Quaderni
dell’Antiquarium
II
Le epigrafi gotiche
e gli stemmi nobiliari
1
Comitato scientifico
Luca Alessandri
Gemma Carafa Jacobini
Laura Chioffi
Maria De Francesco
Michelangelo La Rosa
Gijs Tol
Il Sindaco
Alessandro Coppola
L’Assessore alla Cultura
Camilla Ludovisi
Il Dirigente area I
Margherita Camarda
Stampato da
Tipografia Tofani
Nettuno
2
Settembre 2020
Con grande piacere introduco questa seconda pubblicazione
dei quaderni dell’Antiquarium. In questo periodo di grandi
incertezze, dovute all’emergenza per il contagio da Covid-19,
proseguire nella pubblicazione di questi quaderni vuole essere
un segnale di ripresa delle attività culturali sul nostro
territorio. Questi quaderni rappresentano un importante
strumento per la valorizzazione dei reperti ospitati nel Forte
Sangallo ed uno riferimento essenziale affinché turisti e
visitatori possano fruire in maniera più agevole del museo.
Indicazioni chiare e precise sui reperti in esso contenuti
consentono, infatti, anche a chi non è addetto ai lavori, di
apprezzarli in maniera completa. Tali reperti, pur non essendo
stati rinvenuti sul nostro territorio, ne rappresentano
comunque la storia, in quanto tramandati come importante
patrimonio del Forte Sangallo.
Ogni ripresa ed ogni rilancio nella storia, dopo soprattutto
un brusco arresto quale quello che abbiamo vissuto negli
ultimi mesi, deve necessariamente ripartire dalla cultura e
dalla valorizzazione del territorio e delle sue bellezze. Come
già detto nella prima pubblicazione la storia di una comunità è
il pilastro su cui la stessa costruisce il proprio presente e
progetta il proprio futuro.
Ringrazio la Direttrice del museo Antiquarium Maria De
Francesco per l’importante lavoro svolto negli anni ed in
questa specifica circostanza. Ringrazio la dottoressa
Margherita Camarda, dirigente dell’Area I del Comune di
Nettuno e la dottoressa Daniela Zeppetella, referente per
l’Ufficio Cultura, per il lavoro di supporto alle attività
culturali sul nostro territorio.
Il Sindaco della Città di Nettuno
Alessandro Coppola
3
Questo secondo numero dei “Quaderni dell’Antiquarium” è
dedicato alle epigrafi incise su pietre tombali in grafia gotica, presenti
nelle segrete del Forte Sangallo già al momento della sua acquisizione
da parte del Comune di Nettuno, nel febbraio del 1988. Esistono a
questo proposito delle fotografie, che mi ha fornito gentilmente anni
fa il fotografo Raniero Avvisati, a testimonianza dei materiali
rinvenuti nel Forte e nelle sue segrete, prima dell’inizio dei restauri.
Ma come mai queste epigrafi, che, come dirà poi più
precisamente la prof.ssa Paola Caruso, non sono del nostro territorio e
inoltre sono tutte anteriori alla costruzione del Forte, si trovano qui?
Naturalmente non c’è una risposta sicura, tuttavia possiamo
presupporre che facessero parte della collezione del barone Fassini,
proprietario del monumento nei primi decenni del Novecento;
sappiamo che il barone era un cultore dell’arte antica e che aveva
realizzato nel portico di sinistra un lapidarium con reperti ancora
presenti nel Forte e che per la maggior parte sono stati già valorizzati
nel museo.
Per dare quindi la giusta dignità anche a queste epigrafi, che, pur
non provenendo dal territorio, costituiscono comunque un tassello
nella ricostruzione storica della vita del Forte Sangallo, ho pensato di
organizzare una mostra temporanea, di cui questo numero dei
“Quaderni” costituirà una guida alla lettura per il visitatore.
Ringrazio moltissimo la prof.ssa Paola Caruso per aver accolto
subito con entusiasmo la mia richiesta di studiare i manufatti, cosa che
ha portato a termine con grande professionalità e dedizione,
permettendo così anche la stampa di questo libretto.
I miei ringraziamenti anche al Sindaco, ing. Alessandro Coppola,
così attento agli eventi culturali e alla storia del nostro territorio, alla
dott.ssa Margherita Camarda per l’energico supporto che mi ha dato in
questi anni, alla dott.ssa Daniela Zeppetella, mio punto di riferimento
negli ultimi tempi e alla dott.ssa Arianna Ciarla, mia stretta
collaboratrice, per l’aiuto (anche fisico!) che mi ha prestato.
Maria De Francesco
4
Con l’esposizione, in una mostra dedicata, delle epigrafi e dei
blasoni tre-seicenteschi rinvenuti nelle segrete del Forte Sangallo, il
Museo nettunense si arricchisce di un’ulteriore sezione ad uso di
cittadini, turisti ed esperti di storia ed araldica. Si tratta probabilmente
- riferiscono i curatori - della raccolta del barone Fassini, proprietario
del Forte dal 1920 al 1940, e committente della trasformazione
dell’immobile a destinazione abitativa.
Al di là del valore intrinseco, ben evidenziato nello studio, le
epigrafi ed i blasoni della collezione, che tanto ci raccontano dei
costumi di famiglie gentilizie del centro Italia tra il XIV e il XVII
secolo, documentano la pratica antiquariale che accompagnava i
“restauri” dei primi decenni del Novecento, quando il gusto di
committenti ed architetti dettava scelte a piccola scala che seguivano
temporalmente quelle più prettamente scientifiche. E se queste ultime
venivano sottoposte al vaglio del Consiglio Superiore di Belle Arti del
Ministero della Pubblica Istruzione, secondo procedure antesignane di
quelle odierne delle Soprintendenze, l’arredo degli spazi interni, reso
più suggestivo dal riutilizzo di pezzi erratici di valore storico, che
veniva combinato con elementi in stile realizzati da bravi artigiani,
sfuggiva al controllo ministeriale.
Solo alla fine degli anni Trenta le norme di tutela hanno
attenzionato alla fonte il materiale mobile “immobile per
destinazione”, evitandone in tal modo la dispersione.
Decontestualizzando “affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni,
tabernacoli ed altri ornamenti di edifici”, staccati dalle originarie
collocazioni e messi in vendita sul mercato antiquario, si
danneggiavano irreparabilmente contesti artistici e si cancellavano
documenti storici.
Oggi, pervenuto il Forte in mano pubblica da un trentennio, e
acquisita la destinazione museale dopo i restauri di Soprintendenza e
Comune, quanto in essa contenuto - pertinente o meno lo stesso
edificio – questo materiale trova piena motivazione di essere esposto
ed apprezzato.
5
Lo studio, l’interpretazione, l’esposizione della collezione
epigrafica Fassini conservata nel Forte ha quindi anche questo merito.
