense; la relazione è pubblicata nelle “Memorie” dell’Accademia
serie II, tomo I, Torino 1839, alle pagine 165-267. Alba Fucens,
Aosta, Luni e infine La storia dell’antica Torino, Julia Augusta
Taurinorum: scritta sulla fede de’ vetusti autori e delle sue iscrizioni
e mura (Torino 1869) sono le tappe che all’Autore non solo permettono di specializzarsi come architetto, archeologo, storico
e filologo, ma anche assicurano progressi di carriera: Ispettore
dei Monumenti Antichi, Regio Archeologo, professore di
Architettura prima nella Regia Università e poi dal 1860 nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri e gli Architetti con
sede al Castello del Valentino (il futuro Politecnico di Torino);
e anche una collezione di riconoscimenti di prestigio (Socio
dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, Socio
nazionale residente dell’Accademia delle Scienze di Torino
dal 1842, infine Socio corrispondente dell’Accademia delle
Scienze di Prussia).
La coincidenza tra gli episodi che avvengono nel biennio
1836-1837 apre un vero e proprio bivio davanti all’epigrafia
latina in area pedemontana. Lasciata in mano ai letterati come
Boucheron e Vallauri o a impenitenti falsari, essa appare impettito e appagante ingrediente celebrativo del presente, eco pallida e talora caricaturale delle scritture esposte di Roma repubblicana e imperiale. Di contro, affidata alle cure di archeologi
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TORINO, 1836 E 1837: EPIGRAFIA LATINA AL BIVIO
e storici, l’epigrafia si muove per divenire davvero disciplina
autonoma, come vuole la “scienza dell’antichità” promossa in
Germania da Friedrich August Wolf (1759-1824), e si trasforma
in indispensabile strumento di conoscenza del mondo classico
e dei suoi dettagli, a mezza via tra la cultura materiale su cui si
sviluppano le ricerche degli archeologi e le ricostruzioni generali operate dagli storici. La direzione assunta grazie agli scritti del giovane Carlo Promis e agli orientamenti maggioritari
espressi dall’Accademia delle Scienze torinese rappresenta la
scelta culturale vincente, anche se non mancano resistenze di
parte opposta.
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2.
Studiosi tedeschi a Torino
Il panorama culturale della capitale piemontese, nella prima metà dell’Ottocento, presenta aspetti non sempre congruenti e talora apertamente contrastanti, tra chiusure tradizionalistiche e notevoli aperture europee, soprattutto sul versante scientifico. Se si lasciano da parte altri settori e ci si limita
al confronto tra quanto avviene nel Regio Ateneo torinese e
nell’Accademia delle Scienze in merito agli studi riservati al
mondo classico dal punto di vista storico-letterario, la situazione si può riassumere come segue. Nell’Università, prima
della riforma degli anni 1845-1848, gli studi letterari fanno parte della Facoltà di Scienze e Lettere; i docenti di maggior peso
che professano le discipline classiche sono Tommaso Vallauri
sulla cattedra di Eloquenza latina (dal 1843) e Amedeo Peyron
(1785-1870) sulla cattedra di Lingue orientali (greco compreso,
dal 1815). Del conservatorismo culturale di Vallauri si è già
detto; aggiungiamo ora che egli monopolizza gli studi di latino nell’Università di Torino e nella nuova Facoltà di Lettere
(che nasce nel 1848 e trasforma la cattedra da Eloquenza a
Letteratura latina) per quasi quarant’anni, impegnandosi in
una strenua battaglia contro il metodo filologico tedesco e i
suoi rappresentanti più noti e più vicini, come per es. il moravo Joseph (Giuseppe) Müller (1823-1895), chiamato a Torino
come docente di Letteratura greca, che trasferisce da noi i risultati della produzione scientifica germanica, d’intesa con
Hermann Loescher (1831-1892, pronipote di B.G. Teubner),
titolare dell’omonima casa editrice attiva a Torino dal 1861.
