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Theodor Mommsen e l'epigrafia latina in Piemonte

2021, e-book

Gian Franco Gianotti Theodor Mommsen e l’epigrafia latina in Piemonte eLibri dell’Accademia • 1 eLibri dell’Accademia 1 Gian Franco Gianotti Theodor Mommsen e l’epigrafia latina in Piemonte Accademia delle Scienze di Torino 2021 Redazione Elena Borgi, Chiara Mancinelli Impaginazione Francesca Cattina Immagine della coperta Theodor Mommsen Ludwig Knaus, 1881 (Nationalgalerie Berlin, A I 315) Immagine in pubblico dominio Pubblicazione digitale gratuita eLibri dell’Accademia • 1 gennaio 2021 Proprietà letteraria riservata. Accademia delle Scienze di Torino via Accademia delle Scienze, 6 10123 Torino 011 562 0047 media@accademiadellescienze.it www.accademiadellescienze.it ISBN 978-88-99471-28-6 Sommario 1. Torino, 1836 e 1837: epigrafia latina al bivio 7 2. Studiosi tedeschi a Torino 10 3. Theodor Mommsen, i Promis, le iscrizioni latine della Gallia Cisalpina 14 Nota bibliografica 21 — 5 — 1. Torino, 1836 e 1837: epigrafia latina al bivio Nel 1836 l’editore torinese Pomba pubblica Caroli Boucheroni specimen inscriptionum latinarum edente Thoma Vallaurio. I due nomi, Carlo Boucheron (1773-1838) in apertura e Tommaso Vallauri (1805-1897) in chiusura del titolo, designano un “illustre latinista” locale e il maggiore dei suoi discepoli, attivi entrambi nell’Ateneo sabaudo, soci tutti e due dell’Accademia delle Scienze di Torino. Soprattutto delineano una fase corposa e piuttosto tenace della tradizione tardo-umanistica ed erudita che predica la scrittura in lingua latina di commenti letterari e, soprattutto, di iscrizioni ufficiali, nate spontaneamente o promosse da committenti per celebrare i fasti del presente, la vita e la morte dei potenti, i fatti salienti della comunità o della casa regnante, i riconoscimenti personali segnati per via numismatica. Nel volume al bel latino di Boucheron si accompagna la traduzione italica del trentunenne Vallauri, a sua volta futuro e fortunato autore di ‘epigrafi latine moderne’, perché esperto – a giudizio di G. Dalmazzo, Biografia di T. Vallauri, Firenze 1875, 19 – di «tutte le più riposte bellezze della lingua latina, la quale non fu per anco potuta eguagliare dall’italiana in quella sua breve, elegante e dignitosa forma di esprimere le cose che debbono essere tramandate alla posterità per mezzo del monumento». Sempre nel 1836, domenica 5 giugno, l’adunanza della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della Regia Accademia delle Scienze di Torino elegge come Socio corrispondente l’architetto ventottenne Carlo Promis (1808-1873), reduce da tirocinio romano e Ispettore dei Monumenti d’Antichità, che in quello stesso anno dà alle stampe il volume Le — 7 — GIAN FRANCO GIANOTTI antichità di Alba Fucense negli Equi misurate e illustrate (Roma 1836). Nell’adunanza del 22 gennaio 1837 la Classe delibera all’unanimità di stampare, nei volumi dell’Accademia, la Relazione in cui trovansi le antichità di Aosta ed esposizione degli scavi che sarebbe utile di aprirsi per illustrarle (Archivio storico dell’Accademia delle Scienze, Mss. 1.559-560); sono pagine da cui nasceranno Le antichità di Aosta, Augusta Praetoria Salassorum, misurate, disegnate, illustrate da Carlo Promis, Torino 1862 (volume inviato in omaggio a Theodor Mommsen). Inoltre, nell’adunanza del 30 marzo 1837 la Classe approva all’unanimità (compreso il voto di Boucheron) la relazione di Carlo Promis dal titolo Dell’antica città di Luni e del suo stato presente. Memorie raccolte; aggiuntovi il corpus epigrafico lunense; la relazione è pubblicata nelle “Memorie” dell’Accademia serie II, tomo I, Torino 1839, alle pagine 165-267. Alba Fucens, Aosta, Luni e infine La storia dell’antica Torino, Julia Augusta Taurinorum: scritta sulla fede de’ vetusti autori e delle sue