Quello di offrirsi come un archivio di pubblica e continua
consultazione, stimolando quella ricucitura di informazioni tanto utile
alla storia, alla storia dell’arte, alla coscienza dei cittadini.
Arch. Margherita Echberg
Soprintendente ABAP-RM-MET
6
Introduzione
Nel 2017, insieme a mio marito Paolo De Cicco, accompagnai il
Prof. Heikki Solin in una delle sue ricognizioni epigrafiche, che si
svolse al Forte Sangallo di Nettuno, dove sono conservate numerose
iscrizioni antiche. Ad accoglierci c’era la Prof.ssa Maria De
Francesco, direttrice scientifica dell’Antiquarium ubicato nel Forte.
Dopo lo studio epigrafico delle iscrizioni di età romana, la direttrice ci
guidò ad una visita del monumento che fu molto interessante. Il
grandioso edificio, posto sul mare, con il suo colore ambrato è
oltremodo suggestivo. Durante la visita, la direttrice ci mostrò anche
alcuni reperti che non avevano trovato posto nell’esposizione, tra
queste vi erano dodici lastre di marmo, delle quali sei con iscrizioni e
stemmi familiari, cinque solo con stemmi, una solo con iscrizione, la
cui provenienza era ignota. Espressi il mio interesse per i manufatti e
la direttrice ci confidò che era sua intenzione dare rilievo a quei
reperti, restituendo ad essi la loro dignità. Così nacque la
collaborazione tra la sottoscritta e la Prof.ssa De Francesco per
realizzare uno studio di quei reperti, che sembravano essere stati
dimenticati lì dai precedenti proprietari durante la movimentata vita
del Forte.
Le iscrizioni risalivano al XIV-XV sec., il linguaggio epigrafico era
in alcuni casi del tutto criptico, presentando quasi esclusivamente
abbreviazioni, di uso non comune, pertanto si potevano fare non più
che ipotesi sul loro significato. In altri casi risultavano facilmente
leggibili, ma perlopiù davano scarne informazioni, limitandosi ai
nomi, talvolta al casato e un paio di volte rivelando la provenienza dei
personaggi citati.
I blasoni invece testimoniavano l’appartenenza a prestigiose
famiglie, in genere toscane, alcune anche molto note. La ricerca in
repertori onomastici e documenti medievali in qualche caso ha
permesso di identificare i membri di queste casate nominate nelle
iscrizioni. Grazie alla disponibilità e alla collaborazione della Prof. ssa
De Francesco, ho potuto corredare le iscrizioni con dati metrici e belle
fotografie che ella stessa mi ha fornito.
Ho dato notizia dei soli testi epigrafici nel corso del XVI Convegno
Le epigrafi della Valle di Comino, il 2 giugno 2019, organizzato dalla
7
Associazione Genesi, con la consulenza scientifica del Prof. Heikki
Solin. Salite alla ribalta delle cronache, sembra opportuno che abbiano
il giusto riconoscimento anche nella città che le conserva, ampliando
le schede epigrafiche con i commenti araldici dei blasoni e altre note.
In generale le iscrizioni sono di età moderna, tutte di carattere
funerario, tranne forse una (n.2); abbastanza omogenee per tipologia,
materiale, concezione e scrittura, sia pure distribuite in un arco
cronologico compreso tra il XIV e la prima metà del XV sec. Gli
stemmi invece si distribuiscono su un arco cronologico che arriva fino
al XVII sec. Tutti i reperti probabilmente dovevano essere parte della
famosa collezione del barone Alberto Fassini Camossi (1875-1942),
proprietario del Forte fino al 1938.
Il fatto che i blasoni indicassero che si trattava di membri di nobili
casate, alcune delle quali anche piuttosto note, fa pensare che le
iscrizioni siano state collezionate in modo mirato, per avere cioè un
reperto appunto di quei noti casati.
Non essendoci notizie relative alle collocazioni originali delle
iscrizioni, non si possono completare i dati e in alcuni casi dobbiamo
limitarci a semplici descrizioni.
Si colgono tuttavia alcuni elementi interessanti relativi allo stile
della scrittura e alla collocazione sociale dei defunti a cavallo del XIV
e XV sec.
Il materiale delle lastre è il marmo nelle varietà bianco, grigio o
avorio; le iscrizioni recano pochi elementi essenziali, come i nomi dei
defunti, solo in due casi è notato anche l’anno.
Sei lastre sono intere (nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6) e sono bipartite,
presentando oltre all’iscrizione anche lo stemma familiare; una lastra
(n.° 7) è franta nella parte inferiore e presenta solo l’iscrizione; non
sappiamo se nella parte inferiore mancante presentasse anche lo
stemma. Cinque dei reperti (nn. 8, 9, 10, 11, 12) come dicevamo,
recano solo il blasone e in un paio di casi presentano singole lettere
incise poste in ordine sparso sulla superficie della lastra. La parte
iscritta è in quattro casi (nn. 1, 3, 5, 6) posta al di sopra dello stemma,
in due casi (nn. 2 e 4) le posizioni sono invertite. La forma dello
scudo è generalmente quello francese antico o gotico, col bordo
superiore dritto (n° 2) o un po’ svasato (nn. 3, 4, 6) o convesso (n° 5);
solo nella n° 1, lo stemma ha il margine superiore ritagliato a tre lobi,
8
di cui il sinistro (per chi guarda) perduto. Lo stemma n. 8 ha lo scudo
a forma di testa di bue, di cui manca l’angolo superiore destro.
Nelle iscrizioni, la separazione tra le parole è costituita quasi
regolarmente da tre punti allineati in verticale, talvolta i punti sono
solo due. In alcuni casi accanto alla base delle lettere è posto un punto
ad indicare un’abbreviazione. Altri segni di abbreviazione sono posti
in alto alla fine della parola o alla base, accanto all’ultima lettera come
una linea ondulata o a svolazzo. Le lettere sono in capitale gotica, con
incisione più spessa (iscr. 5 e 7) e con inserimenti di lettere onciali,
negli esempi più antichi; più sottili, slanciate, serrate, con alternanza
di pieni e filetti, con lettere chiuse da sottili tratti (mi riferisco alla E,
alla F e alla C) ed enfasi nelle aste, nelle iscrizioni più tarde. Sono
interessanti gli esempi di T di forma capitale con ampie spatole
discendenti dal tratto orizzontale, la G in forma chiusa a ricciolo e in
alcuni casi la L ridotta (n. 7), con solo il tratto verticale con un ampio
triangolo alla base. Particolare nell’iscrizione n. 1, la lettera F, dal cui
tratto orizzontale superiore parte un filetto discendente obliquo che
tende a chiuderla e a farla rassomigliare ad una A. In particolare l’iscr.