«Ammiratore dei tedeschi» si dichiara anche Amedeo Peyron:
il dotto abate svolge un’intensa attività storico-filologica su
testi greci e latini, affronta con taglio pionieristico lo studio
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STUDIOSI TEDESCHI A TORINO
documentario dei papiri del neonato Museo Egizio torinese
(fondato nel 1824), si distingue come orientalista e biblista,
stabilendo fitti rapporti con editori e viri docti d’Europa. La
dimensione internazionale dei suoi studi, oltre che dalle sedi
estere che ne ospitano i lavori, è confermata dalle Accademie,
in Italia e fuori, che lo annoverano come Socio e dal copioso
scambio epistolare con numerosi filologi del tempo. Tuttavia,
in Ateneo egli appare solitario e disincantato testimone delle
vicende storiche che portano allo stato unitario. Lontano dal
panlatinismo alla Vallauri e dalle vicende interne all’Università, egli offre tuttavia, nelle ricerche svolte e nelle scelte operate
all’interno dell’Accademia delle Scienze (di cui è Segretario
perpetuo), un meritorio contributo all’aggiornamento degli
studi classici in area piemontese. Dalle iniziative patrocinate
da Amedeo Peyron e da quelle promosse dal conte Federigo
Sclopis di Salerano (1798-1878, Presidente dell’Accademia dal
1864 alla morte) provengono infatti le maggiori aperture verso
la cultura europea. Per i filologi e gli storici d’oltralpe decisivi
sono stati, per la maggior parte, gli interventi e le proposte di
Peyron; a seguire, quando la salute di Amedeo Peyron comincia a declinare, vanno menzionate le iniziative dell’archeologo
e bibliografo Costanzo Gazzera (1778-1859, Segretario aggiunto della Classe), dei fratelli Domenico e Carlo Promis (di cui si
tornerà a parlare), del cavalier Bernardino Peyron (1828-1903),
nipote di Amedeo. Chi scorra l’elenco della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, vede la presenza tra i Soci
di nomi prestigiosi quali Philipp Karl Buttmann (1764-1829),
Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), Karl Lachmann (17931851), Friedrich Carl von Savigny (1779-1861), August Boeckh
(1785-1867), Friedrich Wilhelm Ritschl (1806-1876), Ernst
(1814-1896) e Georg Curtius (1820-1885), Theodor Mommsen
(1817-1903). In buona sostanza, grazie alla concezione internazionale dei saperi propria dell’Accademia lo studio dell’antico
conferma la sua natura libera da frontiere.
Anche in Accademia, però, non tutto procede nella medesima direzione: per es. nell’adunanza del 6 gennaio 1867,
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GIAN FRANCO GIANOTTI
in assenza di Amedeo Peyron, viene eletto Socio Tommaso
Vallauri; subito dopo Carlo Promis legge l’ultima parte della
sua storia di Torino e ottiene il nulla-osta per la pubblicazione. L’approdo in Accademia di Vallauri, che nel frattempo ha
continuato a pubblicare le proprie iscrizioni in lingua latina e
che lamenta tra l’altro il ritardo del riconoscimento accademico (a suo giudizio meritato da tempo), non è privo di scintille
di critica antigermanica. La prima polemica è diretta contro
Friedrich W. Ritschl (professore di filologia classica a Bonn e a
Lipsia), Socio straniero dell’Accademia delle Scienze torinese