iscrizioni e mura (Torino 1869) sono le tappe che all’Autore non solo permettono di specializzarsi come architetto, archeologo, storico e filologo, ma anche assicurano progressi di carriera: Ispettore dei Monumenti Antichi, Regio Archeologo, professore di Architettura prima nella Regia Università e poi dal 1860 nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri e gli Architetti con sede al Castello del Valentino (il futuro Politecnico di Torino); e anche una collezione di riconoscimenti di prestigio (Socio dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, Socio nazionale residente dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1842, infine Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Prussia). La coincidenza tra gli episodi che avvengono nel biennio 1836-1837 apre un vero e proprio bivio davanti all’epigrafia latina in area pedemontana. Lasciata in mano ai letterati come Boucheron e Vallauri o a impenitenti falsari, essa appare impettito e appagante ingrediente celebrativo del presente, eco pallida e talora caricaturale delle scritture esposte di Roma repubblicana e imperiale. Di contro, affidata alle cure di archeologi — 8 — TORINO, 1836 E 1837: EPIGRAFIA LATINA AL BIVIO e storici, l’epigrafia si muove per divenire davvero disciplina autonoma, come vuole la “scienza dell’antichità” promossa in Germania da Friedrich August Wolf (1759-1824), e si trasforma in indispensabile strumento di conoscenza del mondo classico e dei suoi dettagli, a mezza via tra la cultura materiale su cui si sviluppano le ricerche degli archeologi e le ricostruzioni generali operate dagli storici. La direzione assunta grazie agli scritti del giovane Carlo Promis e agli orientamenti maggioritari espressi dall’Accademia delle Scienze torinese rappresenta la scelta culturale vincente, anche se non mancano resistenze di parte opposta. — 9 — 2. Studiosi tedeschi a Torino Il panorama culturale della capitale piemontese, nella prima metà dell’Ottocento, presenta aspetti non sempre congruenti e talora apertamente contrastanti, tra chiusure tradizionalistiche e notevoli aperture europee, soprattutto sul versante scientifico. Se si lasciano da parte altri settori e ci si limita al confronto tra quanto avviene nel Regio Ateneo torinese e nell’Accademia delle Scienze in merito agli studi riservati al mondo classico dal punto di vista storico-letterario, la situazione si può riassumere come segue. Nell’Università, prima della riforma degli anni 1845-1848, gli studi letterari fanno parte della Facoltà di Scienze e Lettere; i docenti di maggior peso che professano le discipline classiche sono Tommaso Vallauri sulla cattedra di Eloquenza latina (dal 1843) e Amedeo Peyron (1785-1870) sulla cattedra di Lingue orientali (greco compreso, dal 1815). Del conservatorismo culturale di Vallauri si è già detto; aggiungiamo ora che egli monopolizza gli studi di latino nell’Università di Torino e nella nuova Facoltà di Lettere (che nasce nel 1848 e trasforma la cattedra da Eloquenza a Letteratura latina) per quasi quarant’anni, impegnandosi in una strenua battaglia contro il metodo filologico tedesco e i suoi rappresentanti più noti e più vicini, come per es. il moravo Joseph (Giuseppe) Müller (1823-1895), chiamato a Torino come docente di Letteratura greca, che trasferisce da noi i risultati della produzione scientifica germanica, d’intesa con Hermann Loescher (1831-1892, pronipote di B.G. Teubner), titolare dell’omonima casa editrice attiva a Torino dal 1861. «Ammiratore dei tedeschi» si dichiara anche Amedeo Peyron: il dotto abate svolge un’intensa attività storico-filologica su testi greci e latini, affronta con taglio pionieristico lo studio — 10 — STUDIOSI TEDESCHI A TORINO documentario dei papiri del neonato Museo Egizio torinese (fondato nel 1824), si distingue come orientalista e biblista, stabilendo