6 sembra la più tarda: la scrittura si restringe e si allunga, divenendo
serrata.
Tra le abbreviazioni ricordiamo il segno a forma di 7, che
sostituisce et, inoltre trattini soprelevati o svolazzi accanto alla lettera
costituiscono abbreviazioni di lettere, in particolare della m. L’asta
trasversale di R può essere tagliata da un trattino ad indicare la
desinenza -um. Particolari altre forme di abbreviazione saranno
esplicitate nei relativi commenti alle iscrizioni che le contengono.
Probabilmente la scrittura segue le stesse modalità in cui le forme
architettoniche passano dal romanico, con l’arco a tutto sesto, alle
forme gotiche, con arco a sesto acuto, fino a quelle sempre più
slanciate del gotico tardo fiammeggiante.
La lingua utilizzata è in genere il latino, che resiste malgrado la
presenza di elementi già italiani. Troviamo infatti i nomi in genitivo,
ma nella n. 7 il genitivo è preceduto dalla preposizione italiana di. Il
latino sopravvive soprattutto nelle formule, come ad esempio in
sepulchrum filiorum.
In mancanza di dati certi sull’origine e il contesto in cui si
trovavano le epigrafi e gli stemmi, ne esporrò la descrizione, la lettura
e interpretazione e mi limiterò a qualche osservazione su casi
9
particolari. Per l’analisi araldica mi sono servita di manuali, come
Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna,
a cura di G. C. Bascapè, M. Del Piazzo, L. Borgia, Roma 1999 e dei
repertori araldici più accreditati presenti sul web, come E. Ceramelli
Papiani, Raccolta dei blasoni delle famiglie toscane, pubblicata on
line dall’Archivio di Stato di Firenze1; l’Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, Milano 1928 e Appendice, del 1935, di Vincenzo
Spreti in sei volumi e il Dizionario Storico - Blasonino delle Famiglie
nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Bologna 1886, in tre
volumi, con Appendice del 1889 di Gian Battista di Crollalanza
pubblicati on line sul sito Leone Marinato2.
Ringrazio la prof.ssa De Francesco per questa iniziativa e per
avermi consentito questo studio.
Paola Caruso
Benevento, 29 aprile 2020,
nei giorni terribili dell’epidemìa
1
2
E. CERAMELLI PAPIANI, Raccolta dei blasoni delle famiglie toscane, Archivio di Stato di Firenze:
http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramelli, papiani2/index.php?page=Home
http://www.leonemarinato.it/texts.php?p=premessa
10
Iscrizione n. 1. Famiglia Tolomei
Foto: Maria De Francesco
misure lettere:
riga 1: cm. 3,1 / 3,4
riga 2: cm. 3
riga 3: cm. 2,2 / 2,4
misure lastra:
altezza cm. 35,5
largh. cm. 32,5
spessore cm. 4
Inventario: A0666
11
S(epulchrum) filio(rum) Francis=
ci Sarvi fe Tholo=
may
“Sepolcro dei figli di Francesco Sarvi de Tholomay”
Datazione: inizi del XV sec.
L’iscrizione corre su tre righe poste al di sopra dello
stemma della famiglia dei Tolomei3, dei Grandi di Siena, (la
stessa della famosa Pia de’ Tolomei citata da Dante in
Purgatorio V, 130-136). Nei repertori araldici la descrizione
del blasone ci trasmette anche i colori: troncato, alla fascia di
argento accompagnata da 3 lune montanti dello stesso poste
due in capo e una in punta, tutto su azzurro.
La S barrata iniziale qui è probabilmente abbreviazione di
sepulchrum. Dopo la o di filio sono presenti due apici che
costituiscono l’abbreviazione della desinenza del genitivo
plurale -orum.
La F di filiorum e di Francisci presenta un sottilissimo
prolungamento che scende dall’estremità della prima traversa
fin quasi alla base dell’asta, formando quasi una A di forma
squadrata. Sarvi è probabilmente una variante di Salvi,
genitivo di Salvus. Il nome Francesco prosegue sulla seconda
riga col secondo nome Salvo.
Subito dopo, nella seconda riga ci sono due lettere poco
chiare. La prima sembra F seguita da una E malfatta, la pietra
appare molto consumata in quel punto e per la comprensione
del testo la parola fe non ha senso. Forse si deve ipotizzare un
errore del lapicida e pensare che si possa trattare invece della
preposizione de, che regge il cognome di famiglia. Oppure,
poiché proprio al centro di questo secondo rigo si osservano
3
CERAMELLI PAPIANI, Raccolta, cit., fasc. 4607.
12
sottili incisioni, come se il lapicida avesse preparato la traccia
per una scritta diversa che poi non è stata realizzata, si può
ipotizzare che l’iscrizione sulla lastra fu preparata per altri e
poi adattata. Uno di questi segni di una preparazione diversa
della lastra compare accanto alla lettera I della parola Sarvi. Il
ductus dell’incisione epigrafica è molto sottile, la forma delle
lettere è quasi sempre onciale, ad esempio la M e la H rese in
minuscolo, mancano le enfasi al centro delle aste, la A ha la
traversa ondulata piuttosto che spezzata.
Nei documenti la grafia del cognome Tolomei è varia,
troviamo ad esempio Talomei4 o Ptholomej5. Nella nostra
iscrizione Tholomay. La famiglia vantava di discendere dai
Tolomei faraoni d’Egitto in età ellenistica e le forme
grecizzanti del cognome potrebbero essere un riferimento a
tale origine in un periodo in cui inizia ad essere in voga lo
studio del greco proprio in Toscana.
4
5
N. MAHMOUD HELMY,«I Mignanelli: mercatura, impegno pubblico e intellettuale di un casato
senese», Bullettino senese di storia patria CXIV, (2008), p. 25.
Archivio di Stato di Siena, LIRA 170, anno 1467 c.115.
13
Blasone Tolomei. CP 4607
14
Iscrizione n. 2. Famiglia Fissiraga (?)
misure lastra:
altezza cm. 44
largh. cm. 32
spessore cm. 4
misure lettere:
riga 1: cm. 3,9 / 4
riga 2: cm. 3,7 / 4
Foto: Maria De Francesco
Inventario: A0667
U. I’. E et P. A’. OX
D. O. C·um : MCDII
Datazione: 1402
15
Troncato a due bande arcuate, caricata la seconda del Capo
d’Angiò: tre gigli di Francia ordinati, divisi ognuno in
cornice6.
A far pensare che si tratti dello stemma dei Fissiraga di Lodi
è l’importante posto riservato al Capo d’Angiò, cioè la
rappresentazione dei tre gigli, che riprendono il blasone
angioino: “d’azzurro a tre gigli d’oro, posti fra i quattro
pendenti di un rastrello di rosso, cucito”. In questo stemma il
rastrello o lambello è raddoppiato a formare una cornice
intorno ad ogni giglio.