dal gennaio 1866, a proposito del nome di Plauto. Nel primo
discorso pronunciato in Accademia Vallauri difende, con argomenti non persuasivi ma con forte passione nazionalistica, i tria nomina del civis M. Attius (o Accius) Plautus contro
il Maccius restituito da Ritschl e da allora invalso nella critica
plautina (Animadversiones in dissertationem F. Ritschelii de Plauti
poetae nominibus, Aug. Taur., Ex Officina Regia, 1867). Altrove,
senza l’aurea accademica della polemica in lingua latina, i toni
sono più duri e offensivi, come si impara dalle Novelle e da alcune lettere: «L’anno scorso scrissi pei dotti. Ora mi preme che
anche gli uomini nuovi, che non sanno di Latino, conoscano
la pericolosa invasione del germanesimo, da cui siamo minacciati». Ma non basta: dopo Ritschl Vallauri entra in polemica
anche con Theodor Mommsen, Socio straniero dell’Accademia
dagli inizi di gennaio 1861, reo a suo giudizio d’aver negato,
nella Römische Geschichte (1854-1856, l’opera maggiore elogiata
nella motivazione del Premio Nobel 1902 a Mommsen) che la
poesia abbia avuto stanza nell’Italia antica. Nell’acroasis inaugurale tenuta nell’Ateneo torinese nel 1872 (De Italorum doctrina a calumniis Th. Mommsenii vindicata, Torino, Ex Officina
Asceterii Salesiani), così suonano le ‘calunnie’ di Mommsen
rese in latino da Vallauri: «Italica gens nec potuit olim, nec potest in praesenti inter illas enumerari, quae poetica virtute in
primis commendentur… Italorum pectus lentum, vehementioribus affectibus impar». E così Vallauri scrive nella propria
autobiografia: «E se io abbia bene o male meritato d’Italia, lo
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STUDIOSI TEDESCHI A TORINO
dimostrano manifestamente le mie scritture critiche, in cui frustai di santa ragione il Mommsen ed altri dotti tedeschi, che si
attentarono di vituperare gl’Italiani e le cose loro» (Vita di T.
Vallauri scritta da esso, Roux & Favale, Torino 1878, 208).
Dotti tedeschi all’esterno, italiani intedescati e liberali
all’interno: questi i bersagli di Vallauri. Le sue posizioni trovano spesso ospitalità sulle colonne di «Civiltà Cattolica», dove
ai temi a lui cari si alternano gli attacchi alla laicità del sistema
scolastico pubblico dello stato unitario. A proposito di tradizione umanistica, latinismo perenne e spirito nazionalistico,
non sembra inutile riportare due passi della commemorazione ufficiale di Vallauri pubblicata negli Atti parlamentari del
Senato (Discussioni, 30 novembre 1897): «Capo battagliero e
indomito, poiché e nelle lezioni e nelle applaudite prolusioni
e in molte sue scritture, anche di genere satirico, non ristette mai dal combattere contro gli studi enciclopedici e contro
i metodi della filologia oltremontana, ripugnanti secondo lui
all’indole della nostra nazione. […] Il suo culto per l’antichità classica acquistava maggior calore dall’amore di patria.
Contro il Mommsen che aveva divulgato giudizi ingiuriosi su
Cicerone, e in generale sugli italiani antichi e moderni; contro
un altro dotto tedesco che s’era arrogato di mutare il prenome di Plauto, il Vallauri combatté battaglie epiche, come se
si fosse trattato di difendere l’Italia da una nuova invasione
barbarica».
— 13 —
3.