fitti rapporti con editori e viri docti d’Europa. La dimensione internazionale dei suoi studi, oltre che dalle sedi estere che ne ospitano i lavori, è confermata dalle Accademie, in Italia e fuori, che lo annoverano come Socio e dal copioso scambio epistolare con numerosi filologi del tempo. Tuttavia, in Ateneo egli appare solitario e disincantato testimone delle vicende storiche che portano allo stato unitario. Lontano dal panlatinismo alla Vallauri e dalle vicende interne all’Università, egli offre tuttavia, nelle ricerche svolte e nelle scelte operate all’interno dell’Accademia delle Scienze (di cui è Segretario perpetuo), un meritorio contributo all’aggiornamento degli studi classici in area piemontese. Dalle iniziative patrocinate da Amedeo Peyron e da quelle promosse dal conte Federigo Sclopis di Salerano (1798-1878, Presidente dell’Accademia dal 1864 alla morte) provengono infatti le maggiori aperture verso la cultura europea. Per i filologi e gli storici d’oltralpe decisivi sono stati, per la maggior parte, gli interventi e le proposte di Peyron; a seguire, quando la salute di Amedeo Peyron comincia a declinare, vanno menzionate le iniziative dell’archeologo e bibliografo Costanzo Gazzera (1778-1859, Segretario aggiunto della Classe), dei fratelli Domenico e Carlo Promis (di cui si tornerà a parlare), del cavalier Bernardino Peyron (1828-1903), nipote di Amedeo. Chi scorra l’elenco della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, vede la presenza tra i Soci di nomi prestigiosi quali Philipp Karl Buttmann (1764-1829), Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), Karl Lachmann (17931851), Friedrich Carl von Savigny (1779-1861), August Boeckh (1785-1867), Friedrich Wilhelm Ritschl (1806-1876), Ernst (1814-1896) e Georg Curtius (1820-1885), Theodor Mommsen (1817-1903). In buona sostanza, grazie alla concezione internazionale dei saperi propria dell’Accademia lo studio dell’antico conferma la sua natura libera da frontiere. Anche in Accademia, però, non tutto procede nella medesima direzione: per es. nell’adunanza del 6 gennaio 1867, — 11 — GIAN FRANCO GIANOTTI in assenza di Amedeo Peyron, viene eletto Socio Tommaso Vallauri; subito dopo Carlo Promis legge l’ultima parte della sua storia di Torino e ottiene il nulla-osta per la pubblicazione. L’approdo in Accademia di Vallauri, che nel frattempo ha continuato a pubblicare le proprie iscrizioni in lingua latina e che lamenta tra l’altro il ritardo del riconoscimento accademico (a suo giudizio meritato da tempo), non è privo di scintille di critica antigermanica. La prima polemica è diretta contro Friedrich W. Ritschl (professore di filologia classica a Bonn e a Lipsia), Socio straniero dell’Accademia delle Scienze torinese dal gennaio 1866, a proposito del nome di Plauto. Nel primo discorso pronunciato in Accademia Vallauri difende, con argomenti non persuasivi ma con forte passione nazionalistica, i tria nomina del civis M. Attius (o Accius) Plautus contro il Maccius restituito da Ritschl e da allora invalso nella critica plautina (Animadversiones in dissertationem F. Ritschelii de Plauti poetae nominibus, Aug. Taur., Ex Officina Regia, 1867). Altrove, senza l’aurea accademica della polemica in lingua latina, i toni sono più duri e offensivi, come si impara dalle Novelle e da alcune lettere: «L’anno scorso scrissi pei dotti. Ora mi preme che anche gli uomini nuovi, che non sanno di Latino, conoscano la pericolosa invasione del germanesimo, da cui siamo minacciati». Ma non basta: dopo Ritschl Vallauri entra in polemica anche con Theodor Mommsen, Socio straniero dell’Accademia dagli inizi di gennaio 1861, reo a suo giudizio d’aver negato, nella Römische Geschichte (1854-1856, l’opera maggiore elogiata nella motivazione del Premio Nobel 1902 a Mommsen) che la poesia abbia avuto stanza nell’Italia antica. Nell’acroasis