Secondo la tradizione il blasone caricato dei tre gigli fu
concesso da Carlo d’Angiò alle famiglie alleate, dopo la
vittoriosa battaglia di Benevento contro Manfredi del 1266 per
il Regno d’Italia. In araldica indica le famiglie
tradizionalmente appartenenti alla fazione guelfa. In Araldica
Civica contraddistingue anche gli stemmi dei Comuni
storicamente soggetti o alleati a Bologna.
Antonio Fissiraga, nobile di Lodi, fu nel 1286 podestà di
Firenze e fu capo del partito guelfo.
Il testo è costituito di sole abbreviazioni non decifrabili.
Appare chiara solo la data riportata alla fine del testo, 1402.
Proprio il 1402 è un anno molto importante per la famiglia
Fissiraga, poiché, morto Gian Galeazzo Visconti, signore di
Milano e ghibellino, il guelfo Antonio II Fissiraga fu
acclamato signore di Lodi. Non so però dire se l’iscrizione in
oggetto abbia rapporti con questa vicenda. In tal caso non si
tratterebbe di un’iscrizione funebre.
6 G. B. CROLLALANZA, Dizionario Storico - Blasonino delle Famiglie nobili e notabili italiane
estinte e fiorenti, Bologna 1886, vol.1, p. 414, dove per la famiglia Fissiraga di Lodi si descrive
uno stemma a tre bande d’argento arcuate, col capo d’Angiò e non a due come in quello
conservato a Nettuno.
16
L’incisione è molto sottile, i chiaroscuri appena delineati,
molto forte l’enfasi e la forcellatura delle aste. Nel primo rigo
oltre ai soliti tre punti divisori verticali, che segnano la
suddivisione in sintagmi del testo, di cui il primo posto già
all’inizio del testo, sono presenti punti posti accanto alla base,
a destra di quasi tutte le lettere, che segnalano le abbreviazioni
delle parole, di cui non si riesce a decifrare il senso. Notiamo
un apice a destra della seconda lettera del primo rigo, I, che
potrebbe essere abbreviazione di in. Dopo di questa c’è una
lettera che potrebbe essere E, con linea di chiusura distanziata
dal corpo. Seguono altri tre punti in verticale, con un segno ad
ala di gabbiano, presente anche nell’iscrizione n. 4 che serve a
rafforzare il segno di divisione costituito dai tre punti
sovrapposti. La A nel primo rigo è affiancata da un apice a
destra, altro segno di abbreviazione. Nel secondo rigo dopo D.
O. C. c’è un segno a forma di onda che sembra
l’abbreviazione di m, che separa i tre punti verticali di
divisione, spostando a sinistra quello in alto. Non mi
pronuncio oltre la semplice descrizione di un testo che rimane
criptico.
17
Iscrizione n. 3. Famiglia Gualterotti
misure lastra:
altezza cm. 42,5
largh. cm. 26,5
spessore conservato cm. 9
(è un blocco di marmo che è stato
tagliato per asportare l’epigrafe)
misure lettere:
riga 1: cm. 4
riga 2: cm. 3,8 / 4
riga 3: cm. 3,8 / 4
riga 4: cm. 3,8 / 4
riga 5: cm. 3,5 / 3,8
Foto: Maria De Francesco
Inventario: A0668
S(epulchrum) filio(rum) s(er)
Salamonis
D(omi)ni Gualte=
Rotti de V=
5 ult(er)ris et · pro heredibus“Sepolcro dei figli del signor Salomone Gualterotti di Volterra
e dei suoi eredi”
Datazione: prima metà del XIV sec.
18
Stemma al leone tenente una banderuola a coda di rondine,
fluttuante sopra la testa del leone a sinistra. Gli stemmi
riportati nell’Armoriale delle famiglie italiane per i vari rami
della famiglia Gualterotti che si estende in Emilia Romagna,
in Toscana, in Umbria e nelle Marche non contemplano il
blasone raffigurato nella lastra qui esaminata. Solo nella
Raccolta Ceramelli Papiani al fasc. 6970, si cita per i
Gualterotti di Siena uno stemma con leone rampante, ma non
si dice se è tenente la banderuola.
Nell’iscrizione che corre nella parte superiore della lastra, le
A hanno normalmente la traversa spezzata. Ci sono due S
bandate, di cui la prima è interpretabile come sepulchrum e la
seconda come ser, abbreviazione di messer. La forma delle
lettere è palesemente più antica rispetto a quella delle altre
iscrizioni. L’ultima lettera del r. 3 si collega con il rigo
successivo definendo la provenienza del personaggio.
All’inizio del r. 4 un’abrasione non permette di leggere con
chiarezza la prima lettera che credo sia una U, dopo segue una
L e le lettere TRIS, che sono l’abbreviazione di terris. Si tratta
di Vulterris, normale dizione del nome di Volterra in età
medievale. Conosciamo ad esempio un copista Matthaeus
domini Herculani de Contugiis de Vulterris, che copia I trionfi
di Petrarca per Federico da Montefeltro duca di Urbino nel
manoscritto siglato Urb. Lat. 324.
Il r. 5 si conclude con due segni di abbreviazione, il primo è
il solito 7 che indica et, seguito da un monogramma che ho
inteso come pro heredibus. Infatti oltre alla linea che taglia
l’asta della P, che ha il significato di pro, compare il secondo
tratto di una h in nesso con l’asta della P, che potrebbe
indicare l’iniziale di heredibus.
A conferma dell’antichità della lastra, in un repertorio di
documenti medievali troviamo una probabile traccia del
personaggio nominato nell’iscrizione. Si tratta di un
19
documento sottoscritto proprio da Ser Salamone del fu
Gualterotto, un notaio attivo tra fine XIII e inizio del XIV sec.,
a Volterra7:
1319 (22 Dicembre) in una carta rogata a Pisa da Orlando figlio del
fu notaio Orso, Betto del fu Cestone, come procuratore di Landuccio
da Terricciola e di Tura da Morrona, riceve una quiescenza e la
somma di Lire 70 da Ser Salamone del fu Gualterotto, stipulante per il
Comune di Volterra8.
7
8
F. DEL BORGO, Raccolta di scelti diplomi Pisani, Pisa 1765, p. 290, doc. n. 39 dove viene
nominato il nostro personaggio, come Salomon notarius D. Gualterotti tra i firmatari di un
documento del 1296 in cui il Senato di Volterra concede ai fuorusciti guelfi pisani il privilegio di
portare le armi
G. MARITI, Terricciola, Morrona, Chianni, Rivalto: castelli dell’Alta Valdera. Odeporico o sia
itinerario per le Colline Pisane, a cura di B. Gianetti, 1797, rist. an. 2001, p.120.