Theodor Mommsen, i Promis,
le iscrizioni latine della Gallia Cisalpina
Per buona sorte, come si è detto, gli orientamenti più aperti
dell’Accademia sono maggioritari e fanno sì che gli attacchi
di Vallauri non scalfiscano il giudizio su Torino di Theodor
Mommsen e non impediscano la collaborazione con intellettuali sabaudi per la raccolta delle iscrizioni che troveranno
ospitalità nel V volume del grandioso progetto del Corpus
Inscriptionum Latinarum. La preistoria di tale progetto può
essere riassunta così: nel 1815 il prussiano Barthold Georg
Niebuhr, storico di Roma ben noto anche in Italia, Socio onorario dal 1816 della Pontificia Accademia Romana di Archeologia
e Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze torinese,
formulava l’ipotesi di dar vita a un Corpus delle iscrizioni latine da sottoporre all’Accademia di Berlino. Il dibattito suscitato
dalla proposta di Niebuhr, non è di breve momento: dura infatti alcuni decenni e deve, tra l’altro, misurarsi con il Corpus
Inscriptionum Graecarum, promosso dal filologo di Berlino
August Boeckh (1785-1867) e pubblicato – non senza suscitare le critiche del filologo di Lipsia Gottfried Hermann (17721848) – a cura della stessa Accademia berlinese a partire dal
1828. A tale dibattito prende parte Bartolomeo Borghesi (17811860), che in forza delle proprie esperienze epigrafiche (a partire dall’illustrazione dei Fasti Capitolini del 1817) ha voce in
capitolo per suggerire o, comunque, seguire le varie ipotesi
che talora si orientano verso la cultura francese e che infine
sono riproposte e realizzate in area germanica. Tra il 1844 e
il 1847 due viaggi in Italia del giovane Mommsen prevedono
tra le tappe principali non solo Roma e Napoli, ma anche il
Monte Titano e San Marino, ultima residenza di Bartolomeo
Borghesi. Nei confronti dell’anziano epigrafista romagnolo
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THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA
Mommsen dichiara la propria ammirazione: «Bartholomaeo
Borghesio magistro patrono amico» suona la dedica del volume mommseniano sulle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae
(Vigand, Lipsiae 1852). Gli incontri di San Marino e le iniziative comuni, come per es. la proposta di pubblicazione in
Germania delle opere di Borghesi, ridanno respiro al progetto della raccolta epigrafica generale: proprio in quegli anni
l’Accademia di Berlino accoglie la proposta, che era stata di
Niebuhr e che ora è ripresentata da parte di Friedrich Carl von
Savigny, di Bartolomeo Borghesi, di Otto Jahn (1813-1869) e di
Mommsen stesso, che viene posto a capo del comitato costituito per realizzare il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL).
Le dimensioni del lavoro di raccolta non spaventano
Mommsen, come non spaventano i suoi più stretti collaboratori e la numerosissima rete di esperti e corrispondenti che dalle
singole regioni incardinate nell’antica Romània sono invitati a
fornire notizie e trascrizioni del materiale epigrafico presente
nei propri territori. Tra la nascita del comitato e la comparsa
del primo volume a stampa, le Inscriptionum latinae antiquissimae ad C. Caesaris mortem (a cura di Wilhelm Henzen, Reimer,
Berolini, 1863, 18932), trascorre un decennio di lavoro intensissimo, costituito da scambi epistolari, viaggi e soggiorni programmati in funzione autoptica di quanto conservano musei
e collezioni private, analisi storico-filologiche e cure editoriali;
lavoro che prosegue negli anni successivi e si concentra via via
su raccolta ed edizione delle epigrafi regione per regione: per
es., dei 15 volumi di CIL pubblicati vivo Mommsen il secondo riguarda le Inscriptiones Hispaniae Latinae (a cura di Emil
Hübner, Reimer, 1869).
Tra le regioni del mondo antico non v’è dubbio che le più ricche di monumenti e iscrizioni siano quelle della penisola italica; nessuna sorpresa, dunque, se i rapporti con l’Italia si intensifichino, si moltiplichino i viaggi di Mommsen e collaboratori
al di qua delle Alpi (dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna
all’Istria) e si incrementino in maniera esponenziale i carteggi
con studiosi ed eruditi delle diverse realtà geografiche italiane.
— 15 —
GIAN FRANCO GIANOTTI
Tutto questo non pregiudica la vastissima attività scientifica di
Mommsen come storico di Roma e del diritto romano.