inaugurale tenuta nell’Ateneo torinese nel 1872 (De Italorum doctrina a calumniis Th. Mommsenii vindicata, Torino, Ex Officina Asceterii Salesiani), così suonano le ‘calunnie’ di Mommsen rese in latino da Vallauri: «Italica gens nec potuit olim, nec potest in praesenti inter illas enumerari, quae poetica virtute in primis commendentur… Italorum pectus lentum, vehementioribus affectibus impar». E così Vallauri scrive nella propria autobiografia: «E se io abbia bene o male meritato d’Italia, lo — 12 — STUDIOSI TEDESCHI A TORINO dimostrano manifestamente le mie scritture critiche, in cui frustai di santa ragione il Mommsen ed altri dotti tedeschi, che si attentarono di vituperare gl’Italiani e le cose loro» (Vita di T. Vallauri scritta da esso, Roux & Favale, Torino 1878, 208). Dotti tedeschi all’esterno, italiani intedescati e liberali all’interno: questi i bersagli di Vallauri. Le sue posizioni trovano spesso ospitalità sulle colonne di «Civiltà Cattolica», dove ai temi a lui cari si alternano gli attacchi alla laicità del sistema scolastico pubblico dello stato unitario. A proposito di tradizione umanistica, latinismo perenne e spirito nazionalistico, non sembra inutile riportare due passi della commemorazione ufficiale di Vallauri pubblicata negli Atti parlamentari del Senato (Discussioni, 30 novembre 1897): «Capo battagliero e indomito, poiché e nelle lezioni e nelle applaudite prolusioni e in molte sue scritture, anche di genere satirico, non ristette mai dal combattere contro gli studi enciclopedici e contro i metodi della filologia oltremontana, ripugnanti secondo lui all’indole della nostra nazione. […] Il suo culto per l’antichità classica acquistava maggior calore dall’amore di patria. Contro il Mommsen che aveva divulgato giudizi ingiuriosi su Cicerone, e in generale sugli italiani antichi e moderni; contro un altro dotto tedesco che s’era arrogato di mutare il prenome di Plauto, il Vallauri combatté battaglie epiche, come se si fosse trattato di difendere l’Italia da una nuova invasione barbarica». — 13 — 3. Theodor Mommsen, i Promis, le iscrizioni latine della Gallia Cisalpina Per buona sorte, come si è detto, gli orientamenti più aperti dell’Accademia sono maggioritari e fanno sì che gli attacchi di Vallauri non scalfiscano il giudizio su Torino di Theodor Mommsen e non impediscano la collaborazione con intellettuali sabaudi per la raccolta delle iscrizioni che troveranno ospitalità nel V volume del grandioso progetto del Corpus Inscriptionum Latinarum. La preistoria di tale progetto può essere riassunta così: nel 1815 il prussiano Barthold Georg Niebuhr, storico di Roma ben noto anche in Italia, Socio onorario dal 1816 della Pontificia Accademia Romana di Archeologia e Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze torinese, formulava l’ipotesi di dar vita a un Corpus delle iscrizioni latine da sottoporre all’Accademia di Berlino. Il dibattito suscitato dalla proposta di Niebuhr, non è di breve momento: dura infatti alcuni decenni e deve, tra l’altro, misurarsi con il Corpus Inscriptionum Graecarum, promosso dal filologo di Berlino August Boeckh (1785-1867) e pubblicato – non senza suscitare le critiche del filologo di Lipsia Gottfried Hermann (17721848) – a cura della stessa Accademia berlinese a partire dal 1828. A tale dibattito prende parte Bartolomeo Borghesi (17811860), che in forza delle proprie esperienze epigrafiche (a partire dall’illustrazione dei Fasti Capitolini del 1817) ha voce in capitolo per suggerire o, comunque, seguire le varie ipotesi che talora si orientano verso la cultura francese e che infine sono riproposte e realizzate in area germanica. Tra il 1844 e il 1847 due viaggi in Italia del giovane Mommsen prevedono tra le tappe principali non solo Roma e Napoli, ma anche il Monte Titano e San Marino, ultima residenza di Bartolomeo