20
Iscrizione n. 4. Famiglia Piccolomini
misure lastra:
altezza cm. 42,5
largh. cm. 32
spessore cm. 4
misure lettere:
riga 1: cm. 3,4 / 3,5
riga 2: cm. 3,2 /3,4
Foto: Maria De Francesco
Inventario: A0669
Me(sse)r Rest(or)u(s) ...
Iova a(nno) n(ativitatis) MCCCCXL
“Messer Restoro
Iova nell’anno 1440 dalla nascita di Cristo”.
21
Datazione: 1440
Lo stemma presente nella parte superiore della lastra
potrebbe appartenere ad un membro minore e poco noto della
nobile famiglia Piccolomini, resa celebre da Enea Silvio,
eletto papa col nome di Pio II. La famiglia, originaria di Siena,
si diffuse poi anche a Napoli.
La descrizione araldica è la seguente: uno scudo d'argento,
alla croce d'azzurro, caricata di cinque lune montanti d'oro.
Oltre ai tre punti verticali di divisione ci sono altri segni, ad
ala di gabbiano come interpunzione posti in verticale, mentre
quelli posti in orizzontale segnano le abbreviazioni come
appare al primo rigo tra la T e la U e alla fine dello stesso rigo
nel nome che ho ricostruito come Restorus, che mi appare il
più probabile. Il nome Restorus è molto diffuso nella Toscana
medievale e in altre regioni anche nella forma Ristorus9.
Secondo un’interpretazione, tale nome era posto dai genitori al
primogenito nato dopo la morte di un altro figlio, per mostrare
appunto il ristoro, la consolazione trovata al dolore per il
figlio perduto10. Non è stato facile determinare la forma del
nome, poiché la lettera iniziale è molto simile a una N. Lo
scalpellino qui non ha provveduto ad accentuare la
connessione dell’asta obliqua all’occhiello di R, come è
visibile nell’altra R presente alla fine della parola m(ess)er. Si
confronti infatti la N che compare esattamente sotto, al rigo 2,
e che sembra identica nella forma. A far capire che si tratta di
una R, al primo rigo resta solo la modesta svasatura della
traversa.
Al r. 2 il segno di interpunzione con i tre punti sovrapposti è
sostituito da un solo punto alla base sormontato da un piccolo
apice. Questo segno potrebbe indicare un’abbreviazione forse
9 Vedi Libro di Montaperti (a. 1260), a cura di C. PAOLI, Firenze 1889, passim, che registra ben 22 persone con
questo nome. Il Libro di Montaperti è un testo che registra gli avvenimenti della guerra tra Fiorentini e Senesi
del 1260. Ma Restorus o Ristorus è nome molto comune anche altrove.
10 https://www.heraldrysinstitute.com/lang/it/origine/idc/Ristori/?search=Ristori&cache=1&search_lastname=1
22
di I che dovrebbe perciò porsi dinanzi alle lettere ova,
divenendo IOVA, che potrebbe essere un diminutivo di
Giovanni, ma non saprei se interpretarlo come un secondo
nome o un patronimico.
Ristoro Piccolomini è un nome che ricorre più volte nella
famiglia senese, ma il personaggio che ci interessa potrebbe
essere un cavaliere che è nominato in un documento del 1406
(Archivio di Stato di Siena, Concistoro 246, c. 16 del
19/01/1406) in cui “viene stabilito e deliberato un rimborso
agli uomini e al comune di Serravalle (oggi frazione di
Buonconvento in provincia di Siena) per la riparazione e il
potenziamento delle mura. Tale trattativa si concluse pochi
giorni dopo con un compromesso raggiunto tra Ristoro
Piccolomini e gli uomini di Serravalle.
Blasone Piccolomini CP 3739
Blasone Piccolomini - Napoli
23
Iscrizione n. 5. Famiglia Vannelli
misure lastra:
altezza cm. 41
largh. cm. 28
spessore cm. 12,5
(è un blocco di marmo che
è stato tagliato per
asportare l’epigrafe)
misure lettere:
riga 1: cm. 3,5
riga 2: cm. 3,4 / 3,5
riga 3: cm. 3,4 / 3,5
riga 4: cm. 3,4 / 3,5
riga 5: cm. 3,5
Foto: Maria De Francesco
Inventario: A0670
5
+ S(epulchrum) d(omi)ne Dioni=
gie Vannelis
et Contis fili=
i sui et er(edum) su=
or(um) +
“Sepolcro della signora Dionigia Vannelli e di Conte suo
figlio e degli loro eredi”.
24
Datazione: prima metà del XIV sec.
L’emblema araldico presenta i colori di rosso, alla croce
doppiomerlata d'argento11. La decorazione crea quasi
l’illusione di uno scudo ritagliato in quattro settori e accostati.
Al r. 1 un signum crucis ha ai lati i soliti tre punti sovrapposti.
L’abbreviazione di et è simile ad un punto interrogativo invece
del solito 7 e la troviamo al r. 3 e al r. 4; manca la h alla parola
eredum. Molte lettere hanno la forma onciale; l’abbreviazione
di um è segnalata da una linea che taglia il tratto obliquo di R
in due casi; il ductus è largo, conferendo alla scrittura un
aspetto pesante, dato questo che arretra la datazione. Vanneli è
variante di Vannelli, cognome di una illustre famiglia toscana,
presente a Firenze e Siena12. Ho ritenuto Conte un nome
proprio piuttosto che un titolo nobiliare, perché non ho
riscontrato che i Vannelli fossero conti. Nel Catasto di Firenze
del 1427, il nome di battesimo Conte compare 3 volte. Meno
comune del maschile Dionigi, di origine francese, è il
femminile Dionigia, ma anch’esso ben rappresentato e
longevo.
Blasone Vannelli CP 7175
11 CERAMELLI PAPIANI, Raccolta, fasc.7175.
12 La famiglia Vannelli di Siena compare tra quelle che sostenevano il partito del popolo nel 1428,
vedi G. A. PECCI, Lettera sull'antica, e moderna derivazione delle famiglie nobili di Siena,
Gallipoli 1764, p. 75.
25
Iscrizione n. 6. Famiglia Brancacci
misure lastra:
altezza cm. 31
largh. cm. 17
spessore visibile cm. 17
(la lastra è murata)
misure lettere:
riga 1: cm. 3,2
riga 2: cm. 3,2
riga 3: cm. 3,2
Foto: Maria De Francesco
Inventario: A0671
S(epulchrum) : Vivoli :
Ghucii et Ch=
ole : Iovanis
“Sepolcro di Vivolo di Guccio e di Cola di Giovanni”
Datazione: XV sec.