I nomi dei cultori italici di antichità, maggiori e minori per
valore scientifico, trovano ospitalità nelle praefationes alle città e nei conspectus auctorum dei volumi di CIL, oppure fanno
capolino nei commenti di singole iscrizioni. L’importanza di
questi viri litterarum studiosi, amici et fautores dell’impresa, benivoli adiutores che hanno permesso l’edizione delle loro trouvailles, è sottolineata da Marco Buonocore, il quale osserva,
all’interno di un contributo assai utile per conoscere genesi
e primi sviluppi del progetto, che la raccolta dei dati sparsi
nei volumi curati da Mommsen e da più stretti collaboratori
premetterebbe «di tracciare una storia ‘minore’ della cultura
italiana del nostro Ottocento: una storia animata da scrupolose
ed oneste personalità, le quali, quantunque […] non sempre
ritenute meritevoli di essere registrate nei più accreditati percorsi biobibliografici, non devono essere dimenticate a motivo della loro proficua attività di ricerca» (Per una edizione delle
lettere di Theodor Mommsen agli Italiani, «Mediterraneo Antico»
16, 2013, 31).
Queste motivazioni, l’interesse storico-prosopografico e l’obiettivo di ricostruire gli sviluppi dell’antichistica italiana del
secondo Ottocento stanno alla base del Comitato Nazionale per
l’Edizione delle Lettere (edite e inedite) di Theodor Mommsen
agli Italiani, costituito nel gennaio del 2007 con sede legale
a Roma presso la sezione di Diritto Romano della Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”; il Comitato è
affiancato da un Consiglio Scientifico Internazionale, formato
da studiosi delle diverse discipline coinvolte nella realizzazione dell’iniziativa. I lavori sono in corso e procedono di buona
lena, a partire dalla trascrizione e dal commento delle lettere via via rintracciate; del progetto denominato «L’Edizione
nazionale delle lettere di Theodor Mommsen agli Italiani»
si è data notizia nel Convegno romano del 17 maggio 2012.
In tale occasione Arnaldo Marcone e Mario Mazza hanno discusso del volume curato da Stefan Rebenich e Gisa Franke,
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THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA
Theodor Mommsen und Friedrich Althoff. Briefwechsel 1882-1903
(Oldenbourg Verlag, München 2012), modello di notevole rilievo per iniziative analoghe.
Tra i lavori terminati o giunti ormai in prossimità del traguardo esempio storiografico di pari rilievo è offerto oggi dal volume che raccoglie lo scambio epistolare intercorso, a proposito
delle epigrafi della Gallia Cisalpina, fra Theodor Mommsen e
una interessante triade – anzi, alla Sainte Trinité – di studiosi
piemontesi, i fratelli Domenico e Carlo Promis nonché il figlio
del primo e nipote del secondo, Vincenzo Promis. L’atto d’inizio del carteggio tra Carlo Promis e il professore di Storia
romana all’Università di Berlino è la lettera inviata da Torino
in data 19 agosto 1863 come accompagnamento dell’omaggio
d’un volume che si è già avuto occasione di menzionare, Le
antichità di Aosta, Augusta Praetoria Salassorum, misurate, disegnate, illustrate da Carlo Promis. La risposta di Mommsen, che
già in anni precedenti aveva visitato Aosta e studiato le epigrafi della Vallée, è spedita da Berlino il 5 ottobre e contiene ringraziamenti non di maniera e aperti riconoscimenti del lavoro
di Promis: «C’est bien tard que je viens vous présenter mes
remerciements pour le bel ouvrage, que vous avez bien voulu
m’envoyer. Vraiment le corpus inscriptionum que je me trouve
avoir sur le bras deviendrait un plaisir au lieu d’un lourd fardeau, si on rencontrait partout des devanciers aussi savants et
aussi consciencieux comme vous».