Borghesi. Nei confronti dell’anziano epigrafista romagnolo — 14 — THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA Mommsen dichiara la propria ammirazione: «Bartholomaeo Borghesio magistro patrono amico» suona la dedica del volume mommseniano sulle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae (Vigand, Lipsiae 1852). Gli incontri di San Marino e le iniziative comuni, come per es. la proposta di pubblicazione in Germania delle opere di Borghesi, ridanno respiro al progetto della raccolta epigrafica generale: proprio in quegli anni l’Accademia di Berlino accoglie la proposta, che era stata di Niebuhr e che ora è ripresentata da parte di Friedrich Carl von Savigny, di Bartolomeo Borghesi, di Otto Jahn (1813-1869) e di Mommsen stesso, che viene posto a capo del comitato costituito per realizzare il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL). Le dimensioni del lavoro di raccolta non spaventano Mommsen, come non spaventano i suoi più stretti collaboratori e la numerosissima rete di esperti e corrispondenti che dalle singole regioni incardinate nell’antica Romània sono invitati a fornire notizie e trascrizioni del materiale epigrafico presente nei propri territori. Tra la nascita del comitato e la comparsa del primo volume a stampa, le Inscriptionum latinae antiquissimae ad C. Caesaris mortem (a cura di Wilhelm Henzen, Reimer, Berolini, 1863, 18932), trascorre un decennio di lavoro intensissimo, costituito da scambi epistolari, viaggi e soggiorni programmati in funzione autoptica di quanto conservano musei e collezioni private, analisi storico-filologiche e cure editoriali; lavoro che prosegue negli anni successivi e si concentra via via su raccolta ed edizione delle epigrafi regione per regione: per es., dei 15 volumi di CIL pubblicati vivo Mommsen il secondo riguarda le Inscriptiones Hispaniae Latinae (a cura di Emil Hübner, Reimer, 1869). Tra le regioni del mondo antico non v’è dubbio che le più ricche di monumenti e iscrizioni siano quelle della penisola italica; nessuna sorpresa, dunque, se i rapporti con l’Italia si intensifichino, si moltiplichino i viaggi di Mommsen e collaboratori al di qua delle Alpi (dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna all’Istria) e si incrementino in maniera esponenziale i carteggi con studiosi ed eruditi delle diverse realtà geografiche italiane. — 15 — GIAN FRANCO GIANOTTI Tutto questo non pregiudica la vastissima attività scientifica di Mommsen come storico di Roma e del diritto romano. I nomi dei cultori italici di antichità, maggiori e minori per valore scientifico, trovano ospitalità nelle praefationes alle città e nei conspectus auctorum dei volumi di CIL, oppure fanno capolino nei commenti di singole iscrizioni. L’importanza di questi viri litterarum studiosi, amici et fautores dell’impresa, benivoli adiutores che hanno permesso l’edizione delle loro trouvailles, è sottolineata da Marco Buonocore, il quale osserva, all’interno di un contributo assai utile per conoscere genesi e primi sviluppi del progetto, che la raccolta dei dati sparsi nei volumi curati da Mommsen e da più stretti collaboratori premetterebbe «di tracciare una storia ‘minore’ della cultura italiana del nostro Ottocento: una storia animata da scrupolose ed oneste personalità, le quali, quantunque […] non sempre ritenute meritevoli di essere registrate nei più accreditati percorsi biobibliografici, non devono essere dimenticate a motivo della loro proficua attività di ricerca» (Per una edizione delle lettere di Theodor Mommsen agli Italiani, «Mediterraneo Antico» 16, 2013, 31). Queste motivazioni, l’interesse storico-prosopografico e l’obiettivo di ricostruire gli sviluppi dell’antichistica italiana del secondo Ottocento stanno alla base del Comitato Nazionale per l’Edizione delle Lettere (edite e inedite) di Theodor Mommsen agli