26
Stemma della famiglia Brancacci di Firenze, d’oro alla
banda di rosso accostata da due branche di leone dello stesso,
poste nel senso della pezza13. Le branche di leone richiamano
il nome della famiglia, attribuendole la forza e l’aggressività
del leone. Il nome Guccio è comune in Toscana, è presente nel
Catasto di Firenze del 1427 per ben 14 volte. Meno comune,
ma pure attestato sin dal XIV sec. il nome Vivolo, che
ritroviamo, sempre nel Catasto citato anche nella forma
femminile Vivola.
Il secondo nome, pure in genitivo, è una variante del nome
Cola, diminutivo di Nicola, qui scritto con l’h per
ipercorrettismo, valga come esempio di questo nome il famoso
Cola Di Rienzo.
Si tratta della lapide di due defunti della famiglia Brancacci,
Vivolo e Cola, ai cui nomi segue il patronimico,
rispettivamente Vivolo di Guccio e Cola di Giovanni, come
farebbe pensare la presenza del segno a forma di 7,
abbreviazione di et, che divide in due parti il testo. Inoltre ci
sono due punti sovrapposti a segnare la divisione delle parole
dopo sepulchrum, dopo Vivoli e dopo Chole, invece prima e
dopo l’abbreviazione di et ci sono tre punti sovrapposti.
Questo potrebbe avvalorare la tesi che il collegamento tra il
nome e il genitivo è evidenziato dal doppio punto, mentre il
triplo punto costituisce una separazione logica degli elementi
che compongono la scritta.
Blasone Brancacci CP 963
13 I. DOUGLAS SCOTTI, I signori di Firenze, Roma 2018, p. 158 e segg.; CERAMELLI PAPIANI,
Raccolta,cit.,fasc. 963.
27
Iscrizione n. 7. Famiglia Baldovini
Foto: Maria De Francesco
misure lastra:
altezza cm. 18
largh. cm. 55,5
spessore cm. 6,2
misure lettere:
riga 1: cm. 4,5
riga 2: cm. 4,5
Inventario: A0672
S(epolcro) Bernardo di Naldo=
vini · di Firenze
“Sepolcro Bernardo di Baldovini di Firenze”
Datazione: seconda metà del XV sec.
28
Lastra franta nella parte inferiore e tagliata di netto in
diagonale nel lato destro.
L’iscrizione presenta un forte contrasto chiaroscurale per il
solco dell’incisione molto profondo.
Nell’ultima parola della prima riga la L è resa in modo
ridotto, semplicemente come un tratto verticale con la base a
spioventi triangolari. I separatori sono i soliti tre punti
verticali, nella seconda riga la separazione è costitituita da un
solo punto dopo vini. Il cognome è stato probabilmente
trascritto male dal lapicida, perché doveva essere Baldovini. I
Baldovini di Firenze, infatti, risultano nel Catasto fiorentino
del 1427, con almeno tre famiglie14 ed esiste anche una
famosa strada a Firenze, via de’ Baldovini, con un palazzo del
XVII sec. Il membro più famoso della famiglia è il poeta
Francesco che ha scritto il Lamento di Cecco da Varlungo, nel
1661.Se la nostra ipotesi fosse esatta, la lastra potrebbe essere
stata corredata della rappresentazione di uno scudo araldico il
cui emblema è di rosso con un numero variabile di cotisse
d’oro15.
Interessante la resa della Z con la forma del 3 arabo in
quest’iscrizione scritto al rovescio, cioè aperto verso destra.
Le ultime tre lettere sono scritte più distanziate rispetto alle
altre, forse il lapicida si è reso conto che aveva lasciato troppo
spazio e ha voluto riempirlo in qualche modo. Come si può
notare il nome del personaggio è completamente italianizzato,
perché presenta la preposizione di dinanzi al cognome che è
un residuo del patronimico in genitivo latino.
14 D. HERLIHY: http://cds.library.brown.edu/projects/catasto/newsearch/family_names.html
15 CERAMELLI PAPIANI, Raccolta, cit., fasc. 330.
29
Stemma 8. Famiglia Pucci (?)
Foto: Maria De Francesco
misure lastra:
diametro cm. 33
spessore cm. 2
misure lettere:
altezza lettere grandi in alto:7.
lettera B al centro: cm. 3,5
Inventario: A0673
Datazione XVII sec.
30
Lastra tonda in pietra grigia, recante uno stemma composito:
scudo con tre cotisse, in capo all’angolo destro compare la
lettera B, timbrato da elmo chiuso a becco di flauto, con
lambrecchini e cimiero a testa di moro attortigliata, ai lati della
quale compaiono incise a sinistra la lettera I e a destra la
lettera A, entrambe di forma piuttosto moderna.
L’emblema ricorda quello stemma della famiglia Pucci di
Firenze, che recava un moro attortigliato, sulla cui fascia erano
disegnati tre martelli. Il moro qui è sul cimiero e la sua fascia
non reca i tre martelli, ma non ho trovato altri riscontri
significativi con altre famiglie.
Stemma Pucci: Piero della Francesca, Battaglia di Eraclio e Cosroe, Storie
della Vera Croce, Basilica di S.Francesco, Arezzo.
31
Stemma 9. Famiglia Petrignani
Foto: Maria De Francesco
misure lastra:
altezza cm. 63,5
largh. cm. 37,5
spessore cm. 8
misure lettera:
altezza cm. 8
largh. cm. 5
Inventario: A0674
Datazione: XVII-XVIII sec.
32
Stemma in marmo; si potrebbe trattare di quello della
Famiglia Petrignani, originaria di Amelia (Terni), poi estesasi
a Forlì, nota fin dal 1594. Tagliato a destra, presenta scudo
ovato, leone linguato e artigliato rampante a sinistra, uscente
dalla punta di un monte di tre cime16, i colori erano verde e
azzurro. Sormonta lo scudo a sinistra la corolla di un fiore a
sette petali, presumibilmente ve ne doveva essere un altro
nell’angolo in alto a destra perduto. Nell’angolo inferiore
sinistro è incisa la lettera L, forse iniziale di Livio Petrignani,
nome di due membri della casata del XVII e XVIII sec.17,
rispettivamente padre e figlio di Ottavio Petrignani, poeta
arcade. Alla lettera L non corrisponde l’iniziale P del cognome
a destra, perché mancante.
Stemma Palazzo Petrignani – Amelia
(Terni)
16 SPRETI, Enciclopedia Storico - Nobiliare Italiana, cit. vol. 5, p. 380.
17 G. M. CRESCIMBENI, Notizie istoriche degli Arcadi morti, vol. 1, Roma 1730, pp. 326-329; A. EDER,
H. SCHLEICHER, H. HIMMEL, A. KRACHER, Marginalien zur poetischen Welt, Berlin 1971, p. 21.
33
Stemma 10. Famiglia Medici
Foto: Maria De Francesco
misure lastra:
altezza cm.
largh. cm.
spessore cm.