Sulla base di questi riconoscimenti – reciproci riconoscimenti, si dovrebbe dire, anche se non sul piede di parità – si
fonda una decennale collaborazione, fatta di lettere a contenuto storico-epigrafico e a commento di situazioni contemporanee, scandita da visite di Mommsen a Torino e in Piemonte,
segnata infine dall’ingresso di Carlo Promis nell’Accademia di
Berlino; dell’intensità del lavoro comune con studiosi torinesi
e della valutazione positiva di Mommsen è testimone il giudizio che si legge nell’epistola a Carlo Promis del 23 febbraio
1869: «Je n’ai pas besoin d’ajouter, que j’y compte sur vous et
sur vos amis, M[onsieur] votre frère, M[essieurs] Muratori,
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GIAN FRANCO GIANOTTI
Fabretti, Gorresio, enfin sur ceux qui font que Turin n’a pas
cessé d’être la capitale de l’Italie pour les études sérieuses». Il
decennio, che si chiude con la scomparsa di Carlo Promis nel
1873, vede Mommsen – a tacer degli altri suoi scritti del medesimo periodo – alle prese con l’edizione, in ordine successivo, del IV (Inscriptiones parietariae Pompeianae, Herculanenses,
Stabianae, 1871), del III (Inscriptiones Asiae, provinciarum Europae,
Graecarum, Illyrici Latini, 1873) e del V volume di CIL, quest’ultimo in due tomi riservati alle Inscriptiones Galliae Cisalpinae
Latinae. Di CIL V è editore lo stesso Mommsen: il primo tomo,
Pars prior o CIL V1, contiene le Inscriptiones regionis Italiae decimae ed esce nel 1872; il secondo tomo, Pars posterior o CIL
V2, contiene le Inscriptiones regionum Italiae undecimae et nonae
(dunque del Piemonte romano) e viene pubblicato soltanto nel
1877.
Nella lettera del febbraio 1869 Mommsen cita tra gli studiosi torinesi affidabili anche il fratello maggiore di Carlo
Promis, vale a dire Domenico Casimiro (1804-1874). Il ritardo della pubblicazione della seconda parte di CIL V fa sì che
Carlo e Domenico Promis, morti a un anno di distanza l’uno
dall’altro, non possano vedere il compimento della sezione del
Corpus a cui hanno collaborato, ciascuno con le proprie competenze. Nel 1831 Domenico Promis ricopre la carica di Regio
Commissario della Zecca; nel 1832-33 si vede affidare dal re
Carlo Alberto incarichi di ricerca di documenti relativi alla
dinastia e poi il titolo di Conservatore del Regio Medagliere;
successivamente, nel 1837, è nominato Regio Bibliotecario,
non solo in qualità di conservatore della Biblioteca Reale ma
anche quale responsabile dei volumi da pubblicare e far conoscere oltre i confini dello stato sabaudo. Eletto Socio residente
dell’Accademia delle Scienze torinese (1838), ricopre il ruolo
di precettore dei figli del re, il futuro sovrano d’Italia Vittorio
Emanuele e Ferdinando duca di Genova; i buoni rapporti con
la corte continuano anche dopo la “fatal Novara” e l’esilio di
Carlo Alberto e non si interrompe la solerte attività di storico e numismatico – mediante i numerosi interventi presentati
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THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA
all’Accademia delle Scienze – che ne diffondono la fama e
che aprono la via alla collaborazione con Mommsen. Vale la
pena, tuttavia, di precisare che i rapporti con lo studioso tedesco sono, sì, rafforzati dall’amicizia più stretta tra Carlo e
Mommsen, ma precedono nel tempo quelli del fratello: in effetti il carteggio Mommsen-Domenico è composto da non molte lettere, dal 1853 al 1869, mentre, come si è detto, il carteggio
con Carlo ha inizio soltanto nel 1863, ma è costituito da lettere
decisamente più numerose e amichevoli nei toni.
L’ultimo personaggio della triade piemontese è Vincenzo
Promis (1839-1889), figlio di Domenico e nipote di Carlo.