Italiani, costituito nel gennaio del 2007 con sede legale a Roma presso la sezione di Diritto Romano della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”; il Comitato è affiancato da un Consiglio Scientifico Internazionale, formato da studiosi delle diverse discipline coinvolte nella realizzazione dell’iniziativa. I lavori sono in corso e procedono di buona lena, a partire dalla trascrizione e dal commento delle lettere via via rintracciate; del progetto denominato «L’Edizione nazionale delle lettere di Theodor Mommsen agli Italiani» si è data notizia nel Convegno romano del 17 maggio 2012. In tale occasione Arnaldo Marcone e Mario Mazza hanno discusso del volume curato da Stefan Rebenich e Gisa Franke, — 16 — THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA Theodor Mommsen und Friedrich Althoff. Briefwechsel 1882-1903 (Oldenbourg Verlag, München 2012), modello di notevole rilievo per iniziative analoghe. Tra i lavori terminati o giunti ormai in prossimità del traguardo esempio storiografico di pari rilievo è offerto oggi dal volume che raccoglie lo scambio epistolare intercorso, a proposito delle epigrafi della Gallia Cisalpina, fra Theodor Mommsen e una interessante triade – anzi, alla Sainte Trinité – di studiosi piemontesi, i fratelli Domenico e Carlo Promis nonché il figlio del primo e nipote del secondo, Vincenzo Promis. L’atto d’inizio del carteggio tra Carlo Promis e il professore di Storia romana all’Università di Berlino è la lettera inviata da Torino in data 19 agosto 1863 come accompagnamento dell’omaggio d’un volume che si è già avuto occasione di menzionare, Le antichità di Aosta, Augusta Praetoria Salassorum, misurate, disegnate, illustrate da Carlo Promis. La risposta di Mommsen, che già in anni precedenti aveva visitato Aosta e studiato le epigrafi della Vallée, è spedita da Berlino il 5 ottobre e contiene ringraziamenti non di maniera e aperti riconoscimenti del lavoro di Promis: «C’est bien tard que je viens vous présenter mes remerciements pour le bel ouvrage, que vous avez bien voulu m’envoyer. Vraiment le corpus inscriptionum que je me trouve avoir sur le bras deviendrait un plaisir au lieu d’un lourd fardeau, si on rencontrait partout des devanciers aussi savants et aussi consciencieux comme vous». Sulla base di questi riconoscimenti – reciproci riconoscimenti, si dovrebbe dire, anche se non sul piede di parità – si fonda una decennale collaborazione, fatta di lettere a contenuto storico-epigrafico e a commento di situazioni contemporanee, scandita da visite di Mommsen a Torino e in Piemonte, segnata infine dall’ingresso di Carlo Promis nell’Accademia di Berlino; dell’intensità del lavoro comune con studiosi torinesi e della valutazione positiva di Mommsen è testimone il giudizio che si legge nell’epistola a Carlo Promis del 23 febbraio 1869: «Je n’ai pas besoin d’ajouter, que j’y compte sur vous et sur vos amis, M[onsieur] votre frère, M[essieurs] Muratori, — 17 — GIAN FRANCO GIANOTTI Fabretti, Gorresio, enfin sur ceux qui font que Turin n’a pas cessé d’être la capitale de l’Italie pour les études sérieuses». Il decennio, che si chiude con la scomparsa di Carlo Promis nel 1873, vede Mommsen – a tacer degli altri suoi scritti del medesimo periodo – alle prese con l’edizione, in ordine successivo, del IV (Inscriptiones parietariae Pompeianae, Herculanenses, Stabianae, 1871), del III (Inscriptiones Asiae, provinciarum Europae, Graecarum, Illyrici Latini, 1873) e del V volume di CIL, quest’ultimo in due tomi riservati alle Inscriptiones Galliae Cisalpinae Latinae. Di CIL V è editore lo stesso Mommsen: il primo tomo, Pars prior o CIL V1, contiene le Inscriptiones regionis Italiae decimae ed esce nel 1872; il secondo tomo, Pars posterior o CIL V2, contiene le Inscriptiones regionum Italiae undecimae et nonae (dunque del Piemonte romano) e viene