Inventario: A0675
Datazione: XVI sec.
34
Stemma di un papa della famiglia Medici; potrebbe trattarsi
di Giovanni de’ Medici, eletto papa col nome di Leone X
(1513-1521) o di Giovanni Angelo de’ Medici, eletto papa col
nome di Pio IV (1559-1565). Lo stemma mediceo di entrambi
è quasi identico: è d'oro, a sei bisanti o palle disposte in cinta,
la prima in capo di azzurro caricata di tre gigli di Francia d'oro
disposti 2 e 1, le altre di rosso. Tale stemma fu concesso dal re
Luigi XI a Piero dei Medici nel 146618. A questa arma, i
membri della famiglia divenuti papa montarono in blasone il
triregno, con le infule rialzate verso la tiara sormontata da
croce, chiavi sopra lo scudo in decusse, con i congegni in alto,
attraversate nell’occhiello dal nastro con fiocchi pendenti in
basso. Ci fa propendere per l’attribuzione a Leone X il fatto
che i congegni delle chiavi non hanno la forma di croce, come
avviene nello stemma di Pio IV.
Stemma di Pio IV Medici
Foto Alinari
Stemma di Leone X, Pieve Gropina,
Arezzo
18 G. C. BASCAPÈ, M. DEL PIAZZO, L. BORGIA, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata,
medievale e moderna, Roma 1999, p. 401.
35
Stemma 11. Famiglia Acciaiuoli o Acciaioli (?)
misure lastra:
altezza cm. 34
largh. cm. max. cm. 33
spessore cm. 11
Inventario: A0676
Datazione: fine XIII sec.- inizi XIV
36
Parte di trabeazione in marmo, probabilmente una chiave di
volta di un arco mancante a destra per chi guarda, recante uno
stemma con l’arma che appare simile a quella della famiglia
Acciaiuoli o Acciaioli di Firenze, con leone rampante, ai lati
dello stemma racemi d’acanto. Trattandosi dell’animale più
raffigurato nei blasoni, esso è comune a molte famiglie.
Propendo per la famiglia Acciaiuoli, in quanto molti dei reperti
di questo nucleo provengono dall’Italia centrale e dalla
Toscana in particolare. Ciò non toglie che lo stemma potrebbe
provenire da altre zone d’Italia. Ad esempio anche la famiglia
Caracciolo di Napoli ha come arma il leone rampante e come
quello raffigurato sullo stemma conservato a Nettuno ha la
coda rivolta all’interno, ma questo particolare non è sempre
dirimente; oltre ai Caracciolo vi sono numerose altre famiglie,
anche fuori d’Italia, che innalzano questo tipo di arma.
Nei repertori consultati, lo stemma degli Acciaiuoli presenta
uno scudo alla francese, d'argento, al leone d'azzurro,
lampassato e armato di rosso19.
Questa famiglia nel corso del XIII sec. fondò un’ importante
compagnia di cambio con sedi in tutt’Europa.
Datazione: fine XIII sec.- inizi XIV sec.
Blasone Acciaiuoli CP 7
19
CERAMELLI PAPIANI, Raccolta, cit., fasc. 7.
Blasone Acciaiuoli Palazzo dei
Priori - Volterra
37
Stemma 12. Famiglia Occhilupo (?)
misure lastra:
altezza max. cm. 57
largh. max. cm. 39,5
spessore cm. 9,5
Inventario: A0674
38
Lo stemma in pietra grigia era probabilmente montato come
chiave d’arco, ha forma ovale e manca di un’ampia porzione
del lato destro. In una cornice che simula una pergamena
srotolata, con arricciature, sormontata da una testa di Acheloo
coronata, si presenta il rilievo dell’arma che rappresenta un
albero fustato e fogliato (lauro o frassino), nodrito su terrazzo,
sinistrato da un lupo con coda pendente, rampante contro il
fusto. Non è stato possibile determinare con certezza a quale
famiglia appartenga questo bellissimo stemma, che rimanda
all’idea della selvatichezza e ardimento del lupo che mira a
conquistare l’onore rappresentato dall’albero di lauro o di
frassino (legno con cui si fabbricavano le frecce). I confronti
potrebbero ricondurre alla famiglia Occhilupo, salentina di
Gallipoli, il cui più famoso rappresentate è Consalvo, vissuto
nel XVI sec. L’emblema è riportato nel volume redatto dal
notaio Vincenzo Dolce da Gallipoli, col titolo Illustrazioni
sugli stemmi dipinti nella sala del Palazzo comunale di
Gallipoli e Codice Diplomatico Gallipolino 187820
Grafica realizzata da www.heraldrysinstitute.com
20 Il volume è stato pubblicato in vari numeri tra 2006 e 2007 della rivista Anxa, consultabile anche
on line, su Anxa.it. Lo stemma Occhilupo è pubblicato in questa serie da V. VINCI, «Illustrazione degli
stemmi di Vincenzo Dolce»,Anxa, maggio-giugno 2007, pp. 12-14, dove si può leggere: “Lo stemma
nell'antica famiglia di Consalvo ci presenta in campo celeste un Lupo, che cerca elevarsi sur un
albero, verso i rami del quale tien rivolti gli occhi; emblema pur anche disunto dal cognome del
casato”.
39
Conclusioni
La serie di iscrizioni e blasoni di questa piccola collezione di
Forte Sangallo ci porta nel mondo delle nobili famiglie
dell’Italia centrale in un periodo compreso tra XIV e XVII sec.
Lo status sociale si esibiva attraverso il prestigio
dell’inumazione in chiesa, in tombe distinte da lapidi di
pregevole fattura che oltre all’iscrizione inalberavano le armi
di famiglia. Le scritture testimoniano l’evoluzione della littera
gothica da forme più massicce a quelle più slanciate e ariose
del tardo Quattrocento. Il linguaggio è essenziale, scarno,
limitando le informazioni ai soli nomi e all’anno di morte,
perché i blasoni testimoniavano l’importanza della famiglia
d’origine, tanto che in molti casi non c’era bisogno neppure di
citare i cognomi dei personaggi; la tendenza a lasciar parlare il
blasone rende poco accessibili le altre informazioni lasciate in
forma di abbreviazioni. Questo ricchissimo linguaggio figurale
oggi non è più comprensibile se non agli esperti e ai cultori di
araldica o ai discendenti di quelle famiglie che hanno
conservato intatte le tradizioni della nobiltà. Per chi ammira
questi antichi oggetti è come compiere un viaggio a ritroso nel
tempo, immergendosi in un periodo straordinario della storia
d’Italia, quella stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento,
fatta anche di bellicose famiglie nobili che si contendevano il
potere nei Comuni e nelle Signorie della penisola.