Giovane avvocato e funzionario ministeriale, dal 1865 diventa assistente presso la Biblioteca Reale; alla morte del padre
assume la direzione del Medagliere e della Biblioteca Reale;
nello stesso anno è Socio effettivo della Deputazione di
Storia Patria; nel 1875 viene eletto Socio nazionale residente
dell’Accademia delle Scienze, subito dopo esser stato nominato Ispettore degli scavi e dei monumenti nel circondario di
Torino. I suoi contributi maggiori sono la migliore conoscenza di Torino romana, il restauro di importanti monumenti
cittadini, l’arricchimento delle collezioni torinesi. È autore,
tra l’altro, di Tavole sinottiche delle monete battute in Italia e da
Italiani all’estero dal secolo VII a tutto l’anno MDCCCLXVIII,
illustrate con note (Torino 1869), di studi sulle fonti della storia
di Asti e sui documenti della storia piemontese dal Cinque
al Settecento; collabora con Antonio Manno alla stesura del
I volume della Bibliografia storica degli Stati della monarchia di
Savoia (Torino 1884). Gli interessi precipui di Vincenzo Promis
sono di ordine storico e, soprattutto, numismatico, ma in ogni
incarico ricoperto con dedizione sa essere disponibile verso
tutti gli studiosi e le delegazioni straniere presenti a Torino
per ragioni di studio. Della sua disponibilità fa tesoro lo stesso Mommsen: con Vincenzo ha poche occasioni per discutere
del testo di epigrafi, ma sa esprimere il proprio cordoglio per
la scomparsa di Carlo e Domenico, così come sa manifestare
la propria gratitudine per il buon esito della consultazione
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GIAN FRANCO GIANOTTI
dei codici di Pirro Ligorio e, in particolare, per la pronta generosità nel porre un qualche rimedio alla dolorosa perdita di
volumi causata dall’incendio della biblioteca mommseniana,
mediante l’invio dei libri dei fratelli Promis e di altri collaboratori torinesi. La riconoscenza nei confronti della generosità
di Vincenzo in tema di servizi bibliografici e di accoglienza
di collaboratori tedeschi fa scrivere a Mommsen la bella frase
che si legge in clausola alla lettera del I dicembre 1879: «Ella
vede che continuiamo di trattarla come l’alleato e l’autore per
diritto di eredità del Corpus».
L’intero carteggio che lega la figura di Theodor Mommsen
alla famiglia Promis ha visto la luce a Parigi (2018) grazie alle
encomiabili ricerche di Silvia Giorcelli Bersani e di Filippo
Carlà-Uhink. Si tratta di documenti preziosi che narrano la
storia d’una collaborazione ottocentesca internazionale, non
completamente paritaria, tuttavia assai utile per comprendere
duplice processo: in generale per l’Italia e in particolare per il
Piemonte sabaudo la sinergia nella costruzione di CIL permette
il trasferimento del ricco, anche se non sempre edito rigorosamente, patrimonio dei dati locali a Berlino verso una nuova prospettiva ecdotica; nel contempo si completa, da noi, il trapianto
dei metodi filologici ed editoriali di matrice germanica relativi
ai testi letterari e all’epigrafia del mondo romano. Durante gli
anni di ricerca e di studio delle scritture esposte presenti nel
Piemonte romanizzato – a Torino o a Susa e Aosta, a Cuneo,
a Pollenzo oppure a Ivrea e in altri siti dello Stato sabaudo –,
autopsia tedesca facilitata da amichevoli ospitalità, fervore di
studi epicorici e fedeli descrizioni pedemontane possono giustificare la lusinghiera definizione di Torino come «capitale degli studi seri», elogio esteso nella Praefatio di CIL V alla rinascita
degli studi nell’Italia Settentrionale. Infine, nel 1883 le parole di
Theodor Mommsen suonano come esplicita laus Italiae: la praefatio congiunta ai volumi IX (Inscriptiones Calabriae, Apuliae,
Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae) e X (Inscriptiones Bruttiorum,
Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae Latinae) di CIL estende
l’encomio all’Italia intera: «Ex tenebris lux facta est».
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Nota bibliografica
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ISBN 978-88-9947-128-6
9 788899 471286 >
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