pubblicato soltanto nel 1877. Nella lettera del febbraio 1869 Mommsen cita tra gli studiosi torinesi affidabili anche il fratello maggiore di Carlo Promis, vale a dire Domenico Casimiro (1804-1874). Il ritardo della pubblicazione della seconda parte di CIL V fa sì che Carlo e Domenico Promis, morti a un anno di distanza l’uno dall’altro, non possano vedere il compimento della sezione del Corpus a cui hanno collaborato, ciascuno con le proprie competenze. Nel 1831 Domenico Promis ricopre la carica di Regio Commissario della Zecca; nel 1832-33 si vede affidare dal re Carlo Alberto incarichi di ricerca di documenti relativi alla dinastia e poi il titolo di Conservatore del Regio Medagliere; successivamente, nel 1837, è nominato Regio Bibliotecario, non solo in qualità di conservatore della Biblioteca Reale ma anche quale responsabile dei volumi da pubblicare e far conoscere oltre i confini dello stato sabaudo. Eletto Socio residente dell’Accademia delle Scienze torinese (1838), ricopre il ruolo di precettore dei figli del re, il futuro sovrano d’Italia Vittorio Emanuele e Ferdinando duca di Genova; i buoni rapporti con la corte continuano anche dopo la “fatal Novara” e l’esilio di Carlo Alberto e non si interrompe la solerte attività di storico e numismatico – mediante i numerosi interventi presentati — 18 — THEODOR MOMMSEN, I PROMIS, LE ISCRIZIONI LATINE DELLA GALLIA CISALPINA all’Accademia delle Scienze – che ne diffondono la fama e che aprono la via alla collaborazione con Mommsen. Vale la pena, tuttavia, di precisare che i rapporti con lo studioso tedesco sono, sì, rafforzati dall’amicizia più stretta tra Carlo e Mommsen, ma precedono nel tempo quelli del fratello: in effetti il carteggio Mommsen-Domenico è composto da non molte lettere, dal 1853 al 1869, mentre, come si è detto, il carteggio con Carlo ha inizio soltanto nel 1863, ma è costituito da lettere decisamente più numerose e amichevoli nei toni. L’ultimo personaggio della triade piemontese è Vincenzo Promis (1839-1889), figlio di Domenico e nipote di Carlo. Giovane avvocato e funzionario ministeriale, dal 1865 diventa assistente presso la Biblioteca Reale; alla morte del padre assume la direzione del Medagliere e della Biblioteca Reale; nello stesso anno è Socio effettivo della Deputazione di Storia Patria; nel 1875 viene eletto Socio nazionale residente dell’Accademia delle Scienze, subito dopo esser stato nominato Ispettore degli scavi e dei monumenti nel circondario di Torino. I suoi contributi maggiori sono la migliore conoscenza di Torino romana, il restauro di importanti monumenti cittadini, l’arricchimento delle collezioni torinesi. È autore, tra l’altro, di Tavole sinottiche delle monete battute in Italia e da Italiani all’estero dal secolo VII a tutto l’anno MDCCCLXVIII, illustrate con note (Torino 1869), di studi sulle fonti della storia di Asti e sui documenti della storia piemontese dal Cinque al Settecento; collabora con Antonio Manno alla stesura del I volume della Bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia (Torino 1884). Gli interessi precipui di Vincenzo Promis sono di ordine storico e, soprattutto, numismatico, ma in ogni incarico ricoperto con dedizione sa essere disponibile verso tutti gli studiosi e le delegazioni straniere presenti a Torino per ragioni di studio. Della sua disponibilità fa tesoro lo stesso Mommsen: con Vincenzo ha poche occasioni per discutere del testo di epigrafi, ma sa esprimere il proprio cordoglio per la scomparsa di Carlo e Domenico, così come sa manifestare la propria gratitudine per il buon esito della consultazione — 19 — GIAN FRANCO GIANOTTI dei codici di Pirro Ligorio e, in particolare, per la pronta generosità nel porre un qualche rimedio alla dolorosa perdita di volumi causata dall’incendio della biblioteca mommseniana, mediante l’invio dei libri dei fratelli