40
Il barone Fassini e il Forte Sangallo
Il barone Alberto Fassini Camossi, nato a Moncalvo (Asti)
nel 1875, è stato un personaggio di grande successo,
imprenditore, politico, produttore dapprima nel campo della
nascente industria cinematografica e poi soprattutto nel campo
delle fibre tessili artificiali, dove aveva raggiunto notevoli
traguardi.
Reduce della prima guerra mondiale (alla quale partecipò
con il grado di ammiraglio della Marina), Fassini fu iscritto
dal 1921 al Partito Nazionale Fascista, divenne caporale
d'onore del Fascio di Firenze dal 1924. Stretti furono i suoi
rapporti con Mussolini, e ciò gli consentì di essere tra i
maggiori capitalisti dell'epoca e di avere molti incarichi.
41
Raffinato collezionista di opere d’arte21, che egli collocò
nelle sue varie residenze, appassionato del mare22 e amante
della mondanità, nel 1920 acquistò il Forte Sangallo23, quando
il monumento, pur soggetto a frequenti, ma a volte discutibili,
interventi di restauro, era solo una “magnifica e inabitabile
rovina”24.
Per il restauro del Forte venne incaricato l’architetto Carlo
Busiri Vici, affermato e colto professionista romano, il quale
tra giugno e luglio del 1920 approntò il progetto, che
prevedeva il ripristino del monumento, ma anche diverse
novità, che trasformarono notevolmente l’edificio.
Il forte prima del restauro: La scala a mare venne poi demolita. (da D. ANGELI, cit. p.23)
Cataloghi delle opere da lui possedute vengono pubblicate nel 1931: AA.VV, Collezioni d'arte del
Barone Alberto Fassini (Camossi), Milano-Roma, 1931, 3 voll. (I volume: Pitture dal 300 all’800
illustrate da Adolfo Venturi. – II volume: Arte classica per G.E. Rizzo, Sculture Medievali e Moderne
per Adolfo Venturi, Ceramiche per Gaetano Ballardini. – III volume: Pitture del secolo XIX e del
secolo corrente illustrate da Emilio Cecchi), editore Bestetti & Tumminelli.
22
Diverse residenze di sua proprietà, acquistate e risistemate lussuosamente, erano affacciate sul mare:
oltre Nettuno anche Torre Astura nel 1926, a Capri e a Forio d’Ischia.
23
Una nota dell’allora Soprintendente dei Monumenti del Lazio, Antonio Munoz, al Ministero della
Pubblica Istruzione informa della vendita del Forte di Nettuno da parte dei signori Tosti e Pratesi al
barone Alberto Fassini per lire 290.000, in data 20 maggio 1920 (M. CAPERNA, Restauri e
trasformazioni del Forte dalla fine dell’Ottocento agli inizi degli anni Venti, in AA.VV, Il Forte di
Nettuno. Storia, costruzione e restauri, 2007, Gangemi Editore, p.174, nota 23).
24
D. ANGELI, Le château et la forteresse de Nettuno, Roma 1930, p.48.
42
21
Fu scavato di nuovo il fossato, che venne abbellito da un
bosco di lecci, mirti, tamarischi e oleandri, resistenti ai venti di
libeccio e scirocco che soffiano spesso con grande violenza.
L’unico accesso al Forte rimase quello dalla strada, mentre
fu demolita la vecchia scala esterna che dalla spiaggia saliva
all’entrata originaria, in quanto il Consiglio Superiore di Belle
Arti non approvò il progetto del suo rifacimento25.
Dal ponte levatoio si entrava nel cortile d’onore,
pavimentato alla romana, con piccole aiuole fiorite sistemate
intorno a un pozzo centrale. Dei due porticati presenti ai lati
del cortile, quello ad est (dove ora c’è la sezione di
Paleontologia e Preistoria del Museo) venne lasciato aperto e
fu adibito a lapidarium con sarcofagi e altre sculture antiche di
collezione del barone, oltre a reperti rinvenuti in loco nel corso
dei lavori; nella parte terminale di questo portico fu ricavata
una cappella chiusa con un cancello in ferro battuto e decorata
con una magnifica pala policroma di Giovanni della Robbia26.
Il lapidarium nel portico di est (da D. ANGELI, cit.)
25
26
M. CAPERNA, cit., p.162
D. ANGELI, cit., p.50.
43
Il porticato ad ovest venne invece chiuso ricavando delle
finestre nelle arcate, fu sontuosamente ammobiliato e
pavimentato con ceramiche di Faenza, dotato di un grande
camino e destinato a salone da ricevimento; al di sopra di
questo portico vennero realizzati gli ambienti per la servitù
(dove adesso è il museo dello Sbarco Alleato).
Il grande salone nel portico di ovest (da D. ANGELI, cit.)
Il mastio, innalzato di un piano, subì vari adattamenti e
modifiche che lo trasformarono in una confortevole
abitazione. Al piano terra fu realizzata una sala per riunioni,
dotata di un caminetto rimesso in funzione e con una grande
finestra aperta sul mare; la sala delle guardie, cioè l’ambiente
a destra dopo l’entrata, fu trasformata in sala da pranzo,
44
sempre pavimentata con mattonelle in cotto esagonali e
quadrelli smaltati di Faenza.
La sala da pranzo (da D. ANGELI, cit.)
Al primo e al secondo piano vennero sistemate le camere
da letto, con i relativi servizi ricavati nello spessore dei muri;
l’arredamento sobrio e severo si adattava perfettamente alla
natura dell’edificio.
Nella torretta seicentesca di Urbano VIII, sul baluardo a
sud-est, fu realizzato un minuscolo appartamento “che ricorda
la cabina di una nave da guerra”27
27
D. ANGELI, cit., p.50.
45
Le camere da letto (da D. ANGELI, cit.)
I lavori si conclusero nel 1923 e il barone poté così
utilizzare la dimora per i suoi ozi estivi, ma anche per
coltivare relazioni mondane e politiche ad alto livello.
46
Il 20 luglio 1925, infatti,
su richiesta di Mussolini, il
Forte fu scelto come sede
per la ratifica degli accordi
con la Jugoslavia per la
delineazione dei confini,
nota in seguito come
“Convenzione di Nettuno”28.
Mussolini al Forte Sangallo, ospite del barone Fassini (da A. SULPIZI, Una regina seduta
sul mare, http://www.100libripernettuno.it/)
Nel 1931 il barone vi ospitò la regina Maria di Romania e
la principessa Ileana29.
https://web.archive.org/web/20091219113229/http://www.prassi.cnr.it/prassi/attiInternazionali.html?i
d=858
29
https://www.youtube.com/watch?v=rcjamazT-q4 Caricato da Istituto Luce - Cinecittà
47
28
Schermate riprese da https://www.youtube.com/watch?v=rcjamazT-q4 Caricato da Istituto
Luce – Cinecittà.
[M.D.F.]
48