Promis e di altri collaboratori torinesi. La riconoscenza nei confronti della generosità di Vincenzo in tema di servizi bibliografici e di accoglienza di collaboratori tedeschi fa scrivere a Mommsen la bella frase che si legge in clausola alla lettera del I dicembre 1879: «Ella vede che continuiamo di trattarla come l’alleato e l’autore per diritto di eredità del Corpus». L’intero carteggio che lega la figura di Theodor Mommsen alla famiglia Promis ha visto la luce a Parigi (2018) grazie alle encomiabili ricerche di Silvia Giorcelli Bersani e di Filippo Carlà-Uhink. Si tratta di documenti preziosi che narrano la storia d’una collaborazione ottocentesca internazionale, non completamente paritaria, tuttavia assai utile per comprendere duplice processo: in generale per l’Italia e in particolare per il Piemonte sabaudo la sinergia nella costruzione di CIL permette il trasferimento del ricco, anche se non sempre edito rigorosamente, patrimonio dei dati locali a Berlino verso una nuova prospettiva ecdotica; nel contempo si completa, da noi, il trapianto dei metodi filologici ed editoriali di matrice germanica relativi ai testi letterari e all’epigrafia del mondo romano. Durante gli anni di ricerca e di studio delle scritture esposte presenti nel Piemonte romanizzato – a Torino o a Susa e Aosta, a Cuneo, a Pollenzo oppure a Ivrea e in altri siti dello Stato sabaudo –, autopsia tedesca facilitata da amichevoli ospitalità, fervore di studi epicorici e fedeli descrizioni pedemontane possono giustificare la lusinghiera definizione di Torino come «capitale degli studi seri», elogio esteso nella Praefatio di CIL V alla rinascita degli studi nell’Italia Settentrionale. Infine, nel 1883 le parole di Theodor Mommsen suonano come esplicita laus Italiae: la praefatio congiunta ai volumi IX (Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae) e X (Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae Latinae) di CIL estende l’encomio all’Italia intera: «Ex tenebris lux facta est». — 20 — Nota bibliografica I primi due secoli della Accademia delle Scienze di Torino, I-II, Suppl. al vol. 119 degli «Atti» dell’Accademia, Torino 1985. I. Lana (a cura di), Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, Olschki, Firenze 2000. U. Levra (a cura di), Storia di Torino. VI. La città nel Risorgimento (1798-1864), Einaudi, Torino 2000. U. Levra (a cura di), Storia di Torino. VII. Da capitale politica a capitale industriale (1864-1915), Einaudi, Torino 2001. M. Buonocore, Th. Mommsen e gli studi sul mondo antico. Dalle sue lettere conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Jovene, Napoli 2003. M. Buonocore, Th. Mommsen e la costruzione del volume IX del CIL, in Theodor Mommsen e l’Italia. Atti del Convegno (Roma, 3-4 novembre 2003), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2004, 9-104. M. Buonocore, Th. Mommsen e l’Italia, in Le scienze dell’antichità nell’Ottocento. Percorsi romagnoli e riminesi, L’Arco, Rimini 2014, 40-55 M. Buonocore, Ex tenebris lux facta est. Theodor Mommsen e gli studi classici in Italia dopo l’Unità: bilanci e prospettive, in S. Cerasuolo et alii (a cura di), La tradizione classica e l’Unità d’Italia, I, Satura, Napoli 2014, 237-260. S. Giorcelli Bersani, Torino «capitale degli studi seri». Carteggio Theodor Mommsen – Carlo Promis, Celid, Torino 2014. S. Giorcelli Bersani (a cura di) Carlo Promis e Theodor Mommsen. Cacciatori di pietre fra Torino e Berlino, Hapax, Torino 2015. S. Giorcelli Bersani, Theodor Mommsen a Susa: pagine inedite da un archivio privato, «Segusium» 2015, 53-74. S. Giorcelli Bersani, F. Carlà Uhink, Monsieur le Professeur… Correspondences italiennes 1853-1888. Theodor Mommsen, Carlo, Domenico, Vincenzo Promis, De Boccard, Paris 2018. — 21 — ISBN 978-88-9947-128-6 9 788899 471286 > Pubblicazione gratuita eLibri dell’Accademia • 1